Il Natale a Minervino Murge

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Francesca di Biase Santa Scioscio

“Natal e Capdann fattill a cast e Pasqu a du t(i) truv”

Piccolo saggio sulle tradizioni delle festività natalizie a Minervino Murge 1



Francesca di Biase Santa Scioscio

“Natal e Capdann fattill a cast e Pasqu a du t truv”

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Piccolo saggio sulle tradizioni delle festività natalizie a Minervino Murge


Panorama innevato di Minervino Murge


Ragionando insieme è nata l’idea di scrivere delle tradizioni minervinesi perché siamo molto legate al nostro paese e alle nostre radici. In occasione del Natale abbiamo pensato di condividere con voi parenti le tradizioni dei nostri focolari anche se in luoghi diversi.

Ciò che leggerete è tratto dal libro di Anna Sarcinelli: “Tradizioni popolari a Minervino Murge” edizioni Biblioteca Comunale “L. Barbera” 1992, Minervino Murge. SERENO NATALE e FELICE ANNO NUOVO A TUTTI VOI!

Santina e Franceschina Bacioni a tutti

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Il ďŹ lo rosso del Natale unisce i nostri focolari


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Il Natale l 25 dicembre si festeggia la nascita di Gesù, il Santo Natale, la festa delle feste, ancora oggi ma, nel passato, la festa era particolarmente sentita e, per tutti i cristiani, segnava l’inizio della redenzione umana per opera di Gesù ed il principio dell’istituzione della Chiesa Cattolica.

L’approssimarsi della grande solennità era annunciata dalla discesa dei pastori dalla Basilicata e dall’Abruzzo, i quali con le cornamuse e le zampogne andavano suonando melodiche nenie. Al loro passaggio le donne uscivano sull’uscio di casa o si affacciavano alle finestre per ascoltare la musica di quelli strumenti rudimentali, mentre i bambini festanti saltellavano intorno. Nell’aria si sentiva un’atmosfera diversa, tutt’intorno un insolito senso di pace e di armonia. Nelle case in quel periodo si seguivano un insieme di tradizioni e usanze ispirate all’umore e alla serenità della famiglia. 7


Tutti costruivano un presepe, confezionavano dolci e si riunivano in famiglia. Il presepe si faceva di dimensioni diverse, secondo il ceto e la posizione economica; c’era chi occupava un’intera stanza, chi un angolo della casa e chi una piccola panca. L’importante era avere in casa “u b(i)nd(i)tt ”. “U b(i)nd(i)tt d(i) Natel” era rappresentato dalla capanna, che ognuno si ingegnava a fare il più rispondente possibile alla credenza secondo cui la ferva e impervia spelonca dove vide la luce Gesù Bambino era posta ai piedi di un monte aspro e selvoso.

I tradizionali dolci natalizi che si preparavano per la ricorrenza erano: “r(i) scart(i)ddat” (le cartellate), fatte con una sfoglia composta con farina, vino bianco, tuorli d’uovo e un pochino di zucchero, fritte e cosparse di vino cotto; “l(i) pett(i)l” (le pettole), la cui pasta era preparata con farina, lievito e un pizzico di sale: l’ impasto si faceva riposare per una notte, poi si prendeva con un cucchiaio per raccogliere una piccola parte di impasto per calarla nell’olio bollente per friggerla; le forme così ottenute, una volta sgocciolate si facevano bollire nel vino cotto, 8


Un disegno di Santa ispirato dalle catellate di Rocca


quindi venivano messe in un piatto di portata e venivano spolverate con zucchero e spezie varie; “l(i) calzungidd” (i calzoncelli) fatti con la stessa sfoglia delle cartellate, ripiena di ceci abbrustoliti, macinati e cucinati nel vino cotto, quindi fritti o messi in forno; per “r(i) sf(i)gghiatell” (le sfogliatelle): si faceva la sfoglia con farina, olio, uova e vino bianco, si tagliava a strisce larghe, la si riempiva con mandorle abbrustolite e pestate, zucchero ed un po’ di marmellata, corteccia di limone e vaniglia per poi metterle in forno; “u t(i)rraun” (il torrone) era il dolce più alla buona fatto con gli avanzi delle preparazioni precedenti: sminuzzati i ritagli per la pasta della sfoglia, si friggevano, poi si mischiavano con le mandorle e si mettevano nel vino cotto che bolliva, si mescolava fino a quando il composto si induriva, allora con un mestolo si facevano su una superficie di marmo unta d’olio dei piccoli mucchietti, si aspettava che si raffreddassero ed il torrone era bello e pronto per essere mangiato.

In queste giornate regnava allegria e gioia. Al calare della sera si vedevano pochi passanti frettolosi, perché tutti si ritiravano 10


tra le calde mura del focolare domestico per intrattenersi con giochi, canti ed altri divertimenti con familiari ed amici. I giochi che si facevano, solitamente riuniti intorno al fuoco, erano la tombola e l’oca, mentre qualcuno proponeva scherzi, indovinelli, scioglilingua.

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Il bambinello di casa di Biase


Così arrivava la vigilia del NATALE. Ovunque fervevano i preparativi per accogliere la nascita del Bambino Gesù. La sera, come diceva pure il detto: “Natal e Capdannfattill a cast e Pasqu a du t truv” (Natale e Capodanno festeggiali a casa tua e Pasqua dove capita), tutti si riunivano in famiglia tra parenti ed amici che non potevano raggiungere la famiglia lontana per aspettare, giocando e mangiando “la sfgghiat” (la focaccia ripiena), l’anguilla e qualche dolce fatto per l’occasione, la nascita del Salvatore.

Ad ora inoltrata nelle famiglie si compiva la cerimonia che rappresentava la nascita di Gesù. Il Bambinello di creta o cera, posto su un poco di paglia era portato da colui che, tra i parenti, aveva minore età; infatti, poiché si associava l’età del portatore con la figura di Gesù, si riteneva che il più adatto a tenere tra le mani il Redentore fosse quello che aveva età inferiore, perché era considerato più puro ed ingenuo degli altri. Colui che portava il Bambinello era seguito da tutti gli altri con una candela accesa tra le mani a simboleggiare una stella della volta celeste; fatto il giro della casa, giunti dove si tro13


vava il presepe e dopo che tutti avevano baciato il Bambinello, lo si poneva tra San Giuseppe e la Madonna, il bue e l’asinello cantando:

“Yay nat u Bamb(i)n(i)dd-u prumess Salvator, sckitt u vov e u ciucciaridd-l’-angallesc(i)n cu fiat lor, c(i) lo fay la ninna nann? G(i)s(i)ppudd ch la Mamm, quedd a Mamm puv(i)redd- ch nu zinn d(i)vandaredd, accummogghy u criateur-ca nan ten u fassateur, facy fridd e n(i)v(i)caisc-la povredd tr(i)m(i)laisc G(i)s(i)ppudd rammr(i) cat-s(i) p(i)v(i)len e s(i) cusc(i)taisc e ch fay na vambredd-u fuccil na u t(i)nev, l’esch sckitt tann stev-zulfaridd nan s(i) n(i) v(i)nnev, cudd pov(i)r mestr d’asc-a nu post s(i) n(i) vay, s(i) mbegn serr e yasc-nu t(i)zzaun l(i) vol(i)n day, ma c(i) avev la mala sort-s(i) mb(i)gnav l(i) calz cort, frat mey p(i)cural-moy ch(i)nzull c(i) cor tin, c(i) l(i) day nu r(i)cuttal-c na zupp ch ndratt(i)nell, e d(i) bun m(i)r vecch-moy l(i) donn na c(i)ut(i)lecchy, ch r(i) crap e l’ain(i)cidd-ch G(i)s(i)ppudd s(i) n(i) vonn a canosc u Bamb(i)n(i)dd-a cunz(i)lay la Madonn, glor in-gil e in tutt u munn-e u d(i)avl o funn o funn”. 14


(É già nato il Bambinello, il promesso Salvatore, solo il bue e l’asinello lo riscaldano con il fiato loro, chi gli fa la ninna nanna? San Giuseppe con la Madonna, quella Mamma poveretta con il suo grembiule copre bene il piccolino perché non ha il pannolino, fa freddo e nevica, trema la poverina, Giuseppino rammaricato si preoccupa e si avvilisce per fare una vampata, non ha l’acciarino, quel povero falegname se ne va ad una masseria, impegna sega ed ascia per avere un tizzone, per combattere la mala sorte impegnava i suoi calzoni corti, fratello mio pecoraio, la dovete consolare, chi gli dà della ricotta, della zuppa per trattenerlo, e di vino vecchio o buono gliene danno una bottiglietta, con le capre e con gli agnelli, con Giuseppe tutti vanno a conoscere il Bambinello, a consolare la Madonna. Gloria in cielo e in tutto il mondo ed il diavolo giù in fondo)1.

Un consiglio: fatevela cantare da Zia Ninetta e Zia Caterina e da nonna Lina.

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Terminata la cerimonia alcuni si recavano in Cattedrale per assistere alla funzione religiosa, finita la quale, mentre le donne ed i bambini tornavano a casa, i giovani, formate delle comitive, andavano cantando e sghignazzando per le strade fermandosi per ripetere la seguente filastrocca:

“La nott d(i) Natal nan s(i) dorm, yay nat u Bamb(i)nidd alla Madonn, Gesù Bamb(i)n mey c(i)ch a nat a fay, alla glor(i)a tau s(i) yay rutt u tubb, la cuccaracc, la cuccaracc, la cucaraccia che passion”. (La notte di Natale non si dorme, è nato il Bambino alla Madonna, Gesù bambino mio cosa sei nato a fare, alla gloria tua si è rotto il lume, oh che cuccagna, oh che cuccagna, oh che cuccagna che passione).

Dopo la mezzanotte si credeva che avvenissero particolari avvenimenti e prodigi, per questo durante la notte si compivano particolari cerimonie. Gli agricoltori e i contadini pensavano che se il vento spirava umido o secco ci sarebbe stato, per il nuovo anno, più tempo umido o secco, così come se il tempo era nuvoloso o sereno ci sarebbe stato più uno o più l’altro. 16


Il Presepe di casa Scioscio in attesa del Bambinello


Il Presepe in un disegno di Francesca


Le giovani erano convinte che, se allo scoccare della mezzanotte si stavano sciogliendo i capelli e si specchiavano, si sarebbe vista l’immagine del futuro fidanzato. Le donne pensavano che di notte Gesù sarebbe passato con gli angeli per vedere tutti i presepi, quindi accendevano una lampada ad olio per fargli trovare in fretta la via. Chi aveva rimedi per dolori addominali, renali o parotitici, li insegnavano a chi voleva impararli. Spuntato il giorno tutti andavano in chiesa per ascoltare la Santa Messa, poi facevano gli auguri a chi conoscevano e si recavano di nuovo a casa. Per quel giorno le massaie preparavano un pranzo particolarmente abbondante. Per tradizione il primo piatto era rappresentato da “l(i) malmbrand” (i mille infranti) in brodo di tacchino, seguito da pietanze di vario tipo, pesce fritto misto (soprattutto capitone ed anguille), coniglio al forno, arrosto, frutta secca e dolci natalizi. Terminato il pranzo, mentre le donne sbrigavano le faccende domestiche, gli uomini incominciavano a giocare a carte o a tombola. Più tardi venivano raggiunti dalle donne e tra giochi, chiacchiere e conversazione arrivava l’ora di cena. 19


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Santo Stefano

l giorno seguente, Santo Stefano, il desinare non era abbondante come quello del giorno precedente, perché di solito si finivano le pietanze di Natale (da noi si finiscono quelle e se ne aggiungono di altre). Per il popolo, Santo Stefano, segnava il ritorno alla vita normale. Terminavano i rumori, i divertimenti e la baldoria e si riprendeva la calma esistenza quotidiana.

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Il Capodanno

a prima festa dell’anno è il Capodanno. Con essa cominciava un nuovo anno che si sperava migliore del precedente. Per tradizione allo scoccare della mezzanotte del decorso anno si solveva gettare dalle finestre pentole ed altre suppellettili rotte o non più nuove, come per disfarsi di ciò che non serviva o non era più in uso, per poter accogliere l’Anno che entrava senza vecchiumi, forme che appartenevano al passato e che in esso avevano portato solo dolore e tristezza. 20


Generalmente le famiglie si raccoglievano intorno al focolare per attendere la venuta del nuovo anno insieme ai propri cari; era in uso stappare delle bottiglie di vino vecchio, mangiare delle focacce rustiche, tra cui va ricordato “u calzaun” (il calzone), fatto di pastafrolla ripiena con cipolla dorata nell’olio insieme a pomodoro, olive snocciolate, fichi secchi, acciughe a pezzettini e noci secche a listelle, con varie verdure cucinate precedentemente. Così fatti gli auguri per un anno felice, si coricavano sperando in un futuro migliore. Infatti al mattino, appena svegli, si affacciavano all’uscio di casa per vedere se le loro speranze si sarebbero avverate: se il primo passante era uomo, per un bambino o per un cane sarebbe stato un anno fortunato; se invece era una donna il contrario. Al mattino i bambini, con “u vurs(i)dd” (un borsetto di stoffa) pendente sul grembiulino, si recavano dai nonni, dai parenti e dagli amici più intimi, ripetendo ovunque: “Chap d’ann e chap d(i) meis damm la stragn cha ma prurmeis, e c(i) na m(i) la vu daj jei m(i) m mett a gast(i)mej”. 21


(Inizio d’anno e di mesi dammi la strenna che mi hai promesso, e se non me la vuoi dare ora mi metto a bestemmiare).

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Terminato il giro, tornavano a casa con il borsetto tintinnante di soldini.

L’Epifania

l 6 gennaio si festeggiava l’Epifania. Durante la notte tra il 5 e il 6 era in uso appendere delle calze ai camini o alle spalliere dei letti; i bambini, dopo aver controllato che le calze fossero al loro posto, si coricavano cercando di rimanere svegli per aspettare l’arrivo della Befana. Al mattino, appena svegli, si precipitavano a guardare cosa c’era nella calza. Di solito i bimbi buoni trovano dei doni consistenti in frutta secca, confetti, marmellata, taralli, mandorle, pupi di creta, trombette e cavallucci di cartone pressato, mentre quelli cattivi trovano cenere e carbone. I doni rappresentavano il bene ed il male; infatti ai bambini che si erano comportati bene, la Befana aveva portato dei regalini, mentre a quelli che erano stati poco ubbidienti aveva portato cenere o carbone. Il che stava a sim22


boleggiare, da una parte il voler rapportare ciò che era considerato comunemente lecito con la premiazione, dall’altra il voler raffrontare il non stare a schemi prestabiliti con la punizione; infatti il bambino ubbidiente era ricompensato con i doni, mentre quello disubbidiente era castigato proprio perchĂŠ non riceveva niente.

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Colophon Questo piccolo libro è stato composto nel dicembre 2017 tra Minervino Murge e Lecce da Francesca di Biase, Santa Scioscio e Mauro Marino.

Il testo è tratto dal libro di Anna Sarcinelli “Tradizioni popolari a Minervino Murge” edito a cura della Biblioteca Comunale “L. Barbera” di Minervino Murge nel 1992.


Auguri, auguri, auguri!

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Lecce - Minervino Murge Natale 2017 Capodanno 2017/2018 26


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