Prezzo di copertina € 2,20 - agosto-settembre 2013 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012
attualità
dossier
fatti
missioni
I missionari OMI a Pozzilli (Is). Parla mons. Salvatore Visco
Ripercorriamo la presenza oblata al Concilio
La “vita nuova” di Beatrice Fazi. Intervista esclusiva
Qui Senegal Qui Uruguay
MISSIONI
RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA
OMI
n. 08/09 AGOSTO-SETTEMBRE 2013
50 anni dopo I Missionari OMI
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SOMMARIO MISSIONI OMI Rivista mensile di attualità Anno 20 n.8/9 agosto-settembre 2013
attualità
Marsiglia, capitale europea della cultura 2013
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Una presenza poliedrica
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Pagine missionarie
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Notizie in diretta dal mondo oblato
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La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250
di Fabio Ciardi OMI
EDITORE
di Pasquale Castrilli OMI
Provincia d’Italia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata Via Egiziaca a Pizzofalcone, 30 80132 Napoli
di Chiara Zappa
news
REDAZIONE
Via dei Prefetti, 34 00186 Roma tel. 06 6880 3436 fax 06 6880 5031 pasquale.castrilli@poste.it
a cura di Elio Filardo OMI
DIRETTORE RESPONSABILE
Pasquale Castrilli
Mgc news
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Una vita nuova
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REDAZIONE
Salvo D’Orto, Elio Filardo, Gianluca Rizzaro, Adriano Titone
fatti
COLLABORATORI
di Angelica Ciccone
Nino Bucca, Claudio Carleo, Fabio Ciardi, Gennaro Cicchese, Angelica Ciccone, Luigi Mariano Guzzo, Thomas Harris, Sergio Natoli, Luca Polello, Claudia Sarubbo, Giovanni Varuni
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Viva Tambicò di Luciano Andreotti
PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE
missioni
Elisabetta Delfini STAMPA
Tipolitografia Abilgraph Roma FOTOGRAFIE
Si ringrazia Olycom www.olycom.it
Lettere al direttore
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Storia di storie
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Lettere dai missionari
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Qui Uruguay, Qui Senegal
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UFFICIO ABBONAMENTI
Via dei Prefetti, 34 - 00186 Roma tel 06 9408777 - Valentina Valenzi rivista.misisoni.omi@omi.it Italia (annuale) Estero (via aerea) Di amicizia Sostenitore
I Missionari Oblati di Maria Immacolata al Concilio Vaticano II
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dossier
A cinquant’anni di distanza ricordiamo la presenza dei Missionari OMI all’ultimo concilio
di Fabio Ciardi ciardif@gmail.com
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inquant’anni fa il concilio. Per i giovani un evento storico che si perde nella notte dei tempi. Per i vecchi il ricordo vivissimo di un’esperienza sempre presente. “Fu un momento di straordinaria attesa - ha scritto Benedetto XVI il 9 agosto 2012 ricordando quegli anni. - Grandi cose dovevano accadere… aleggiava nell’aria un senso di attesa generale: il cristianesimo, che aveva costruito e plasmato il mondo occidentale, sembrava perdere sempre più la sua forza efficace. Appariva essere diventato stanco e sembrava che il futuro venisse determinato da altri poteri spirituali. Affinché potesse tornare ad essere una forza che modella il domani, Giovanni XXIII aveva convocato il concilio” Appena il papa annunciò che ci sarebbe stato un concilio, si avviò un grande cantiere di lavoro: commissioni, relazioni, studi… Occorrevano persone preparate, che portassero ad esecuzione lo straordinario progetto. Fin dagli inizi i Missionari Oblati di Maria Immacolata si trovarono in prima linea. Nella più im-
Conciglio
Si svolse in quattro sessioni, dal 1962 al 1965, sotto i pontificati di GIOVANNI XXIII e PAOLO VI. Promulgò quattro Costituzioni, tre Dichiarazioni e nove Decreti. Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato il ventunesimo e ultimo concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della chiesa cattolica. Il concilio ecumenico è una riunione solenne di tutti i vescovi della cristianità per definire argomenti
Vaticano II
controversi di fede o indicare orientamenti generali di morale. L’etimologia dell’aggettivo “ecumenico” lo riconduce al greco ecumene, “(l’intero) mondo abitato”. Il numero e l’autorità dei concili varia a seconda delle chiese cristiane. La chiesa cattolica, oltre ai concili del primo millennio del cristianesimo, avvenuti prima del grande scisma, considera ecumenici anche quelli convocati, nel secondo millennio, dalla sola chiesa cattolica (senza la partecipazione della chiesa ortodossa e delle chiese appartenenti alla Riforma protestante).
Una foto dei vescovi oblati al Concilio Vaticano II scattata alla Casa generalizia OMI il 21 novembre 1962
DOSSIER
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portante delle commissioni preparatorie, quella teologica, il papa chiamò p. Marcel Bélanger, vice rettore dell’Università di Ottawa e l’italiano p. Emanuele Doronzo, professore di teologia dogmatica all’Università Cattolica d’America a Washington, autore di una monumentale somma teologica. Altri Oblati furono nominati alla Commissione delle missioni: p. Johannes Rommerskirchen, bibliotecario della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, p. André Seumois, professore all’Ateneo di Propaganda, p. Armand Reuter, direttore generale degli studi. Ulteriori commissioni, come quella dell’Apostolato dei Laici e dei Religiosi, videro presto la presenza di altri Oblati come p. Peter Pillai, superiore del Collegio St-Joseph di Colombo nello Sri Lanka, p. André Guay, procuratore generale presso la Santa Sede, p. Nikolaus Kowalsky, archivista della Sacra Congregazione di Propaganda, p. Michel Leclercq, p. Léo Laberge, p. Armand Reuter, p. Joseph Rousseau. Il “colpo grosso” fu l’inaspettata nomina del superiore generale, p. Leo Deschâteletes, a padre conciliare, accanto ai vescovi. Nell’ottobre 1962 l’Agenzia Romana Oblati di Maria Immacolata (A.R.O.M.I.) scriveva in
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UNA FOTO PER PENSARE
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una foto per pensare
L’attes a
Come un'alba silenziosa scruta le verità in un sospiro lento del tempo tra certezza e speranza
foto Alessandro Milella, alessandro.milella@alice.it testo Claudia Sarubbo, claudia.sarubbo@yahoo.it
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editoriale di Pasquale Castrilli OMI pasquale.castrilli@poste.it
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Sapienza e speranza
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I missionari OMI a Pozzilli (Is). Parla mons. Salvatore Visco
Ripercorriamo la presenza oblata al Concilio
La “vita nuova” di Beatrice Fazi. Intervista esclusiva
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RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA
OMI
n. 08/09 AGOSTO-SETTEMBRE 2013
50 anni dopo I Missionari OMI
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al Concilio Vaticano II
n evento straordinario e ricco di sapienza e speranza. Il Concilio Vaticano II è stato, per la chiesa cattolica, momento di rinnovamento, revisione, conferma e tanto altro. Quando papa Giovanni XXII lo annunciò il 25 gennaio 1959, tre mesi dopo la sua elezione, provocò consensi, ma anche parecchie perplessità soprattutto in coloro che non ne vedevano la necessità e che avevano giudicato Giovanni XXII un papa moderato che non avrebbe certamente mosso nulla. Eppure tra il 1962 e il 1965 il Concilio intravide nuovi significati e frontiere per la vita cristiana nella modernità, contenuti che cinquant’anni dopo stentano, a volte, a trovare spazio nella teologia e nella prassi della chiesa. A quell’evento parteciparono anche Missionari Oblati di Maria Immacolata di diverse nazioni e tra questi p. Leo Deschâteletes, allora superiore generale della congregazione fondata nel 1816 da S. Eugenio de Mazenod. Questo numero estivo di Missioni OMI consente di conoscere un po’ di più quell’evento dall’angolazione, se così possiamo dire, “oblata”. P. Fabio Ciardi ha preparato per noi un articolo che ripercorre la partecipazione e il lavoro degli Oblati impegnati a vari livelli in quegli anni. Inutile dire che il Concilio impresse in ciascun obla-
to partecipante un marchio indelebile che plasmò cuore e azione. Siamo a qualche mese dalla fine dell’Anno della fede che papa Benedetto XVI indisse proprio per commemorare il cinquantesimo anniversario del Vaticano II. In questo anno in tutta la cattolicità si sono svolti incontri, dibattiti, simposi, celebrazioni eucaristiche e veglie di preghiera per trovare e ritrovare, per certi versi, lo spirito autentico e originario del Concilio. Nell’enciclica Novo Millennio Ineunte (n.57) papa Giovanni Paolo II aveva definito il Concilio “la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX”. “In esso - scriveva - ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”. Un riferimento certo, il Concilio, anche per tutto mondo missionario che ha sviluppato con attenzione, in questi cinquant’anni, temi ed esperienze sul campo nei settori dell’annuncio del Vangelo in un mondo secolarizzato, del dialogo interreligioso, delle chiese locali, della missionarietà di tutto il popolo di Dio, della promozione umana. Nel 1990 la lettera enciclica Redemptoris Missio fece il punto su questi temi a venticinque anni dal Concilio. I tempi sembrano maturi per una nuova sintesi missionaria a cinquant’anni di distanza. n
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lettere al direttore
Le opere della fede Con questo titolo si è svolta la giornata “Mission Day”, che da tre anni chiude l’anno della comunità apostolica dei Missionari Oblati di Passirano (Bs). Eravamo circa 120, provenienti dai luoghi dove la comunità ha svolto il suo ministero in questi anni: Pavia, Milano, Novara, Vercelli, Brescia e Bergamo. I laici della famiglia oblata hanno assicurato la preparazione e l’organizzazione. Il tempo splendido ha permesso di vivere una giornata di fraternità e ringraziamento, proprio nella solennità della SS. Trinità. Abbiamo contemplato prima di tutto la fede del
MISSIONI Figlio di Dio nell’uomo. Dio ama questo nostro mondo, il segno massimo è il dono del suo Figlio, questa è la vera opera di Dio. Gesù con la sua fede nell’uomo ha sperimentato le stesse difficoltà che anche noi viviamo nella nostra fede. Ma questo non lo ha fermato. La nostra fede in lui diventa reale solo quando si manifesta nelle opere. Abbiamo passato in rassegna le opere della fede che insieme abbiamo vissuto: Le missioni popolari, con tutto quello che comportano, ma le opere della fede si sono anche manifestate in modo particolare nella partecipazione al progetto della scuola di S. Giuseppe a Mansabà, nella missione di Farim in Guinea-Bissau. L’attenzione alla missione all’estero da sempre caratterizza la comunità di Passirano e quindi sollecita
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le comunità parrocchiali nelle quali celebra la missione popolare ad essere solidali con le missioni estere. In questo modo il “cuore” si dilata sul mondo. La gioia di tutti era grande perché tra noi c’erano i volontari del GRIMM (Gruppo di impegno missionario, ndr), i volontari della comunità, che nel mese di gennaiomarzo 2013, hanno lavorato per costruire la scuola. Ci siamo resi conto insieme di quanta solidarietà è presente nella nostra gente. Una solidarietà che coinvolge il tempo, i progetti e anche il denaro. Tutto ciò che è stato donato è quantificabile e ammonta a 57.600 euro, senza contare il materiale inviato nei due container: viveri, medicinali, vestiario, macchine per la falegnameria e agricole… Nella celebrazione dell’Eucaristia in onore della SS. Trinità, siamo stati condotti a contemplare da dove sgorga questa solidarietà, generosità, volontariato, in una parola queste opere della fede. Noi portiamo impressa l’immagine di Dio che è comunione e relazione. Se viviamo secondo questa immagine siamo chiamati a rigenerare i fratelli, ad avere misericordia e salvarli, ad operare secondo giustizia
e verità. Così viviamo in noi la presenza del Padre creatore, del Figlio Redentore, dello Spirito Santo che ci santifica e ci manifesta la verità. Tra tutti c’era la voglia di comunicare e tutta la giornata è stata una occasione per tessere delle relazioni più profonde. La presenza di un buon gruppo di ragazzi e giovani, oltre che allietare con i canti, apriva il cuore alla speranza di un futuro migliore. Una piccola processione, attraverso il viale delle rose, ci ha portati ai piedi della Vergine Immacolata. Siamo stati invitati a rinnovare il nostro “sì” a Dio, ponendolo nel “sì” della Vergine che ha mostrato al mondo l’opera di Dio: Gesù. Così ,come individui, coppie e bambini, giovani, siamo passati davanti ai piedi della Vergine, in un silenzio esterno impressionante, che faceva da sfondo alle parole del cuore. Con umiltà, sapendo che alla fede e all’amore non c’è mai limite, possiamo cogliere l’invito del maestro: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.”(Mt.5,16) Marcellino Sgarbossa OMI Passirano (Bs)
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La vera felicità Mi trovo in carcere da quasi 4 anni e, sulla carta, mi rimarrebbero da scontarne altri 15. Ho fatto sempre di tutto per sfruttare al meglio il tempo passato qui, ma avevo sempre un vuoto nel cuore. Di preciso non sapevo, nemmeno, cosa mi mancasse. Ero sicuro, però, che ciò che cercavo si trovava al di fuori di queste mura. Un giorno di qualche mese fa guardavo la televisione nella mia cella. Era tardissimo, tutti dormivano. Trovai, finalmente, qualcosa che attirò la mia attenzione. Avevo pensato che si trattasse di qualche film documentario, perché parlava di Africa e di tutto ciò che la rappresenta. Sono sceso dalla branda, mi sono avvicinato e ho guardato tutto il programma a volume bassissimo per non infastidire i miei compagni. Quella notte avevo visto cose che non credevo fossero cosi impressionanti. Si trattava di vita difficile, di famiglie disperate, di bambini di diversa età con malattie, di situazioni che nel XXI secolo, se uno non le vede non ci crede che possano essere vere. Più guardavo e più capivo cosa mi mancasse. Mi mancava la felicità. Ma non sapevo come e cosa fare
L’ingresso del carcere di Cosenza
per averla. Avevo capito che, solo facendo sorridere una di quelle persone, avrei potuto sorridere pienamente anche io. Mi ero fissato un obiettivo. Volevo aiutare uno di quei bambini a distanza, la sua famiglia e magari la sua comunità. Dal giorno seguente ho cominciato a domandare a tutti se conoscevano qualche associazione di volontariato da poter contattare. Ho domandato al cappellano del carcere, agli assistenti volontari, al pastore. Mi portarono diversi depliant e senza perdere tempo un giorno cominciai a scrivere a diverse associazioni. Ma le risposte non arrivavano. La mia attesa fu ripagata con una consistente busta che mi arrivò quando le speranze erano svanite. Appena finii di leggere chi fosse il mittente, mi rimbalzò il cuore nel petto. Non trovavo parole per dire
ai miei compagni da chi avessi ricevuto la lettera. Mi tremavano le mani mentre l’aprivo. Conteneva tante carte, varie informazioni sulle adozioni a distanza. Trovai una specie di documento con una fotografia di un bambino. Scoppiai in lacrime. Quel bambino nella foto, stava in posizione sull’attenti come se qualcuno glielo avesse ordinato. Su un lato erano scritti tutti i suoi dati. Ero emozionatissimo, la mia vita da quel momento cominciava ad avere più senso. Nella busta c’erano anche i bollettini postali con i quali avrei dovuto versare la somma prestabilita. Mentre li avevo trovati, sono tornato per un po’ nel mondo reale, perché, guardando quella foto immaginavo quel bambino sorridere, lo immaginavo a scuola con un quaderno, una penna e una mia foto. Tornando alla realtà
cominciavo a preoccuparmi di come avrei potuto effettuare quel versamento, perché essendo in carcere, non pensavo potessi farlo. Carta e penna alla mano ho scritto subito al direttore con una richiesta scritta di poter effettuare mensilmente un versamento per sostenere un bambino a distanza. Temevo sarebbero seguiti altri lunghi giorni di attesa, ma con mia sorpresa non fu così. Dopo due giorni fui autorizzato e il terzo giorno fu fatto anche il primo versamento. A quel punto sentivo pano piano riempirsi il mio cuore. Quel vuoto di prima scompariva. Perché mi trovo in carcere? Ho tolto la vita ad una persona, un ragazzo, ma questa è un’altra storia. Sono stato molto male dentro, per tutto questo tempo. Mi sentivo in debito con Dio, mi sentivo in debito con il mondo, mi sentivo in debito con una madre. Così ho deciso di dare, se non proprio la vita, almeno una vita più serena ad una creatura di Dio, ad un bambino. Questo non farà di me un santo; non potrei forse mai esserlo, ma mi piacerebbe tanto essere una scintilla, una piccola speranza per chi speranza non ha. Radu Diaconu Cosenza
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cartolina missionaria
Marsiglia,
capitale europea della cultura 2013 La città dove fu vescovo Eugenio de Mazenod, fondatore dei Missionari OMI, è in fermento. Percorriamola insieme agli Oblati
di Fabio Ciardi OMI ciardif@gmail.com
L
a città francese in questi mesi è un grande cantiere. Eletta a capitale europea 2013, ha avviato un programma intensissimo, dalla danza contemporanea alla gastronoma, dai festival ai colloqui culturali. Soprattutto ha elaborato un vasto progetto urbanistico di recupero e riqualificazione di vecchie strutture portuali dismesse, trasformandole in edifici avveniristici e costruendo nuovi spazi per le arti. Per l’occasione sono stati ingaggiati architetti di fama mondiale come Zaha Hadid, Jean Nouvel, Stefano Boeri. Si sta ridisegnando il vecchio porto e la parte della città che si affaccia sul mare, attorno alla cattedrale, che in questi anni è stato progressivamente abbandonato, lasciando la grande chiesa, costruita da S. Eugenio de Mazenod, nel degrado totale. È con gli occhi di S. Eugenio che in questi giorni ho ripercorso le strade della seconda città della Francia. Chissà quali furono le sue impressioni quando vi sbarcò a vent’anni, dopo l’ultimo periodo del suo esilio in Italia. Mentre la nave entrava in porto alla destra aveva la chiesa di S. Vittore, un’autentica fortezza, a sinistra le case dei pescatori che si arrampicavano su per la collina. Non avrebbe certo immaginato che vi avrebbe vissuto per
trentotto anni e ne sarebbe diventato il vescovo. A S. Vittore vi era stata la prima tomba di S. Lazzaro, quello risuscitato da Gesù, che venne in Provenza assieme alle sorelle, Marta e Maria, e fu il primo vescovo della città. Così almeno narra la leggenda, che per S. Eugenio era storia vera; con orgoglio si considerava discendente di quel primo vescovo. All’inizio dell’era cristiana quella era una zona cimiteriale, nelle cui catacombe furono sepolti i martiri
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Da una lettera di
“Un’altra mattinata come questa - scrive un giorno nel suo diario - e non ce la farò più. I soldi per i poveri che mi chiedono aiuto in un modo o nell’altro si trovano, ma trovarmi sempre faccia a faccia con persone così provate e sentirmi incapace di rispondere alle loro necessità va al di là delle mie forze. Una vedova che ha perso il marito in Guayana e che non ha un soldo né per
S. Eugenio
vivere né per trovare al suo Paese. Un giovane belga che è uscito dall’ospedale dove ha speso tutto quello che aveva e che, debilitato dalla malattia non ha come tornare in patria. Una donna anziana che ha portato tutto al monte di pietà e che non sa come fare a raggiungere il figlio…. E quante miserie ancora incontro ogni giorno. Non ne posso proprio più… Dopo tutto questo come faccio a sedermi a tavola e mangiare in pace…”.
Marsiglia
vittime della persecuzione dell’imperatore Decio. Ai primi del quinto secolo Giovanni Cassiano, proveniente dall’Oriente, vi stabilì un monastero che divenne celebre lungo tutto il medioevo. Sotto l’attuale grande basilica medievale si trova la primitiva antica basilica paleocristiana. Il volto di un vescovo scolpito come capitello di colonna viene da tutti indicato come il ritratto di S. Lazzaro. Gli Oblati giunsero a Marsiglia nel 1820 per predicarvi la missione cittadina, assieme ai Missionari di Francia. Allora si chiamano ancora Missionari di Provenza ed erano soltanto sei giovani sacerdoti, un gruppo piccolo, in confronto ai Missionari di Francia, ma tutto fuoco. Al termine della missione vi fu la solenne erezione della croce. Fu portata in processione per la città e infine installata a ridosso del muro della chiesa delle Acoules, tutto quello che era rimasto, con il campanile, dopo la furia distruttiva della Rivoluzione francese. Quel luogo divenne subito centro di pellegrinag-
gio e due anni dopo gli Oblati furono chiamati a stabilirvisi per accogliere le persone che venivano a pregare. Era l’antico villaggio dei pescatori, ora chiamato quartiere Panier, il più povero e colorito della città, rifugio di immigrati, mendicanti, prostitute. Fu qui che i padri Albini e Semeria dettero il vita all’Opera degli italiani, in favore dei nostri immigrati (erano 40mila), p. Honorat a quella dei carcerati (gli Oblati erano cappellani del carcere), degli ammalati (gli Oblati erano cappellani dell’ospedale). In questa zona, un po’ sempre malfamata, gli italiani sono stati successivamente rimpiazzati da emigranti provenienti dalle An-
tille, dalle Comore, da marocchini, senegalesi e gli Oblati sempre rimasti con loro. In quella prima metà dell’Ottocento il vescovo de Mazenod, saliva e scendeva per quelle stradine popolari con i panni perennemente a distendere fuori delle finestre, entrava nelle case, saliva per le ripide scale, assisteva gli ammalati, portava la comunione, confessava, amministrava la cresima, parlando sempre in provenzale. Ora il quartiere Panier è una delle attrazioni turistiche della città. Lasciando a sinistra il porto e scendendo verso il mare si giunge alla casa del vescovo oggi, ampliata, quartier generale della polizia della città. Lì S. Eugenio passava la mattinata, fino alle due del pomeriggio, ad accogliere la sua gente. Di fronte alla casa del vescovo si erge la grande cattedrale fatta costruire da S. Eugenio. Nell’abside la cappella con la sua tomba. Tornando sul porto, pare di rivedere le scene di quando S. Eugenio scendeva tra il suo popolo e ne era adorato: le pescivendole, i pescatori che rassettano le reti… Su in alto domina il santuario di Notre Dame de la Garde, anch’esso fatto costruire da S. Eugenio e affidato agli Oblati fino a quando nel 1903 vennero cacciati dalle solite leggi antireligiose. Lassù i missionari, partenti per il mondo intero, davano l’ultimo saluto alla Madre e alla città che avevano amato come la loro seconda patria. n
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attualità
Una presenza poliedrica
Intervista a mons. Salvatore Visco sulla nuova residenza oblata di Pozzilli, in Molise
di Pasquale Castrilli OMI pasquale.castrilli@poste.it
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na nuova sede oblata è stata aperta in Molise, nella diocesi di Isernia-Venafro, nell’autunno 2012. Ma già tre anni fa p. Rino Prevedoni OMI affiancava l’anziano parroco di Pozzilli, località in collina alle porte di Venafro. Come nasce questa presenza dei Missionari OMI? Con quali presupposti e finalità? Ne parliamo con mons. Salvatore Visco, attualmente amministratore apostolico della diocesi che ha retto per circa sei anni. Mons. Visco, come mai ha pensato di richiedere ai Missionari Oblati di Maria Immacolata una comunità nella sua diocesi? La diocesi di Isernia-Venafro soffre da anni di endemica mancanza di presbiteri. Naturalmente la crisi di vocazioni con la quale ormai quasi tutte le chiese locali sono chiamate a confrontarsi,
C’è molto da fare, e i Missionari Oblati da noi non staranno a riposo non ha potuto che aggravare la situazione. Da quando sono venuto in diocesi ho domandato a diversi Istituti religiosi di diritto pontificio di aiutarci per sostenere e far crescere la fede attraverso lo specifico delle singole Congregazioni. I Missionari Oblati di Maria Immacolata, rispondendo con generosità alla mia richiesta, sono venuti a testimoniare quello che sono: “missionari”.
Quando e come ha conosciuto i Missionari OMI? Conosco i Missionari Oblati da quando ero piccolissimo. Gli OMI vennero per una missione popolare nella mia parrocchia di Maria SS. Desolata in Bagnoli, quartiere della città di Napoli ma appartenente alla diocesi di Pozzuoli. La guidava il compianto p. Carmelo Conti Guglia ed io andavo a tutte le catechesi, sia quelle per gli uomini con mio padre - che quelle per le donne - con mia madre - e restavo affascinato da quell’uomo dalla voce potente che non aveva bisogno del microfono per farsi ascoltare. Entrato nel seminario minore di Pozzuoli, diversi missionari venivano a parlarci delle loro esperienze; tra loro proprio un Oblato di cui non ricordo il nome, ma resta nella mente il volto, mi colpì quando raccontava le sue avven-
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Tre oblati a servizio
dell’evangelizzazione I Missionari OMI a Pozzilli sono attualmente tre: P. ANIELLO RIVETTI, responsabile della residenza e direttore dell’ufficio ministranti della diocesi, P. RINO PREVEDONI, parroco a Pozzilli e S. Maria Oliveto, P. PASQUALE CASTRILLI, incaricato della pastorale universitaria, delle missioni al popolo e direttore della rivista Missioni OMI. Tra gli impegni apostolici degli OMI di Pozzilli anche le missioni popolari a Orta Nova (Fg) nel 2012, Ponza (Lt) nel 2013. Nel 2014 è in programma una missione a Squillace Lido (Cz).
ture tra gli eschimesi. Naturalmente, ascoltandolo, tutti volevamo diventare missionari. In seguito gli Oblati tennero un’altra missione nel 1979 chiamati dalle suore Piccole Missionarie Eucaristiche (le “Corsaro” dal nome della fondatrice) nel 50° della fondazione del loro Istituto; allora ero già sacerdote e vice-parroco della mia parrocchia di origine. Diversi i missionari impegnati, tra cui p. Aniello Rivetti ora a Isernia e allora “fresco di messa”, era infatti stato ordinato da nove mesi. Lo stile era cambiato per adeguarsi ai tempi, ma il fervore era identico. Ci fu una rilevante, positiva ricaduta nell’esperienza di chiesa sia all’interno delle singole parrocchie che per i cosiddetti lontani. È evidente che il seme poi deve essere curato, perché con l’aiuto di Dio possa crescere. Dal 1994, come vicario generale di Pozzuoli, sarà poi naturale - anche se in diocesi non avevamo una loro casa - conoscere diversi religiosi appartenenti all’Istituto ed apprezzarne il carisma. Come vede la fede della gente molisana e in particolare nella diocesi di Isernia-Venafro?
Sopra, mons. S. Visco con p. R. Prevedoni OMI e p. P. Castrilli OMI davanti alla chiesa parrocchiale di Pozzilli. Sotto la sede di Pesche d’Isernia dell’Università del Molise
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«Quasi tutte le parrocchie della diocesi - dice p. Aniello - hanno un gruppo di ministranti (faccio una distinzione tra ministranti e coloro che servono la messa che spesso non fanno un “cammino”). Ogni mese, insieme ed una suora, facciamo la riunione foraniale che si svolge in tre momenti: 1) conoscenza e presentazione dell’argomento: la persona di Gesù, S. Tarcisio o S. Domenico Savio, S. Maria Goretti… con qualche esperienza personale dei ragazzi; 2) giochi, sia per i ragazzi che per le ragazze; 3) preghiera. Spesso incontro i ministranti nelle singole parrocchie. Un incontro diocesano dei ministranti viene invece organizzato all’inizio e alla fine dell’anno pastorale». L’età dei ministranti delle diocesi varia dai bambini delle scuole elementari, ai ragazzi delle medie. È anche presente un gruppo delle scuole superiori. «Per ciascun gruppo si segue un cammino a parte - dice ancora p. Aniello -. Come direttore dell’ufficio ministranti faccio parte anche dell’equipe della pastorale vocazionale, e buoni segni di vocazione sacerdotale stanno nascendo tra i ragazzi».
Come in altre realtà simili, la considero radicata sì, ma forse eccessivamente legata ad una religiosità di tipo tradizionale bisognosa di purificazione e rinvigorimento. Purtroppo quella che una volta era considerata “l’isola felice” anche dal punto di vista della fede, va rivelandosi non scevra di problematicità. Infatti tutte le contraddizioni presenti nelle grandi città e diocesi, vengono da noi rilevate e, in percentuale, non sono affatto in decremento. Per andare in controtendenza è necessario un serio impegno per la “nuova evangelizzazione” cui il Santo Padre
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Sono due le parrocchie affidate a p. Rino Prevedoni: S. Caterina d’Alessandria, vergine e martire a Pozzilli e S. Lorenzo martire a S. Maria Oliveto, frazione del comune di Pozzilli. Per un totale di 2.400 persone circa. P. Rino ha iniziato il suo ministero come parroco l’11 aprile 2010, affiancando don Gaetano Mencaroni, parroco a Pozzilli per sessant’anni. «Don Gaetano era felice dell’arrivo degli OMI - dice p. Rino -. È una coincidenza che sia venuto a mancare proprio il 9 novembre 2012, giorno dell’insediamento ufficiale della comunità oblata». Nella pastorale parrocchiale p. Rino ha pensato di organizzare ogni anno dei Centri d’ascolto del Vangelo, soprattutto nel periodo quaresimale. Nel corso dell’anno pastorale 20122013 sono stati sviluppati contenuti inerenti l’Anno della fede. In parrocchia opera anche una comunità di suore Piccole Missionarie Eucaristiche, composta da tre religiose. A Pozzilli si è svolta una missione popolare oblata nel lontano 1946 e per alcuni anni le Cooperatrici oblate missionarie dell’Immacolata (COMI) si sono occupate dell’asilo parrocchiale. Gli Oblati della comunità si occupano anche della cappellania dell’Istituto neurologico mediterraneo (Neuromed), centro ospedaliero di eccellenza.
quotidianamente ci invita. L’Anno della fede ci spinge a ritrovare le motivazioni del credere, il senso dell’essere cristiani. In questo i Missionari Oblati ci daranno certamente una mano. La loro presenza in due parrocchie a Pozzilli dove, dal 15 ottobre scorso sono costituiti in residenza, l’impegno per i ministranti in diocesi e la cura della Pastorale Universitaria sono significative esperienze che daranno certamente frutti. Quali sono le urgenze attuali nella diocesi?
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Un altro fronte di impegno missionario è con gli studenti universitari. Da un anno e mezzo è attiva, infatti, nelle sedi di Isernia e Pesche d’Isernia dell’Università del Molise (UNIMOL) la pastorale universitaria. L’incaricato diocesano è p. Pasquale Castrilli. «Siamo partiti a marzo del 2012, con una presenza semplice. Mons. Salvatore Visco ha fortemente voluto questo impegno nel mondo accademico accanto a studenti, docenti e personale. Dopo aver dialogato e chiesto i doverosi permessi alle autorità universitarie, ho iniziato in punta di piedi con il desiderio di incontrare e conoscere, atteggiamento che, a distanza di più di un anno, non mi ha abbandonato. Devo dire che sono stato accolto bene da tutti. Con una certa curiosità, sia perché mai prima c’era stata una presenza della chiesa all’interno dell’Università, sia perché sono un missionario». P. Pasquale si reca settimanalmente nelle due sedi. «Quest’anno c’è stata la benedizione di inizio anno accademico e la celebrazione della messa in occasione del Natale e della Pasqua. Sono le prime celebrazioni eucaristiche tra le mura di questa Università. Studenti, professori e personale sembrano apprezzare questa presenza». Gli studenti della UNIMOL provengono da varie parti del Molise, ma c’è una buona presenza anche di campani (Benevento e Caserta), pugliesi (Foggia), abruzzesi (Chieti) e laziali (Frosinone). I docenti provengono da varie regioni d’Italia. «Dialogando con gli studenti mi pare di cogliere alcuni punti caratteristici dei giovani italiani di oggi- conclude p. Pasquale -. A cominciare dalla preoccupazione per il futuro». Tra i mesi di aprile e giugno, p. Pasquale ha anche proposto un corso di cresima a quattro studenti della facoltà di Scienze biologiche.
La prima e più evidente urgenza è a mio parere, la mancanza di vocazioni sacerdotali e religiose. Dobbiamo riconoscere che il Centro diocesano vocazioni, guidato da p. Celeste Cerroni, missionario di Nostra Signora de La Salette, in collaborazione col nostro Servizio di pastorale giovanile, sta ben lavorando. Ma per questo compito così importante ogni sacerdote - diocesano o religioso - deve efficacemente impegnarsi. Anche il mondo giovanile difficilmente “contagiabile” dalla proposta cristiana, influenzato com’è da falsi ideali del mondo e da una propaganda chiaramente ostile alla Chiesa
cattolica; una propaganda che utilizza sistematicamente la disinformazione, la generalizzazione e qualche oggettiva povertà per distruggere il bene. La catechesi permanente, se non consideriamo i movimenti e le associazioni, nelle parrocchie stenta a crescere. La preparazione ai sacramenti è ancora da omologarsi, i ministranti e il gruppo liturgico sono presenti in poche realtà, le Caritas parrocchiali solo da poco, aiutate dai responsabili diocesani, cercano di darsi una struttura con i centri di ascolto. Insomma c’è da lavorare e i Missionari Oblati da noi non staranno a riposo. n
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“Missionarie”
Nel 1973 venne fondata la EMI. La piccola casa editrice seppe riempire uno spazio culturale prima vuoto. Parlano i testimoni di ieri e di oggi
di Chiara Zappa
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a fatto conoscere al pubblico i volti dei grandi protagonisti della chiesa, del mondo missionario, delle religioni. Ha anticipato l’attenzione di massa su temi caldi come la giustizia e la pace, la salvaguardia del creato, i nuovi stili di vita, il dialogo tra le fedi. Di più: negli scritti dei pionieri e anticipatori della sua avventura, per prima diede voce ai popoli di quello che allora veniva chiamato «il terzo mondo», e riuscì a focalizzare i riflettori mediatici su di esso, sulle sue emergenze - la fame, l’anelito all’indipendenza - e soprattutto sulle sue ricchezze. L’EMI, Editrice missionaria italiana, ne ha fatta di strada negli ultimi quarant’anni.
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Editrice Missionaria
La EMI è una casa editrice missionaria di proprietà di quindici istituti italiani maschili e femminili che svolgono attività anche fuori dell’Italia. Sono: MISSIONARI COMBONIANI MISSIONARI DELLA CONSOLATA PONTIFICIO ISTITUTO MISSIONI ESTERE (PIME) MISSIONARI SAVERIANI SOCIETÀ DELLE MISSIONI AFRICANE (SMA) MISSIONARIE DI NOSTRA SIGNORA DEGLI APOSTOLI
Italiana
A sinistra, Lorenzo Fazzini, attuale direttore dell’Editrice missionaria italiana. Nelle altre immagini alcuni momenti della vita della EMI
L’unione fa la forza Ad aprile questa vitale espressione degli istituti ad gentes italiani ha festeggiato l’anniversario di quell’esperimento che - era il 1973 - vide in prima fila comboniani, missionari della Consolata, Pime e saveriani. L’idea era ridare slancio a una proposta culturale avviata negli anni ‘50 da alcuni membri dei quattro istituti, le cui case editrici avevano cominciato a curare insieme una collana di teologia della missione e una per la conoscenza dei popoli. «In quegli anni si viveva un entusiasmo missionario oggi inimmaginabile», ricorda p. Piero Gheddo del Pime, tra i promotori di quella primissima iniziativa insieme al saveriano Walter Gardini. «In quel clima, favorito da tre encicliche, la Evangelii praecones, la Fidei donum di Pio XII e la Princeps pastorum di Giovanni XXIII, nacquero anche la Federazione della stampa missionaria italiana (Fesmi), i primi congressi del laicato
MISSIONARIE COMBONIANE MISSIONARI D’AFRICA (Padri Bianchi) MISSIONARI VERBITI MISSIONARIE DELLA CONSOLATA MISSIONARIE SECOLARI COMBONIANE COMUNITÀ REDEMPTOR HOMINIS MISSIONARIE DELL’IMMACOLATA MISSIONARIE DI MARIA (Saveriane) SEGRETARIATO UNITARIO PER LE MISSIONI DEI CAPPUCCINI
Non vogliamo solo raccontare noi stessi ma cerchiamo di dialogare missionario italiano, l’équipe di visitatori missionari dei seminari italiani - continua padre Gheddo - e, ancora, assistemmo alla partenza dei primi sacerdoti fidei donum, nel 1957 e alla nascita delle “Settimane di studi missionari” dell’università Cattolica, nel 1960». A metà degli anni ‘60, tuttavia, le pubblicazioni unitarie degli istituti missionari cominciarono, per varie ragioni, a languire. Fu allora che entrò in gioco un giovane comboniano, p. Ottavio Raimondo, che nel ’67 era stato assegnato dai suoi superiori alla casa editrice Nigrizia. Padre Raimondo riuscì a vincere lo scetticismo degli altri missionari coinvolti nell’edizione delle due collane comuni, per fare un tentativo nuovo: «Nel 1973 i quattro Istitu-
ti maschili decisero di congelare per quattro anni le rispettive editrici, per farle confluire tutte nell’EMI, senza però che ancora avesse una personalità giuridica», racconta p. Ottavio, che sarebbe poi diventato il direttore “storico” dell’editrice missionaria, guidandola per ventun’anni. I primi anni di attività diedero subito frutti positivi, e il 17 novembre 1977 nacque la cooperativa Sermis (Servizio missionario), con lo scopo di dare autonomia giuridica all’EMI, la cui sede fu fissata a Bologna, e tenere aperta la porta ad altre iniziative in campo culturale (come sarebbe successo nel 1997, con la nascita dell’agenzia Misna).
Le intuizioni «Le nostre intuizioni, in origine, furono due», spiega p. Ottavio. «Da una parte, gli Istituiti si resero conto che per incidere nella realtà italiana, portando sul territorio l’idea della missione, dell’alterità, della diversità, era necessario unirsi, sia per ottimizzare le energie sia per ovviare a una certa autoreferenzialità di ognuno. Dall’altra, l’EMI diede spazio alle voci delle giovani chiese del Sud del mondo. Traducevamo i documenti delle Conferenze episcopali. Ricordo che
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pubblicammo gli atti della Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Puebla, nel ’79, prima ancora che uscissero localmente!». Negli anni seguenti, secondo p. Ottavio, furono altre due le intuizioni che fecero dell’editrice dei missionari una ricchezza per l’intera società italiana: «Si tratta della dimensione dell’interculturalità, che approfondimmo dagli anni ‘80, soprattutto grazie all’impulso del Centro saveriano di animazione missionaria e del suo Centro di educazione alla mondialità, e del tema dei nuovi stili di vita, che sviluppammo negli anni ‘90, in particolare con l’apporto del Centro nuovo modello di sviluppo, coordinato da Francesco Gesualdi». Quando p. Ottavio riprese la guida dell’EMI al rientro dalla lunga parentesi missionaria in Messico, dal‘79 al ’93, era stata data alle stampe la prima edizione della «Guida al consumo critico», destinata a diventare un bestseller da 200mila copie. Fu quello il periodo in cui l’EMI divenne catalizzatrice di un’attenzione che cominciava a esprimersi in alcuni settori della società su temi appunto come stili di vita alternativi al modello consumistico, finanza etica, problematiche ecologiche: un’attenzione che solo più tardi sarebbe stata fatta propria anche dai grandi editori. Molti dei titoli di questo filone, con il loro successo di vendite, aprirono all’editrice missionaria anche
le porte delle grandi librerie laiche e dei circuiti legati alle manifestazioni dell’associazionismo, alle fiere, alle botteghe del mondo. Il trend positivo continuò fino alla metà degli anni Duemila. Ma lo spettro della crisi economica cominciava ad aleggiare.
Arriva la crisi «Arrivai alla direzione dell’EMI in un momento di passaggio», racconta p. Giovanni Munari, comboniano, che dopo trent’anni di missione in Brasile prese le redini della casa editrice nel 2008. «La crisi ebbe degli effetti pesanti su di noi. Dovevamo cercare di ritagliarci uno spazio nel mercato editoriale, che oggi è fortemente competitivo, attraverso una serie di riforme, dagli aspetti grafici a quelli contenutistici fino alla fisionomia delle collane», continua Munari. Una sfida affrontata con successo, se è vero che la neo-quarantenne editrice è riuscita a sopravvivere all’emergenza senza aiuti esterni e continua ad aggiungere tra i cinquanta e i sessanta libri ogni anno al suo catalogo. Ma nell’attuale panorama editoriale e mediatico può esserci ancora spazio per un’editrice missionaria? Il nuovo direttore dell’EMI Lorenzo Fazzini, primo laico a occupare questo posto, è convinto di sì. «La narrazione della missione, le tematiche dei nuovi stili di vita, il lavoro costante sull’educazione,
la prospettiva interculturale e interreligiosa sulle grandi questioni contemporanee sono le peculiarità dell’EMI», afferma Fazzini. Certo serve «un surplus di fantasia, innovazione, creatività, nella convinzione che la prospettiva missionaria, che tiene conto del punto di vista dell’altro, che è costantemente in dialogo, che vive alla frontiera dell’annuncio cristiano, è un arricchimento ineguagliabile per la Chiesa, ma anche per la società stessa». La sfida è «rintracciare nuove strade e intuire i luoghi della cultura di frontiera e di fecondità significativa per l’annuncio missionario». Per farlo, l’intenzione è tornare a puntare l’obiettivo sulla ricchezza - in termini di nuove prospettive di indagine, riflessione e azione - che può venire dai Paesi di missione. Fazzini cita, tra l’altro, un personaggio come l’ex primo cittadino di Bogotà Ananas Mockus, «esempio virtuoso di “anti politica” e di un civismo amministrativo tutto da scoprire», la cui storia è raccontata dal volume di Sandro Bozzolo, «Un sindaco fuori del comune», ma anche il neo cardinale di Manila Luis Antonio Tagle, di cui EMI ha pubblicato il primo libro in italiano, “Gente di Pasqua”. «Personalità e questioni “periferiche”, se affrontate con qualità, possono diventare vincenti in quanto esemplificative di una cultura non omologata». La missione, insomma, ha ancora pagine da scrivere. n
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storia di storie
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Padre LeBihan al cospetto del giudice di André Dorval OMI - tradotto e adattato da Nino Bucca OMI
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rançois LeBihan è un Oblato bretone ordinato sacerdote dal Fondatore nel 1859. Inviato nel Natal come compagno di mons. Jean-François Allard e di p. Joseph Gérard, sperimentò subito l’accoglienza dei Basotho, ma non quella dei coloni olandesi del Transvaal. Trascorse molto tempo prima che gli Oblati potessero fondare le loro missioni in questa repubblica. I Boeri, contadini di religione calvinista emigrati in Africa nel XVII secolo, vi si opponevano con molto vigore. Con coraggio, armato della propria croce e mettendosi sotto la protezione della Madonna, l’Oblato iniziò tuttavia la visita ai cattolici delle fattorie dei Boeri nel 1870. Nel corso di numerosi giorni di viaggio, in una carrozza trainata da due cavalli, moltiplicò le soste a seconda delle necessità spirituali delle famiglie. Un bravo irlandese gli offrì ospitalità e lo aiutò nel suo ministero. Nonostante la proibizione in vigore, poté celebrare la messa e istruire i fedeli. Era la quiete prima della tempesta. “Il signor Taggard - racconta il missionario nel suo
diario di viaggio - aveva deciso di sposare una ragazza boera e aveva già ottenuto le dispense necessarie. Tutto era pronto per la cerimonia, quando fui portato davanti al giudice. - Mi hanno detto che celebrerà un matrimonio. Non sa che il culto cattolico è proibito dalle leggi del Paese? - Ne ho sentito parlare, ma le confesso di non aver mai letto il testo di questa legge. - Ogni religione che non sia la religione olandese riformata è proibita nel Transvaal. - Mi permette una semplice domanda? - Parli pure. - Secondo il testo della legge, non solo è interdetta la chiesa cattolica, ma lo sono anche l’anglicana e la metodista. Ora, queste due chiese possiedono nella capitale vasti territori e chiese per le celebrazioni pubbliche. Tutto ciò è risaputo dalle autorità. Potreste mostrarmi il testo della legge che concede loro tale libertà? Su quest’osservazione il magistrato consultò il suo segretario e, dopo un momento di silenzio, mi fece un segno di congedo, un modo per dire che potevo trasgredire la legge così impunemente come gli altri”. Per affermare ancor di più i diritti dei cattolici, p. LeBihan volle dare alla cerimonia tutta la solennità possibile: fece ornare la carrozza con nastri e fiori; le bardature lucidissime brillavano sotto i riflessi del sole; perfino i cavalli apparivano alteri e il cocchiere, vestito da gran signore, ostentava l’importanza del suo ruolo. “Approfittai della circostanza - aggiunge - per parlare della santità del matrimonio cristiano e degli obblighi che comporta, seguendo in tutto il rituale”. n
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I Missionari Oblati di Maria Immacolata al Concilio Vaticano II A cinquant’anni di distanza ricordiamo la presenza dei Missionari OMI all’ultimo concilio
di Fabio Ciardi ciardif@gmail.com
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inquant’anni fa il concilio. Per i giovani un evento storico che si perde nella notte dei tempi. Per i vecchi il ricordo vivissimo di un’esperienza sempre presente. “Fu un momento di straordinaria attesa - ha scritto Benedetto XVI il 9 agosto 2012 ricordando quegli anni. - Grandi cose dovevano accadere… aleggiava nell’aria un senso di attesa generale: il cristianesimo, che aveva costruito e plasmato il mondo occidentale, sembrava perdere sempre più la sua forza efficace. Appariva essere diventato stanco e sembrava che il futuro venisse determinato da altri poteri spirituali. Affinché potesse tornare ad essere una forza che modella il domani, Giovanni XXIII aveva convocato il concilio” Appena il papa annunciò che ci sarebbe stato un concilio, si avviò un grande cantiere di lavoro: commissioni, relazioni, studi… Occorrevano persone preparate, che portassero ad esecuzione lo straordinario progetto. Fin dagli inizi i Missionari Oblati di Maria Immacolata si trovarono in prima linea. Nella più im-
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Conciglio
Si svolse in quattro sessioni, dal 1962 al 1965, sotto i pontificati di GIOVANNI XXIII e PAOLO VI. Promulgò quattro Costituzioni, tre Dichiarazioni e nove Decreti. Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato il ventunesimo e ultimo concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della chiesa cattolica. Il concilio ecumenico è una riunione solenne di tutti i vescovi della cristianità per definire argomenti
Vaticano II
controversi di fede o indicare orientamenti generali di morale. L’etimologia dell’aggettivo “ecumenico” lo riconduce al greco ecumene, “(l’intero) mondo abitato”. Il numero e l’autorità dei concili varia a seconda delle chiese cristiane. La chiesa cattolica, oltre ai concili del primo millennio del cristianesimo, avvenuti prima del grande scisma, considera ecumenici anche quelli convocati, nel secondo millennio, dalla sola chiesa cattolica (senza la partecipazione della chiesa ortodossa e delle chiese appartenenti alla Riforma protestante).
Una foto dei vescovi oblati al Concilio Vaticano II scattata alla Casa generalizia OMI il 21 novembre 1962
portante delle commissioni preparatorie, quella teologica, il papa chiamò p. Marcel Bélanger, vice rettore dell’Università di Ottawa e l’italiano p. Emanuele Doronzo, professore di teologia dogmatica all’Università Cattolica d’America a Washington, autore di una monumentale somma teologica. Altri Oblati furono nominati alla Commissione delle missioni: p. Johannes Rommerskirchen, bibliotecario della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, p. André Seumois, professore all’Ateneo di Propaganda, p. Armand Reuter, direttore generale degli studi. Ulteriori commissioni, come quella dell’Apostolato dei Laici e dei Religiosi, videro presto la presenza di altri Oblati come p. Peter Pillai, superiore del Collegio St-Joseph di Colombo nello Sri Lanka, p. André Guay, procuratore generale presso la Santa Sede, p. Nikolaus Kowalsky, archivista della Sacra Congregazione di Propaganda, p. Michel Leclercq, p. Léo Laberge, p. Armand Reuter, p. Joseph Rousseau. Il “colpo grosso” fu l’inaspettata nomina del superiore generale, p. Leo Deschâteletes, a padre conciliare, accanto ai vescovi. Nell’ottobre 1962 l’Agenzia Romana Oblati di Maria Immacolata (A.R.O.M.I.) scriveva in
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Alcune pagine del nostro mensile dedicate, all’epoca, al Concilio Vaticano II
L’EREDITÀ TEOLOGICA DEL C ANALISI STORICHE E RILIEVI ERMENEUTICI di Robert Cheaib «È raro che a un concilio non segua una grande confusione», così si esprimeva John Henry Newman in una lettera all’indomani del concilio Vaticano I. Ogni concilio ecumenico ha rappresentato nella chiesa uno spartiacque tra dissidenti e consenzienti. Ciò che si applica a tutti gli altri concili specificamente
dogmatici, si invera anche nel «primo concilio prettamente pastorale», seppure con sfumature diverse. Giovanni Rota spiega che «la confusione che si è diffusa dopo il Vaticano II si radica nell’indole stessa della dottrina conciliare che non vuole, solitamente, prendere le difese di una sola corrente teologica, ma mira a ottenere il massimo del consenso possibile, comportando di conseguenza concessioni da parte di tutti: il testo conciliare risulta così un mosaico di incisi, di distinguo, di precisazioni
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proposito: «Ci affrettiamo a comunicare questa notizia dell’ultim’ora, che riempie di gioiosa riconoscenza verso il Sovrano Pontefice Giovanni XXII tutta la Congregazione. Una lettera di S.E. Mons. Pericle Felici, segretario generale del II concilio ecumenico Vaticano, in data 3 ottobre, al Rev.mo Padre Generale, inizia così: “Mi è grato comunicare alla vostra Paternità Reverendissima che il Santo Padre si è degnato concedere alla Vostra Paternità il privilegio di partecipare al prossimo concilio ecumenico Vaticano, in qualità di Padre, con voto deliberativo”». La nostra rivista Missioni OMI commentava così la notizia: «La nomina del Santo Padre può essere considerata come un riconoscimento della chiesa al lavoro missionario dei quasi ottomila Oblati di M.I. nel mondo. Essa è una grande gioia e un onore per tutta la Congregazione. Essa è però innanzitutto approvazione e fiducia verso la persona del suo massimo Superiore… Noi sappiamo che ardono profondamente nel suo cuore i sentimenti dell’Oblato tratteggiati dal Fondatore: “nulla si deve lasciare intentato per
l’avanzamento del Regno di Cristo”; “ogni Oblato deve essere infiammato dal desiderio fervente di diffondere la salvezza delle anime più abbandonate”… E se qualcuno vuole essere missionario, non esiti a diventare uno dei nostri: anche il Papa ci ha accordato piena fiducia».
Inizia il concilio Chi non ha visto i filmati dell’11 ottobre 1962, solenne apertura del concilio? In quell’innumerevole stuolo di padri conciliari che, dalla porta di bronzo sfilava lungo piazza S. Pietro fino alla basilica, si potevano riconoscere ben 32 Oblati dal Sud Africa, Basutoland, Canada, Paraguay, Sri Lanka, Filippine, Laos, Congo, Svezia. Tra loro due italiani, il vescovo di Aosta Maturino Blanchet e il vescovo di Luang Prabang, nel Laos, Lionello Berti. Mancavano cinque altri vescovi, assenti per malattia. Ad essi si aggiunsero cinque Oblati esperti, o “periti”, come venivano chiamati tecnicamente, e sei teologi in qualità di consultori di alcuni vescovi. Colpisce la grande varietà di provenienza e i diversi cam-
pi d’apostolato da essi rappresentati. Sotto il titolo “Mons. De Mazenod presente al concilio Vaticano II”, A.R.O.M.I. non manca di ricordare che, oltre ai vescovi oblati, erano presenti 9 cardinali, 29 arcivescovi, 100 vescovi che “discendevano” da S. Eugenio de Mazenod grazie alla successione di ordinazione episcopale da lui conferita al vescovo oblato Giuseppe Ippolito Guibert, cardinale di Parigi. Con il susseguirsi delle sessioni conciliari, fino alla sua chiusura, l’8 dicembre 1965, appaiono altri padri conciliari, mentre mons. Cooray viene nominato cardinale.
La casa generalizia luogo d’incontri “conciliari” Il superiore generale, p. Deschâtelets, era un vero “signore” e aprì la casa generalizia a tutti, con una squisita accoglienza. Durante quegli anni conciliari, via Aurelia divenne luogo di incontri, dialoghi, conoscenze… Le cronache registrano visite innumerevoli, dando elenchi infiniti di Padri Conciliari che “onorano la nostra tavola della loro presenza”. Sono vescovi,
L CONCILIO VATICANO II e attenuazioni». Il Vaticano II non era il concilio dell’ufficializzazione di una scuola teologica a scapito di tutte le altre, ma era un concilio dove i vari filoni delle diverse scuole hanno confluito per ricamare il tessuto della chiesa che avrebbe varcato la soglia del terzo millennio. Le luci e le ombre che contraddistinguono l’ermeneutica di ogni evento nella storia umana non sono estranee anche all’evento conciliare. Bisognerebbe però riconoscere con Giovanni Paolo II, all’alba del terzo millennio (nell’enciclica programmatica Novo millennio ineunte, 57), che con il Concilio ci è data «una sicura
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In alto, mons. Leonello Berti OMI al Concilio. A destra P. Leo Deschâtelets OMI, saluta Paolo VI il 30 novembre 1962 e, infine, In basso a sinistra mons. Maturino Blanchet OMI, vescovo di Aosta, sempre al Concilio
nunzi, superiori generali provenienti da tutto il mondo, che spesso vengono a implorare missionari per la loro diocesi o vicariato apostolico. Nelle cronache del dicembre 1962 leggiamo ad esempio: «Abbiamo continuato ad essere onorati dalla visita di “Padri” del concilio. Segnaliamo prima di tutto quella di S.E. il Cardinal Santos, arcivescovo di Manila; poi quella di S.E. il Cardinal Frings, arci-
bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» e che l’evento conciliare è «la grande grazia di cui la chiesa ha beneficiato nel secolo XX». Da qui il valore dell’opera curata dalla Scuola di Teologia del Seminario di Bergamo per le edizioni S. Paolo sotto il titolo “Teologia dal Vaticano II. Analisi storiche e rilievi ermeneutici”. Il volume raccoglie i contributi di otto teologi di rilievo: Angelo Bertulletti, Franco Giulio Brambilla, Luca Bressan, Maurizio Chiodi, Alessandro Cortesi, Massimo Epis, Giovanni Rota, Goffredo Zanchi. Le varie indagini puntano a comprendere il cammino che il Vaticano II ha indicato alla chiesa quale compito urgente. La convinzione che si può evincere dai contributi è che il Vaticano II - nel suo cinquantesimo anniversario - non va tanto celebrato, quanto compreso e vissuto.
vescovo di Colonia, Il Rev.mo Padre (generale) ha voluto sottolineare, in occasione della presenza di quest’ultimo alla nostra tavola, tutto quello che gli Oblati dei diversi continenti devono agli interventi di S.E. presso le organizzazioni tedesche di aiuto alle missioni. Nella sua risposta, in francese, Sua Eminenza ha tenuto e ricordare in modo particolare il R.P. Schulte, fondatore della MIVA. Segnaliamo inoltre
Prendendo atto della metafora wojtylana della «bussola», mons. Franco Giulio Brambilla ci cristallizza l’intenzione del libro: una lettura interpretativa per «far brillare il senso del Vaticano II alla “prima generazione” del postconcilio, nata senza aver vissuto il concilio».
La verità dottrinale e il suo rivestimento linguistico L’aggiornamento pastorale voluto da Giovanni XXIII per il concilio nasce dalla coscienza espressa dal manoscritto del discorso dello stesso pontefice che mette in evidenza la differenza tra la «sostanza» della dottrina e il suo «rivestimento». Il testo manoscritto sarà modificato dalla mano latina e figurerà in un modo diverso nel testo ufficiale
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quei visitatori che sono maggiormente uniti alla Congregazione: S.E. Mons. Lallier, al quale il “centenario” (della morte di S. Eugenio) di Marsiglia deve molto; e S.E. Mons. Veuillot, battezzato dal p. Jean-Baptiste Lemius, e il cui padre, Sig. Francesco Veuillot, ha collaborato a una edizione del libro del Padre Jonquet: “Montmartre ieri e oggi”, e ha pubblicato “Gli Oblati di Maria Immacolata” nella collana “I
grande Ordini e Istituti religiosi”». La lista continua con altri 33 vescovi, tra i quali l’abate di Solesmes. Nel suo diario conciliare Yves Congar annota: «Domenica sera 4: vado dagli Oblati di Maria Immacolata, casa immensa, e stanno per costruirne un’altra. La costruzione della casa terminata, con marmi, pulita. Penso a Saulchoir [la casa dei Domenicani vicino a Parigi], non ancora finita e che non sarà mai finita, alla nostra povertà. Persone molto simpatiche. Vedo i padri Perbal e Seumois. Do una conferenza a modo di risposta a tredici “piccole” domande che mi hanno rivolto i loro studenti… Dopo cena conversazione-conferenza con i Padri (non gli scolastici) sull’ecumenismo e soprattutto sull’Oriente».
Gli Oblati al lavoro L’apporto degli Oblati al concilio è documentato dalla loro nutrita presenza nelle varie commissioni dove si elaboravano i documenti e dai numerosi interventi in aula. Negli atti conciliari sono registrati i discorsi di Cooray, Edmond Peiris, vescovo di Chilaw
presente nell’Enchiridion Vaticanum. Il testo di papa Roncalli invece suonava così: «Altra è la sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei, ed altra è la formulazione del suo rivestimento: ed è di questo che devesi - con pazienza se occorre - tener gran conto, tutto misurando nelle forme e proporzioni di un magistero a carattere prevalentemente pastorale». Papa Giovanni è cosciente della reciproca pertinenza non accidentale tra verità e linguaggio, tra la verità e il modo con cui viene formulata e proposta. Il processo di traduzione, di «aggiornamento», però, lungi dall’essere un gioco da bambini, è una questione seria che
(Ceylon), Taylor vescovo di Stoccolma, Anthony Jordan, arcivescovo di Edmonton, dello stesso superiore generale. Riguardo all’attività missionaria della chiesa - siamo nella 145a congregazione generale - mons. Rudolf Koppmann, vicario apostolico di Winshoek, fa presente che lo schema sulle ‘missioni’ non esprime chiaramente i motivi dell’Incarnazione; deplora che riguardo alla formazione missionaria il documento sembra mettere in primo piano argomenti che dovrebbero passare in secondo posto: bisognerebbe iniziare con trattati della teologia missionaria. Fa poi notare che non si dice niente sulla presenza del male nel mondo e sulla realtà del demonio: «Quando si è visto personalmente la sua azione si capisce che questo è il principale ostacolo all’accoglienza del Vangelo». Nel corso del dibattito sulla dichiarazione riguardante gli Ebrei, durante la 90a congregazione generale, interviene mons. Yves Plumey, vescovo di Garoua, in Camerun. L’ufficio stampa del concilio così sintetizza il suo inter-
richiede un radicamento nella sostanza che non decade nel radicalismo e una capacità/ immaginazione ermeneutica che non decade nel fantasioso. Secondo un’espressione simpatica di un’autorevole interprete del concilio, il teologo domenicano Edward Schillebeeckx, non si può sfilare il «rivestimento» dalla «sostanza» della fede con la stessa disinvoltura con cui le bambine vestono e svestono le loro Barbie. Ridire l’evento cristiano per l’oggi non è stato un compito facile, e noi, la prima generazione postconciliare abbiamo il grande compito di fedeltà creativa di proseguire l’afflato conciliare e di fare frutto della sua eredità che possiamo riassumere in quattro punti (desunti dall’intervento di Brambilla):
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vento: «Dopo aver prestato attenzione ai 12 milioni di Ebrei, è più che giusto che il concilio porti la sua attenzione sui 400 milioni di Musulmani che, come gli Ebrei e noi, adorano il Creatore dell’universo e il Signore degli uomini… L’ordine della loro collocazione nel documento dovrà essere dopo quella degli Ebrei… Nello spirito degli ultimi Papi, dovremmo mostrare il nostro interesse in questa direzione; così si aprirà la via a una più grande conoscenza di Dio per tutti gli uomini di buona volontà. Sarebbe normale che una parola d’incoraggiamento sia rivolta ai preti che lavorano tra i Musulmani, il cui lavoro è spesso considerato come ingrato e inutile». Presto emerge tra tutti il giovane vescovo di Durban, in Sud Africa, mons. Denis E. Hurley. Interviene nella discussione sul secondo capitolo dello schema “De Ecclesia”, in quella sull’apostolato dei laici, in quella sulla formazione del clero, insistendo sulla necessità di donare ai seminaristi una preparazione intellettuale adeguata alle esigenze del mondo di oggi. Chiede di sopprimere l’ambiguità di
traduzioni inesatte nello schema della chiesa nel mondo moderno e fa notare che se nel passato si è forse troppo insistito sui diritti della chiesa, bisogna sperare che nell’avvenire si parli con lo stesso interesse sui diritti degli uomini. È rimasto famoso il suo intervento nel corso della 87a congregazione generale, durante i dibattiti sulla libertà religiosa: «Imporre a qualcuno di accettare o di rifiutare una qualsiasi fede religiosa come condizione per aver parte ai vantaggi della vita civile è completamente illegale. Nessun gruppo religioso può essere subordinato ai fini politici dello Stato. La motivazione classica dell’unione tra chiesa e Stato che proclama l’obbligo dello Stato a fare professione religiosa, potrebbe portare molti a pensare in direzione contraria alla presente dichiarazione sulla libertà religiosa. Questa motivazione classica ha tuttavia una base fragile in quanto assegna allo Stato l’obbligo di provvedere al culto pubblico, che invece compete soltanto alla chiesa. Il compimento della missione della chiesa sarà più efficace, se essa
•« La prima eredità del concilio è quella di una chiesa che passa da una comunità del “sentir messa” a una chiesa che “celebra”». È la coscienza che il concilio ha aperto il diritto della preghiera non solo alle varie lingue locali, ma anche alle varie sensibilità, gestualità, tradizioni musicali delle varie chiese che costituiscono la sinfonia cattolica. • L a seconda eredità del concilio è la riapertura dello scrigno della Parola. Dopo un esilio della Parola e un digiuno imposto al popolo durato quattro secoli, il concilio ha ridato la Parola al popolo da essa radunato. L’ascolto non è solo ‘verticale’, ma è anche un ascolto ‘orizzontale’, dell’altro nella sua diversità, è un ascolto dei «segni dei tempi». •« La terza eredità del concilio è stata la ripresa dell’immagine comunionale e comunitaria della
agisce con le risorse proprie, senza dipendere dall’aiuto dello Stato». Non vanno poi dimenticati gli apporti offerti dai “periti”, a cominciare dal deciso p. Semois, che ha dato filo da torcere a quanti lavoravano attorno al decreto sulle missioni. Il teologo Congar, nel suo diario conciliare, ha lasciato pagine durissime contro di lui, chiamandolo “asino”, non perché non fosse competente in materia, ma perché era testardo come un asino nel sostenere le sue convinzioni. C’era bisogno anche di questo enfant terrible per provocare e vivacizzare la ricerca! Mille episodi “conciliari” minori sono stati tramandati, come i nomi di quanti hanno avuto la gioia di essere chiamati a intronizzare il Vangelo all’inizio delle congregazioni generali, di chi ha presieduto l’una o l’altra messa conciliare, di quanti sono stati intervitati dalla Radio Vaticana, oppure il servizio di accoliti svolto da un gruppo di scolastici romani a una messa conciliare, le udienze con il Santo Padre. Thomas Cooray ricordava con particolare gioia la concelebrazione con il papa alla messa del 21 novembre, per la
chiesa: come dice lo slogan un po’ frettoloso, dalla chiesa societas organica alla chiesa comunione». È una «chiesa del popolo» non perché si oppone a una chiesa di élite, ma perché è adunata con una vocazione comune alla santità e alla perfezione nell’amore. • I nfine, «la quarta eredità del concilio è stata la più incisiva, ma anche la più indeterminata: l’apertura della chiesa al mondo, una chiesa per gli uomini». L’apertura espressa dalla Gaudium et spes va letta in filigrana con Spe salvi, la seconda enciclica di Benedetto XVI che si mostra più attenta «al carattere ambivalente dei segni dei tempi, e quindi in ricerca di una speranza “a caro prezzo” che vede nel realismo della speranza e dei suoi segni lo spazio perché la fede si giochi nel tempo disteso». Questi quattro punti delineati nell’intervento di
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chiusura della terza sessione del concilio. L’arcivescovo di Colombo era stato scelto per onorare il santuario nazionale di Nostra Signora di Lanka, a Tewatte. Georges Pelletier rappresentava il santuario nazionale oblato di Nostra Signora du Cap, in Canada, e Patrik O’Boyle, arcivescovo di Washington, il santuario nazionale dell’Immacolata di cui gli Oblati americani avevano la cura spirituale.
Il concilio dono per gli Oblati Se è vero che gli Oblati hanno offerto un loro apporto al concilio, è ancor più vero che il concilio ha dato un deciso apporto agli Oblati. Ha rinnovato la loro visione della chiesa e della missione, ha aperto gli orizzonti sul mondo moderno, ha riportato alle sorgenti pure della Parola e della Liturgia. Già al termine della prima sessione, il Superiore generale si rendeva conto dei grandi cambiamenti che esso portava e avrebbe portato alla vita della Congregazione. Il 31 dicembre 1962, incontrandosi con gli studenti dello scolasticato internazionale di Roma, comunicava loro le sue prime
forum
I 50 anni del Concilio Vaticano II è stato il tema centrale del V Forum di Studi Cattolici per giovani studiosi cinesi organizzato dal Beijing Institute for the Study of Christian Culture, svoltosi a Pechino alla fine del 2012. L’incontro ha visto la presentazione di una cinquantina di tesi e una quarantina di interventi di giovani e di esperti nell’ambito degli studi su cristianesimo e cattolicesimo, insieme a sacerdoti e teologi cattolici. Mons. Peter Zhao, vicario della diocesi di Pechino, direttore del prestigio istituto ospitante ha l’aperto e chiuso i tre giorni di studio. Il Forum è stato diviso in 5 parti: 1. la teologia del Concilio Vaticano II; 2. il cattolicesimo e la società moderna; 3. il cattolicesimo e l’educazione moderna; 4. la storia del cattolicesimo; 5. l’opera caritativa della chiesa cattolica. Illustri studiosi sono intervenuti, tra cui il prof. Jean-Paul Wiest, sulla storia e l’eredità del Concilio Vaticano II, e p. Eamonn O’Brien, SSC, direttore dell’Istituto dello scambio culturale tra Inghilterra e Cina. (fides)
per i giovani cinesi
impressioni. Iniziò parlando di Giovanni XXIII: «Nei suoi discorsi e nei suoi interventi si avverte che è guidato da Qualcuno; un Altro lo dirige, lo ispira… Ha una luce speciale, una forza speciale, un ottimismo, una grande sicurezza…». Poi esprimeva la gioia per l’apertura ecumenica, per la nuova visione di chiesa che già stava emergendo, per il modo nuovo con cui ormai si capiva che si sarebbe dovuto annunciare il Vangelo: «Il missionario
deve innanzitutto conoscere la mentalità del mondo nel quale vive, non deve aver paura di respirare l’aria di questo mondo… Bisogna amare la gente, così come essa è… Se la chiesa cerca di essere chiesa di oggi, per poter meglio conquistare gli uomini a Cristo, anche i suoi ministri devono essere uomini di questo tempo». Per gli Oblati e per la chiesa intera era già iniziato il grande rinnovamento conciliare. n
Brambilla costituiscono una premessa paradigmatica al discernimento dell’eredità conciliare proposta dai vari autori. Il libro si presenta quindi come un succinto quadro che ravviva la memoria del concilio non per imbandire una nostalgica mensa del passato, ma per discernere l’eredità e i compiti che i Padri conciliari hanno lasciato per il «futuro» della chiesa che a noi tocca rendere «presente».
Tre vescovi Oblati del Canada in udienza da papa Paolo VI nel novembre 1964
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Notizie in diretta dal mondo oblato messaggi e notizie dalle missioni a cura di Elio Filardo OMI eliofilardo@omimissio.net
Polonia
XXX Giornata ecumenica di Koden´
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al 24 al 26 maggio 2013 il santuario di Nostra Signora Koden´ska, Regina della Podlasia, Madre dell’unità ha ospitato la XXX Giornata ecumenica di Koden´. Presenti cristiani romano-cattolici, cattolici di rito orientale, ortodossi e protestanti della chiesa cristiana evangelica e della chiesa cristiana della riforma. L’incontro ha seguito uno schema ormai fisso da molti anni iniziando l’ultimo fine settimana di maggio con la serata dedicata alla tradizione protestante. A seguire il sabato, suddiviso in due parti assegnate rispettivamente alla tradizione cattolica latina ed a quella orientale rappresentata dalla chiesa ortodossa, per concludere, dopo la liturgia domenicale, con un pic-nic ecumenico. All’inizio dell’incontro di quest’anno p. Bernard Briks OMI, superiore della comunità oblata di Koden´, ha accolto i partecipanti riuniti in cappella. Ha letto i saluti di p. Ryszard Szmydki OMI, superiore provinciale dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, che ha ricordato la sua partecipazione ai primi tre incontri di Koden´ ed ha auspicato “che lo Spirito Santo dia a tutti il dono di un momento gioioso di preghiera e la speranza incrollabile nell’amore del
UruguayOrdinazione diaconale di Hector Ortega
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ella cappella oblata di S. Giuseppe lavoratore, domenica 5 maggio ad Autódromo, un quartiere di Ciudad del Plata, Hector Ortega OMI è stato ordinato diacono. Tutti gli Oblati della delegazione dell’Uruguay hanno partecipato alla celebrazione presieduta dal vescovo di San José de Mayo, Arturo Fajardo. Presenti anche p. Jorge Techera della ex parrocchia
oblata di Casabo, p. Luis Farielo della parrocchia di Barra de Santa Lucia ed il diacono Luis Casi, appartenente alla parrocchia oblata di San Rafael. Hanno preso parte al rito di ordinazione persone provenienti da Libertad, Ciudad del Plata, Montevideo, Tacuarembó, Tarariras, i genitori e i fratelli di Hector venuti dal Paraguay. Infatti, pur appartenendo alla delegazione dell’Uruguay, Hector ha origini
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Indonesia
VENTESIMO COMPLEANNO DELLA PROVINCIA
Padre che ci avvicina alla piena comunione voluta da Gesù Cristo”. Tra gli ospiti di quest’anno anche il pastore della chiesa cristiana evangelica, Andrew Jeziernicki. Durante la tavola rotonda di sabato, Wojciech Kuleczka, pastore della chiesa cristiana della riforma si è soffermato sul tema del “culto”, mentre nella seconda parte Jacek Słaby, della chiesa cristiana evangelica, ha cercato di rispondere alla domanda: “Che cosa è la fede?”. Le Giornate ecumeniche di Koden´ sono nate dopo l’incontro dei giovani di Taizé svoltosi a Parigi nel 1982. Un anno dopo, p. Andrzej Madej OMI ha promosso le prime giornate e da allora, gli organizzatori sono sempre i Missionari Oblati di Maria Immacolata di Koden´. Nel corso degli anni migliaia di persone associate a varie comunità cristiane sono passate da questo luogo, specialmente molti giovani attirati dal carattere concreto degli incontri, meno marcati da complessi aspetti teorici e da problematiche teologiche. Infatti, le Giornate ecumeniche di Koden´ hanno lo scopo di riunire i cristiani per pregare insieme, per conoscersi e per stabilire relazioni cordiali tra loro. (fonte: koden.com.pl)
paraguaiane ed attualmente è in stage presso la parrocchia di San Rafael al Cerro. Hector, dopo la celebrazione, ha ringraziato quanti lo hanno incoraggiato nella decisione di seguire la via della consacrazione missionaria. (fonte: Boletín mensual, Caminemos juntos)
La Provincia di Indonesia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, il 21 maggio scorso ha celebrato il suo ventesimo compleanno, perché nello stesso giorno del 1993, nella cappella delle suore di S. Carlo Borromeo a Yogyakarta, p. Marcello Zago OMI erigeva la Provincia di Indonesia. Questo passaggio storico è frutto di un’esperienza missionaria iniziata con l’arrivo dei primi missionari australiani nella diocesi di Purwokerto, nello Java Central, il 25 ottobre del 1971. Nel 1972 Patrick Moroney, David Shelton, Patrick Slattery e John Kevin Casey hanno cominciato a lavorare nella diocesi di Purwokerto e nel 1975 nell’arcidiocesi di Jakarta. Pochi anni dopo, nel 1982, a Yogyakarta gli Oblati hanno aperto lo scolasticato e nel 1985 il noviziato. In seguito, arrivarono in Indonesia anche gli Oblati francesi espulsi dal Laos. Si stabilirono nella diocesi di Sintang, Kalimantan West (Bornéo), il 25 gennaio 1977. Successivamente gli Oblati iniziarono il loro apostolato attraversando boschi e discendendo i fiumi in cerca di anime desiderose di incontrare il Signore. Gli ultimi a mettere piede in Indonesia sono stati gli Oblati italiani, anch’essi espulsi dal Laos. Il 25 aprile 1977 si stabilirono nella
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Spagna
Le Oblate convocano il Capitolo generale
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arimar Gómez Mañas, superiora generale delle Missionarie Oblate di Maria Immacolata, il 19 maggio 2013, con una lettera indirizzata alla Congregazione, ha convocato il terzo Capitolo generale che si terrà a Madrid dal 30 dicembre 2013 al 5 gennaio 2014. “Non ardeva il nostro cuore mentre egli parlava lungo la via?” (Lc 24, 32) è il tema proposto dal consiglio generale e la commissione precapitolare ha già iniziato a lavorare proponendo momenti di preghiera ed altri strumenti per approfondirlo. Scrive sr. Marimar: “Il brano dei due discepoli di Emmaus, che sulla loro strada incontrano il Signore risorto, ci aiuti a riflettere su diverse questioni quali: la nostra vita religiosa e la vita comunitaria, la formazione dell’Istituto, la nostra missione. … Il Capitolo che vivremo, ci invita a ricordare tutto ciò che Gesù stesso ci ha detto nel corso degli anni, per avere uno sguardo riconoscente per l’opera che Dio svolge nella nostra vita”. La prima forma di vita comunitaria delle Missionarie Oblate di Maria Immacolata (oblatas.org) comincia il 14 settembre del 1997 con nove ragazze. Un anno dopo ricevono l’approvazione come associazione pubblica ed il 9 settembre 2001, le prime otto Oblate si consacrano, quattro con voti perpetui e quattro quelli temporanei. Le Oblate celebrarono il loro primo Capitolo generale nel febbraio del 2002. Attualmente sono 19 di cinque diverse nazionalità: Spagna, Germania, Polonia, Ucraina e Perù. (fonte www.nosotrosomi.org)
diocesi de Samarinda, Kalimantan Est (Bornéo) dove ricevettero l’incarico di occuparsi dello sviluppo dei territori del nord. Il 9 gennaio 2002, dopo 25 anni di presenza degli Oblati nel Kalimantan Est, la Santa Sede eresse la nuova diocesi di Tanjung Selor. Le tre delegazioni oblate appartenenti a tre diverse province hanno lavorato in Indonesia in luoghi difficilmente accessibili. Tra esse esisteva una buona comunicazione e nello stesso tempo emergeva il desiderio di essere uniti, soprattutto perché aumentava il numero dei giovani indonesiani che si sentivano chiamati a diventare Oblati. Se ne parlò con p. Marcello Zago e gli altri membri dell’amministrazione generale durante un incontro nelle Filippine. P. Zago incoraggiò questo progetto e successivamente visitò le missioni oblate in Indonesia. Nell’agosto del 1992, a Sanggau, nel Kalimantan West, si tenne un congresso aperto a tutti gli Oblati dell’Indonesia, durante il quale fu presa la decisione definitiva di procedere all’unificazione. In seguito il superiore generale ed il suo consiglio eressero la nuova Provincia di Indonesia che ebbe in p. Mario Bertoli OMI il suo primoprovinciale. Oggi la provincia (omi-indonesia.org) è formata da 42 Oblati distribuiti in cinque comunità distretto e due case di formazione.
(fonte: omiworld.org)
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Ritornando sul 25° di Ariccia
Un movimento che ci rende famiglia
L’
incontro svoltosi ad Ariccia (Rm) nel mese di aprile per il 25° del Movimento giovanile Costruire ha lasciato il segno. Torniamo su quell’evento intervistando alcuni giovani presenti: Laura, Matteo e Silvia di Vercelli, Cecilia e Alessio di Firenze, Davide e Claudia di Roma, Nico e Maria della Campania, Michele e Silvia della Calabria, Giovanni e Cecilia di Messina. Qual è l’immagine che porti nel cuore dell’incontro di Ariccia? Alessio. Gli incontri di gruppo. Io facevo parte del gruppo che rifletteva sulla “comunità”. Davide. L’entusiasmo delle testimonianze di tutti gli ex-MGC. In quelle parole trasmettevano qualcosa di profondo e radicato. Nico. Sicuramente il ringraziamento a Maria da parte di tutto il movimento.Lei ci aiuta ad
essere luce per gli altri. Silvia. È stato bello sentirmi parte di qualcosa di più grande che va al di là delle singole persone, dello spazio e del tempo: un movimento che ci rende famiglia. Cecilia (Fi). Un’immagine di meraviglia data dal senso di famiglia, dall’unità, da una storia che rivive, da un sentire comune, da un Dio che ama. Matteo. La riflessione di p. Marino Merlo mi ha fatto molto meditare. In particolare questa frase: “Le radici devono stare sotto terra, coperte, se no la pianta muore”. L’incontro personale con Cristo, che è la radice della fede, si traduce in testimonianza solo se scatta la passione. Dopo aver ascoltato la storia e varie testimonianze, a che punto pensi di essere arrivato, nel tuo percorso di crescita, all’interno del movimento?
Silvia (Vc). In quei giorni ho ripercorso la mia crescita personale. Posso dire che l’MGC è davvero un pezzo del mio cuore. Soprattutto dopo la scuola di formazione, ho sentito cos’era questa “forza viva”. Sono convinta che senza aprirmi a livello nazionale non avrei mai acquistato questa consapevolezza. Claudia. Credo che entrando a far parte del movimento, ognuno abbia ben chiaro qual è il suo obiettivo: il mio è quello di capire qual è la volontà di Dio, trovare il mio posto nel mondo. Michele. I primi anni all’interno del movimento non sono stati del tutto eccellenti, perché la paura di lanciarmi nelle varie esperienze è stata spesso più grande della voglia di vivere questo stile. L’aver perseverato mi ha portato a vivere
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Cecilia (Firenze)
Alessio
da membro del movimento. Nico. Ascoltare le esperienze di chi mi ha preceduto nel cammino, mi ha fatto rendere conto di come Dio stia lavorando nella mia vita. Sento forte l’invito quotidiano a vivere nell’Amore. Silvia. Il percorso mi vede oggi tra i giovani-adulti, in una fase in cui si presentano scelte importanti per le quali ho bisogno di trovare un sostegno nella comunità e,
Davide
a livello personale, di fidarmi pienamente di Dio. Cecilia. Non penso esista un vero e proprio punto di arrivo. L’essere lì per me è stata la riconferma del mio quotidiano e costante “sì” a Dio, anche quando il mondo mi diceva altro. Cosa hai ricevuto e cosa pensi - e speri - di aver donato all’interno dell’MGC?
Claudia
M
Alessio. Penso di aver ricevuto un aiuto importante per affrontare la vita con le sue crisi. Spero di aver fatto la mia parte nel formare una famiglia unita. Laura. Ho ricevuto l’entusiasmo di chi ha rinnovato nella sua vita il ‘si’ al Vangelo. Credo di aver donato ascolto. Claudia. Ricevuto: la consapevolezza di essere in grado di amare me stessa e gli altri.
Verónica, Nacho e José Luis al 25° dell’MGC
È stata un’esperienza bella condividere tre giorni con duecento giovani italiani che ci hanno accolto in modo eccellente. Questi giorni sono stati
per noi un regalo sotto molti aspetti. Ci siamo incontrati per un unico motivo molto più grande di qualsiasi difficoltà: vivere un’esperienza forte di Dio. Abbiamo sperimentato il grande amore di Dio in ognuna delle persone con le quali abbiamo vissuto “fino in fondo” l’anniversario del movimento oblato dei giovani in Italia. Per noi, abituati a meno gente, aver vissuto questi giorni con duecento persone unite da un ideale comune, come l’amore per Gesù
Cristo e per i tutti i fratelli, alla luce del carisma oblato di S. Eugenio, è stato un regalo che ci siamo portati in Spagna con l’unico proposito di poter trasmettere tutto quello che abbiamo vissuto ai nostri giovani e adolescenti di Aluche (parrocchia oblata a Madrid, ndr) e della Spagna, perché un giorno possano avere questo “regalo” anche qui. Come ci dicevano in molti: “preghiamo per voi con la speranza che tra qualche anno si possa celebrare la stessa cosa in Spagna in unione con le due realtà dell’unica Provincia oblata mediterranea di cui facciamo parte”. Sentiamo una gioia immensa che ci fa ripensare la nostra vita di fede: come vogliamo vivere la nostra
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Michele
Silvia (Calabria)
Donato: quello che sono senza risparmiarmi. Davide. Il movimento è stato parte del mio cambiamento, penso di aver ricevuto tanto: nella crescita cristiana, nell’atteggiamento di accoglienza e interesse verso l’altro e nella testimonianza della fede. Spero di aver donato un pò di me. Giovanni. Nel cammino MGC ho ricevuto delle amicizie profonde
fede, come trasmettere questa gioia, questa esperienza nelle nostre realtà più vicine: con la famiglia, gli amici, a scuola e nella stessa comunità parrocchiale. Portiamo nel cuore molti esempi di vita, vecchie conoscenze ritrovate e infinite nuove amicizie e varie comunità che siamo sicuri ci porteranno nelle loro preghiere, desiderando che questa esperienza che abbiamo vissuto e sentito, presto inizi in Spagna. Con l’intercessione dei beati martiri oblati possa trasmettersi ai giovani, e che questi possano rispondere generosamente a questa chiamata. José Luis, Nacho e Vero (Spagna)
Giovanni
fondate sul comune cammino verso Dio. La testimonianza di chi cammina come me mi fa sentire di non essere solo. Ho donato all’MGC, soprattutto nella mia zona, tutto me stesso, mettendolo ai primi posti della scala delle priorità. Cecilia (Me). Penso di aver ricevuto il dono della famiglia oblata, della comunità. Far parte di questa grande famiglia è un dono bellissimo. Spero di essere riuscita a trasmettere la passione per il movimento e l’amore per Gesù. Michele. La voglia di farne parte fino in fondo. Al movimento devo davvero tanto! Credo di aver ricevuto soprattutto la capacità di sfruttare al meglio e per gli altri, tutte le cose belle che oggi so di avere anche io, e che solo l’MGC ti tira fuori. Nell’oggi, e per il futuro, quali finalità deve darsi il movimento? Laura. L’MGC dovrebbe sforzarsi di essere promotore di progetti caritatevoli che mettano in discussione la nostra vita scomodandola. In questo modo possiamo essere fedeli all’eredità di S. Eugenio.
Cecilia (Messina)
Giovanni. Il cammino MGC deve anzitutto formare buoni cristiani e aiutare noi giovani nel discernimento. Il mezzo con cui fare ciò è la missione, che è la peculiarità che contraddistingue il nostro carisma. Cecilia (Me). Rendere Cristo più “accessibile” a tutti, coinvolgendo e attraendo sempre più giovani verso Gesù. Nico. La sfida più grande è l’annuncio di una vita che, vissuta e radicata nel Vangelo, può raggiungere la sua realizzazione piena. Maria. Rafforzare i rapporti tra quelli che già fanno parte del movimento e consentire ai nuovi di lasciarsi affascinare dal clima di familiarità. Silvia. Credo che il movimento, oggi e in futuro, debba fortificarsi sempre più ricentrandosi continuamente in Cristo e nella preghiera; non perdere mai di vista il cuore che dà senso a tutto. Cecilia. Mi ha colpito ciò che p. Fabio Ciardi ha ribadito più volte durante il suo intervento: dobbiamo eccellere nel mondo laico, essere infiammati d’amore per Gesù. n
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una foto per pensare
L’attes a
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sa
Come un 'alba silenz iosa scruta le ver ità in un sospiro len to del tem po tra certez za e sp eranza
foto Alessandro Milella, alessandro.milella@alice.it testo Claudia Sarubbo, claudia.sarubbo@yahoo.it
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fatti
Una vita
nuova
Il buio dentro e l’esperienza della misericordia di Dio. La testimonianza di Beatrice Fazi, l’incontro con Cristo che fa desiderare solo cose belle
di Angelica Ciccone angelica.ciccone@gmail.com
S
orriso dirompente, allegria e volto familiare per il grande pubblico. Attrice di cinema e teatro, i suoi ruoli più celebri sono quelli televisivi di Melina Catapano, la colf di Un medico in famiglia, e di Dora nella fiction Il restauratore. Ma Beatrice Fazi è anche una donna che ha avuto un’intensa esperienza di riscoperta della fede, che l’ha portata a percorrere un cammino verso una più autentica scelta di Dio. Accanto alla sua vita di moglie, madre di tre figli e attrice, attualmente è anche vicepresidente di Ol3, movimento di radicale ispirazione cristiana e laboratorio di politica e socialità che vuole tradurre in azione il “voi non vi rassegnerete” affidato ai giovani da Giovanni Paolo II a Tor Vergata (Roma).alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2000.
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don Fabio Rosini
Direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi di Roma, è molto conosciuto per aver iniziato il progetto di Catechesi su I Dieci Comandamenti, diffusosi a macchia d’olio in tutta Italia. «Sin dall’inizio, ossia nel 1993, - dice don Rosini - gli incontri sui dieci comandamenti hanno avuto il fine primario di introdurre i giovani al discernimento sulla Volontà di Dio, e consentire loro di imparare a prendersi “la parte migliore”, intesa come la propria vocazione. Questo è, appunto, il senso degli incontri sui dieci comandamenti come vengono organizzati a cura dell’Ufficio per il servizio alle vocazioni». A fianco la homepage di lapartemigliore.org
chi è
Beatrice, com’è avvenuto il tuo primo incontro con la fede? Sono nata in una famiglia cattolica che per molti anni mi ha educato alla fede dandomi anche i sacramenti, facendomi fare il battesimo e la prima comunione. Poi i miei genitori hanno subìto la catechesi del mondo e ad un certo punto sono entrati in crisi, si sono separati e anch’io ho smesso di frequentare la parrocchia e mi sono allontanata. Quindi si può dire che per me c’è stato perlopiù un ritorno alla fede. Dopo essere partita da Salerno, la mia città natale, essere arrivata a Roma e aver vissuto qui per un po’ di anni, sono tornata alla chiesa, a cercare Cristo, perché ero scontenta delle esperienze che avevo fatto. Questa libertà che avevo tanto cercato, questa emancipazione dalla chiesa e dai comandamenti che avevo voluto vivere, in realtà mi aveva lasciata con un vuoto. È stato il bisogno di trovare un senso alla mia vita che mi ha portato poi a tornare alla chiesa. Dopo la proposta di alcune mie amiche di ascoltare delle catechesi, sono andata alla parrocchia di S. Maria Goretti, dove c’era don Fabio Rosini che teneva un ciclo di catechesi sui dieci comandamenti. Mi sono confessata
con lui e ho capito che la mia posizione era abbastanza “irregolare” per quelle che erano le “regole” che la chiesa dettava. Invece di reagire scandalizzandomi, ho accettato di obbedire e non comunicarmi, perché convivevo con il mio attuale marito, che era soltanto il mio fidanzato, ero incinta... insomma ero messa male! Eppure mi sono sentita accolta in quella confessione e in quell’invito ad ascoltare le catechesi e così ho cominciato a frequentare assiduamente la chiesa. Tutte le domeniche la messa, poi queste catechesi che si facevano una volta a settimana... ho cominciato un percorso e una relazione con Dio che mia ha cambiato la vita. È stato proprio un alimentare la fede, perché la fede non può essere alimentata senza l’ascolto della Parola e della predicazione.
Sono tornata alla chiesa, a cercare Cristo, perché ero scontenta
“La fede che si rende operosa per mezzo della carità - scrive Benedetto XVI citando le Scritture - diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo” (Porta Fidei 6). In che modo questo incontro con Dio ha cambiato concretamente la tua vita? Prima di tutto ridandomi la speranza,
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perché, attraverso le parole di questo sacerdote con il quale avevo avuto questa lunghissima confessione e avevo cominciato ad ascoltare nella sua predicazione, io ho accolto una promessa. Cioè mi veniva detto che, nonostante io fossi stata così lontana dalla chiesa per tutti quegli anni, Dio stava chiamando anche me alla santità. Quindi una speranza: la possibilità di cominciare da capo. E di conseguenza il desiderio di piacere a questo Dio Padre che stavo riscoprendo, di farmi amare da Lui, perché mi stavo innamorando di Lui, conoscendo anche suo figlio Gesù Cristo. È un cambiamento profondo che soltanto con l’amore gratuito si può attuare. Il primo effetto è che con certi peccati si taglia, così da un momento all’altro, con certi pensieri, anche con certi bui dell’anima, perché scopri la bellezza di essere una creatura, una figlia di Dio. Riscopri cosa significa essere battezzata, cosa significa essere parte della chiesa, di questo corpo di Cristo. Quindi per amore a Lui cominci a trasformarti, a desiderare solo le cose belle, a credere nella sua Parola, a vedere che i personaggi di cui parla il Vangelo sono persone che ti assomigliano tantissimo, con problemi esi-
stenziali e ferite che Cristo guarisce. E mentre vedi guarire le ferite di quelle persone senti che guariscono anche le tue, proprio come se tu cominciassi ad interagire con una persona viva che parla al tuo cuore, che ti dice che si può cambiare, che puoi avere fiducia in Lui, nella Provvidenza, negli altri, che non sei solo, che la tua vita è bella, che devi lasciar fare a Lui, che ti puoi fidare di Lui e che Lui provvederà a te. È stata una scoperta bellissima! Sicu-
Una speranza: la possibilità reale di cominciare da capo ramente questo mi ha cambiato più di ogni altra cosa, mi ha comunicato una gioia profonda e il desiderio di stare continuamente in ascolto e di mettere tutta la mia vita nelle Sue mani.
Il “si” detto a Dio è un’adesione che va rinnovata ogni istante, un cammino che dura tutta la vita. Quanto è importante per te alimentare la tua fede oggi e in che modo lo fai? Il più grande ostacolo al compimento del progetto che Dio ha su di noi siamo noi stessi. Desiderare di obbedire ai suoi comandamenti è qualcosa che non si può fare per paura di una punizione, ma soltanto perché si accetta quell’amore sconfinato, misericordioso, gratuito, che Dio ha per noi. Finalmente si scopre che c’è un Dio che conosce la tua debolezza, che sa esattamente chi sei e gli vai bene così, conta su di te e sa che tu potrai fare cose grandi se lasci che Lui ti guidi. Quindi anche l’obbedienza è una porta che si spalanca su questa grazia infinita. Se tu sarai capace di obbedire, ma non perché ti sforzerai, ma perché Lui ti darà la grazia di farlo, vedrai che la tua vita diventerà meravigliosa, si moltiplicheranno i tuoi pani e i tuoi pesci, farai veramente cose straordinarie. E così è stato, perché io penso di essere una persona normale che vive una vita eccezionale. Veramente il Signore mi ha donato il centuplo di quello che io ho investito. Eppure è difficile che io sia
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fatti
Sono in cammino da più di otto anni, insieme a mio marito e con i miei figli in una comunità. Ci sono varie tappe, è ben strutturato, c’è l’approfondimento della Parola, l’Eucarestia, è un carisma molto bello della chiesa. So di poter scoprire ogni volta tutti i doni che Dio mi fa e ancora vuole farmi. È un continuo giocare a rialzo e vincere!
Alcuni momenti della vita di Beatrice Fazi. Con la sua famiglia, il giorno del suo matrimonio e con la maglietta dell’associazione che ha fondato
sempre pronta a dire “si”, perché per l’uomo è difficile abbandonare i propri progetti, quello che lui pensa possa andar bene. È il peccato originale, l’uomo che si sostituisce a Dio e pensa di sapere cosa sia bene e cosa sia male per lui. E allora è necessario avere un sostegno, un cammino di fede che ti accompagni, l’ascolto continuo della Parola e anche lo stimolo a mettersi in discussione, a vedere le cose dal punto di vista di Dio, perché le sue vie non sono le nostre vie. Ed infatti per me è importante alimentare e rafforzare la mia fede, innanzitutto vivendola in una comunità, perché non c’è un cristianesimo che si possa vivere da soli, il cristianesimo è comunione, è condivisione. E io mi sento particolarmente fortunata, perché mi è stato donato un cammino bellissimo che è il cammino neocatecumenale, un cammino molto serio che in alcuni momenti della mia vita mi ha veramente “scomodata”.
L’ambiente in cui lavori, quello dello spettacolo, è un mondo che spesso richiede compromessi. Come provi a rimanere salda e a portare una testimonianza in un contesto di questo tipo? Purtroppo non soltanto l’ambiente in cui lavoro è un mondo che chiede compromessi, ma siamo chiamati tutti giorni a fare compromessi per compiacere agli altri, soprattutto se poi si ha una concezione della realtà così particolare come quella di un cristiano. Io mi trovo spesso ad essere in minoranza, ma non soltanto nel mio ambiente di lavoro, anche per esempio quando mi confronto con i genitori delle classi dei miei figli. Non è facile, perché la penso diversamente su tante cose ed è proprio fuori moda, scomodo, impopolare. Non mi scoraggio e la cosa difficile è anzitutto non fare i moralisti, puntare il dito, sentirsi migliori. Quella è una tentazione, perché magari ti senti apposto, fai il tuo bel cammino di fede, sei una brava persona e ti senti a posto con la coscienza, fai la tua elemosina, aiuti e ti senti migliore. In realtà ci sono tante persone che, pur dicendo di non credere, sono ad immagine e somiglianza di Dio, molto più di tanti che si professano cristiani e sono invece di scandalo per chi gli vive accanto. La difficoltà è stare in relazione con gli altri mantenendo l’umiltà e testimoniando con la propria vita, non c’è un altro modo. Non avere paura di testimoniare, entrando nelle discussioni, rispettando gli altri, ma non sempre dovendo rispettare le loro idee.
Un esempio banale era la discussione sulla festa di Halloween: vieni additata come cattolica, retrograda, pesante, se non sei d’accordo a festeggiare questa festa che secondo me è un rito collettivo che inneggia al macabro, al culto della morte, ma non nel senso della commemorazione dei defunti... è proprio una cosa brutta! Questo è un argomento banale, tanto per dirne uno, ma parliamo della castità nella vita matrimoniale, del fidanzamento casto che la chiesa propone, parliamo di eutanasia, di difesa della vita, i grandi temi sui quali la nostra società continuamente si scontra. Spesso io sono in minoranza nelle discussioni, non solo l’ambiente del lavoro va tutto da un’altra parte:
Mettersi in discussione, vedere le cose dal punto di vista di Dio coppie gay, l’adozione, le coppie di fatto… Rimango salda, perché per me l’incontro con Cristo, che vivo nella relazione con gli altri fratelli della comunità, con mio marito, con la chiesa, è un incontro che è un’esperienza. Non è che mi hanno convinto con tanti bei discorsi, mi ha convinto aver incontrato un Dio vivente, il Dio dei viventi e questa cosa mi rende forte. Io ho nel cuore la certezza che Cristo è risorto. Poi lo Spirito Santo mi viene in soccorso quando devo rispondere, perché non è che io sia una persona preparata o colta. Dico quello che sento e che penso veramente, sono un piccola donna che però ha incontrato l’amore salvifico di Cristo. n
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fatti
Viva Tambicò L’inaugurazione del tredicesimo dispensario del progetto Alìn’li. Il racconto dell’assessore del comune di Grottaferrata di Luciano Andreotti
A
rriviamo a Tambicò da Farim con due Toyota pickup sulle quali è divisa la delegazione ufficiale per l’inaugurazione del nuovo dispensario sanitario. È l’ultimo di tredici dispensari del progetto di cooperazione allo sviluppo denominato Alìn’li (parola creola che significa “eccomi”) che tredici comuni dei castelli romani e prenestini hanno realizzato attraverso il coordinamento dell’omonima comunità montana. Farim è un centro della regione nord orientale dell’OIO in Guinea-Bissau, un tempo elegante presidio portoghese ed attualmente, retaggio del colonialismo, uno dei tanti poverissimi centri dell’Africa subequatoriale; Tambicò è un piccolo villaggio immerso nella foresta. La delegazione è composta dai rappresentanti della XI comunità montana, capofila del progetto, dal comune di Grottaferrata (Rm) che ha adottato il dispensario del villaggio di Tambicò e dai missionari OMI, p. Carlo Andolfi e fr. Benoit Diouf dal Senegal, impegnati nella relativa gestione.
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Pillole
È uno Stato dell’Africa Occidentale ed è una delle più piccole nazioni dell’Africa continentale. Confina col Senegal a nord, con la Guinea a sud e a est e con l’Oceano Atlantico ad ovest. Al largo della capitale, Bissau, è situato l’arcipelago delle isole Bijagos, centinaia di isole di varie dimensioni, molte delle quali disabitate. Precedentemente colonia portoghese con il nome di Guinea Portoghese, la Guinea-Bissau proclamò l’indipendenza dal Portogallo il 24 settembre 1973 (poi riconosciuta il 10 settembre 1974). Al nome originario fu aggiunto quello della capitale Bissau per impedire
guinea-bissau
la confusione con il vicino stato della Guinea, ex colonia francese. Linguea ufficiale Capitale Forma di governo Indipendenza Ingresso nell’ONU Superficie totale Superficie delle acque Popolazione totale Densità Tasso di crescita
PORTOGHESE BISSAU (197.610 AB. / 1991) GIUNTA MILITARE DAL PORTOGALLO NEL 1974 DAL 1974 36.120 KM² 12 % 1.515.224 AB. (2012) 45 AB./KM² 1,971% (2012)
Tambicò
Per il viaggio si sceglie il tragitto diretto, ma più lungo, una pista mal ridotta di 70 km che attraversa una foresta di anacardi, unica risorsa della GuineaBissau. L’alternativa, più veloce e tranquilla, è la pista principale che passa per Mansabà, però bisogna attraversare il rio Cacheu con una specie di traghetto: troppo complicato. In alcuni tratti la pista assomiglia più al letto di un ruscello che a una strada, ai lati ogni tanto compare qualche mini villaggio o singole capanne di agricoltori o allevatori di bovini, capretti e maiali: le vecchie capanne sono circolari con mattoni di terra e paglia per tetto, le nuove sono rettangolari con tetto a padiglione o a capanna, in legno e lamiera. Ad un bivio la pista procede diritta A fianco, l’inaugurazione del dispensario di Tambicò; in apertura l’incontro con la gente di Tambicò, nello spazio allestito per l’importante occasione
gli abitanti di Tambicò intonano un canto di benvenuto e ringraziamento verso il confine con il Senegal, girando a destra, si prosegue per Tambicò: all’incrocio una “barriera” formata da un filo di spago e stracci imita una dogana, alcune donne in uniforme (le mogli dei militari…) esigono il dazio. P. Carlo prova a spiegare che siamo in Quaresima, una stagione di penitenza e povertà, ma poi è costretto a lasciare qualche franco. Si continua quindi per Tambicò attraverso la foresta di ana-
cardi sempre più fitta, anche se a tratti compare un inizio di deforestazione. Dietro uno striscione, grande quanto la pista c’è tutto il villaggio. In perfetta scala anagrafica tutti gli abitanti di Tambicò, disposti su due file, intonano un assordante canto di benvenuto e ringraziamento, capiamo soltanto la parola “Obrigado, obrigado Senor”, il grazie in portoghese. Il corteo cambia senso di marcia e senza smettere di cantare, si dirige verso il villaggio, ormai è una festa, i nostri delegati sono stupiti e spunta qualche lacrima di commozione. Tutti gli abitanti si vogliono presentare dal più piccolo, agli anziani con i volti scavati, le tuniche ricamate e i cappellini colorati. Tutti tendono la mano tutti vogliono un contatto, tutti aprono un sorriso. È difficile resistere, ci sentiamo… come non ci siamo mai sentiti. Hanno preparato il comitato d’onore con le sedie disposte ad arco sotto gli alberi, al riparo dai quaranta gradi al
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fatti
Progetto Alìn’li Obiettivo raggiunto Si è concluso il 9 marzo 2013 il progetto di cooperazione allo sviluppo e alla solidarietà realizzato dai tredici comuni della XI comunità montana del Lazio castelli romani e prenestini in Guinea-Bissau, a Farim, con l’inaugurazione del tredicesimo dispensario farmaceutico da parte del comune di Grottaferrata. Una “missione” durata cinque anni e che ha visto l’impegno di un partenariato composto da tredici comuni, una comunità montana una congregazione missionaria (i Missionari OMI) e una ONG (il COMI) sostenuto dalla Provincia di Roma e dalla Regione Lazio. Obiettivi sostanzialmente raggiunti con la costruzione di una rete di 13 strutture sanitarie, la formazione di 39 agenti sanitari e 13 comitati di gestione (65 membri). Un progetto talmente strategico per quell’area dell’Africa da aver spinto le autorità oblate a destinare al coordinamento e al servizio della rete un proprio religioso (diplomato infermiere) fr. Benoit Diouf (nella foto). Il presidente della comunità montana Giuseppe De Righi, alla notizia di tale decisione, ha espresso apprezzamento al responsabile della missione di Farim p. Carlo Andolfi per lo sforzo sostenuto dalla congregazione dei Missionari OMI ed ha assicurato che sia i comuni che la comunità montana non cesseranno di sostenere lo sviluppo del progetto ed il missionario che coordinerà la gestione dello stesso per il prossimo quinquennio. Mauro Salvatori
sole, e di fronte hanno preso in prestito i banchi della scuola dove siedono gli abitanti vestiti a festa con gli abiti più variopinti possibile. Ma la confusione magica di questo momento, al di la della cerimonia ufficiale, prende ancora il sopravvento: un gruppo di donne in circolo, improvvisa una danza tribale di benvenuto accompagnata da percussionisti scatenati, la delegazione si mischia agli abitanti del villaggio… chi fotografa, chi continua a stringere le mani che incontra, chi è commosso dalla dignità degli anziani, chi comincia a mettere qualche targa. Inizia la cerimonia, p. Carlo prende la parola parla in tante lingue, gesticola, fa il conduttore e il presentatore con una giusta dose di isterismo sciamanico che ipnotizza tutti i presenti. Vengono presentati e chiamati i protagonisti, il comitato di gestione, il capo del villaggio, le donne, i rappresentanti della comunità montana, il rappresentante di Grottaferrata, tutti parlano con commozione e sincerità, p. Carlo traduce per chi non capisce la lingua, ma interpreta anche per chi non riesce a trasmettere la passione, colora col cuore le emozioni non espresse. Tutti parlano un linguaggio universale, per tutti questo presidio sanitario è la rinascita di Tambicò, un punto di partenza come lo è stato per tutti gli altri già avviati. Anche qui nell’Africa più povera si può scoprire che le cosa più importante in qualsiasi società è la salute e
l’educazione, proprio come da noi. Sotto il sole che brucia, terminano i discorsi, arriva la festa, arrivano i doni: una veste ricca e una gallina viva per tutti gli artefici di questo progetto, p. Carlo, il presidente e il direttore della comunità montana, il rappresentante di Grottaferrata. Risuonano di nuovo i tamburi e le donne si scatenano nella loro danza sensuale, p. Carlo riprende il microfono e con la gallina in mano invita tutto il villaggio a ringraziare e, dopo una comprensibile incertezza grammaticale, grida a squarciagola “viva Grottaferrata, viva Tambico” e poi, come ad uno stadio tutti in corteo verso il dispensario per tagliare il nastro inaugurale, tutti dietro all’assessore Andreotti con la fascia tricolore. Difficile dimenticare. La gioia del capo villaggio con la fascia tricolore presa in prestito, si fa fotografare con i nostri rappresentanti, la presenza all’inaugurazione di tutti gli abitanti anche quelli di un’altra fede come i musulmani. I volti dei bambini che salutano e tutte le persone che prendono possesso di questo piccolo ambulatorio che loro chiamano “hospital”. Difficile dimenticare l’esperienza di questo bel progetto vissuta anche grazie ai Missionari Oblati di Maria Immacolata, dal cui sacrificio nasce questo miracolo che permette a più di duemila bambini di avere un’educazione e a tredici villaggi di avere il proprio piccolo “hospital”. n
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lettere dai missionari
MISSIONI
OMI
La luce di Cristo
P. Domenico Rodighero, OMI
Abbiamo iniziato il catechismo dei ragazzi che si preparano alla comunione e alla cresima. È un mese di corso intensivo che rende i pochi locali della parrocchia un vero e proprio campo di battaglia. Nei momenti di pausa i ragazzi si scatenano, corrono dappertutto, si arrampicano sulle poche piante che abbiamo e giocano senza badare alla temperatura che raggiunge, talvolta, i quaranta gradi. Dà gioia rendersi conto che qualche famiglia ancora sente il bisogno di educare i figli nella fede. In fondo Bangkok non è molto diversa dalle nostre città secolarizzate dove le relazioni si consumano con un messaggio e le tensioni si scatenano con un tweet. E poi i rifugiati. Anche oggi una donna congolese con un bambino in braccio si è presentata in parrocchia, era mezzogiorno, stavamo mangiando: «Siediti, come ti chiami?», «Helen», «e il bambino?», «Andrew!» «perché sei qui in Tailandia?»; «sono venuti in casa mia, al villaggio, cercavano mio marito, volevano ucciderlo, ma per fortuna non c’era e hanno preso me»; «di cosa hai bisogno?»; «non ho soldi,
non ho da mangiare, puoi aiutarmi»; ho preso un piatto anche per lei e poi un po’ di soldi. Tra qualche giorno ritornerà! Quanto poco si può fare per questi “poveri cristi”. Per fortuna anche la veglia di Pasqua è arrivata e mentre entravo in chiesa con il cero acceso, pesante e scivoloso nelle mani sudate per il gran caldo, non potevo non pensare che Gesù è davvero l’unica speranza, l’unica luce per noi. La follia della sua proposta è davvero buona notizia per noi rissosi e scontenti. Mentre salivo gli scalini del presbiterio, con il cero in mano, vedevo entrare nella chiesa buia tutte quelle fiammelle luminose e mi venivano in mente le parole di due uomini delusi e disperati: «Resta con noi Signore perché si fa sera e il giorno già volge al declino». La sua piccola luce sarà sempre la nostra speranza, anche nelle situazioni più difficili. Domenico Rodighiero OMI Thailandia
Una direzione “oblata” La città di Firenze fornisce l’esempio della comunità ucraina che ha celebrato il suo decimo anniversario realizzando una splendida
iconostasi bizantina per la chiesa de santi Simone e Giuda. L’opera, di notevole pregio artistico, è ora parte integrante del patrimonio della diocesi. Le città capaci di avviare un clima favorevole al confronto sono quelle che, ovviamente, ne traggono più immediato vantaggio in termini di patrimonio culturale, nonché di tradizione cristiana. La Giornata mondiale nel capoluogo toscano riflette l’impronta missionaria della regia “oblata” di p. Stefano Messina OMI: dalla messa in più lingue, animata dalle varie comunità, al pranzo multietnico di condivisione delle tradizioni gastronomiche internazionali, fino alla festa incontro all’auditorio della “Calza”. “Festa”, ma anche “dialogo” per confrontarsi sui temi dell’immigrazione. Associazioni assistenziali quali: Caritas, Agisjf, Comunità di Sant’Egidio unanimemente dichiarano che il processo di integrazione oggi è più difficile che mai a causa della crisi economica. Non si può certo negare agli Enti Pubblici il diritto di regolare i flussi migratori secondo le politiche ad essi
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MISSIONI
più congeniali, ma occorre sempre tutelare il rispetto della dignità della persona e i diritti fondamentali. La politica migratoria nazionale necessita di cambiamenti epocali che partano dall’abolizione del retaggio dello ius sanguinis a vantaggio di un più equo principio dello ius soli. Secondo il dossier Caritas/Migrantes 2012 il contesto sociale italiano è
OMI
Un gruppo di ragazze italiane e dello Sri Lanka. Sotto p. Pippo Giordano OMI (primo a sinisrtra) e i missionari OMI in Guinea Bissau
finale di migrazione, ma solo come porto intermedio verso il Nord Europa o i nuovi teatri di crescita come il Brasile. La Giornata mondiale del migrante a Firenze offre questi e altri spunti di riflessione che scavalcano facilmente i confini più remoti, tra danze folcloristiche e piatti esotici, colori sgargianti e tradizioni popolari: dall’Ucraina, alle Filippine, dal Perù allo Sri Lanka, dall’Albania al Madagascar e alla RD Congo. Michele Palumbo
Allargare il cuore “bocciato” persino dagli stessi immigrati, in quanto non sceglierebbero il “Belpaese” come meta
Abbiamo avuto il piacere di salutare p. Pippo Giordano in partenza per la GuineaBissau. Due i momenti importanti vissuti in questo periodo di permanenza
di p. Pippo a Patti (Me): la raccolta di materiale culminata nella spedizione del container e vari incontri. Tale attività ci ha permesso di vivere la fraternità cristiana e la presenza di Cristo vivo nel gruppo missionario. In questo periodo siamo stati più vicini a p. Pippo. Lo abbiamo salutato così: “Carissimo p. Pippo. Vogliamo ringraziarti perché ci permetti di vivere questa bellissima esperienza dell’amore. Ci siamo prodigati per starti vicino, in diverse forme: materiale, magazzini messi a disposizione, viveri, sostegno economico, carico e scarico pacchi, ecc., ma soprattutto, ti vogliamo ringraziare perché permetti di fare arrivare in un paese così lontano tanto pane che altro non è che quell’unico pane che Gesù ci ha lasciato sulla terra: l’Eucarestia. Attraverso te portiamo, al tuo spezzare il pane ogni giorno, nella Santa Messa, i tanti piccoli pezzi di pane che altro non sono che il nostro amore fatto di preghiere, aiuti, condivisione e perché no di amicizia (adozione di bambini e seminaristi) verso i nostri fratelli di Senegal e Guinea-Bissau”. Il gruppo missionario di Patti (Me)
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lettere dai missionari
Qui Uruguay di Luca Polello OMI poleesdra@gmail.com
Pasqua di resurrezione
La mia prima Pasqua vissuta qui in Uruguay è stata un tempo forte di conversione e di radicalità. Nella parrocchia di Libertad, i giovani sono abituati a chiamare la settimana santa con vari nomi: la settimana del turismo, la settimana della birra,
MISSIONI la settimana “criolla”, a testimoniare una radicata secolarizzazione che sta lentamente cancellando il senso della Pasqua. Il sogno, che contemporaneamente si presentava come una sfida, che abbiamo intrapreso in questa settimana è stato presentare la parrocchia come una casa aperta a tutti coloro che volevano fare un’esperienza concreta di vita cristiana. Dal lunedì santo al mercoledì santo abbiamo vissuto un campeggio con gli adolescenti in cammino verso la cresima, e dal giovedì santo in poi la parrocchia è divenuta un vero e proprio laboratorio della fede, dove insieme abbiamo preparato e vissuto i giorni che ci hanno condotto alla Pasqua. Abbiamo scoperto insieme che la Pasqua è un movimento: chiamati a seguire Gesù, e quindi ad andare oltre, certi che la morte è l’ultimo dei luoghi, solo un punto di partenza. Fare Pasqua significa lasciarsi qualcosa alle spalle, passare oltre e seguire Gesù, verso Dio Padre.
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Qui Senegal di Gianluca Rizzaro OMI gianlucarizzaro@gmail.com
Pellegrino per un giorno Il pellegrinaggio è un viaggio compiuto per devozione, ricerca spirituale o penitenza verso un luogo considerato sacro. Questa definizione di un dizionario della lingua italiana, descrive alla perfezione il pellegrinaggio nazionale che, dal 1888, coinvolge decine di migliaia di senegalesi, cristiani e non. Il giorno stabilito, da 125 anni a questa parte, è il giorno di Pentecoste; il luogo sacro è il santuario di ‘Maria liberatrice’ di Popenguine, ad una cinquantina di chilometri da Dakar. Il viaggio, la devozione e la penitenza sono particolarmente racchiusi nell’esperienza della marcia. Tantissimi pellegrini,
infatti, raggiungono il santuario in macchina o in bus, ma altrettanti scelgono di arrivare a piedi. Da 33 anni, migliaia di giovani si radunano già il sabato pomeriggio. Celebrano insieme la messa, pregano, danzano, cantano. E domenica mattina, prima che il sole sorga, si mettono in marcia. Ognuno di essi porta nel cuore un’intenzione di preghiera, una persona, un problema, da affidare a Maria. A Popenguine si arriva nel tardo pomeriggio, dopo circa 50 km percorsi costeggiando l’Atlantico e sfidando il caldo della primavera senegalese. Giunti alla meta, una grande stanchezza e la gioia di poter dire: io c’ero! E, nel mio caso, aggiungere: ce l’ho fatta!
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missioni
Missione è…
Combattere il peccato e amare il peccatore
di Adriano Titone OMI titonomi@gmail.com
L
a città di Maroua è crocevia di culture e centro economico, in quella punta del nord del Camerun che si incunea tra Nigeria e Ciad. Vi approdo dopo nove anni di Senegal e mi ritrovo economo della comunità, ancora parzialmente in cantiere, quando ancora non conosco il prezzo di un chilo di riso e di miglio. Un giorno la fragile porta della mia stanza è forzata e la scatola con la cassa comunitaria rubata. Avverto i confratelli i quali mettono subito in moto le conoscenze per monitorare i movi-
menti sospetti tra le bande giovanili della zona. Mezza giornata è sufficiente per identificare due degli “habitués del settore” che hanno fatto spese inusuali al mercato. A sera me li trovo davanti, giovanissimi, impacciati. Non tardano a riconoscere il malfatto. Parte della somma è recuperata. Il resto è già stato speso in jeans, cappelli per far colpo e un grande radioregistratore. Ma soprattutto mi colpisce il numero di panini che Bouba ha comprato e divorato in un paio d’ore. Ogni mio tentativo di portarli a ragionare, mi pare fiato sprecato, ma continuo ugualmente a parlar loro cercando di miscelare quel cocktail di amore e verità che ho cercato di imparare dal Vangelo. Dopo qualche mese, come previsto, vengono presi con le mani nel sacco. Stavolta è la prigione e, in attesa di giudizio, me li ritrovo al carcere di Maroua dove vado settimanalmente. Non serve più far loro la predica: la crudele realtà di un carcere di cui non potete neanche immaginare la durezza, farà di loro quasi certamente dei delinquenti irrecuperabili. Ma uno di loro, Bouba, il più giovane,
quello dei panini, mi appare meno indurito ed impermeabile. Ad ogni visita, lo ascolto amorevolmente senza parlare. Dopo alcuni mesi di attesa del giudizio, sono liberati perché minori e incensurati. Bouba viene direttamente a trovarmi e, guardandomi fisso negli occhi, mi fredda dicendomi: “Vi scelgo come mio padre!” Comprendo il peso che lui dà a quelle parole che sento risuonare in me come un appello di Dio. Proprio in quei giorni, con due dei nostri fratelli stiamo mettendo su una falegnameria per la quale ho appena comprato alcuni macchinari di seconda mano. Gli porpongo di venire ad imparare il mestiere, ma gli chiedo di essere fedele e disciplinato. Anche alla sorella, che accetta di ospitarlo, chiedo di essere severa ed esigente con lui. Per Bouba non è facile, ma ce la mette tutta e… ha un padre che gli ha dato fiducia e a cui deve rendere conto. Dopo la mia partenza ho ricevuto una sua lettera con dentro una foto che lo ritrae fiero davanti ad uno scaffale costruito da lui. Dietro una scritta: ”Merci, mon père!”. n
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