Cica mica bum e un pizzico di pepe

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medeo è proprio fortunato, perchÊ ha due genitori che gli regalano tutto ciò che desidera, lo fanno stare ogni giorno al bar, il sabato e la domenica lo portano in giro ovunque, ma soprattutto non gli dicono mai di NO. Insomma, gli sono capitati


come il regalo più bello che si possa ricevere a Natale. E per di più, sembra incredibile, Amedeo fu lui stesso un regalo di Natale per i suoi genitori, quando nacque il 25 dicembre alle ore 00:05 di cinque anni fa. Da quel giorno, la fortuna lo ha preso tra le braccia, cullandolo in un mondo meraviglioso pieno di SÌ. “Chi troppo e chi niente” verrebbe da pensare. Forse in questo caso la fortuna ha perso il controllo, tanto che Amedeo non ha nulla di un bambino di quasi cinque anni. Chi lo conosce – i vicini, le maestre, i compagni, disparati: «È un bambino fuori dal comune» «Un genio pazzo» «Superintelligente» «Un uomo in miniatura, il nano di un circo» «Vive in un mondo tutto suo» «Ah, il mio bimbo è un tontolone al suo confronto» «Quella è una famiglia strampalata» «In verità Amedeo ha dieci anni, subisce un ri8


tardo nella crescita» «Vorrei anch’io dei genitori così, che fortuna» «Macché! È tutta colpa loro». Certo, la lunga lista di caratteristiche insolite che contraddistinguono il piccolo Amedeo dipende anche dai suoi genitori, che soddisfano ogni suo desiderio, costruendogli intorno un universo fatto di nient’altro che SÌ. Ma per comprendere bene come stanno esattamente le cose, dobbiamo procedere con ordine.

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medeo ha quasi cinque anni e frequenta l’ultimo anno della scuola dell’infanzia M. Bignami, è nella classe dei leoni, però al suo arrivo era capitato nella classe degli elefanti. Là c’è una maestra tremenda, una scimmia urlatrice, che all’intervallo lo obbligava a mangiare la frutta, che non gli tirava l’acqua del water dopo la pipì, che non gli puliva le mani dopo il pranzo con le salviettine profumate, e che non gli diceva sempre di SÌ. I suoi compagni, poi, erano elefanti, grandi e grossi, «non proprio un esempio di eleganza», così il padre decise di andare dalla dirigente per 9


giorno dopo Amedeo era tra i leoni. Là c’è una giovane maestra, più gentile, più cala mano, che gli permette di disegnare quando e cosa vuole, che gli dà ragione quando capita una rissa, che gli dice sempre di SÌ. E la fortuna arriva anche a scuola. Amedeo è proprio fortunato! A casa la situazione va ancora meglio. Amedeo vive in una grande villa in mezzo a un enorme giardino, ha una camera gigantesca stracolma di giochi, un super televisore a LED con occhialini 3D e dorme in un letto a castello identico alla nave dei pirati ancorata al Porto Antico di Genova. Ah, per non fargli mancare niente ci stipata di libri illustrati e l’altra invasa dai dvd. A cinque anni, Amedeo sa già leggere molto bene, e se non legge, guarda i cartoni o i suoi ogiochi, detestati all’inverosimile dai suoi genitori: «Smanettare un joystick a infrarossi come un forsennato fa friggere il cervello». Papà Armando e mamma Donata sono avvocati, 10


passano gran parte del tempo in tribunale e, quando rientrano a casa, sono davvero stanchi e stralunati. Vanno a prendere Amedeo a scuola verso le cinque e mezzo del pomeriggio; l’hana lasciarlo a casa da solo. «Potrebbe farsi male!» Hanno tentato di assumere una baby-sitter, ma quando sono rientrati dopo una cena di lavoro e hanno visto Amedeo piangere, si sono arrabbiati talmente tanto con lei che l’hanno licenziata in tronco, senza sentire ragioni. «Noi la paghiamo per non far piangere nostro

leone non lo è: è alto un metro e cinque, e pesa dodici chilogrammi o poco più. È il bambino più piccolo e minuto della classe; in quanto a carattere, però, potrebbe assomigliare al peggior T-Rex esistente al tempo dei dinosauri. Altezza a parte, s’intende!

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Il dono di amedeo L

e altre maestre lo guardano sempre sconcertate. Tra tutte ce n’è una che Amedeo non sopporta proprio, quella di inglese. “È matta” pensa di lei. Quando esplode una rissa, siccome Anna è troppo giovane, al suo primo anno d’insegnamento, Miss Channel (il suo vero nome è Laura Canale) deve sempre intervenire per sistemare la situazione.


«Io so come prendere Amedeo». Lo strattona per un braccio e lo porta in malo modo nella saletta delle insegnanti. Mentre lei urla come una disperata, lui la guarda a occhi sgranati. Di fronte ha un mostro orribile, con occhi spaventosi, capelli di immondizia, denti marci e un alito fetido.

Amedeo ride, ma non ride con la bocca, ride dentro, sa chi ha davanti. Il nome Miss Channel lo fa proprio ridere dentro. Amedeo non si lascia ingannare, fa tesoro di ciò che gli dice sempre il padre: «Se ti chiedono di ripetere qualcosa, non farlo, vogliono solo stuzzicarti». «Pepe, mi senti?» L’insegnante va su tutte le fuDavanti a quel NO, pronunciato con tanta rabbia, Amedeo non ride più dentro, ma inizia a piangere e torna tranquillo in classe. «Eppure il bambino è intelligente, impara in fretta e, se lo sai prendere, è davvero diverten16


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erto, Amedeo è divertente, ancora di più se gli fai fare ciò che gli piace: leggere ad alta voce o raccontare storie. In questo è un vero fuoriclasse, dopotutto è l’unico a saper leggere. e, per saperlo fare, i libri devono essere suoi. Amedeo non sa leggere i libri degli altri. Quindi, se vuoi ascoltare una storia, devi stare al suo gioco. Altro problema. Amedeo legge solo il libro che vuole, non puoi sceglierlo tra quelli che porta con sé. Quindi, se sta leggendo il libro sui moschettieri del re, per esempio, devi ascoltare quello. Quel mattino Amedeo era alla scoperta di Il primo libro di Giannino Milton, una talpa scrittrice che viaggia sottoterra in tutto il mondo e vive meravigliose avventure. «Dai, Amedeo, ci leggi qualcosa?» Un invito che non si lascia mai sfuggire. «E va bene» dice sempre alzando gli occhi al cielo, tanto per dare il contentino. Legge alla classe solo le pagine che ha già letto prima nella mente, così può costruire la storia, 17


vivere prima le avventure e conoscere bene ogni dettaglio. Non legge agli altri ciò che non conosce, ha paura delle imboscate dei personaggi. Chiede sempre il silenzio prima di cominciare, e se Pietro non lo ascolta con attenzione, come sempre accade, si rivolge alla maestra: «Anna, quello là continua a parlare, mi distrae. O sta zitto o lo sbatti fuori». Pietro non ha affatto voglia di ascoltare Amedeo, e Anna è sempre costretta a promettergli di farlo giocare all’intervallo con gli aeroplanini di carta pur di farlo star zitto. E la lettura ha così inizio. Amedeo si alza con il libro in mano e dà il via al suo viaggio. Come legge Amedeo, nessuno lo sa fare. Quel giorno diventò Giannino Milton, parlava come la talpa; ai bambini sembrava quasi di vederla. Ame cambiava la voce e conosceva talmente bene il testo a memoria che scavava lunghe gallerie sotto la scuola. Andava sotto il banco e, quando tornava su, si trovava di fronte i pirati dei Caraibi con il corpo di lucertole, o un gruppo di lepri travestite da samurai. E Anna è sempre una principessa da salvare. 18


gne e, se nelle storie non ci sono che maschi, Amedeo vede nella sua classe solo i maschi, le femmine spariscono all’improvviso, volatilizzate. Ma Anna resta, lei c’è sempre. I compagni si divertono sbalorditi. Guardano tare, correre, atteggiarsi, recitare personaggi irreali, e per loro è come essere al cinema o a teatro. Alcuni partecipano veramente. Per Andrea, Amedeo è un mito. Altri, Pietro primo fra tutti, ridono a crepapelle prendendolo in giro dall’iniLa lettura di Amedeo dura quindici, venti minuti, dopo di che si ferma con un «Basta, sono lo, quello con la suspense, con la battaglia, con una ferita… lui si stoppa, chiude il libro e in un baleno tutto torna a essere com’era prima: una scuola. E Amedeo torna a essere Amedeo, che alla compagnia preferisce il proprio mondo, avvolto in una corazza da fare invidia a un armadillo gigante con cento denti. 19


Cica Mica BUM! L

a famiglia Pepe – Amedeo Pepe, Armando Pepe, Donata Coldarane in Pepe – inizia la giornata molto presto. Quando suona la sveglia delle sei e trenta, mamma e papà saltano giù dal letto e, a turno, iniziano i richiami per riquotidiana. Il primo richiamo è solo una prova per rischiarare la voce rauca del mattino, e spetta ad Ar-


mando. Poi il secondo è di Donata, il terzo anLa camera di Amedeo è al primo piano, in fondo a un lungo corridoio, chiusa da una pesante porta di legno massello. La voce dei genitori arriva a malapena al bagno, al termine delle scale, e comunque entrambi si ostinano a chiamarlo sei volte dalla cucina, al piano terra. Il settimo richiamo avviene a metà del corridoio e l’ottavo davanti alla porta della camera. Poi bussano due volte, abbassano con cautela la pesante maniglia, entrano in punta di piedi e cercano galeone. «Amedeo, dove sei? È ora di andare a scuola, svegliati!» Questa frase viene pronunciata almeno dieci volte dalla mamma. Solo quando si sentono le risate divertite di Amedeo che si contorce per fuggire al solletico del padre, è possibile aprisole. spada ti taglierà a metà in un solo colpo. Quel raggio magico non mi fa paura». 28


La battaglia tra Amedeo Occhio Bendato, capo dei pirati, e Armando Fuocoblù, demone infernale, dura soltanto dieci minuti, dal lunedì al venerdì, ma va avanti da almeno due anni. Poi, però, per colpa di Donata che puntualmente insmettete, salta la colazione al bar». La colazione al Bar Fontana è la tappa preferita di Amedeo, non tanto per il cappuccino e la brioche che non riesce mai a terminare, ma piuttosto per ciò che vede nei paraggi. Fino a due anni prima, quel bar era comodissimo, si trovava accanto all’altra scuola e a due ti di macchina lo si raggiungeva facilmente. Ma ora, dopo il trasferimento nella nuova scuola, le cose si sono complicate. L’istituto M. Bignami si trova in centro e il percorso sembra ancora più lungo a causa del traftappa immancabile. «Promettimi, papà, che andremo sempre al bar, altrimenti in quella scuola io non ci vado!» «Certo, te lo prometto!» «Promesso davvero?» 29


Quando Amedeo pronuncia quella parola, e non lo fa spesso, allora non vi è alcun dubbio che i suoi occhi stiano ammirando una vera meraviglia, qualcosa di mai visto e stupefacente. Cica mica bum è molto di più: la formula in codice che nega l’accesso al mondo segreto del piccolo Pepe.

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l giorno del suo primo compleanno, col naso appiccicato a un quadro astratto pieta recitò la strana frase Cica mica bum. Quel quadro riuscì a portarselo nella sua camera, d’ore. Dal passeggino lo aveva visto un mese prima esposto in una vetrina del centro, lo indileva che fosse suo. La parola non poteva ancora che lo rese un bambino davvero fortunato: «SÌ, va bene, lo dirò a Babbo Natale. SÌ». Che bel suono quel SÌ. Il suo primo SÌ. 34


«Cica mica bum!» rise dentro per la prima volta e fece capolino per la prima volta nel suo mondo speciale. «Cica… ci… ma… bum. Lo avrà pur imparato da qualcuno, no? Forse un cartone animato, una

Mentre tutti i bambini, o quasi, cominciano a parlare sillabando mam-ma-ma, papa-pa, lui disse «Cica mica bum» chiaramente, e le parole mamma e papà arrivarono con un leggero ritardo. Questione di priorità.

«

Cica mica bum!»

vavano buche e assemblavano lastre di metallo una accanto all’altra. C’erano omini vestiti di argento che formicolavano attorno a un’enorme struttura circolare luccicante, c’erano striC’erano tunnel profondi da cui sgorgavano cavi mastodontici. 35


Non E’ giusto A

medeo ha un’idea tutta sua di giusto e non giusto. Nelle vacanze di Natale, come regalo per il suo quinto compleanno, oltre a un vagone di libri, dvd e costruzioni, il padre lo portò a Milano al Museo di Storia Naturale. Salendo in metropolitana, Amedeo si accorse che tre sedili erano occupati dalle gambe di un signore che dormiva beatamente con un giorna-


le aperto sul viso. La carrozza era piena, mancava l’aria, eppure nessuno si degnava di far liberare i due posti. «Papà, quello è matto. Io voglio sedermi». «Ame, non vedi che è ubriaco? Lasciamolo in pace, anche le altre persone se ne sono accorte e preferiscono restare in piedi pur di non svegliarlo». «Papà, a me non importa se quello è ubriaco, lui non può occupare tre posti». Il piccolo Pepe non perse tempo, si avvicinò al signore e gli tolse il giornale dalla testa. Armando intervenne subito per allontanarlo, ma… «Scusa signore, svegliati, voglio sedermi e le tue gambe me lo impediscono. Sveglia, sveglia!» L’uomo era davvero ubriaco: «Si puòòò sapereee cos’haiii da urlareee?» «Se stai sdraiato occupi tre posti, io voglio sedermi». «E iooo vogliooo dormireee». «Dormi pure, ma sposta le gambe». Armando lo tratteneva: «Basta, stai esagerando, il signore non capisce». «È italiano, no? Non è giusto, io voglio il mio posto!» 54


«Sì, sì, e va beneee, smettila di fareee i capricciii, mocciosooo pidocchiooo». L’uomo spostò le gambe come fossero due macigni di marmo, bofonchiò qualche parolaccia e tornò a dormire. «Ha detto delle brutte parolacce, però è ubriaco e gli ubriachi sono matti. Siediti papà!» «Amedeo, c’è una signora lì in piedi che forse ha più bisogno di me di sedersi». «Neanche per idea, non è giusto! Se n’è stata a guardare e adesso vuole il posto? Poteva chiederlo lei all’uomo ubriaco. Lui dorme, non mangia le signore. E invece lo ha fatto fare a un bambino. No, no, quando si vuole una cosa, bisogna chiederla e basta. Io il posto l’ho chiesto per me e per il mio papà. Tra quattro fermate scenderemo e la signora potrà sedersi. I grandi sono matti. Tranne il mio papà» e rideva dentro come un pazzo. Ecco, Amedeo ha un’idea tutta sua di cosa sia giusto e non giusto.

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i grandoni della quinta A E

le settimane saltano come un sasso lanciato dalla riva a pelo d’acqua. Le classi dei leoni e degli elefanti attendono con ansia l’incontro con le quinte della scuola primaria. È ormai abitudine dell’Istituto M. Bignami far conoscere ai propri alunni dell’ultimo anno il loro futuro scolastico. Anna è emozionatissima: «Bimbi, noi leoni andremo a trovare i grandoni di quinta A che ci ac-


compagneranno a visitare la scuola, ci racconteranno la loro esperienza e vedrete la vostra futura classe: la prima A. Siete contenti?» Tutti rispondono con un SÌ di entusiasmo, l’unico NO a distinguersi dal coro esce annoiato dalla bocca all’ingiù di Amedeo. «Che barba stare a sentire un gruppo di ragazzini che odiano la scuola, eppure cercano di convincerti che è la cosa più bella del mondo. Solo per far contente le maestre! Giorgio ha il papà che fa il notaio e mia mamma lo conosce benissimo. Lui è una schiappa, non ha voglia di studiare, legge da incubo e vuole solo fare il calciatore. E io me lo ritroverò a fare il saputello. No, io non ci vengo!» «Come non vieni, Amedeo! E noi come faremo a vantarci di essere la classe più in gamba dell’Infanzia senza il nostro narra-leggi-storie Pepe? Gli elefanti non hanno un compagno così speciale come te». Anna è al suo primo anno di insegnamento, è gentile, è troppo buona, ma sta imparando a essere molto molto furba.

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a scuola primaria non è molto distante, pochi minuti a piedi e si arriva di fronte al portone di legno. che dà la mano alla maestra, e subito dietro Pietro che si lamenta in continuazione: «Non è giusto, sempre lui per primo». All’ingresso, i bambini della quinta A accolgono i leoni con un grosso applauso. Amedeo ride dentro e, quando vede Giorgio, ride dentro ancora di più. Dopo una veloce presentazione, si va subito nell’aula di disegno. Là, ogni bambino della quinta A. Tutti i leoni maschi hanno un tutor maschio, Amedeo invece si ritrova una tutor femmina. «Non è giusto…» ripete più volte. I bambini ridono divertiti. «Amedeo, nessun maschio ti vuole» lo stuzzica Pietro. «Tu, taci, che hai Giorgio come tutor!» risponde scocciato. Vorrebbe ridere dentro, ci sarebbe molto da ridere dentro, però è troppo arrabbiato, so63


prattutto con Anna che non lo sta difendendo e chiacchiera con la vecchia maestra di quinta. «Io me ne vado». «Ehi, ehi, resta qui. Mi chiamo Stefania» si presenta la tutor. «Lasciami in pace!» «Tu sei quello che legge bene e fa tanti viaggi con la fantasia?» «Che ne sai tu?» risponde Amedeo con lo sguardo basso e il tono seccato. Stefania non si arrende: «Anch’io, sai, leggo un sacco e mi piacerebbe molto ascoltarti». Poi gli sussurra all’orecchio destro: «Ti rivelo un segre«Mmm… Cica mica bum!» Amedeo non è più scontento di avere una tutor femmina, forse l’esperienza alla scuola primaria non è poi così male.

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nfatti, il primo incontro con la quinta A va

Il piccolo Pepe è protagonista assoluto e sfoggia le sue abilità di ottimo lettore, mettendo in scena le mirabolanti avventure della talpa scrit64


trice Giannino Milton. I grandoni di quinta lo ascoltano meravigliati, spalancano la bocca in una grossa O e non riescono a spiegarsi come un bimbo di appena cinque anni sia capace di leggere così bene. Stefania è entusiasta di essere la sua tutor: «Sei un genio!» gli dice sottovoce. «Macché, genio io? – si interrompe Amedeo. – Mozart era un genio, sapeva suonare benissimo il piano a cinque anni. Me lo ripete sempre il «Dai, continua» lo pregano tutti. Amedeo ha tra le mani il ciondolo d’oro con al punto di combattere contro le guardie del dio Anubi, quando dal fondo della classe arrivano scatto e si blocca immediatamente: «Continuo la prossima volta, sono stufo». «Amedeo, cosa ti salta in mente? Non puoi lasciarci così!» «Be’ non è un problema, basta comprare il libro» dice lui spavaldo. «Ma non è la stessa cosa. Tu sei bravissimo!» lo incoraggia la tutor. 65


Dal fondo della classe interviene Giorgio, men«Che scatole questo Giannino Milton, è roba da bambini dell’asilo». Amedeo prende la palla al balzo, anche se nel gioco del pallone è una schiappa: «Ah sì? Allora leggici qualcosa tu!» «No, non… non ho voglia» balbetta Giorgio. «Vero che vogliamo sentirlo leggere qualcosa da grandi?» insiste Amedeo, ridendo dentro come un pazzo. Tutti i bambini rispondono di sì e la maestra di pagina delle Avventure di Peter Pan per evitare dei leoni. Una lettura da mettersi le mani nei capelli. E dimento, purtroppo non legge mai e il risultato si sente. La quinta A rimbomba dalle risate, Amedeo è steso a terra e non riesce a calmarsi, Pietro si vergogna da morire e Giorgio scappa in bagno piangendo a dirotto. 66


pianti e risate. E Amedeo pensa: “la prima non sarà poi tanto male!”

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ora tocca a voi !


postfazione per genitori e insegnanti

“Una mamma e un papĂ che lo proteggono con le unghie e con i denti, che lo preservano da qualsiasi dolore e che gli spianano, come due vere ruspe bulldozer apripista, ogni ostacolo sulla strada della crescitaâ€?. 156


Ora avete torto. Non è questo che più stanca. È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalTirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli”. (Janusz Korcsak) Dott.ssa Maristella Bersani Psicologa clinica

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