Soda caustica, allume di rocca e pece greca

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Collana editoriale: La criminologia di Minerva Soda caustica allume di rocca e pece greca il caso cianciulli

a cura di Augusto Balloni, Roberta Bisi, Cecilia Monti

Direttore editoriale: Roberto Mugavero Editor: Giacomo Battara Direzione Comitato Scientifico: Augusto Balloni, Roberta Bisi

Comitato scientifico:

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Antonio Apruzzese, direttore del Servizio della Polizia Postale e delle Comunicazioni del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Ministero dell’Interno, Roma Serge Brochu, professore ordinario all’École de criminologie dell’Università di Montréal e co-direttore del gruppo di ricerca e intervento sulle sostanze psicoattive – Québec. Membro della Société royale du Canada Laura Cavana, professore associato di pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna Salvatore Costantino, professore ordinario di “sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale”, Università di Palermo François Dieu, professore ordinario di sociologia, Università di Tolosa (Francia) e direttore di ricerca presso l’Ecole nationale d’administration pénitentiaire d’Agen (Francia) Oscar Fioriolli, direzione centrale per la polizia stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Ministero dell’Interno Monica Raiteri, professore ordinario di “sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale”, Università di Macerata

Comitato di redazione: - Giacomo Battara (Minerva Edizioni) - Valentina Zaffagnini (Minerva Edizioni) - Raffaella Sette - Dipartimento di Sociologia (Università di Bologna) Patrocinio: Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Vittimologia e sulla Sicurezza (C.I.R.Vi.S.) dell’Università di Bologna; Società Italiana di Vittimologia (S.I.V.)

Copyright © 2010 Minerva Soluzioni Editoriali s.r.l., Bologna isbn 978-88-7381-305-7 Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 – 40050 Argelato (Bologna) Tel. 051.6630557 – Fax 051.897420 info@minervaedizioni.com – www.minervaedizioni.com “su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali - Archivio di Stato di Bologna n. 916 del 26 gennaio 2010”


INDICE Roberta Bisi Leonarda Cianciulli: energia malefica ed energia conservatrice

p. 11

Raffaella Sette Scrivere, scrivere‌ Leonarda Cianciulli si svela al grafologo

p. 41

Augusto Balloni La storia criminale di Leonarda Cianciulli

p. 91

Fabio Bravo Riflessioni a margine della sentenza di condanna resa nel procedimento penale a carico di Leonarda Cianciulli

p. 141

Elena Bianchini e Sandra Sicurella Certo malvagia la era: il ricordo di Leonarda Cianciulli 70 anni dopo la commissione dei delitti

p. 155

Cecilia Monti “Me le ho mangiate!� ricostruzione criminalistica degli eventi: la tragica fine delle tre amiche di Leonarda Cianciulli

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p. 173



Prefazione

La criminologia deve essere scienza e professione, intendendo con tale affermazione la possibilità che essa riesca a trovare un preciso equilibrio tra riflessione teorica e ricerca empirica. Il presupposto importante di questa disciplina risiede, infatti, nella sua capacità di fornire utili ed adeguati strumenti di politica criminale per la prevenzione, la repressione del crimine ed anche per il sostegno alle vittime. Ricerca scientifica e professionalità si basano sulla multidisciplinarità che è legata ad interpretazioni dei risultati di ricerche empiriche provenienti dall’impiego di diverse metodologie, organizzate per la pratica criminologica. La collana di criminologia si propone quindi come strumento di studio e di ricerca che consente riflessioni ed interventi per quanto concerne gli aspetti della prevenzione e del controllo, aspetti questi ultimi che possono essere collocati tra arte e scienza, dove l’intuizione e la felice ispirazione nella scelta dei metodi ha il suo effetto sul risultato. La collana ha tra i suoi ambiziosi intenti anche quello di contribuire a far sì che la criminologia si affermi non solo come scienza che studia i comportamenti umani, ma anche come strumento per il bene dell’uomo, per la sua sicurezza e per la qualità della vita, affrancandosi dai pesanti condizionamenti del passato per assumere un ruolo importante nella formazione dei futuri criminologi e degli addetti alle istituzioni che si occupano di sicurezza e di controllo sociale. Il primo volume della collana, dedicato al caso di Leonarda Cianciulli, affronta la vicenda criminale di questa triplice omicida tenendo conto dei canoni sopra menzionati. In effetti la storia criminale di Leonarda Cianciulli, nota anche come la “saponificatrice di Correggio”, è affrontata in una prospettiva interdisciplinare. Si analizza la perizia psichiatrica da cui scaturì la seminfermità, documentata nella sentenza, utilizzando gli strumenti della psicopatologia forense e della psicologia giuridica. 7


Si ricostruisce poi la storia di vita della Cianciulli, utilizzando i metodi propri della ricerca socio-criminologica. Inoltre, si interpreta la dinamica degli omicidi facendo riferimento agli elementi scientifico-forensi e si approfondisce lo studio della personalità della saponificatrice, avvalendosi dell’apporto grafologico, attraverso l’analisi delle lettere contenute nel carteggio intercorso tra la Cianciulli e il figlio. Infine, ci si sofferma a riflettere sul ricordo, ancora vivo, nella comunità di Correggio di questa donna “venuta da fuori” che creò, con la sua condotta, imbarazzo, dolore e tormentosi ricordi. Questo libro, che si rivolge ad un ampio pubblico, vuole essere una visita alle prigioni della mente, non parla di cause o di terapie, ma fa riferimento all’esperienza umana e mette in evidenza cosa può provare una persona quando vive con un demone in una realtà deformata. Il libro è corredato da un cd rom interattivo multimediale contenente una cospicua documentazione (il memoriale redatto dalla Cianciulli, la sentenza di condanna, la trascrizione di interrogatori ed altro carteggio) e una raccolta iconografica sul caso: ricostruzione animata in 3D dei delitti, fotografie dei luoghi e dei protagonisti, ricostruzione cronologica della vicenda, mappe e contributi visuali. Questo materiale contribuisce a far conoscere come malfunzionasse il cervello della Cianciulli, con istinti, pulsioni e paure tra loro in conflitto e conduce il lettore all’approfondita conoscenza del caso.

Augusto Balloni

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Roberta Bisi

Leonarda Cianciulli: energia malefica ed energia conservatrice

1 Cap

“Acteur” e “comédien”1 Nella scena prima del quinto atto dell’Amleto di Shakespeare, al cimitero, Amleto, trovando un becchino che scava una fossa e canta, dice meravigliato ad Orazio, che era in sua compagnia: “Non ha dunque, quest’uomo, alcun sentimento di ciò che fa, se può cantare scavando una fossa? (Has this fellow no feeling of his business, that he sings at grave- making?)”. Orazio risponde: “È un’indifferenza che nasce dall’abitudine (Custom hath made it in him a property of easiness)”. Ed Amleto: “Lo credo anch’io. La mano che lavora poco ha il tocco più delicato (‘Tis e’ en so. The hand of little employment hath the daintier sense)”2. Un cimitero è senz’altro, per ogni nuovo arrivato o per uno che vi vada poche volte, un luogo denso di emozioni dolorose e tale dovette essere anche per Amleto. Pertanto, il sentire, in quel luogo, un canto produsse un forte contrasto tra il suo stato d’animo e la natura del luogo e il tipo di lavoro svolto da colui che cantava. Ma Orazio, mente più calma, con la sua risposta ricca di senso pratico, dimostra la necessità di quel che avveniva. Ognuno infatti che faccia il mestiere del becchino e che sia condannato a passare la sua vita in un cimitero si trova in una condizione psicologica ben diversa da quella in cui versa colui che visiti quel luogo per la prima volta o che “La funzione dei comédiens esige, per eccellervi, […] un gran numero di qualità che la natura riunisce tanto raramente nella stessa persona, da far sì che si contino più grandi acteurs che grandi comédiens”, D. Diderot cit. da P. Alatri, Introduzione a D. Diderot, Paradosso sull’attore, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 23. L’acteur è un interprete che impone la propria personalità al personaggio, potendo quindi interpretare soltanto alcune parti, mentre il comédien, ricco di capacità imitative, è adatto ad ogni sorta di caratteri. A questo proposito, Diderot così si esprime: “Se l’attore fosse sensibile, gli sarebbe veramente possibile interpretare due volte di seguito la medesima parte con lo stesso calore e lo stesso successo? Pieno di slancio alla prima rappresentazione, diventerebbe fiacco e freddo come il marmo alla terza replica. Mentre invece, se sarà un imitatore attento, un fedele discepolo della natura, la prima volta che si presenterà sulla scena nelle vesti di Augusto, di Cinna, di Orosmane, di Agamennone, di Maometto, copiando rigorosamente se stesso o i propri studi e osservando di continuo le nostre sensazioni, riuscirà, invece d’indebolirla, a rafforzare la sua recitazione con le nuove riflessioni che avrà raccolto; si esalterà o si modererà, e sarete via via più soddisfatto di lui. Se è se stesso quando recita, come farà a smettere di esserlo? Se vuole smettere di essere se stesso, come farà a cogliere il punto esatto in cui porsi e arrestarsi?”, ibidem, p. 87.

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W. Shakespeare, Amleto, Mondadori, Milano, 1988, p. 255.

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vi vada raramente. E perciò Amleto, quando la riflessione subentrò all’emozione, è costretto non soltanto a ricredersi e ad accettare l’opinione di Orazio, ma ancora a confermarla dicendo: “la mano che lavora poco ha il tocco più delicato”. È possibile parlare nel caso di Leonarda Cianciulli di “abitudine” che produce indifferenza? In realtà, la Corte di Assise di Reggio Emilia, presieduta da Vincenzo De Socio, il 20 luglio 1946, affermò che la Cianciulli aveva dimostrato “abilità nell’architettare i crimini di cui si è macchiata, una non comune forza di volontà nel soggiogare le sue vittime, un preciso spirito di previsione, un vivo senso della responsabilità ed infine una grande preoccupazione della pena…)”3. Il comportamento della Cianciulli, durante la commissione dei delitti, sembra in effetti essere contraddistinto, da un lato, da una sorta di energia malefica, molto attiva, che tutto tende a dissolvere e a degradare: “La martire sorseggiava il caffè, io alzai il martello – Ermelinda Setti – . Credo che lavorai come un fulmine, credo che le mie forze si triplicarono altrimenti non potevo fare ciò che feci”4 e, dall’altro, da una grande energia conservatrice che tutto tende ad elevare alla perfezione. In tal senso, dopo la commissione del delitto, nel suo memoriale afferma: “Di corsa andai a letto e mi tirai su le coperte e finsi di dormire”5. Energia malefica ed energia conservatrice: il punto di conciliazione di due contrari è davvero impresa difficile e forse, come nel caso in esame, impossibile ed allora il mondo della natura e dello spirito terreno è considerato come un teatro dove il male esercita il suo potere ed in cui nulla può sottrarsi alla sua azione. Lo stupore, quello stato d’inabilità e di sospensione dell’intelligenza nello spiegare rapidamente un evento o una serie di eventi che si presentano dinanzi ad un soggetto, comprendendo lo sforzo per spiegare quello che è oscuro, è un sentimento che, anche a distanza di settanta anni, aleggia intorno alla figura di Leonarda Cianciulli. Infatti, ancor oggi, la nota dominante dei ricordi, come descritto da Elena Bianchini e Sandra Sicurella in questo volume, è quella dell’incredulità: “(…) non si credeva alle denunce sia ai Carabinieri, sia in Pretura. Non si credeva che la moglie di un funzionario potesse fare una cosa del genere”. Le motivazioni degli assassini, autori di uno o più omicidi sono riconducibili a quattro desideri: 1) quello di esperire sensazioni forti; 2) di ottenere benefici materiali, ma anche sociali, professionali o mediatici dal delitto; 3) di fare del male ad una sola persona o ad 3

Corte di Assise di Reggio Emilia, Sentenza, n° 14/46 Reg.Gen., 20 luglio 1946, p. 43.

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L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XV, p. 511.

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L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XV, p. 512.

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un gruppo di persone per punirla o per punirle per un tradimento o una scelta ritenuta “colpevole”; 4) infine, il desiderio di dominare, di sentirsi superiore all’altro: la vittima o le vittime diventano strumenti per far valere la forza dominatrice dell’omicida6. Estrapolate dal contesto delittuoso, queste motivazioni non riguardano soltanto i criminali: molte persone, infatti, desiderano provare sensazioni forti, uscire dalla routine quotidiana, ma anziché intraprendere la strada del delitto profondono il loro impegno in attività sportive o professionali che diano loro queste soddisfazioni. Altre ambiscono ad avere disponibilità di beni materiali o a raggiungere posizioni prestigiose avvalendosi di mezzi legittimi. Reagire ad un’offesa, ad un torto subito fa parte della natura umana così come aspirare ad una posizione di dominio costituisce un desiderio diffuso, legittimo. La differenza pertanto tra persone oneste ed omicidi risiede nei mezzi utilizzati per rispondere alle motivazioni esperite. D’altronde l’antichità ci ha lasciato il ricordo di numerosi criminali che hanno ucciso più vittime per il potere e per i privilegi da esso derivanti, per egocentrismo esacerbato, per il culto del benessere personale. La stessa fondazione di Roma riposa su una serie di crimini. La mitologia ci presenta poi personaggi come Procruste, Sini, Scirone che, con vari metodi, attiravano le loro vittime e, con l’inganno, l’astuzia e la brutalità procuravano loro la morte7. Come è noto, tra noi moderni, il mito esercita il suo fascino ad un duplice livello: quello della pratica seduttiva dei racconti finalizzati al piacere dei fruitori e quello della riflessione speculativa e teorica, che dalle forme dell’espressione intende risalire alle forme del pensiero. In tal senso, per quanto concerne la figura femminile, l’identità più arcaica è quella legata alla maternità, alla possibilità biologica della donna di dare la vita. Da qui nasce anche lo stupore e l’indignazione che tutti proviamo nell’apprendere che 6

L. Negrier-Dormont, Criminologie de l’acte. Etude sur les tueurs en série, Editions Litec, Paris, 1995.

“Procruste, che viveva ai margini della strada e aveva in casa sua due letti, uno grande e uno piccolo. Accolti i viandanti, faceva sdraiare quelli di piccola statura sul letto grande e poi ne slogava le membra per adattarle alle proporzioni del giaciglio, mentre sistemava quelli alti nel letto piccolo, amputando poi le gambe che sporgevano dal letto stesso. Taluni dicono invece che egli si servisse di un solo letto, e allungava o accorciava i suoi ospiti a seconda del caso […]. Sini era stato soprannominato Piziocante, ossia ‘colui che piega i pini’, poiché aveva tanta forza da piegare la cima di un pino finché toccasse terra; spesso si rivolgeva agli ignari passanti perché gli dessero man forte, ma poi all’improvviso mollava la presa e mentre l’albero scattava di nuovo verso l’alto, chi si era prestato ad aiutare Sini faceva un volo in aria e rimaneva ucciso precipitando a terra. Oppure quel malvagio piegava contemporaneamente le cime di due alberi vicini e legava a ciascuna di esse un braccio della sua vittima, affinché il corpo dell’infelice fosse lacerato mentre i pini riassumevano la primitiva posizione […]. Scirone soleva sedersi su una roccia e costringeva i passanti a lavargli i piedi; e quando essi avevano finito di lavarglieli, con un calcio li scaraventava in mare, dove una gigantesca testuggine li divorava […]”, R. Graves, I miti greci, Longanesi & C., Milano, 2005, pp. 298-300.

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una donna si è resa autrice di efferati delitti, come è avvenuto nel caso in esame di Leonarda Cianciulli. I miti relativi alla dea madre quale creatrice dell’universo, che si rifanno al periodo della non conoscenza della paternità biologica dell’uomo, si possono anche interpretare constatando che “un passaggio dallo stadio matriarcale allo stadio patriarcale sopraggiunge in ogni vita individuale”8. La prima tappa dell’ontogenesi nel mito è comunque per tutti legata alla figura materna: la dea madre dispensava vita e morte. Così, nel mito: non potendo però circoscrivere l’identità femminile alla sola maternità dato che essa, come sappiamo, è frutto di una molteplicità di rappresentazioni, immagini e percezioni, può essere utile ricorrere, per delineare l’identità femminile, al mito di Demetra-Kore9. Rivisitare il mito madre-figlia per dare senso e significato al tema dell’identità della donna nel suo percorso individualizzato e nel costante confronto col proprio femminile e con il maschile può essere una dimensione che, nel tracciare le tappe significative dell’identità femminile, dà anche alcune indicazioni utili per riprendere la storia di vita di Leonarda Cianciulli. C.G. Jung affermava che “ogni madre contiene in sé la propria figlia e ogni figlia la propria madre, ma ogni donna si amplia in una direzione nella madre, nell’altra nella figlia”10, pertanto in ogni donna è presente, a livello inconscio, questa unità-dualità il cui buon sviluppo assicura la trasmissione della vita lungo il filo delle generazioni. La fanciulla Kore giocava tranquilla su un prato con le compagne e la sua era un’esistenza che trascorreva in comunione perfetta con la madre-terra Demetra. Il narciso che, chinandosi stava per raccogliere, rappresenta un tipo di legame narcisistico che illumina il rapporto che aveva con la madre: l’una era lo specchio dell’altra e da tale legame l’Io femminile trae il vantaggio di esperire, a livello psicologico, una situazione di totalità e completezza. La descrizione che, nel suo memoriale, Leonarda Cianciulli ci offre del rapporto con la madre è questa: “La mamma mi odiava, perché non aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l’altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva…Ina (diminutivo di Leonarda) aveva 8

G. Devereux, Donna e mito, Feltrinelli, Milano, 1984, p. 21.

J. Baldaro Verde, Donna maschere e ombre. Ontogenesi dell’identità femminile, Raffaello Cortina, Milano, 1987. A. Pollicina, F. Testa, “Madre-figlia:incontro e identità”, Babele, a.V., n.18, maggio-agosto 2001, pp. 6-8.

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C. G. Jung, K. Kerény (1940-1941), Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino, 1972, p. 230.

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per la madre venerazione e rispetto, ma anche paura essendo questa rigida e austera nell’educazione, non dimostrava alle figlie la tenerezza che provava e le baciava solo quando erano ben addormentate”11. Possiamo immaginare che una disgregazione precoce dell’illusione di onnipotenza oppure dell’illusione di simbiosi sia in grado di porre il bambino di fronte ad un pericoloso oggetto esterno, con caratteristiche di onnipotenza e nei cui confronti il bambino non può esercitare una soddisfacente attività di controllo. Come è noto, gli effetti postumi del trauma psichico infantile sono di vasta portata ed è facile che ci sia un “orientamento apocalittico” in cui l’apocalisse temuta consiste nel ritorno allo stato traumatico infantile12. La socializzazione, infatti, non può essere intesa come una contrapposizione fra natura pulsionale e influenze familiari in cui una delle due componenti si impone a forza e determina il proprio impatto sulla struttura del carattere. La socializzazione è piuttosto un processo dialettico concreto di compenetrazione vicendevole fra prima natura, intesa come bisogni dell’organismo, e seconda natura, la realtà esterna, in cui “la soggettività si determina come la configurazione dell’affiatamento della madre (il cui comportamento è naturalmente determinato dalla società) con i bisogni organici che il bambino porta nella sfera dell’interazione”13. È risaputo ormai che coloro che hanno sperimentato queste carenze nei rapporti con i genitori possono manifestare problemi nell’esprimere e nel controllare le emozioni, risultando molto più fragili e vulnerabili nei riguardi delle future esperienze traumatiche. Molti comportamenti contraddistinti da aggressività possono essere interpretati come reazioni di adattamento nei confronti di situazioni passate in cui sono state sperimentate profonde carenze di funzione riflessiva. Questa espressione, funzione riflessiva, “è l’acquisizione evolutiva che permette al bambino di rispondere non solo al comportamento degli altri, ma anche alla sua ‘concezione’ dei loro sentimenti, credenze, speranze, aspettative, progetti, ecc. La funzione riflessiva o ‘mentalizzazione’ permette al bambino di ‘leggere’ la mente delle persone […]. Attribuendo stati mentali, il bambino rende ‘significativo’ e prevedibile il comportamento degli altri. Quando impara a comprendere il comportamento altrui, diventa in grado di mettere in atto flessibilmente, grazie ad una molteplicità di modelli rappresentazionali sé-altro, organizzati sulla base delle 11

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XI, p. 3.

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H. Krystal, Affetto, trauma, alessitimia, Edizioni Magi, Roma, 2007, p. 194.

K. Strzyz, Narcisismo e socializzazione. Trasformazione sociale e il mutamento di dati caratteriali, Feltrinelli, Milano, 1981, pp. 70-71. 13

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esperienze precedenti, il comportamento più appropriato per rispondere, in modo adattivo, ai singoli scambi interpersonali”14. La carenza di funzione riflessiva impedisce quindi di anticipare le conseguenze psicologiche per gli altri e può portare la persona a trattarli come oggetti proprio perché questa carenza favorisce una certa fluidità all’interno del sistema delle rappresentazioni mentali che può condurre a razionalizzazioni molto libere. La funzione riflessiva ha una evidente componente interpersonale e può quindi essere studiata non solo come specifica caratteristica di un singolo soggetto, ma soprattutto come una manifestazione di un insieme di relazioni. Le capacità riflessive presenti entro un contesto familiare sono molto importanti per quanto concerne la possibilità di risolvere conflitti e per il mantenimento del benessere, al contrario la loro carenza può divenire un fattore prognostico per disturbi psicologici, comportamentali e somatici presentati dagli appartenenti al nucleo familiare. Le ricerche hanno dimostrato che coloro che hanno sperimentato queste carenze sviluppano un attaccamento insicuro, una minore capacità di espressione emotiva e di regolazione e controllo degli affetti, patologie psichiche, comportamenti antisociali e una maggiore vulnerabilità ai traumi. Avvenimenti, influenze ambientali, qualità particolari del soggetto, in altre parole tutti gli elementi legati alla costituzione e al temperamento di Leonarda Cianciulli, danno a questo sviluppo il suo contenuto individuale. Ritornando al mito, avviene che, dopo un primo periodo di situazione simbiotica tra Demetra e Kore, quest’ultima, al fine di crescere e diventare autonoma, debba essere separata dalla madre e ciò accade con l’aiuto di Ade, il Signore degli Inferi, che dopo averla vista si innamora di lei e decide di rapirla. Sale dagli Inferi, apre con uno squarcio la terra e con il suo carro, tirato da cavalli immortali, la porta nel regno dell’oscurità senza minimamente curarsi del suo pianto. Demetra cerca la figlia per nove giorni e nove notti e minaccia di lasciare per sempre la terra sterile se la figlia non le fosse stata restituita. Zeus è costretto in questo modo a mediare tra Ade e Demetra, pregando il primo di restituire la figlia alla madre e promettendo alla seconda la restituzione della figlia, ora non più Kore, la fanciulla che viveva su un prato fiorito, bensì Persefone, una donna cambiata dopo essere diventata moglie di Ade e regina degli Inferi.

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P. Fonagy, M. Target, Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina, Milano, 2001, pp. 101-102.

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Il chicco di melagrana che Ade con l’inganno farà mangiare a Kore, prima di risalire sulla terra, suggella il suo legame, il suo destino di moglie del Signore della morte. Fu così deciso che Persefone avrebbe trascorso tre mesi come sposa di Ade e regina degli Inferi e i restanti nove mesi sulla terra. Nel mito ovviamente vi sono molti simboli, tra cui quello della necessaria separazione dalla madre per raggiungere lo stadio di donna adulta che implica la necessità di “virare verso la realtà”. È vero anche che l’Io deve raggiungere un certo grado di robustezza prima di poter intraprendere tale offensiva, tale orientamento verso il mondo reale. Nel caso di Leonarda Cianciulli, la separazione tra Demetra e Persefone, utile appunto per raggiungere lo stadio di donna adulta, non favorisce la differenziazione e non avviene in un contesto in cui ambedue imparano a ritrovare la giusta distanza poiché sin dall’inizio il loro è stato un rapporto in cui si imponevano gesti meccanici che anestetizzavano l’esperienza di ogni risonanza emozionale. Così, nell’ossessionante tentativo di scongiurare vissuti di instabilità e di incertezza, emergono nel suo comportamento rituali ossessivi che rendono rigido il suo agire e non la proteggono dal rischio di catastrofi emozionali. Infatti, quando muore il padre, Leonarda Cianciulli ha tredici anni eppure dice: “il colpo l’aveva trafitta fino all’anima, ella era una fanciulla tutta sensibilità e tenerezza, per il babbo suo e la perdita le aveva causato un’eccitabilità quasi morbosa che dava da pensare alla madre e alle sorelle. Aveva pallori di giglio e i nervi erano così estremamente acutizzati che un movimento brusco, un tonfo, un rumore un po’ più forte la sconvolgevano tutta”15. Tra stanco rituale e preziosa ossessione Compaiono allora nel comportamento di Leonarda Cianciulli molte stereotipie rituali, una meticolosa liturgica ritualità: “Tutti i venerdì di ogni settimana saccheggiava tutti i fiori del giardino. I fiori del giardino che erano delle sorelle perché queste avevano ognuna un’aiuola che coltivavano per conto proprio i fiori preferiti. Ne formava o un bellissimo mazzo o una bella corona e senza che nessuno l’accompagnasse correva al cimitero per deporli nella cappella dove un coperchio di pietra quadrata con in mezzo un anello o un cerchietto di ferro sotto la quale racchiudeva la salma del caro padre. Quante requie e preghiere in quel piccolo cuore. Padre mio questi fiori sono l’espressione del più vivo dolore – riposa in pace ed aspettami – tante altre belle cose raccomandava ai fiori, li 15

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XI, p. 37.

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esortava ad essere sempre freschi ed odorosi, a non sciuparsi e a tenere buona compagnia al padre suo”16. Accadde poi che una vecchia donna le disse che i morti “chiamati nelle ore adatte, rispondevano”. Saputo ciò Leonarda Cianciulli, non vista e con molte precauzioni, “dalle ore 11.30 fino alle 12.35 nessuno poteva sapere che Ina si recava nella stanza dove era morto il padre, e in tre riprese, e cioè alle 11.30, alle 12 e alle 12.30 lo chiamava, lo implorava di rispondere alla sua cara Narduccia, ma nulla e nessun segno che le attestasse che il padre le fosse stato vicino. Allora rafforzò le sedute e non solo di giorno, ma anche di notte allo scuro e nelle medesime ore, solo Iddio può sapere con che forza, ardore e affetto di figlia lo chiamava, lo implorava, lo esortava a manifestarsi, ma i giorni e le notti si susseguivano senza avere un segno di nulla. Quattro mesi erano trascorsi dalla perdita del caro genitore, quattro mesi terribili e pieni di angustie per tutta la famiglia, perciò nessuno aveva badato al dolore di Ina, e poi ciò era naturale; non devono avere dolore i figli quando perdono il caro padre loro?”17. Sappiamo che demandare l’esito di un evento o all’efficacia di un’invocazione o all’attenzione con cui si evitano congiunture sfavorevoli sottrae l’Io alla responsabilità reale di indirizzare e dirigere il comportamento individuale. Questo onere lo fissa inequivocabilmente allo sforzo necessario per orientare, in modo consapevole, scelte ed azioni esponendolo, al contempo, alla sensazione di impotenza di fronte ad impulsi forti o a situazioni esterne particolarmente difficili. In tal senso allora, il pensiero magico dilata in modo illusorio la grandezza dell’Io e gli attribuisce una potenza ed un’efficacia sovrumana grazie alla semplice ripetizione di un gesto o alla recitazione di formule. Da parte di Leonarda Cianciulli vi è da notare la particolare insistenza con cui ripete gesti e la solennità eccezionale che viene attribuita a oggetti banali o anche a persone che le servono per delineare una strategia fraudolenta e illusoria di potenziamento personale. È noto, infatti, che nella vita quotidiana gli atteggiamenti sono fatti soggettivi e pertanto variano da individuo a individuo, essendo correlati ad un’ampia varietà di elementi distintivi personali quali i giudizi intellettuali, le tendenze affettive, quelle istintive, profondamente installate nella personalità del soggetto. A tal proposito, esemplare è il ricorso alla gitana per salvare i figli che, appena nati o superati i primi mesi, morivano. Quest’ultima le disse che: “l’oracolo l’aveva suggerita 16

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XI, p. 38.

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Ibidem.

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di dovermi io ammalare, così stando io in fin di vita salvavo il nascituro”. La Cianciulli le dice di essere “pronta ad avvelenarmi ed a strangolarmi, così proprio quando stavo per morire essa veniva a salvarmi. Mi rispose che né avvelenamento e neanche strangolamento poteva agevolarmi ma ci voleva proprio una malattia naturale. Le dissi che non sapevo come fare a procurarmela e che se essa lo sapeva che me lo avesse suggerito. Aspettò un poco e pensò e come dopo mi disse di polmonite; le dissi che i miei polmoni erano sani e che non si ammalavano, ma essa mi disse come. Eravamo in novembre e già faceva freddo, e precisamente una sera, quando mio marito era andato al cinema. Lasciai Teresuccia con i bambini. Feci di corsa la strada selciata che conduce al fiume, dove c’è anche la cascata del mulino, mi tolsi il paletò lo ravvolsi intorno alla mia testa legandolo con la cinta e dopo mi gettai in acqua. Per circa due ore restai in acqua, dopo mi accostai alla cascata entrando ed uscendo dall’acqua, di modo che sudavo e raffreddavo… dopo uscii e solo allora mi ricordai di essermi tolta le scarpine. Andai al posto dove le avevo lasciate, erano lì come se mi aspettassero, me le calzai e così, tutta bagnata, con camicia, mutande e ventriera e sottoveste, mi affrettai a ritirarmi. Tirava vento, l’acqua mi si era gelata addosso, i denti battevano da sentirsi in lontananza ma allo scuro e per quella strada oscura nessuno mi vedeva. Quando arrivai ala via maestra mi accorsi che avevo ancora legato in testa il paletò, me lo tolsi e lo misi addosso, dopo mi affrettai a salire in casa. Mio marito ancora non era tornato dal cinema di Lauria Superiore, Teresa era in cucina quasi addormentata, nessuno si era accorto di nulla? A Teresa dissi di essere stata da un’amica, mi svestii con lentezza ed andai a distendere gli indumenti bagnati, dopo andai a letto sperando che la polmonite venisse, nulla e nulla. Allora ripetei per altre tre sere, ma con più accortezza, prima facevo di corsa la strada due volte, sudando a goccioloni, dopo mi gettavo in acqua. La gitana venne ad assistere tenendomi il cappotto, ma quando si dice la morte non ti vuole e la polmonite non vuole venire. A nulla valse, solo un piccolo raffreddore e niente altro”18. Nel tentativo di scongiurare, da un lato, vissuti di instabilità e di incertezza e, dall’altro, di controllare, proiettandolo sul mondo esterno, un mondo interno animato da forze che teme altrimenti di non poter contenere, Leonarda Cianciulli si impegna nella scrupolosità dell’esecuzione dei particolari che non la tutelano comunque dal pericolo di invasioni emozionali.

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L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIII, pp. 311-312.

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La sua storia rinnegata l’assedia con la sua ombra inquietante: in altri termini, l’angoscia più frequente per una struttura di personalità, come è quella di Leonarda Cianciulli, è legata alla perdita dell’oggetto. Si tratta, infatti, di una personalità narcisistica e i comportamenti che ne derivano possono essere letti come il risultato di una unificazione tra madre e figlia che fin dall’inizio non si è instaurata. Il narcisismo, infatti, anche nel caso della Cianciulli, non può essere considerato una forza indipendente ed autonoma, ma il risultato, e non il presupposto, di un fallimentare processo dialettico di socializzazione, in particolare dell’interazione della bambina con il suo ambiente, soprattutto con la figura materna. Questa relazione insufficiente e scarsamente appagante sarà sostituita da un rapporto con cose o oggetti che non potranno dare un totale appagamento e la relazione con essi resta senza vita. In effetti, analizzando la storia di vita di Leonarda Cianciulli, si può dire che la sua esistenza è connotata dalla spasmodica ricerca di quella che è stata definita “omeostasi narcisistica”19: una forma di equilibrio tra il perseguimento mai completamente raggiunto di una sensazione di benessere, distensione, quiete, da un lato, e il persistere di un senso di inferiorità, dall’altro, che si manifesta nella continua esigenza di soddisfare l’immagine grandiosa ed esibizionistica di sé. Gli individui diventano per Leonarda Cianciulli oggetti da dominare, sprovvisti di caratteri, peculiarità e comportamenti specifici. Anche Raffaele Pansardi, marito di Leonarda Cianciulli, può essere collocato entro una scelta narcisistica alla quale non sono estranei le osservazioni e i commenti che Donna Mariannina, titolare a Salerno della pensione presso la quale, nel luglio 1916, Leonarda e la madre soggiornavano, fece riferendosi al futuro sposo: “signorì è un buono e bello giovanotto, è impiegato alla banca Cattolica, fa carriera, è di buonissima famiglia, e po’ a tutte le signorine fa gola”20. In realtà, la Cianciulli percepisce l’altro non come soggetto autonomo, ma soprattutto come un oggetto di cui disporre al fine di ottenere da questo rapporto piacere in modo immediato, oppure per avere conferme di essere persona particolarmente dotata perché in possesso di presunte qualità superiori alla norma. In realtà, le condotte poste in essere dalla Cianciulli collimano con la descrizione che nel 1932 Freud fece del tipo libidinale narcisistico come individuo indipendente, non facile da intimorire, che colpisce gli altri per la sua personalità e che assume facilmente il ruolo di leader. Una vita emotiva, quella della Cianciulli, che si rivela K. Strzyz, Narcisismo e socializzazione. Trasformazione sociale e il mutamento di dati caratteriali, Feltrinelli, Milano, 1981. 19

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L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XI, p. 100.

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poco profonda e che sperimenta poca empatia nei confronti dei sentimenti altrui, che ottiene poca gioia dalla vita ad eccezione dei tributi che riceve dagli altri o dalle sue fantasie di grandezza. Dietro ad un comportamento che spesso è estremamente seducente ed accattivante, si nasconde freddezza e spietatezza. Per il narcisista, infatti, gli individui non sono dotati di un’esistenza specifica, peculiare, autonoma, ma sono oggetti da dominare e con i quali è possibile giocare abilmente, proprio alla stregua di ciò che avviene con gli oggetti, dato che questi ultimi rappresentano il luogo ideale per vedere innanzitutto se stessi e non gli altri. L’Io in un certo qual modo viene svuotato, impoverito e, nel caso in esame, ruota intorno alla ricerca di un ubi consistam irraggiungibile perché si tratta di un’identità che non può svilupparsi adeguatamente in quanto privata dell’aiuto di significative interazioni sociali. È noto, infatti, che l’identità mette insieme tutte le altre identificazioni, ma “queste identificazioni, il loro ruolo sociale, il loro ruolo vocazionale, ecc., le componenti, le abilità e le aspettative acquisite, si consolidano in un’identità in modo tale da garantire ad una persona una nicchia nella società compatibile con le sue attese e il suo rispetto di sé”21. Leonarda Cianciulli sembra possedere il diritto del controllo sugli altri e il diritto di renderli oggetto di sfruttamento senza sentirsi minimamente colpevole. Tende ad idealizzare le persone dalle quali si aspetta rinforzi di tipo narcisistico, come avvenne con la religiosa che incontrò a Bologna quando fu rinchiusa in San Giovanni in Monte: “Arrivata a Bologna mi fecero montare in una macchina ‘tipo caffettiera scassata’ e dopo tanto traballare arrivammo in San Giovanni in Monte. Mi ricevettero due figlie della carità, due suore: una ancora nella maturità, l’altra quasi vecchia: una dal viso sempre sorridente, l’altra dal viso severo ma dagli occhi traspariva tutta la dolcezza, la pietà cristiana. Questa creatura era alta, veneranda ed in tutti i gesti e le movenze si scorgeva un non so che di aristocratico e di divino – sì mi pare di vederla sempre, la mia santa, la mia salvatrice. Dopo le solite domande e risposte mi fecero salire una lunga scala: arrivata su mi fecero sedere su una panca di legno: dopo pochi minuti arrivò un’altra Figlia della Carità – Suor Gennarina – questa era molto giovane e simpatica, con due occhi neri e birichini. Mi fece salire un’altra scala e assieme a due scopine mi fece mettere in ordine un bel letto di ferro smaltato bianco. La cella era pulitissima con mattonelle nel pavimento e mattonelle bianche fino a tre quarti dell’altezza; tre finestre a circolo davano aria 21

D. Rapaport, Il modello concettuale della psicoanalisi. Scritti 1942-1960, Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 368-369.

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abbondante, era nella cella anche una stufa e l’acqua. Dopo pochi minuti arrivò anche il signor direttore delle carceri e il capoguardia, la Rev.da Madre Superiora e la S. Creatura che mi aveva ricevuta. Non so cosa dissi ma certamente che ero un’assassina che mi avessero fucilata al più presto. Anche queste buone persone ebbero pietà di me e per quanto mi spolmonai a dire che avevo assassinato per rubare nessuno volle credermi: il direttore e il capo andarono via accompagnati da Suor Gennarina. La M.S. e la santa creatura restarono con me. Era di luglio perciò il direttore aveva lasciato l’ordine di togliermi tutto e di lasciarmi in camicia di nascita. Bastava il lenzuolo e il copriletto; aveva detto lui di legarmi con quattro fasce a patto che se facevo il minimo tentativo mi faceva legare con nove e col bavaglio oppure col giubbetto. Mi venne quasi da ridere! Quando ero morta che mi importava più di ciò che facevano al mio disgraziato carname? Tanto non dovevano consumarlo i vermi? Neanche volete credere che furono queste minacce a distogliermi dal pensiero suicida. Niente affatto. Furono solo le buone parole della santa creatura e quelle della Rev.ma Madre superiora, nonché il modo e la fiducia che quest’ultima aveva avuta per me legandomi non con i polsi attaccati a ferri ma con quasi dieci centimetri di lunghezza ed altrettanto con i piedi”22. La “buona e santa suora” fu quella che confortò Leonarda Cianciulli : “ Mi disse che si chiamava Suor Agnesina – le baciai reverenda la corona e il crocifisso. Coraggio mi disse, mi batté dolcemente sulla spalla, mi carezzò i capelli, mi fece sedere. Mi domandò se avevo fatto colazione – ho preso il latte, risposi – solo il latte è poco, bisogna che mangi un po’ di pane. Camminate voi, disse alle mie piantone, Cianciulli resta con me. Una gioia insolita mi prese, baciai ancora il crocifisso: – forse fu Lui che mi ispirò ad aprire il mio animo alla santa Creatura – questa si accorse che qualcosa volevo dirle, perciò con buone maniere mi esortò a parlare. Tacqui il motivo principale che mi aveva spinta al delitto ma confessai tutto il resto, cioè, che ero stata io sola a commettere i delitti. Non volle credermi e ciò mi indispettì non poco. Mi disse che io ero tanto buona che assolutamente non mi credeva. Però mi esortò a non dire più bugie, a dire la sola e pura verità e pensare che avevo un figlio da restituire al padre, a Dio, alla Patria e alla sua carriera, e se io non dicevo la verità luce non si faceva sui delitti e mio figlio languiva in carcere. 22

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XV, pp. 586-588.

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Credo che la disperazione mi riprese; ma la mia cara Santa se ne accorse e cercò di calmarmi”23. Dopo aver chiesto ed ottenuto dalla Regia Procura di partecipare alla Messa ed accostarsi ai sacramenti, Leonarda Cianciulli trasse “grande aiuto e conforto” da questa consuetudine: “Tutte le mattine le mie buone piantone mi slegavano alle quattro, perciò avevo tempo di mettere un po’ di ordine alla mia persona e andare in chiesa un po’ decente. Arrivata in chiesa non trovavo pace fin quando non avevo osservato se la mia santa era presente. Mi bastava uno sguardo per capire se stava bene o male, se era crucciata o no. Terminata la Messa andavo via, ma vicino alla fonte trovavo Suor Agnesina, che mi porgeva la santa corona per baciarla e mi diceva – ti aspetto all’aria. Sì all’aria vi andavo e non sapevo più farne a meno, ma non era l’aria che mi attirava in giardino, no, erano le buone parole e i consigli della mia santa, era l’esortazione e il cibo spirituale che le parole e i consigli che la santa creatura medicava con la mano angelica e le mie orrende e profonde piaghe spirituali che mi attiravano sempre più e che senza di quelle non trovavo più riposo e pace”24. Leonarda Cianciulli pone pochi limiti alla sua fantasia e permette alla ricca immaginazione di scavalcare i confini della realtà e dei punti di vista degli altri. Ciò che non riesce ad elaborare tramite la fantasia, viene represso ed allontanato dalla coscienza. L’altro, da Leonarda Cianciulli, non viene visto come un soggetto autonomo, bensì come un oggetto di cui disporre al fine di compensare le proprie lacune. In tal senso, l’Altro non è trattato come un “tu”, ma solo come un “mezzo” per poter esistere. Vi sono nella Cianciulli quei tratti del carattere isterico descritti da Kretschmer e contraddistinti da “pathos teatrale, un’attitudine per i ruoli brillanti, un giocare con il suicidio, un contrasto tra entusiastici sacrifici ed un egoismo infantile, e specialmente, una mescolanza di buffo e tragico nel loro modo di vivere…[….]. Anche nel lavoro di C.G. Jung, nella descrizione del suo tipo estroverso-intuitivo emergono una serie di caratteristiche relative alla personalità isterica: ‘Esiste una marcata dipendenza alle situazioni esterne…Poiché egli è sempre alla ricerca di situazioni nuove, condizioni stabili lo soffocano. Partecipa con grande intensità alle novità…abbandonando tutto a sangue freddo e senza alcun rimorso…appena il suo campo è conosciuto’”25.

23

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XV, pp. 590-591.

24

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XV, pp. 596-597.

S. Parisi, P. Pes, A. Faraglia, A. Lanotte, S. Spaccia, Disturbi di personalità e psicodiagnostica Rorschach, Edizioni Kappa, Roma, 1992, p. 34.

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Il buffo e il tragico appunto si mescolano nella vita della Cianciulli: rinchiusa al S. Tommaso di Reggio Emilia inizia a chiamare la morte, da lei descritta come “la ladra scheletrita, con le dita ossute adunche, a forma di rampino, la orrenda dinoccolata” capace di rapirle i suoi figli: “Non ditemi di no, io la vidi la scheletrita ladra si era nascosta sotto la culla del mio sventurato piccino e vedendosi scoperta se ne andò a nascondere dietro la porta di casa mia con le braccia tese, l’ipnotizzatore mi rapiva il mio piccino, gli spezzava il cuore con convulsioni lo attirava come fa la mosca col ragno che cade nella rete senza accorgersene, ed io, io, io la madre, la sventurata madre assistevo impotente senza poterlo difendere. Oh cari Voi – ve ne ridete? Sì vi vedo vi ridete del mio dolore vi ridete del mio infame destino”26. Quando fu portata a Reggio Emilia, al San Tommaso, la disperazione della Cianciulli riprese più forte: “Un solo pensiero era fisso nella mia mente! – Morire per andare a chiedere perdono alle mie vittime; morire per pagare il mio debito alla giustizia; morire per andare a vedere i miei figli di lassù, e una volta morta l’oblio cadeva sul mio nome e ogni azione penale estinta. Morire, morire dunque, ma come, ma quando? Incominciò così il pensiero come morire. La notte quando tutti dormivano io chiamavo la morte, la chiamavo per otto, dieci volte, le dicevo che era bella, che fosse venuta a prendermi, le parlavo da buone amiche, la pregavo, l’imploravo, le promettevo che quand’ero lassù l’aiutavo in tutto e le facevo da schiava. Cari Signori… Chi è in difetto è in sospetto: – A me la morte ha rubato dieci figli; quindi capite bene; anche se le dico di perdonarla, può crederci. Ho voglia di dirle che è bella, che è brava, che le voglio bene, ‘È tutto inutile, non viene. Ha paura’. Visto che la morte non sentiva, implorai tutti gli abitanti dell’inferno, ad incominciare dal direttore Caronte. No, no e no neanche questi ne vogliono sapere. Anzi credo che una notte Caronte venne a dirmi che nell’inferno non potevo entrare e che non gli avessi più rotto le scatole. A chi dunque più potevo pregare? Chi poteva aiutarmi a morire? Chi? Se anche gli infernal luciferi si erano rifiutati?”27. Una personalità incline alla suggestionabilità, a scoppi di emotività irrazionale, a condotta caotica, a comportamenti istrionici e teatrali. Ma se l’isteria è teatro, la nostra patetica ed istrionica Leonarda è condannata ad un repertorio in cui gli oscuri retroscena sono ingombranti e quindi ciò che viene portato sulla scena è “solo” un 26

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIII, p. 253.

27

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XV, pp. 568-569.

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frammento di dramma esplosivo. Nel descrivere la personalità isterica è stato giustamente detto che “l’isterico è uno smemorato perseguitato dal ricordo. Assediato ed assediante si scambiano alternativamente le parti, si condannano ad uno stallo paralizzante”28. Se è vero, come hanno affermato Breuer e Freud29, che “l’isterico soffrirebbe per lo più di reminiscenze” perché in lui le zone silenti rappresentano dei veri e propri buchi neri le cui linee di forza investono anche ciò che ruota a distanza, allora sarà sufficiente un incontro casuale con determinati eventi, oggetti, persone correlati, in qualche modo, con la situazione drammatica ripudiata perché si affaccino di nuovo le immagini da incubo. Infatti: “come già ho scritto la paura per la perdita dei miei figli, non mi faceva più vivere… Feci domanda al Fascio di Correggio di essere mandata dove più era pericolo, in prima linea, ma non mi diedero ascolto. I miei figli avevano radunati fra essi un po’ di moneta lire 50 io me li feci dare e prima che andasse a portarli il mio Peppino, andai io. Il segretario politico Parrucca, mi ricevette, gli consegnai la piccola somma e lo pregai di cercare di farmi partire in guerra! Si meravigliò, mi disse che avevo famiglia e come potevo lasciare tutti per andare dove avevo chiesto. Gli risposi che se vi erano i miei figli potevo bene andarci anch’io, che sapevo andare a cavallo, in bicicletta, che sapevo tenere bene il fucile, che avevo coraggio e volontà di essere utile alla Patria. Ebbene mi fece tanti auguri e mi promise di fare il mio nome in caso di, occasione. Mai più fui chiamata. Perciò successe il primo assassinio o la prima offerta; però la dea Teti aveva dato al figlio un bagno magico io non ero una dea quindi pensai di far mangiare ai miei figli il sangue della vittima. Questa era ammalata di cancro perciò pensai di bollire per tre ore detto sangue, dopo assieme a cioccolato confezionare torte e farle mangiare ai miei figli. Perciò appena dopo morta, fatto il taglio al ginocchio, misi sotto una pentola, così all’altro ginocchio. Quindi appena data la martellata al cervello la povera sventurata non emise nessun grido. Con tutta la sedia la trasportai nel lavandino, feci i due tagli e misi sotto le due pentole. Avevo appena messe queste che due colpi di campanello mi fecero correre ad aprire, mi misi addosso un lungo lenzuolo, di modo che se era qualcuno della mia famiglia dicevo che stavo facendo il bagno, 28

V. Faenza, L’arte di curare con l’arte. Discorsi di psicoterapia, Guaraldi, Rimini, 2005, p. 151.

J. Breuer, S. Freud, Comunicazione preliminare: sul meccanismo psichico dei fenomeni isterici (1892), in Opere (1886-1895), Vol. I, Boringhieri, Torino, 1967. 29

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quindi non lo facevo entrare in cucina. Non era nessuno dei miei, era l’Ardilia Diacci, che tornava colla carne. Non ricordo se la feci entrare o la mandai subito a prendere la mia Norma, e dopo doveva andare a prendere delle noccioline fuori Correggio, a S. Prospero”30. È un teatro solitario, intriso forse di deliri, quello di Leonarda Cianciulli, dal quale è completamente rapita, immersa e soffocata dalla tempesta delle passioni. La Cianciulli realizza comunque di essere costretta e fissata ad un repertorio ben più povero di quello che avrebbe voluto per sé quando afferma che mentre “ la dea Teti aveva dato al figlio un bagno magico…io che non ero una dea”. La dea Teti sappiamo essere la madre di Achille che bruciò le parti mortali di tutti i sei figli avuti da Peleo per renderli immortali come lei e li fece salire uno dopo l’altro all’Olimpo. Ma Peleo riuscì a strapparle il settimo quando già essa aveva reso immortale il suo corpo, salvo il tallone, ponendolo sopra il fuoco e poi ungendolo con ambrosia. L’osso del tallone, appena ustionato, non fu sottoposto all’ultima parte del rito magico e così quando Achille si recherà, disarmato e a piedi nudi, al tempio di Apollo, Paride, nascosto dietro la statua del dio, lo colpirà al tallone. Ascoltarsi, vedersi, giudicarsi La vita inconfessabile di un desiderio demonizzato irrompe sulla scena, travolge le sue difese, e la costringe, non essendo Leonarda Cianciulli appunto una dea, ad operazioni assai più macabre e truculenti: “Andata via questa, ritornai dalla vittima; il sangue era tutto uscito, ma non ero sicura, perciò tagliai anche la testa; poco o nulla più ne uscì; quindi era troppo. I due piedi e la testa li misi in un paiolo, il corpo lo avvolsi in un telo da sacchi, la trasportai in quella stanza oscura ove vi erano molte cassette, perciò alzai queste, misi sotto il corpo e rimisi su le cassette, altre ne misi davanti e anche delle tavole; anzi un’alzata vecchia di comò, con specchio. Ritornata in cucina riportai anche il paiolo; e anche questo lo nascosi dietro cassette e imballaggi della stanzetta che mi serviva da sgombero. Ritornai in lavandino, gettai a terra dell’acqua e con la scopa cercai di far scomparire ogni traccia di sangue. Credo che fu in questo momento che, trovata la dentiera, la gettai nel pozzo nero”31. Il “teatro privato” della Cianciulli, coltivato con cura e con cui animava un’esistenza troppo circoscritta e povera, si alimenta di due personalità: “Mia madre 30

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XVI, pp. 644-646.

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L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XVI, p. 646.

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mi chiamava Norina, il mio caro defunto padre mi chiamava Nardina, quindi Norina era il diminutivo di Eleonora, Nardina di Leonarda. Perciò potevo benissimo avere due personalità. Non ricordo in quale libro o romanzo lo avevo letto, perciò cercai con tutte le forze e volontà della disperazione di creare dal mio solo essere due esseri differenti. La Norina era quella, la moglie di Raffaele Pansardi, quella che doveva agire. La Nardina era la madre che tanto doveva soffrire e non potendo nulla fare, si affidava a Norina perché questa agisse. Di modo che quando arrivava il mio sposo trovava una sposa affettuosa, buona, calma, come una statua di pietra. Ma quando questo sposo andava via ecco l’altra; la Norina, risoluta a tutto, pronta a qualsiasi evento, a non indietreggiare davanti a nulla, per salvare i figli di Nardina e, a questa Norina, Nardina ricorreva quando la disperazione l’assaliva. Quante altre cose, quanti altri particolari dovrei scrivere, ma quaderni ce ne sono pochi e la mia testa si rifiuta di ricordarli, ma quante volte Nardina è ricorsa per aiuto e consigli a Norina. Dunque ho salvato Biagio, ed a che costo. Ma dopo, tutti quelli dopo di Biagio, mi furono tolti, ed il Creatore che sceglie i più belli, i più intelligenti e cari, se li riceve in cielo, in quel cielo immenso ed occulto. Ed ora forse sono vicini alle mie Martiri Amiche ad allietarle con canti e suoni angelici”32. “Norina che agisce” e “Nardina che si affida alla prima perché questa agisca”: percepire lo svolgimento simultaneo di più esistenze, intravedere i percorsi, divergenti o paralleli, su cui ci si incammina può rendere più sopportabile il peso della realtà. Quando l’animo umano diventa il campo di tante opposizioni, le interpretazioni dei singoli fatti si aprono facilmente alle vie del dubbio. “Norina che agisce” è la persona che riesce anche, a suo dire, ad indirizzare e a controllare l’interrogatorio al quale fu sottoposta a Lauria Superiore: “Appena entrata in Pretura cercai di essere forte, di non tradirmi e di sapere recitare la parte: mi accorsi che l’Angela33 era già alla presenza del procuratore del Re ed il nipote era fuori seduto. Mi feci annunziare – subito fui ammessa alla presenza del Signor Procuratore del Re. In un primo tempo cercai di difendermi debolmente: 32

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIII, pp. 287-288.

La descrizione di questa figura femminile viene dalla Cianciulli fatta nel seguente modo: “È da diverso tempo che compero il latte per me e per i miei figli da una donna, certa Angela, non ricordo più il cognome, e questa una mezza monaca, una zitellona figlia di Maria. Questa era anche a mezzo servizio con mia suocera, per cui avevo molta confidenza, anche perché prendeva sempre parte al mio dolore”, L. Cianciulli, L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIII, p. 289. 33

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dopo mi accusai. Tenni un contegno spavaldo ed aggressivo, cercai con tutte le forze per l’affetto che nutrivo per i miei figli, di adirare il Signor Procuratore del Re, parlai in modo da attirarmi l’odio di quel bravo funzionario della legge. Terminato il mio interrogatorio incominciò quello dell’Angela, questa era pallida e tremante, né rispondeva alle domande, cercai di tossire per attirare la sua attenzione, ma nulla e nulla. Si scosse solo quando il Signor Procuratore del Re le disse che se non rispondeva l’arrestava. Solo allora si voltò. I miei occhi l’incoraggiarono di seguitare la sua parte. Dove si imbrogliava, rispondevo io, così tutto andò come io desideravo. Di modo che da interrogatorio si mutò in arresto. È difficile dire il terrore dell’Angela quando udì tale cosa, io ero immensamente felice, la gioia traboccava in ogni mio movimento e non so come feci forza di mantenermi ad inginocchiarmi per ringraziarlo. Ordinò all’ufficiale giudiziario per far venire due Carabinieri. Questi dopo circa un’ora vennero. Stavo per uscire dalla stanza dell’interrogatorio quando l’Angela mandò un grido, agitò le braccia ed incominciò a dire no, no, no. Mi voltai, la guardai e le feci capire che se avesse continuato andava essa in galera. […] Tutti erano muti e meravigliati, ma davanti al portone incontrai il mio sposo e mio cognato Biagio Pansardi. La mia penna e la mia favella non possono descrivere quel triste incontro. Pregai un Carabiniere di non farmi parlare con mio marito, avevo paura di essere debole. Mi seguirono assieme a mia suocera fino al mio ingresso al carcere. Dopo il pesante portone si chiuse!”34. Norina è la figura che emerge nei momenti di debolezza della Cianciulli, come allorquando riceve visite in carcere e la commozione sta per avere il sopravvento: “Stavo seduta su una sedia, nella mia cella, ricamavo una camiciolina della guardiana quando un forte rumore di catenacci, si aprì la pesante porta e comparve Teresuccia con un cestino contenente il pasto. Commovente fu quel triste momento. Posò il cesto e corse ad abbracciarmi chiamandomi con i più bei nomi, Angelo caro, mi disse, è impossibile credere che Vossignoria siate colpevole, verrò io a deporre che non è vero. Un nodo mi serrò la gola ed il respiro ed il cuore mi si spezzò. Quando mi disse che i miei piccoli ed il mio sposo avevano pianto tutta la notte. Ancora una volta stavo per essere debole ma ricorsi a Norina questa al pensiero dei miei bimbi morti!!! Fui forte”35. 34

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIII, pp. 330-331.

35

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIII, p. 333

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Leonarda Cianciulli anche in questa circostanza è molto attenta alla presentazione che effettua di se stessa come, d’altro canto, ha fatto sin dall’inizio del suo memoriale, scrupolosa nel sottolineare le doti di generosità ed altruismo che da sempre, a suo avviso, hanno contraddistinto la sua personalità: “Ina era una fanciulla piena di spirito, sempre allegra, e non aveva mai odio con nessuno, ciò la faceva graziosa e la sua compagnia era preferita da tutti quelli che la conoscevano, e spesse volte era tornata a casa o senza mutande o senza sottane e spesso sgridate e tiratine d’orecchie, ma tutti i castighi non valevano a niente. Le bimbe povere e di famiglia numerosa erano le sue predilette e quando non vista poteva soccorrerle con qualche cosuccia non aveva paura dei castighi, due bimbe povere e senza madre erano le sue preferite, e quando poteva dare a queste qualche quaderno, un po’ di soldi, un po’ di caffè e zucchero che sottraeva in dispensa o in magazzino e perfino qualche veste o mutande delle sorelle, se le nascondeva in seno e quando, dopo mille paure per essere scoperta e privata dell’oggetto, arrivava dalle sue predilette, un gran sollievo e la gioia infinita provava a vedere quelle povere bimbe raggianti di gioia, per sì poca cosa. In tutte le occasioni, Ina teneva o prendeva la parte del più debole, anche se questo era colpevole e non si dava per vinta fino a che non aveva ottenuto il suo scopo”36. La presentazione di sé non è un atto banale, ma è intrisa di tensione poiché mette in gioco l’identità sociale e personale di Leonarda Cianciulli. In effetti dai numerosi studi effettuati, e da quelli di Goffman in particolare, sui temi della personalità, dell’interazione sociale e della società, sappiamo che quando una persona si presenta agli altri proietta, in parte consapevolmente ed in parte involontariamente, una definizione della situazione in cui l’idea che la persona si fa della situazione medesima costituisce un elemento importante37. Presentandosi agli altri, la persona mobilita, in modo più o meno consapevole, una definizione di se stessa costituita da immagine e da rappresentazione di sé. Ma l’altro non si limita a recepire in modo passivo questa presentazione. Vi reagisce in funzione della sua posizione sociale e della rappresentazione che egli si fa dell’immagine di sé che ha colui che gli sta di fronte. Questa immagine se la costruisce riferendosi alle differenti appartenenze categoriali, istituzionali ed educative che precedono l’incontro faccia a faccia. È ciò che è stato 36

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XI, pp. 8-9.

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E. Goffman, La mise en scène de la vie quotidienne. La présentation de soi, Les Éditions de minuit, Paris, 1973.

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definito “ethos prediscorsivo”, un ethos preliminare che precede appunto la costruzione dell’immagine nel discorso38. In tal senso, la Cianciulli scrive che: “Il defunto Cianciulli, come pure la Marano preferivano o ambivano come partito alle figlie, o il professionista o il ricco proprietario, ma di sottufficiali, e piccoli impiegati non ne volevano sapere”39. O ancora: “l’orfana di Cianciulli era da tutti ben veduta, ed anche perché forse credevano, che avesse una gran dote. Certo è che molte furono le domande di matrimonio, quasi tutte di famiglie distinte”40. Inoltre, la Cianciulli, facendo riferimento ai contrasti e agli ostacoli incontrati nella sua relazione con Raffaele Pansardi, ricorda che alcuni, e tra questi Monsignor Cosentino, si rivolgevano ai membri della famiglia Pansardi adducendo come pretesto, per intralciare il loro rapporto, il differente status sociale dei due amanti: “La signorina Cianciulli è una ragazza abituata a vivere nel lusso; come farà vostro figlio, piccolo impiegato, a mantenerla?”41. In altri termini, mentre l’ethos è strettamente correlato all’enunciazione, non si può dimenticare che gli astanti si costruiscono anche rappresentazioni dell’ethos di colui che enuncia ancor prima che egli parli. Ne deriva che l’immagine prestabilita condiziona la costruzione dell’ethos nel discorso. Lungi dall’essere un elemento esterno al discorso, l’ethos preliminare è, al contrario, strettamente legato all’ethos discorsivo. È pertanto importante esaminare la dinamica attraverso cui l’immagine prodotta nel discorso prende in considerazione, corregge e delinea la rappresentazione preliminare che gli astanti si fanno di colui che parla. Diviene a questo punto essenziale richiamare la nozione di stereotipo che svolge un ruolo cruciale nella messa a punto dell’ethos. In realtà, l’idea preliminare che il soggetto si fa del suo interlocutore e l’immagine di sé che costruisce nel suo discorso non possono essere completamente ed esclusivamente peculiari, individuali. Per essere riconosciute dagli interlocutori, per apparire legittime, devono essere fondate su rappresentazioni condivise. È necessario che siano rapportate a modelli culturali

G. Haddad, Ethos préalable et ethos discursif: l’exemple de Romain Rolland, in R. Amossy (sous la direction de), Images de soi dans le discours – La construction de l’ethos, Delachaux et Niestlé S.A., Lausanne (Switzerland) – Paris, 1999, pp. 155-176.

38

39

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XI, p. 50.

40

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XI, p. 85.

41

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XI, p. 107.

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pregnanti, significativi42. Il soggetto può rappresentarsi i suoi interlocutori soltanto se li riconduce ad una determinata categoria sociale, etnica, politica. La concezione, giusta o sbagliata, che egli si fa del suo uditorio guida il suo sforzo per adattarsi alle aspettative degli interlocutori. La Cianciulli, in tale prospettiva, non esita a delineare, anche di fronte alle situazioni più drammatiche, la sua vocazione di sposa e madre coraggiosa, fornendo un’immagine di sé capace di fungere da esempio per tutti coloro che la conoscono: “Come descrivere il terremoto? Cadaveri e mucchi di cadaveri o mutilati o sventrati, a causa del forte circuito le luci erano spente quindi i riflettori la sera supplivano le luci, ma come dire quale triste impressione facevano sugli animi delle persone? [….] Se si guardava in giro non c’erano che visi afflitti e pallidi, ma senza lacrime. Il grande pericolo che si correva in ogni minuto, faceva in modo che l’animo tormentato dal pericolo presente e futuro non faceva riflettere al dolore passato e se una persona cara era scomparsa si rimpiangeva di non essere stati al suo posto”43. Anche in questa terribile situazione, il pianto dei suoi figli affamati la sollecita a sfidare il pericolo e a mostrarsi, così facendo, madre e sposa coraggiosa: “Io con i miei bimbi e sposo eravamo nell’ufficio del registro, in giardino. Biagio piangeva perché aveva fame, Peppino cercava di rappacificarlo, ma il fratellino diceva che aveva fame, che si era fatto giorno e stava ancora per farsi notte e lui non aveva avuto né caffelatte, né minestra e perciò voleva piangere perché qualcuno ce lo portasse. Anche mio marito mi guardava con sguardo afflitto facendomi capire che i figli avevano fame e… ‘rubare’. Ma in quei giorni chi aveva voglia di rubare, poteva rubare centinaia di migliaia di lire, ma non erano i soldi che bisognavano, era il cibo e questo era sotto le macerie. Mi guardai in giro, c’era un albero di fico con su tre o quattro fichi, più lesta di uno scimmiotto fui, li colsi e ritornai e ne diedi a Peppino, due a Biagio. Si quietò per un po’ di tempo, ma dopo ritornò da capo ed il pianto questa volta era il più pietoso e commovente: mammina, ho fame! Mammina, mi ascolti che ho fame? Non ne potei più, feci finta di allontanarmi pian pianino, ma appena inosservata, feci di corsa la strada. Arrivai a casa, la porta di ingresso era aperta e mi ricordai che così l’avevamo lasciata. Entrai, ma solo l’amore dei miei figli non mi fece fuggire inorridita. La stanza da letto era quasi tutta crollata, i buffé e le cristalliere non c’erano più nella sala da pranzo. Nel salotto poi, proprio in quel salotto dove dovevo passare, il mio letto, il sofR. Bisi (a cura di), Psicodiagnostica e storie di vita in criminologia, FrancoAngeli, Milano, 2004. R. Bisi (a cura di), Scena del crimine e profili investigativi. Quale tutela per le vittime?, FrancoAngeli, Milano, 2006. 42

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L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIV, p. 369.

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fitto era crollato, gettando su mobili, tende e sedie, quintali e quintali di macerie e pietre grandissime. [ …] Non persi tempo, mi diressi in cucina: barattoli, bottiglie, arnesi ed anche le brocche chi piena d’acqua, chi con olio, chi con peperoni e frutta sotto aceto erano cadute e qualcuna, più fortunata delle altre, non si era rotta. Mi diressi ad un armadio a muro, dove avevo formaggio ed uova, pulii dei peperoni, li empii con uova e formaggio e poca mollica e li misi a friggere. Dopo avevo dei materassi cercai di prenderli ma non vi riuscii, stava per essere notte e dovetti fuggire da quel luogo. Avevo fame e cercai di mangiare qualcosa. Non ricordo, forse mangiai dei peperoni ripieni, ma quello che ricordo benissimo fu il caffè che feci espresso e lo bevvi senza zucchero. Dopo con un tegame pieno di peperoni con delle uova e caciocavalli e pane feci ritorno in giardino. Da lontano udii il pianto pietoso del mio Ginetto e da lontano gli feci segno che avevo tanto cibo. In un momento mi fu vicino seguito da Peppino […]. Arrivai vicina a mio marito: anche lui era pallido ed assetato, avevo portato con me una bottiglia di sciroppo di amarene ed un fiasco di acqua, quindi dovetti avvertirlo come un bambino, che non doveva berne molta altrimenti gli avrebbe fatto male”44. La percezione dell’identità personale di Leonarda Cianciulli, corrispondente poi al senso stesso della realtà, trova quindi, come è ovvio, negli altri la possibilità di esistere e, al contempo, scopre nel processo di differenziazione dagli altri il presupposto, parimenti necessario, per poter giungere ad avere un’esperienza di sé, poiché il rapporto dell’Io con se stesso è sempre anche un rapporto con le cose e con gli altri. La distruzione provocata dal terremoto costringe Leonarda Cianciulli ad integrare un nuovo ruolo, quello di donna sprezzante del pericolo, nell’identità che fino a quel momento l’ambito circostante le aveva assegnato: “L’ispettore Ingenito ed un aiuto procuratore, con la scusa che erano feriti ad un dito del piede, se ne andarono a Sant’Angelo dei Lombardi, lasciando tutto l’incarico a mio marito. Cercai di incoraggiarlo e gli dissi che lo aiutavo a mettere al sicuro valori, bollettario e resto. Affidai Gino e Peppino e li pregai di essere buoni. Io indossai uno spolverino da ufficio dell’ispettore ed incominciai ad andare avanti. Mi seguiva subito mio marito; il soffitto era tutto in crollo e le travature pareva che mantenessero per miracolo. Stavamo andando avanti, quando la metà del pavimento dove camminavo andò in rovina e, se mio marito non mi avesse tirata con violenza, sarei andata giù con le macerie. Non mi spaventai! La morte non mi vuole!

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L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIV, pp. 370-372.

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Continuai ad andare avanti, così incominciammo il lavoro dei valori bollati e soldi e subito dopo quello del bollettario e registri. Forse eravamo carichi di polvere bianca che, impiastricciata col sudore, ci dava l’aspetto di diavoli o di vecchio bianco con antico pelo, ma decisa a continuare. Ero carica di libroni quando avvertii un passo leggero e di persona distinta. Mi voltai e un signore entrava ma senza domandare nulla. Posai ciò che avevo, chiamai mio marito, questo venne – e sapete chi era il signore? L’Intendente di finanza, Ill.mo Signoretti. Io avevo cercato di nascondermi, ma l’intendente volle vedere e sapere chi ero… mio marito mi presentò e tanti elogi mi vennero fatti insieme alla promessa di un prossimo trasferimento basta che mio marito non avesse lasciato il luogo del disastro in quel triste momento. Tranquillizzai quel bravo funzionario e gli promisi che da Lacedonia mio marito andava via solo quando lo trasferiva il Ministero”45. “Se volete capirvi non spiegatevi”46 Il memoriale di Leonarda Cianciulli consente di riflettere sul ruolo della vita delle immagini, sul piano del ricordo e della fantasia, sull’idea, di cui già diceva Nietzsche, di invenzione di noi stessi in forma di unità attraverso un mondo di immagini, da noi stessi creato. La dimensione estetico-emotivo-cognitiva dell’esperienza e di tutti i processi ad essa correlati possono, grazie al memoriale, essere riesaminati e riveduti alla luce delle acquisizioni alle quali sono pervenute le scienze criminologiche e socio-psicologiche. Da qui il grande fervore di ricerche e di proposte terapeutiche che si trasformano in un allenamento, in un esercizio per l’occhio oltre che per la mente affidandosi a talune funzioni trasformative-inventive dell’immagine e al loro potere unificante nella coscienza della persona. A tal proposito si ispira la cosiddetta terapia eidetica proposta da Ahsen. In essa il recupero del passato si approfondisce attraverso una nitida biografia per immagini, una sorta di film documentario attraverso il montaggio di scene, di foto ricordo, revisionate in moviola con partecipe attenzione47. Fra i diversi tipi di immagini quella eidetica è una normale immagine visiva soggettiva che è provata con marcata lividezza, sebbene non sia necessariamente evocata nel momento dell’esperienza da un oggetto esterno presente e non dipenda da una precedente 45

L. Cianciulli, Memoriale, fascicolo XIV, pp. 373-374.

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D. Diderot, Paradosso sull’attore, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 85.

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V. Faenza, L’arte di curare con l’arte. Discorsi di psicoterapia, Guaraldi, Rimini, 2005, p. 190.

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esperienza di una situazione passata. Essa è “vista” dentro la mente o fuori e questo “vedere” è accompagnato da alcuni eventi somatici così come da una sensazione di significato. Ahsen ci dice che l’eidetico vede all’interno della mente e questo vedere è accompagnato da alcuni eventi corporei e da una speciale costruzione di significato48. Le teorie psicologiche sul termine “idea” non sono comunque riuscite a fornire una chiara comprensione del comportamento corporeo in relazione al lavoro mentale e, per risolvere tale problema, Ahsen ha proposto che l’immagine sia un fenomeno tripartito. Secondo il modello ISM, l’immagine comprende dettagli figurativi (I), ma coinvolge anche il corpo attraverso un’esperienza somatica (S) e a questo è connesso anche un significato (M dall’inglese meaning) che può essere chiaro o vago a seconda delle circostanze. Questa teoria dell’immagine del triplo codice (ISM) lega immagine, espressione emotiva e corporea e pensiero in una singola unità funzionale con implicazioni pratiche. Vi è quindi la necessità di far rinascere l’evento nella sua integrità psicosomatica, cioè in tutte e tre le sue componenti: sensoriali, emozionali e cognitive. L’immagine rappresenta il mondo esterno e i suoi oggetti con un grado di realismo sensoriale che ci permette di interagire con essa come se fosse il mondo reale. Al contempo, l’immagine rappresenta la sua propria realtà e ci consente di ricostruire, oppure di cambiare, il mondo attraverso essa. Nel modello di Ahsen l’immagine mentale, la risposta somatica e il significato coesistono anche se la loro unità può venire inficiata dalla repressione di una o più componenti tanto che la maggior parte delle malattie mentali, secondo Ahsen, può essere considerata come la repressione di uno o più aspetti dell’ISM. A livello psicologico, il sentire assume il significato di venire a contatto, individuare ed, eventualmente, esprimere il proprio vissuto. Pensare è la capacità di riconoscere ed analizzare le varie soluzioni di un eventuale problema, mentre l’agire implica l’intraprendere un’azione per cambiare uno stato di cose, avendo chiaro l’obiettivo da raggiungere. D’altra parte, a livello sociale, si sottolinea un percorso parallelo. Il sentire, infatti, si evidenzia nell’esprimersi, nell’essere autentici ed adeguati. Il fare è l’espressione di 48 A. Ahsen, “Eidetics: An Overview”, Journal of Mental Imagery, 1977, 1, pp. 5-38. A. Ahsen, “Immagine e realtà. L’eidetismo come ponte tra arte, psicologia e terapia”, in L.M., Lorenzetti, A. Antonietti (a cura di), Figura emozione cognizione. Studi ricerche applicazioni, FrancoAngeli, Milano, 1999, pp. 112-126.

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una scelta compiuta e di una decisione presa. Infine, la conoscenza, il sapere diventa il termometro della capacità di apprendimento e di comprensione della realtà. Il problema che si pone è dunque sempre quello di arrivare ad una valutazione delle diverse aree che compongono la personalità e che ineriscono la capacità intellettuale, lo sviluppo affettivo e quello sociale dell’individuo. Tra le numerose tecniche elaborate per lo studio della personalità, la grafologia rappresenta uno dei possibili strumenti ai fini di una diagnosi di personalità. In tal senso, Raffaella Sette, in questo volume, ha analizzato alcune componenti affettive ed intellettive della personalità di Leonarda Cianciulli proprio a partire dalle lettere che la Cianciulli scrisse dal carcere al figlio Peppino, al direttore del carcere, al suo avvocato difensore e al Procuratore Generale. Anche in ambito criminologico, tale metodologia diviene assai importante qualora vi sia la necessità di poter fare riferimento, quando si tratta di osservare una persona nella sua totalità, ad una pluralità di metodi che, dal colloquio e attraverso l’uso di test (scala di intelligenza, Rorschach) arrivino sino allo studio della personalità grafica. Si tratta di operare attraverso un insieme di metodi suggestivi, che possono richiamare, come modello di spiegazione, “il paradigma indiziario”, vale a dire un modello di spiegazione (comune, ad esempio, al procedimento psicoanalitico e all’indagine poliziesca) che si basa sulla ricerca sistematica di tracce significative, su cui fondare la ricostruzione storica di un evento e la identificazione di un autore, o di una fonte motivazionale49. In un tale sistema di indagini, soprattutto in criminologia applicata, il colloquio può non consentire un’adeguata conoscenza di un autore di un crimine, il test di Rorschach può non dire tutto riguardo alle strutture di personalità, la scala Wais per la misurazione dell’intelligenza può rivelarsi insufficiente per una completa valutazione del rendimento intellettivo, per cui il “tutto”, insieme al risultato dell’esame della personalità grafica, può utilmente contribuire alla ricerca della fonte motivazionale della condotta, anche di quella criminosa50. Nella grafia si proiettano, infatti, le proprietà personali dello scrivente, proprietà che poi rispondono in modo diverso, ma sempre singolare, alle sollecitazioni ambientali. Il segno grafico propone quindi un’insolita ricchezza di particolari, proprio come la memoria eidetica che registra, nonostante lo scorrere del tempo, immagini che assumono i contorni di testimonianze indelebili, proprio come “certi reperti archeologici 49

M. Bosinelli (a cura di), Metodi in psicologia clinica, il Mulino, Bologna, 1982, p. 22.

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R. Bisi, Grafologia e strutturalismo. Analisi e prospettive, Clueb, Bologna, 1992.

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che, caduti su un terreno propizio, si avvalgono di un misterioso chimismo capace di fissarli in forma incorruttibile e definitiva”51. Il memoriale di Leonarda Cianciulli ricostruisce l’ambientazione, delinea e definisce, con scrupolosa attenzione, la figura di questa donna, il suo ruolo e quello altrui consentendo alla mente di aprirsi alle basi dell’esperienza e ai suoi processi. Leonarda Cianciulli si presenta come un’ipotetica paziente ideale che, accettando la duplicità del ruolo di attore-partecipe e di osservatore-traduttore, consente di scoprire l’originale immagine che sta dietro i vari stati mentali. La terapia eidetica comporta dunque una regressione estesa nel tempo, una regressione della memoria che affonda sino alla storia remota, per “vedere-sentire” le scene della propria storia, dando forma concreta, pittorica al ricordo, facendo, per così dire, dell’eidetica familiare, dell’album di famiglia il luogo privilegiato di questa ricerca del tempo perduto. E, a tal proposito, Leonarda Cianciulli ha senz’altro, con il suo atteggiamento visionario, saputo “vedere-sentire” le scene della propria vita con la difficoltà di riunire ad unità ciò che è stato vissuto nella frammentazione e nella dispersione. In tal senso, Ahsen, con il test da lui approntato, “eidetic parents test”, vuole sistematizzare la raccolta del materiale eidetico, dando enfasi all’aspetto visivo e al linguaggio del corpo dei personaggi che vengono evocati. Pertanto, i rapporti tra l’individuo e il suo ambiente sono rapporti dialettici e questa dialettica fa apparire relazioni nuove che non possono essere sottovalutate. La capacità di udire e comprendere ciò che è significativo nella vita di un individuo si basa sulla conoscenza dello sviluppo della personalità, dei compiti cruciali di ciascuna fase del ciclo vitale e di ciò che può essere più significativo per una persona nel suo stadio della vita, dell’importanza critica per chiunque dei rapporti interpersonali e sulla capacità di individuare i temi vitali e i modelli ripetitivi. A tal proposito, S. Resnik52, cercando di teatralizzare in modo metaforico l’allegoria della caverna di Platone, ci dice che l’uomo è condannato da sempre a guardarsi sullo schermo del mondo, proiezione al contempo della “caverna” propria al mondo del corpo vissuto. Il mondo interno dialoga continuamente con il mondo esterno e, in questo modo, attraverso un continuo movimento, una ininterrotta negoziazione tra interiorità ed 51

V. Faenza, ibidem, p. 192.

S. Resnik, “Universi dell’immaginario. Tracce nella quotidianità”, in L.M. Lorenzetti, A. Antonietti (a cura di), Figura emozione cognizione. Studi ricerche applicazioni, FrancoAngeli, Milano, 1999, pp. 127-143. 52

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esteriorità, tra proiezione ed introiezione, si realizza un sistema di scambi, elemento costitutivo in grado di trasformare la realtà quotidiana. È soltanto a partire da questi presupposti che è possibile cogliere l’alterità, come passo ulteriore rispetto all’estraneità e alla diversità, e quindi sentire e considerare l’altro per ciò che è e rispettarlo tanto nella sua somiglianza quanto nella sua diversità da noi. Sulla giustezza di questo rispetto per le capacità dell’uomo, è forse opportuno citare Shakespeare a testimone: “Che opera d’arte è l’uomo! Com’è nobile in virtù della ragione! Quali infinite facoltà possiede! Com’è pronto e ammirevole nella forma e nel movimento! Come somiglia a un angelo, per le azioni, e a un dio per la facoltà di discernere! È la bellezza del mondo e il paragone degli animali! (What a piece of work is a man. How noble in reason, how infinite in faculties. In form and moving how express and admirable, in action how like an angel, in apprehension how like a god. The beauty of the world. The paragon of animals)”53. Il caso Cianciulli è paradigmatico comunque dell’impossibilità di arrivare a conoscere moltissimo sugli altri: tutti coloro che studiano le persone, le personalità, se stessi, devono, infatti, riconoscere, che non esistono norme con cui misurare e giudicare il sé. Non esiste alcun giusto metro per misurare la normalità, né una giusta maniera di vita, ma piuttosto differenti tipi di integrazioni effettuabili. “Non esistono quindi persone comuni”54: da qui il supremo valore accordato, nella letteratura occidentale, all’esplorazione dell’individuo e delle sue relazioni, quali la biografia, l’autobiografia ed il romanzo. Si tratta di forme che sono sconosciute o relativamente non sviluppate in altre culture. C’è molto di vero, inoltre, nell’opinione che la tragedia greca fosse un dramma determinato da particolari circostanze, laddove la tragedia occidentale è essenzialmente un dramma determinato da singoli caratteri. Il carattere di Edipo è in realtà irrilevante rispetto alla possibilità di determinare le sue sventure che furono decise dal fato, che non si curò dei suoi desideri. Viceversa le tragedie di Shakespeare si svolgono intorno alla problematica dello specifico carattere di ogni eroe. Lo studio del memoriale di Leonarda Cianciulli consente anche di riflettere sull’importanza dello spazio che non può essere concepito, seguendo uno schema tradizionale, come un dato neutro. L’essere umano, infatti, ha del suo “spazio” una precisa coscienza che varia con il variare del suo rapporto con il mondo perché perfino nella 53

W. Shakespeare, Amleto, Mondadori, Milano, 1988, atto II, scena 2, p. 109.

54

C.S. Lewis, cit. da C. Morris, La scoperta dell’individuo (1050-1200), Liguori, Napoli, 1985, p. 23.

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vita quotidiana l’ambiente dei singoli esseri umani è già determinato in modo diverso dalla differente attività che essi svolgono. Oltre alle radici geografiche, cioè quelle della nascita e della successiva collocazione spazio-temporale, possono svilupparsi anche le radici dell’anima, quelle che idealmente consentono di sopravvivere ovunque durante il corso della vita. Pertanto, se è vero che la terra rappresenta l’elemento vitale dello scorrere della vita, il luogo delle origini, depositaria di affetti e di emozioni, è altrettanto vero che l’appartenenza può essere avvolgente, nel ricordo e nel susseguirsi delle generazioni, oppure, al contrario, come nel caso in esame, diventare conflittuale e carica di distruttività. In questa prospettiva occorre considerare quanto sia un fattore altamente individuante il senso dello spazio: infatti, ad ogni individuo corrisponde, proprio come accade con il gesto grafico che si realizza sul foglio bianco, inconsciamente percepito come l’ambiente in cui ci si muove, in cui si manifestano e si esternano le tendenze della vita interiore, una modalità peculiare di approntare uno spazio e di viverci dentro55. Nel caso di Leonarda Cianciulli è proprio il movimento di andata e ritorno tra individuo e contesto sociale, quell’intreccio di relazioni e di nessi tra il sé e l’altro da sé, che ha impedito l’unificazione delle identificazioni e dei molteplici ruoli. In tal modo il campo psichico si è trasformato presto in un teatro in cui la tempesta del suo animo le ha impedito di intravedere direzioni di senso per percorrerle, per mettersi in cammino lungo di esse.

55 E. Liotta, Su anima e terra. Il valore psichico del luogo, Edizioni Magi, Roma, 2005. R. Bisi, “Quale spazio per la vittima nella società contemporanea?” in A. Balloni (a cura di), Cittadinanza responsabile e tutela della vittima, Clueb, Bologna, 2006, pp. 61-72.

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