Spagine n째0 - Poesia 05 Lecce, ottobre 2013 - anno I
spagine poesia
Tre assi di cuori Da Luca Pensa la poesia di Gabriella Mercuri
di Vito Antonio Conte Ad illustrare Timo ripreso allo scanner da Santa Scioscio
spagine
L
Per essere tra gli esseri
a domanda che faccio a me stesso ogni volta che mi confronto con la parola (scritta, ma anche detta…) è sempre questa: perché? Perché sento e/o altri sente il bisogno di scrivere, poetando e/o prosando? Perché viene l’insopprimibile necessità di leggere, poesia e/o prosa? La migliore risposta che ho è sempre questa: non lo so! Questo mio ignorare la risposta contiene un’altra possibile risposta: ci sono mille e mille ragioni. Per leggere. E per scrivere. Poesia e/o prosa. Ragioni che, pure, potrei tentare di abbozzare e, per qualcuna, compiutamente dire. Ma nessuna, all’evidenza, sarebbe la risposta. E allora dirò quella ch’è la mia risposta. Nell’intro ho usato due lemmi: bisogno e necessità: si tratta (in generale) dell’esigenza di soddisfare una carenza, un vuoto, una mancanza, per poter vivere. E questo vale (soprattutto) per i bisogni primari che sono d’ordine materiale: devo mangiare per placare la fame; il corpo, diversamente, morirebbe. Ci sono altri esempi possibili, ma quello appena fatto credo esaurisca il concetto. Poi, ci sono altri bisogni, altre necessità. Quella in parola (il bisogno di leggere, la necessità di scrivere) riguarda la spiritualità, l’anima, l’immaterialità. È, propriamente, un’attività che regala benessere (e “Piacere”). Leggere mi fa star bene. Scrivere mi fa star bene. Ché l’una e l’altra soddisfano il desiderio di conoscenza. Del mondo d’intorno. E del mondo racchiuso dentro sé. Limitando queste (scarne, ma essenziali) considerazioni (del tutto soggettive e, perciò stesso, doppiamente limitate e limitanti) alla scrittura e –in particolare- a quella in versi (in liberi versi, dove non v’è alle parole il recinto della metrica e delle altre regole che governano il discorso poetico, dove –però- la metrica e le
La potenza dell’autenticità si fa suono, ritmo, urlo
altre regole -…- non sono, per principio o altro motivo, escluse), dirò (ribadendo ciò che in altre occasioni ho sottolineato, rubando le parole a un musicista cubano) che la forza propulsiva, lo stimolo creatore, la ragion stessa della scrittura, risiede in “una necessità presente” (Cfr. “Tocar sueños en Cuba” –“Suonare sogni a Cuba”, di G. Bartolini - M. Mejides - D. Manera); ossia, la scrittura contiene un senso soltanto quando è espressione d’un sentimento insopprimibile e non v’è (…) altro modo per dirlo. Questo senso della scrittura, come necessità, per essere vivo, deve –appunto- essere presente, cioè deve pulsare irresistibilmente dentro, deve spingere così forte contro le pareti delle viscere del petto e delle tempie, deve sconvolgere al punto da scoppiarne se non lo si libera, ché l’esplosione è l’unica via che resta per non impazzire... Poi, se ne possono fare parole. Poi, può diventare poesia. Poi, si può dire tutto. Ecco: (anche…) questo, per me, è poesia: un gioco linguistico che contiene la realtà (o parte di essa), contaminata col proprio essere (o parte di esso), con cui si può dire qualsiasi cosa! E la poesia (da atto personale…) può restare atto privato (e circolare –comunque- con le proprie azioni…), oppure trovare modo d’essere in un altro spazio (internettiano –blog, fb, riviste on line- o cartaceo –pubblicazione canonica presso un editore, in silloge, anche collettaneao vocale –reading…-) pubblico (e, così, circolare fuori da sé all’infinito…). Se, però, la si fa uscire dal proprio piccolo mondo, per farla viaggiare nel mondo, ci dev’essere qualcosa da dire. Qualcosa che nessun altro ha mai detto prima o che nessun altro ha mai detto nello stesso modo. Qualcosa che qualcun altro possa ascoltare... Ché senza poe-
di Vito Antonio Conte
sia non si muore. Ma la poesia può aiutare a vivere, s’è vita... Ciò chiarito, senza la presunzione d’essere il depositario di alcuna verità assoluta, vi chiederete cosa c’entra questo mio prendere posizione sulla poesia con Tre Assi di Cuori, terza raccolta poetica di Gabriella Mercuri. Potrei (una volta ancora) rispondere: non lo so; poi, buttare giù un’altra elucubrazione Invece, come sopra, dirò quel che penso, ch’è una piccola verità. La mia piccola vera verità. Ma resa, appunto, autenticamente (e, auspico, comprensibilmente). I versi di Gabriella Mercuri contengono i requisiti di cui sopra ho cennato: sono semplici senza essere banali; sono immediati rispondendo a una necessità presente; sono complessi perché non v’è una sola parola che non sia stata voluta, cercata, trovata e metabolizzata prima d’essere liberata e incastrata con le altre per dire uno stato, un desiderio, un danno, una gioia, una sconfitta, un anelito…; evocano la potenza dell’autenticità che s’è fatta suono, ritmo, urlo; svolgono una contraddizione dell’essere tra esseri, diventando (nel movimento insito in ogni contraddizione… priva d’astrusità) parola scambiata, comunicata, donata e –come tale- ricerca d’un modo diverso d’intendere la vita e la morte; propongono un’esuberanza che tende all’affermazione della personale allegria (anche i versi apparentemente velati di pessimismo rivelano e sono trattati con ironia e autoironia… ) come strumento rivoluzionario di cambiamento: se la poesia non può cambiare il mondo, sembra suggerire Gabriella Mercuri, forse può farlo la parola che sorride! Ecco: quella di Gabriella Mercuri è una parola che sorride. Sorride alla vita. Ché i danni (…) dell’esistenza (quelli… d’intorno e quelli… vissuti) possono diventare altro se affrontati per quel che sono, ma con la forza e la determinazione
Mercuri
Spagine n°0 - Poesia 05 Lecce, ottobre 2013 - anno I
poesia
La copertina del libro edito da Luca Pensa nella collana alfaomega
di conoscerli, penetrarli, comprenderne il mistero, superarli col proprio bene, facendone cosa buona… con la condivisione. Traverso l’incontro dialettico con l’altro da sé. Noto, in questa raccolta, l’apertura d’un giorno nuovo che segna un passaggio nella scrittura di Gabriella Mercuri: dalla precedente, più intimistica e raccolta su se stessa, a una più consapevole e matura che dialoga col mondo cercando (e, spesso, riuscendovi) di trasmettere quel senso profondo d’armonia verso i respiri del mondo… Non è più soltanto l’esterno (animato e no) che tocca le corde del poeta che immergendosi in sé ne fa parole… Qui è il poeta che dà la sua energia al mondo, ché d’armonia sia. Col suo stile, in fieri, ma che già contiene la sua cifra: dire -senza sterili e incomprensibili costruzioni, scegliendo le parole una a una, sincronizzando il respiro col moto di dentro e coi versi, di sottrazione in sottrazione, introiettando quel che ai sensi arriva, rendendolo anche con alti costi e senza sconti- tutto quel che l’attraversa, intanto che attraversa il mondo, lasciandosi cullare dal tempo, tempo vivendo.
Gabriella Mercuri legge poesia sin dall’adolescenza, ferma versi – nella frenesia d’intorno – da oltre trent’anni, ama la parola poetica detta perché crede fortemente che far circolare il proprio essere espresso nei versi possa – traverso l’interazione con l’altro – schiudere un orizzonte di luce dove luce non c’è. Partecipa a diversi meeting e concorsi letterari, meritandosi premi e segnalazioni, tra cui il Premio Vittorio Bodini e Guido Gozzano. Da ultimo (nella primavera di quest’anno) s’è aggiudicata il primo premio del concorso Opera Prima svoltosi a Firenze nell’ambito della Giornata Mondiale della Poesia. La sua parola nasce dall’animo, sfiora le labbra, e diventa canzone in «Parole in movimento»: spettacolo di musica e danza. L’urlo del Passato segna il suo esordio poetico (2006). Ho scomodato un sogno è la sua seconda opera (2009). Tre assi di cuori è la sua terza pubblicazione. Timo, particolare della scansione