Tutto andrà bene

Page 1

Chi parte amando è già arrivato, chi cerca sorridendo ha già trovato.

TUTTO ANDRÀ BENE

Luciana Landolfi

LUCIANA LANDOLFI

TUTTO ANDRÀ BENE Perché il futuro ti salva la vita

“ MINERVA

Luciana Landolfi ha ideato e registrato tre metodi per la pratica e il raggiungimento del benessere emotivo: Tatootherapy, ovvero il tatuaggio artistico temporaneo, Ies (Integrazione Emozionale Somatica) e Alf (Alto, Luminoso, Fluido), metodo cui ha dedicato il libro Respira come se fossi felice (Minerva, 2016), scritto con Paolo Borzacchiello. È autrice anche del volume di poesie La memoria degli specchi (L’autore libri, Firenze, 2002) e di Dimmi che ti amo: manuale d’insensata bellezza (Le due Torri 2019), 660 pensieri tra poesia e saggistica. Ha ideato e messo in pratica l’atto poetico collettivo “Tutto andrà bene” che racconta in questo libro.

Emergenza sanitaria? Non solo, non necessariamente. Anzi, a prescindere. Basta verificare le date. È almeno dal 2012, da quando diede alla luce la prima poesia omonima, che Luciana Landolfi incarna il credo nel “Tutto andrà bene”, manifestatosi via via negli anni in altre poesie, articoli di giornale, libri, conferenze, bigliettini distribuiti ad amici quanto a perfetti sconosciuti, Post-it appiccicati in giro per le città. Poi, la coincidenza. Una festa di compleanno con 26 persone, il 22 febbraio 2020, il regalo di un sacchetto-kit per ognuno dei 25 amici di Luciana e l’idea di diffondere il messaggio al mondo, a cominciare dai partecipanti alla festa. Il giorno successivo, l’Italia comincia a chiudere per via della nota emergenza, ma ci sono ancora due settimane, prima dello stop totale, per tappezzare le città con messaggi di speranza. Grazie anche all’impatto sui social e all’attenzione dei media, grazie alla voglia della gente di guardare oltre il dramma, i 26 diventano centinaia, migliaia, milioni; gli striscioni ai davanzali sostituiscono i Post-it diffusi in città. “Tutto andrà bene” diventa il brand dell’Italia anche a livello internazionale. Tutti ne parlano, ne scrivono, i cantanti danno vita a canzoni, gli artisti a disegni e opere pittoriche, i bambini fanno esplodere il Paese dei colori dell’arcobaleno. Luciana Landolfi narra qui, in un racconto agile, sereno, pieno di gioia e di speranza, ancorché molto intenso, l’esperienza lunga una vita che l’ha portata a creare non un movimento, non un modo di pensare (o forse sì), ma certamente un atto poetico collettivo di cui far dono al mondo.

€ 15 0

,0 .

i.i


I diritti d’autore saranno devoluti all’Associazione Charlibrown, Cagliari

Via Due Ponti, 2 – 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 – Fax 051.897420 info@minervaedizioni.com www.minervaedizioni.com


Insieme. Qualcuno deve rimanere in piedi, in questa tempesta. Qualcuno deve pensare alle vele e al timone. Qualcuno deve rimanere sveglio per gridare: “Terra!�. Qualcuno deve tenere gli occhi aperti, per vedere il faro. Fammi compagnia sul ponte. Resta con me


INDICE

Prefazione Fa’ di tutto per essere felice

p. 9

Introduzione Una bottiglia in orbita nell’Universo

p. 15

Capitolo I Lo sguardo sul mondo che nasce da una storia familiare. E da un pesco in giardino

p. 17

Capitolo II Sei anni, tutti di notte

p. 25

Capitolo III Fai di te un Sole volontario

p. 33

Capitolo IV Perché la vita vuole un futuro? La magia incessante della parola “domani”. L’amore per le cose che dovranno venire

p. 39

Capitolo V Tutto andrà bene è già carne viva, è che gli prestiamo poca attenzione. (E qualcosa che forse non sai sulla parola speranza)

p. 47


Capitolo VI La Grande Calma ed altre storie di inamovibile bellezza

p. 51

Capitolo VII La lettera a Filippo. Immortali terrestri e Morituri superviventi. Guarire con la parola tempo

p. 63

Capitolo VIII Il Giardino sacro dove tutto andrà bene e la magia salubre della parola esorcizzare

p. 73

Capitolo IX Atti d’insensata bellezza: generare volontariamente il mondo. La vita si salva per attimi

p. 85

Capitolo X 22 febbraio 2020: ho scelto un Dio felice

p. 91

Appendice Tutto andrà bene e chi lo inventò

p. 101

Conclusione Ci vuole una forza titanica

p. 112


9

PREFAZIONE Fa’ di tutto per essere felice

Prefazione affidata ad un poeta estinto e alla sua poesia vivente (con qualche parola scritta da me e un nuovo verbo per far pace con l’eterno futuro) Non so se sia già accaduto nella storia dell’editoria, ma ho chiesto di scrivere la prefazione a un anonimo; il segreto, che da ora non è più un segreto, è che ho tenute accanto a me, per tutta la durata della stesura di questo libro, le sue parole, perché ispirassero il mio inchiostro e mi accompagnassero con la loro luce intramontabile. E ogni volta che concludevo un capitolo, mi chiedevo: starebbero bene, sarebbero congrue le parole di Desiderata con ciò che ho scritto? E se la risposta era sì, passavo a quello successivo. C’è chi si lascia ispirare dalla musica nella scrittura, ed anch’io spesso accendo la radio e lascio che le note mi facciano compagnia, ma questa volta ho scelto una fonte diversa: la Parola che sento sacra, la parola come solco, la parola come sentiero da seguire. Io consiglio ai miei amici di fare lo stesso, quotidianamente: di scegliere cinque parole ogni mattina e di scrivere il capitolo esistenziale del giorno seguendo quel suono, quel profumo, quella forza che le parole scelte portano. E di onorarle con la scelta dei gesti. Se scelgo amore, fratellanza, meraviglia, bellezza e gioia appena sveglia, poi, a fine giornata posso chiedermi: in questo giorno ho rispettato la traccia o sono andata fuori tema? Me le sono ricordate tra una distrazione e l’altra? Ho mantenuto la promessa di


10

generare armonia tra queste parole e le scelte che sono chiamata a compiere ogni giorno? Se ho scelto Tutto andrà bene, ho coltivato la speranza, la fiducia del minuto, nel prossimo minuto? Se ho offerto un Tutto andrà bene, la mia voce era forte, ho assicurato all’altro la mia presenza al di là della mutabilità degli eventi? Sto amando oggi, senza alcuna garanzia, incondizionatamente, il mio futuro? Perché una delle mie profonde convinzioni è che, se scegli di dare vita carnale, sostanziale, consapevolmente, alle parole che ami, poi altre parole verranno in tuo soccorso, altre visioni, altre vibrazioni che hanno la stessa frequenza delle parole che hai scelto. Scegli le parole con le quali narrare la tua vita, scegli il suono della tua vita; troppo vasto è il potere delle parole perché qualcuno possa anche lontanamente misurarle. Io, personalmente, ci sto dedicando tutta la mia vita, in un lavoro che non conosce sosta, pausa e vacanza, senza aspirare ad alcuna conclusività sul significato profondo e misterioso di… In principio era il verbo, ma indagando il preziosissimo dono che la vita ha offerto all’Uomo: la parola. Io cerco le parole per consolare, le parole per aiutare gli esseri umani che mi sono accanto a leggere nella bellezza della loro vita, al di là degli eventi e delle oscillazioni dell’umore. Io con le parole dette, scritte e pregate nelle mie meditazioni, cerco di far sentire più interessante, più lucente, più amorevole questo passaggio terrestre. Né troppo celeste, né troppo terrestre è la nostra vita. Che questo non essere troppo celesti, eterei e astratti ci aiuti ad assaporare il sapore dell’acqua, il colore del fiore e la morbidezza tattile dei capelli di un figlio, ma che questo non essere troppo terrestri ci ricordi che l’impermanenza, della carne e delle cose, non sarà sfiorata dall’eternità dell’Anima. Quanto dura un Tutto andrà bene? Va oltre l’esperienza vivente su questo splendido pianeta, oltre.


11

Sono stata accanto a molte persone nel momento del trapasso, ai loro amici e familiari, e il mio sguardo non è cambiato, fermo in una incondizionata, inspiegabile, immotivabile fiducia nell’eterno futuro. Io non credo d’aver fatto qualcosa di speciale per incarnare questo sguardo, io credo che sia una grazia, ricevuta, così come alcuni ricevono la grazia di saper suonare il violino, scolpire il marmo o cucinare qualcosa di buonissimo per le persone che amano. Io non sono una cuoca provetta, né suono il violino e non ho alcuna dimestichezza con gli scalpelli: so guardare nella felicità di un essere umano quando ancora egli stesso non la vede, come se sapessi che da qualche parte, nel tempo e nello spazio, al di là del momento presente, già è in gioia, già è in pace, già ama ed è amato. Non ho scelto una religione: ho detto sì a un Dio felice. Recentemente ho assistito due care amiche che hanno detto addio su questa Terra una al padre e l’altra alla madre. Ora, le parole d’amore che si sono manifestate tra di noi rimarranno, come è sacro che sia, esclusivamente nelle nostre memorie, ma insieme, in onore della forza, della delicatezza e della presenza di spirito dei loro genitori, che hanno salutato con un Tutto andrà bene i loro cari, abbiamo generato un nuovo verbo: Amorire, morire con amore, perché si può fare, si può amare l’eterno futuro, si può creare un passaggio tra i due mondi con la Luce per nuova vita. Si può passare nella luce, con la luce. Io ho visto, io ho sentito, io c’ero ed è mio per sempre. E non so, ho come l’impressione che questo nuovo verbo abbia soccorso anche me, abbia donato una nuova dolcezza al mio cammino tra nati vivi sulla terra. Una nuova parola significa un nuovo mondo, per me. Respiro meglio, dormo meglio, amo meglio, c’è più pace, più fiducia, sono più vitale da quando mi fa compagnia. Persino più allegra, più leggera. Quando anch’io un giorno amorirò, vorrei aver vissuto portando con onore la straordinaria genia di questa Parola: Tutto andrà bene, ovunque io vada.


12

Desiderata Prefazione chiesta – immaginando il suo consenso – a Max Ehrmann1 Va’ serenamente in mezzo al rumore e alla fretta e ricorda quanta pace ci può essere nel silenzio. Finché è possibile senza doverti arrendere conserva i buoni rapporti con tutti. Dì la tua verità con calma e chiarezza e ascolta gli altri, anche il noioso e l’ignorante, anch’essi hanno una loro storia da raccontare. Evita le persone prepotenti e aggressive, esse sono un tormento per lo spirito. Se ti paragoni agli altri, puoi diventare vanitoso e aspro, perché sempre ci saranno persone superiori ed inferiori a te. Rallegrati dei tuoi risultati come dei tuoi progetti. Mantieniti interessato alla tua professione, benché umile; è un vero tesoro rispetto alle vicende mutevoli del tempo. Sii prudente nei tuoi affari, poiché il mondo è pieno di inganno. Ma questo non ti impedisca di vedere quanto c’è di buono; molte persone lottano per alti ideali, e dappertutto la vita è piena di eroismo. Sii te stesso. Specialmente non fingere di amare. E non essere cinico riguardo all’amore, perché a dispetto di ogni aridità e disillusione esso è perenne come l’erba. Accetta di buon grado l’insegnamento degli anni, abbandonando riconoscente le cose della giovinezza. Coltiva la forza d’animo per difenderti dall’improvvisa sfortuna. Ma non angosciarti con fantasie. Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine. Al di là di ogni salutare disciplina, sii delicato con te stesso. 1  Scritta nel 1927 dal poeta statunitense Max Ehrmann, nota anche come: Manoscritto del 1692 trovato a Baltimora nell’antica chiesa di San Paolo.


13

Tu sei un figlio dell’universo, non meno degli alberi e delle stelle; tu hai un preciso diritto ad essere qui. E che ti sia chiaro o no, senza dubbio l’universo va schiudendosi come dovrebbe. Perciò sta in pace con Dio, comunque tu lo concepisca, e qualunque siano i tuoi travagli e le tue aspirazioni, nella rumorosa confusione della vita conserva la tua pace con la tua anima. Nonostante tutta la sua falsità, il duro lavoro e i sogni infranti, questo è ancora un mondo meraviglioso. Sii prudente. Fa’ di tutto per essere felice.


15

INTRODUZIONE Una bottiglia in orbita nell’Universo di Roberto Bernardo2

Eppure è molto semplice. “Tutto andrà bene” non è “Ce la faccio, ce la faccio, ce la devo fare”; non è nemmeno “Tutto mi andrà bene”; è un affidarsi al flusso, al futuro, perfino un disimpegno che ci libera da responsabilità personali. Semplice, appunto, e fruttuoso come l’albero felice che piantiamo senza sapere se lo vedremo ramificare. “Tutto andrà bene” non è la scommessa alla Sisal, non è “penso positivo così la scampo”, moderna riproposizione del furbesco baratto che si escogitava da piccoli nelle preghiere: “Faccio il bravo, recito il Pater Ave Gloria, così mi va bene il compito di mate”. “Tutto andrà bene” è però un credere che, nonostante l’affidarsi, nonostante il disimpegno, il tuo gesto influirà sul globale movimento terrestre; un confidare nel venturo concatenarsi delle cose così come disposto da Colui che ne sa più di noi, ma sa anche che da noi non può prescindere. Non è detto che noi vedremo gli effetti di ciò per cui oggi diciamo “Tutto andrà bene”. Ma il messaggio è ben inserito nella bottiglia che lanciamo in orbita nel mare magnum del tempo universale. Per questo il gesto, l’atto poetico – personale e collettivo – il “fare”, il metterci la faccia e la mano, l’appiccicare Post-it, l’appendere striscioni, il pronunciare le tre parole magiche anziché affidarsi alla stantia litania del lamento, prescindono dalla situazione contingente. Che in questa fase della nostra vita è la nota emergenza sanitaria. 2

Giornalista del “Giornale di Brescia”.


16

“Tutto andrà bene” andrà bene anche senza una mascherina addosso, andrà ancor meglio quando saremo a viso aperto. Andrà bene anche senza di noi. Basteranno i bigliettini – nostra lotteria milionaria –, i pennarelli – nostri pennelli d’autore – , le lenzuola colorate – nostre tavolozze d’artista – perché il gesto, l’atto poetico – personale e collettivo – possano continuare a vivere in futuro e a produrre frutto. Futuro e frutto, quasi un anagramma. Ballano due lettere, T e U. Tu.


17

I

Mai oserei entrare, spostare un solo sasso, un solo fiore, mutare il corso di un torrente, scrivere qualcosa sulle tue brache di carta, soffiare sulle foglie, capovolgere la direzione di un’ombra. Mai oserei entrare, resto sulla soglia di questa meraviglia, contemplo le tue danze sull’erba; e questo azzurro che ti alza i sogni, ti alza gli occhi, anche dalla soglia io lo posso vedere. Mai oserei entrare, deviare i venti che tu hai scelto per te, leggere i nomi che tu hai inciso sulle spalle degli alberi, guardare dentro i segreti dei tuoi frutti. Io, figlio sacro del futuro, celebro il tuo giardino da qui. E se mi vedi, tendo la mia mano per salutarti. Ti sorrido per onorare col silenzio la tua bellezza. Mai oserei entrare. È proprio perché ti amo che son fuori dal tuo Paradiso. Che resto fuori dal tuo cuore, che lascio scrivere e leggere a te. Io ti benedico, Tu il Perfetto Futuro, da qui. (Brescia, 22 giugno 2011) Due cose ho imparato in 50 anni. La prima: i bambini varcano la soglia perché non sanno leggere “Vietato entrare”. La seconda: chi ha rinunciato ad un sogno lo ha sempre fatto troppo presto. (Brescia, 14 aprile 2020)


19

LO SGUARDO SUL MONDO CHE NASCE DA UNA STORIA FAMILIARE. E DA UN PESCO IN GIARDINO

Non era facile andare d’accordo con nonna Olivia. Era per certi versi una donna impossibile la madre di mia madre. La sua gentilezza, la sua inamovibile fiducia nel futuro, il suo intramontabile sorriso, la sua imperturbabilità, la sua fede che non conosceva tentennamenti, mi apparivano sovrumani. Come poteva questa donna non avere mai un momento di tristezza? Persino nella sofferenza parlava di un dono di Dio. Tutto per lei era dono. Respirare era l’incessante miracolo dalla vita. E se correvo da lei in lacrime, per un ginocchio sbucciato o per una bambola rotta, la sua espressione era sempre e solo quel dolce sorriso, senza un velo di preoccupazione o di disappunto, neppure quando la bambola si era rotta per un mio eccesso di fantasia nel crederla resistente alle fauci del mio cane. Ora, con i miei cinquant’anni, potrei dire che possedeva una quiete vegetale, come quella del grande pesco che cresceva nel bel mezzo del nostro giardino di Montichiari: per quanto potessero essere aspre le stagioni, lui se ne stava là, certo che l’estate l’avrebbe fatto fruttare; le stagioni gli giravano intorno senza prenderlo mai. Ero in competizione con lei, sfidante, ero certa che in qualche modo sarei riuscita a turbarla, così poteva accadere che io inscenassi dolori addominali lancinanti, ma come massimo profitto ne traevo una leggera carezza. Nessuna ombra nei suoi occhi verdi. Anche quando raccontava dei suoi cari morti, della sua adoratissima madre, della sorella lontana in America che non vedeva da quarant’anni e


20

lacrime vive bagnavano le sue guance tonde e bianche, non c’era avvilimento, contrizione, smarrimento, rancore, rabbia, nulla di ciò che riuscivo a scorgere tanto spesso sui volti dei grandi. Così mi convinsi che non venisse da questo pianeta, come certi personaggi dei cartoni animati giapponesi. Ebbi l’ingenuità di raccontarlo, in un tema, alla mia maestra elementare: Mia nonna non è una persona, è la nonna di Heidi o forse è un robot, scrissi. Fu allora che Olivia decise di svelarmi qualcosa di sé e della sua fede, come nessuna catechista aveva mai fatto con me: mia nonna parlava di miracoli, ma mica di duemila anni fa, parlava di miracoli di tutti i giorni, parlava della fede del pesco in giardino. Nata il 15 dicembre 1902 a Pellaro, provincia di Reggio Calabria, a soli sei anni sopravvisse al maremoto di Messina che causò più di centomila morti e il suo stesso paese fu praticamente raso al suolo. Aveva trovato rifugio tra le macerie, con lei c’erano un fratello e la nonna che le disse solo questo: «Prega e tutto andrà bene». Quando riuscirono a liberarsi si misero a gridare i nomi dei membri della loro grande famiglia e tutti risposero all’appello. Sopravvisse alla Grande Guerra. E con lei tutti i suoi familiari. «Pregavo e credevo», mi diceva, e mentre lo diceva sgranava il suo rosario, come ad assicurarsi che ognuna di quelle madreperle traslucide e levigate dall’usura rimanesse ancora lì, in fila, a farle da testimone. Pregava e credeva. «In cosa, nonna? In cosa?». «Che me lo chiedi a fare: nella vita! A me mi piace la vita». La Seconda guerra mondiale: poco dopo il matrimonio con mio nonno Vincenzo si era trasferita a Nizza e lì, dal 1922 al 1943, aveva partorito sei figli; mia madre fu l’ultima nata in casa Morabito. Ma nel 1945 dovette abbandonare tutto, e quando scrivo tutto, caro lettore, cara lettrice, immagina una donna che afferra tra le braccia due bambini di tre e due anni


21

e scappa, lasciando un’intera casa in silenzio, con le posate nei cassetti del tavolo, le lenzuola negli armadi, i giochi nella culla, la pianta di basilico sul davanzale della finestra della cucina; perché nel 1945, in Francia, se tuo marito combatteva con gli italiani e non con i francesi, tu dovevi scappare; da un’ora all’altra mia nonna, mia madre e mio zio divennero profughi, nullatenenti in tempo di guerra e così attraversarono il confine. Cominciai a comprendere l’accento di mia madre e dei miei zii, così diverso da quello dei miei vicini di casa, e mi sorpresi a pensare quanto né mia madre, né tantomeno i miei zii, sembrassero profughi. Che strana parola per i miei otto anni: cowboy, indiani e profughi. I profughi saranno stati simpatici agli indiani o ai cowboy? Passarono più di sei mesi prima che venissero ospitati in un campo di accoglienza a Novagli, proprio ai confini di Montichiari, in provincia di Brescia. Ed è lì che – molti anni dopo – sono nata io. In quei sei mesi bombardamenti, razzie, linciaggi e a mia nonna, mio zio Eugenio e mia madre Anita, neppure un graffio. «Neppure un graffio nonna?» «Un poco di freddo e un poco di fame sì.» Quante volte mia nonna avrà detto ai suoi due figli Tutto andrà bene? Quante notti? Quante bombe? Quante sirene? Quante grida? Quanta forza? Quanta fede. C’era qualcosa di magico e di indicibile in lei, qualcosa che non avrei mai compreso del tutto. Perché le persone le chiedevano aiuto per guarire? Perché le chiedevano di pregare per loro? Perché la sua voce era più convincente della voce di coloro che si affidavano a lei? Non erano forse tutte uguali le preghiere? Non era lo stesso Gesù per tutti? La stessa Maria, lo stesso Dio? Perché a lei, ad Olivia, le forze celesti avrebbero dovuto dare più retta? E poi lei bisbigliava le sue preghiere, le sussurrava e io non capivo mai quali stesse


22

recitando. Lei mi diceva: «Mi chiedono di pregare perché io non tengo paura, loro sì». E questa fu tutta la sua spiegazione. Una cieca fiducia nella vita, che così forte io non l’ho trovata più in nessuno. Molti anni più tardi, tra le pagine di Blaise Pascal, lessi questa frase: «Vuoi la fede? Inginocchiati e prega, tutti i giorni per una settimana, e la fede arriverà». E poi lessi anche gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e lì si narrava di qualche settimana in più. Ecco, penso che Olivia abbia pregato per mille anni perché ogni giorno di dolore, forse, vale un lustro. Ogni giorno in cui i suoi quattro figli maggiori, Antonio, Diego, Teresa e Lina risultavano dispersi. E ovviamente (si parla dei figli di mia nonna…) tornarono tutti a casa sani e salvi. Antonio e Diego da un campo di prigionia in Germania, Teresa e Lina da un collegio, se vogliamo chiamarlo così, romano. E anche Vincenzo, il mio adorato e dolcissimo nonno, un po’ malconcio per le botte prese, tornò a casa. E ci fu di nuovo una casa. Segue un novero di racconti che hanno tutti lo stesso profumo: tutto andrà bene e tutto sarà bene. Nel mezzo esiste un frattempo che è faticoso per chiunque, ma in cui chi ha la fiamma della fiducia e della speranza soffre meno il freddo. Non è che il pesco non si accorga della neve, la neve scende su tutto il giardino e alcuni fiori non sopravvivono, ma il pesco si accorge di avere una gran forza. Si accorge che di neve ne ha vista tanta. Conosciuta la vera storia di mia nonna, grazie al tema “Voglio parlarti della mia nonna”, la maestra aveva gioia di ascoltarla spesso dalla mia voce; a dire il vero la conosceva da sempre, perché Montichiari non è New York, ma penso che le piacessero il mio stupore e la mia gioia nel raccontargliela. Se mi dimenticavo di specificare che i miei zii erano sopravvissuti anche grazie alla loro perseveranza nel lavarsi con il ghiaccio delle baracche, tornavo indietro e facevo il gesto di raccoglie-


23

re qualcosa da terra e me lo passavo sulla faccia, come avevo visto fare da Olivia. Perché per fare in modo che tutto vada bene bisogna volersi bene. Così, lei si profumava con l’acqua di rose e indossava un cerchietto d’osso di tartaruga per tenersi in ordine i capelli e, sebbene negli ultimi anni la vista le si fosse spostata tutta dentro e fuori ci vedesse assai poco, non rinunciava a farsi la manicure da sola. E io le sue mani non le scorderò mai. La sua carezza. Morbida. Era davvero una donna impossibile e la sua eredità è enorme, ma io non posso, non voglio e non devo sperderla. Fino a quando sarò viva io, sarà viva anche lei. E chissà, forse un giorno scriverò un libro tutto per lei. O forse queste pagine sono già scritte tutte per lei, grazie a lei. Vorrei che qualcuno sentisse che questa sovra-ordinaria nonna è anche un po’ sua. Il 13 ottobre del 1979, alle ore 12 e 35 fui investita, sulle strisce pedonali, all’uscita della scuola elementare: l’impatto fu così violento che il mio corpo fu scagliato a più di venti metri di distanza dal punto dell’incidente. Il mio corpo sfondò letteralmente la portiera del guidatore, che in seguito si sarebbe persino lamentato per il danno. Quel ragazzo aveva bevuto assai. Il mio corpo volò. In volo feci diverse capriole e i medici dissero che era per questo volo incontrollato che mi disarticolai la spalla destra. Ma non pensai alla spalla destra, volando, pensai: “Che meraviglia! So fare le capriole!”. Prima di allora, io bimba goffa e paffuta, non ci ero mai riuscita. E questo fu l’ultimo pensiero prima di schiantarmi al suolo. L’ultimo pensiero prima di morire fu di gioiosa, soddisfatta sorpresa. Al suolo il mio cuore si fermò. E la mia anima si alzò. Salì a circa trenta metri di altezza; da lì potevo vedere la folla che si accalcava attorno al mio corpo e sentivo le sue grida e gridava: «È morta!». Io non sentivo alcun dolore, nessuna preoccupazione per quel corpo a terra, anzi, mi godevo il panorama; finalmente potevo sapere che cosa ci fosse nei giardini recintati del mio


24

quartiere, scorsi anche una piscina e il meraviglioso parco della villa Liberty di via Roma, a Brescia. Ero curiosa, ma la mia ascesa si fermò bruscamente e tornai in un tempo sub-reale nel corpo di quella bambina che, nonostante le ossa messe un po’ in disordine, dopo due mesi di riabilitazione dolorosissima tornò a scuola a raccontare la storia dell’anima alata alla quale non credette nessuno, neppure la maestra. Ma quello che più conta, fu il sorriso di mia nonna al mio capezzale. Lo stesso di quando mi sbucciavo il ginocchio. Quanti anni ha questo mio “Tutto andrà bene”? Duemila? Centodiciotto? Cinquanta? Io credo che sia nato con la vita stessa, anche se so bene che questa risposta assomiglia tanto alla risposta di un pesco qualsiasi.


25

II

Metti in conto che ci sarà della solitudine sulla strada della libertà. Metti in conto che prima o poi, su quella strada, ci troverai tutta la gente con il tuo stesso coraggio, metti in conto che, trovando te stesso, non avrai più bisogno d’altro. Metti in conto di sentire tutta la ricchezza del mondo, vissuto da vivo. Metti in conto di accorgerti di… respirare. Metti in conto la disapprovazione degli obbedienti, l’incomprensione dei saccenti, il sospetto dei disamanti, il sorriso dei poeti. E la simpatia dei santi. Metti in conto l’amore. E tutto andrà bene. (Brescia, 21 ottobre 2003)


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.