Prezzo di copertina € 2,40 - giugno-luglio 2015 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012
Attualità
Dossier
Fatti
200 anni
P. Gnemmi inizia il secondo mandato come provinciale
San Salvador in festa per la beatificazione del ‘suo’ martire
Campi estivi in Repubblica ceca con i Missionari OMI
La gioia della vita in comunità
MISSIONI
RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA
OMI
n. 6/7 GIUGNO-LUGLIO 2015
BEATIFICATO MONS. ROMERO
difensore degli emarginati
SOMMARIO MISSIONI OMI Rivista mensile di attualità fondata nel 1921 Anno 22 n.06/07 giugno-luglio 2015
attualità
La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250
San Silvestro al Quirinale
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Una missione a tutto campo
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di Fabio Ciardi OMI a cura della redazione
EDITORE
Provincia d’Italia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata Via Egiziaca a Pizzofalcone, 30 80132 Napoli
In missione dal “Re dei giochi”
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Notizie in diretta dal mondo oblato
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di Angelica Ciccone
news
REDAZIONE
Via dei Prefetti, 34 00186 Roma tel. 06 6880 3436 fax 06 6880 5031 pax1902@gmail.com
a cura di Elio Filardo OMI
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Mgc news
DIRETTORE RESPONSABILE
Pasquale Castrilli REDAZIONE
fatti
Salvo D’Orto, Elio Filardo, Gianluca Rizzaro, Adriano Titone COLLABORATORI
Claudio Carleo, Giovanni Chimirri, Fabio Ciardi, Gennaro Cicchese, Angelica Ciccone, Luigi Mariano Guzzo, Thomas Harris, Luisa Miletta, Sergio Natoli, Michele Palumbo
Worship, lavoro ed evangelizzazione
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di Angelica Ciccone
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Il “Si” di Peppino di Marta Covella
PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE
missioni
Elisabetta Delfini STAMPA
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Lettere al direttore
Tipolitografia Abilgraph - Roma
Lettere dai missionari
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FOTOGRAFIE
Qui Ciad, Qui Thailandia
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Si ringrazia Olycom www.olycom.it UFFICIO ABBONAMENTI
Via Tuscolana, 73 00044 Frascati (Roma) tel 06 9408777 - Valentina Valenzi rivista.missioni.omi@omi.it Italia (annuale) Estero (via aerea) Di amicizia Sostenitore
dossier
DOSSIER
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19 euro 40 euro 38 euro 70 euro
Da versare su cc p n. 777003 Home Banking: IBAN IT49D0760103200000000777003 intestato a: Missioni OMI Rivista dei Missionari OMI via Tuscolana, 73 00044 Frascati (Roma) Finito di stampare maggio 2015 Reg. trib. Roma n° 564/93 Associata USPI e FESMI www.missioniomi.it www.facebook.com/missioniomi
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foto di Giovanni Chimirri, gio.chimirri@gmail.com testo di Luisa Miletta, luli89@libero.it
UNA FOTO PER PENSARE
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Tempo di mare e di granite al limone, per dirla alla Carmen Consoli. L’estate è un tempo per noi, per le nostre esigenze, per riformulare i nostri desideri, per dare sollievo al corpo e alla mente stanchi dell’inverno; è un tempo per il nostro tempo. Un tempo per guardare il mare e affidargli le fatiche e gli affanni dell’anno dentro una bottiglia di vetro chiusa con un tappo di sughero, per tuffarsi nel blu e respirare infinito, per lasciare che le onde cullino i pensieri leggeri, per ascoltare il silenzio di un tramonto, quando le barche sono ormeggiate, il cielo si dipinge d’arancio e il sole, specchiandosi sul mare ci dice che il tempo è un dono di Dio da non sprecare. 28
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editoriale di Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com
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Un uomo e il suo popolo A
Ciudad Barrios la festa scoppia improvvisa. È il 3 febbraio di quest’anno e da poco si è appresa la notizia del riconoscimento del martirio di Oscar Romero Galdámez. Il suo figlio più amato e conosciuto, il vescovo Romero, sarebbe stato presto dichiarato beato, esempio e modello per tutta la chiesa cattolica. Siamo a 150 km da San Salvador capitale di El Salvador, nella cittadina dove il 15 agosto 1917 nasceva il martire. La gioia, dei circa 25mila abitanti è genuina, incontenibile. Nelle strade, al mercato, la notizia corre senza sosta. “Lo ha detto il papa. Adesso è vero!” una delle frasi più ascoltate. Un popolo si riconosce nel sacrificio di un sacerdote, barbaramente ucciso da assassini della sua stessa religione. Le campane dell’unica parrocchia della città suonano a distesa a mezzogiorno, perché tutti, ma proprio tutti devono sapere la buona notizia. Era il 24 marzo 1980 quando il vescovo veniva trucidato sull’altare, dagli “squadroni della morte” mentre celebrava la messa nella cappella di un ospedale. Un delitto che, a suo tempo, colpì tutti per la sua violenza e che ancora oggi lascia sbigottiti. Quel giorno è stato proclamato il giorno dei martiri, di quanti hanno pagato con il sangue la fedeltà a Cristo e la denuncia delle ingiustizie. E ogni anno il
24 marzo si prega per la chiesa missionaria e per i martiri che continuano ancora oggi a benedire la vita della chiesa. Il cortile della chiesa parrocchiale a Ciudad Barrios si è riempito di gente, nel pomeriggio di quel 3 febbraio. Sono state accese 35 candele rosse in ricordo dei 35 anni trascorsi da quel delitto. «Uno di noi da pregare» dice un membro del Museo Monseñor Romero luogo simbolo di questa città, che aggiunge: «Adesso dobbiamo riconoscere il merito e pregare, senza attaccare nessuna bandiera politica a questa vicenda. Doveva essere un papa latino a darci questa gioia». E la musica salvadoregna si è accesa nelle case e nelle strade a sottolineare la gioia di questa cittadina che oggi è la gioia di tutta la chiesa, di quanti sentono che la fede è un dono, che Dio ama i poveri e spinge verso di loro. La beatificazione di Romero è la fine di infinte strumentalizzazioni della figura di questo vescovo, la liberazione da caricature che hanno appesantito la sua memoria rallentando il cammino verso gli altari. Sabato 23 maggio, giorno ufficiale della beatificazione, è stata una data attesa a San Salvador e, in realtà, in ogni angolo del pianeta. Questo giorno, d’ora in avanti memoria liturgica del nuovo beato, ricorderà per sempre l’amore di uomo per Dio e per il suo popolo. n
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lettere al direttore
MISSIONI
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Premiato un progetto sociale in Congo Il progetto sociale Petite Flamme che p. Giovanni Santolini aveva iniziato con noi negli edifici abbandonati della scuola italiana a Kinshasa, ha ricevuto il premio per la dignità dell’uomo della fondazione Roland Berger. È un premio molto prestigioso. Il ministro degli esteri tedesco, FrankWalter Steinmeier, ha tenuto la laudatio e Romano Prodi, ex presidente della Commissione europea, ha consegnato il documento. La cerimonia, che si è svolta il 29 aprile al Jewish Museum di Berlino, è stata trasmessa in
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livestreaming sul sito www.rolandbergerstiftung. org. Il tema è stato il problema dei rifugiati, molto attuale dopo gli ultimi eventi nel mediterraneo. Davvero il messaggio cristiano dell’amore al prossimo è risuonato forte in quel momento. Petite Flamme è emersa come una
iniziativa che risolve il problema dalla radice, cioè aiutando bambini e giovani ad imparare a vivere una vita dignitosa nel proprio paese. Petite Flamme prova a prevenire, infatti, la fuga dal paese, cercando di dare ai bambini (ormai oltre 2000) la possibilità di una esistenza dignitosa. Romano Prodi ha fortemente sottolineato questa necessità di risolvere il problema alla radice, cioè di ottenere la pace con l’intervento di tutta la comunità internazionale. Siamo stati premiati assieme a due organismi che lavorano in vari campi. P. Giovanni ne sarà certamente contento. Monika-Maria Wolff Kinshasa, Congo
Mario Borzaga. Verso la beatificazione Da una chiara nota della Sala stampa vaticana del 6 maggio 2015, dal notiziario della Radio vaticana e da altre fonti di informazione abbiamo appreso la notizia che la chiesa intera, ma specialmente quella che è in Trento e la congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, attende da anni: P. Mario Borzaga OMI e il catechista Paolo Xyooj saranno proclamati Beati. La provincia, la missione del Laos, la congregazione e la chiesa, gioiscono per questi due nuovi martiri, che vanno ad arricchire la moltitudine di coloro che sono stati uccisi per amore di Cristo
MARIO BORZAGA OMI E PAOLO THOJ XYOOJ, CATECHISTA
e della Chiesa. Dopo il voto unanime dei teologi, dato il 27 novembre 2014, è giunto il 5 maggio 2015, quello definitivo del Congresso dei cardinali, con l’immediata conferma da parte di papa Francesco, che nel pomeriggio ha firmato il Decreto riguardante “il martirio dei Servi di Dio Mario Borzaga, sacerdote professo della congregazione dei Missionari Oblati della Beata Maria Vergine Immacolata, e Paolo Thoj Xyooj, laico catechista, uccisi in odio alla fede in Laos nel mese di aprile del 1960”. Il prossimo passo sarà dunque la solenne beatificazione. La domande che tutti si pongono sono: quando? come? dove? Le
Un passaggio atteso da molti quello dello scorso 5 maggio quando il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza privata il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei santi, autorizzando la Congregazione dei santi a promulgare il decreto riguardante “il martirio dei Servi di Dio Mario Borzaga, sacerdote professo della Congregazione dei Missionari Oblati della Beata Maria Vergine Immacolata, e Paolo Thoj Xyooj, laico catechista, uccisi in odio alla fede in Laos nel mese di aprile del 1960”. P. Mario Borzaga era nato a Trento il 27 agosto 1932. Dopo gli anni nel seminario diocesano, a 20 anni entra nella congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Il 24 febbraio 1957 è ordinato sacerdote. Riceve l’Obbedienza per il Laos il 2 luglio 1957 e il 31 ottobre salpa da Napoli con il primo gruppo di Missionari Oblati italiani. P. Mario, con i suoi 25 anni, è il più giovane della spedizione. A Paksane, piccola città in riva al fiume Mekong, non lontana dalla capitale Vientiane, il Servo di Dio trascorre il primo anno dedicandosi allo studio del laotiano, per entrare il più presto possibile in contatto con la gente cui poter annunciare la Buona Notizia. Verso la fine del 1958 raggiunge la comunità cristiana del piccolo villaggio Hmong di Kiucatiàm. Domenica 24 aprile 1960, dopo la messa, alcuni Hmong gli si fanno incontro rinnovandogli la richiesta di recarsi al loro villaggio di Pha Xoua, che è a tre giorni di marcia. Il giorno dopo, lunedì, p. Mario s’incammina accompagnato dal catechista Paolo Thoj Xyooj. Da quel viaggio non faranno più ritorno. Le ricerche intraprese in seguito alla scomparsa non daranno alcuna risposta. Le testimonianze raccolte fin dall’inizio, con quelle pervenute soprattutto in questi ultimi anni, confermano l’uccisione dei due per mano del Pathet Lao. risposte richiedono un attento discernimento, innanzitutto in vista di una buona ed efficace preparazione spirituale e pastorale e la celebrazione in tempi e luoghi da stabilire. A questo scopo
faremo al più presto i dovuti passi. Gloria a Dio: Te Deum laudamus! Con la Madonna cantiamo il Magnificat, in attesa della grande festa! p. Angelo Pelis OMI Vice postulatore
Siamo qui
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cartolina missionaria
La Roma di sant’Eugenio/5
San Silvestro al Quirinale dimora romana di sant’Eugenio M ai visto la Madonna della catena? È una stupenda tavola del 1200 riproducente la Virgo lactans (la bizantina Galaktotrophousa), la Madonna che allatta Gesù Bambino. Ha preso questo nome perché si racconta che tra il 1646 e il 1650 un giovane uscito di senno, tenuto in ceppi per due anni, fu guarito dalla sacra immagine, presso la quale lasciò come ex voto la catena che lo aveva avvinto. Vale la pena entrare nella chiesa di san Silvestro al Quirinale anche solo per contemplare questo capolavoro. La chiesa rimane fuori del giro turistico e apparentemente è inaccessibile. Si trova sulla strada che da piazza Venezia porta al Quirinale. Una chiesa piuttosto bizzarra, con una bella facciata… ma puramente ornamentale, senza porta d’entrata. La cosa è dovuta al fatto che nel 1877, quando il Quirinale, che fino alla conquista di Roma da parte dei Piemontesi era stato la sede del papa, divenne la reggia del re d’Italia, la strada che passava davanti alla chiesa fu allargata e abbassata, tagliando la parte frontale. La chiesa è rimasta così “per aria”, nove metri più in alto rispetto al livello stradale. Per entrare occorre suonare alla casa dei Padri della Missione, entrare nel loro appartamento, e da lì in chiesa.
Se sommiamo i soggiorni romani, il fondatore degli OMI vi ha abitato per più di un anno… di Fabio Ciardi OMI ciardif@gmail.com
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Fu il punto di approdo di sant’Eugenio quando venne a Roma la prima volta, nel 1825, per chiedere al papa l’approvazione della sua Regola. Scelse di abitare con i Padri della Missione per essere più vicino alla casa del papa, il Quirinale, appunto. «Alloggio a S. Silvestro, presso il palazzo del Quirinale - scrive il 26 novembre 1925, appena arrivato a Roma -. È il noviziato e lo studentato dei missionari di S. Vincenzo de’ Paoli». Era contento di avere insieme «l’altare e la mensa», e anche di trovarsi proprio in mezzo ai figli di quel san Vincenzo de’ Paoli, che amava in un modo tutto particolare: era uno dei santi che lo avevano ispirato nella fondazione dei Missionari di Provenza. Si trovò bene in quella casa e in quella chiesa, al punto che vi ritornò altre tre volte, nei successivi viaggi a Roma. Dalla sua stanza aveva una meraviglio-
sa vista su Roma: «Sono contento del bello spettacolo che scopro dalla mia finestra da dove spazio su tutta la città vedendo davanti a me (…) i giardini di Palazzo Colonna; di fronte, a poca distanza, le cupole del Gesù e di altre chiese; un po’ più lontano S. Andrea della Valle; a sinistra la Colonna Traiana, a poca distanza da lì il Campidoglio, a destra S. Ignazio, il Collegio Romano e l’osservatorio; più lontano la Colonna Antonina, Montecitorio, piazza del Popolo e tanti altri notevoli edifici; al di sopra di tutto questo bel Vaticano e questa incomparabile cupola di S. Pietro: tutta la città insomma» (Diario, 13 dicembre 1825). Non proprio tutto era perfetto in questa casa, per esempio la cucina. «Nonostante ogni sforzo - scriveva all’amico p. Tempier -, non posso mandar giù l’olio pessimo in uso a Roma. Durante le Quattro Tempora si osserva lo stretto
magro con proibizione di uova e latticini, ed io ho ringraziato il Signore di non essermi avvicinato a quell’olio orrendo, contentandomi a pranzo di un pezzo di pesce bollito su cui ho spremuto mezzo limone» (18 dicembre 1825). In compenso la conversazione con i religiosi della casa lo edificava: «Ho fatto la ricreazione con p. Collucci, uno dei nostri Lazzaristi, di 74 anni. Gliene avrei dato sessanta. Non posso esprimere quanto sia stato edificato dalla sua bella semplicità, dalla bellezza della sua anima e dai sentimenti che esprimeva con ammirevole dolcezza. (…) Mi diceva che ciò che l’ha sempre sostenuto era la pace d’animo di cui aveva la gioia di godere nel suo santo stato e che tutti i giorni ringraziava Dio della sua vocazione. Avevo già notato la carità con cui, tutti i giorni, era pronto ad andare al confessionale e i suoi modi rispettosi verso tutti. Credo che questo prete sia un grande servitore di Dio. Mi diceva anche che ciò che contribuiva di più alla sua felicità era ricevere tutto dalle mani di Dio» (6 dicembre 1825). Sant’Eugenio tornò altre volte a vivere in questa casa. Particolarmente intensi i giorni che vi trascorse in occasione della sua consacrazione episcopale, avvenuta proprio nella chiesa di san Silvestro il 14 ottobre 1832. In quel periodo assaporò «con soddisfazione il silenzio e la pace che regnano attorno», e occupava gran parte del suo tempo in preghiera, stando su «una piccola tribuna che si affaccia sull’altare del Santissimo». San Silvestro al Quirinale: la casa e la chiesa romana di sant’Eugenio. Se sommiamo tutti i suoi soggiorni, vi ha dimorato per più di un anno. Qui ha lavorato per l’approvazione del suo Istituto, ha scritto tra le lettere più belle e un diario fitto nel quale racconta nei minimi particolari visite, incontri, stati d’animo. n
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attualità
Intervista a p. Alberto Gnemmi, che rilancia l’impegno di evangelizzazione dei Missionari OMI della Provincia Mediterranea
Una missione a tutto campo a cura della redazione
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ntusiasmo e realismo. Sono senz’altro due qualità di p. Alberto Gnemmi, 51 anni, nominato superiore provinciale della Provincia Mediterranea dei Missionari Oblati di Maria Immacolata per un secondo triennio. Lavoro di animazione e servizio non proprio facili, considerando la vastità numerica e di presenza territoriale dei missionari che appartengono a questa nuova unità giuridica che ha iniziato a muovere i primi passi proprio tre anni fa, il 21 maggio 2012. Missioni OMI ha già raccontato dell’Assemblea provinciale
svoltasi a Sassone di Ciampino (Roma) dal 10 al 13 febbraio. Partiamo proprio da quell’incontro. Quali erano gli intenti principali dell’Assemblea 2015 della Provincia Mediterranea? Il nostro incontro si poneva a conclusione del triennio ‘ad experimentum’ della nuova Provincia Mediterranea e al termine del primo mandato dell’Amministrazione provinciale. Come Oblati della Provincia Mediterranea abbiamo provato a rileggere il percorso fatto come famiglia missionaria e ad intravedere i passi compiuti, quelli da attuare, le priorità da perseguire per attuare il carisma del
nostro Fondatore. A che punto siamo nel cammino di integrazione tra le ex province oblate di Italia e Spagna? Solo qualche anno fa l’unificazione ci sembrava un sogno; ora abbiamo costatato di essere già al termine di tre anni di cammino, intenso e fecondo. Desidero evidenziare alcuni elementi che hanno favorito il percorso della nuova Provincia: in primis, una conoscenza maggiore tra gli Oblati con il conseguente venir meno di pregiudizi e scetticismi; il lavoro concorde all’interno del Consiglio provinciale; un cammino condiviso per la formazione primaria e permanente degli Oblati; l’interscambio del personale tra le di-
verse Unità della Provincia; il lavoro della Procura per le Missioni Estere, capace di proporre progetti sui quali interagiscono le comunità sia spagnole che italiane; non ultimo, “la comunione dei beni economici” delle due ex province. La Provincia Mediterranea, nata nel maggio 2012, sta vivendo la sua avventura di unità in termini positivi, con l’assunzione da parte dei membri di una nuova consapevolezza, che favorisce il superamento di visioni ecclesiali ristrette di stampo nazionale o legate nostalgicamente alle storie delle ex province oblate, assumendo uno spirito più evangelico, in sintonia con i tratti di una famiglia religiosa missionaria.
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Giovani in visita alla casa dei martiri oblati spagnoli a Pozuelo (Madrid)
Quali indicazioni daresti oggi agli Oblati della Provincia Mediterranea? Ci sono delle priorità che vanno perseguite, sulle quali dobbiamo convergere come corpo apostolico per contribuire all’evangelizzazione cui è chiamata tutta la Chiesa. Il carisma ci spinge a cercare nuove strade per raggiungere i lontani, coloro che oggi sono distanti dalla fede. Dobbiamo avere coraggio, dobbiamo osare nel giocare le nostre energie umane, le nostre forze spirituali e speranze per l’annuncio del Vangelo. Cosa richiede il momento presente a noi Oblati della Provincia Mediterranea, anche se presenti in luoghi e contesti ecclesiali tanto diversi? Lasciarci ispirare dal carisma, vivere del vangelo e raccontarlo a quanti cercano un senso e chiedono speranza per la loro vita, avvertendo di essere dei poveri, bisognosi di salvezza, ossia di Dio. I Missionari OMI si apprestano a celebrare i 200 anni di fondazione… Il 200mo della nostra fondazione è una grazia che va accolta per assaporare quello che Dio ha operato attraverso la nostra congregazione dentro e fuori la chiesa. E’ occasione per prendere coscienza della nostra chiamata, con-
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sapevoli di essere seme per una testimonianza che è quella cristiana, che proclama la carità come vertice di un umanesimo che è specchio del volto del Dio del Vangelo. Prendiamo coscienza che una nuova responsabilità ci attende, una nuova passione dobbiamo coltivare. Questo tempo di preparazione ai duecento anni della fondazione ci deve trasmettere speranza, darci la consapevolezza che questa storia non è conclusa, perché la congregazione è viva, perché ci siamo noi, c’è la nostra nuova provincia, così come ci sono altre unità oblate in espansione. Dobbiamo sentire nelle nostre vene il desiderio di non smettere di esprimere una storia audace, che ha bisogno di almeno tre cardini tematici per essere sostenuta: una spiritualità del vangelo, ossia della Parola; uno spirito di profezia, a partire dalla nostra vita di fraternità in comunità nel segno della “spiritualità di comunione”; la consapevolezza dell’attualità del carisma, che trova consistenza nel ministero di annuncio di Gesù e della salvezza cristiana. Nel prossimo anno la congregazione oblata vivrà anche il Capitolo generale. Il bicentenario della fondazione della
Il carisma ci spinge a cercare nuove strade per raggiungere i lontani, coloro che sono distanti dalla fede nostra famiglia religiosa riceverà un sigillo particolare con la celebrazione del 36mo Capitolo generale. Rappresenta un’altra pagina importante di diario della storia oblata, a testimonianza che i due secoli di storia non sono acqua passata e da archiviare con criteri ispirati da una benevola storiografia, ma un avvenimento vitale, carico di speranza, perché segnato dalla fede e dalla carità evangelica di tanti Oblati e da una moltitudine di uomini e donne coinvolti dal carisma di sant’Eugenio de Mazenod. Sono sempre numerosi i laici e i giovani che condividono il carisma oblato.
attualità
Francesco ai laici “Consapevoli del dono ricevuto”
Siamo nel cuore dell’Anno della Vita consacrata, che, iniziato lo scorso novembre si concluderà il 2 febbraio 2016. Nella parte finale della lettera del 21 novembre 2014, papa Francesco, oltrepassando i confini degli Istituti di Vita consacrata, si rivolgeva ai laici che con i consacrati “condividono ideali, spirito, missione”. A loro l’incoraggiamento a vivere quest’Anno “come una grazia che può rendervi più consapevoli del dono ricevuto”, da celebrare con tutta la “famiglia”. “In alcune occasioni - scriveva il Santo Padre - quando i consacrati di diversi Istituti si incontreranno tra loro, fate in modo di essere presenti anche voi come espressione dell’unico dono di Dio”. Francesco parla a tutto il popolo cristiano, perché “prenda sempre più consapevolezza del dono che è la presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno fatto la storia del cristianesimo”. L’Anno in corso è occasione per esprimere gratitudine per i “doni ricevuti e che tuttora riceviamo” grazie alla santità dei Fondatori.
La fede dei giovani ci sta a cuore, qualunque sia il nostro ministero. Dobbiamo provare ansia per la realtà giovanile e per il fatto specifico delle vocazioni, particolarmente per quella religiosa e sacerdotale, strettamente legata alla realtà della famiglia. E’ priorità per noi: il nostro futuro dipende da questo aspetto dell’evangelizzazione. I laici associati sono componente significativa della nostra famiglia. I laici hanno il compito di mostrare l’evangelo della salvezza là dove vivono, per questo sono missionari a pieno titolo. Non possiamo, come Oblati, sentirci solo dei formatori o dei semplici accompagnatori spirituali. Dobbiamo ‘sdoganare’ i laici, perché siano consapevoli della loro missione di testimonianza nella società della verità cristiana, soggetti attivi negli ambiti dove vivono (famiglia, lavoro, quartiere, scuola…), ma anche maturi nel partecipare all’opera di annuncio della fede cristiana. La chiesa sta vivendo un anno dedicato alla Vita consacrata. Come vedi la Vita consacrata oggi? Si dice che la Vita religiosa è in crisi e che forse non rimarrà che una piccola
traccia nella chiesa da qui a poco tempo. Intanto, è proprio della logica del “Regno che cresce”, così della realtà profetica cui sono chiamati i religiosi, essere lievito, ossia “poca cosa”; ma anche senza dimenticare che Dio è imprevedibile nell’intervenire nella storia: con lui le pietre possono diventare pane. In secondo luogo, la Vita religiosa non verrà meno, finché avremo fede, lasciandoci tenere per mano dal seminatore, mettendo da parte le logiche della mondanità, del lassismo spirituale, della nostalgia per un “regime di cristianità” che non c’è più e che forse era anche poco cristiano - sapendo godere della presenza del “Dio vivente” in mezzo a noi, della bellezza ineguagliabile del cristianesimo che la nostra vocazione battesimale e il carisma ci permettono di sperimentare. Mi sembra che la vita religiosa, se qualcosa ha ancora da dire, lo possa esprimere con la sempre nuova e creativa “spiritualità di comunione”, intesa come capacità di incontrare gli altri, avendo dentro l’incontro con il Signore della storia. Incontrare gli altri con la stessa umanità con la quale il Risorto si fa percepire con la sua
bontà e misericordia nella nostra anima, offrendo gioia e speranza. È in linea con lo stile che papa Francesco sta dando alla chiesa dei nostri tempi… Sempre più si parla della “Chiesa di Francesco” e sempre più avvertiamo che la chiesa deve avere i tratti che il papa indica. Un papa che parla indubbiamente a noi Oblati, missionari dei poveri, invitandoci ad andare verso le periferie del mondo, a svegliare il mondo, perché profeti, fino a ricordarci che “la testimonianza profetica coincide con la santità”. Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, il papa sottolinea che la chiesa deve saper attrarre per la gioia che mostra nel vivere il Vangelo, offrendoci la chiave per “stare nella vitalità vocazionale” a fronte di stanchezze, scoraggiamenti ed esperienze di fragilità nella fede che si riscontrano in tanti uomini e donne di chiesa. Solo mettendo al centro l’evangelo, noi religiosi possiamo scommettere sulla nostra fedeltà appassionata per Dio, per Gesù, rendendo così una testimonianza che può “svegliare il mondo”, facendolo riflettere su Dio, aiutandolo ad aprirsi alla ricerca della verità cristiana. n
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attualità
In missione dal
“Re dei giochi” Il gioco degli scacchi richiede impegno, sacrificio, volontà, passione e dedizione. Come la Vita consacrata di Angelica Ciccone angelica.ciccone@gmail.com
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blato per vocazione, scacchista per passione. In molti conoscono l’eclettismo di p. Gennaro Chicchese, sacerdote da 26 anni, oblato da 32. Teologo, autore di diversi volumi e saggi, musicista compositore, appassionato di tennis, vive la sua missione tra l’Italia, dove insegna Antropologia filosofica alla Pontificia Università Lateranense, e il Senegal, in qualità di visiting professor al Centro St. Auguatin di Dakar. Approfittando della sua vittoria, lo scorso dicembre, alla Clericus Chess International, il campionato mondia-
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Alla scoperta di un pianeta nuovo, di un’esperienza divertente che unisce memoria e creatività, fantasia ed estetica le di scacchi per sacerdoti e religiosi, vogliamo saperne di più della passione per questo gioco antico e affascinante, riconosciuto come sport dal Comitato Olimpico Internazionale. Da dove nasce questa tua passione per gli scacchi? Immagina un ragazzo curioso di 1213 anni che si annoia mortalmente in casa, a letto, a causa di una brutta influenza. Ha visto un importante quiz televisivo, il “Rischiatutto” di Mike Bongiorno, e ha sentito parlare del gioco degli scacchi da un concorrente simpatico e preparato, Angelo Cillo, conosciuto personalmente anni dopo. Per di più ha una scacchiera in casa,
ma non sa come usare i pezzi. Allora chiede a sua madre di acquistare un libro con la spiegazione delle regole. Il ragazzo legge e impara da autodidatta. Sua madre stessa, insegnante, lo invita al doposcuola delle medie dove c’è anche un corso di scacchi. Il ragazzo gioca e rischia di battere il professore che lo incoraggia... Comincia così la mia avventura scacchistica, alla scoperta di un pianeta nuovo, di un’esperienza divertente che unisce memoria e creatività, fantasia ed estetica. Come poter resistere? E poi la scoperta del circolo di scacchi, un mondo pieno di adulti, nel quale il gioco diventa anche iniziazione alla vita e ai rapporti col mondo. Divento
il beniamino e tutti desiderano giocare con me (perché mi battono), ma in un paio d’anni sono io che batto tutti, diventando uno dei più forti del circolo. E poi l’agonismo, i tornei fuori città, in giro per l’Italia, anche da solo, una vera iniziazione alla vita, fino ai successi più belli, tra il 1976 e il 1978: 5° assoluto al campionato italiano di terza categoria a Tivoli, 2° assoluto al torneo di Latina e campione regionale molisano, imbattuto! Come conciliare la passione per un gioco, uno sport, e l’essere sacerdote e missionario? Come armonizzare i tempi? Con la scoperta della mia vocazione
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chiesa e sport
Il rapporto tra la chiesa e lo sport é sempre interessante. Venuto alla ribalta in particolare con Giovanni Paolo II, che praticava kayak, sci e nuoto, ha avuto nella storia diversi “testimonial”, a partire da S. Filippo Neri e S. Giovanni Bosco, che attraverso gli oratori ne promossero la sua validità educativa, fino a papa Pio XI, grande alpinista. A volte proprio i sacerdoti hanno dato un contributo allo sviluppo di alcuni sport, come nel caso di p. Jude McKenna, missionario cappuccino irlandese che rinunciò alla possibilità di partecipare come pugile alle Olimpiadi di Roma del 1960 (durante le quali avrebbe dovuto battersi con il campione Cassius Clay) per farsi frate. Una volta arrivato in Zambia vi importò il judo a livello agonistico e da anni è allenatore, in Africa, per le gare internazionali di judo e boxe. Diverse le competizioni sportive organizzate esclusivamente per sacerdoti e religiosi: la Clericus Cup, giunta alla sua VIII edizione,
binomio fecondo
ho messo da parte gli scacchi per più di 20 anni. Seguivo qualche evento sulle riviste specializzate e leggevo qualche libro, nulla più. La vita religiosa prima, con la preghiera e lo studio, e poi il sacerdozio, con gli impegni pastorali e formativi, hanno assorbito completamente il mio interesse. E tuttavia gli scacchi sono ritornati in un momento delicato della mia vita, attorno ai 40 anni, con le prove legate al passaggio di età. È stato lì che “il re dei giochi” mi ha ridato il gusto per la vita, facendomi riscoprire sensazioni sopite e impeti giovanili. Gli scacchi sono la passione che mi ha salvato e protetto da altre passioni, ridandomi il gusto di un sano hobby. Certo non si può giocare tutto il giorno! Perciò, quando posso, mi concedo qualche partita rapida, anche su internet, alla fine degli impegni quotidiani.
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che vede sfidarsi in un torneo di calcio seminaristi e sacerdoti delle università pontificie romane; il Campionato nazionale dei preti e religiosi sciatori, dall’ironico titolo “Il Signore s(c)ia con voi”, che quest’inverno ha tenuto la sua XVI edizione; il St Peter’s Cricket Club, che raduna giovani sacerdoti e seminaristi delle università pontificie attorno al gioco del cricket; il già citato Clericus Chess. Da segnalare sul tema il film del 2012 “100 metri dal Paradiso”, diretto da Raffaele Verzillo. Un sacerdote che lavora al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Pur di dare ad un giovane atleta la possibilità di coniugare la vocazione alla Vita religiosa e il suo talento agonistico, porta avanti la strana idea di costituire la nazionale olimpica del Vaticano per le Olimpiadi di Londra 2012. Inizia così un reclutamento di ex atleti e potenziali campioni tra sacerdoti e religiosi in giro per il mondo, che lo porterà alla scoperta della vita dei missionari nei paesi in via di sviluppo. Un film gradevole sullo sport come strumento di evangelizzazione e una riflessione sulla comunicazione del Vangelo nei nostri giorni. (A.C.)
C’è qualcosa, che il mondo degli scacchi ti ha insegnato, che ti è stato utile per la tua vita di consacrato, e viceversa? Gli scacchi mi danno il gusto della bellezza, e con essa anche quello per la ricerca e lo studio. Esigono grande concentrazione e impegno, che spesso è premiato da scoperte e creazioni meravigliose: le partite (ben) giocate. Inoltre esigono sacrificio, per arrivare all’obiettivo. Sono un grande allenamento per la volontà e l’attenzione. Gli scacchi, come la Vita consacrata e come tutte le attività umane importanti, richiedono passione e dedizione. Che rapporto c’è stato, storicamente, tra la chiesa e gli scacchi? Anche se il gioco risale a circa millecinquecento anni fa, è solo da quattro secoli che è stato dichiarato lecito dalla chiesa. Il merito è di S. France-
sco di Sales, vescovo di Ginevra, che nella sua “Introduzione alla vita devota” (1608) scrive: «A scacchi bisogna solo guardarsi dall’eccedere, perché se vi si impegna troppo tempo non è più sollievo, ma occupazione; non si solleva né lo spirito né il corpo, ma anzi si stancano e si svigoriscono entrambi. Uno che abbia giocato per cinque o sei ore agli scacchi nel levarsi è totalmente abbattuto e spossato di spirito» Grazie a queste affermazioni nel 1609 la chiesa abrogò la «condanna» di San Pier Damiani, il santo anacoreta allora cardinale di Ostia, il quale in una lettera a papa Alessandro II scriveva di aver punito un vescovo fiorentino che a causa degli scacchi aveva totalmente trascurato i propri doveri religiosi, chiedendone la messa al bando. Per capire a quali eccessi sia arrivata la condanna degli scacchi, basti pensare ad alcune testimonianze storiche del Quattrocen-
attualità
to relative ai ben noti «bruciamenti di vanità». Nel 1425, per esempio, S. Bernardino tenne a Perugia una violenta predica contro le vanità che «li homini mandaro dadi, carte, tavolieri, scacchi e simili cose» e il tutto fu poi bruciato in piazza. Nel 1496 e 1497 Girolamo Savonarola fece mettere al rogo anche gli scacchi in due famosi «bruciamenti di vanità» a Firenze in piazza dei Signori. Ma fu proprio a Firenze che si ebbe la prima scintilla per la riabilitazione del gioco, grazie alla dinastia dei Medici, e in particolare a un figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni. Fin da giovane appassionato di scacchi, Giovanni de’ Medici continuò ad essere un mecenate per i giocatori dell’epoca anche quando nel 1513 divenne papa con il nome di Leone X. Negli otto anni del suo pontificato, egli protesse il gioco e ne favorì la diffusione, anche nell’ambito delle strutture ecclesiali. La sua passione fu
segnalata perfino nell’opera “Storia dei Papi” del Pastor. Fu certamente grazie all’influsso di Leone X che S. Teresa d’Avila parlò positivamente degli scacchi nella sua opera “Il cammino alla perfezione” (1564-1566) aprendo la via alla definitiva opera di S. Francesco di Sales. Il 14 ottobre 1944 il vescovo di Madrid ha proclamato S. Teresa d’Avila patrona degli scacchisti. Molte di queste notizie storiche sono state attinte da Adolivio Capece. Al di là della vittoria, qual è l’esperienza più bella della partecipazione alla Clericus Chess World Championship? Credo che l’esperienza più bella sia stata l’amicizia e la fraternità con i partecipanti e gli organizzatori. Con l’amico psicologo Giuseppe Sgrò, venuto da Milano (la mente e le braccia di questo mondiale), i padri e fratelli
Un’immagine dell’edizione 2014 del campionato mondiale di scacchi per sacerdoti vinto da p. Gennaro Cicchese
marianisti, e in particolare fratel Giorgio Arsuffi, che ci ha accolto nella struttura dell’Istituto Santa Maria in Roma. Il clima bello, nello spirito di fede e di agonismo, culminato anche in un pranzo festoso e fraterno per buona parte dei partecipanti. E poi la commozione e la gioia di tante persone, che hanno saputo del mio successo finale, tra cui anche mia madre, la quale mi ha ricordato che il sogno di diventare “campione” lo coltivavo fin da bambino. Il Signore, devo dirlo sinceramente, mi ha concesso più di quanto potessi aspettarmi e meritarmi. Credo che tutti, almeno una volta nella vita, dovremmo diventare campioni del mondo! n
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martire dei poveri 15
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Intervista a mons. José Luis Escobar Alas, arcivescovo di San Salvador, per la beatificazione di mons. Romero
da Maria Elena Rojas per gentile concessione della rivista spagnola Ecclesia
U
n momento storico per i salvadoregni. Quale l’umore della popolazione dopo l’annuncio della beatificazione di mons. Romero? Quello che stiamo vivendo è veramente grandioso, noi diciamo che è un vero “kairos”, è il passaggio del Signore nella nostra patria. Non avevamo mai avuto un momento come questo, la gioia che un salvadoregno fosse elevato all’onore degli altari. Siamo estremamente commossi, impressionati nel miglior modo che si possa immaginare e anche consapevoli di questa benedizione straordinaria di Dio per il nostro popolo. L’umore dei salvadoregni è estremamente alto, ma devo essere sincero dicendo che non per tutti è così. Per quale motivo? Perché, come sappiamo, la figura di mons. Romero, purtroppo non è ben vista da tutti, e questo è ovvio, considerando che mons. Romero è stato ucciso da salvadoregni, da gente - dobbiamo dirlo - che condivide la fede cristiana. Per questo motivo è stata così ritardata la sua beatificazione e il processo si
è allungato. È stato difficile stabilire l’‘odium fidei’ in questo caso, del tutto particolare, nel quale il martire non è assassinato, non è martirizzato da pagani contrari alla fede cristiana, come in genere è sempre il martirio, ma dagli stessi cristiani. Lo hanno fatto in odio alla fede, dato che mons. Romero, per la sua fede, ha scorto Gesù nei poveri e per questo li ha amati, per questo ha difeso i loro diritti, per questo è stato sempre con loro e per questo lo hanno ucciso. Cosa aspettarsi da coloro che non condividono questa gioia? Io spero che quei pochi che non sono contenti, a causa di qualche legame con gli assassini - dobbiamo dirlo - con i carnefici, si possano convertire e che il sangue di mons. Romero sia causa di salvezza per loro oltre che essere una totale benedizione per tutto El Salvador e, poco a poco, per il Centro America, per l’America Latina, per il mondo intero. Mons. Romero è molto amato e di questo siamo felici e grati. Che significato ha questo evento per il suo Paese?
I MISSIONARI OMI RACCONTA CURREN. VITTIME DI INTERESSI ECONOMICI 35 anni dopo che il popolo di San Salvador dichiarava santo e martire Oscar Romero, il Vaticano, nella persona di papa Francesco, ha decretato che Oscar Romero è di fatto un santo e un martire, vittima in odium fidei. Mons. Oscar Romero in America latina, e oltre, suscita una forte attrattiva, perché ha incarnato profondamente il mistero pasquale di morte e resurrezione vissuto da molti Latinos negli slums dei centri urbani, nelle
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campagne dove i piccoli proprietari terrieri sono perseguitati dai grandi interessi economici dell’industria agroalimentare, delle compagnie del legno, delle compagnie minerarie e degli allevamenti di bestiame. Sono questi stessi interessi economici che sono stati, nel corso degli anni, direttamente responsabili dell’assassinio di migliaia di vite e tra queste quella di dom Oscar Romero con più di 70mila vittime solo a San Salvador. In Brasile questi stessi interassi economici sono stati responsabili dell’assassinio di sr.
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Steckling
Mons. Oscar Arnulfo Romero diede la vita per i suoi fedeli; non c’è amore più grande di questo. Mi rallegro che ora con la beatificazione il suo amore possa dare luce e coraggio a tutta la chiesa. Molto si è provato per oscurare la testimonianza martiriale di mons. Romero, definendolo comunista, o strumentalizzando le sue parole e azioni per motivi politici che nulla hanno
Al di là delle strumentalizzazioni
Ha un grande valore. Il fatto che un salvadoregno, 100% salvadoregno, sia dichiarato santo, sia dichiarato martire, significa tanto. Per questo siamo estremamente grati a Dio e al papa. El Salvador è stato famoso in tutto il mondo per la sua violenza, oggi in cambio siamo guardati dal mondo intero per qualcosa di molto buono, la figura di mons. Romero. Egli è stato l’esponente positivo che ha sempre fatto da contrappeso alla situazione violenta e difficile che fa notizia nel nostro Paese. Per questo diciamo che è una grande benedizione per il nostro Paese. Il fatto che il mondo intero ci guardi e che il nostro piccolo Paese
a che vedere con lui. A febbraio sono stato a Roma e mi sono trovato, durante una messa, seduto di fianco a colui che fu il suo segretario personale; mi parlava di questa strumentalizzazione. Ora risplende lo splendore della verità della sua vita. Lotte simili alla sua continuano e adesso coloro che assumono un impegno simile a quello di mons. Romero hanno il loro santo patrono. Beato Oscar Arnulfo Romero, prega per noi. Mons. Wilhelm Steckling OMI Paraguay
diventi la culla di un santo. Questa è una grande benedizione e ci aspettiamo che abbia conseguenze molto positive. Siamo fiduciosi che questo ci porterà una situazione di pace, lo spero. Lei era molto giovane al tempo di mons. Romero. Cosa ricorda di quegli anni? Ho avuto la gioia di entrare al seminario San José de la Montaña nel 1977 per iniziare i miei studi di filosofia, e fu nello stesso anno che mons. Romero arrivò come vescovo di San Salvador, assunse questo incarico e lo fece nella chiesa di San José de la Montaña, ac-
canto al seminario. Noi assistemmo al suo insediamento, dopodiché lui venne a trascorrere la serata con noi seminaristi e i sacerdoti del seminario. Ho fatto l’esperienza di averlo visto agli incontri con il clero che si tenevano nel seminario e - essendo tempi difficili - in alcune occasioni in cui doveva discutere di temi molto delicati, chiedeva del tempo ai sacerdoti per andare nella cappella del seminario a confrontarsi con il Signore. Per questo molte volte abbiamo detto che il principale consigliere di mons. Romero era il Santissimo Sacramento, perché andava davanti al tabernacolo e poi ritorna-
NO MONS. OSCAR ROMERO Dorothy Stang nel 2005 e negli ultimi vent’anni di più di 1300 piccoli coltivatori. La stessa Via Crucis si ripete ad un livello più o meno grande in America Latina ogni giorno. Mercedes Sosa, una famosa cantante latinoamericana, ha composto una stupenda canzone che parla della grande sofferenza delle vittime in America latina e dappertutto nel mondo. Dice: “Chiedo a Dio di non essere indifferente verso le guerre, verso le sofferenze e le ingiustizie”. Dom Oscar Romero non è stato indifferente e per questo fu assassinato, un martire della sofferenza del suo popolo. Pedro Curran OMI San Paolo, Brasile
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va e prendeva le decisioni sulle diverse proposte dei suoi sacerdoti. Ha altri ricordi? Ricordo un programma in radio nel quale mons. Gregorio Rosa Chávez chiese a mons. Oscar Romero: “Lei ha ottenuto tante vittorie nella chiesa come vescovo e riconoscimenti ricevuti da diversi Paesi, ha parlato a tanta gente, a persone di cultura elevata; vorrei chiederle se non si sente nervoso quando deve parlare con qualcuno molto importante o davanti a molte persone. Non si sente agitato?” ed egli rispose: “Si è così. La verità è che sono teso ma penso: cosa è importante? Non
è la mia persona, non è la mia parola, non è il mio messaggio che devo esprimere ma è Gesù che deve emergere, la sua persona, la sua parola, e questo mi dà serenità e dopo averlo pensato posso parlare con tutta tranquillità”. Non dimentico questa risposta, sempre con la sua semplicità, la sua umiltà però allo stesso tempo con una profonda verità. Sintonizzava la radio per ascoltare mons. Romero… Posso dirle che ho il ricordo pieno di gratitudine per aver ascoltato le sue omelie, perché le ascoltavamo tutti. La verità è che tutte le persone del Paese aspettavano la predicazione di mons.
MESSERI. NESSUN BENEFICIO PERSONALE Ho conosciuto la figura de mons. Romero anni fa vedendo un film sulla sua vita. Mi ricordo che rimasi impressionato dal cambiamento di prospettiva della sua vita. Non potevo credere che avesse vissuto questo cambiamento già essendo vescovo. Una persona tranquilla e accomodante prima, decisa e convinta nel denunciare l’ingiustizia in un secondo momento, il tempo più fecondo. Certe cose si possono capire solo se vivi nella stessa situazione. Sono 12 anni che vivo in America latina
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Romero e a volte c’erano dei sacerdoti che facevano coincidere la celebrazione della messa con quella di mons. Romero, a tal punto che quando era il momento dell’omelia registravano l’omelia di mons. Romero e la mettevano come omelia durante la messa - se questo è liturgico, non voglio addentrarmi nella questione - però il fatto è che si sentiva in tutti i luoghi. Io ero seminarista e anche nel seminario ascoltavamo l’omelia di mons. Romero. Ascoltavamo sempre la sua predicazione. Come erano le sue omelie? La sua predicazione era piena di fede,
e con un po’ di presunzione dico che comincio a capire tante cose. Fino a che non sei “involucrato”, rimani davvero ai margini. La vita di mons. Romero è stata un continuo crescere nell’amore di Dio e nel dare la vita per la sua gente. Non ha avuto paura, è stato franco nel suo messaggio e per questo ha condiviso la stessa sorte di Gesù; apparentemente la morte, ma in realtà la vittoria. Bisogna ringraziare il Signore di questi esempi di vita; nessun beneficio personale, solo seguire il Signore sino alla fine. Antonio Messeri OMI Uruguay
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di amore per Dio, con vero senso profetico. Parlava del Signore, annunciava la sua parola e denunciava le ingiustizie e tutte le situazioni di peccato. Le sue parole erano piene di speranza, piene di consolazione per i poveri, per il popolo di Dio. Questo è ciò che ho ascoltato direttamente dalla voce di mons. Romero e ritengo sia stato uno dei privilegi più grandi della mia vita. Lei è il terzo arcivescovo di San Salvador dopo mons. Romero. Questo le richiede di essere più esigente nel suo ministero? Certamente mi sento più esigente, però devo dire che è una cosa positiva, è una
benedizione che ci aiuta ad interpellarci, a rispondere al momento storico in cui viviamo, illuminati dalla testimonianza, dalla parola e dalla figura di mons. Romero, dalla sua autenticità. Lo abbiamo come nostro intercessore. Non vorrei saltare a conclusioni, però mi piacerebbe che mons. Romero fosse proclamato patrono dei vescovi di tutto il mondo, certamente dell’America Latina e del nostro Paese. Personalmente pongo il mio ministero nelle mani di Dio per intercessione di mons. Romero. Come avete lavorato per preparare la beatificazione? Sono state formate le commissioni e la prima commissione era formata proprio dalla Conferenza Episcopale di El Salvador, che si è dichiarata in riunione permanente. Noi vescovi eravamo davanti a tutti, il che significa che tutte le decisioni sono state prese dai vescovi. Inoltre si è formata la commissione esecutiva, un commissione di spiritualità e una commissione mista per la realizzazione dell’evento in accordo con
lo Stato. Con grande gioia lo Stato salvadoregno è in armonia con la Santa Sede, non solo perché porta avanti relazioni diplomatiche, ma anche perché c’è sintonia, c’è una buona relazione. Abbiamo un presidente cattolico praticante. Io direi che la maggioranza del consiglio dei ministri, per non dire tutti i ministri, sono cattolici praticanti, e c’è la buona volontà di collaborare con la chiesa. Loro hanno formato le loro commissioni e noi anche, ma coscienti che la celebrazione è ecclesiastica, è nostra, è della chiesa, perché mons. Romero era un vescovo della chiesa. Ci hanno offerto appoggio per quanto riguarda la sicurezza, la logistica, per rendere fattibili gli spostamenti di tutte le persone che hanno assistito all’evento. Questa beatificazione segnerà un prima e un dopo per la chiesa salvadoregna… La beatificazione di mons. Romero segna un punto importante per l’evangelizzazione e per l’esperienza di fede della gente, perché mons. Romero è un modello da seguire, ma anche un mae-
MAMMANA. VICINISSIMO AL POPOLO, VICINISSIMO A CRISTO In questa zona del mondo, il Centro America, mons. Romero è una bandiera, un simbolo, una luce, una presenza permanente. La violenza che ha cercato di cancellare la sua memoria dal cervello della gente e che continua a perseguitarlo ancora oggi, con bugie, pretesti e sottili disquisizioni, era quasi riuscita a rinchiudere la sua figura nello stretto ambito dei suoi seguaci, dei suoi ammiratori, di coloro che lo avevano conosciuto personalmente, cosa non difficile in questa zona composta da paesi piccoli che puoi attraversare nel corso di una giornata. Papa Francesco, con la sua decisa
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stro direi. La sua vita e la sua dottrina sono programmatiche e il suo modo di essere, soprattutto lo stile pastorale: una pastorale viva, pragmatica, totalmente dedicata a Dio e alle persone, che esce dalle chiese per andare tra la gente, soprattutto dedicata ai più poveri e nella difesa dei loro diritti e impegnata nella giustizia sociale. Questa è una novità nel nostro ambiente, bisogna dirlo. Il modo in cui mons. Romero ha vissuto e soprattutto questo stile nuovo gli ha portato molti problemi, molte difficoltà e in alcuni momenti, lo sappiamo, si è sentito solo, perché era una novità. Ma comunque questa novità della pastorale di mons. Romero è totalmente evangelica, è l’esperienza
radicale del Vangelo. È una maniera nuova, ma autentica, di vivere la fede. E quando il Vaticano beatifica mons. Romero, allora ce lo sta ponendo come modello da seguire. È una beatificazione speciale… La sua dottrina è molto simile a quella di Aparecida, il linguaggio della predicazione di mons. Romero è molto vicino a quello del documento di Aparecida e delle altre conferenze dell’America Latina, e se mi è permesso direi che ha una grande somiglianza con la dottrina di papa Francesco. Dunque questo segna una nuova vita, una nuova evangelizzazione, una chiesa rinnovata con una pastorale viva,
volontà di portarlo sugli altari, ha risuscitato la sua figura e l’ha arricchita di luce nuova. Ormai in tutto il mondo mons. Romero è il santo della giustizia e voce degli esclusi. Nella sua patria, l’orgoglioso Salvador, mons. Romero è ormai una colonna della storia del paese. Anche i suoi detrattori non possono non riconoscerlo. Per me mons. Romero è un modo nuovo di essere santi. Si tratta di una santità pubblica, non ripiegata su se stessa, ma consacrata e proiettata verso i più poveri, come quella di Gesù. La santità di mons. Romero apre la strada a tantissimi altri santi dell’America latina che in tutto il continente, in nome di Cristo, hanno immolato la vita in difesa di Cristo emarginato, escluso, indifeso. Dietro
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di prossimità. Per questo siamo enormemente contenti, perché non si tratta solo della beatificazione di una persona, ma di beatificare, per così dire, un nuovo stile di vita, uno stile di pastorale nuova. Quale benedizione è stato il nostro amatissimo mons. Romero! El Salvador non è lo stesso di 35 anni fa. Cosa apprezzano maggiormente i fedeli di oggi della figura di mons. Romero? Senza alcun dubbio la sua dimensione pastorale, la figura del Buon Pastore, una pastore vicino alle pecore e impegnato per il loro bene, un pastore povero per i poveri e questo ha molto valore soprattutto nel nostro ambiente nel
di lui, certamente, appariranno altri santi, altri martiri che hanno percorso lo stesso cammino e che sono in attesa, anche loro, del riconoscimento della loro santità. Mons. Romero rappresenta, per le chiese del Centro America e di tutta l’America latina e per la chiesa universale, un nuovo modo di arrivare alla santità, legata alla giustizia e al servizio dei poveri, alla denuncia dei soprusi, a una proposta di fratellanza tra tutti, in un mondo che ha risuscitato le differenze di ceti, razze e classi sociali. Mons. Romero è un santo vicinissimo al popolo fino a condividerne le sorti, vicinissimo a Cristo fino a condividerne la croce. Pippo Mammana OMI Guatemala
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quale manca tanto la giustizia sociale. La violenza che viviamo ha come fondamento l’ingiustizia sociale e dunque la beatificazione di mons. Romero certamente si riferisce ad un diverso momento storico, tuttavia la sua predicazione non è mai stata tanto attuale e tanto valida. Ha sempre voluto la pace, lavorato per la pace di questo Paese e ha dato la vita per la pace di questo Paese e per questo ha lottato per la giustizia, perché ci fosse una pace stabile e reale, che tuttavia non si è realizzata. Si è concluso il conflitto armato, ma è seguita una situazione di violenza
a causa del conflitto tra bande e tra le bande e la società stessa. Questa beatificazione arriva in un momento molto opportuno, perché questo popolo si senta incoraggiato a vivere nella giustizia e ottenere la pace. Cosa caratterizza oggi la chiesa salvadoregna? La chiesa di El Salvador è certamente nuova e con una grande anima, con molto spirito e con tanti giovani e dunque direi che offre una grande speranza. Essa si sente premiata con un santo agli onori degli altari. Di certo questo
Paese, pur essendo così piccolo e pur vivendo in tanta povertà, ha una grande ricchezza che è la sua fede, i giovani sono alla ricerca di Dio, per questo abbiamo una grande abbondanza di vocazioni sacerdotali, religiose e anche missionarie, abbiamo un buon numero di vocazioni con questo carisma della missione e il clero della nostra diocesi è aumentato e continua a crescere e questo ci rallegra moltissimo. La fede delle nostre comunità è molto grande, sia in città che in provincia. Direi che questa è la nostra caratteristica, ringraziando Dio. È una sfida per noi, per i nostri sacerdoti, perché dobbiamo lottare per mantenere questa fede e possibilmente incrementala nel popolo di Dio, però, ringraziando Dio, riconosciamo una grande fede in El Salvador. Quali sfide affronta la chiesa di El Salvador? Affrontiamo le sfide che si affrontano in qualunque posto, ma soprattutto dare un contributo in chiave di riconciliazione, essere agenti di riconciliazione in una società polarizzata, divisa ideologicamente, ma, cosa ancor più grave, una società colpita dalla violenza. Dunque la chiesa è una figura di riferimento importante per dirigere la società verso un punto di riconciliazione, di giustizia sociale, di pace, di fede, in altre parole dobbiamo tornare a Cristo, dobbiamo essere più coscienti della necessità di Cristo. Abbiamo detto che siamo un Paese con molta fede, ma questa fede deve maturare, deve essere autentica, affinché possiamo vivere in giustizia sociale, in fraternità, in unità e in pace. È proprio questa la nostra preghiera al cielo. Che mons. Romero interceda per questo Paese e per il mondo intero, perché possiamo vivere in pace, una pace stabile e duratura, una pace frutto della giustizia, che possiamo tutti amarci come fratelli. n
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Notizie in diretta dal mondo oblato
messaggi Spagna e notizie Periferie alternative dalle missioni . Louis Lougen ha chiesto ai Missionari Oblati di Maria
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Immacolata d’Europa di aprire tra 8 e 10 nuove comunità in periferia. La proposta del superiore generale OMI, lanciata al termine di un incontro svoltosi a Pozuelo (Madrid) dal 12 al 17 aprile, è un appello ad andare verso i poveri di oggi. Ieri Eugenio de Mazenod aveva identificato questi luoghi con le campagne del sud della Francia. Oggi, invece, le periferie coincidono spesso con aree metropolitane europee ormai diventate crocevia per gente proveniente da tutte le parti del pianeta. Un’Europa che, come ha detto il gesuita Pierre de Charentenay nel corso della sua conferenza, “era un continente cristiano. Essa ha portato il cristianesimo in tutto il mondo, mediante le missioni, ma anche attraverso la colonizzazione. Un cambiamento lento, avviato in Europa fin dal XVIII secolo e che verso la metà del ventesimo secolo è culminato in una vera e propria rottura, ha cambiato lo statuto del cristianesimo in questo continente”. Di fronte a questa situazione 47 missionari oblati hanno proseguito l’analisi rilevando che in questa nuova grande periferia del cristianesimo si stanno formando nuove sacche di povertà che interessano soprattutto giovani e immigrati. Per andare verso questi luoghi bisogna stabilire nuovi rapporti di collaborazione tra gli Oblati e progettare insieme. Già da qualche anno, infatti, sono stati avviati dei processi di unificazione tra le province oblate che è necessario continuare per assicurare una presenza efficace sul territorio. Una migliore distribuzione del personale oblato a livello internazionale può dare certamente un nuovo impulso alla missione. Gli Oblati nati nel continente europeo dovrebbero imparare a varcare le frontiere dei loro paesi per formare delle comunità internazionali capaci di integrare al loro interno anche i missionari provenienti da altri continenti. L’inserimento di questi Oblati nati nei paesi dove la chiesa è più giovane, richiede una prassi che tenga conto della situazione personale e dei contesti in cui si inseriscono. In ogni caso questo processo di condivisione del personale, specialmente tra l’est e l’ovest dell’Europa, secondo p. Lougen deve essere accompagnato anche da una positiva e più esplicita proposta vocazionale verso i giovani, invitandoli a partecipare alla missione oblata. Il cammino avviato a
a cura di Elio Filardo OMI eliofilardo@omimissio.net
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CONGO
FORMAZIONE AI MASS MEDIA PER LE RELIGIOSE
Pozuelo è stato affidato all’esame dei superiori delle unità oblate in Europa che dovranno individuare le fasi concrete per facilitare l’attuazione di queste istanze. P. Fabio Ciardi, durante la giornata del 13 aprile dedicata al ritiro, aveva parlato dell’eterotopia, cioè di “luoghi alternativi che lasciano intravedere ciò che la redenzione ha operato e come può essere una società animata dal Vangelo. Dobbiamo poter creare - ha detto p. Fabio - gli “spazi del Risorto” che diano visibilità al cielo sulla terra”. Alcune comunità oblate internazionali localizzate nelle periferie, sarebbero dei buoni luoghi alternativi degni del profetismo ispirato al carisma di sant’Eugenio.
Un centinaio di religiose a voti temporanei, appartenenti a più di 50 congregazioni, hanno partecipato al corso di formazione sui media tenutosi a KinshasaLimete il 7, 8, 14 e 15 febbraio. L’iniziativa che ha avuto come tema Vita comunitaria e mass media oggi è stata promossa dall’Unione dei Superiori Maggiori. L’animatore del corso, un oblato congolese, Jean-Baptiste Malenge, membro del Centro di Ricerca e di Educazione alla Comunicazione (CREC), ha precisato che l’ascolto è il presupposto per una buona comunicazione. Il corso ha ricordato alle giovani suore l’importanza di seguire le notizie su televisione, radio, giornali o internet per contribuire al bene comune della società con conoscenza di causa. Questo principio, ispirato dal n. 5 del Decreto conciliare Inter mirifica del Vaticano II, promuove la cittadinanza responsabile. Durante l’anno che la chiesa universale dedica alla Vita consacrata sono previste altre sessioni di formazione. A marzo, infatti, sono stati organizzati altri due week-end dello stesso tipo per due gruppi di religiose che hanno da 4 a 7 anni di voti. (fonte: pretredanslarue.blogspot.com)
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news
Stati Uniti
Francis George muore dopo una lunga malattia
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l 17 aprile è morto il cardinale Francis Eugene George, oblato arcivescovo emerito di Chicago. Aveva un tumore dal 2006. Nel telegramma di cordoglio, papa Francesco ha espresso la sua “gratitudine per la testimonianza di vita consacrata del cardinale George come Oblato di Maria Immacolata, il suo servizio all’apostolato educativo della Chiesa e gli anni di ministero episcopale nella Chiesa a Yakima, Portland e Chicago”. Il sito it.radiovaticana.va affermava che è stato il primo nativo di Chicago a ricoprire la carica di arcivescovo della città. A 20 anni era entrato nella congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Ordinato sacerdote a 26 anni e laureato in filosofia americana. Dal 1973 al 1974 è stato superiore provinciale della Midwestern Province degli Oblati a St. Paul, Minnesota. In seguito, è stato eletto vicario generale degli Oblati e ha lavorato a Roma dal 1974 al 1986. Tornato negli Stati Uniti, diventa coordinatore del Circle of Fellows del Cambridge Center for the study of Faith and Culture in Massachusetts (1987-1990). In quel periodo, consegue la laurea in Teologia Sacra, in ecclesiologia, presso la Pontificia Università Urbaniana a Roma (1988). Nel 1990 Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Yakima, nello Stato di Washington, e sei anni più tardi arcivescovo di Portland in Oregon. A 60 anni, nel 1997, diventa arcivescovo di Chicago. Francis George era considerato come il “Ratzinger d’America”,
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tuttavia, secondo il sito vaticaninsider.lastampa.it, il cardinale ha incarnato innanzitutto il modello di vescovo che Giovanni Paolo II aveva voluto per la chiesa statunitense. Secondo il giornalista Andrea Tornielli gli anni del suo episcopato a Chicago, come pure quelli della sua presidenza della Conferenza episcopale, sono stati caratterizzati dalla svolta nella lotta agli abusi sui minori: George è stato un fautore della tolleranza zero particolarmente voluta dal Joseph Ratzinger, prima come Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e poi come papa. Il cardinale George si è anche battuto pubblicamente contro quella parte della legge della riforma sanitaria di Obama che prevedeva la copertura assicurativa per la contraccezione e l’aborto, obbligatoria anche per le strutture convenzionate che fanno capo a enti religiosi. Sul sito omiworld.org si parla della sua esperienza oblata e del servizio come vicario generale di p. Fernand Jetté. Le visite agli Oblati sparsi nel mondo gli hanno permesso di conoscere la chiesa e di acquisire una sensibilità speciale che ha marcato anche il suo ministero episcopale. Quando è divenuto vescovo, è stato un buon servitore, prima a Yakima, dove ha imparato lo spagnolo per essere più vicino alla sua gente. In seguito, divenuto vescovo di Portland, ha chiesto al suo popolo di continuare a insegnargli come essere un buon vescovo. In cambio ha promesso loro di aiutarli a diventare buoni missionari.
mgc news
LIBERO È SOLO CHI AMA Missione giovani a Pescara Dal 18 al 26 aprile si è svolta a Pescara, nella parrocchia oblata di Sant’Andrea, nel cuore della città, una Missione giovani dal titolo “Libero è solo chi ama”. Giovani di diverse zone MGC d’Italia hanno raggiunto i ragazzi di Pescara per farsi dono a coloro che hanno incontrato. Un’equipe di circa quaranta persone, giovani e missionari Oblati, ospitata dalle famiglie pescaresi che ha premesso di costruire legami sinceri e inaspettati: nessuno, infatti,
si sarebbe incontrato se non avesse “fatto spazio” all’opera di Dio e se non avesse detto il proprio “sì”. La missione ha raggiunto i ragazzi nelle scuole, nelle strade e nelle piazze, dove sono stati preparati momenti di preghiera e di adorazione, oltre che di divertimento e di “contagio”. I ragazzi hanno compreso quanto bella sia questa condivisione, perché Gesù è stato davvero messo al centro! Una missione non è mai solo per gli altri, ma anche per noi stessi. Abbiamo posto due domande ad alcuni partecipanti. Domenico Pellegrino
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Chi hai incontrato alla missione? La valigia del ritorno sarà più pesante? Eleonora (Fi) Tante persone curiose che volevano sapere, conoscere! Madre Teresa diceva: “Non importa quanto ami, ma quanto amore metti nel farlo”. E così anche noi: non importa quanto abbiamo seminato, ma quanta gioia ed entusiasmo ci abbiamo messo. È ciò che ha colpito la gente, l’unica cosa che rimane rispetto a tante parole. Silvia (Vc) La missione non è sempre facile, ma se tante sono le porte chiuse, quelle che si aprono sono così belle che compensano tutto. Ho incontrato ragazzi che aspettavano di essere “toccati”, sia negli incontri per strada che nelle scuole: vedere la loro risposta ha riempito il cuore. Alessia (Pe) Ho avuto l’opportunità di calarmi in realtà a me sconosciute e di sperimentare come le parole possano trasformare vite fatte di solitudine, in momenti di gioia e condivisione. Marco (Vc) Un’esperienza particolare è avere incontrato, in diverse occasioni, giovani che ai nostri inviti si sono professati non credenti. Ma proprio loro ci hanno aperto la porta di casa, o hanno scritto una preghiera la sera dell’adorazione eucaristica sul lungomare. Chiara (Fi) “Non c’è niente da capire, c’è solo da amare”. Questa la parola che ha scandito la mia missione: amore per il fratello
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che ho cercato di dare, e del quale sono stata travolta. Un amore che si respirava nell’aria e si vedeva negli occhi delle persone, amore che mi ha fatto sentire a casa con persone nuove. Ho capito la difficoltà di raccontare questo amore nelle scuole e di viverlo in chi nelle visite ti chiudeva la porta in faccia. Ho sentito Dio vicino, lì a ricordarmi di amare anche quando è difficile. Annarita (Pe) Ho incontrato giovani con tanta voglia di stare insieme in nome di Gesù. Francesca (Rm) Facce contrariate, bocche dischiuse per lo stupore, sguardi schivi, ma anche braccia spalancate, cuori in fermento e orecchie pronte a ricevere la Parola di Dio. Tutti hanno lasciato un segno profondo in me. Gli occhi che però non scorderò mai sono di quei ragazzi privi di fede, in cerca di una luce nuova che mi hanno spinto a continuare la missione.
che si è aperta nonostante fossi un’estranea; le preghiere di tutti quelli che si sono fidati di me, che mi hanno ascoltato e che hanno partecipato alla missione; la comunità e l’amore che ci unisce e ci rende uno in Dio.
Giulia (Pe) L’esperienza che mi ha segnato di più é stata vedere una mia compagna di classe atea, che non frequentava più la chiesa né un gruppo in parrocchia, condividere con noi la festa finale. L’emozione più grande é stata vederla entrare in chiesa per la messa e vederla pregare!
Edoardo (Rm) Ho incontrato prima di tutto me stesso. Ero partito sentendomi un supereroe, credendo di non trovare difficoltà, poi mi sono reso conto dei miei limiti e ho trovato la forza per superarli, con l’energia che Dio ci ha donato e la concretezza dell’amore che abbiamo cercato di testimoniare.
Francesca (Rm) La valigia è piena di esperienze ed emozioni, di rifiuti ed accoglienza. In particolare porto con me la famiglia che mi ha ospitato e
Eleonora (Fi) La mia valigia del ritorno é molto più pesante dell’andata! Ci sono dentro la parola famiglia, quella che ho trovato nell’equipe missionaria,
mgc news
rimarrà nel mio cuore, come le singole persone che ne hanno fatto parte.
che mi ha fatto sentire a casa; la parola accoglienza che é un sentimento che ho provato, a partire dal fatto di essere ospitati nelle case, e che ho cercato di far provare alle persone che ho incontrato; e infine preghiera perché questa missione é stata riscoprire Gesù presente nella vita quotidiana. Alessia (Pe) Il mio bagaglio è colmo di gioia per i bei momenti trascorsi insieme ai tanti amici venuti da lontano, ma è anche sovraccarico di tante intenzioni e della consapevolezza che ogni mia azione resterà vana se non compiuta con l’aiuto di Gesù e del buon cuore di chi incontrerò sul mio cammino. Marco (Vc) La missione si è incastonata in una periodo particolare della mia vita e mi ha permesso di mettere meglio a fuoco alcuni aspetti di me nella relazione con l’altro. Chiara (Fi) La mia valigia è stracolma, ma soprattutto il cuore è colmo di gioia e gratitudine per questa esperienza che mi ha fatto crescere. Torno a casa
sapendo che la mia missione non è finita. La difficoltà ora sta nel vivere questa esperienza nel quotidiano. Nonostante ciò sono felice, perché ora posso mettermi nuovamente alla prova, vivendola nel quotidiano, con la certezza di non essere da sola. Silvia (Vc) Torno a casa con la riscoperta consapevolezza che senza di Lui non possiamo fare nulla. È Gesù il motore di tutto, la nostra è solo una risposta a Lui. Nell’unità che si è creata tra noi in questa missione si respirava davvero la Sua presenza! Annarita (Pe) Porto con me un’esperienza di grande gioia e soprattutto di fiducia e responsabilità per il futuro. Giulia (Pe) La missione si é divisa in tre parti: all’inizio l’entusiasmo di non sapere cosa mi aspettava. In seguito la stanchezza si faceva sentire: mi sentivo demotivata dopo aver ricevuto varie porte chiuse in faccia; l’ultima emozione é arrivata sabato, quando tutto scorreva velocemente, e non realizzavo che poche ore dopo sarebbe finita. La missione
Edoardo (Rm) Sento che la missione mi ha donato un’esperienza di amore. L’andare incontro ai ragazzi, il farsi forza, l’armonia tra noi, tutto è stato un’esperienza “tangibile” dell’amore di Dio che è stato sempre presente. La missione mi ha fatto crescere: sentire in prima persona il peso di alcune responsabilità, mettermi in gioco in prima persona. C’è stata una doppia missione: dentro e fuori di me! Gilda (Cs) Torno a casa con il cuore pieno di amore e consapevole che, ogni giorno, soprattutto nel quotidiano, sono chiamata a “ri-partire” da Lui. Filippo (Pe) Quello che ti lascia dentro la missione è qualcosa di stupendo e inesprimibile a parole, per capirlo devi viverla in prima persona. Gilda (Cs) Questa missione è stata una luce che mi è entrata nel cuore. Le esperienze belle sono state due: l’equipe e le visite al liceo. Ho sperimentato la gioia nel vivere con una ‘famiglia’, quella oblata, che mi ha aiutato a comprendere quanto Gesù in mezzo è l’unione perfetta per ogni rapporto autentico e vivo. Le visite al liceo sono state una vera rivelazione. Nel raccontare la mia esperienza, ho visto crescere negli occhi dei ragazzi lo stupore, ma allo stesso tempo la voglia di conoscere e sapere da dove nascesse la mia “gioia”.
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una foto per pensare
Tempo di mare e di granite al limone, per dirla alla Carmen Consoli. L’estate è un tempo per noi, per le nostre esigenze, per riformulare i nostri desideri, per dare sollievo al corpo e alla mente stanchi dell’inverno; è un tempo per il nostro tempo. Un tempo per guardare il mare e affidargli le fatiche e gli affanni dell’anno dentro una bottiglia di vetro chiusa con un tappo di sughero, per tuffarsi nel blu e respirare infinito, per lasciare che le onde cullino i pensieri leggeri, per ascoltare il silenzio di un tramonto, quando le barche sono ormeggiate, il cielo si dipinge d’arancio e il sole, specchiandosi sul mare ci dice che il tempo è un dono di Dio da non sprecare. 28 MISSIONI OMI · 06/07_15
foto di Giovanni Chimirri, gio.chimirri@gmail.com testo di Luisa Miletta, luli89@libero.it
Estate
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fatti
Worship
lavoro ed evangelizzazione
Un’esperienza estiva nella Repubblica Ceca per facilitare l’incontro tra le persone e per annunciare il Vangelo di Angelica Ciccone angelica.ciccone@gmail.com
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O
gni estate i Missionari Oblati di Maria Immacolata della Repubblica Ceca organizzano, insieme ai giovani, una settimana di volontariato lavorativo che permette di incontrare numerose persone. Abbiamo rivolto qualche domanda a p. Vlastimil Kadlec. In cosa consiste questa esperienza? Con la scelta del nome Workship vogliamo unire due realtà fondamentali che fanno parte di questa iniziativa: il lavoro come luogo naturale di incontro tra le persone (work) e la dimensione spirituale o religiosa, come luogo di incontro con Dio (worship). Ogni anno ad agosto la nostra
comunità oblata di Plasy (ad ovest della Cechia) insieme alla comunità del Verbo Incarnato (KVS, il Centro giovanile ispirato dall’esperienza di Marino laziale in Italia) e ad un gruppo di giovani collegati con la nostra comunità (OMIGang) organizza nella zona a noi affidata una settimana di lavoro per i giovani tra i 18 e i 30 anni. I partecipanti vengono da tutta la Repubblica Ceca, abbiamo anche qualche presenza dalla Slovacchia e quest’anno ci sarà per la prima volta qualcuno dalla Germania. Il programma delle giornate è diviso in due parti: tempo di lavoro e parte “culturale”. Dopo la celebrazione eucaristica mattutina, a colazione si presentano le varie regioni che partecipano a Workship, oppure qualcuno dall’équipe condivide con gli
altri un pensiero per la giornata. Alla fine si dividono i giovani in gruppi, che ricevono l’indirizzo del posto di lavoro, gli attrezzi e un’automobile. Si lavora nelle case delle persone che hanno bisogno di aiuto, in particolare degli anziani o ammalati, ma anche delle famiglie con figli piccoli. Il lavoro è abbastanza vario: verniciare, imbiancare, tagliare la legna, lavori in giardino, piccole riparazioni... Quale la giornata tipo? Si inizia alle 9 e si lavora fino alle 16. A mezzogiorno c’è il pranzo che viene portato dal “gruppo logistica” direttamente sul posto di lavoro oppure offerto dalle persone che accolgono i lavoratori. Dopo il lavoro si torna a casa, c’è il tempo per sistemarsi e poi
la cena. Le serate le trascorriamo invitando anche la gente del posto e le persone dalle quali si lavora. Ogni serata ha un suo “colore”. Il lunedì di solito c’è la proiezione di un film all’aperto. Cerchiamo sempre un film che presenti valori importanti. Il martedì c’è il teatro. Ogni anno cerchiamo di invitare una compagnia interessante con uno spettacolo che possa suscitare una riflessione comune. Il terzo giorno è dedicato ai bimbi e ai giovanissimi del posto. I partecipanti a Workship preparano per loro un programma: giochi, canti, balli. Ceniamo con le famiglie che vengono a trovarci. In questa serata c’è sempre un ospite artista: un pagliaccio o un gruppo di nostri amici che fanno spettacoli di scherma medioevale. Il giovedì è il giorno
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Negli scatti i partecipanti a Worship nelle varie attività lavorative e ricreative. A destra della foto in basso Vlatstimil Kadlec OMI
del riposo con una gita nei dintorni, nel pomeriggio c’è di solito la messa con il nostro vescovo e la serata è dedicata alle missioni. Viene invitato un missionario, prete o laico, con un’esperienza di evangelizzazione o di lavoro nel sociale o di incontro tra le culture. Nella tarda serata ci si incontra in chiesa dove ha luogo una preghiera di lode (worship). La serata di venerdì la trascorriamo tra noi. Durante la settimana si creano nuove relazioni, nuove amicizie. Si parla, si prepara la carne
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e le salsicce alla brace, si beve la birra (non dobbiamo dimenticare che siamo vicino a Pilsen, città famosa proprio per la sua birra), si gioca, si balla. Alla fine della giornata c’è un momento di condivisione. Sabato mattina ci si saluta e si parte. L’équipe organizzatrice (KVS, OMIGang ed io) si incontra ogni mattina per pregare e vedere insieme il necessario. Ogni giornata si conclude con un incontro di revisione. A chi è rivolto questo progetto? Workship è rivolto a due categorie di persone. Anzitutto i giovani volontari. Tra loro non ci sono solo credenti. Il volontariato attira tutti coloro che vogliono fare qualcosa di buono. Sono persone che vogliono incontrare altra gente o semplicemente offrire una par-
te di vacanza o di ferie per gli altri. Il secondo gruppo sono le persone stesse che danno il lavoro. Ad essere sincero, il lavoro è per noi solo un pretesto per far incontrare la gente. Le persone dove lavoriamo sono spesso anziani che vivono da soli. A volte per loro vale molto di più la presenza dei giovani, poter parlare e stare con loro che il lavoro stesso da fare. La maggior parte di loro non sono cristiani. Per quanto riguarda la religiosità, la nostra diocesi è abbastanza povera. L’incontro con le persone diventa occasione di preevangelizzazione. Quando e come è nata questa bella idea? Devo dire che l’idea non è nostra. Nel 2010 è venuto nelle nostre parrocchie un gruppo di giovani legati al Movi-
fatti
Si toccava Dio
Quando mi sono iscritta a Workship avevo le idee chiare. Volevo soprattutto rilassarmi, riposarmi dal mio lavoro in ufficio e perciò l’idea di un‘attività manuale, non proprio impegnativa dal punto di vista intellettuale e in più fatta a favore degli altri, mi attirava tanto. Anche se il lavoro fisico riempiva la maggior parte del programma, nei miei ricordi è rimasto solo come un qualcosa di secondario, che ha accompagnato un’incredibile serie di esperienze indimenticabili. Nel giro di una settimana sono successi tanti miracoli, visibili e invisibili, e quindi alla fine avevo l’impressione di aver partecipato ad un corso di esercizi spirituali. Dio si poteva toccare dappertutto. Dal primo giorno è si è creato un clima di gioia e serenità da cui sono nate amicizie che rimangono vive fino ad oggi. Dio si è fatto sentire nelle famiglie dove abbiamo lavorato. Quando le persone del
ovunque
mento dei focolari con un’iniziativa chiamata “Summerjob”. Per tre anni durante l’estate tornavano da noi portando con loro 70/80 giovani e lavoravano nelle case dei nostri parrocchiani. Poi si sono spostati in un’altra regione del paese. Allora noi ci siamo detti che bisognava continuare, perché proprio questo tipo di esperienza era giusta per la nostra zona. Faceva incontrare la gente, ci permetteva di entrare nelle case delle persone dove normalmente non potevamo mai entrare... E così è nato Workship, che ha ripreso la forma di Summerjob con un tocco oblato. Workship è un fratello minore di Summerjob, un po’ più missionario, un po’ più evangelizzatore. Quali sono le impressioni dei partecipanti? Per i giovani volontari è un’esperienza di comunione, amicizia, condivisione della fede, incoraggiamento. Passano una settimana lavorando gratuitamente, aiutando persone bisognose. E questo riempie la persona di senso e di
posto hanno superato la prima diffidenza, molto spesso il lavoro è diventato un pretesto che ha suscitato la curiosità e la condivisione tra noi. I colloqui e il rapporto interpersonale hanno preso il posto del lavoro in giardino che avevano preparato per noi. Dio è entrato in ogni lavoro che facevamo e l’ha trasformato in gioia. Si sentiva anche la sua protezione. Anche se a volte il lavoro era duro nessuno si è fatto male. E poi le serate culturali... non solo per equilibrare il lavoro con il riposo, ma prima di tutto per far incontrare la gente. È la fraternità, la gioia, la gratitudine e l’apertura verso tutti che fanno di Workship un evento unico. Un’occasione per evangelizzare attraverso i gesti e la gratuità che ha commosso tante persone anziane. Un’occasione per trasmettere la speranza. Un luogo dove la mattina mi infilo nella tuta da lavoro e del resto si occupa Lui. Un luogo dove non sono obbligata a far finta di essere qualcuno, ma semplicemente essere. Zuzana Lášková
gioia. I cristiani si sentono protagonisti di una sorta di evangelizzazione. Per la gente che offre il lavoro è soprattutto un incontro con la gioventù così come non può conoscerla attraverso la televisione o i giornali. L’incontro con i giovani fa sentire vicinanza e interesse. Non devo dimenticare l’équipe che prepara Workship. Ho sempre l’impressione che lo facciamo soprattutto per noi, che quando finisce un’edizione, quelli che rimangono più arricchiti siamo proprio noi. Per tutta l’équipe è un vero cammino formativo. I lavori di preparazione iniziano ad ottobre. Ci incontriamo ogni mese in un fine settimana a lavoriamo su vari livelli: livello organizzativo (la ricerca dei lavori, dei soldi, degli attrezzi, l’organizzazione del programma culturale per le serate, la pubblicità, la logistica, la cucina...) e livello spirituale ed evangelizzatore. Attorno a Workship si è creato un gruppo di una ventina di persone che ora condividono il nostro carisma, alcuni hanno formato il primo gruppo di giovani associati, anche i nostri pre-
novizi hanno partecipato a Workship... Per tutti è un’occasione per fare qualcosa in comune che abbia senso. Puoi dirci meglio in che senso questa attività è un momento di evangelizzazione? Per noi è l’obiettivo principale: far passare il Vangelo. E tutti speriamo che Workship sia per ciascuno un incontro con Dio anche per chi dice di non conoscerlo. Forse vedendo questi giovani, la gente si pone domande, si interroga, forse viene a trovarci in chiesa oppure viene una sera a vedere il film, il teatro e poi si ferma... Per noi è un modo di uscire dalle chiese e incontrare le persone dove vivono. Workship vuole essere un laboratorio di incontro. Papa Francesco parla della “cultura dell’incontro” anzi della “mistica dell’incontro”. L’incontro, le relazioni sono un luogo teologico dove si può incontrare Dio. E noi con Workship abbiamo questa grande pretesa di creare lo spazio dove si può incontrare Dio presente tra noi. n
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fatti
IL “SI” di Peppino
Una forte testimonianza di un laico tarantino formato nella spiritualità oblata e dell’Ideale dell’Unità di Marta Covella
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V
orrei raccontare l’esperienza vissuta con papà Peppino, anzi babbo, come ero solita chiamarlo negli ultimi cinque anni e come la grazia dell’Ideale (Movimento dei focolari fondato da Chiara Lubich, ndr) mi ha aiutato a vivere. Sin dal primo ricovero mi fu comunicato l’esito della diagnosi “metastasi polmonare”. Avvertii un colpo al cuore, ma nel
fidarsi dello
spirito
Sappiamo bene che ogni incontro ci fa compiere un passo in avanti nello scoprire la bellezza della Chiesa che ci mette insieme per eliminare alcune difficoltà che incontriamo nella via. Proprio per questo gli incontri sono necessari per evitare situazioni che non ci mettano nella stessa onda. Per quanto ci riguarda, comunque, è necessario continuare a fidarsi dello Spirito Santo che può aiutarci a capire e guidare e tenere a bada
ogni atteggiamento che noi pensiamo… Ecco perché fidarsi è necessario per vivere la Chiesa Universale in linea con papa Francesco che ci spinge all’universalità e non è pensabile ancora dire noi… voi… invece di dire siamo tutti in cordata a vivere felicemente la Grazia, i doni che Dio ci dà. Naturalmente offro tutta la situazione personale di questo momento che mi vede “in corsia preferenziale” abbandonarmi alla Sua Volontà, certo del Suo Amore, contemplando la realtà del cielo e della terra. Un abbraccio fraterno a tutti i presenti. Uno, Peppino.
con papà per un qualsiasi esame o visita. Erano queste le occasioni (viste le lungaggini) per parlare di tante cose. Tutto finiva con il fare colazione insieme o prendere il pane per poi fermarci a mangiare a casa. Quanto condividevamo, cercavamo di renderlo normale: le paure, le angosce, i dubbi… Avvertivo nel contempo la gioia ogni volta di poter alleggerire quel peso gettando tutto nelle mani di Dio. Mi mancherà la comunione profonda, quella comunione d’anima che difficilmente si stabilisce tra padre e figlia.
Rapporti
contempo una voce mi diceva: “Dovete essere miei testimoni”. Immediati sono stati i nostri contatti con i vari centri, medici, ma essendo un campo particolare chiedevo all’Eterno Padre di darmi la lucidità per capire cosa fare… Ci trasferimmo a Bari per quasi un mese. Ogni volta ci si muoveva tutti insieme
In questi anni abbiamo costruito tanti rapporti con i vari dottori, infermieri e addetti al settore ospedaliero. A loro dire, essi ci portavano come esempio per la tempestiva e corretta attività riguardante la terapia e, soprattutto, per l’attenzione e l’amore dimostrati, grazie ai quali si concretizzava la realtà di una famiglia unita. Ho pensato tante volte, quando li sentivo parlare “di qualità della vita”, che forse il segreto sta proprio in questo. Certamente molto aiuto lo abbiamo ricevuto dai nostri mariti e figli. A casa ormai si passava poco tempo, spesso solo a pranzo e in
fretta per alcuni servizi. Soprattutto nell’ultimo periodo la presenza a casa dei miei era 24 ore su 24. Papà accusava dei dolori forti e anche la morfina non riusciva a ridurli, non poteva più camminare o fare spostamenti. Pur vivendo questa situazione il suo pensiero era per mia madre, anch’ella sofferente. Ha cercato sempre, sino all’ultimo, un rapporto bello con la moglie, comprendendola e perdonandola. Il suo dolore più grande era l’ impossibilità di non essere più a disposizione degli altri della parrocchia, delle ACLI, nel sociale, in politica. Gli mancava sentire, come diceva lui, il “profumo” della parrocchia il “profumo” della strada. Anche nel suo ultimo ricovero lo aiutai a scrivere qualcosa in occasione di un imminente incontro e oggi, rileggendo quelle parole, le avvertiamo come un suo testamento. Averlo potuto ascoltare, aiutare, ma soprattutto contemplarlo era una continua preghiera e solo l’amore a Gesù Abbandonato mi dava la possibilità di andare oltre, di accettare, di vedere un padre consumarsi continuando a dire quel “sì”. Recitavamo ogni sera il rosario insieme e quasi ogni giorno comunicavamo con Gesù Eucarestia, essendo io ministro stra-
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fatti
ordinario. Non è mai mancata la visita degli Oblati.
Restate uniti Papà ha sofferto molto, unendosi ai dolori di Gesù, ma noi eravamo lì a lavarlo, a profumarlo, ad accarezzarlo. Avvertivamo il suo attaccamento verso di noi, alla vita. Un’esperienza bella si è avuta anche quando, risvegliatosi dal coma, ha avuto una parola per ogni membro della famiglia ed una comunitaria “restate uniti”, siate una famiglia unita. Molti momenti ci sono stati in cui sentivamo di perderlo e poi si riprendeva, era Dio che chiedeva a papà (ma anche a noi):“Mi ami tu?” Ed ogni volta gli ripetevamo quel “sì” . Sono stati per me giorni di cielo, anche se può sembrare pazzesco. Tenergli la mano, sentirlo soffrire, respirare affannosamente è stato veramente duro, fino a quando è spirato… Non so descrivere quel momento, è stato come se il cielo si congiungesse alla terra e si aprissero nuovi mondi, se n’è andato dolcemente come in un soffio, il soffio dello Spirito. Mi veniva spontaneo pregare Maria madre che sempre mio padre invocava nel momento in cui i dolori erano lancinanti. Le ho chiesto di intercedere presso sorella morte affinché potesse essere, quello di papà, un passaggio dolce è così è stato lasciandoci nella pace e nella serenità. Vedere il dolore, ma anche la maturità con il quale i miei figli hanno affrontato tutto è stato di aiuto per affrontare ciò che ci aspettava. Il giorno della dipartita non avevamo messo ancora i manifesti e la casa era piena di gente…e così per il tempo durante il quale papà era allettato, dovevamo consolare tanti. È venuta gente da ogni dove e di ogni età con un solo desiderio: ringraziarlo per ciò che egli è stato e che ha fatto. Alcune cose che lui aveva fatto per tanti, sono venute alla luce, anche a noi, dopo la sua partenza.
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In alto un momento ricreativo della parrocchia OMI di Taranto, A destra, Santa Maria del Galesio con a fianco una foto di gruppo con Peppino Covella
I funerali Ai funerali c’era tanta gente! Gli echi sono stati tanti. C’era chi aveva l’impressione di aver partecipato ad una festa, chi percepiva un’aria mariana. Un ritorno alle radici è stato vedere tanta gente lontana dalla chiesa. Essere stati consolati e confortati da alcuni Evangelisti nostri amici, Testimoni di Geova, e persino tanti giovani. Tutti che lo apprezzavano e stimavano. Abbiamo voluto continuare ad essere testimoni cercando di curare la cerimonia, preparando le preghiere dei fedeli con i ragazzi con le quali abbiamo voluto raccontare del dono della persona del nonno, del dono dell’essere famiglia. Sulla bara abbiamo messo dei segni tra
cui il Vangelo: fonte e luce per una vissuta all’ombra dell’Ideale dell’Unità, la croce dei nostri missionari Oblati di Maria Immacolata, lo statuto dei laici al quale papà ha dato il suo contributo e dei fiori che ricordavano quel meraviglioso ed insolito sbocciare di rose profumate ad ottobre, nel piccolo giardino sottostante la finestra della stanza da letto. Siamo riusciti anche ad essere fedeli nell’organizzazione e nella partecipazione a vari incontri. Sentivo come ogni volta dovessi fare il passo di entrare nell’altra stanza per essere dono per gli altri dimenticando il mio dolore. Il giorno prima della dipartita di papà, ci ha chiamato una delle coppie che seguiamo raccontandoci cha la loro bambina era appena nata, ma aveva delle difficoltà. Ci siamo messi subito a loro diposizione. n
lettere dai missionari
MISSIONI
OMI
Donne energiche A settembre 2008, sono andato nella regione di Loreto nella nuova missione oblata di Santa Clotilde, sul fiume Napo. Come molti che per la prima volta, prendono contatto con il grande Rio delle Amazzoni, mi meravigliavo di essere lì, navigando verso la città di Angoteros, nel distretto di Torres Causana. Ero con Edgar Nolazco, mio confratello e compagno di missione. Quando siamo arrivati a destinazione, la prima sorpresa è stata trovare una comunità indigena che ha mantenuto lingua, usi e costumi. Due anni prima era deceduto p. Juan Marcos Mercier, OFM. Lì ho conosciuto Manuela, Virginia e Janet. La casa della missione è al centro della comunità, una casa come tutte le altre, con
pavimenti di corteccia di palma e tetto di foglie di palma. Manuela e Virginia, le più anziane della comunità, ci hanno accolto, e con loro, la giovane, Janet, appena arrivata. Ricordo ogni espressione, ogni aspetto delle tre suore peruviane Mercedarie missionarie, venute qui su richiesta di Juan Marcos, per continuare la missione in questa zona del vicariato. Manuela, che forza ! La prima cosa che p. Jack mi ha detto: “Conoscerai Manuela; una donna con tante risorse”. Me ne sono ricordato quando ho incontrato Manuela, che mi ha impressionato per l’impegno, la vicinanza, la disponibilità al dialogo e la comprensione della cultura. La prima cosa che mi ha detto: “Presto, presto,
dobbiamo patire. Peccato che tu stia lì, seduto”. Una frase che mi è entrata dentro in tutti questi anni. Manuela, fedele al suo stile, porta la missione di Cristo tra i Napurunas. Molti esempi e aneddoti vengono in mente. Penso alla sua concentrazione e forza per fare la cosa giusta e il suo stare con la comunità. Il suo desiderio di arrivare in tempo in ogni villaggio, con i vari documenti e materiali già pronti. L’agenda dove annota tutto: i battesimi, le questioni più urgenti, i nomi dei responsabili per le nuove comunità. Sembra di vedere una formichina all’opera: veterinario, idraulico, muratore; taglia la legna e accende il fuoco. Conosce tutti gli strumenti che usa con precisione, e sa esattamente il posto
di ciascuno. La cosa più sorprendente è la sua invidiabile energia, una donna forte. Devo dire che le Missionarie Mercedarie sono rimaste fedeli al loro carisma Roberto Carrasco OMI Santa Clotile, Perù
Una nuova missione con i pescatori Su invito del vescovo di Trincomalee, diocesi nella provincia orientale dello Sri Lanka, la provincia oblata di Colombo ha aperto una missione a Kallarawa Kuchchaveli nel distretto di Trincomalee. P. Rohan Silva, provinciale, il 13 Febbraio 2015, ha nominato responsabile il p. Jesu Ramesh Warnakulasuriya. Gli
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MISSIONI
Oblati sono particolarmente impegnati con i pescatori, sia residenti che immigrati. I pescatori di questa provincia occidentale dello Sri Lanka sono arrivati in questo villaggio nel 1949. A quel tempo, c’erano undici famiglie. Non avevano case permanenti. Era stata costruita una cappella, dedicata a S. Antonio. Negli anni ‘60 c’erano fino a 40 famiglie, senza mezzi di trasporto, nè assistenza sanitaria, né scuola. Con il tempo, il villaggio è diventato il più grande centro di pesca, a nord di Trincomalee. Durante
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OMI
la stagione, i pescatori venivano ogni anno sulla costa occidentale dello Sri Lanka. Tra il 1968 e il 1977, le famiglie di pescatori residenti erano un centinaio. Nel 1978, si costruì la scuola. Durante la bassa stagione (mare mosso), la gente si dedicava all’agricoltura. Vivevano felici. Dopo il 1985, una ventina di nuove famiglie si trasferirono a Kallarawa. Tuttavia dal 1985 al 1995 a causa della guerra tra le forze del governo dello Sri Lanka e le Tigri di liberazione Tamil, molti pescatori morirono e altri si
rifugiarono in una scuola in Mineral Sands Corporation. Chi viveva nel villaggio tra il 1949 e il 1995 ha perso tutto. A giugno 1995, c’erano 37 famiglie nel campo militare. Con la fine della guerra i pescatori sono tornati sulla costa occidentale dello Sri Lanka. P. Jesu Ramesh li incontra, sperando in un futuro migliore. Risiede a Nilaveli, nel distretto di Trincomalee, in una parrocchia oblata, fondata nel 1970 e amministrata dagli Oblati di Colombo fino al 2014. P. Jesu Ramesh sarà presto
accompagnato da alcuni Oblati, non appena i problemi abitativi saranno risolti. La missione infatti si vive in comunità apostolica. P. Ramesh parla sinhala e tamil. Ha completato i suoi studi a Roma e ha ottenuto una licenza in teologia pastorale presso l’Università Lateranense. È stato ordinato sacerdote nel 2011 e ha lavorato in due parrocchie dell’arcidiocesi di Colombo. Ha anche insegnato al “De Mazenod”, l’Accademia inglese di Negombo. Emmanuel Fernando OMI Colombo, Sri Lanka
lettere dai missionari
Qui Ciad di Hervé Givelet OMI hervegivelet@gmail.com
Con i malati di AIDS Ho incontrato i miei malati di AIDS. La preoccupazione non è tanto risolvere i loro problemi, ma renderli autonomi, perché so che un giorno lascerò Pala. Finora, gli sforzi sono stati inutili. A Denise hanno spezzato il lucchetto con un martello e si sono presi tutto: materassi,
MISSIONI utensili da cucina, vestiti, denaro, tavolo... Poi è toccato a Josephine; questa volta hanno forzato la porta. A lei e ai figli è rimasto quel poco che indossavano. I furti aumentano anche per mancanza di lavoro per i giovani. Non mancano gli incidenti. Nestor e sua moglie, malati di AIDS, hanno perso tutto, compresa la casa. Mentre Nestor lavorava nel campo, si è festeggiato il matrimonio della figlia di un musulmano vicino di casa. Hanno acceso il fuoco proprio a ridosso della casa di Nestor, che ha un tetto di paglia: immaginate il resto! Boko Aram ha risolto a modo suo il problema della povertà in Camerun. Così 3000 giovani hanno ricevuto 300 euro ciascuno e tutto l’armamentario del perfetto terrorista. Per i giovani non è un problema, pur di avere una buona entrata. Ma le uccisioni continuano ancora in Nigeria e nel Nord Camerun.
OMI
Qui Thailandia di Domenico Rodighiero OMI rodighiero.domenico@gmail.com
I poveri sempre con voi Con padre June abbiamo cercato di rispondere alle sollecitazioni di un mondo complesso com’è la periferia di una grande città. Quasi un anno fa, quando ci siamo trovati per elaborare una strategia che rispondesse alle esigenze, abbiamo pensato di mettere al centro della pastorale parrocchiale il carisma che ci distingue: evangelizzare i
poveri. Non è stato difficile concretizzare questa idea, c’era solo l’imbarazzo della scelta: ragazzi dello “slum” (serie di baracche lungo i canali) dietro la nostra parrocchia, rifugiati pakistani che continuano ad arrivare in città e che attendono di andare in un altro Paese, lavoratori immigrati, gente trascurata tra i nostri fedeli che ha bisogno di attenzione e cura. Abbiamo imbastito alcuni micro-progetti (così li chiamano visto che la gente povera non ha bisogno che di poche cose essenziali) per poter dare una mano. Non ci facciamo illusioni, questi progetti sono veramente ‘micro’: i bisogni sono sterminati. Ho scoperto che quello che diceva Gesù è proprio vero: i poveri li avrete sempre con voi! E sono tanti, mentre le nostre risorse sono limitate. Noi vorremmo solo essere segno di speranza.
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MISSIONI OMI · 06/07_15
200 anni
In cammino verso i 200 anni dalla nascita dei
Missionari OMI
La comunità: che gioia Preparate il luogo dove la comunità si incontrerà. Chiedete ai partecipanti di arrivare all’incontro con un simbolo che richiami la comunità o qualcosa che indichi il proprio impegno nel contribuire alla qualità della vita della comunità. Iniziate con un canto per sottolineare la gioia di stare insieme.
200 ANNI Missionari Oblati
di Maria Immacolata Costituzioni e regole oblate La comunità degli Apostoli con Gesù è il modello della loro vita. Egli aveva riunito i Dodici attorno a sé per farne i suoi compagni e i suoi inviati. La chiamata e la presenza del Signore in mezzo a loro oggi unisce gli Oblati nella carità e nell’obbedienza per far loro rivivere l’unità degli Apostoli con lui, e la loro comune missione nel suo Spirito. (Costituzione 3)
CONDIVISIONE Quali sono le tre cose concrete che mostrano che la comunità di Gesù con gli apostoli è il modello della tua vita comunitaria? Quali sono le qualità della comunione che maggiormente mancano nella tua vita personale e nella tua comunità? Potresti spiegare il significato del simbolo che hai portato all’inizio della riunione?
IMPEGNO Redigi un elenco di azioni concrete che hai fatto in quest’ultimo anno con le quali pensi di aver aiutato a creare comunione nella tua comunità. Cos’altro avresti potuto fare per favorire una vita di comunione?
40 MISSIONI OMI · 06/07_15
LA PAROLA DI DIO
1816-2016
Gesù prega il Padre perché tutti siano una cosa sola.
Giovanni 17, 20-26
Un commento di J. Sullivan e R. Haslam OMI La comunità di Gesù con i suoi Apostoli, come pure le prime comunità cristiane ed anche le nostre comunità sono realizzazioni storiche della comunione trinitaria. Il perdono ricevuto da Dio è la condizione che rende possibile ad ogni comunità di conoscere un vero perdono, di vincere l’odio, le contraddizioni, i limiti e il peccato, radice di ogni disgregazione. Questa comunione è frutto della croce di Gesù. Essa è un dono dello Spirito Santo che strappa gli uomini all’egoismo, al peccato, all’inimicizia e all’odio. È un processo che permette di vincere il peccato all’interno d’una fraternità dinamica che è molto diversa da un gruppo di amici. La comunione è una vita nuova che integra i valori umani dell’amicizia e della fraternità. Ecco l’essenza, il fondamento di ogni comunità, questa comunione teologica, dono del Padre per mezzo del Figlio e nello Spirito Santo. Questa comunione ha deter-
minate qualità. Essa accetta le differenze tra le persone, perché è Dio che ha fatto l’altro così come è; supera le opposizioni; porta il perdono; converte coloro che la vivono; unisce in uno stesso desiderio, ma non necessariamente in uno stesso sentimento; è gratuita in quanto è un dono del Padre a noi e il dono di noi stessi ai fratelli. n
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Destinare il 5x1000 non costa nulla! Beretta, S. Balestra, S.. Contro la fame Diritto al cibo, accesso alla terra EMI 2015 p. 64 €5
Romero, O. «LA CHIESA NON PUÒ STARE ZITTA» Scritti inediti 1977-1980 a cura di Jesús Delgado EMI 2015 p. 176 € 13
Sobrino, J. Romero Martire di Cristo e degli oppressi EMI 2015 p. 156 € 17
Tosolinii, T. Shintoismo EMI 2015 p. 160 € 12
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