Volo d'amore

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A Leopoldo, mio terzo, meraviglioso marito (purtroppo mancato il 6-1-2007) il cui, dolcissimo, ricordo mi permette di affrontare la vecchiaia con serenitĂ .


Collana ChiCChi di grano

Volo d’amore! Dolores Amadei

© 2013 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore

Edizione: Marzo 2013 Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. ISBN: 978-88-7381-489-4 Minerva edizioni Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 http://www.minervaedizioni.com e-mail: info@minervaedizioni.com


INDICE

Premessa

pag. 9

Capitolo I • Un incontro interessante. Colpo di fulmine. Lettere d’amore. • Mia madre e la campagna d’Etiopia. • Il Patto d’Acciaio e l’asse Roma-Berlino. In Accademia: 10 luglio 1940. • La tragedia dei combattenti italiani rinserrati in sacche sul fiume Don.

pag. 17

Capitolo II • Il nostro “primo” Natale. • La morte di un figlio. • Ricordi dolorosi. • Ad Ischia.

pag. 45

Capitolo III • In Villa ai Castelli. • Papa Karol Wojtjla. • Agosto a Ponza. Il carattere “spigoloso” di mio padre. Il 25 luglio 1943. • Gesta dell’arma azzurra.

pag. 59

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Capitolo IV • Autentico, amaro ed appassionato sfogo di un pilota aerosiluratore che, l’8 settembre 1943, per nobili motivi, ha ritenuto di dover scegliere la via “dell’onore” ricevendo, in cambio, un’amara ricompensa. • Commento. • Promessa.

pag. 81

Capitolo V

pag. 93

• Intermezzo romantico. • Ottobre a Chianciano. • Le stradine di Pienza. • Natale. Capitolo VI • San Valentino tra i palloncini. • Pasqua in Toscana. • Ritorno ad Ischia. • In barca: Napoli-Capri.

pag. 105

Capitolo VII • Un grave incidente. • Riabilitazione. • Ricordi di guerra. La campagna di Russia. • La fine di Mussolini e di Hitler. • Ulteriore sfogo del pilota aerosiluratore

pag. 117

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Capitolo VIII • Convalescenza alle terme ed in villa. • Il Pirelli della IV età. • Il commiato di Indro Montanelli. • A Venezia.

pag. 143

pag. 161 Capitolo IX • Un terribile atto terroristico: 11 settembre 2001, le torri del World Trade Center. • Autunno alle terme di Chianciano. • Padre Pio proclamato Santo. • Una gradita ed inattesa richiesta. pag. 175 Capitolo X • Lettere. • A Roma in attesa del “gran giorno”. • È mancato Alberto Sordi. • Le nozze di due ottantenni “giovanili fuori” e “ventenni dentro”.

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PREMESSA «Oggi, molto spesso, anche in televisione, vengono dibattuti, discussi e rivalutati, gl’incontri ed i legami fra le persone d’età avanzata. Questa storia di vita vera, vissuta con passione e conclusa con il più romantico e commovente dei matrimoni, conferma “chiaramente”, “palesemente” e “tangibilmente” che l’amore non ha età! I fatti, realmente accaduti e raccolti in queste pagine, sono un insieme di “flash” che, fra i ricordi della II guerra mondiale, frugano nell’anima di un pilota aeronautico e mettono in evidenza la sua dignità militare. Fedele ai sentimenti patriottici, rafforzatigli in Accademia, egli, nel momento dell’8 settembre 1943, per nobili motivi, ha ritenuto di dover seguire la «via dell’onore», ricevendo in cambio un amaro riconoscimento ... Pertanto ho pensato di riunire, in questo libro, parte di uno schietto, rigorosamente autentico, carteggio fra due persone attempate: giovanili “fuori” e ventenni “dentro”. Nel quarto e settimo capitolo, con gli appassionati sfoghi di questo valoroso pilota, viene sottolineato il senso di ribellione che, per sessant’anni, lo ha tormentato. Potrebbe essere “un tardivo messaggio”, legato ai molteplici, eroici, coraggiosi, atti di valore compiuti, anche, dai valorosi combattenti del “Nord”, durante il convulso infuriare dell’ultima guerra: in campi diversi, ma sempre rivolti allo stesso, unico, ideale: l’Italia. 9


Queste pagine, che sono un inno alla “terza e quarta giovinezza”, si rivolgono particolarmente alle persone di una certa età, che si chiudono in loro stesse pensando che, ormai, la vita non abbia più nulla da offrire. Sono un invito a credere nel destino ... ad uscire ... viaggiare ed avere interessi, considerando “l’età anagrafica” un patrimonio di efficienza da trasmettere alle nuove generazioni ma, anche, capace di vincere quella solitudine che, troppo spesso, è avvilente.» Pagine che, inizialmente, dovevano costituire una raccolta di sole lettere, spontanee e vere, da far rileggere ed offrire al mio ultimo marito, in occasione del nostro primo solenne anniversario. Pagine che, anni dopo la sua morte, ho ripreso in mano, ampliandole, mantenendo l’autenticità delle “lettere” e completandole notevolmente, con molteplici “rievocazioni storiche”, riguardanti le due ultime grandi guerre e con le descrizioni della pesante vita in un lager austriaco. In particolare, con i nuovi, numerosi, autentici, “sfoghi sui tragici avvenimenti del 1943”; con ricordi di memorabili ed illustri personaggi; con disquisizioni sulla morte e, per finire, con confidenze, sempre più intime, riguardanti le straordinarie sensazioni sentimentali che hanno coronato la nostra vita insieme.

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CURRICULUM VITAE

DOLORES AMADEI Ha insegnato per vent’anni nelle scuole italiane e tedesche Altoatesine. Nella Scuola d’Arte di Ortisei (materie letterarie). Si è classificata vincitrice in quattro concorsi magistrali, dei quali: uno in lingua tedesca ed uno in cui si è classificata al primo posto assoluto nella graduatoria generale di merito (documenti giacenti presso la sede del Provveditorato agli studi di Bolzano). Ha pubblicato: 1. Otto guide didattiche per insegnanti, (Edizioni Atlas - Bergamo), totale pagine cinquemilacentonovantasette. Guide che hanno ottenuto, per molti anni, notevoli successi in Italia ed all’estero e procurato importanti premi (vedere pagina: Premi letterari conseguiti). 2. “Guida pratica alle attività educative”, pagine 367, (Casa Editrice “La Scuola” – Brescia). 3. “Un nido per bambini”, pagine 150: vademecum per puericultrici, giovani madri ed insegnanti. (Editrice Armando Armando – Roma). 4. “Un romanzo d’amore”, vincitore del primo premio per la narrativa inedita al concorso letterario “Montesacro 1986” – Roma. (Importante giuria di giornalisti e scrittori: Francesco Boneschi, Luigi Agnese, Vittorio Citterich, Augusto Giordano, Rodolfo Grasso, Massimo Grillandi, Francesco Grisi, Euge11


nio Marinello, Cesare Masala, Adriano Mele. Ha presentato ed illustrato, molto positivamente, il libro di Dolores Amadei, il celebre scrittore Massimo Grillandi. Libro, in seguito, pubblicato dall’editore Guido Miano, (Direttore della Scuola di giornalismo – Milano). 5. È membro dell’Accademia Internazionale Burckardt di Roma. 6. Ha fondato due scuole internazionali, private (paritarie) a Bologna: la “Kinder Haus” ed il “Kinder College”, tuttòra in attività e cedute alla figlia professoressa Federica Marianti di Pergola. 7. Ha avuto, dal 1974 al 1982, l’incarico di dirigere, a Losanna (Svizzera), la scuola italiana del Liceo “Vilfredo Pareto” (proprietario: prof. Amleto Comini), nella quale avevano adottato le sue guide didattiche; nonché, anche, l’incarico dell’insegnamento di Educazione Fisica alle allieve della scuola media, dell’Istituto Tecnico e del Liceo Scientifico. 8. Ha avuto l’incarico dell’insegnamento della lingua italiana al Principe Emanuele Filiberto di Savoia ed alla cuginetta Elisabetta de Balkany (allora 9 e 10 anni), nelle rispettive residenze di Vesenaz e Florissant a Ginevra. All’epoca ha sposato, in seconde nozze, il Generale di Squadra aerea, ing. Armando Abbate. 9. È “dama d’onore” dell’A.N.U.A. (Associazione Nazionale Ufficiali Aeronautica.)

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PREMI LETTERARI CONSEGUITI: 1. “Speciale riconoscimento, con catena e medaglione”, scolpiti da A. Berti e conferito dall’allora “Sotto Segretario della Pubblica Istruzione” (poi Ministro della stessa) Onorevole prof. Salvatore Valitutti, Roma, 1972. 2. Premio “Alpe d’Oro”, San Gallo, 1973 con coppa consegnata dal Presidente dell’Accademia Internazionale Burckardt, Avv. Aurelio Prete di Morigerati (Roma). 3. Premio “Campidoglio d’Oro”, Roma, 1974, con targa d’argento, assegnata dal Barone Giovanni di Giura, Presidente della Dante Alighieri Italiana. 4. Premio “Concorso letterario Montesacro 1986”, con coppa, targa e medaglia d’oro, consegnate dal Vice Presidente dell’associazione “Stampa romana”, prof. Francesco Boneschi. 5. Premio Internazionale “San Valentino d’Oro 1989”, XXI edizione, con coppa e medaglia consegnate dall’illustre fisico prof. Edoardo Amaldi e da S. Ecc. il Vescovo di Terni, Monsignor Franco Gualdini (Accademia Valentiniana, Terni). 6. Premio d’Onore “Marco Aurelio 1991”, riconoscimento internazionale “Valori umani”, con statua di bronzo di F. Filemi, conferito dall’Accademia Universale “G. Marconi” di Roma. Ed altri... 13


Grande ammiraGlio Paolo Thaon di revel - famoso politico italiano – Senatore – - figura eminente e fervente propugnatore, in ambito navale, dell’importanza dello strumento aereo. - “Duca del mare”: “In ogni epoca della storia vi sono stati, da ogni parte, grandi patrioti e l’essenziale è che le loro opere e le loro azioni siano state esclusivamente ispirate al supremo bene ed interesse della Patria.”

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Roma, 28.10.2010

RIFLESSIONI DEL GENERALE VINCENZO CAMPORINI SULLE VICENDE NARRATE NEL LIBRO

Quando, nell’estate del 2007, la Signora Dolores Amadei mi inviò, in qualità di Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, la prima stesura del suo libro, la ringraziai della cortesia inviandole una lettera che l’autrice apprezzò molto e che mi ha chiesto di riproporre, oggi, come una sorta di “prefazione” al libro. Questo era il testo di quella lettera: “Quest’opera, così piena d’entusiasmo per la vita, mi ha toccato per la profondità e la dolcezza degli affetti che vi hanno trovato espressione. Quanto agli eventi della Seconda Guerra Mondiale, osservo che ogni scelta deve essere contestualizzata e, in tal senso compresa, notando, altresì, che neppure in quei tragici frangenti, aviatori italiani ebbero a combattere fra loro. In una recente occasione, rivolgendomi ad un uditorio internazionale, ho avuto modo di dire che le bandiere, sotto cui ciascuno di noi ha volato, rappresentano per gli aviatori un valore ed un significato peculiare: chi ha militato in campi opposti non considerava e non considera 15


“l’altro” un nemico ma un avversario, ed è differenza di non poco conto. Gli eventi del ’43-’45 sono stati di tale portata che dovremmo tutti vestirci di umiltà prima di formulare giudizi sui principi etici alla base di certe decisioni personali, il che non impedisce, peraltro, di dare giudizi politici chiari e determinati di condanna nei confronti di sistemi che hanno elevato la violenza a metodo di governo. Ho avuto il privilegio e la fortuna di avere, fra i miei Comandanti, un Ufficiale che ha vissuto vicende molto simili a quelle del Generale protagonista del IV e VII capitolo: era un Comandante memorabile, che avremmo seguito ovunque, che ha dato generosamente all’Aeronautica ogni sua energia e di cui il Paese può essere giustamente orgoglioso. Sono convinto che non necessariamente il giudizio della Storia si debba riflettere sul giudizio circa le decisioni ed i comportamenti personali, che sono ben altra cosa.” A distanza di tre anni, quei pensieri mi sembrano ancora condivisibili e l’augurio che faccio, pensando alle nuove generazioni, è che possano inserirsi in quel percorso di concordia che una pacata e civile riflessione storica può donare a tutta la nostra società.

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CAPITOLO I

• Un incontro interessante. Colpo di fulmine. Lettere d’amore. • Mia madre e la campagna d’Etiopia. • Il Patto d’Acciaio e l’asse Roma-Berlino. In Accademia: 10 luglio 1940. • La tragedia dei combattenti italiani rinserrati in sacche sul fiume Don.

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Un incontro interessante Tutto è iniziato con l’arrivo della posta quando, fra un paio di cartoline e alcuni avvisi bancari, mi viene recapitato un periodico aeronautico. Lo sfoglio qua e là e, finalmente, comprendo perché mi è stato indirizzato. C’è un articolo commemorativo in ricordo del mio secondo marito, generale di squadra aerea, per l’anniversario del suo ultimo, ma purtroppo, definitivo decollo. Lo leggo, mi commuovo, un groppo mi serra la gola, rievocando la figura di affezionatissimo sposo e di valoroso pilota che, come dice l’articolo, “è stato un uomo i cui pregi valgono ad annoverarlo fra gli ufficiali che hanno lasciato, nell’ambito dell’aviazione italiana, una significativa impronta.” Devo subito rivolgermi al giornale per conoscere il nome della persona che ha redatto il pezzo. Vengo a sapere che è un generale di divisione aerea, direttore responsabile del periodico stesso. Lo contatto telefonicamente per ringraziarlo; mi risponde di persona e mi dice di essere stato “suo” compagno di corso in Accademia e, anche, “di guerra”. Aggiunge che viene spesso a Bologna dove ora abito e, così, potrà avere il piacere di conoscere la moglie del suo vecchio compagno. Una mattina mi arriva una telefonata, è lui, il generale. M’informa d’avere prenotato un breve soggiorno presso un hotel cittadino, avendo in programma alcune visite in fiera. Con l’occasione, chiede di potermi salutare. Non so per quale motivo ma, da quel momento, mi sento agitata, comunque mi organizzo per riceverlo ed improvviso, anche, una cenetta in tutta semplicità. Alle 18


tre pomeridiane, puntualmente, suona il campanello. Apro la porta: un signore, dall’aspetto gentile, si presenta ed atteggia un cortese baciamano, poi mi offre una confezione di cioccolatini ed aggiunge: «Diamoci del “tu”, siamo della stessa famiglia.» A prima vista, lo giudico molto sicuro di sé e lo invito ad accomodarsi sul divano, accanto al tavolino dove ho preparato lo champagne ed il vassoio con le tartine. Così incomincia la conversazione che, gradualmente, si fa più fitta. Fra le tante notizie m’informa di essere vedovo, di avere due bravi figlioli felicemente sposati e tre amabili nipotine. Con civetteria, un po’ scanzonata, dichiara anche la sua età: “ottantun’anni”. Non li dimostra: è un signore distinto, longilineo, incredibilmente giovanile, che conversa con voce bassa, dal timbro simpatico e fuma il sigaro con eleganza moderata. Mi colpiscono la sua disinvoltura e lo spiccato senso dell’umorismo. Via via che il tempo passa, le confidenze abbracciano gli archi delle nostre vite, s’intrecciano sui molti eventi bellici, sul suo vecchio hobby, il fermodellismo e, infine, ci troviamo davanti al librone degli “aerosiluranti”, in vista nella mia libreria. Lo sfogliamo e vi troviamo fotografie e descrizioni di spericolate azioni di guerra nelle quali, spesso, i capi equipaggio erano proprio “loro due”. Alle otto non abbiamo ancora brindato alla nostra conoscenza... troppe cose da raccontare: «Com’è nata la tua passione per il volo?», gli chiedo. «Come t’ho detto, da bambino abitavo nella laguna veneta, al forte “Rossarol”, dove mio padre era il comandante. Mi 19


era spesso capitato di osservare le manovre di un dirigibile militare, custodito in un grande hangar, nel campo d’aviazione vicino. Ho desiderato subito di trovarmi lassù, fra quegli uomini che vedevo agitarsi nella navicella. Più volte ero riuscito ad avvicinarmi al campo; così, più tardi, ho trovato nel volo l’appagamento completo delle mie aspirazioni ...» Riesco ad immaginare quel bambino cresciuto in un forte militare dove, per amico, aveva solo un grosso cane San Bernardo, che cavalcava come fosse il suo cavallo. Essendogli mancata la mamma, stroncata dalla “spagnola”, quando aveva appena un anno, era stato praticamente allevato dalla severa nonna paterna, che ricorre spesso con affetto nei suoi ricordi. Dalle sue confidenze, mi sembra di cogliere un remoto bisogno di calore, che credo sia scarseggiato durante la sua prima infanzia e, in seguito, nella sua vita piuttosto austera. Prima di sederci a tavola, gli faccio visitare la mia mansarda sotto i tetti, attraversata da un terrazzo fiorito. Alludendo ai soffitti “a travi”, la definisce un “nido caldo”. La visita finisce con un abbraccio e l’augurio di poter ricambiare nella casa romana, dove vive da solo. *** L’indomani, mi sveglia un “suo” fax inviato dall’hotel prima di partire: «Sono particolarmente felice di averti potuto conoscere e ti ringrazio per l’affettuosa cordialità con la quale mi hai accolto. Sarò lieto di poter ricambiare qui, a Roma, appena ti sarà possibile. Nell’attesa, nuovamente ti ringrazio di tutto (ottima cena compresa). Un abbraccio...» 20


*** Ho l’abitudine di trascorrere un paio di settimane, in primavera ed in autunno, in un complesso termale che si affaccia su una baia dell’isola d’Ischia. È un vero paradiso terrestre che comprende una ventina di piscine, a temperature diverse, circondate da piante esotiche e fioriture smaglianti. In questo posto incantevole, dove mi trovo da quindici giorni, la mia fantasia si accende e, così, decido di fermarmi a Roma nel ritorno e di andarlo a trovare tra un treno e l’altro. Invece, “lui” mi trattiene addirittura due settimane. Tornata a casa, gli scrivo: «È stato tutto vero... o ho sognato?» *** Per tutta risposta mi telefona e chiede: «Che ne diresti di fare un giretto?» E m’invita in quella che chiama “la casa in collina”, perché desidera ospitarmi ancora. Come nella favola di “Hansel und Gretel”, mi appare una romantica costruzione chiara, in mezzo ad un bosco rigoglioso. Qui le giornate scorrono serenamente, ricche di confidenze e di giri in macchina per i circostanti castelli romani. Tornata a Bologna, trovo un mazzo di rose seguite da un fax: «Le ore passate con te non hanno bisogno di commenti. Già le rimpiango con desiderio di rinnovarle. Il tuo ricordo è vivissimo. Mi hai fatto ringiovanire di almeno vent’anni; non puoi immaginare ciò che ho nel cuore!» 21


*** A ruota, mi arriva anche una lettera: ... “Dopo ben cinque anni durante i quali avevo messo, come si suol dire, ogni velleità in soffitta, ci siamo trovati, improvvisamente ed inaspettatamente, fra le nostre braccia. Con infinito piacere e tanta gioia, ho riscoperto un sentimento che avevo dimenticato e che tu hai riportato alla luce. Così, come un reperto archeologico, ora è di tua proprietà. Vorrei tanto tu fossi qui per godere insieme questa nuova felicità, veramente piovuta dal cielo. Vorrei anche dirti di più ma, quando leggerai queste righe, sarò già venuto a trovarti. Nell’attesa mi sento emozionato come un ragazzino... *** Mi domando come ho fatto ad incontrare un uomo altruista, semplice, attento e con i sentimenti così delicati, un uomo ancora all’antica, ma moderno nel porgersi e nel gestire una certa goliardìa che prodiga, con discrezione, corteggiandomi come si usava una volta; un uomo meraviglioso fisicamente e in tutti i sensi! ... Una persona così gentile e rispettosa sarebbe stata apprezzata anche da mia madre! Mia madre... che, improvvisamente, vedo sbucare dai miei ricordi, con il sorriso di quando amava farmi la sorpresa all’uscita della scuola. La sua figura alta ed elegante, armonizzata dai lineamenti regolari del viso, è talmente impressa nella mia mente, che non appare sfocata dal tempo ma mi riporta la voce, il timbro, l’abituale profumo. 22


*** «... Mamma ho nostalgia! Nostalgia dei tuoi occhi dolcissimi, della tua voce fatta di tenerezza, delle tue mani carezzevoli. Ti ho sempre sentita aleggiare intorno a me e, nelle mie vicissitudini, ho avuto la certezza della tua presenza. Ricordo ogni tuo atteggiamento, la comprensione per la mia vivacità che moderavi con complice rigore. Rammento la mia preoccupazione di quando eri sofferente e l’angosciosa tristezza dell’ultimo addio. Ti ero vicina quel giorno e ti stringevo a me perché non volevo...non volevo che te ne andassi per sempre, mentre tu, ben conscia di dovermi lasciare, ti sforzavi di mostrarti serena. Non potrò dimenticare le tue stanche carezze, né la fermezza con cui volevi rassicurarmi. Sopportavi il male, che ti affliggeva, con la forza del tuo bene infinito. Poi mentre, piano, piano, ti spegnevi, mi parlavi guardandomi fissamente negli occhi e mi trasmettevi, con pena, il tuo messaggio di commiato. Mamma, ho nostalgia!...» I mesi della sua malattia, conclusasi purtroppo con la fine ancora in giovane età, erano quelli delle “imprese etiopiche”. Allora dedicavo molte ore alla mamma, eppure non mi sono mai perdonata la giovanile incoscienza con la quale partecipavo, tutti i giorni, per qualche ora, alle sfilate studentesche inneggianti le, rapide, conquiste dei territori africani (Adua, Macallè, Amba-Alagi, lago Ascianghi, Addis Abeba), e...poi, agli applausi al “Re, Vittorio Emanuele III”, diventato imperatore! ... Il mio carattere ottimista non prevedeva il grave lutto che era in agguato e, spesso, in casa mi trovavo a canticchiare le nuove arie, lanciate all’epoca: 23


«Adua sei liberata! ...», ...«Orticello di guerra...», motivi in contrasto con l’ambiente saturo di medicinali, che mi circondavano. Gli scrupoli ed i rimorsi, per le leggerezze dei miei diciassette anni, sono saltati fuori più tardi... e non sono ancora scomparsi del tutto. Ora la ricordo bella e sana la mia mamma, come quando l’avevo tutta per me ed ero felice e ... non lo sapevo! Ma adesso torno a “lui” ed alle sue lettere che si susseguono con un ritmo quasi giornaliero. Anch’io gli scrivo, incredula che, alla nostra età, sia potuto sbocciare un sentimento così tenero. *** «... Aspetto le tue lettere con l’ansia di una volta, quando si era ai primi amori. Non sai quanto mi facciano piacere le tue telefonate serali: sai descrivere i fatti in un modo così reale, da farmi immedesimare e viverli con te. Improvvisamente, in breve tempo, mi accorgo di essere cambiata. Tu mi hai fatto mutare abitudini e, (eresia!)... perfino il ricordo, del mio recente lutto, va sfumando. Sto bene in tua compagnia! Credo di pensare e volere le stesse cose e, poi, sono curiosa. Curiosa anche dei tuoi ricordi più “antichi”, che vorrei ripercorrere insieme. Vorrei entrare nell’intimo dei tuoi pensieri, venirne in possesso e scoprirne le sensibilità. Cosa facevi? ... Dov’eri quel famoso 10 giugno ’40, durante la proclamazione della “seconda guerra mondiale”? ... Parlami delle tue perplessità (se ne avevi) o del tuo entusiasmo ... Anche questi particolari m’interessano!...» *** 24


*** «... Dov’ero quel “10 giugno”? ... In Accademia, tutti in trepida attesa, inquadrati, in perfetta divisa, nel grande piazzale, al suono delle fanfare. Gli ufficiali erano in alta uniforme, anch’essi rigidi sull’attenti. Da ogni viso traspariva l’euforia per la notizia che “Mussolini” aveva, già, affidato la dichiarazione di guerra agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Poi... il “Suo” annuncio, seguito da un urlo interminabile per “quella guerra”, alla quale eravamo stati addestrati noi, giovani accademisti, in stato di esaltazione patriottica, pronti a combattere anche con l’estremo sacrificio della vita! ... Per quella “guerra” con l’alleato tedesco, il potente Führer, che già, nel 1937,aveva stretto il «Patto d’acciaio», formalizzante l’Asse fra Germania e Italia, vincolandola alla loro politica di guerra. Hitler, controllando tutta l’Europa Centrale e parte della Scandinavia, appariva invincibile. Pertanto, Mussolini sembrava sicuro di poter sedere, “in breve”, al tavolo della pace... e di poter condividere, in qualche maniera, il successo della vittoria... Invece, sai bene che l’obiettivo strategico della Germania era l’Unione Sovietica e sai, anche, quanto sia durato il conflitto e quanto sangue valoroso sia costato! Ma, adesso, preferisco cambiare argomento; rileggere la tua lettera e parlare solo di noi. Più passano i giorni e più mi affeziono. La tua voce, che mi giunge attraverso il telefono, riempie la mia solitudine. Vivo solo e puoi immaginare cosa significhi la tua presenza. Ricorda che, qui a Roma, c’è un angolo pronto ad accoglierti, come le mie braccia che vorrebbero poterti stringere in ogni momento. 25


Ti voglio già bene, certo più di quanto tu possa immaginare. Non sorridere: il mio è stato un vero e proprio “colpo di fulmine!”... Sei entrata nella mia vita in un momento in cui la malinconia mi opprimeva e vivevo di ricordi. I figli m’invitavano, mi facevano festa assieme alle loro mogli ed alle mie nipotine, ma la sera era lunga,... vuota e le notti, spesso, insonni. In questi primi freddi dell’autunno inoltrato, non sai quanto desideri riaverti accanto;così ti aspetto e, nell’attesa, ti bacio a lungo sulle labbra, con infinita dolcezza, orgoglioso di poter gioire del tuo bene...» *** «... Con la tua ultima, magnificante le fatidiche ore vissute in Accademia il 10 giugno 1940, mi hai riportata al giorno quando, giovane ragazza, molto inesperta, avevo sentito dire che, alle 18, il Duce avrebbe dato l’annuncio dell’entrata italiana in guerra. Se devo essere sincera, non me ne importava più di tanto, perché mio padre considerava quella decisione “ il fatto più negativo che ci potesse capitare” e, di Mussolini diceva che, “per ambizione, avrebbe trascinato l’Italia alla rovina ...” A quel tempo, infatti, intorno a noi, gravava già un’aria di malcontento. La vita era cambiata; tutto iniziava ad essere razionato: pochi grassi, poco pane, poca carne, poco ... tutto! Si doveva vivere con le “tessere” altrimenti, per gli acquisti, c’era la “borsa nera”, vietata anche con la reclusione. Personalmente, un po’ alla volta, mi ero abituata a quel tenore di vita e, forse un po’ spensierata, me ne andavo al cinema a vedere il film di De Sica, intitolato “Maddalena zero in condotta”, oppure di Ettore 26


Scola, nel quale Sophia Loren e Marcello Mastroianni vivevano“Una giornata particolare”. In casa, mi trovavo a canticchiare la canzone prediletta da Beniamino Gigli che, con le parole: “solo con te la mia canzone vola”, ricordava la mia cara, mai dimenticata, mamma! Intanto, un giovane Fausto Coppi si cimentava nel Giro d’Italia ed il primo Concorso di bellezza, (mi pare intitolato: “Cinquemila lire per un sorriso”, dedicato ad una marca di dentifricio), incominciava a riscuotere un certo successo. Ma, poi, iniziavano i bombardamenti ed anche la mia città, come le altre città italiane, veniva colpita. Questo è ciò che accadeva allora mentre, giovane aspirante, ti stavi preparando a combattere ed a vedere la guerra in maniera eroica. Avresti, mai, potuto immaginare il nostro tardivo e predestinato incontro e la magìa dei nostri momenti? Io no! Invece, siamo qui a dirci che si è avverato un miracolo e che il nostro incontro è stato fatale! Ti abbraccio, accettando il tuo invito, in attesa di rivederti presto. *** Io sono una donna che ha, alle spalle, una vita di gioie e di affanni, come capita a tutti. Ho vissuto per molti anni in una città, situata in una ridente conca a contatto con le alte pareti dolomitiche dello Sciliar, del Catinaccio e del Latemar, dove mio padre era direttore amministrativo del “Giornale Alto Adige”. Mio padre ... uomo tutto d’un pezzo, lavoratore infaticabile ed onesto, con predilezione per le proprie passioni: la cultura, la glottologia e la musica. D’aspetto 27


piuttosto austero, aveva occhi grigi, severi, poco sorridenti ed usava occhiali, di “antico stampo”, con grosse lenti da vista. Amava indossare, e su questo non transigeva, camicie bianche con collo alto ed alti polsini sempre inamidati. I suoi capelli erano diventati radi, brizzolati e la corporatura, pur longilinea, esibiva un accenno di pancetta. Nell’intercalare, ripeteva spesso la domanda: “Non è vero?”... “Nicht wahr?”... ecc. (secondo la lingua che parlava). Quando era pensieroso, o perplesso, ostentava un leggero “tic” inspirando, due, tre volte le narici, per qualche secondo. Non vorrei peccare di presunzione nell’affermare che, in città, era uno dei signori più in vista. Questo era mio padre; malgrado fosse spesso scontroso, mi voleva sicuramente un gran bene. Io ho trascorso un’adolescenza ed una prima giovinezza serene, adorata dalla mamma che comprendeva ogni mia esuberanza e mi coccolava con smisurato amore. Allora vivevamo in un castello. E qui, mi è d’uopo aprire una parentesi e retrocedere alla prima guerra mondiale del “’15-’18”. A quel tempo, mio padre, dopo essere stato mandato dai propri genitori a Vienna, per completare gli studi superiori, si era sposato ancora in giovane età ed allo scoppio della I guerra si era trovato, improvvisamente, inquadrato nel ruolo di ufficiale austriaco. Per evitare di combattere contro il suo unico fratello arruolato nelle truppe italiane, egli era riuscito a passare, in piena notte, le linee tedesche ed a disertare riparando a Napoli. In seguito a questo, mia madre, giovane sposa e, temporaneamente a Trento, veniva arrestata, tradotta in Austria ed internata in 28


un campo di concentramento, chiamato “Katzenau”, che era situato lungo le rive del Danubio. A fine conflitto, ella veniva liberata e raggiungeva il marito a Napoli dove, un anno dopo, io venivo alla luce. Più tardi, arrivati a Bolzano, la mia mamma che, oltre ad essere dolcissima, aveva una tempra tosta, per rifarsi della lunga, pesante, prigionìa, riusciva, risoluta, a scegliere l’abitazione che voleva: il castello Hörtenberg, prestigioso e restaurato parzialmente! Infatti, il proprietario, barone Fux von Giovanelli residente a Merano, vecchio amico di mio padre, affittava, ai miei genitori, tutto il primo piano. Nel piano superiore abitava un noto farmacista bolzanino, il dottor Hilling e famiglia; in mansarda, la contessa von Lorenz. A piano terra: il custode Wörndle, con i figli che fungevano da giardinieri e fattori. In quella residenza, allora circondata da prati, frutteti, vigneti e splendidi giardini fioriti, sita in zona periferica della città, mi godevo una vita spensierata e bucolica. Ricordo che nel parco, lungo il viale d’ingresso, vi erano alte statue di pietra grigia, corrose dal tempo. Una di queste, tendeva le braccia con grazioso atteggiamento come volesse fare un inchino o un invito. Io ne ero attirata e mi accucciavo, per ore ed ore, nell’incavo del suo grembo di pietra. Chissà quanti pensieri frullavano nella mia testolina bizzarra...Inoltre, alla sinistra del viale, su uno spazio d’erba, alta e folta, si ergeva un maestoso albero di ciliegie: altro mio amico, sul quale m’inerpicavo e, su gli intrecci dei rami più forti, mi sedevo ed avevo l’impressione di sentirmi protetta. Per il fatto che mi divertivo sugli alberi, mio padre era solito chiamarmi: “maschiaccio”. 29


Fin da piccola, conoscevo tutte le piante: meli, peri, ciliegi, castagni, mandorli... e tutti i fiori che raccoglievo e donavo alla mia mamma: fiordalisi, primule, pervinche, viole, giacinti, rose. La mia amichetta preferita si chiamava Dora Kettmeier ed abitava in una villa, su un poggio che dominava tutta la via Hörtenberg. Insieme, scorrazzavamo allegramente per la tenuta del castello. Spesso, lei voleva che fossi sua ospite. Allora ci dedicavamo alle commedie: io recitavo, con enfasi e sciolto linguaggio; lei mi ascoltava sempre plaudente. Mano a mano che crescevo, frequentavo le vicine scuole elementari e medie. Oltre le normali materie, imparavo il tedesco ed un po’ di storia di quei tempi. Sentivo mio padre raccontare che il castello risaliva al 1400 e che nel 1600 era stato completato con quattro torri; proprio quelle torrette che allargavano, con le loro aree quadrate, gli angoli delle nostre stanze. Egli raccontava, anche, che “Andreas Hofer”, l’eroe nazionale del Tirolo, fucilato per ordine di Napoleone, nel 1810, era solito frequentare, con il suo seguito, gli antenati del proprietario ed amava passeggiare nel vasto giardino. Rivedo sempre con amore la mia mamma che, in casa, chiamavamo la bella castellana. Ella aveva l’abitudine di fare i ricevimenti nel grande salone rivestito in legno scuro, con il soffitto chiaro. Bene in vista, c’era un’enorme stufa di maiolica che, come diceva mio padre, apparteneva allo stile “primo barocco”. Sulle imposte aperte del salone, salivano, dal basso, rampicanti di rose dai petali chiari leggerissimi, quasi trasparenti, che rimanevano in boccio per tutta l’estate e, talvolta, anche in autunno. Ho ancora negli occhi il pauroso incendio 30


scoppiato nel garage “Touring”, di proprietà dei fratelli di Dora, oltre alle rinomate cantine di vini. Quella sera, come tante altre, i miei genitori, dopo avermi affidata alla domestica, erano andati all’“Hotel Città” ; lui, a giocare a scacchi nella saletta adiacente; lei, a conversare con un’amica, sedute su un divano semicircolare come le pareti dell’ambiente. Mi ero appena addormentata quando, improvvisamente, venivo svegliata dai rumori delle sirene dei pompieri e dai crepitii delle fiamme altissime, che salivano in cielo, avvicinandosi alla tenuta. Dalle finestre socchiuse, assistevo ad uno spettacolo infernale, agghiacciante, che a me, ragazzina dodicenne, sembrava l’apocalisse! Ero sola nella stanza e, urlando, chiamavo la domestica che, invece di pensare al mio terrore, era corsa dai custodi. Allora, in pigiama, con il mio nuovo vestito “diendrl” ben stretto sotto il braccio; scalza, con i sandali in mano, scappavo all’aperto; riuscivo ad aprire il pesante cancello; raggiungevo, di corsa, la Ca’ de Bezzi e... via ...per la strada dei Bottai, per la piazzetta del Municipio, per un po’ di portici, per la piazza del “grano” e, finalmente,... all’“Hotel Città” dove, mia madre e la sua amica, credevano di avere un’allucinazione vedendo, d’un tratto, apparire una ragazzina in pigiama, scalza, con il vestito nuovo ben stretto sotto il braccio, le scarpe in mano e negli occhi la più grande delle paure. Quella scena, non so perché, fu, in famiglia, motivo di lunghe, frequenti, durissime, discussioni... Alcuni anni dopo, arrivava il momento di frequentare le scuole superiori, con il cambio di abitazione: dall’amato e rimpianto castello Hörtenberg all’appartamento cittadino di Via Giovane Italia n° 5. 31


Schloss Hörtenberg Castello Hörtenberg

Olbild von Ludwig Hörmann (1837 – 1924) um 1880 Quadro ad olio eseguito da Ludwig Hörmann nel 1880. 32


Castello Hörtenberg

18 aprile 1926 - (con la mia mamma ed il mio caro fratellone, Nino, mancato in giovane età. Dietro di noi: il “maestoso” albero di ciliegie). Sullo sfondo: il castello. 33


Ma, nella nuova scuola non ero propriamente una “cima”; allo studio preferivo lo sport, lo sci, il pattinaggio sul ghiaccio ed il nuoto, con i relativi tuffi anche dai dieci metri... A quei tempi vivevo, molto ingenuamente, all’insegna del fascismo imperante. Partecipavo alle adunate in divisa, cantavo, anch’io, gli inni nazionali inneggianti al Duce e al Re, visibilmente disapprovata da mio padre che la pensava in tutt’altro modo. Egli ostentava, con disprezzo, il distintivo fascista all’occhiello della sua giacca e ricordo che diceva sempre: «Se si vuol lavorare, si è obbligati a portarlo.» Il “sabato fascista”, imprecando fra i denti, indossava la camicia nera e s’infilava gli stivaloni, ma il suo disappunto era più che palese ed è culminato in occasione del viaggio di Stato compiuto da Hitler in Italia. Ricordo che ero già pronta, per recarmi “inquadrata” alla stazione. Dovevamo inneggiare al Führer che transitava, su un treno speciale, alla volta di Roma, dove fervevano i preparativi per un’accoglienza trionfale. Quel giorno, mio padre, con una voce alterata che non gli conoscevo, mi fermò, mi strattonò, urlando: «Tu, da casa non ti muovi, capito?». Meglio stendere un velo pietoso sul mio sbalordimento e sul ricordo rimastomi per quell’incomprensibile divieto. Tempo dopo quando, in seguito alle numerose avanzate vittoriose, la Germania stava preparando un’operazione spericolata, ho visto mio padre contento per un errore di Hitler ed ho incominciato a comprendere i meccanismi delle sue avversioni politiche. Era, quello, il periodo in cui venivano convocati 34


i comandanti della Wehrmacht per l’attacco contro l’Unione Sovietica, attuando il piano “Barbarossa”. Mio padre, più scettico che mai, con l’orecchio sempre appiccicato a radio Londra, imprecava in sordina: «Se, in breve, credono di annientare la Russia sono proprio degli illusi..» Ed ora, che mi sono soffermata sul carattere “spigoloso” di mio padre, che, a onor del vero, dentro di sé racchiudeva un’insospettata sensibilità, confesso d’aver avuto, come tutti, un primo amore. Superata la maturità scolastica ed accettato l’incarico d’insegnamento, mi ero installata, assieme alla mia migliore amica, Sandra, anch’ella giovane maestrina, in un paesino ai piedi della vetta d’Italia. Si chiamava “Waissenbach”, che significava “Riobianco”, come lo spumeggiante torrente che, rimbalzando sui dirupi, scendeva a valle. Lassù, ogni domenica, mi raggiungeva il mio “ragazzo”. Con lui giravo, serena, in quel paesaggio da presepe in cui si stagliava il campanile della chiesetta gotica, presa in considerazione per le nostre future nozze. Invece, proprio lassù, in quel paesino fuori dal mondo, mi è arrivata la notizia della sua chiamata alle armi e della sua destinazione: il fronte russo. Partita immediatamente per Verona, dove si era concentrata la “Divisione Pasubio”, quella mattina, alla stazione, c’era ad attendermi il più bel fidanzatino del mondo. Non l’avevo mai visto in divisa e mi compiacevo per la sua prestanza; ma Verona, sebbene arsa dal sole, mi appariva grigia, desolata, con tutto quel movimento di militari in assetto di guerra. In albergo, dopo il pranzo, ho conosciuto il suo capitano ed i suoi commilitoni: tutti col “ma35


gone”, tutti con brutti presentimenti che cercavano di sdrammatizzare cantando inni patriottici: «Fratelli d’Italia...», «Va’ pensiero...» «Il Piave mormorava...» Poi...nella sua stanza per aiutarlo a preparare il sacco... e quel letto..e quel desiderio di volergli offrire in dono un valore, per me sacro, da portare con sé!...Sarebbe stata la mia prima volta!... Invece ci siamo abbracciati con una tale dolcezza che ci faceva piangere. «Voglio ricordarti così, anche quando sarò al fronte», mi sussurrava. Con tanta affettuosa onestà (erano altri tempi...), ho trascorso il pomeriggio più penoso e più tenero della mia giovane età. Risento ancora la voce di un artigliere che bussava alla porta per invitarlo a bere un bicchiere: «Venga, venga con noi ...» «Più tardi, più tardi...» Ma, più tardi eravamo alla stazione, gremita di spose e di madri che stringevano i loro uomini singhiozzando e lui, ritto al finestrino della tradotta, già in moto, con lo sguardo fisso nei miei occhi tristissimi ... e, quel mai dimenticato saluto, mano alla visiera, che sarebbe stato l’“ultimo” perché...dalla guerra, non è tornato più! Invece, è tornato un certo signor Guido Pollini, venuto, espressamente, da Verona per parlarmi di lui, che era stato il suo comandante. Quella visita, inattesa, sembrava riaccendermi le aspettative. Già, a fine dicembre 1942, le lettere, provenienti dal fronte russo, erano bruscamente cessate mentre, le mie, tornavano al mittente con la scritta: “Respinte per eventi bellici”. Da quel momento, mi ero sentita invasa dai presentimenti più tristi. Il tempo passava lentamente 36


ed io capivo che doveva essere accaduto qualcosa di molto grave. Dentro di me si agitavano pensieri inquietanti; sentivo che il “primo amore della mia vita” non sarebbe più tornato! Rileggevo le sue lettere, che baciavo e bagnavo di lacrime. Le mie giornate erano piene di nostalgia. Ascoltavo, con apprensione, tutti i bollettini di guerra trasmessi per radio, riportanti: lo “sviluppo dell’offensiva russa”, l’“allineamento delle Armate Italiane sul Don”, “le marce di ripiegamento dell’“Armir”, ma nessun comunicato rispondeva alle attese del mio cuore, che voleva sapere, capire, essere incoraggiato. Ora, finalmente, la visita di questo signore mi poteva ridare la speranza che credevo perduta. Invece, dall’espressione eloquente dei suoi occhi, mi è apparso il disagio di dover affrontare un racconto doloroso. Le parole mi arrivavano da lontano. Tutto il mio essere si ribellava; non poteva e non voleva credere ciò che mi veniva riferito. Capivo, solo, che questo signore era un artigliere, appartenente alla “Divisione Pasubio” e che aveva vissuto, ora per ora, minuto per minuto, a stretto contatto con il “mio ragazzo”. Mi diceva che in un’isba abbandonata, dove si erano rifugiati, con altri fuggitivi, la notte di Natale, aveva raccolto le sue confidenze e pattuito che, nel malaugurato caso uno dei due fosse “mancato”, l’altro avrebbe dovuto portare, alle persone più care, “l’estremo saluto”. Così, ebbe inizio il racconto di quella terribile “ritirata”, di quella colonna lunga chilometri e chilometri, con migliaia di soldati che marciavano per intere giornate, in mezzo alla neve gelata... Poche ore di riposo notturno in qualche isba sperduta... soldati stanchi, scarsamente 37


equipaggiati, messi male per la fame, la sete e gli stenti... per la tormenta ed i quaranta gradi sotto lo zero! ... Soldati che si trascinavano, con i piedi semicongelati, calpestando, senza accorgersene, corpi sepolti nella neve... Uomini che, sfiniti, invocavano la morte; ... una moltitudine di gente sempre inseguita, dalle armate russe. ...Intanto, “radio Londra” comunicava che “centoventimila italiani erano rinserrati in sacche, senza possibilità di salvezza!...” Notizie da incubo sulla lunga colonna nella quale si erano infiltrati altri disperati, sofferenti e sottoposti a sforzi sovrumani, in mezzo a centinaia di morti assiderati! Questo il quadro di quella tragica “ritirata”, fattomi dall’artigliere sopravvissuto. Egli concludeva confidandomi, con le lacrime agli occhi, che, durante l’ultima disperata fuga, assieme ad un piccolo gruppo di soldati ed al “mio ragazzo”, il quale portava sulle spalle il suo capitano ferito, era arrivato presso un casolare abbandonato. All’esterno, solo una slitta carica di legna. Il mio ragazzo si era soffermato per scaricare, affrettatamente, la legna, così da poter adagiare sulla slitta il capitano... In quello stesso istante, sbucò un gruppo di russi armati alla cui vista seguì una fuga, disperata, dell’esiguo nucleo di fuggiaschi. Essi, al rumore di improvvisi spari, si voltarono per incitare alla fuga i due compagni, ma ... videro solo la loro fine impietosa!!! ... Un destino crudele perché, a qualche centinaia di metri, nascoste da quel casolare, anche per loro ci sarebbero state le retrovie italiane e la salvezza! *** 38


*** Quello fu, per me, un colpo tremendo; uno sconforto profondo! Mesi, mesi e mesi di dolore e di rimpianti; poi, si sa, la giovinezza ha avuto il sopravvento. Il destino mi ha fatto incontrare un nuovo amore e mi sono sposata con un sottotenente pilota, dal quale ho avuto quattro meravigliosi figli. Per una quindicina d’anni: un’unione perfetta! La famigliola viveva affiatata e felice. I ragazzi, due maschi e due femmine crescevano bene, educati ed affettuosi. Ma, improvvisamente, proprio quando è mancato anche mio padre, ho visto il mio matrimonio entrare in crisi, senza possibilità di poterlo salvare. Ci eravamo sposati in piena guerra, ancora ragazzi, immaturi e privi di esperienze concrete. Purtroppo, nel tempo, sono sopraggiunti gravi motivi, finiti con la separazione e, poi, con il divorzio. Ho sofferto il soffribile, ma non ho avuto tempo per le lacrime. Rimasta sola, con quattro figli, due dei quali ancora bambini, sono stata costretta a rimboccarmi le maniche e ad arrampicarmi sugli specchi, visto che l’amatissimo consorte, che aveva lasciato l’aeronautica per mettersi in proprio a Bologna era rimasto invischiato in una squallida relazione dalla quale ne era uscito, come si dice, “in totali braghe di tela”! ... *** Gli anni passavano. I figli maggiori, superati gli studi, incominciavano a consolidare le proprie esperienze amorose e, ormai, vagheggiavano il matrimonio; 39


mentre i più piccoli frequentavano ancora le scuole medie. Io, piena di pensieri e con pochi quattrini, mi ero buttata anima e corpo nell’insegnamento. Facendo “di necessità virtù” avevo anche aperto, a Bologna, due piccole scuole, che dirigevo contemporaneamente alla compilazione di una serie di “guide didattiche per insegnanti”. Sono stati cinque anni di gravi preoccupazioni e d’intenso lavoro notturno (otto volumi: cinquemilacentonovantasette pagine) che, però, hanno dato buoni frutti. L’idea delle “guide” era stata saggia. La Casa Editrice Atlas, di Bergamo, alla quale, per ovvi motivi, le avevo cedute “forfettariamente” mano a mano che venivano pubblicate, disponeva di una fitta rete di distribuzione sia in Italia che all’estero. Così, del tutto inattesa, mi è arrivata, da Losanna, la proposta di dirigere la scuola italiana, del più importante Liceo della Svizzera francese, nella quale erano state adottate le mie guide didattiche, considerate un’enciclopedia dell’insegnamento. Gran bel giorno quello della decisione di accettare l’offerta e di portare con me i due figli minori! Gli altri due, ormai indipendenti e giovani sposi, ci avrebbero raggiunto spesso. Mi piace sottolineare che le due piccole scuole di Bologna, allora cedute alla mia secondogenita, sono oggi, per suo merito, tra le più apprezzate della città. Ma torniamo a Losanna, dove il nuovo lavoro mi ha dato, per una decina d’anni, molte soddisfazioni. I miei due figli minori concludevano, con successo, gli studi e la mia vita subiva un’ulteriore svolta, dovuta all’incontro con un generale d’aviazione che, di lì a poco, sarebbe diventato il mio secondo marito. 40


Infatti, un giorno, all’uscita dall’aeroporto di Ginevra, ho incrociato un signore, alto e prestante, subito riconosciuto per aver assistito ad una sua decorazione al valore militare. Erano quelli gli anni felici di giovane sposa, quando vivere in un campo d’aviazione, esposto ai bombardamenti, non mi faceva paura ... Con qualche esitazione anche lui mi riconosce ... «Posso offrirle un caffè?» e m’invita al bar vicino. Subito il ricordo di quei tempi lontani si affolla nelle nostre menti; la conversazione diventa piacevole, tanto piacevole da proseguire per ben ventun anni, alcuni in Svizzera, altri in riviera ligure ... perché io con quel signore, alto e prestante, che aveva cinquantasette anni come me, mi sono felicemente risposata: vita tranquilla ed interessante; molti viaggi anche in paesi lontani; più volte in America, ecc... Per ventun anni, moglie fedele e serena fino alla sua morte, dovuta a complicazioni operatorie. Ed ora che ho ricordato, a grandi linee, le diverse tappe della mia vita, si possono intravedere meglio le inspiegabili trame di un destino che mi ha portato, complice un articolo commemorativo, ad incontrare un altro generale, anche lui valoroso aerosiluratore della II guerra mondiale ... Strano questo mio destino! Dopo la drammatica tragedia russa: tre ufficiali, tre piloti, tutti tre provenienti dalla stessa Accademia Aeronautica di Caserta. Ma ritorno ad oggi ed alla mia, se si può dire, ritrovata giovinezza... Gli scambi di visite, di telefonate e di lettere continuano. È così bello aprire la buchetta, scorgere subito la busta ormai nota e correre a leggere. A quanto pare la bella abitudine, di scambiare le proprie riflessioni per 41


lettera, è diventata rara. Non si scrivono più le lunghe lettere di un tempo, che manifestavano all’altro il proprio pensiero. Oggi tutti hanno fretta, usano “fax”, “messaggi sul cellulare”, “e-mail”: parole che sfuggono, che non vengono fissate sulla carta dando modo di leggerle e rileggerle, con commozione, come ho fatto questa mattina quando è arrivata la “sua”: *** “... I giorni, passati insieme, non hanno fatto che confermare l’intimo legame che si è stabilito tra noi, un legame di comprensione, di affetto, di desiderio, che, in breve, ha cambiato radicalmente la mia vita. Sarà forse l’età avanzata che mi fa gustare questa specie di rivoluzione sentimentale, con tutto il contenuto di affetto e di passione; ma te ne sei appena andata e già comincio a contare i giorni che mi separano dal prossimo incontro. La dolcezza della tua vicinanza mi avvolge, ancora, in un caldissimo abbraccio ed io mi lascio andare al ricordo della tua voce. Non posso più immaginare la vita senza di te! Meno male che ho dato le dimissioni al «Corriere dell’aviatore». Dopo dieci anni di assidua direzione ed un insanabile dissenso con il “gran capo”, ho preferito rinunciarvi. (Scusa lo sfogo.) Ora il pensiero più costante sei tu e ti confesso che, solo amandoti, ho imparato veramente ad amare.” *** La mia risposta è immediata: ... “Ti ringrazio per essere entrato, in modo così imprevedibile, nella mia vita e ti prego di farmi conoscere, 42


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