Missioni OMI aprile 04 2014

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Prezzo di copertina € 2,20 - aprile 2014 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012

attualità

dossier

fatti

missioni

Tre intellettuali “leggono” la missione in Italia

I pellegrinaggi a piedi a Santiago de Compostela

Conosciamo lo scolasticato oblato di Cochabamba in Bolivia

Qui Uruguay Qui Thailandia

MISSIONI

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RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 4 APRILE 2014

In cammino

per orientare la vita e scoprire la fede 10/03/14 20:55


SOMMARIO MISSIONI OMI Rivista mensile di attualità fondata nel 1921 Anno 21 n.4 aprile 2014

attualità

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L’immagine del missionario di Brunetto Salvarani

La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 EDITORE

Provincia d’Italia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata Via Egiziaca a Pizzofalcone, 30 80132 Napoli

La missione, un cantiere di carità

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Notizie in diretta dal mondo oblato

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di Adriano Titone OMI

news

REDAZIONE

Via dei Prefetti, 34 00186 Roma tel. 06 6880 3436 fax 06 6880 5031 pasquale.castrilli@poste.it

a cura di Elio Filardo OMI

DIRETTORE RESPONSABILE

Mgc news

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Formare alla missione in Bolivia

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Un uomo centrato sul soprannaturale

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Pasquale Castrilli REDAZIONE

fatti

Salvo D’Orto, Elio Filardo, Gianluca Rizzaro, Adriano Titone COLLABORATORI

di Pasquale Castrilli OMI

Alfonso Bartolotta, Claudio Carleo, Anna Cerro, Fabio Ciardi, Gennaro Cicchese, Angelica Ciccone, Luigi Mariano Guzzo, Thomas Harris, Sergio Natoli, Michele Palumbo

Alberto Gnemmi OMI

PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE

missioni

Elisabetta Delfini STAMPA

Tipolitografia Abilgraph Roma FOTOGRAFIE

Lettere al direttore

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Lettere dai missionari

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Qui Thailandia, Qui Uruguay

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Si ringrazia Olycom www.olycom.it UFFICIO ABBONAMENTI

Via dei Prefetti, 34 - 00186 Roma tel 06 9408777 - Valentina Valenzi rivista.missioni.omi@omi.it Italia (annuale) Estero (via aerea) Di amicizia Sostenitore

17 euro 37 euro 35 euro 65 euro

Da versare su cc p n. 777003 Home Banking: IBAN IT49D0760103200000000777003 intestato a: Missioni OMI - Rivista dei Missionari OMI via Tuscolana, 73 - 00044 Frascati (Roma) Finito di stampare marzo 2014 Reg. trib. Roma n° 564/93 Associata USPI e FESMI www.missioniomi.it www.facebook.com/missioniomi

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dossier

Un Oblato, esperto conoscitore dei cammini di Santiago de Compostela, spiega le frontiere della nuova evangelizzazione su percorsi frequentati a piedi da migliaia di persone

DOSSIER

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di David López OMI dlmomi@hotmail.com foto di Edo Pedron www.pellegrinipersempre.it

Evangeli zzare il cammino 14 MISSIONI OMI · 04_2014

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una foto per pensare 014_021.indd 14-15

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foto di Alfonso Bartolotta OMI, albartem@yahoo.fr testo di Anna Cerro, annacerro@gmail.com

UNA FOTO PER PENSARE

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Apparteniamo ad una società nella quale tutto deve essere bello, incorrotto, perfetto. Dove tu stesso sei un “tutto compiuto”, basti a te stesso. Ma questa non è la verità. È la relazione - soprattutto quando è tra diversi - quello che ci salva davvero. Abbiamo bisogno degli altri sempre; da appena nati fino alla fine della vita. “Ho bisogno di te”, questa frase scomparsa dal nostro linguaggio, dice una verità importante su di noi; ci potrebbe far capire che abbiamo bisogno di amici, ma anche di nemici, di chi ci approva ma anche di chi ci critica, di chi ci vuole e di chi ci rifiuta, di chi ci considera e di chi ci ignora… Coraggio, scopriamo i nostri nuovi benefattori.

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La fedeltà

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MISSIONI

editoriale Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com

Gente che cammina

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attualità

dossier

fatti

missioni

Tre intellettuali “leggono” la missione in Italia

I pellegrinaggi a piedi a Santiago de Compostela

Conosciamo lo scolasticato oblato di Cochabamba in Bolivia

Qui Uruguay Qui Thailandia

MISSIONI

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OMI

RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 4 APRILE 2014

In cammino

per orientare la vita e scoprire la fede

l numero di pellegrini a piedi è cresciuto in quest’ultimo decennio. Alcuni dati lo confermano. Anche l’industria del turismo se n’è accorta. Nel 2004 sui cammini verso Santiago de Compostela, in Spagna, sono transitate 197mila persone, nel 2010 sono state 270mila. Anche quelli in Italia hanno avuto un incremento di frequentatori. Si può camminare verso Assisi sulle orme di S. Francesco, verso Padova seguendo S. Antonio, verso Roma sulle orme di S. Pietro e degli apostoli. Si cammina per conoscere meglio un territorio, per mettersi alla prova, per fare turismo, per fare un pellegrinaggio. Ogni motivazione ha la sua ragione e la sua dignità. Una cosa è certa: un camminatore si mette in gioco. Impegna tempo e risorse per vivere una vita più lenta e “umana”. Il mondo a 5 km orari risulta interessante: si assaporano con stupore i paesaggi e la natura, si apprezza l’incontro con le persone, si perlustra l’incontro con Dio… Con scarpe adatte, zaino e un po’ di allenamento si può partire alla scoperta del mondo e di sé stessi con la disponibilità ad accogliere sorprese e novità inaspettate. Camminare insegna la vita, fa bene alla salute, apre cuore e orizzonti. Jacques Séguéla, giornalista e pubblicitario francese, scriveva che “uno stupido che cam-

mina va più lontano di dieci intellettuali seduti”. In effetti c’è una sapienza che nasce dal camminare a lungo e lentamente, quella dei nostri avi che per spostarsi non avevano automobili o treni a disposizione. Anche in tanti paesi del sud del mondo, dove si trovano i nostri missionari, la vita si svolge prevalentemente a piedi, scandita dalla luce del sole che segna inizio e fine di ogni giornata. Si cammina per andare o tornare dal mercato, per recarsi a scuola, per andare a curarsi presso un dispensario. E per strada si conosce, si discute, si condivide. Anche Gesù è stato un camminatore. Fece la strada insieme ai due di Emmaus stanchi e sfiduciati (cfr. Vangelo di Luca 24, 13-35) ridando loro una speranza. Ogni viaggio, soprattutto quello a piedi, è una metafora della vita, fatta di salite e discese, corse e frenate. Chi torna da un pellegrinaggio a piedi porta in sé una nuova consapevolezza e, superati i rischi della mitizzazione e della nostalgia, capisce che la vita ha un senso se fondata su poche cose essenziali. Camminare è una sorta di esercizio di sintesi. E anche i malanni della vita assumono un senso. Romano Battaglia affermava che “non c’è tristezza che, camminando, non si attenui e lentamente si sciolga”. n

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lettere al direttore

MISSIONI

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Una comunità virtuale Ormai sono decenni che, per una grazia speciale, sono stato toccato dal cuore e dalla sintesi del vangelo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. In queste parole mi colpisce pure il profondo legame tra la carità reciproca e la comunicazione del vangelo. Esso si fa strada e contagia il cuore delle persone in proporzione di quanto ci si ama! S. Eugenio, come sappiamo bene, ha ripreso queste parole e le ha espresse a modo suo consegnandocele, come Gesù, in testamento: “Fra voi la carità, la carità, la carità e fuori lo zelo per le anime”. Che tristezza dover constatare come

queste parole siano così poco vissute anche all’interno della chiesa e negli stessi contesti in cui esiste già un profondo legame naturale: famiglia, amici, fidanzati…! Allora mi sono chiesto: “Cosa posso fare perché non ci si presenti davanti a Lui, al termine della vita, dovendo con amarezza, rabbia o delusione, riconoscere che proprio questo comando è stato così tanto disatteso?” E mi è venuta un’idea, penso dall’Alto: perché non costruire una Comunità Cristiana Virtuale (in sigla CCV) per coloro soprattutto che hanno poco tempo o poca voglia di frequentare e inserirsi in una vera comunità cristiana reale e fisica? E inoltre, perché non aiutare

anche dei membri di queste stesse comunità a mettere veramente in pratica il Suo comandamento? E in che modo? Inviando periodicamente alle persone che già conosco, che conoscerò in seguito e che hanno un computer, ogni quindici giorni, una mail in cui presentare la Parola di vita col commento di Chiara Lubich, una breve riflessione su un punto della spiritualità, alcuni allegati in armonia con esso e i riscontri ricevuti in precedenza. Questa comunità virtuale, nata alcuni anni fa, a metà dello scorso dicembre è arrivata al centesimo numero, con oltre 400 membri, festeggiato il 5 gennaio successivo e su cui il settimanale della diocesi

di Cosenza-Bisignano ha pubblicato un bell’articolo! Vi fanno parte familiari, parenti, amici, persone incontrate nel ministero, membri di associazioni, movimenti, qualche suora e qualche missionario. Gli argomenti trattati sono i più vari, con frequente riferimento al tempo liturgico in corso, alla crisi economica attuale, alla famiglia, alla donna ecc. Negli ultimi mesi una ragazza della CCV mi ha scritto: “Da quando ti conosco la mia vita è diventata più bella!”. Altri, poi, me l’hanno ripetuto! Qui mi pare ben riassunto lo scopo della CCV, appunto: rendere la vita di coloro che ne fanno parte più bella! Giovanni Fustaino OMI Cosenza

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Deceduto P. Luciano Cupia OMI

Ancora sul primo anno di papa Francesco Ci sarebbero da dire tante cose. È un papa straordinario, un rivoluzionario come Gesù. È semplice nel parlare e nello scrivere e quindi facile da seguire. È gioioso, esprime la sua gioia di essere apostolo di Cristo in tutto ciò che fa. È dolcissimo, mi fa sorridere ogni qualvolta lo guardo. Vorrei dirgli grazie per ciò che sta facendo. È instancabile. Si vede che non vuole perdere tempo, è un vulcano di idee e di bellissimi propositi. Papa Benedetto è stato un grande. Penso che il suo rapporto con il Signore è così confidenziale da fargli decidere il momento di

mettersi da parte per far posto ad un santo papa in un momento così difficile e sofferto... Maria Rosaria Simeone S. Maria Capua Vetere (Ce) Questo papa ha cambiato la maggior parte delle persone, perche lui capisce le persone in un modo profondo e fa capire il suo amore verso chiunque. Ilaria De Lucia S. Maria a Vico (Ce) Una canzone per don Puglisi Segnaliamo la canzone Se ciascuno fa qualcosa composta da p. Sergio Natoli OMI in memoria dell’amico don Pino Puglisi ucciso a Palermo nel 1993. (www.arcobalenodipopoli. it/wp-content/uploads/ Galleria/Video/Se_ ciascuno_fa_qualcosa. mp4)

Fondatore nel 1968 del Centro la Famiglia, consultorio familiare in via della Pigna a Roma, insieme a Rosalba Fanelli, iniziatore della Scuola per consulenti familiari nel 1976, parroco a Bologna, assistente scout, docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Sono solo alcune degli ambiti pastorali nei quali ha lavorato p. Luciano Cupia, morto a Roma lo scorso 26 febbraio. Era nato a Suno (No) nel 1927 ed era sacerdote dal 1950. Il sito www.centrolafamiglia.org lo ricorda come “instancabile e caparbio”. “Lo porteremo nel nostro cuore - si legge - per le intense, proficue e rigeneranti relazioni di aiuto che ha saputo stabilire negli anni di generoso servizio con le centinaia di persone che ha incontrato nonché per l’affetto sincero, l’accoglienza spontanea, l’accettazione incondizionata, la luminosità del vivere, del pensare e dell’agire che hanno accompagnato la sua attività animata negli anni da queste parole essenziali e che rimarranno per noi preziosa eredità: trasparenza, tolleranza e tenerezza”. Una veglia di preghiera si è svolta nella chiesa di S. Nicola a via dei Prefetti il 27 febbraio, mentre le esequie sono state celebrate il 28 febbraio nella basilica di S. Lorenzo in Lucina. Tra i suoi libri ricordiamo Come una carezza. Alla scoperta di un Dio tenero e misericordioso (Paoline, 1999).

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cartolina missionaria

Treditesori famiglia

A Roma alla casa generalizia dei Missionari OMI

di Fabio Ciardi OMI ciardif@gmail.com

U

n po’ zingari, un po’ profughi, o semplicemente missionari, gli Oblati hanno dovuto spostare la loro casa centrale da Aix-en-Provence a Marsiglia, a Parigi, a Liegi, a Roma. Qui, nel 1902, “la generalizia” - così la chiamiamo - trovò la sua prima destinazione a due passi dal Colosseo, in quella che oggi è via Vittorino da Feltre. Finalmente nel 1950 fu costruita la sede definitiva (si fa per dire), in via Aurelia 290, a due passi da S. Pietro. Questa volta vi mando la mia cartolina da questa casa. Viaggio in tante parti del mondo, ma ogni tanto sono anche a casa, e da tre anni la mia casa è proprio questa in via Aurelia, dove vive il superiore generale e i suoi collaboratori, alla guida della Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Siamo 43, di 18 nazioni. Il più anziano, fratel Giuseppe D’Orazio, ha 94 anni. La bella età non

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gli impedisce di uscire ogni giorno per i servizi più semplici: la farmacia, la posta, senza dimenticare la visita ai mille santuari della città per accendere una candela e dire una preghiera per i missionari sparsi nel mondo. Il più giovani è padre Jegan Kumar Coonghe, dello Sri Lanka, 24 anni; sacerdote da 3 anni completa gli studi superiori al Pontificio Istituto Biblico. In mezzo una grande varietà di persone e di servizi. Una comunità che ha come caratteristica l’accoglienza. Al centro la cappella che custodisce tre tesori di famiglia, che gli Oblati si sono portati sempre con sé nel loro pellegrinare da una casa all’altra: un altare, una statua, un cuore.

L’altare di legno Si trovava nella casa di Aix, dove tutto è iniziato. Perché portarlo con sé? Non ha alcun valore artistico, ma ha un grande valore affettivo. Sant’Eugenio e il suo primo compagno, l’11 aprile 1816, vi passarono davanti l’intera notte, in preghiera. Vi avevano riposto la Santissima Eucaristia, al termine della celebrazione liturgica. Era Giovedì santo. Non erano passati neppure tre mesi da quando avevano dato inizio alla piccola comunità di missionari. Fino ad allora non avevano pensato che sarebbero potuti diventare dei religiosi. A loro bastava essere come gli apostoli e seguire Gesù nell’annuncio del Vangelo. Ma presto sant’Eugenio si rese conto che per vivere come gli apostoli avrebbero dovuto fare il passo della consacrazione con i voti, con l’oblazione. Ne parlò all’amico, che rimase entusiasta e in quella notte di preghiera, in ginocchio davanti all’altare, «facemmo i nostri voti - racconta lui stesso - in una indicibile gioia». Entrando nella casa di Roma, nella cappellina a destra, troverete “l’altare dei voti”.

La statua È l’Immacolata che sant’Eugenio comprò per la chiesa di Aix e che benedisse il 15 agosto 1822. Una statua di legno completamente dorata, nel più puro stile provenzale. Questa sì che è preziosa. Ma per gli Oblati lo è soprattutto per un episodio dal quale essa prende il nome di Madonna del sorriso. Quel giorno. festa dell’Assunta, sant’Eugenio parlò di lei con tutta l’effusione del cuore. A sera la gente uscì in processione, mentre egli rimase davanti all’immagine. Più tardi scrisse all’amico Tempier, per comunicargli quello che era avvenuto: «Da molto tempo non provavo tanta gioia nel parlare delle sue grandezze, nell’invogliare i cristiani a riporre in lei ogni fiducia… Questa sera mi sono accorto che tutti i fedeli condividevano il fervore che mi ispirava l’immagine della santa Vergine». Gli sembrò «di vedere, di toccare con mano» che la piccola famiglia di missionari, a cui aveva dato vita da sei anni, «racchiudesse il seme di grandissime virtù, e che potrebbe operare un bene infinito; la trovavo buona, in lei mi piaceva tutto, amavo le sue Regole, i suoi Statuti; il suo ministero mi sembrava sublime». Ma vide anche la propria piccolezza e miseria, le prove e le difficoltà che la comunità avrebbe dovuto attraversare… Fu allo-

ra che la bella statua rivolse gli occhi verso di lui e gli sorrise. Quel giorno Eugenio sperimentò lo sguardo materno di Maria, pieno di tenerezza, e si sentì infondere una forza nuova. Da allora seppe che la sua opera veniva da Dio. Quella statua è oggi sull’altare della nostra cappella.

La reliquia Nella cappellina di sinistra il terzo tesoro: il cuore di sant’Eugenio, in una teca che porta scritto il motto della sua vita: Lo Spirito Santo è su di me e mi ha mandato ad annunciare il Vangelo ai poveri, e le ultime parole rivolte agli Oblati prima di morire: Tra voi la carità, la carità, la carità, e fuori lo zelo per le anime. È una reliquia significativa, che ci ricorda l’amore infinito che sant’Eugenio portava alla sua famiglia, ai poveri, alle persone della sua diocesi… “un cuore grande come il mondo”, che sapeva amare d’un amore appassionato e sincero. La visita della casa generalizia ci porterebbe a scoprire tanti altri tesori, ma al termine, la visita ci condurrebbe di nuovo in cappella, dove tutta la comunità si ritrova tre volte al giorno per pregare insieme. È questo il cuore che pulsa e che porta vita all’intera grande comunità dei missionari Oblati sparsi nel mondo. n

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attualità

L’immagine del missionario Una società che cambia. Un ruolo e un’immagine, quella dei missionari, che attraversano i secoli. Ma cosa sono oggi i missionari nell’immaginario collettivo italiano? Lo abbiamo chiesto a personaggi «non sospetti».

C

di Brunetto Salvarani

ome sta cambiando, nel nostro paese, l’immagine dei missionari e della missione? Vale a dire: a mezzo secolo dal documento conciliare Ad gentes e dalla definitiva decolonizzazione, a oltre vent’anni dalla fine dell’utopia comunista e oltre dieci dall’11 settembre 2001, nel contesto di un mondo in fuga (T. Giddens) e sempre più globalizzato. E mentre la storia sembra al di fuori del nostro controllo, e noi non sappiamo dove stiamo andando. Le prime grandi missioni delle chiese cristiane fuori dall’Europa - dopo la stagione pionieristica del primo millennio d.C. - erano intrecciate al colonialismo, dal sedicesimo al ventesimo secolo: spagnoli e portoghesi portavano con sé i loro frati mendicanti, così come olandesi e inglesi i loro missionari protestanti. I missionari potevano, di volta in volta, sostenere o criticare i conquistatori, ma avevano in co-

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Salvatore

Natoli

Annamaria

Rivera

Giuliano

Vigini

È nato a Patti (Me) nel 1942. Laureato in Filosofia presso l’Università Cattolica di Milano, dove ha trascorso gli anni nel Collegio Augustinianum. Ha insegnato Logica alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Venezia e Filosofia della Politica alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano. Attualmente è professore ordinario di filosofia teoretica presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.

È nata a Taranto nel 1945. Antropologa, saggista, scrittrice e attivista italiana, docente di etnologia e di antropologia sociale presso l’Università di Bari, editorialista per i quotidiani il Manifesto e Liberazione, oltre che collaboratrice di altri giornali; dirige la collana di ricerche antropologiche della casa editrice Dedalo. È nota come studiosa delle discriminazioni, nonché per il suo impegno antirazzista, antisessista e antispecista.

È nato a Milano nel 1946. Uno dei nomi più noti dell’editoria. Nella sua vasta attività critica e bibliografica assume una rilevanza particolare la «Bibbia Paoline»: testo e analitico commento a fronte di tutti i libri biblici. Fra le ultime opere in questa serie, con la nuova versione ufficiale della CEI, il commento a Vangeli e Atti degli Apostoli e a il Nuovo Testamento, il Vocabolario del Nuovo Testamento greco-italiano, il Dizionario del Nuovo Testamento e la Guida alla Bibbia.

mune il senso di dove la storia si stava dirigendo: verso il dominio occidentale del mondo. Verso la civiltà cristiana. Un dato che, in ogni caso e al di là della buona fede dei singoli, determinò il panorama della scena missionaria. Nella seconda metà del secolo scorso, la missione si è venuta a trovare in un nuovo contesto: il conflitto tra i due blocchi di potenze, quello orientale e quello occidentale, tra il comunismo e il capitalismo. Alcuni missionari possono aver pregato per il trionfo del proletariato e altri per la sconfitta del comunismo ateo, ma tale conflitto rappresentava il palcoscenico inevitabile dell’opera missionaria. Ora, i missionari non vengono più mandati per nave verso paesi scono-

sciuti e, quasi ovunque, non sono più lontani che un giorno di viaggio. In un quadro così frastagliato, quanto e com’è mutato l’immaginario collettivo sul missionario e la missione in Italia (un paese che sta vivendo la stagione di passaggio dalla religione unica degli italiani all’Italia delle religioni)? Abbiamo cercato di capirlo interrogando alcune personalità illustri della cultura laica nazionale: Salvatore Natoli, Annamaria Rivera e Giuliano Vigini.

un lato, quello di essere sempre uniti, in una tensione costante di fede e carità, a tutti coloro che in tanti paesi offrono la loro vita per la predicazione e la testimonianza al vangelo: orizzonte e paradigma di ogni attività ecclesiale». In tal senso, «tutti coloro che, con la preghiera, il sostegno economico e l’impegno diretto cooperano alla missione e insieme contribuiscono in Italia alla formazione di una coscienza missionaria sono come dei costruttori di ponti che collegano e avvicinano mondi lontani, facendoli sentire parte integrante della vocazione e della vita della Chiesa». Dall’altro lato, si tratta di «essere attivamente impegnati in questa terra di missione che - come tanti altri paesi di antiche radici cri-

Il critico e il filosofo Per Giuliano Vigini, uno dei nomi più noti dell’editoria, dalla vasta attività critica e bibliografica, l’impegno missionario di religiosi e laici che operano in Italia ha un duplice effetto: «Da

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NUOVI COMPITI In questa società sempre più crocevia di fedi, lingue e culture, il missionario è chiamato anche a nuovi compiti: l’ascolto e il dialogo religioso e interculturale, la partecipazione ai problemi e alle sofferenze della gente, la solidarietà sempre più generosa verso i più poveri, antichi e nuovi. Giuliano Vigini

stiane - è diventata l’Italia, anch’essa dunque da rievangelizzare per essere restituita alla fede viva del vangelo». A parere di Salvatore Natoli, docente di filosofia teoretica presso l’Università di Milano Bicocca, un pensatore

dichiaratamente laico eppure aperto al confronto con le istanze cristiane, per cogliere l’immagine del missionario occorre evidenziare due aspetti, complessivamente in sintonia con quanto sostiene Vigini: «Prima di tutto, visto il sempre più profondo processo di secolarizzazione, egli è colui che s’impegna per la nuova evangelizzazione, dato che viviamo ormai in una terra pagana. In secondo luogo, il missionario è colui che si propone di fornire delle risposte sensate ai nuovi bisogni, cercando di porre un freno alla dilagante miseria, di carattere morale e materiale». Riguardo all’interrogativo su quale immagine dei missionari abbiano i nostri connazionali, Vigini ammette che, non conoscendo indagini o sondaggi in tal senso, gli è possibile semplicemente esprimere una sensazione personale: «Gli italiani, orientati in questo senso anche da tante trasmissioni e immagini televisive, vedono prevalentemente il missionario impegnato in attività filantropiche e sociali. Costruiscono case, ospedali, scuole; si curano della miseria, delle malattie e delle necessità di tante persone che,

senza la loro presenza e il loro lavoro, sarebbero abbandonate a se stesse. Per questo loro impegno, i missionari sono certamente apprezzati e aiutati dagli italiani». Tuttavia, egli conclude che «tutto questo rischia di mettere un po’ in ombra, nell’opinione corrente, l’obiettivo religioso primario della loro vocazione». Secondo Natoli, presso gli italiani la figura del missionario - non dandosi oggi, in realtà, una riflessione significativa al riguardo - risulta molto più sfumata, rispetto al passato: «Peraltro, ho l’impressione che si conceda loro una larga fiducia, particolarmente sotto il profilo di esercitare un’assistenza alle popolazioni coinvolte». Per questo, alla fine, il loro giudizio pare a Natoli comunque positivo. Infine, ma non da ultimo per importanza, è lecito domandarsi quanto l’azione dei missionari in vari ambiti (lotta alla fame nel mondo, nuovi stili di vita, beni comuni, mondialità, dialogo interreligioso, lotta al razzismo...), sia servita per diffondere sia tali temi sia la loro voce in Italia. Secondo Vigini, è innegabile che tale azione sia servita, e non poco: «Quanto i missionari fanno

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attualità

in molti campi è servito in particolare a radicare negli italiani due convincimenti: che pochi come loro si spendono per il bene degli altri e che ci si può fidare di loro, perché sono testimoni credibili». Mentre «sarebbe anche importante far capire la radice e lo spirito del servizio che i missionari svolgono per il bene della chiesa e dell’uomo».

L’antropologa Intriganti sono poi le considerazioni di Annamaria Rivera, antropologa, saggista, scrittrice, docente di etnologia e di antropologia sociale presso l’Università di Bari, editorialista per i quotidiani Il Manifesto e Liberazione, che, interrogata in merito, afferma: «Fino ad alcuni anni fa i missionari erano per me principalmente quelli di cui si parla nella letteratura antropologica. Ciò che sapevo di loro riguardava, dunque, lo straordinario contributo alla conoscenza delle lingue locali, il patrimonio d’informazioni e conoscenze sulle più varie popolazioni e culture esotiche, accumulato nel corso dei secoli, la redazione delle prime monografie etnografiche, quindi il contributo implicito alla nascita dell’antropologia: la disciplina che ho insegnato per alcuni decenni nell’università e che pratico nel lavoro di ricerca. Sapevo anche del loro rapporto complesso con l’espansione coloniale: dapprima strenui oppositori del sistema schiavistico e appassionati difensori dei diritti delle popolazioni indigene, poi - in epoca contemporanea, quando si generalizzarono i movimenti per l’indipendenza dei popoli colonizzati compromessi talvolta con il colonialismo. E tuttavia la loro vocazione universalista, mutuata dal cristianesimo, il più delle volte li mise al riparo dai miti nazionalisti e dalle loro conseguenze nefaste». Nel 2006, ad Annamaria capita di trovarsi a tenere una conferenza durante un convegno or-

ganizzato da un mensile missionario, sia pure sui generis: «Dei missionari avevo dunque un’esperienza per lo più indiretta e libresca nonché scarsamente aggiornata al tempo presente. Finché fui invitata come relatrice in uno dei convegni del Cem Mondialità, a Viterbo. Fu un’esperienza inaspettata ed entusiasmante poiché vi trovai molto di ciò che credevo irrevocabilmente perduto con la fine degli anni ’70 e del quale conservavo acuto rimpianto: la capacità di rendersi comunità - almeno per alcuni giorni - condividendo convivialità e calore umano, ma anche

Pochi come loro si spendono per il bene degli altri. Ci si può fidare di loro, perché testimoni credibili competenza, spirito critico, non conformismo, insieme con il senso della ricerca e dell’impegno, dell’ironia e del gioco. Vi trovai soprattutto un’attitudine che sembra ormai perduta nella nostra società (intendo dire nei più vari ambienti professionali, sociali e politici dell’Italia dei nostri giorni): l’interesse verso l’altro/a e la tendenza a valorizzarlo/a e a valorizzarsi reciprocamente.

Gli hippie della missione Non fu, quello, peraltro, l’unico suo

rapporto con il mondo missionario: «In seguito ho avuto altre occasioni per partecipare alle iniziative ispirate dai saveriani: un articolo per Missione oggi e ancora altri appuntamenti di Cem Mondialità. Fino a quello del 2012, dedicato ai nuovi spazi dell’intercultura, quando fui invitata a parlare delle nuove forme di razzismo in Italia e dei possibili modi per contrastarlo e superarlo, fra i quali le pratiche interculturali. Come sempre, il convegno fu arricchito da momenti conviviali e da una performance teatrale interattiva. Anche quest’ultima all’insegna dell’imprevedibile, del non convenzionale, perfino dello spiazzante. Fu mia figlia, che avevo coinvolto nella performance, a offrirmi una chiave possibile per definire quello stile - al tempo stesso laico e spirituale, impegnato e lieve, internazionalista e comunitario - di leggere e vivere la realtà. Con una battuta ironica e folgorante: “Sono dei veri hippie e non hanno bisogno di droghe!”. Fino a concludere: «A pensarci bene, in fondo quella di mia figlia non era solo una boutade. A caratterizzare il movimento hippie, infatti, furono il pacifismo integrale, il senso comunitario, l’esaltazione dell’amore e della fratellanza, l’ideologia mite e non dottrinaria, la matrice spirituale attinta al pensiero di Gesù Cristo, Buddha, Francesco d’Assisi, Gandhi…; nonché la controcultura che privilegiava la performance, il teatro di strada, la musica popolare». Ecco. Senza pretese di esaustività, ovviamente, qualche idea in più ce la siamo fatta. Anche se il mosaico è lungi dall’esser esaurito, e le sfaccettature della figura del missionario di oggi, sospeso tra una società di fatto postcristiana e un Dio che sta cambiando indirizzo, posizionandosi sempre più spesso a Sud dell’Equatore, sono - ammettiamolo - ben difficili da afferrare pienamente. n

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attualità

La missione, Il resoconto delle realizzazioni del 2013 promosse e sostenute dalla Procura delle missioni estere. Un grazie doveroso ai numerosi benefattori

A di Adriano Titone OMI adrianomi@gmail.com

ll’origine della missione c’è l’amore di Dio che un giorno decise di condividere la ricchezza della sua vita e accese la vita fuori di sé, nel mondo. Iniziò quel continuo dono gratuito tra Dio e l’uomo, tra uomo e uomo. La missione, che raggiunse l’apice in Gesù e nel Vangelo, è lontana dall’essere compiuta. Essa è come un cantiere! E la carità missionaria apre cantieri di ogni genere per ridare all’uomo la dignità perduta o non ancora raggiunta. Anche noi siamo coinvolti in questa missione: noi Oblati di Maria Immacolata con tutti gli amici delle Missioni OMI che nei modi più disparati e con una creatività sorprendente, la sostengono. Ecco un breve resoconto dei cantieri missionari che ci hanno coinvolto nell’anno 2013.

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un cantiere di carità Romania I progetti sono nell’ambito dell’educazione e del sostegno di bambini e ragazzi. I campi-scuola ecumenici, avviati nel 2007, sono diventati luogo non solo di sana ricreazione, ma di formazione umana ed ecumenica. Oltre al prolungato appuntamento estivo, ci sono occasioni d’incontro durante l’anno. Si approfondiscono tematiche umane e cristiane che concorrono alla maturazione della persona, si educa all’ecumenismo partendo da ciò che è comune. Si responsabilizzano i partecipanti al servizio dell’altro e all’utilizzo equilibrato delle risorse. Rilevante è il progetto condotto insieme ai laici dell’Associazione Missionaria Maria Immacolata (AMMI) di Catanzaro a favore dell’integrazione scolastica di otto bambini diversamente abili. Il progetto ha permesso agli insegnanti di questi bambini di frequentare due

corsi di formazione e di avere la disponibilità di un insegnante di sostegno regolarmente assunto. Un altro mini-progetto riguarda l’assunzione di un “coordinatore inclusivo” al fine di favorire la cooperazione tra quanti, in due scuole, collaborano all’educazione di sedici bambini con difficoltà di apprendimento.

Uruguay Il progetto più rilevante rimane quello di Talitakum che da anni rende un servizio a circa 60 adolescenti provenienti da situazioni familiari tra le più disastrate del Cerro di Montevideo. Attraverso la formazione professionale biennale in elettricità, fabbro ferraio, taglio e cucito, cucina, informatica e altro, si cerca di compiere per questi ragazzi ciò che il nome del centro esprime: rimetterli in piedi, riaccendere in loro la fiamma interiore che per-

metta di vivere e credere nella propria dignità personale. I soli contributi benevoli che giungono da più parti, stanno sostenendo questa grossa opera. Ringraziamo in particolare il gruppo missionario di Rosignano S. (Li), le comunità dei laici oblati di Messina, Napoli, S. Maria a Vico e Aversa. A Playa Pascual il progetto più rilevante è il restauro della struttura di Autodromo, sede di una delle comunità di base più grosse. Dopo il cedimento di una parte, anche il tetto va completamente sostituito.

Venezuela Le ultime vicende di questo paese sono conosciute. Nonostante le notevoli ricchezze, gran parte della gente, soprattutto quella con cui vivono i nostri confratelli, attraversa una pesante crisi socio-economica. Anche le due comunità oblate vivono questa diffi-

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Nelle foto: a sinistra, la cappella San José Obrero a Playa Pascual (Uruguay); a destra, la recinzione di una scuola a Koumpentoum (Senegal)

coltà per il sostentamento quotidiano. La Procura delle Missioni Estere le ha sostenute nel loro vivere quotidiano e nella spese di formazione di tre giovani venezuelani che hanno scelto di condividere il nostro lavoro missionario. Proprio nel corso del 2013 uno di loro è stato ordinato sacerdote e ha iniziato il servizio nella missione di Barinas dove si sta concludendo il cantiere per la realizzazione di nuove sale. Rimangono in corso i cantieri di alcuni luoghi di incontro delle comunità di base dei villaggi della missione.

Senegal Il 2013 ha visto un pullulare di progetti. A Dakar è stato ultimato il nuovo Foyer dei giovani, comunità di discernimento e formazione che si stacca dal prenoviziato di Front de Terre. Due oblati, p. Claudio Carleo e p. Dominique Diagne sono lì da ottobre per accompagnare una quindicina di giovani. A Nguéniène proseguono i lavori per il Foyer dei giovani. Terminate le fondamenta, le pareti salgono rapidamente. La gioia è condivisa con Mauro Molinari ed i suoi amici, ma soprattutto con Daniela, anche lei ormai nostra collaboratrice dal cielo. A Koungheul il

progetto più rilevante è stato a Lwanga dove si è dovuto riacquistare il gruppo elettrogeno e la pompa ad immersione nel pozzo. Il grazie va soprattutto agli amici di p. Pierfrancesco Purpura OMI, originario di Palermo. A Koumpentoum c’è grande fervore. A fine 2013 è terminato il lavoro del recinto con i rispettivi cancelli. Sono 850 metri lineari, trattandosi di un terreno di 152 metri per 122. Insieme al 2014 è iniziato il cantiere di lavoro alla scuola materna. I benefattori coinvolti sono tanti. Comunità e parrocchie oblate, diversi gruppi AMMI d’Italia come quelli di S. Maria a Vico, Messina, Vercelli e Roma, gruppi missionari come Villabate (Pa), Smile for two di Somma Vesuviana (Na), Insieme per l’Unità dei popoli di Capua (Na), il gruppo missionario di Rosignano (Li), gli amici dell’ENEL di Bologna, tante famiglie o persone tra cui anche i partecipanti al viaggio missionario 2013 proprio a Koumpentoum. Altro cantiere è la Sala polivalente di Mereto, uno dei centri della missione di Koumpentoum. Il grazie va al signor Ferrero. A Temento è stato ultimato il cantiere del dispensario e della scuola di Kanicou. L’inaugurazione è avvenuta ai primi di febbraio

alla presenza di p. Santino Ardiri OMI, parroco a Villagrazia di Palermo. Il grazie va alla famiglia Picciuca di Palermo. A Elinkine, nella regione meridionale della Casamance, è stata costruita, grazie al contributo di una scuola londinese, la scuola elementare a Ourong, una delle isole servite dalla missione. Prezioso è stato il contributo ricevuto dall’Associazione culturale I narranti di Pistoia che ha permesso l’acquisto di una piroga. Sono iniziati anche i lavori per l’aggiunta di altre tre classi scolastiche al centro della missione. Anche per questo cantiere il grazie va al signor Ferrero.

Guinea Bissau Sono tante le opere realizzate in questi dieci anni di presenza oblata. A Farim c’è Casa Emanuele con il suo centro nutrizionale, e una serie di dispensari (ambulatori sanitari) in vari villaggi del territorio. Il tutto grazie al significativo contributo della Comunità montana dei Castelli Romani e Prenestini in collaborazione con il COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo) e altri amici delle missioni oblate come i signori Di Paolo e Capodilupo. Nel 2013 è stata avviata una nuova fase

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attualità

Adozioni a

È attivo un programma di sostegno a bambini e ragazzi presenti nelle scuole fondate e gestite dalle missioni. Questa è l’occasione per permettere a loro e alle loro famiglie di ringraziare i tanti benefattori che puntualmente versano la loro quota mensile che va a coprire le spese di scolarità, di libri e quaderni, e sono un sostegno considerevole per le scuole che altrimenti non riuscirebbero a sostenersi. LE NOSTRE SCUOLE, lo ricordiamo, SONO PRESENTI generalmente in quei territori di periferia DOVE NON ARRIVA IL SERVIZIO EDUCATIVO

distanza

del progetto sanitario che mira a rendere stabile e sostenibile l’opera. Un fratello oblato, Benoît Diouf, ha preso il diploma di infermiere professionale per seguire quest’ambito del servizio sanitario. Tanti altri progetti sono stati realizzati nel 2013 soprattutto nel settore dell’educazione. Tra questi le nuove scuole di Mansaba e Sandjalcol progetto Martina. Anche qui è doveroso ringraziare non solo i benefattori di Brescia, Milano e Cosenza, ma anche i gruppi di volontari che, dopo aver spedito dei container con i materiali, si sono recati insieme a p. Natalino Favero, Oblato della comunità di Passirano (Bs), a installarli sul posto insieme ad operai locali.

Sahara Occidentale Vista la particolare situazione di questa missione, gli Oblati stanno sostenendo a Dakhla il progetto di un centro di terapia per bambini disabili. Nel 2013 è stata inviata la copertura economica per un anno di formazione specialistica per un’infermiera e un contributo per la riparazione dell’ambulanza. Il grazie va, per quest’ultimo aiuto, alla Ong pagnola AMYCO (Amistad y Colaboración Oblata).

NAZIONALE. Nel suo insieme il programma ha sostenuto nel 2013, 1.209 bambini e ragazzi presenti in Senegal, Guinea Bissau, Uruguay, Romania, Thailandia, Guatemala e Repubblica Democratica del Congo. Questa moltitudine di grazie, possa raggiungere uno ad uno i benefattori. Vi sono anche alcune borse di studio a sostegno degli studi universitari e parauniversitari di alcuni giovani in Senegal e in Indonesia. Ringraziamo anche quanti sostengono gli studi di alcuni giovani Oblati in formazione in Senegal, Guinea Bissau, Thailandia e Venezuela. Info www.omi.it/Objects/Pagina.asp?ID=9

Thailandia Sono tre i confratelli italiani che da anni lavorano nella missione oblata in Thailandia. Il loro ministero è dedicato ai più poveri di alcune periferie e alla formazione del clero locale e dei giovani oblati. Grazie agli amici che li sostengono con fedeltà.

Guatemala Gli Oblati in Guatemala sono parte della Provincia oblata del Messico. P. Pippo Mammana, dopo aver terminato il suo mandato come maestro al noviziato interprovinciale nei pressi di Guatemala City, sta dedicandosi ad una missione nella diocesi di Zacapa. Lo abbiamo sostenuto in alcuni progetti a favore di Pueblo Modelo, una favela della periferia.

E ancora… Nel 2013 abbiamo risposto ad alcuni appelli delle missioni oblate con le quali non c’è una collaborazione costante: la missione del Turkmenistan, aiutata per questioni sanitarie e per la formazione di un giovane, e la missione di Ucraina seguita nel progetto della casa per i giovani a Tyvriv. Diamo anche notizia della realizzazione di alcuni progetti per

dare un luogo di culto ad alcune comunità cristiane. Il nostro grazie raggiunge la signora Irma Rozza che dal paradiso continua a sostenerci con la preghiera dopo averlo fatto con un’eredità destinata a questo fine. A Nguéniène, Senegal, è iniziata la costruzione della nuova cappella di Guedj Jouly. In Uruguay ad Autodromo di Playa Pascual, accanto ai lavori della struttura, è previsto il restauro della cappella. Un contributo della Procura si è aggiunto ai tanti raccolti da p. Giancarlo Todesco per il progetto della chiesa di Antula (Bissau). Ci fermiamo per questioni di spazio. Rimane il disagio per non aver potuto rendere conto diffusamente del grande cantiere umano costituito dai missionari, della loro devozione, impegno e sacrificio. Né dell’enorme contributo offerto dai tanti e generosi amici delle missioni senza i quali tutto questo non sarebbe possibile. Annunciamo con gioia che presto, grazie al nuovo piano di comunicazione della Procura, i mezzi di comunicazione più moderni quali il sito web e i social network diventeranno ancora più “complici” del servizio missionario, insieme alla nostra intramontabile rivista Missioni OMI. n

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Un Oblato, esperto conoscitore dei cammini di Santiago de Compostela, spiega le frontiere della nuova evangelizzazione su percorsi frequentati a piedi da migliaia di persone

di David L贸pez OMI dlmomi@hotmail.com foto di Edo Pedron www.pellegrinipersempre.it

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sperienza del genere. Quell’episodio mi ha spinto a domandarmi: che tipo di esperienza fanno queste persone? Come possiamo accompagnarle in un contesto di Nuova Evangelizzazione? Che cosa cercano e trovano nel “Cammino”?

La rinascita. Il “Cammino” in uno stile New Age

A

lcuni anni fa accolsi una giovane donna in parrocchia. Mi raccontò che aveva fatto il pellegrinaggio a piedi fino a Santiago de Compostela e di aver vissuto una forte esperienza spirituale. Non frequentava la chiesa da anni, non aveva una particolare formazione cristiana, né una vita spirituale e nemmeno un impegno verso il prossimo. Capii che non era

proprio una conversione, ma una sorta di apertura al bisogno di una realtà spirituale, che fino a quel momento non aveva avvertito. La invitai a far parte di uno dei nostri gruppi dove si condivideva la fede, si riceveva formazione e si pregava. Purtroppo lasciò il gruppo dopo averlo frequentato per un po’. Sicuramente quella non era la struttura più adeguata per accompagnare un’e-

La peregrinazione di Santiago, quasi sparita dopo il XVIII secolo, rimasta solo come ricordo storico di una delle tante pratiche dell’Europa medioevale e che riappare come un sorprendente fenomeno, attorno al 1980, non è stato ancora del tutto compresa e studiata esaustivamente. Nel 2010, ultimo anno santo xacobeo, quasi 300mila pellegrini sono arrivati a Santiago de Compostela, facendo almeno 100 chilometri a piedi, o 200 in bicicletta adempiendo alle condizioni minime per ricevere la Compostela o diploma accreditante. Qual è la causa di questo fenomeno? I nuovi “pellegrini” a Santiago non sono i devoti dell’apostolo Giacomo di un tempo, tanti non sono cattolici praticanti, molti nemmeno cristiani.

ACCOMPAGNARE I PELLE G NEGLI ANTICHI RITI MISTERICI, NELLE INIZIAZIONI DEI SOLDATI ROMANI, NELLA FORMAZIONE DEI CANDITATI AL SACERDOZIO O ALLA VITA RELIGIOSA, NELLA MEDITAZIONE BUDDISTA, NELL’APPRENDIMENTO DI UN MESTIERE O NEL PERCORSO UNIVERSITARIO, C’È SEMPRE UN FORMATORE

Nel cammino del nuovo pellegrino manca la figura di riferimento, di suggereimento, di consiglio, e manca lo stesso processo di accompagnare i pellegrini nel loro percorso umano, spirituale e cristiano. Come rimediare? Si potrebbero proporre tre modalità secondo il contesto ed il tipo di pellegrini.

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la tomba dell’apostolo

Giacomo

Il primo documento certo che menziona la traslazione delle spoglie dell’apostolo S. Giacomo il Maggiore, detto “Santiago” in spagnolo, nel sepolcro in Galizia è il martirologio di Floro (808-38), scritto pochi anni dopo la data della scoperta, tra l’812 e l’814. La storia narrata nei documenti successivi, che si ripete fino ad oggi, dice che l’apostolo S. Giacomo il Maggiore, dopo l’ascensione di Gesù al cielo iniziò la sua opera di evangelizzazione della Spagna spingendosi fino in Galizia, remota regione di cultura celtica all’estremo ovest della Penisola Iberica. Terminata la sua opera Giacomo tornò in Palestina dove fu decapitato per ordine di Erode Agrippa (At 12,2). I suoi discepoli, con una barca, ne trasportarono il corpo nuovamente in Galizia per seppellirlo in un bosco vicino ad Iria Flavia, il porto romano più importante della zona. Nei secoli le persecuzioni e le proibizioni di visitare il luogo fanno sì che della tomba dell’apostolo si perdano memoria e tracce. Nell’anno 813 l’eremita Pelagio (o Pelayo), preavvertito da visioni, vide

Per di più, in una cultura occidentale dove si è perso il senso del peccato, il “cammino” non è fatto con senso penitenziale. Qual è allora il significato che questi nuovi pellegrini danno al “cammino”? Possiamo inquadrare il nuo-

E GRINI

delle strane luci simili a stelle su un monte. Il vescovo Teodomiro, incuriosito dallo strano fenomeno, scoprì in quel luogo un’antica tomba, probabilmente di epoca romana, che conteneva tre corpi, uno dei tre aveva la testa mozzata ed una scritta: “Qui giace Jacobus, figlio di Zebedeo e Salomé”. Il 1º novembre 1884, papa Leone XIII promulgò la bolla “Deus Omnipotens” confermando la tradizione e la veracità della presenza a Santiago de Compostela delle spoglie dell’apostolo Giacomo e dei suoi discepoli, Sant’Atanasio e S. Teodoro.

vo pellegrinaggio a Santiago, almeno per una buona parte delle persone, nel movimento New Age che enfatizza l’ecologia, l’olismo come visione dell’universo, l’autorealizzazione, la ricerca di spiritualità, il rifiuto delle istituzio-

ni religiose tradizionali, l’emotività, lo psicologico e la ricerca del senso di comunità. Come riporta una delle tante pagine web dedicate al tema, “il Cammino di Santiago è una nuova vita dove si ha la possibilità di diventare se

GRUPPI ORGANIZZATI È più facile offrire l’accompagnamento, un itinerario spirituale ed un contenuto formativo ai gruppi organizzati da istituzioni ecclesiali o di ispirazione cristiana. Anzitutto l’accompagnatore o l’equipe accompagnatrice (sacerdote, religiosi o religiose, laici animatori) deve conoscere i pellegrini prima della partenza e partecipare al pellegrinaggio stesso. Sullo stile degli esercizi spirituali tutti i giorni si potrebbe dedicare del tempo al colloquio personale. È opportuno inserire tempi di formazione sulla storia, aspetti biblici, antropologici e spirituali adatti al gruppo. Momenti di verifica personale e di gruppo sono fondamentali per assimilare l’esperienza ed evitare il rischio della frammentazione. Secondo la composizione del gruppo si possono proporre tempi di preghiera personale durante il percorso o momenti fissi della giornata. L’approccio simbolico

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LE MOTIVAZIONI DEI PELLEGRINI

60%

ragioni religiose

40%

attività fisica, ricerca di avventura, vacanze,turismo e divertimento

è utilissimo per coniugare esperienza umana e cristiana. Siccome il pellegrino postmoderno tende a sopravvalutare la fase del percorso, la fase iniziale con la benedizione dei pellegrini, e quella fase finale a Santiago, con la conclusione dell’esperienza e l’impegno per il futuro, potrebbero essere curate con maggiore attenzione. PERCORSO ORGANIZZATO Sarebbe utile programmare un itinerario spirituale per pellegrini insieme ai luoghi di accoglienza, alle parrocchie, alle comunità religiose e alle associazioni di ispirazione cristiana che si trovano sul percorso. Finora dei preti isolati o qualche comunità religiosa hanno

stessi. È un ritorno al più elementare stato della natura umana in cui è possibile fare attenzione alle piccole cose che trascuriamo nelle nostre vite occupate. Ti alzi e ammiri il giorno, ti senti a contatto con la Madre Terra, respiri e ti guardi, guardi l’ambiente circostante e le persone intorno a te. Allora si può iniziare a camminare e puoi pensare. Nel Cammino di Santiago conosci gli altri, li ascolti veramente e senti un forte legame con loro, non sono più degli estranei” (caminosantiagodecompostela.com/it). È significativo l’alto numero di coloro che mostrano di avere motivazioni religiose in senso lato. Nell’anno 2012, il 60% dei pellegrini ha dichiarato di essere stato spinto a Santiago da motivazioni religiose, spirituali o almeno dalla ricerca interiore. Certamente alcuni pellegrini fanno il “Cammino” con una motivazione più o meno cristiana che assomiglia a quella devozionale del pellegrino del Medioevo. Normalmente sono organizzati in gruppi appartenenti a parrocchie, movimenti, comunità religiose, associazioni o scuole cattoliche. Anche Giovanni Paolo II, in occasione della

fatto dei tentativi, ma sarebbe necessario che le diocesi e gli istituti religiosi si impegnassero in una pastorale unificata per l’animazione di pellegrinaggi mediolunghi di un mese e nella formazione di persone capaci di svolgere questo servizio. Alcuni luoghi di accoglienza parrocchiali o appartenenti a comunità religiose, hanno già iniziato una pastorale che cura l’accoglienza personale, la gratuità, la condivisione e la preghiera. PELLEGRINI CHE EVANGELIZZANO ALTRI PELLEGRINI In altre epoche nella tradizione orientale della chiesa, particolarmente quella russa, ma anche in quella occidentale (come quella monacale anglo-irlandese)

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Giornata mondiale della gioventù del 1989, percorse parte del cammino. Tuttavia, sembra interessante focalizzare la riflessione su quelli che si definiscono pellegrini postmoderni, perché rappresentano una grossa sfida per l’evangelizzazione.

I riti dei pellegrini oggi In parte, i riti odierni, sono un’assimilazione di quelli antichi nelle forme esterne, ma vissuti con un nuovo significato. Nella fase di partenza, i nuovi pellegrini si preparano non tanto spiritualmente, ma fisicamente. Si forniscono dell’attrezzatura adeguata, molto più sviluppata tecnicamente: la bisaccia viene sostituita da un grande zaino, l’antico bastone di legno da uno o due bastoni da montagna in lega leggera, la zucca da un contenitore di alluminio… Rimane, comunque, il segno distintivo del santuario di Santiago, la Vieira, un tipo di conchiglia di grandi dimensioni che si trova sulle coste atlantiche della Galizia. La credenzial o tessera credenziale, consente l’accesso ai nuovi ostelli per i pellegrini ad un costo contenuto e permette di ottenere la Compostela, un documento che alla fine del percorso attesta il pellegrinag-

gio. La benedizione la ricevono principalmente i gruppi di identità cristiana. In alcuni posti come il Canonicato di Roncisvalle, sebbene solo un numero ridotto di pellegrini non cristiani la richiedano, la benedizione rappresenta una rottura con la vita ordinaria e l’inizio dell’“avventura”. Per costoro non è chiaro quale sia il senso religioso o trascendentale di questo rito. La tappa sul percorso, per il pellegrino postmoderno, è la parte più importante. Tutta la giornata, nella sua regolarità, diventa un rito: svegliarsi presto la mattina, camminare per ore, contemplare la bellezza della natura o dell’arte lungo la via, conoscere persone nuove tra i pellegrini o i residenti, la stanchezza alla fine del percorso, la gioia dell’arrivo, la doccia rilassante, il pranzo e il riposo per recuperare le forze, il racconto di esperienze la sera. Tutto lentamente porta la persona a entrare in uno stile di vita semplice, regolare, contemplativo, affettuoso e riconoscente. L’unica preoccupazione quotidiana è raggiungere il traguardo della tappa, dove trovare vitto e alloggio. Nel rifugio per i pellegrini o nella parrocchia del posto si timbra la credenziale per attestare l’arrivo.

Il rito del pellegrinaggio medioevale a Santiago Nel mondo cristiano il pellegrinaggio ha avuto due scopi: uno devozionale e l’altro penitenziale. Nell’età antica potevano essere identificati con due diverse forme di pellegrinaggio che nel medioevo si sovrapposero fino ad uniformarsi. Santiago le esprime entrambe. Il pellegrinaggio può essere considerato un rito di passaggio strutturato in tre fasi. ❶ La fase di separazione o partenza evidenziava che il pellegrino entrava in una categoria religiosa e sociale diversa dall’ordinario. I segni esterni indicavano questo nuovo status sociale. Il pellegrino medioevale in diversi regni dell’Europa era protetto da leggi. I pellegrini sacerdoti recidevano lo stipendio completo (fino a tre anni) e i laici erano esentati dal pagamento delle tasse. Le loro proprietà erano protette da confische o danni. Per evitare gli abusi, le autorità ecclesiastiche e civili conferivano documenti accrediti, passaporti, che diventarono le “credenziali” del pellegrino, una tessera di cuoio, che dava diritto all’ospitalità. Il rito principale della partenza era la benedizione del pellegrino. ❷ La fase del percorso per motivi di sicurezza avveniva secondo gruppi sociali spontanei o organizzati. Con il tempo alcuni luoghi si configurarono come punti di aggregazione e di partenza, mentre le vie praticate dai pellegrini sono diventate i percorsi che conosciamo oggi. »»»

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PELLEGRINI PER SEMPRE

Sono numerose le risorse sul web per conoscere il cammino di Santiago. Segnaliamo in particolare il sito www.pellegrinando.it curato da Luciano Calegari ed il forum Pellegrini per sempre (www. pellegrinipersempre.it) moderato da Edo Pedron, autore delle foto di queste pagine. Il forum era nato, nel gennaio del 2008, da un’esigenza del gruppo di pellegrini di avere un luogo virtuale dove trovarsi per parlare del cammino, per scambiarsi informazioni, per avere e dare consigli su attrezzature, luoghi di accoglienza. «Dai nostri incontri virtuali sono nati incontri veri - spiega Edo - e da sei anni, organizziamo, per la metà di ottobre, un raduno in Sardegna al quale partecipano pellegrini provenienti da ogni parte d’Italia». Sul forum ci sono varie sezioni: una gallery fotografica nella quale si possono pubblicare le foto divise per cammino e per autore, una sezione di “dubbi, domande, richiesta di informazioni su tutti i cammini” che permette richiedere informazioni prima della partenza. Nella sezione “Pellegrini in cammino” si può raccontare quello che capita e le emozioni che si vivono in diretta. «La sezione Pellegrini per Sempre… solidali, che raccoglie le varie iniziative di solidarietà del forum, è un po’ il nostro fiore all’occhiello», dice ancora Pedron in qualità di fondatore e amministratore di “Pellegrini per sempre”. Ad oggi il forum conta più di 2.600 iscritti.

La fase di arrivo-ritorno, è meno coinvolgente per il pellegrino. Il significato del sepolcro dell’apostolo come luogo sacro non è più così forte. Santiago è importante soltanto in quanto fine del percorso. Per gli sportivi è paragonabile all’arrivo al traguardo di una maratona. Più significativa è la soddisfazione personale per la realizzazione di un’impresa quasi eroica. Tuttavia, i segni più esterni, come l’entrata nella

cattedrale, la visita alla cripta e l’abbraccio al santo e la richiesta della Compostela sono fatti dalla maggioranza dei partecipanti. Molti assistono alla messa anche per vedere in azione il botafumeiro (un grande turibolo per incensare) e qualcuno si confessa. Le veglie di preghiera sono molto meno partecipate, sebbene negli ultimi anni la cattedrale, e qualche istituzione cattolica in città, offrano diversi momenti

ci sono stati i pellegrini missionari. Perché non recuperare il ministero o il carisma del pellegrino missionario con lo scopo di evangelizzare altri pellegrini? Le communitas di oggi si caratterizzano per facilità ed intensità dei rapporti personali tra i pellegrini che non appartengono a gruppi organizzati. Possono essere avvicinati camminando accanto a loro in un clima di amicizia e fraternità testimoniando la fede in modo gioioso, pertinente ed efficace. Ogni anno nel periodo estivo, quando cresce il numero di pellegrini, specialmente giovani,

di preghiera per i pellegrini. È sempre più frequente che le persone continuino il loro percorso fino alla costa per vedere l’oceano Atlantico dall’estremo promontorio di Fisterra, oppure terminino il cammino al santuario di Nosa Señora da Barca, a Muxía, sulla costa della Morte. La chiesa sorge di fronte ad un celebre luogo di culto megalitico, centrato sulla Pedra d’Abalar (“la pietra oscillante”) che i pellegrini

dei missionari, in coppia per esempio, potrebbero dedicare del tempo a questo ministero. Non sarebbe una nuova forma di missione popolare? Non potrebbe essere un mezzo per una nuova evangelizzazione? Il Signore Gesù stesso ci da un esempio di evangelizzazione itinerante nel Vangelo dei discepoli di Emmaus. Farsi prossimo al posto di vicino, camminare insieme, interessarsi agli altri e partire dalla vita e dai rapporti tra i pellegrini per annunziare la parola di salvezza che illumina ogni uomo. Non sarebbe un’ottima via di “nuova evangelizzazione”?

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fanno muovere in cerca del suo punto di equilibrio. Siccome Santiago non è un luogo con un simbolismo naturale forte, i pellegrini marcati dallo stile New Age, forse cercano un luogo più significativo. Senza dubbio per la loro psicologia ed affettività, la contemplazione dell’oceano, supplisce alla mancanza di un luogo adeguato come fine del pellegrinaggio.

Come evangelizzare il cammino de Santiago? L’evangelizzazione del cammino di Santiago, pur conservando alcuni dei suoi riti esterni, oggi è un’altra cosa. Entra pienamente nella Nuova Evangelizzazione indirizzata ai battezzati che hanno perduto il senso vivo della fede ed ai non battezzati presenti particolarmente nei paesi di antica cristianità. I riti del pellegrinaggio a Santiago, provenienti da una cultura cristiana, in sé sono compatibili con quelli cristiani. Il problema di fondo è capire che senso hanno per le persone, e fare in modo che i riti diventino efficaci, trasformatori ed evangelizzatori. Per il pellegrino odierno la fase del percorso è fondamentale, è su questa che si deve lavorare senza però dimenticare le altre.

La fase di riaggregazione Un ulteriore aspetto da curare è la fase finale. La cattedrale in mezzo a una grande città moderna non è sicuramente il luogo più adatto alla sensibilità del pellegrino postmoderno. È dispersivo, manca, inoltre, di elementi naturali e simbolici. Le opere d’arte cristiana della cattedrale sono comprese solo da alcuni e rischiano di non toccare la sensibilità postmoderna. All’arrivo dei pellegrini si potrebbe curare di più l’evangelizzazione attrezzando le piazze accanto alla cattedrale con strutture di accoglienza. In altri posti nella città o fuori, come presso il “Monte della gioia”, sarebbe utile creare un ambiente sereno che la cattedrale, spesso piena di turisti, non offre. Le liturgie, le preghiere o le attività di conclusione o valutazione del “cammino” stimolerebbero il pellegrino a continuare nella vita ordinaria. Portando con sé l’esperienza del pellegrinaggio, come percorso trasformante, potrebbe approfondirlo ulteriormente nell’esperienza spirituale. n

««« La principale via di terra verso Santiago era, ed è ancora, la via Francigena, con quattro varianti: la Tolosana, la Podense, la Lemovicense e la Turonense. Storicamente, le vie degli stranieri verso Santiago furono anche marittime, mentre superare le montagne e i fiumi era particolarmente rischioso e difficile. Affrontare queste difficoltà era visto come una prova penitenziale ed uno stimolo per crescere nella fiducia nella provvidenza di Dio. Il senso di “communitas” tra il gruppo dei pellegrini si faceva più intenso condividendo le difficoltà e l’aiuto reciproco era un modo di vivere la carità cristiana. Le vie dei pellegrinaggi si attrezzarono di hospitalia (ostelli) per garantire una modesta sistemazione, con vitto e alloggio. Alcuni santi, come San Domingo de la Calzada, sono conosciuti per la loro carità verso i pellegrini. Il primo luogo dal quale i pellegrini che arrivavano per la via Francigena vedevano le torri della Cattedrale era il “Monte della Gioia”. Poi scendevano a valle e, prima di entrare nella città santa, si lavavano nel ruscello “Lavacolla”. ❸ La fase di arrivo negli anni santi prevedeva anche l’entrata per la porta santa. In genere si attraversava quella principale dove si trova il Portico della Gloria che simboleggia il Cielo. Il botafumeiro (nella foto in alto a sinistra) o grande turibolo utilizzato per le funzioni liturgiche serviva a coprire la puzza dei pellegrini. L’abbraccio dell’immagine del santo segno di gioia, amicizia e fratellanza nel Signore convertiva il pellegrino in amico del sant’apostolo. Con le condizioni abituali e l’elemosina al tempio, si otteneva anche l’indulgenza.

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Notizie in diretta dal mondo oblato

messaggi Filippine e notizie Canonizzazione di tre Oblati dalle missioni

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el sud delle Filippine i Missionari Oblati di Maria Immacolata sono da anni impegnati nel dialogo interreligioso con l’Islam. L’Università cattolica Notre Dame di Cotabato, fondata e diretta dagli Oblati, dove il 60 % degli studenti è musulmano, è un segno di un’autentica convivenza fraterna, a volte turbata dal fanatismo di alcuni estremisti. Da questa terra è giunta notizia dell’inizio della causa di canonizzazione di tre presunti martiri oblati. P. Eliseo Mercado OMI ha comunicato che con il permesso dell’Ordinario di Jolo, mons. Angelito Lampón OMI e del provinciale delle Filippine, p. Lauro de Guía, è stato avviato il processo di canonizzazione di tre martiri oblati del Vicariato apostolico di Jolo: mons. Benjamin de Jesus, ed i padri Benjamin Inocencio e Jesus Reynaldo Roda. C’è già un libro su p. Roda, mentre su mons. Benjamin de Jesus e p. Inocencio sarà presto pubblicata una biografia. Si pensa, inoltre, di avviare una riflessione teologica per promuovere una nuova comprensione del martirio nel contesto di un paese musulmano. Vari lavori saranno necessari nei prossimi mesi: raccogliere prove sulla fama di santità dei tre presunti martiri, così come sulla loro morte violenta. Bisognerà cominciare a promuovere tra i fedeli la devozione nei confronti dei tre oblati e a redigere una preghiera per ottenere favori e grazie mediante la loro intercessione. Sarà anche utile programmare ‘giornate speciali’ per promuovere la causa dei tre oblati e far conoscere la loro vita ed il loro martirio. (fonte: joaquinmartinezomi. blogspot.it)

a cura di Elio Filardo OMI eliofilardo@omimissio.net

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Texas

Cavalieri in bicicletta

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l Giro ciclistico oblato è ormai giunto alla decima edizione. Sabato 29 marzo i partecipanti all’Oblate Trail Bicycle Ride hanno ripercorso i passi degli Oblati che, oltre 100 anni fa, hanno sfidato i sentieri polverosi della Rio Grande Valley per portare la Parola di Cristo agli isolati ranchers messicani. Gli Oblati di lingua francese arrivarono in Texas nel 1849. Parlavano un po’ di inglese e spagnolo e non conoscevano assolutamente nulla del Texas. Con il passare del tempo sono diventati i messaggeri della Buona Novella per tutta le popolazione sparsa nell’arco di 150 miglia. Nel corso degli anni gli Oblati hanno costruito una serie di piccole cappelle dove predicare e ripararsi durante i loro viaggi. Arrivavano a cavallo o con gli asini e, per la gente, quelli come p. Pierre Yves Keralum, OMI erano la “Cavalleria di Cristo”. Ed è così che sono ancora ricordati. Oggi, i Missionari Oblati servono tutto il Texas compresa la Rio Grande Valley in città come Brownsville, Mission e Roma. Quest’anno il Giro ha seguito l’antico sentiero attraverso due percorsi: uno di 25 miglia iniziato alle 8 del mattino a San Juan, e per i più ambiziosi quello di 62,5 miglia partito da Brownsville alle 7. Sono state messe a disposizione bevande ed aree di sosta lungo il percorso. Il Giro si è concluso nella storica La Lomita dove la missione oblata ha ristrutturato la cappella che originariamente veniva stata utilizzata dalla “Cavalleria di Cristo”. Il direttore delle comunicazioni della diocesi di Brownsville, Brenda Nettles Riojas, ha inventato questo Giro nel 2004 con l’intento di mettere in rilievo la storia che gli Oblati e la diocesi di Brownsville hanno in comune. Ogni anno grandi folle di cavalieri e non cavalieri, attratti dalla buona cucina e dalla musica di La Lomita, partecipando a questo momento di svago, contribuiscono anche ad una raccolta di fondi. (fonte: omiusa.org e rgvstewardship.org)

UCRAINA

PREGHIERA PER LA PACE Il 21 febbraio, giorno in cui Janukovycˇ è fuggito, dopo aver firmato un accordo con i leader dell’opposizione, il superiore della Delegazione oblata in Ucraina, p. Pawel Wyszkowski, ha scritto a p. Chicho Rois, consigliere Generale per l’Europa. “Le persone che per più di tre mesi hanno occupato le piazze di Kiev ed altri luoghi, hanno visto in questo accordo la via d’uscita. Per tre giorni, la statua della Madonna di Fatima è stata in piazza mentre la cattedrale romano-cattolica, che si trova a pochi metri da piazza Indipendenza, ospita diversi rifugiati e feriti. Un ospedale a Kiev, diretto da un medico cattolico, riceve ed opera gratuitamente molti pazienti. Quando gli scontri sono diventati violenti gli ordini religiosi hanno aperto le loro porte ai rifugiati. Adesso nei monasteri continua l’adorazione permanente per la pace e nelle parrocchie si celebra l’Eucaristia secondo questa intenzione. Ho invitato tutti i membri della Delegazione a dedicare quotidianamente un’ora di adorazione nelle nostre case e ad un giorno intero di digiuno insieme alla gente. Gli Oblati che hanno offerto la loro vita per il popolo non sono stati né uccisi né feriti, ma aiutano la gente consolando soprattutto coloro che hanno perso una persona cara. La crisi finanziaria e l’inflazione che stanno colpendo il paese ci riguardano direttamente, ma siamo fiduciosi nella Provvidenza”. (fonte: omiworld.org)

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Senegal

P. Lougen a Dakar

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on una calorosa accoglienza il 13 febbraio gli Oblati ed i giovani del pre-noviziato hanno dato il benvenuto a p. Louis Lougen, superiore generale OMI, al suo arrivo a Dakar. Il giorno dopo p. Louis ha fatto visita al Nunzio apostolico con il quale ha dialogato su temi di attualità che riguardano la vita della chiesa e della società senza poter fare a meno di menzionare papa Francesco. Subito dopo, presso lo scolasticato dei Piaristi di Dakar, sede delle facoltà di filosofia e di teologia del Centro intercongregazionale Saint Augustin, si è svolta una celebrazione eucaristica concelebrata da insegnanti e formatori. In questa circostanza, che è coincisa con la celebrazione della festa del Centro, p. Louis ha dato un messaggio chiaro e profondo prendendo spunto dalla riunione del novembre scorso che il papa ha avuto con i superiori maggiori delle congregazioni religiose maschili. Dopo la messa sei studenti provenienti da sei paesi e culture diverse hanno parlato dell’interculturalità. In serata p. Louis ha visitato il prenoviziato a Front de Terre. Durante l’incontro con i giovani ha presentato la sua visione dell’educazione e le esigenze di una formazione integrale che deve sempre tenere conto della dimensione umana e spirituale. I giovani hanno parlato della loro esperienza vocazionale, dell’incontro con gli Oblati e di quello che hanno particolarmente apprezzato del loro stile di vita. Dopo un incontro fraterno con i formatori, sono stati celebrati i vespri intorno alla croce di S. Eugenio che p. Louis aveva con sé. La giornata del 15 febbraio è iniziata con i giovani del Centro Joseph Gérard dove, nel corso della mattinata, p. Lougen ha benedetto la nuova casa. Alle 16 davanti al municipio di Parcel Assainies, il sindaco, insieme ad una vera e propria P. Louis Lougen, superiore generale OMI, benedice la nuova casa a Dakar folla, ha accolto p. Louis. Dopo il discorso di benvenuto ci si è spostati in processione verso la parrocchia con danze, majorettes, ed interventi da parte di p. Danilo Ceccato e p. Tonino Mazzeo. Una breve preghiera è stata rivolta alla Vergine Maria prima della messa celebrata con una grande partecipazione di popolo.

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TESTIMONI NELLA VITA QUOTIDIANA

La fedeltà al carisma a cui si è scelto di radicarsi è una sfida complessa per i giovani del Movimento giovanile Costruire. La missionarietà, l’attenzione per i poveri, la vita di preghiera, la radicalità evangelica costituiscono uno stile di vita che è spesso impegnativo da declinare nella molteplicità del quotidiano. La via del vangelo non è la più comoda, la più discreta o corretta agli occhi del mondo. L’MGC rappresenta dunque per i giovani il sostegno della chiesa, la forza dell’unità, il non sentirsi soli, che infonde coraggio nelle scelte quotidiane. Luca Vallarino

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A GRANADA (SPAGNA) Essere MGC nel quotidiano non è sempre facile. Non lo è all’università, al lavoro, negli impegni. E la difficoltà aumenta se ti trovi a migliaia di chilometri da casa. In questi mesi che sto passando in Spagna mi rendo conto di come tante cose possono essere difficili da affrontare Vivere l’MGC spesso significa ridurre al minimo il tempo libero, sicuramente vuol dire avere sempre attorno a sé persone su cui si può contare. Essere MGC è però anche vivere il Vangelo in ogni situazione. E se non posso partecipare agli impegni classici del Movimento, ho capito qui che posso vivere il carisma dando un esempio concreto di cosa significa l’MGC. Essere MGC a Granada per me significa dire a tavola che vado a messa così che la coinquilina metta da parte il timore e ci venga anche lei. Significa trovare 5 euro per terra e offrire il pranzo al ragazzo che chiede l’elemosina davanti al supermercato. Significa saper ascoltare i nuovi amici e colleghi che non hanno avuto la fortuna di crescere con una comunità accanto. Essere MGC qui e non vergognarsi di esserlo

vuol dire anche comprenderne i vantaggi: grazie agli anni passati nel movimento ti senti più sicuro nell’affrontare le situazioni, più facilitato nell’esporre i problemi e nel proporre soluzioni, finché arrivi a parlare delle tue esperienze in ufficio e ti propongono di incaricarti di un progetto europeo sul volontariato… Andrea (Firenze)

che mi fa più paura, che non me lo fa amare perché è sfigurato: scegliere Gesù in croce. In alcuni momenti ho fatto l’esperienza di essere su quella croce, sola, altre volte era la mia amica, un mio zio, la persona a me più cara a salirci. Croci grandi da farmi piangere, croci piccole da metterti solo un po’ di ansia: un esame, un incontro, la ricerca del lavoro. Antonella

A COSENZA Oggi prendo coscienza del dono che mi è stato dato da Dio facendomi scoprire, anche se da soli tre anni, questo carisma che ormai mi appartiene. E il quotidiano è il mio campo di battaglia per costruire. Sono tre le parole che provo a mettere in pratica: radicalità, comunione e scegliere la croce. Sin da quando ho vissuto l’esperienza della Scuola di formazione nel 2012 ho capito che posso mettere Gesù ovunque ed è solo Lui il senso di ogni cosa. Da questa forte relazione non può che nascere la comunione con i fratelli. La comunione anche con i “poveri”. Ricordo quando nella preparazione della tesi una mia collega era diffidente e infastidita della mia disponibilità ed accoglienza, solo che proprio questo “stile” le ha permesso di aprirsi donandomi i suoi pesi e creando una vera amicizia. Spesso, anche la famiglia diventa un luogo difficile per donare Dio, ma, cerco di vedere ciascuno con volto nuovo e di amare a fondo perduto. Ad esempio, lavare i piatti rimane sempre una fatica, ma se fatto con amore acquista un senso diverso! La santità la raggiungo, però, se scelgo quel volto di Gesù

A S. MARIA A VICO (CE) Quando mi sono ritrovata da sola con un gruppo di colleghi ad organizzare una messa di ringraziamento dopo la laurea, ho realizzato in maniera rinnovata che il mio incarnare il carisma di S. Eugenio de Mazenod aveva la sua pienezza più vera nella misura in cui lasciavo il nido degli incontri, degli schemi, dei programmi e mi aprivo senza riserve alla missione. Proprio laddove nessuno condivideva con me il carisma, il mio sforzo a intessere relazioni autentiche, aprirsi a tutti, lavorare con passione, osare con chi era scettico mi ha ridonato la mia identità, il mio “colore” in

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modo nuovo . Il carisma oblato ha allargato il mio cuore. Il carisma oblato è non sentirsi arrivati, non stare mai in pace! È sentire dentro quella sana irrequietezza che ti slancia verso l’altro, verso l’ultimo, quella domanda che si insinua e non ti fa stare tranquillo: “Cosa fai per chi non viene cercato da nessuno?” E magari cerchi di rispondere collaborando con un’associazione di cittadinanza attiva giovanile o nel lavoro accogliere con amore anche quel “nessuno” a cui sei chiamato a dare informazioni al telefono. Tonia

A VERCELLI Per me vivere il carisma MGC ogni giorno è sapere che non cammino da sola, ma c’è qualcuno che vive con me un’esperienza che ha un significato più grande; sembra poco, forse banale, ma per me significa tanto. Lo vivo quotidianamente con l’aiuto della preghiera e ritagliando parte del mio tempo per gesti concreti verso gli altri. Elena

A ROMA Durante gli anni di università, mi è capitato spesso di dovermi assentare per lavori legati alle mie attività cristiane. Se le primissime volte, parlando di Movimento Costruire pensavano a qualcosa legato agli edifici (che poteva essere attinente al mio studiare architettura), successivamente il fatto che questo riguardasse un contesto cristiano aveva spento le tante domande. Eppure sentivo che la mia testimonianza doveva essere autentica. Il continuo dialogo tra il mio essere cattolica e la società, mi portava spesso a raccontare la “perla” che da sola rendeva testimonianza. Per me è stata forte l’esperienza di viaggio missionario in Guinea Bissau. Un giorno con tutto il gruppo siamo andati a far visita al lebbrosario di Cumura, guidati ed accolti dalle suore del posto, che ci hanno trattato come ospiti d’onore. Ad essere onesta, era un posto dove non volevo essere: i tre padiglioni erano dignitosamente abitati da malati, soprattutto di aids. In quel luogo di dolore mi sono chiesta cosa avrei potuto rispondere al mio amico universitario, se mi avesse chiesto perché “il mio Dio” permetteva tutto quello. La risposta che ho trovato era scontata ma luminosa:

Lui era lì, nelle suore che ci hanno accolto, nelle medicine che, misteriosamente, arrivano sempre quando le scorte sembrano finire e la morte sembra vincere. E l’amico universitario è diventato un po’ il talismano per ricordarmi che, il mio posto, era lì nelle aule a studiare, vivendo la mia fede essendo testimonianza di gioia e speranza. Francesca A MESSINA Per me vivere l’MGC nel quotidiano significa ricordarsi in ogni circostanza che non si è mai soli, che c’è sempre Dio al nostro fianco e che possiamo incontrarci con lui tanto nella preghiera quanto nella condivisione con un nostro fratello. E proprio l’amore per i fratelli, a partire da chi come noi fa parte del movimento, ci indica la rotta da seguire. Impegnarsi, infatti, a cogliere le esigenze degli altri, le loro difficoltà, e ad apprezzarne i talenti è una proficua palestra di vita. Qui a Messina è stata fondata dall’MGC e dagli adulti della famiglia oblata un’associazione, “Wind of change,” che ha come obiettivo permettere a chiunque di esprimere i propri talenti, in un processo di conoscenza e “oblazione”. Vivere l’MGC quotidianamente, quindi, è anche non volersi ridimensionare, quando la realtà che noi viviamo sembra giocoforza voler sgretolare i nostri sogni, far impallidire le nostre speranze, annichilire i nostri talenti. Memori dello sconfinato amore che Dio nutre per ognuno di noi, cerchiamo di mettere a disposizione degli altri i talenti. Vivere l’MGC nel quotidiano vuol dire semplicemente “amare”. Domenico

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una foto per pensare

Apparteniamo ad una società nella quale tutto deve essere bello, incorrotto, perfetto. Dove tu stesso sei un “tutto compiuto”, basti a te stesso. Ma questa non è la verità. È la relazione - soprattutto quando è tra diversi - quello che ci salva davvero. Abbiamo bisogno degli altri sempre; da appena nati fino alla fine della vita. “Ho bisogno di te”, questa frase scomparsa dal nostro linguaggio, dice una verità importante su di noi; ci potrebbe far capire che abbiamo bisogno di amici, ma anche di nemici, di chi ci approva ma anche di chi ci critica, di chi ci vuole e di chi ci rifiuta, di chi ci considera e di chi ci ignora… Coraggio, scopriamo i nostri nuovi benefattori.

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foto di Alfonso Bartolotta OMI, albartem@yahoo.fr testo di Anna Cerro, annacerro@gmail.com

a fedeltà

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fatti

Formare alla missione

in Bolivia

P. Rodomiro Vargas OMI, parla dello scolasticato oblato di Cochabamba. Con uno sguardo alla situazione attuale della chiesa e alla società del paese andino. di Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com

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onosciuto come il paese dei lama, la Bolivia, vive un presente spesso problematico a causa dei disastri provocati da eventi atmosferici, ma anche a motivo della violenza che sembra dilagare a vari livelli della società. A Cochabamba, nel cuore del paese, c’è un piccolo seminario oblato, probabilmente in via di chiusura. P. Rodomiro Vargas OMI, l’attuale responsabile, racconta con realismo della formazione dei giovani latinoamericani alla vita missionaria e della situazione del paese. La Bolivia si prepara alle elezioni presidenziali e politiche, in calendario il prossimo 5 ottobre.

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bolivia

La maggior parte della popolazione è CATTOLICA (75%) ma sono in forte crescita culti genericamente definiti protestanti e movimenti cristiani detti sette, molto popolari nei quartieri periferici delle città. Si stanno riproponendo con forza anche gruppi che fanno riferimento a rituali religiosi ancestrali preispanici. La Chiesa cattolica ha in Bolivia QUATTRO ARCIDIOCESI, SETTE DIOCESI, DUE PRELATURE TERRITORIALI e CINQUE VICARIATI APOSTOLICI.

in pillole

NOME UFFICIALE Estado Plurinacional de Bolivia LINGUE UFFICIALI Spagnolo, quechua/kichwa/ runasimi ALTRE LINGUE Tutte le lingue native CAPITALE Sucre e La Paz FORMA DI GOVERNO Repubblica Presidenziale INDIPENDENZA Dalla Spagna il 6 agosto 1825 INGRESSO NELL’ONU 14 novembre 1945 SUPERFICIE TOTALE 1.098.581 kmq fonte Wikipedia

La Paz Rodomiro, ti trovi da alcuni anni in questa casa di formazione. Ci dici brevemente la storia di questo seminario oblato? Lo scolasticato nacque per iniziativa della provincia oblata della Bolivia e della delegazione del Perù. Si arrivò ad un accordo che prevedeva l’affitto di una casa nella zona nord della città di Cochabamba. Lì iniziò la prima comunità che aveva come superiore p. Beltràn della provincia della Bolivia e p. Pablo della delegazione del Perù. Non ricordo esattamente quanti scolastici fossero all’inizio, ma ricordo che erano sia boliviani che peruviani. Nel 1995 fu acquistata la casa attuale dove abitiamo. Nel corso degli anni ci sono stati altri formatori come p. Louis Jolicoeur e p. Victor Santoyo. Dal 2011 ci sono anch’io come formatore. Purtroppo non abbiamo potuto avere altri formatori, la convenzione con il Perù è terminata e stiamo mantenendo lo scolasticato come Bolivia. Abbiamo l’appoggio di qualche altra provincia. L’idea era di chiedere alla Colombia di inviare qualche formatore, ma dopo aver studiato varie possibilità, pensiamo che lo scolasticato debba andare avanti fino a che i giovani presenti in questo momento non abbiano termina-

Sucre

to il loro corso di studi. In quest’ultimo tempo ci sono stati tre giovani da Colombia, Haiti e Bolivia. Per quanto riguarda gli studi teologici, quale facoltà frequentano i giovani Oblati? L’università cattolica in Bolivia ha al suo interno la facoltà di teologia che dal 2012 è riconosciuta anche dalla Santa Sede. Può dunque rilasciare

Le emozioni e le inquietudini personali dei giovani sono, profondamente segnate dalla tecnologia

licenza e dottorato. I giovani Oblati studiano lì, filosofia e teologia. Gli scolastici presenti stanno tutti studiando teologia. La decisione di chiusura è già ufficiale? Come provincia abbiamo deciso che non è responsabile mantenere uno scolasticato con un solo formatore. Sfortunatamente non abbiamo attualmente Oblati disponibili per questo ministero. E nostra intenzione rafforzare le tappe iniziali come il prenoviziato. Stiamo dunque orientando sforzi e personale verso la formazione iniziale. Personalmente quale esperienza hai come formatore? Hai svolto questo servizio anche prima di arrivare a questo scolasticato? Lavoravo in una missione tra Cochabamba e Santa Cruz dove sono rimasto cinque anni. Mi inviarono lì già da studente e il mio compito era fare missioni con le comunità di contadini. Gli Oblati avevano stabilito in quella

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zona un centro per la formazione di contadini, giovani e adolescenti. Il mio compito era fare il professore e animare le comunità delle parrocchie di Santa Cruz e Cochabamba. Mi è piaciuto molto, ricordo che entrai pian piano… Nel 2004 la Bolivia doveva inviare un formatore in Paraguay. C’era un altro oblato che doveva andare, ma per varie circostanze hanno chiesto a me. Ed è così che sono entrato nella formazione. Non ci avevo assolutamente pensato prima. Sono stato tre anni al noviziato in Paraguay. Al termine di questo periodo tornai in Bolivia con l’idea di andare in missione, ma mi chiesero di fare da accompagnatore nel prenoviziato e dunque sono stato al prenoviziato altri tre anni. A quel tempo c’era un solo prenovizio. Nel 2010 p. Victor terminò i suoi tre anni in Bolivia e mi domandarono la disponibilità. E’ così che sono arrivato allo scolasticato senza una formazione particolarmente specifica per questo ministero. Guardando ai giovani latinoamericani, quali sono, secondo te, i punti fondamentali nella formazione dei giovani Oblati? Come prima cosa direi che i giovani sono figli della propria epoca. Le emozioni e le inquietudini personali sono, ad esempio, profondamente segnate dalla tecnologia. Avere la capacità di fare una lettura a partire dalla vita e dalla realtà stessa risulta, a volte, mol-

to difficile per loro, perché centrano la loro esperienza sugli studi accademici e su Internet. La sfida è aiutarli e guardare e a leggere la realtà partendo dalla vita stessa. Questo, per me, è un primo punto importante per imparare ad avere un incontro con Dio, giacché l’incontro con Dio parte dall’incontro con il fratello. Ci preoccupiamo che abbiamo questa esperienza nella pastorale, specialmente in quartieri emarginati... Interessarli molto alla lettura e alla ricerca, non solo quello che può offrire loro l’università che è materiale intellettuale e accademico, ma che abbiano un’esperienza a partire dai loro interessi personali per capire ciò di cui hanno maggiormente bisogno per la loro missione. E’ importante che, al di là delle regole, assumano le proprie responsabilità come scolastici, come persone che vivono insieme in una comunità e si prendono a cuore la propria formazione. Mi aiuta conoscerli veramente così come sono: non tanto persone artificiali che rispondono alle circostanze e a delle regole. Per me è importante un’esperienza di incontro con le regole, di coscienza di ciò che è utile per realizzare la missione. E anche che emerga la nostra opzione, in quanto Oblati, di servizio e di incontro con la gente. Come è composta la provincia della Bolivia attualmente, quante comunità e ministeri ci sono?

A sinistra, i giardini dell’Università cattolica di Cochabamba; in alto, giovani Oblati incontrano i giovani boliviani

Siamo circa 24 Oblati. I missionari venuti dall’Europa o dal Nord sono ora anziani. Molti sono rientrati nel proprio paese e alcuni sono morti. I missionari più giovani sono boliviani. Abbiamo ereditato la missione e stiamo vivendo una fase di ristrutturazione: riconsegnare alcune missioni, rafforzarne altre... Al momento abbiamo la missione di Oruro dove gli Oblati hanno svolto un enorme lavoro con i campesinos. Poi c’è la zona delle miniere come Llallagua, Siglo XX, Catavi. A Cochabamba abbiamo una parrocchia in una zona marginale, a Santa Cruz abbiamo la parrocchia San Martin che si trova in piena città. Anche a La Paz abbiamo una residenza. A metà dello scorso anno abbiamo fatto un’assemblea provinciale dedicata proprio a progettare e riorganizzare ciò che abbiamo, ciò che lasceremo, ciò che invece vogliamo rafforzare. Come ti sembra la salute della chiesa boliviana in questi anni: quali le sfide principali? In generale la chiesa in Bolivia ha as-

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L’accusa verso la chiesa è di essere colonizzatrice. Il conflitto parte da lì. La chiesa ebbe un ruolo molto importante, ad esempio, nel periodo della dittatura quando aiutò a mantenere alta la speranza e a favorire la coscienza della partecipazione da parte della gente. Il sistema politico non riconosce oggi il ruolo della chiesa come tale. Identifica alcuni valori della chiesa, per esempio alcuni martiri che hanno offerto la propria vita vengono riconosciuti, però c’è una critica alla struttura della chiesa gerarchica che viene accusata di imporre la fede. sunto un ruolo importante tra la gente, perché tradizionalmente ha cercato di stare vicino alle persone assumendo la responsabilità che corrisponde al suo stato in materia di educazione, di sanità, ecc. Per ciò che concerne la questione religiosa il popolo boliviano è molto religioso, ha una religione propria, nativa, che è una sorta di sincretismo. La chiesa ha saputo camminare con il popolo e far in modo che la gente mantenga le proprie credenze tradizionali, ma che capisca anche la fede cattolica. Al momento ci troviamo davanti ad una grande sfida: il rapporto con l’attuale governo del paese. E’ evidente che la chiesa non è più ascoltata come in passato. Lo stato si è dichiarato laico. Stiamo cercando, come chiesa, di non entrare troppo in temi o discussioni sterili, ma di aiutare nell’orientamento. A volte ci sono equivoci. La chiesa può accompagnare un cammino di cambiamento socio-politico non impegnandosi direttamente, ma sostenendo il positivo. Attualmente ci sono molte critiche alla chiesa da parte dello stato. Come religiosi cerchiamo di non lasciarci condizionare troppo da questi sentimenti e di continuare a svolgere il nostro lavoro. Quali sono i principali punti di conflitto tra la chiesa e lo stato?

Per gli Oblati e per i giovani Oblati c’è la forte testimonianza di p. Mauricio Lefebvre, ucciso il 21 agosto 1971… I giovani di oggi lo conoscono bene. Si conosce Mauricio grazie al costante ricordo che si fa di lui. Molto conosciuto è anche Luis Espinal, gesuita, assassinato nell’agosto del 1980 dopo essere stato torturato e sfigurato. Il nome di Mauricio è stato recuperato, diciamo così, più recentemente. I due nomi sono entrambi riferimenti importanti per noi e per tutta la chiesa in Bolivia. Cerchiamo di mantenere viva la memoria di Mauricio e all’università lo ricordano molto. Fu un uomo che cambiò la sua mentalità e la sua visione della vita. Assunse parecchi ideali tipici di quel tempo, degli anni della decade tra il 1960 e il 1970, ad esempio la lotta per l’uguaglianza sociale. Praticamente si mise contro lo stato guadagnandosi pian piano l’antipatia del potere politico. Crediamo che quando fu ucciso gli fu tesa un’imboscata. Il suo funerale fu un’apoteosi con tantissima gente che sfidò apertamente la dittatura. Ci sono molti scritti su di lui. La commissione diocesana ‘Giustizia e pace’ di Cochabamba ogni anno ricorda i martiri boliviani e p. Mauricio. n

I paesi andini insieme per la Pastorale giovanile Dal 22 al 26 gennaio scorso si è tenuto a Cochabamba, il XIII Incontro regionale andino di Pastorale Giovanile. L’obiettivo era riflettere sul lavoro fatto e favorire la costruzione di una memoria regionale, nazionale e diocesana al riguardo. L’evento è stato coordinato dalla Pastorale giovanile della Colombia, guidata dal direttore regionale p. Roberto Arenas. Hanno partecipato delegati della pastorale giovanile di Bolivia, Perù, Ecuador e Colombia. L’incontro si è tenuto presso la Casa di Ritiro pastorale giovanile, situata nel comune di Vinto, a Cochabamba. P. Arenas, direttore della Commissione per i laici dell’episcopato colombiano, ha sottolineato l’importanza di questo incontro, perché si è potuta realizzare una valutazione delle persone, dei movimenti e degli orientamenti che hanno segnato e possono plasmare il futuro di questa pastorale. Invitato speciale è stato vescovo di Ciudad Guyana, mons. Mariano José Parra Sandoval, responsabile della Sezione giovani del Consiglio episcopale latino-americano (CELAM). Fides

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fatti

Un uomo centrato sul Profondo spirito di paternità nel lungo ministero come formatore e confessore. Un cuore docile e in ascolto dello Spirito. Profilo di p. Angelo Dal Bello OMI

Alberto Gnemmi OMI alberto.gnemmi@omi.it

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“Capisco perché dei cristiani dei primi tempi ceravano il deserto: erano con Dio in loro ed esperimentavano la Presenza non con l’intelligenza, ma con l’Amore. Capisco poi i monasteri… dove il Verbo si rivelava e si incarnava. Il fratello-solitario diventava “fratelli” per amore, fratelli perciò uniti. Il

capitolo 17 di S. Giovanni - codice divino divenne codice umano e il codice umano divenne divino per via di: Dio-Amore. L’amore si dona integralmente a un amato che a sua volta diventa amante. Ed ecco: amore scambievole = unità a mo’ della Trinità”. p. Angelo Dal Bello

soprannaturale E

ra nato a Castelfranco Veneto (Tv) il 25 settembre 1926, ultimo di nove figli di Eugenio ed Erminia Rosato. P. Angelo Dal Bello entra nel seminario diocesano di Treviso nel 1938, dove frequenta la scuola media e il ginnasio-liceo. Nel 1946, entra tra gli Oblati, iniziando l’anno di noviziato a Ripalimosani (Cb), dove farà la prima professione il 7 ottobre 1947. Le note del maestro dei novizi, Aurelio de Maria OMI, stilate per la prima professione, così lo ritraggono: “Eccellente spirito di fede. Molta pietà. Molto zelo. Umile. Distaccato. Mortificato. Molto regolare: esatto in tutte le sue cose. Docile, sottomesso, aperto coi superiori. Socievole, caritatevole, amante della vita comune. Ama molto la congregazione. Grande entusiasmo per le nostre missioni. Vita spirituale molto intensa: programma spirituale che si è tracciato da se stesso, entrando in congregazione: vittima con Cristo per la salvezza delle anime

Con e in Maria Immacolata ho vissuto Gesù Abbandonato, ascoltando, mai giudicando e nella mia povertà sempre amando, patendo, pregando. Quando si accavallavano i problemi nelle mie mani ho preso e prendo nelle mie povere mani il problema chiave: l’Amore, sciogliendo tutto in esso p. Angelo Dal Bello

per mano di Maria: vivere nell’umiltà, nell’amore al sacrificio. Uno dei migliori novizi per fervore e serietà. Ottimo elemento: forse il più completo”. È poi a S. Giorgio Canavese (To) per gli studi di teologia. Qui è ordinato sacerdote il 24 dicembre 1950 da mons. Maturino Blanchet, vescovo oblato di Aosta. Dal 1951, per dieci anni, è censore presso la Scuola apostolica di Oné di Fonte (Tv). Dal 1962 al 1968 è prima a S. Giorgio Canavese per un anno, impegnato nella pastorale vocazionale; poi a Roma-Prefetti e in via Cherubini per due anni a servizio delle Pontificie Opere Missionarie; in seguito, per altri due anni, è a Firenze come formatore e insegnante presso il giuniorato. Nel 1968, anno che p. Angelo considerava speciale per la scoperta e la piena adesione alla spiritualità del Movimento dei Focolari, riceve l’obbedienza per la comunità di Marino (Roma), dove ha inizio l’esperienza

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fatti

IN UN’ALTRA DIMENSIONE Voglio esprimere il ringraziamento per avere conosciuto e apprezzato quella colonna, grande, ma pieno di umiltà e tenerezza che è stato p. Angelo Dal Bello. Mi seguiva, e spero continui a farlo. Con lui avevo anche la possibilità di parlare in dialetto, e questo me lo rendeva ancora più normale. Quanti insegnamenti, quanta pazienza, quanti buoni consigli, e sempre l’incoraggiamento ad andare avanti Tra i tanti momenti vissuti con lui, mi piace ricordarne due. Il primo, quando andai a trovarlo a Marino giovanissimo, pieno di paure e di blocchi e lui con quel sorriso e quell’accoglienza che ti disarmava... Li iniziò una lunga storia di incontri mi seguiva con discrezione come un papà che vigila su un suo figlio. Il secondo momento è stato quando qualche anno fa si sono organizzati gli esercizi spirituali alla sede Claritas di Loppiano (Incisa Valdarno, Fi) dove è stato tutto il tempo ad ascoltare i giovani con le loro piccole e grandi conquiste. Insomma il suo volto esprimeva più di tante parole, e quando parlava era come stare in un’estasi. Ti portava in un’altra dimensione, dove evidentemente già si trovava. Non basterebbe il resto della vita per dirgli “grazie, per il tuo esserci stato e esserci”, anche da lassù a guidare anche i rogazionisti, a cui era molto legato per aver aiutato generazioni di noi e di Figlie del Divino Zelo. P. Paolo Bertapelle, rogazionista

del Centro giovanile e dove, nel 1969 da Ripalimosani, viene trasferito il noviziato della Provincia. Nel 1972, per un anno, è responsabile della casa di via Tuscolana, 73, appena acquistata dagli Oblati dalla congregazione delle Francescane dei Poveri, condividendo la vita comunitaria con i giovani Oblati che devono seguire l’anno di pastorale presso le Università Pontificie romane. Nel 1973 la casa diventa sede dello scolasticato e qui p. Angelo rimarrà come formatore fino al 1988. Successivamente, è a Marino come superiore fino al 1994 e nuovamente formatore allo Scolasticato internazionale in Roma per tre anni (1994-1997). Nel 1998, p. Marcello Zago, ancora

superiore generale, appena nominato arcivescovo, lo chiama con lui a condividere la vita comunitaria presso il palazzo di Propaganda Fide in piazza di Spagna. Nel 2001, dopo la morte di mons. Zago, riceve l’obbedienza per Roma-Prefetti, dove, nel 2002, è nominato superiore. Nel 2005 riceve l’obbedienza per la Casa provinciale, continuando a svolgere un intenso e proficuo ministero come confessore e direttore spirituale per tanti giovani religiosi di diverse congregazioni, soprattutto di nuova fondazione. Alla fine del 2012 gli viene diagnosticato un tumore al polmone. Il male non lo piega all’inattività, tanto che continua normalmente il suo indo-

mabile ministero come confessore e direttore spirituale. Durante l’estate, però, deve allentare il passo: sul fisico cominciano a percepirsi i sintomi del male che inesorabilmente avanza. Il 15 ottobre, come ogni mattina, è in cappella a pregare e concelebra l’eucarestia con i confratelli: è affaticato, il passo lento, la voce esile; durante la consacrazione tiene le mani appoggiate sull’altare. Accompagnato in camera, non la lascerà più se non con l’aiuto dei confratelli. Nel suo diario, così annota sul finire di settembre: “Sto vivendo il dolore fisico. L’amore ha assunto il dolore che non è mio, ma dello Sposo. In questi giorni vedo la Vita, vera, incarnata, perché c’è lo Sposo e la Madre. Magnificat! Scrivo queste pagine con fatica …fisicamente. Così è la Sua volontà. Mi rimane Dio, mi rimane l’Eucarestia. Rimane l’attesa del Paradiso rivelato. È il mio tutto e questo mi basta. Magnificat!”. Abbandonato alla volontà di Dio, ha vissuto con serenità e nella preghiera gli ultimi giorni della malattia. Si è spento nella sua stanza, alla Casa provinciale, nella notte di mercoledì 20 novembre 2013. Così ho voluto ricordare p. Angelo, una settimana dopo la sua morte, nella lettera scritta per l’avvento ai confratelli della Provincia: “ritengo che sia importante avere presente nella nostra preghiera la figura di p. Angelo Dal Bello (…). La sua vita di fede, centrata nel soprannaturale, gli ha permesso di avere un’anima evangelica, aperta alla fiducia e alla speranza sul piano dell’essere e dell’agire. Un uomo puro, abbandonato alla volontà di Dio, che lo ha reso compagno di strada di tanti giovani e di uomini e donne consacrati come confidente, direttore spirituale, confessore. Credo che possiamo affidare a lui, sicuri della sua intercessione, la nostra preghiera per il dono delle vocazioni oblate e missionarie”. n

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lettere dai missionari

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Benedizione della nuova casa del Foyer Joseph Gérard a Dakar Venticinque anni sono un’età considerabile nella vita di un uomo: si cominciano a fare delle scelte definitive. Spesso per motivi di lavoro o sentimentali, si lascia la famiglia per andare a vivere da soli. Il Foyer Joseph Gérard (l’equivalente del Centro giovanile per la delegazione missionaria di Senegal-Guinea Bissau) ha appena vissuto questo passaggio: ha festeggiato 25 anni di esistenza e ha trovato una casa propria. Nato in seno alla comunità della parrocchia Marie Immaculée di Parcelles Assainies, si è trasferito a Castor insieme al prenoviziato. Pur mantenendo forti i legami con il prenoviziato, il 7 ottobre il Foyer ha potuto inaugurare la sua casa in un’altra zona di Parcelles Assainies, all’interno del

complesso scolastico del CSPA. Tutto grazie alla generosità dei suoi genitori e tutori: la delegazione degli Oblati, Honoré Gbaguidi, direttore della scuola che ci ospita, e i tanti benefattori. Sabato 15 febbraio 2014, approfittando della visita del superiore generale, p. Louis Lougen, abbiamo benedetto la nuova struttura. Un incontro fraterno e profondo con i giovani ci ha ricordato l’importanza di questa tappa della formazione: conoscere se stessi per poter essere nella vita delle persone trasparenti e coerenti. Dopo aver accolto i prenovizi di Castor, gli Oblati delle comunità di Dakar e gli amici della comunità, abbiamo benedetto la casa con una celebrazione semplice e sentita. Durante la benedizione, p. Louis aggiungeva le sue benedizioni: nella

dispensa “che non manchi mai da mangiare”; per le scale “che nessuno cada”; nelle stanze dei formatori “saggezza, pazienza e buon umore!”. Abbiamo concluso con un pranzo di festa. Il primo gruppo del nuovo Foyer è composto da 14 giovani e due Oblati : Elisio, Ernest, Georges, Jean Paul, Olivier e Victorino al primo anno, Antoine, Bruno, Etienne, Jean Baptiste, Jean Marie, Jean Ruphin, Pierre e William al secondo anno, p. Claudio e p. Dominique. Provenienze e lingue d’origine ben variegate: Dakar, Petite côte, Casamance e Guinea Bissau. Il nostro primo impegno è la frequenza degli ultimi due anni della scuola superiore al liceo del Cours secondaires des Parcelles Assainies. Viviamo con il desiderio di approfondire la chiamata

alla consacrazione tra gli Oblati e con lo spirito del Foyer. Foyer significa focolare, il luogo del fuoco. Il fuoco che riscalda e riunisce la famiglia: è ciò che viviamo mangiando insieme, nei momenti di condivisione, di sport, nella cura della casa. Il fuoco che illumina e incendia, è ciò che cerchiamo di vivere nelle attività pastorali alla parrocchia o con la testimonianza della vita a scuola. Il fuoco che brucia e purifica, è ciò che viviamo con la preghiera quotidiana con l’Eucarestia, con i momenti di formazione e con l’accompagnamento spirituale. Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore… ma attenzione a non incendiare la nuova casa! p. Claudio Carleo OMI Dakar (Senegal)

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La gioia di inviare nuovi missionari Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo è certamente e prima di tutto poterlo annunciare, comunicare cioè il suo messaggio e l’amore di Gesù Signore che ne è il cuore. Niente esclude però che essa possa consistere anche nella gioia di preparare nuovi missionari a questo fine. È la gioia vissuta il 18 gennaio 2014, nel nostro Istituto Africano di Scienze della Missione (IASMI) che noi Missionari Oblati di Maria Immacolata abbiamo il privilegio di dirigere a Kintambo, uno dei quartieri storici di Kinshasa, capitale del Congo. È una gioia che

si ripete ogni anno, da ormai vent’anni: da quando lo IASMI, nel 1994, ha cominciato ad organizzare un ciclo di formazione per i missionari che venivano da orizzonti diversi per inserirsi nel Congo. Da allora, i nuovi missionari che frequentavano questo ciclo (ad oggi circa un centinaio), presero l’abitudine di concluderlo con un solenne invio in missione. Di che si tratta? Si tratta di una celebrazione d’invio missionario che si svolge durante la messa. L’invio che si celebra qui da noi prende la forma di un rito “inculturato” perché attinge ai simboli della cultura africana. Pur ispirandosi al Vangelo, il rito fa ricorso a documenti della tradizione

sapienziale africana al fine di rendere liturgicamente attivi gli antenati illustri e giusti, vissuti ai quattro angoli del continente. Senza dubbio, il punto forte di tutta la celebrazione è l’unzione (o il segno) di caolino bianco, un concentrato di calce con il quale il celebrante tratteggia il segno della croce sulla fronte, le mani e i piedi degli “inviati” in missione. Il caolino, utilizzato pure nei riti d’iniziazione e in altri momenti importanti della vita in Congo e altrove in Africa, ridiviene simbolo di benedizione e comunione, e altresì di purezza e fedeltà nel compimento della missione ricevuta. P. Mimmo Arena OMI Kinshasa (Congo)

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qui Thailandia qui Uruguay

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Qui Thailandia

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Dio si prende

piangere e mi ha ringraziato per l’aiuto che gli avevamo dato, mi ha mostrato la croce che aveva al petto e mi ha detto che quello era il suo Dio, un Dio che si prendeva cura di lui e, anche se la situazione era precaria, lui credeva che Gesù lo accompagnava. «Vedi - mi ha detto con le lacrime agli occhi - io sono dovuto fuggire dal mio paese perché perseguitato come cristiano. Ho lasciato tutto, non ho più nulla, ma sono arrivato qui e ho trovato una comunità cristiana che cerca di aiutarmi. Ecco perché noi non abbiamo più paura». Non ho potuto non commuovermi vedendo una fede così forte.

persone a essere ragionevoli, cristiane e sante. Qui ci rendiamo conto di quanto sia importante la realtà umana! Cerchiamo di investire sforzi, tempo, provvidenza, difficoltà per accompagnare con il cammino dell’evangelizzazione. Uscire dal centro per

andare nelle periferie è una esortazione di questi ultimi tempi. Ma se il nostro centro è nella periferia credo che siamo in piena vocazione! La chiesa c’è, gli Oblati ci sono e il Regno di Dio è qui in mezzo a noi. E poi a pensarci bene Gesù non è nato in una periferia?

cura di noi di Domenico Rodighiero OMI rodighiero.domenico@gmail.com Abbiamo organizzato una distribuzione di aiuti per i rifugiati di ogni provenienza e condizione, tutti bisognosi di qualche migliaio di baht per pagare l’affitto, comprare da mangiare, prendersi cura dei figli. C’erano 200 persone: non essendo stati tanto fiduciosi, non sapevamo come fare per aiutare tutti. Una coppia sui trent’anni con due bambini piccoli si è fermata a chiacchierare con me, aveva bisogno di latte. Era una coppia di cattolici pakistani fuggiti per motivi religiosi. Ho risposto loro che avrei provveduto a cercare latte in polvere per i bambini; a quel punto il papà si è messo a

Qui Uruguay di Antonio Messeri OMI antoniomesseri@omimissio.net

In periferia a Talitakum Anche quest’anno un gruppetto di giovani ha terminato Talitakum. Come sempre la sfida continua e l’allegria si legge nei volti

dei ragazzi e dei professori. Quando si consegnano le coccarde per le migliori prestazioni, le famiglie applaudono. Miglior look, migliore assistenza alla classe, miglior sportivo! Una piccola festa con l’inaugurazione del murale con una frase e i nomi degli alunni, poi tutti a casa per un tempo di vacanza. La sfida continua, Talitakum si trova proprio nel centro del Cerro nord, a volte solo nominare questo quartiere spaventa la gente. Noi siamo qui, in questa parrocchia da quasi 80 anni cercando di aiutare alla luce del progetto di Sant’Eugenio, aiutare le

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missioni

Missione è… Durare nel tempo

di Adriano Titone OMI titonomi@gmail.com

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empo fa, ho celebrato il matrimonio di due giovani pescaresi. Marina era una bambina quando, appena ordinato sacerdote, raggiunsi la mia prima comunità apostolica al santuario del Cuore Immacolato di Maria, la sua parrocchia. Anni

dopo, venne a trovarmi in missione in Senegal con un gruppo di giovani pescaresi. Anche per questo, all’omelia del matrimonio, nell’invitarli a considerare l’impegno di fedeltà che assumevano, reciprocamente e davanti a Dio che li univa come sposi, ho raccontato un ricordo dei miei primissimi tempi di missione. Sbarcato in Senegal appena trentenne, sono partito in quarta su vari fronti e non risparmiavo le mie energie. Tra l’altro, mi era stato affidato un gruppetto di giovani senegalesi per il discernimento e la formazione missionaria. Ho cominciato a vivere insieme a loro scegliendo anche di mangiare senegalese. E poi le comunità di base, ecc... Un giorno p. Giancarlo, responsabile della comunità, uomo di lunga esperienza missionaria prima in Laos e poi in Senegal, mi prese in disparte e mi disse con saggezza e fraterna franchezza: “Adriano, apprezzo il tuo impegno, ma ricordati: un buon missionario

deve durare nel tempo!”. E così, senza tarpare le ali al mio entusiasmo giovanile, mi aiutò ad aggiungervi il senso della fedeltà “a lunga gittata”. Fedeltà e durata nel tempo... sono oggi qualità rare e pertanto preziose con le quali è più che mai urgente infarcire la nostra vita. Sposati o consacrati, noi cristiani siamo chiamati ad essere testimoni di un Amore che entra nel tempo per dilatarlo sull’eterno. Occorre dunque che impariamo a dosare e a concentrare le nostre energie su ciò che abbiamo scelto come tesoro del nostro cuore. Dio non ci chiede di far tutto, ma ci chiede di far bene ciò che dobbiamo. Così, a Marina e Paolo, dinamicissimi e grandi organizzatori, veri figli di questo secolo, ho aggiunto un’altra parolina suggerendo loro di scriverla e metterla bene in vista da qualche parte nella loro nuova casa in Svizzera. Una parola che spesso ripeto a me stesso e che potrebbe risultare utile anche a te che leggi queste righe: “Dio c’è e non sei tu... Rilassati!”. n

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VIAGGIO MISSIONARIO IN GUINEA BISSAU La Procura delle Missioni estere organizza un viaggio missionario nell’estate 2014. Tra gli scopi del viaggio: n permettere un contatto diretto con la missione “ad gentes” n creare legami tra le comunità in Italia e Spagna e le comunità delle missioni oblate all’estero n far conoscere la famiglia oblata

La meta è Farim, in Guinea Bissau, una delle missioni più attive e dinamiche ad una decina di anni dall’arrivo dei Missionari OMI Alcune informazioni sintetiche: n luogo: Farim (Guinea Bissau) n date: 4-24 agosto 2014 n tipo di servizio: organizzazione delle strutture sanitarie dei villaggi della missione. n preparazione: incontri da concordare n costo a persona: attorno ai 1.500 euro tutto incluso: viaggio, soggiorno, acquisto del materiale per i dispensari, contributo per l’attività della missione.

PER INFORMAZIONI p. Adriano Titone OMI (Procuratore delle Missioni estere): titonomi@gmail.com

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