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comeMagazine
ABRUZZESE IN UN FREEPRESS
ANNO 5 - NUMERO 29 -SETTEMBRE / DICEMBRE 2013
LA CULTURA ENOGASTRONOMICA
c come
Prevenzione
Speciale Cereali
Giovanni Marrone
Cambiamenti climatici e responsabilità dell’uomo
Grani autoctoni, pasta, birra artigianale
A Pescara una storia lunga 30 anni
collezione 2013 / 2014
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Un 2013 carico di... L’Abruzzo ha dato tanto di sé negli ultimi mesi del 2013: è andato a Milano per far scoprire a produttori, operatori del settore e passanti 7 denominazioni di origine e 8 igt; si è espresso nelle sue eccellenze al femminile, che sono state molto attive come nuova compagine regionale dell’Associazione Le donne del vino; ha accolto centinaia di visitatori in occasioni come Borgodivino a Montepagano, Borgo Rurale a Treglio, Festival del Peperone dolce ad Altino; ha ricevuto instancabilmente riconoscimenti e soddisfazioni, come ratificato dalla Guida Slow Wine 2014, dal Gran Galà del vino organizzato dall’Ais e dalla premiazione del Pescara Abruzzo Wine 2013; e ha dimostrato di saper crescere, sempre e comunque. Come piace a noi. FOTO: MODIV / AA.VV.
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Abruzzo di sera a Milano Ha superato le mille presenze la manifestazione di due giorni che Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, Consorzio di Tutela Colline Teramane e Movimento Turismo del Vino Abruzzo, in collaborazione con la Regione Abruzzo, hanno organizzato a Milano anche nel 2013, proponendo al pubblico lombardo l’occasione di scoprire i vini e le tipicità gastronomiche della “Regione verde d’Europa”. L’evento “Abruzzo di sera”, organizzato da Sinergia Advertising di Pescara, si è svolto domenica 22 settembre presso la Sala Liberty dell’Osteria “Il Treno – Arte e diletto club” a Milano, in un happy hour che è durato fino alla mezzanotte, con la possibilità di degustare quasi 100 etichette, illustrate dagli stessi produttori abruzzesi, in un percorso che ha previsto anche l’assaggio del noto olio extravergine d’oliva abruzzese e la scoperta della tipica pasta “alla pecorara”, a base di farina e acqua e condita con verdure e ricotta, preparata dal pastificio abruzzese “La Mugnaia” davanti agli ospiti. Molto speciale è stata la giornata di lunedì 23 settembre, quando oltre 200 operatori del settore come ristoratori, enotecari, distributori, giornalisti e blogger hanno avuto l’occasione di incontrare a tu per tu i 30 produttori abruzzesi intervenuti, in un appuntamento accessibile solo dietro invito. A supporto della degustazione ci sono stati gli assaggi preparati dallo chef stellato Peppino Tinari, del ristorante “Villa Majella” di Guardiagrele.
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Pescara Abruzzo Wine 2014, i vincitori. Il 30 ottobre la sala consiliare del Comune di Pescara ha visto sfilare i vincitori dell’ottava edizione di Pescara Abruzzo Wine. Oltre 1300 sono le schede pervenute alla delegazione Ais di Pescara. Tra gli insigniti abruzzesi: Paolo Mastri de Il Messaggero come miglior giornalista della carta stampata; Silvano Barone di Rai3 come miglior giornalista della televisione; Cristina Sacchetti dell’Ais Pescara come miglior sommelier; la ventricina di Fracassa come miglior prodotto gastronomico; l’Intosso di Forcella come miglior olio extravergine di oliva. Il Trebbiano d’Abruzzo Valentini è miglior bianco, il Terzini il miglior Cerasuolo, Casabianca di San Lorenzo e I Vasari di Barba i migliori Montepulciano d’Abruzzo. La Cantina Vigna di More ha vinto il premio come Cantina emergente del 2013, Feudo Antico ha vinto come miglio biologico; il Pecorino Bio di Cantina Frentana per il rapporto qualità/prezzo; il “Trentasei Eredi Legonziano” come miglior spumante. Il premio “Il bianco di Giulio” è stato assegnato a “Vinosofia” di Chiusagrande, il premio speciale “Geni Mangifesta” a Stefania Bosco come imprenditrice del vino. Paolo Lauciani è stato premiato come miglior giornalista italiano, Luca D’Attoma come enologo dell’anno. Tutti i vincitori sono elencati sul nostro sito ccomemagazine.it nella categoria “Live twitting”
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La guida Slow Wine 2014 Siamo stati alla presentazione della guida Slow Wine 2014, che quest’anno si è svolta nella cornice suggestiva dell’Abbazia di San Clemente a Casauria, restaurata successivamente al terremoto grazie al progetto della Fondazione Pescarabruzzo, e vi raccontiamo le novità abruzzesi. Il responsabile regionale della guida Davide Acerra ha riassunto come positivo il trend che caratterizza la nostra bella regione. Molte Cantine sono ad un passaggio generazionale, che il più delle volte si dimostra particolarmente attento alla sostenibilità e all’impatto ambientale del loro operato: il medesimo approccio arriva da alcune Cantine giovani (facendoci fortemente confidare, aggiungiamo noi, in un futuro migliore!). Questo è stato finalmente l’anno del Montepulciano, dopo due edizioni in cui erano i bianchi a farla da padroni. Di contro, gli stessi bianchi hanno sofferto un po’ l’annata particolarmente calda del 2012, guadagnando però in profumi soprattutto nei casi del Trebbiano e del Pecorino. Le “chiocciole” del 2014 sono state assegnate, per l’interpretazione “sana, giusta e pulita” dei valori organolettici del vino, alle Cantine Torre dei Beati, Valentini, Cataldi Madonna ed Emidio Pepe. Il simbolo delle ”bottiglie”, rappresentanti l’ottima qualità media di tutti vini degustati, sono andate ad Angelucci, Contesa, Pasetti, Nicodemi, Barba, Valle Reale, Masciarelli e Feudo Antico; le “monete” per il buon rapporto tra qualità e prezzo hanno contraddistinto le Cantine San Lorenzo, Collefrisio, Bosco Nestore, Palusci Marina, Cantina Frentana, Tenuta Terraviva, Umberto Buccicatino e Italo Pietrantonj. I nomi della Guida Slow Wine 2014 sono elencati sul nostro sito ccomemagazine.it nella categoria “Live twitting”. La guida adesso è un App disponibile su iTunes a 7,99 euro.
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Gran Galà della cultura del vino L‘annuale appuntamento con Bibenda del “Gran Galà della cultura del vino” si è svolto il 9 dicembre 2013 presso l’hotel Villa Immacolata di Pescara. Dopo la presentazione del libro di Enrico Di Carlo, “Gabriele d’Annunzio e l’enogastronomia della memoria” (ed. Verdone), già presentato a Verona, Torino, Roma e Budapest, si è tenuto l’ acceso dibattito “I vini a fermentazione spontanea: una tradizione alla ribalta”, moderato dal giornalista Paolo Castignani. Sono intervenuti il presidente Ais Abruzzo Gaudenzio D’Angelo, il consigliere Ais nazionale Luca Panunzio, l’onorevole Fabrizio Di Stefano, l’assessore regionale alle politiche agricole Mauro Febbo; il presidente dell’Enoteca Regionale Tito Cieri; l’enologo Marco Flacco; il giornalista Alessandro Bocchetti; i rappresentanti delle aziende agricole La Stoppa e Cerulli Irelli; il presidente e i vicepresidenti del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo Tonino Verna, Enrico Marramiero e Carmine Rabottini. La serata si è conclusa con la degustazione di oltre 80 vini presenti nella guida 2014 di “Bibenda – Vini e ristoranti d’Italia”. (Foto: Confraternita del Grappolo)
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La delegazione abruzzese festeggia i primi 25 anni dell’associazione “Le Donne del vino” Dopo la presentazione al Vinitaly 2013 della nuova compagine abruzzese dell’associazione “Le donne del vino”, guidata da Valentina Di Camillo, la delegazione ha portato avanti alcune interazioni con il territorio di significato e rilevanza speciali. A giugno e a dicembre la delegazione abruzzese ha confermato la sua vicinanza al Festival di narrazione “Montesilvano scrive” ideando una sezione di degustazione intitolata “Degusta e versi”, a giugno, con il supporto dei menu letterari creati ad hoc dal Ristorante “Ninì” e mettendo a disposizione circa 30 bottiglie nella manifestazione natalizia dedicata ad Emergency, rappresentando metà del ricavato finale della serata. Il clou del 2013 è stato raggiunto all’Aurum di Pescara, con la manifestazione “I sensi del vino”, pensata per il 25esimo anniversario dell’associazione: il percorso tracciato il 13 novembre nelle sale Barbella e Flaiano è stato ispirato all’analisi sensoriale di un bicchiere di vino, iniziando con la vista, grazie ai miraggi d’Oriente della performance pittorica “Bevi ad arte con Mae” e proseguendo con l’udito, con il pianista Fabio D’Onofrio che ha suonato composizioni proprie e standard del jazz moderno, da Miles Davis a Wayne Shorter. Per l’olfatto e il tatto è stato costruito un gioco da eseguire “alla cieca”, alla ricerca degli aromi e delle peculiarità tattili del vino nascosti in contenitori chiusi. La degustazione offerta dalle associate oltre ai vini autoctoni messi a disposizione dalle produttrici hanno rappresentato il gusto, e cioè: le mousse di frutta e la selezione di prodotti tipici abruzzesi a cura di Angela Di Crescenzo (Villa Maiella di Guardiagrele, CH); e i finger food di Nadia Moscardi (Elodia di Camarda, AQ), come le olive ripiene di patata turchesa e cioccolato, la spuma di ricotta allo zafferano con porcini disidratati e pane croccante, e il barattolino con purea di pera, pecorino di Pizzoli e miele di castagno. Sponsor tecnico della manifestazione è il caseificio Reginella d’Abruzzo. La Delegazione abruzzese dell’associazione Le Donne Del Vino conta iscritte in Abruzzo già dagli anni ’90, fino ad arrivare a quota 25 nell’anno 2013. Si tratta, ad oggi, di 18 produttrici, e 7 tra sommelier, giornaliste e ristoratrici. Nel 2013 è stata composta da: le produttrici Valentina Di Camillo, Perla Pasetti, Stefania Bosco, Paola Matteucci, Katia Masci, Marina Cvetic, Marina Orlandi Contucci, Anna Illuminati, Laura Lamaletto, Laura Del Casale, Francesca Santoleri, Katharine MacNeil, Aurelia Mucci, Emilia Monti, Martina Danelli, Mariateresa Ruccolo, Maria Elena Carulli e Stefania Pepe; le ristoratrici Angela Di Crescenzo e Nadia Moscardi; la giornalista Cristina Mosca; le sommelier Cristina Sacchetti, Silvia Giuliani e Graziella di Berardino; e l’enologa Claudia Galterio.
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Lo spumante “36 Abruzzo doc” di Eredi Legonziano Il 10 dicembre è stato presentato alla stampa lo spumante “36 Abruzzo DOC”, curato dall’enologo Vittorio Festa per la Cantina Eredi Legonziano, presieduta da Valentino Di Campli: utilizza solo lieviti indigeni ed è affinato almeno trentasei mesi, sia nella prima fermentazione alcolica, sia nella successiva rifermentazione in bottiglia. Il “36” può definirisi uno spumante gastronomico perfetto per l’aperitivo, ottimo a tutto pasto. Per esaltare le qualità conviviali di “36 Abruzzo Doc” si è voluto affidare il brindisi di presentazione alla competenza enologica di Alessandro Bocchetti, alla sapienza culinaria di Qualità Abruzzo, sodalizio eccellente di artigiani abruzzesi del gusto, e alle raffinate creazioni di Peppino Tinari del ristorante Villa Maiella di Guardiagrele. In concomitanza alla presentazione, è stato annunciato che la Regione Abruzzo ha proposto di sfruttare parte dei fondi della prossima PAC per finanziare l’acquisto di tecnologie e attrezzature per la spumantizzazione.
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Cantina Frentana by night L’evento enogastronomico estivo organizzato da Cantina Frentana il 18 luglio al Parco dei Priori a Fossacesia, di fianco la splendida abbazia di San Giovanni in Venere, è stato importante per far incontrare rappresentanti del trade ma anche amici e sostenitori della Cantina. Pestati Ursini e piatti preparati da Ermanno Di Paolo (“La sorgente”, Guardiagrele), come il bluburger di pesce o i mezzi paccheri con pomodorini, burrata, limoni e alici, sono stati offerti in abbinamento ai vini di produzione della Cantina, e ad alcune eccellenze vitivinicole nazionali ed internazionali a cura del distributore Italia Bolis vini.
Sensi d’Abruzzo al Città Sant’Angelo Village Ogni giovedì nell’estate del 2013 il Città Sant’Angelo Village si è fatto promotore della rassegna “Sensi d’Abruzzo”, con il team di Niko Romito Formazione, la mano del caposquadra Davide Mazza e la conduzione di Francesca Piccioli. I temi sono stati vari: la cucina del recupero, i frutti di mare, crudi e tanto altro. Ai cooking show hanno fatto seguito spettacoli dal vivo, laboratori ludici e momenti di intrattenimento. (Foto Comunicattive)
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Santagiusta, il primo pinot spumantizzato metodo classico La Cantina Marchesi de ‘Cordano (Loreto Aprutino) e l’azienda agricola Vigna di More (Tione degli Abruzzi) hanno unito le forze e creato “Santagiusta Metodo Classico”, il primo spumante metodo classico a base Pinot nero prodotto in Abruzzo. Le uve sono allevate a 700 metri di altitudine nell’azienda di Adriana Tronca a Goriano Valli, e diventano spumante grazie al vignaiolo Francesco D’Onofrio (Marchesi de’ Cordano) e all’enologo Vittorio Festa. Le condizioni pedoclimatiche uniche del pendio Lamata, vero e proprio cru d’elezione per il Pinot nero, regalano mineralità e struttura al vino. La pressatura soffice delle uve avviene in ambiente inertizzato e il successivo affinamento sui lieviti si prolunga per 18 mesi. Le bottiglie prodotte riservate alla ristorazione di alta qualità e alle enoteche specializzate sono tremila, distribuite in esclusiva da “Di Febo F.lli srl - il bere fuori casa”.
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Borgo Divino a Montepagano La 42esima Mostra dei Vini di Montepagano, “Borgo Divino”, ha coinvolto ben 22 Cantine e aziende vitivinicole abruzzesi dal 26 al 28 luglio. A fare da corollario, le lezioni d’alta cucina con il team dello chef stellato Niko Romito, i wine show condotti da Antonio Paolini con giornalisti ed esperti nazionali e classici percorsi degustazione tra gli antichi fondaci del centro storico. La manifestazione è organizzata dal Comune di Roseto degli Abruzzi con il contributo della Camera di Commercio di Teramo e della Regione Abruzzo. (Foto: Neocomunicazione)
Pecore, pecorino e pecorini La delegazione abruzzese della Commanderie des Cordons Bleus de France ha organizzato per l’8 e il 9 novembre 2013 “Pecore, pecorino e pecorini”, un week-end che ha raccolto tutti i delegati italiani nel Pescarese e a Guardiagrele. Alla presenza di Leonardo Seghetti e Giancarlo Martinelli è stato sviscerato un tema importante e autoctono di tre aspetti principali dell’economia abruzzese, anche giocando sulle parole. Il presidente Tony Sarcina ha anche discusso del contagio tra le cucine etniche e le cucine regionali, apprezzando infine l’operato dei ristoranti “La Bandiera”, di Civitella Casanova, dove si è svolta la cena di accoglienza, e di “Villa Majella” di Guardiagrele, dove si è svolto il pranzo finale. La due giorni è stata organizzata dal consigliere direttivo Mimmo D’Alessio e il delegato regionale Nicola D’Auria.
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10 anni di Colline Teramane
L’unica docg abruzzese ha compiuto 10 anni e li ha festeggiati venerdì 6 dicembre 2013, a Teramo, con una tavola rotonda e una degustazione. La bella notizia, data da noi live twitting è che la docg è pronta per crescere: il Consorzio Colline Teramane ha avviato un processo di modifica del disciplinare di produzione della docg Montepulciano d’Abruzzo “Colline Teramane”. L’obiettivo è rispondere alle sfide del mercato, producendo più bottiglie di Montepulciano d’Abruzzo “Colline teramane” di categoria superiore, ma ad un prezzo più competitivo. Per tutto il 2014 sono organizzate degustazioni nelle quattro province.
Borgo rurale a Treglio La sedicesima edizione di “Borgo Rurale”, la festa del vino novello, castagne e olio nuovo che si è tenuta sabato 9 e domenica 10 novembre 2013 a Treglio (Ch) ha riscosso molto successo nonostante le condizioni atmosferiche siano peggiorate la sera di domenica. Organizzato dall’ Unpli dal Comune e dalla Pro Loco di Treglio, con il contributo di vari sponsor della provincia di Chieti, tra cui la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona, oggi Banca Popolare dell’Emilia Romagna, l’evento ha visto oltre venti aziende coinvolte nella degustazione del vino e dell’olio novelli e dei piatti tipici della Frentania, in una cornice fatta di musica italiana e popolare (si sono esibiti, tra gli altri, Gae Campana e il gruppo “Terre del sud”), ed esposizioni e dimostrazioni di antichi mestieri. (Foto: Gianluca Scerni)
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Il Festival del Peperone dolce di Altino
L’edizione 2013 del Festival del Peperone dolce di Altino che si è svolta ad agosto è stata vinta dalla contrada Colli con questo menu: il premio Folklore è andato alla contrada Fonte Lama, la quale si è aggiudicata anche il premio Ricetta d’Autore con la pampanelle, cioè un maialino al forno marinato e ricoperto di peperone tritato con contorno di sedano nero, peperoni arrosto e pomodorini a pera di Altino. La giuria è stata presieduta da Gino Primavera. (Foto: Piergiorgio Antonelli)
Calici di stelle 2013 Lo scorso agosto, durante la notte delle stelle cadenti, la manifestazione Calici di Stelle promossa dalle associazioni Movimento Turismo del Vino e Città del Vino ha coinvolto 10 Cantine ed astronomi che hanno guidato all’osservazione del cielo. Alcune aziende hanno aperto le porte, come La Vinarte a Santa Maria Imbaro, Buccicatino a Vacri e Stefania Pepe a Controguerra. Altre si sono spostate in piazza, come la Cantina Colle del Sole, di Francavilla o, ad Ortona, nel quartiere Teravecchia, Agriverde, Dora Sarchese e Cantina di Ortona. Cene a menu fisso sono state organizzate da Vineria Ciavolich di Miglianico e dall’agriturismo Fattoria Licia, a Villamagna. A Canzano, Cerulli Spinozzi ha previsto piccole torce elettriche per incoraggiare i suoi visitatori a perdersi tra le vigne e osservare le stelle.
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Maison Bras a Villa Majella È stato un vero e proprio commiato quello tra Arcangelo Tinari e Sébastien Bras, quando il 18 dicembre 2013 si sono unite a Guardiagrele le squadre stellate di Villa Maiella e di Maison Bras per dare vita ad un evento più unico che raro: una cena con tecniche Bras e prodotti abruzzesi. Un evento che ha insegnato, ad amici ed operatori del settore, che le strade da perseguire in cucina sono quelle della semplicità e dell’eccellenza delle materie prime, di cui l’Abruzzo, come sottolineato dagli ospiti francesi, è fortunatamente ricco. Arcangelo Tinari ha lavorato per due stagioni nella Maison Bras in Francia, riuscendo in un piccolo miracolo: far inserire la pasta nel menu del ristorante, in un Paese che di pasta, attualmente, è ultimo consumatore mondiale.
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LA CULTURA ENOGASTRONOMICA
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Inserto: Un 2013 carico di‌
c come rubriche
05 Editoriale / 07 Informazione / 12 Food design / 62 News / 64 Libro c come speciale cereali 38 Farina / 42 Produzione / 46 Pasta / 54 Birra artigianale c come vi consigliamo 08 Programma di sviluppo rurale / 14 Faber, la crisi si batte su misura/ 18 Lions Club Flaiano / 52 PastaPlanet
c come abruzzo
16 Tutela / 20 Enologo / 24 Giovanni Marrone / 28 Prevenzione / 58 Emergente
PAG 3 / SOMMARIO
I nostri più affezionati clienti.
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c come editoriale
DI CRISTINA MOSCA - DIRETTORE RESPONSABILE C COME MAGAZINE
Continueremo a raccontarvi storie Continueremo a raccontarvi storie. Quelle storie che piacciono perché parlano di crescita, di voglia di imparare, di conservare. Vi racconteremo di vite sempre più profonde, di persone che non si arrendono, di lavoratori che amano la loro terra, di esempi di umiltà di cui dovremmo vestirci ogni mattina quando ci alziamo. Vi narreremo i ritmi del sole, quando è fedele al suo tempo, le giornate si allungano e con più luce sorridiamo più spesso. I cambiamenti climatici bruschi e rigorosi della fine del 2013 hanno messo a dura prova la speranza abruzzese, e tutti ci chiediamo verso dove siamo diretti, cosa ci sta dicendo la natura, cos’è che dobbiamo fare. Per fortuna, poi, la terra da una parte toglie e dall’altra dà, e noi abbiamo scelto di raccontarvi il meglio che i campi ci offrono con uno speciale dedicato ai cereali.
Nel numero 29 di C come magazine, che avete così pazientemente atteso, parliamo di pasta, grani autoctoni, orzo, e una nuova, possibile microeconomia, quella della birra. Vorremmo che vi rimanesse la voglia di imparare ulteriormente a rispettarla, questa natura abruzzese che con tanto amore ci dà da mangiare; imparare a dare il giusto valore al lavoro che le viene dedicato; il giusto valore a noi stessi: al nostro tempo, al nostro denaro, alla nostra salute. La crisi ci finirà ad ammazzare se sceglieremo di spendere meno, anziché spendere meglio. Abbiamo un diritto all’informazione che dobbiamo esercitare, superando le polemiche sterili e i “nessuno dice che”: dobbiamo diventare un “io voglio sapere”, perché solo se conosciamo quello che mangiamo possiamo dire di conoscere un po’ di più, e quindi stare meglio con, noi stessi.
«Da una parte la terra ci toglie, dall’altra ci dà: noi possiamo solo imparare a rispettarla e a dare il giusto valore al lavoro che le viene dedicato.»
PAG 5 / C COME EDITORIALE
c come informazione
DI ROBERTO ARDIZZI, CONSULENTE SGQ
Il boom dell’agriturismo: che non sia un fuoco di paglia
La regione Abruzzo è sugli scudi, e finalmente per un dato statistico da appuntare alla giacca come una bella “stelletta di merito”: siamo la regione italiana con il maggior numero di nuove autorizzazioni rilasciate nel 2012 per l’apertura di agriturismi. Sono state autorizzate ben 162 aziende, con un saldo positivo di 59 tra iscrizioni e cessazioni, pari al 12,6% del totale nazionale. In Abruzzo, nel 2012, sono risultati attivi nel complesso 774 agriturismi, con una crescita del 6% rispetto all’anno precedente (0,3% in Italia). Il dato emerge da un report dell’Istat sulle aziende agrituristiche in Italia. Uno dei fattori che hanno contribuito a questo risultato è stato senza dubbio il recepimento della Legge quadro nazionale del 2006, che ha semplificato il procedimento amministrativo e consentito l’avvio dell’esercizio dell’attività agrituristica in modo più celere. È stata così restituita agli agriturismi “la loro natura originaria, ossia strumenti per la difesa e la valorizzazione del patrimonio naturalistico ed enogastronomico abruzzese”. Di fatto si evidenzia già da qualche anno una sorta di “ritorno alla terra”, inteso come ricerca delle tipicità delle singole province, valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche (a volte anche “nascoste”, per scelta imprenditoriale o per impossibilità legata a costi di
promozione eccessivi), riscoperta dei sapori e delle ricette “di una volta”, cucinati e serviti in location curate e ricercate. La crisi battente che imperversa ormai da un quinquennio ha favorito anche la ricerca del “conto leggero”, cioè del binomio mangiare bene/pagare poco (o il giusto), che caratterizza fortemente le offerte dei (veri) agriturismo sul territorio. Se a questi fattori aggiungiamo il grande boom del cosiddetto “Km zero” e la possibilità, in molte strutture, di avere a disposizione anche fattorie didattiche per i più piccoli, si spiega compiutamente il motivo della crescita del settore. Il primo passo è stato compiuto, è vero: tuttavia, adesso è necessario procedere alla conferma del trend anche negli anni successivi, per far sì che questi numeri non siano pura statistica né un classico fuoco di paglia. Come? Lavorando sulla comunicazione affinché sia efficace e, possibilmente, di network; offrendo un adeguato servizio di pernottamento, anche per le nuove tipologie di turisti che sempre più frequentano questi tipi di strutture; caratterizzando le proprie nicchie, evitando di ricadere nelle logiche delle strutture da “banchettistica” (cosa, tra l’altro, contra legem); e potenziando la fase dell’e-commerce.
«Semplificato il procedimento amministrativo, il ritorno alla terra è più facile: nel 2012 in Abruzzo risultano attive quasi 800 aziende agrituristiche, di cui più di 150 sono state autorizzate durante l’anno.» PAG 7 / C COME INFORMAZIONE
c come vi consigliamo
COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE
Programma di sviluppo rurale: spesi oltre 349 milioni di euro
Il presente e il futuro dell’agricoltura abruzzese. Questi i temi centrali degli incontri che la Direzione Politiche agricole della Regione Abruzzo ha organizzato sul territorio e in tutte e 4 le province. Si tratta di un’iniziativa che si inserisce all’interno del Piano di comunicazione del Programma di Sviluppo Rurale 2007/2013. «Il PSR ha un ruolo fondamentale per il comparto agricolo abruzzese – spiega l’assessore regionale alle Politiche agricole Mauro Febbo – e sarà il protagonista principale degli appuntamenti in programma, nel corso dei quali si analizzeranno risultati e prospettive. Quando si parla di scenari è necessario mettere in evidenza come siano cambiati radicalmente rispetto a quelli che si
prospettavano quando il Programma di Sviluppo Rurale, oggi ormai in dirittura d’arrivo, è stato scritto. Non si poteva certo immaginare quello che sarebbe successo a livello mondiale con la cosiddetta bolla finanziaria del 2008, diventata una vera e propria crisi economica planetaria. Inoltre, la nostra Regione è partita con un clamoroso ritardo e solo dopo il 6 aprile 2009, in seguito alla sciagura che ha segnato profondamente L’Aquila e l’Abruzzo, ha potuto mettere la propria quota di compartecipazione ai fini dell’utilizzo dei fondi europei. Nonostante le criticità trovate al momento del nostro insediamento, la Giunta Chiodi ha saputo lavorare con capacità e caparbietà, e l’Abruzzo è riuscito a centrare
c come vi consigliamo L’assessore regionale alle politiche agricole Mauro Febbo
obiettivi importanti anche nello Sviluppo rurale. A oggi, per il sistema agricolo regionale sono stati spesi oltre 349 milioni di euro (tra fondi pubblici e privati) attraverso il Programma di Sviluppo Rurale, grazie al quale sono stati realizzati interventi molto importanti: quasi 20 milioni per la Misura del primo insediamento, di cui hanno beneficiato oltre 1.200 giovani agricoltori; oltre 150 milioni per la modernizzazione delle aziende agricole e agroalimentari; e oltre 85 milioni per le Misure di tutela ambientale. Intanto, a livello regionale, stiamo lavorando sulla nuova programmazione per il periodo 2014-2020, portando avanti un’attenta analisi di quanto fatto in questo settennato che sta per
concludersi e di quanto si potrà fare per il prossimo futuro, valutando criticità passate e punti di forza». «A livello europeo – prosegue l’assessore – si vanno definendo i nuovi scenari: all’inizio di dicembre l’Europarlamento ha finalmente dato il via libera alla Politica Agricola Comune 2014-2020 attraverso la quale, per i prossimi 7 anni, il settore primario europeo potrà contare su 408 miliardi di euro che costituiscono il 38% del bilancio della Ue. Appaiono molto lontani gli anni ‘80, quando l’agricoltura pesava per oltre il 70% sul bilancio dell’Unione Europea. La parte più consistente dei fondi sarà erogata, sotto forma di aiuti diretti al reddito, agli agricoltori che si impegnano a rispettare i nuovi vincoli
Lo sviluppo rurale in Abruzzo: il presente e il futuro della nostra agricoltura ideas
solution
in
amwork
motivation strategy
Programma degli incontri ORE 16.45/19.00 16.45 Registrazione partecipanti
i t a no v
on
management
business ss e c suc
17.00 Inizio lavori e saluti 17.10 Risultati della programmazione 2007-2013 Responsabile Direzione Politiche Agricole
marketing
manager
17.30 Un caso di successo: imagination testimonianza di un
imprenditore beneficiario di una Misura del PSR
teaching
17.50 Le tendenze del settore agricolo e agroindustriale
search 18.10 Le prospettive della futura programmazione
18.30 Conclusioni e saluti Mauro Febbo, Assessore regionale Politiche agricole 19.00 Chiusura lavori L’incontro è aperto al pubblico ed è gratuito, ma per motivi organizzativi è necessario confermare la partecipazione in uno dei seguenti modi: - compilando il form sul sito www.dge.it/abruzzo - inviando una e-mail a abruzzo@dge.it - inviando un fax al n. 085 9111500 Info: Numero Verde 800 943242
Calendario incontri 2 5 9 11 13 16 13 16 20 23
Dicembre 2013 Dicembre 2013 Dicembre 2013 Dicembre 2013 Dicembre 2013 Dicembre 2013 Gennaio 2014 Gennaio 2014 Gennaio 2014 Gennaio 2014
San Benedetto dei Marsi (AQ) - Sala Consiliare del Comune, Piazza Nelio Cerasani Goriano Sicoli (AQ) - Sala Comunitaria Mark Frattaroli, Via Margherita Paolucci Canzano (TE) - Palazzo De Berardinis, Via Roma Atri (TE) - Sala Comunale, Piazza Duchi d’Acquaviva Pianella (PE) - Ristorante “Lu Piatte Calle”, Via Aldo Moro 74 (ex Via Santa Lucia) Elice (PE) - Centro Polivalente, Largo Giulio Palombi Ortona (CH) - Auditorium Sala Eden, Corso Garibaldi 1 Scerni (CH) - Istituto Tecnico Agrario “C. Ridolfi”, Via Colle Comune 1 Gessopalena (CH) - Teatro Comunale, Via Matteotti Santa Maria Imbaro (CH) - Sala Auditorium Cons. Sangro-Aventino, Via Nazionale s/n
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Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale
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c come vi consigliamo
l’Europa investe nelle zone rurali
l’Europa investe nelle zone rurali
Politiche Agricole
Realizzato con il contributo del FEASR - PSR Abruzzo 2007/2013 - Misura 5.1.1
Realizzato con il contr
ambientali a tutela del paesaggio e del benessere animale indietro risorse comunitarie. Ad oggi abbiamo centrato Fondo Europeo per lo Sviluppo Rurale INCONTRI (312 miliardi). Il resto, pari a 95 miliardi, finanzierà la il risultato positivo di + 5 milioni rispetto all’obiettivo, FEASR: L’Europa investe nelle zone rurali politica di sviluppo rurale. Al nostro Paese andranno piazzandoci al secondo posto tra le regioni italiane. Ci quasi 35 miliardi di euro, alla cui ripartizione l’Abruzzo apprestiamo a concretizzare l’importante traguardo farà sicuramente pesare la nuova posizione acquisita in ripetendo, e anzi superando, l’ottimo risultato del 2012, questi anni. Questo, non solo perché abbiamo ricoperto il quando siamo andati oltre l’obiettivo di quasi 5 milioni ruolo di coordinamento della cabina di regia permanente di euro. Questo ci permetterà di avere una posizione più L’incontro aperto al pubblico ed èrilevante gratuito, degli assessori all’Agricoltura delleè Regioni meridionali; ai fini della ripartizione dei fondi, a differenza ma per motivi organizzativi è necessario confermare non solo perché siamo tra le Regioni di transizione; ma di Lazio, Marche, Campania, Sicilia, Puglia, Calabria, la partecipazione in unodidei seguenti modi: soprattutto perché siamo riusciti a scrollarci dosso Molise, Basilicata e Sardegna, per le quali la situazione - compilando il form sul sito www.dge.it/abruzzo tutte le criticità del passato a cominciare proprio dalla appare molto insidiosa. Su queste regioni incombe lo - inviando una e-mail a abruzzo@dge.it capacità di spesa. Anche quest’anno infatti, terzo spettro del disimpegno, che rappresenta un fardello - inviando un fax al n.per 085il 9111500 anno consecutivo, abbiamo centrato l’obiettivo Info: Numero Verde 800dell’N+2 943242 molto pesante se consideriamo che a rischio ci sono ben evitando il rischio disimpegno e, quindi, di mandare 500 milioni di fondi per la futura programmazione».
SUL
Lo sv rurale
www.psrabruzzo.it
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CALENDARIO INCONTRI 2 Dicembre 2013 San Benedetto dei Marsi (AQ) Sala Consiliare del Comune Piazza Nelio Cerasani
5 Dicembre 2013 Goriano Sicoli (AQ) Sala Comunitaria Mark Frattaroli Via Margherita Paolucci
9 Dicembre 2013 Canzano (TE) Palazzo De Berardinis Via Roma
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11 Dicembre 2013
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13 Dicembre 2013
Atri (TE) Sala Comunale Piazza Duchi d’Acquaviva
Pianella (PE) Ristorante “Lu Piatte Calle” Via Aldo Moro 74 (ex Via Santa Lucia)
16 Dicembre 2013 Elice (PE) Centro Polivalente Largo Giulio Palombi
13 Gennaio 2014
Stampato su carta certificata FSC
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Ortona (CH) Auditorium Sala Eden Corso Garibaldi 1
16 Gennaio 2014 Scerni (CH) Istituto Tecnico Agrario “C. Ridolfi” Via Colle Comune 1
20 Gennaio 2014 Gessopalena (CH) Teatro Comunale Via Matteotti
23 Gennaio 2014 Santa Maria Imbaro (CH) Sala Auditorium Soc. Cons. Sangro Aventino Via Nazionale s/n
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PAG 12 / C COME FOOD DESIGN
c come food design
DI LUDOVICA PERSICHITTI - LUDOVICA.ARCHITETTURA@GMAIL.COM
Il tipico diventa souvenir Quante volte in vacanza abbiamo pensato di riportare a casa un prodotto tipico come souvenir? Il problema è che, nella maggior parte dei casi, questi alimenti non sono adatti al trasporto, vuoi per la mancanza di un packaging, vuoi per la deperibilità dell’alimento. Si potrebbe invece dare maggiore risonanza a gran parte dei prodotti tipici e delle eccellenze alimentari con uno studio che vada ad analizzare tutti gli aspetti legati alla progettazione del cibo, tra cui il packaging, la comunicazione grafica, l’esperienza sensoriale, quella emozionale e il contesto territoriale. Cito, come esempio a cui l’Abruzzo si potrebbe ispirare, il progetto che al recente concorso “Brocche 2.0” ha vinto nella categoria merchandising con la proposta “Brocche fondenti”. Si tratta di chiodi di cioccolato sopraffino che s’ispirano alla forma delle brocche: questi chiodi erano realizzati a mano dagli artigiani della Valle di Ledro (TN), i chiodaioli, e venivano realizzati per rendere più resistenti gli scarponi da montagna. Le “Brocche fondenti” partono quindi da un oggetto tipico e ne fanno un souvenir alimentare: sono progettate da tre architetti di Pescara, Monica Maggi, Pippo Marino e Giangi Caffio, e pensate per essere infilate in dessert, creme e gelati per renderli più golosi, o per essere sciolte in bocca degustando un buon rum. Si gioca sulle esperienze della tipicità, sia quella giocosa sia quella evocativa, insite nella tradizione artigianale, ma si punta a stupire anche
nel packaging e nella comunicazione grafica, studiati per essere utilizzati anche come souvenir. La semplicità vince, se abbinata a una comunicazione accattivante e a un’indovinata analisi progettuale puntuale. Un’ottima operazione di valorizzazione nella comunicazione dei prodotti tipici alimentari è stata fatta dal progetto Typuglia (typuglia.it), ideato dal designer Leonardo Di Renzo. Questo brand nasce da una selezione di specialità pugliesi prodotte da aziende che seguono ancora i metodi di preparazione tradizionali, e vi adatta un packaging accattivante e significativo, realizzato a mano. Le confezioni sono personalizzate, ecologiche e sostenibili perché realizzate in cartone, ma anche riutilizzabili in maniera creativa: la confezione dell’orcio di olio è ideata per essere trasformata in un lume da tavolo. Non mancano in Abruzzo idee creative. Elisabetta Di Bucchianico e Dario Oggiano, del marchio Arago Design (aragodesign.it), hanno pensato di reinterpretare una specialità dolciaria abruzzese, la neola (chiamata, a seconda delle zone, anche pizzella, o ferratella), riproducendone la forma e realizzandola in ceramica. “Neolaposacosa”diventa una decorazione per la tavola, su cui poggiare il cucchiaino dopo aver girato il caffè o servire piccole pietanze. Da abbinare alla neola ci sono le originali tazze e porcellane di Abruzzocreativo (abruzzocreativo.it) che sono decorate con iconografie tipiche della nostra Regione.
PAG 13 / C COME FOOD DESIGN
c come vi consigliamo
Faber Via Lungofino 155 65013 Città Sant’Angelo (Pe) Tel 085.95201 – 085.9500288 www.fabercsa.com PAG 14 / C COME VI CONSIGLIAMO / FABER
c come vi consigliamo
REDAZIONALE / FOTO_ARCHIVIO_FABER
Faber: la crisi si combatte su misura
Personalizzazione, innovazione e design. Sono queste le parole chiave di Faber, la fabbrica di arredi, sedie e tavoli portata avanti da Luciano Di Sabatino da quasi venti anni. In un momento storico in cui molte aziende sono in difficoltà, la Faber cresce e lo fa grazie a determinate caratteristiche che la contraddistinguono. «La nostra produzione si è adattata, negli ultimi anni, alle nuove esigenze dei locali – spiega il proprietario Di Sabatino – A luoghi sempre più piccoli e intimi corrisponde un’esigenza sempre più evidente di ottimizzazione degli spazi. Noi siamo riusciti a cambiare il nostro ciclo produttivo fornendo arredi su misura per tutte le necessità, con soluzioni innovative e di design». Non a caso basta portare alla Faber uno schizzo, un’immagine o persino
un’idea, e l’azienda la trasformerà in realtà, fatta tanto di prodotti personalizzati quanto di materiali di alta qualità. «Ogni creazione che Faber genera è destinata a durare a lungo nel tempo – conclude orgoglioso Luciano Di Sabatino – siamo l’unica azienda a produrre imbottiti con strutture in multistrato che risultano qualitativamente migliori e, quindi, longevi». La capacità di mantenere i prezzi competitivi rispetto a tutte le altre realtà italiane ed internazionali rende l’azienda un fiore all’occhiello del comparto industriale regionale. La Faber si sta preparando a presentare una serie di nuovi prodotti in fiera, a partire dal Sigep di Rimini per passare al Saral abruzzese, che nel mese di marzo si svolge al Centro Ibisco di Città Sant’Angelo.
PAG 15 / C COME VI CONSIGLIAMO / FABER
Brevetti nella Chimica degli Alimenti
Domande italiane di brevetto europeo pubblicate nel periodo 1999-2011: • nel complesso 565 domande, di cui 102 da parte di industrie del settore alimentare.
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Andamento marchi comunitari richiesti dall’Italia: 66.081 marchi comunitari italiani mercato europeo: • 27 Paesi; • 20.000.000 di imprese • 500.000.000 cittadini
Domande presentate nel periodo 1999-2011
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c come tutela DI MAURA DI MARCO
Contraffazione nell’agroalimentare: la cura è nel marchio
Le imprese abruzzesi masticano poco parole come marchio, brevetto, proprietà industriale ed intellettuale, eppure esse hanno la potenzialità di conferire più sapore a ciò che di buono abbiamo: il nostro patrimonio agroalimentare. Il tema è stato oggetto di dibattito ad un seminario, organizzato in primavera in Camera di Commercio a Pescara sulle opportunità disponibili per l’innovazione, la tutela e la valorizzazione dell’attività di impresa, specie nel settore del food. Sebbene le pmi rappresentino il cuore pulsante della nostra regione, esse hanno difficoltà a difendersi di fronte a dinamiche quali quelle della contraffazione: «Tutelare, invece, la proprietà industriale, significa rafforzare la propria posizione acquisendo, al tempo stesso nuovi mercati – ha spiegato Alessandro Piras del Consorzio per l’innovazione tecnologica Dintec – Sia i brevetti sia i marchi nazionali e comunitari sono, infatti, in grado di generare profitti più alti ed entrate suppletive derivanti dalla concessione di licenze o dall’assegnazione d’uso». Pochi sapranno che, a questo proposito, il Ministero dello Sviluppo economico mette in tavola due grosse opportunità da prendere al volo: la prima è costituita dal Fondo nazionale innovazione, volto a favorire l’accesso al credito per la valorizzazione ed il finanziamento di progetti innovativi basati sullo sfruttamento industriale di brevetti, disegni o modelli ornamentali; la seconda è data dal fondo perduto Marchi +, promosso dalla Direzione Generale Lotta alla Contraffazione del Ministero dello Sviluppo economico (circa 2,5 milioni di euro disponibili). Senza contare, poi, che mettere in salvo i propri prodotti significa anche avere più chance per accedere ad altri tipi di finanziamenti, cessioni od
acquisizioni di royalties. I nostri tipici agroalimentari vanno “marchiati” e registrati presso le Camere di Commercio competenti, coniugando tradizione culinaria e progresso tecnologico, il secondo a difesa del primo, considerato patrimonio per il rilancio della nostra economia. Il costo pagato per la registrazione del brand a livello nazionale, europeo od internazionale non è niente, se poi il prezzo da pagare è vedersi superati dalla bufala “blu”, il reggiano “reggino” o la chianina “carina”… a maggior ragione adesso che internet ha rotto tutte le barriere nei rapporti produttoreconsumatore, incentivando gli acquisti on line, le false dichiarazioni o l’utilizzo fraudolento di alcuni nomi. Tra i paesi leader della contraffazione, spicca, volente o nolente, la Cina, eppure ecco che cosa ha detto l’avvocato Emanuela Verrecchia, esperta del mercato dagli occhi a mandorla, intervenuta nel seminario camerale: «Per quanto riguarda le prospettive del made in Italy agroalimentare in Cina, la qualità dei prodotti italiani rappresenta un punto di forza efficace. A ciò si aggiunge il gradimento e l’immagine positiva della cucina italiana: tali potenzialità vanno sfruttate al meglio, rafforzando gli aspetti di promozione, marketing e comunicazione». I nostri produttori dovranno chiudere in dispensa i vecchi modi di fare business ed aprirsi alle novità, con coraggio e senza timore, spazzando via la falsa convinzione che siano proprio le novità ad alterare e, a volte, a guastare il sapore delle cose. Focalizzando, invece, l’attenzione sul valore immateriale dei marchi, facendo cultura di impresa e diffondendo gli strumenti di tutela, potenzierebbero il capitale che hanno tra le mani prima di darlo in pasto ai grandi colossi dell’illecito.
PAG 17 / C COME TUTELA
c come vi consigliamo
PAG 18 / C COME VI CONSIGLIAMO / LIONS CLUB FLAIANO
c come vi consigliamo
Lions Club Flaiano: fare del bene insieme L’anno sociale 2013-2014 Lions Club “Ennio Flaiano” di Pescara è stato avviato, nel mese di settembre, con un momento conviviale organizzato presso l’Osteria La Corte di Spoltore, inaugurata nel gennaio 2013 da Maurizio Della Valle e Marcello Spadone. Il presidente Stefano Iaselli, in carica da luglio 2013, ha ribadito la volontà di dedicare anche questo anno sociale ad iniziative benefiche, che siano occasione di convivialità e cultura. Un esempio per tutti, solo nel mese di dicembre, è il concerto “Amore mio crudele”, di e con Daniela Musini, per raccogliere fondi per l’Agbe. Il Lions Club Flaiano conta circa 30 soci a Pescara e provincia: il suo nome deriva da una delle associazioni benefiche che nel 1917, insieme ad altre, diede vita all’attuale Associazione di Servizio. Successivamente
fu coniato uno “slogan” utilizzando le iniziali: “Liberty, Intelligence, Our Nation’s Safety” (“Libertà, intelligenza, sicurezza della nostra nazione”). La cena che si è svolta a settembre 2013 e che ci ha visti come ospiti speciali è stata all’impronta della cucina teramana, la culla del patrimonio culinario abruzzese: dall’antipasto misto di freddi e caldi si è avuta un’anticipazione del Natale teramano, con le scrippelle ‘mbusse e i maccheroni carrati con polpettine. Cosciotto di maialino con patate al coppo e “pizza doce” hanno concluso la cena. Si può restare aggiornati sulle attività del Club tramite la pagina Facebook www.facebook.com/ LionsClubPescaraeFlaiano, e su quelle dell’Osteria La Corte su www.facebook.com/www.creaeventi.it .
PAG 19 / C COME VI CONSIGLIAMO / LIONS CLUB FLAIANO
Il futuro dell’enologia passa anche attraverso i concetti di sostenibilità e di naturalità
PAG 20 / C COME ENOLOGO
c come enologo DI LEONDINA MARULLI - FOTO_MODIV
I vini sono i volti di un territorio Sei calici, disposti su una mappa virtuale dell’Abruzzo, dalle colline teramane e chietine agli altopiani aquilani, per scendere sul livello del mare a chiudere il cerchio. Sei calici disposti su due file ordinate e pronti ad accogliere gli inviati e gli addetti ai lavori. Sei calici in attesa di essere degustati ed esaltati nelle loro qualità, che anticipano all’olfatto i sapori e gli accenti propri dei vitigni abruzzesi e delle diverse tecniche di vinificazione. Sullo sfondo, la suggestiva location dell’azienda agricola San Lorenzo, a Castilenti, in provincia di Teramo, aperta a più di 200 ospiti in occasione dei 15 anni di collaborazione con l’esperienza dell’enologo Riccardo Brighigna. A fare gli onori di casa, il titolare dell’azienda Gianluca Galasso, della famiglia Galasso-Barbone: tre generazioni di viticoltori, che hanno dato il nome al Contado che li ospita. «La presenza di Riccardo Brighigna nella nostra cantina ci ha permesso di crescere in qualità attraverso un interessante percorso di sperimentazione, senza mai perdere di vista le pratiche tradizionali della vitivinicoltura abruzzese – ha spiegato – Ha progettato lui, 15 anni fa, la ristrutturazione dei nostri 150 ettari di vigneto, con impianti nuovi». È proprio la Cantina San Lorenzo ad aprire la degustazione, con il suo Zerosolfiti bianco, anno 2012: un vino ambrato e paglierino con leggere fragranze erbacee, dal sapore persistente ed equilibrato, una buona struttura e un tenore alcolico
piuttosto elevato. «Zero solfiti, è possibile?». La domanda, inespressa da grande parte del pubblico, è pronunciata dal conduttore della degustazione, il giornalista enogastronomico Alessandro Bocchetti. Mentre gli ospiti trattengono il fiato, cercando di tradurre in sapori le note del vino, Brighigna, umbro di nascita ma abruzzese d’adozione, parla del rapporto imprescindibile tra il territorio di riferimento e la professione di enologo, un binomio necessario per esaltare i microclimi contenuti nei diversi prodotti. «Il vino racconta tutto, bisogna solo ascoltarlo. Quanto a lungo? – si chiede – Ce lo dirà solo il tempo». Istinto e sensibilità: sono queste le parole che sceglie per descrivere la sua esperienza lavorativa e di vita, iniziata nella Cantina sociale Santangelo, l’attuale Ekk Abruzzo di Città Sant’Angelo. Un istinto e una sensibilità che rendono possibile avere “Zerosolfiti”, insieme ad una macerazione di 4 mesi, durante i quali il mosto viene lasciato riposare il tempo necessario affinché avvenga il naturale rilascio di polifenoli, sostanze organiche contenute nelle bucce e nei semi degli acini dal potere antiossidante, in grado perciò di sopperire alla mancanza di solfiti. È proprio grazie alla lunga macerazione, che l’olfatto incontra la scia floreale e fruttata. Un istinto e una sensibilità, quelli della figura dell’enologo, necessari ad ascoltare la terra, esaltare le proprietà organolettiche contenute nella vite e
PAG 21 / C COME ENOLOGO
«Un enologo deve saper ascoltare la terra, esaltare le proprietà organolettiche dell’uva e cercarvi quegli strumenti che permetteranno la conservazione del vino.» cercarvi quegli strumenti che permetteranno la conservazione del vino. Eccola, la risposta alla domanda. Una professione e una passione che si traducono nel vivere quotidianamente la cantina e in cantina, andando nei vigneti per capire come interpretare l’annata, discutere con l’agronomo e cogliere gli umori del personale. Un mestiere che si costruisce con gli anni, senza protocolli di sorta, che ritroviamo nel sottile pizzico del Trebbiano Superiore 2012 della Cantina Bosco, «un vino efficace – sottolinea Bocchetti – di una Cantina storica». Fresco, con una leggera nota di mela, in grado di lasciare un leggero solletico in bocca grazie alla presenza di un residuo di anidride carbonica prodotto dalla fermentazione alcolica, che solitamente tende ad abbandonare il vino quando questo si surriscalda. Il Trebbiano della Cantina Bosco viene imbottigliato una volta l’anno, tra febbraio e marzo, e cioè prima dell’arrivo dei mesi caldi, in modo che il residuo di anidride carbonica e di fermentazione ancora presente conferisca un tocco fresco e longevo. Da Nocciano a L’Aquila il passo è breve, grazie al Pecorino “Gentile” del 2012, terzo calice sul tavolo: anche il territorio, l’Abruzzo, tiene le fila di una degustazione e di un racconto di vita che vuole andare alla ricerca delle note peculiari dei territori di provenienza, senza stravolgerli o modificarli, piuttosto esaltandone le caratteristiche autoctone. E quello aquilano è un territorio caratterizzato da una forte escursione termica, con differenze che arrivano anche ai 20/25 gradi: un
fenomeno climatico «che nel vino – spiega Bocchetti – si traduce in profumo». E il profumo è quello degli agrumi (pompelmo rosa in particolare), grazie alle uve completamente provenienti da Pecorino e vigneti coltivati sui terreni pianeggianti dell’altopiano di Ofena, in Località Piè della Grotta, esposti ad est e sud-est. Una ricerca del docente di viticoltura dell’Università degli studi di Milano, Attilio Scienza, ha dimostrato come il pecorino si esprima in maniera diversa a seconda del posto in cui viene coltivato in Abruzzo e dell’altitudine: il carattere agrumato si esprime ad altitudini elevate alle quali si deve il sapore descritto per circa l’80%. Attraversando il Gran Sasso si incontra il Cerasuolo Superiore 2012 della Cantina Strappelli, sulle colline teramane: un concentrato di profumi e di frutti. Più che una bevanda, è un nutrimento: colore rosso ciliegia intenso con delicati aromi di frutta, un gusto gradevolmente fresco, armonico e vivace. Le uve del Cerasuolo Superiore 2012 provengono da coltivazione biologica per poi essere affinate in botti d’acciaio, prima di proseguire il successivo processo in bottiglia. Il futuro dell’enologia passa anche attraverso i concetti di sostenibilità e di naturalità, un futuro di cui si riesce ad intravedere i contorni, a gustarne i sapori, a gettare le basi in una Regione che finora ha espresso il 60% del suo potenziale qualitativo e che conta territori ancora inesplorati. Da Teramo ad Ortona, “con il sole a palla e il Gran Sasso alle spalle, che non guasta”. È con un’immagine
evocativa che il giornalista Bocchetti introduce il quinto calice, il Montepulciano d’Abruzzo Plateo 2007, della Cantina Agriverde. Un profumo legnoso, di liquirizia e sottobosco, un colore rosso rubino intenso con riflessi violacei, una struttura potente dalla lunga persistenza. Un’esperienza olfattiva che riassume e descrive l’abilità dell’enologo di assecondare ed esaltare sapori e colori, «un mestiere basato sulla memoria olfattiva – ha sottolineato Brighigna – sul costante aggiornamento necessario a tenere il passo dei gusti e gli odori in memoria». Una passione che nel 2013 gli è valso il riconoscimento nazionale al Vinitaly di Verona, con la Gran Medaglia di Cangrande, come Benemerito della viticoltura italiana. Il sesto calice chiude il cerchio e con l’ultimo assaggio riporta il pubblico nel luogo di partenza, la Cantina San Lorenzo: Montepulciano d’Abruzzo Escol 2003, «un’annata torrida, difficile e complicata», ricorda il
conduttore. Il segreto dell’ultimo calice è nell’uva: un Montepulciano potente, fiero, integro, caldo e morbido, proveniente da un vigneto longevo in una zona particolarmente vocata, con terreni capaci di preservare e tramandare i sapori in bottiglia per diversi anni. Dalle note del vino si è passati a quelle del pianoforte a coda, capaci di far cadere le stelle sulla degustazione e sull’agriturismo Contado San Lorenzo, aperto agli ospiti per la cena. Si è chiuso così un viaggio estivo tra i sapori dell’Abruzzo, dal mare Adriatico ai ghiacciai teramani, voluto per celebrare le qualità dei vitigni e dei vigneti abruzzesi, ed un mestiere, quello dell’enologo, che si traduce nel rispetto delle peculiarità territoriali dei vitigni e delle personalità imprenditoriali che si incontrano. Un mestiere che disegna i confini di una Regione che ha ancora molto da offrire, da mettere in cantiere e in cantina.
I PREMI Enologo dal 1994, consulente vitivinicolo dal 1999, Riccardo Brighigna ricopre il ruolo di Direttore tecnico o consulente in 11 cantine abruzzesi: l’Azienda Agriverde di Ortona (Ch) , l’azienda agricola San Lorenzo di Castilenti (Te), l’azienda vitivinicola Bosco Nestore di Nocciano (Pe), le Cantine Spinelli di Atessa (Ch), l’azienda agricola Terra d’Aligi di Atessa (Ch), l’azienda agricola Strappelli Guido di Torano (Te), la Cantina Tollo di Tollo (Ch), Feudo Antico di Tollo (Ch), la Cantina Sociale Sincarpa di Torrevecchia Teatina (Ch), l’azienda agricola Costantini di Antonio di Città Sant’Angelo (Pe) e Gentile vini di Ofena (Aq). Vent’anni di esperienza sul campo sono riconosciuti, tra l’altro con i Tre Bicchieri Gambero Rosso per il Plateo 1998, 2000, 2001, 2004 e Solarea 2003 della Cantina Agriverde, per il Montepulciano Cagiolo 2009 e Trebbiano C’incanta 2010 della Cantina Tollo ed infine per il Montepulciano Nativae 2012 della Cantina Ulisse. Medaglia d’oro Vinitaly per il Cerasuolo 2007 della Cantina Strappelli, medaglia d’Oro “Chardonnay du monde” per lo Chardonnay Alhena 2002 della Cantina San Lorenzo, medaglia d’oro “Bordeaux” per Tolo 2004 e 2006 della Cantina Terre d’Aligi e medaglia d’Oro “Chardonnay du monde” con Pan 2003, 2006 e 2008 della Cantina Bosco.
Strangozzi alla Borbonica
c come Giovanni Marrone
DI CRISTINA MOSCA / FOTO_MARIO SABATINI
Tradizione, ricerca e… mattità Quando Giovanni Marrone ha scelto Pescara, nel 1980, per avviare la sua attività di ristorazione, un po’ di mondo lo aveva visto già, perché era di ritorno da un anno e mezzo passato a Londra a lavorare in un ristorante italiano e conoscere quella che oggi è sua moglie Christine. Nel 1980 corso Manthoné era una caotica strada asfaltata, con traffico in direzione mare-monti, tante case vecchie e tutte abitate: rispetto alla sua piccola Cermignano, gli sembrò l’America: pieno di opportunità e di cose da conoscere. «Ci piaceva essere aperti alle influenze europee – spiega – Il primo successo? Avere a cena anche giovani donne non accompagnate da uomini: in quegli anni era un’attestazione di fiducia». Giovanni Marrone ha aperto “Taverna 58 – Spuntini, bar e colazione” al numero civico 58 di Corso Manthoné, insieme a Rino Saturni, oggi segretario dell’associazione provinciale cuochi di Pescara. Nel 1986 “Taverna 58” è diventata solo ristorante, e nel 1992 ha cominciato ad organizzare i primi corsi di degustazione di olio extravergine di oliva, miele e di scoperta delle erbe officinali, con la collaborazione del professore Solinas, di Gianni Faieta e di Filippo Torzolini. «Ero sempre più curioso dei prodotti abruzzesi – spiega Giovanni Marrone – e ho cominciato a girare la regione, per conoscere anche chi li fa. Tutto è cambiato quando ho riportato il cacio marcetto da Campo Imperatore, intorno agli anni ’90, quando non lo conosceva praticamente nessuno. Presto abbiamo dato vita ad una cucina tradizionale molto personale: versatile, a tratti stravagante (da qui le… mattità), ma sempre rispettosa della materia prima e della sua storia. Ora mi piace rafforzare l’identità territoriale: la memoria si conserva anche tramite il cibo». Dal 2000, Taverna 58 si è trasferita di pochi metri verso piazza Unione, ma la squadra è pressoché la stessa da oltre 25 anni, come testimonia la foto del 1987 che è stampata dietro il menu. I due piatti che pubblichiamo sono il più storico, dell’85, e il più recente, del 2012. «I pastori in transumanza sacrificavano la pecora in età avanzata – spiega Giovanni Marrone – Veniva spezzata grossolanamente e poi cotta a lungo in un caldaro (cotturo) con acqua e le erbe aromatiche che si trovavano lungo il tragitto. Noi la proponiamo in versione “addomesticata”: sgrassiamo la carne a coltello prima della cottura, utilizziamo solo i pezzi di magro e la cuciniamo a fuoco dolce con erbe aromatiche dai profumi del tratturo. Il piatto alla Borbonica è la rievocazione del vitto domenicale dei carcerati nel Bagno penale di Pescara, a cui veniva aggiunta una razione di cioccolato». La mano è sempre la stessa dal 1986: è quella del cuoco Giuseppe Marro, affiancato da Domenico Di Stefano, Elsa Notarfranco e Lello Di Silvestre, il cui lavoro è valorizzato in sala da Gino Iannone, Francesco Torsi e dallo stesso Giovanni Marrone. PAG 25 / C COME GIOVANNO MARRONE
Strangozzi alla Borbonica
Ingredienti per 4 persone: 500 g strangozzi (spaghetto quadrato di pasta ottenuta con acqua e farina), 200 g di pancetta cubettata, 4 cucchiai da cucina di olio buono, 2 spicchi di aglio rosso, 1 foglia di lauro, 1/2 litro di latte, 1 quadrato di cioccolato fondente, un po’ di peperoncino piccante. In casseruola, rosolare a fuoco dolce aglio con olio e peperoncino; aggiungere il latte, lauro e il cioccolato già franto. Addensare a fuoco lento, controllare di sapore e filtrare. In una capiente padella rosolare la pancetta cubettata: quando ben croccante, toglierla e versare al suo posto la pasta appena scolata e ben al dente. Condire con abbondante salsa al cioccolato e tirare la pasta a giusta densità . Servire in piatto fondo con finitura di pancetta croccante.
C COME FRATELLI DI TILLIO
Pecora della transumanza al tegame Ingredienti per 4 persone: 1 Kg di polpa di pecora sgrassata, 20 g sale grosso e acqua sufficiente a ricoprire la carne; bacche di ginepro, chiodi di garofano, aglio rosso, peperoncino, timo, lauro, rosmarino, salvia. Portare a bollore l’acqua con gli aromi, poi spegnere, lasciare che diventi tiepida e poi versarla sulla carne. Lasciare a marinare per una nottata, dopodichÊ scolare la carne, rosolarla in tegame e aggiungere un po’ alla volta il liquido di marinatura. Cucinare a fuoco lento, per circa 3 ore. Lasciare riposare, e infine sgrassare eliminando tutta la parte grassa che affiora in superfice. Servire su patate e ortaggi di stagione.
PAG 27 / C COME GIOVANNO MARRONE
Solo tra alcune stagioni conosceremo la reale portata dei danni portati dalle forti piogge e dalla nevicata di fine 2013
PAG 28 / C COME PREVENZIONE
c come prevenzione
DI CRISTINA MOSCA / FOTO_ AA.VV
Il clima sta cambiando (e adesso che si fa?)
È questione di senso di responsabilità. «Gli agricoltori sono vedette del territorio che hanno il dovere di dire quello che vedono, sia se le cose vanno bene, sia se vanno male; anzi, soprattutto quando vanno male. Non si può dire se sarà un’ottima annata addirittura prima della vendemmia, come invece viene riportato spesso, perché in realtà è impossibile stabilirlo così presto; tantomeno si possono ignorare le anomalie nel clima». Questa conversazione avveniva a settembre 2013 con Francesco Paolo Valentini, l’erede dell’azienda secolare di Loreto Aprutino, che da più di tre anni combatte la sua naturale ritrosia per le luci della ribalta e si è fatto portavoce di un modo di pensare e di vedere di cui si comincia a sentire la mancanza: il profondo ascolto del territorio. Era da parecchi mesi che ci proponevamo di parlare dei cambiamenti del clima, ma i violenti fenomeni atmosferici che hanno flagellato l’Abruzzo alla fine di novembre e all’inizio di dicembre 2013 ci hanno dimostrato che stavolta dovevamo proprio affrettarci. Il fatto. La nevicata smisurata e precoce del 26 novembre portata dalla perturbazione “Attila”, secondo la prima stima effettuata dalla Coldiretti e dagli uffici del Consorzio di Tutela dei vini d’Abruzzo ha abbattuto viti per una superficie totale che si aggira intorno ai 2700 ettari, prevalentemente nelle province di Chieti (Fara Filiorum Petri, Casacanditella, Bucchianico, Roccamontepiano,
Vacri, Orsogna e Poggiofiorito) e di Pescara (Città Sant’Angelo, Alanno, Rosciano, Cugnoli, Catignano, Loreto Aprutino), con Castilenti, Atri e Silvi per la provincia di Teramo e Vittorito per la provincia de L’Aquila. Il problema ha avuto vasta risonanza anche grazie alla denuncia dell’azienda Valentini: la neve ha buttato a terra circa 25 dei 60 ettari di vigneto. Da una prima stima, solo la metà di questi 25 ettari sembra, in parte, recuperabile. «Il problema non è la neve – scrive il giornalista Alessandro Bocchetti su spaghettijunction.it, il 27 novembre – ma la neve adesso, con le foglie ancora sulle pergole e poi a seguire un vento impetuoso, su una terra bagnata. Le pergole diventano vele che raccolgono il vento, il terreno bagnato dagli acquazzoni incessanti fa il resto… Vengono giù!». Le ancore delle vigne, viene spiegato sul blog, erano sotto un terreno molle per i 500 mm di pioggia caduta in tre giorni (a Pescara ne cadono mediamente 600-700 in un anno), perciò non sono riuscite a trattenere i paletti di cemento che reggono le pergole abruzzesi. La testimonianza. Quella di Valentini è un’azienda secolare, recente protagonista di una verticale storica di Montepulciano, realizzata per Bibenda a dicembre (in lista c’erano anche vini di 130 anni). In virtù di questa “anzianità di servizio”, può fornire dati che in pochi possiedono. Che “non ci sono più le mezze stagioni” e che in autunno inoltrato si
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Alcuni spiegano il cambiamento climatico come oscillazione ciclica, altri parlano di effetto serra. Ma il primo passo verso la soluzione è ammettere il cambiamento, perché l’uomo è sicuramente parte in causa
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I cambiamenti climatici degli ultimi 1000 anni di Gian Battista Mazzoni
Si pensi che, durante il Grande Caldo Medievale, tra il Mille e il 1100 furono possibili gli insediamenti vichinghi in Groenlandia e che i passi alpini erano liberi, tanto da permettere il tranquillo transito da parte degli eserciti e dei commercianti. Studi della vegetazione fossile hanno individuato in quel periodo una lunga serie di estati alpine praticamente equivalenti a quella di caldo storico del 2003: i ghiacciai erano ridotti al minimo o quasi completamente scomparsi, ci furono grandi episodi di siccità in Italia e nei Paesi Mediterranei, e le cavallette invasero il vecchio Continente a più riprese, spingendosi fino all’Ungheria o addirittura fino alla Scandinavia. Durante la Piccola Età Glaciale, di contro, il quarantennio 1560-1600 fu probabilmente uno dei periodi peggiori che il clima europeo abbia mai sperimentato negli ultimi mille anni: gli inverni divennero rigidissimi, con frequenti gelate dei grandi fiumi europei e mediterranei. Addirittura gelò il mare a Marsiglia, per cinque volte. Le rilevazioni ufficiali giornaliere dell’attività solare sono iniziate nel Seicento, grazie ai primi telescopi: un astronomo, Maunder, scoprì che in quel periodo le macchie solari erano pressoché assenti o ridotte a numeri bassissimi. Durante il periodo compreso tra il 1660 ed il 1710, denominato “Minimo di Maunder”, nel 1709 si sperimentarono temperature glaciali come -21°C a Parigi, - 17°C a Venezia e probabilmente -30°C in Val Padana, con effetti deleteri sulla popolazione arborea e il gelo completo di gran parte degli alberi di alto fusto. Il clima poi si mitigò temporaneamente fino al 1740, quando di nuovo gli inverni tornarono rigidi, e le estati capricciose. Durante la Piccola Età Glaciale, le primavere e le estati divennero sempre più fredde, piovose e tardive; le date delle vendemmie in Europa Centrale si spostarono gradualmente da settembre verso ottobre, o addirittura a novembre, mentre per la persistenza del maltempo la coltura della vite era progressivamente scomparsa dall’Inghilterra già da un paio di secoli. Il culmine della Piccola Età Glaciale è stato raggiunto tra il 1800 ed il 1850, forse per un nuovo minimo dell’attività solare Nel 1814 si svolse a Londra l’ultima “Fiera sul Ghiaccio”, sul Tamigi congelato; del 1816 è l’Estate europea più fredda di sempre e nel 1828-29 le strade di Bologna raggiunsero i due metri di neve. Il Riscaldamento Globale viene annunciato negli anni Trenta e Quaranta del 1900, quando si toccò un primo picco di caldo mondiale: i ghiacci polari e montani si ridussero ai minimi termini, eppure, allo stesso tempo, tra il 1940 ed il 1947 un periodo di inverni rigidissimi colpì l’Italia ed in Europa, quasi coincidenti con gli anni della Seconda Guerra Mondiale: mentre le altre tre stagioni erano caldissime e siccitose, il clima invernale colpiva duramente gli eserciti in battaglia, mentre nel 1947 nevicate record seppellirono per mesi le Isole Britanniche. Dopo un ultimo periodo caldo nei primi anni Cinquanta, le stagioni cominciarono a deteriorarsi, ed i durissimi inverni del 1956 e del 1963 furono i prodromi di un raffreddamento climatico che, a fasi alterne, interessò tutte le stagioni europee, provocando una nuova avanzata glaciale negli anni Settanta ed i primi anni Ottanta, nonché tre rigidissimi inverni consecutivi, tra il 1985 ed il 1987.
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potrebbe andare tranquillamente ancora al mare è ormai sotto gli occhi di tutti: ma un conto è andare a memoria, un conto è vederlo provato, nero su bianco. «Abbiamo documenti che risalgono all’inizio del 1800, che attestano i ritmi dei riti contadini – ci ha spiegato Francesco Paolo Valentini – Secondo i nostri prospetti, dal 1817 agli anni ‘60 si è sempre vendemmiato intorno alla seconda metà di ottobre. Dalla fine degli anni ’70 al 2010, invece, la vendemmia del Montepulciano si è spostata dalla metà di ottobre alla seconda decade di settembre: nel giro di appena trent’anni ha subito un’anticipazione drastica, di quasi un mese. Sembriamo avere a che fare, ormai, con un clima subtropicale, che arriva a picchi di 38, 39 gradi, e che provoca un anticipo anomalo sulla maturazione zuccherina dell’uva, lasciando incompleta la maturazione fenolica». Nel 2013, quindi, si è parlato di vendemmia ritardata, ma in realtà, se ritardo c’è stato, è semplicemente calcolato rispetto alle anomalie degli ultimi decenni. Il risultato? «Ora come ora, in natura, la perfetta armonia tra la maturazione fenolica e zuccherina non si raggiunge più, e non so se si tornerà mai ad ottenerla – spiega Francesco Paolo Valentini – L’artigiano del vino lavora essenzialmente in vigna. Le piante possono essere “educate”, ma fino ad un certo punto». A noi la domanda nasce spontanea: stiamo andando incontro ad un mutamento climatico irreversibile? E chi si salverà? L’attività solare è più debole. Giovanni De Palma ha condotto studi di Scienze ambientali e in geologia ed è presidente dell’associazione Abruzzometeo. Spiega che le teorie sui cambiamenti climatici sono diverse, e che molte convergono verso il fenomeno ciclico delle oscillazioni climatiche: «Secondo una corrente di pensiero, tutto dipende dall’attività solare, che a sua volta è periodica. Quando l’attività solare è al minimo, come in questi ultimi anni, l’irraggiamento diminuisce di alcuni Watt per metro quadro, raffreddando così sensibilmente il clima terrestre.Se, da una parte, abbiamo la circolazione d’aria che tende a raffreddarsi, dall’altra è stato constatato uno spostamento verso l’emisfero settentrionale della fascia subtropicale di alta pressione che, fino a 30 anni fa, si fermava sulla Tunisia. Il risultato è che le prime, inevitabili perturbazioni particolarmente fredde trovano PAG 33 / C COME PREVENZIONE
un mare caldo, terreni siccitosi e una natura non ancora “addormentata”, perché in Europa la temperatura è stata alta, stabile e duratura». Alcuni astronomi vedono un legame tra il clima globale terrestre e l’attività solare. Tre grandi “ere” climatiche sono state individuate negli ultimi mille anni: il cosiddetto Grande Caldo medievale, tra l’850 ed il 1200 d.C.; una Piccola Età Glaciale dal 1300/1550 (le teorie sono due) fino al 1850; e il Riscaldamento Globale, che caratterizza la nostra epoca e che per alcuni è dovuto anche all’effetto serra. «Alla luce di queste oscillazioni, è stato pronosticato un futuro non più caldo per via dell’effetto serra, bensì molto freddo a causa di un sole debole – spiega l’esperto di clima Giovan Battista Mazzoni, della provincia di Lucca
– L’ultimo ciclo solare, i cui massimi si stanno verificando in questi mesi, si presenta piuttosto tenue e, nel numero di macchie solari, in linea con quelli riscontrati alla fine dell’Ottocento». Il riscaldamento globale. A partire dal 1850, dapprima lentamente, poi con decisione, il clima si riscaldò e i ghiacciai alpini, che nelle loro vallate avevano invaso pascoli, terreni, acquedotti e strade anche per 3 Km, “rientrarono” ai loro posti. In Italia e in Europa continuarono ad alternarsi fasi più calde e fasi più fredde, con una lenta ma continua tendenza al riscaldamento. Tra il 1880 ed il 1895 si ebbe una recrudescenza di freddo, poi il clima tornò mite e poi di nuovo freddo tra il 1910 ed il 1920, quando i ghiacciai alpini riconquistarono in parte le posizioni perse nei 70
I fenomeni violenti sono prevedibili nell’arco di 72 ore; la possibilità di neve un paio di giorni, quella di grandine un paio di ore prima. PAG 34 / C COME PREVENZIONE
anni precedenti. «Il 1988 fu, per così dire, un anno della svolta – continua Mazzoni – con le temperature italiane e mondiali che cominciarono a salire inesorabilmente verso un “picco” che venne raggiunto in due occasioni: nel 1998 e nel 2005 (in Italia, in particolare, nel 2003). Negli ultimi anni questo aumento termico si è arrestato e, malgrado l’aumento costante dei gas serra introdotti nell’atmosfera, non solo le temperature globali sono rimaste stazionarie per quasi un decennio, ma alcuni episodi invernali molto rigidi si sono riaffacciati alle nostre latitudini, tanto da far presupporre il ritorno di un periodo molto rigido indipendente dall’effetto serra. La questione è ancora ampiamente dibattuta, e solo i prossimi decenni potranno dirci chi aveva ragione».
L’effetto serra. «Senza dubbio, in questo cambiamento una parte in causa l’uomo ce l’ha, per le sue azioni sconsiderate nell’industrializzazione e nella deforestazione – spiega Giovanni De Palma – ma è impossibile stabilire quanta responsabilità, di fatto, abbia, perché non possediamo dati da mettere a confronto tra presente e passato. Si possono solo fare teorie». L’opinione scientifica sul cambiamento del clima, secondo l’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico), è che, dalla fine del XIX secolo, la temperatura globale media è aumentata tra gli 0,6 e gli 0,2 °C e che la maggior parte del riscaldamento osservato durante gli ultimi 50 anni è dovuta all’uomo. Ogni anno vengono liberate nell’atmosfera circa 25
Manutenzione ordinaria e straordinaria del terreno, riconversione, adeguamento tecnologico, riqualificazione dei corsi d’acqua possono aiutare ad affrontare i prossimi anni.
miliardi di tonnellate di CO2, mentre il pianeta riesce a riassorbirne meno della metà con la fotosintesi clorofilliana. Questa alterazione del ciclo del carbonio è problematica non solo per la sua entità, quanto per la sua velocità: le sue oscillazioni naturali hanno sempre causato i cicli plurimillenari delle glaciazioni. Il problema è comprendere e prevedere con quali conseguenze il pianeta riuscirà ad adattarsi a questo velocissimo aumento di anidride carbonica, la cui concentrazione oggi è di circa 380 parti per milione (ppm) e aumentando di circa 2 ppm l’anno, mentre nel XVII secolo era di 280 ppm. Il protocollo di Kyoto. Il primo passo da compiere, ad ogni modo, è la consapevolezza: «Come i soldati in prima linea in battaglia, gli agricoltori sono i più indifesi – commenta Francesco Valentini – Il nostro rischio d’impresa è sempre stato costituito dalle condizioni atmosferiche: la sola alternativa è cambiare mestiere. L’unica reale difesa è l’accettazione dello stato di fatto, riflettere noi e far riflettere chi ci circonda, affinché la cura e la tenacia dell’artigiano si vedano anche da queste difficoltà. E poi, cominciare a trattare meglio il pianeta: ormai
sembra banale dirlo, ma non possiamo più permetterci di inquinare, sprecare e invadere la natura. Dobbiamo essere onesti: prima con noi stessi e poi con chi vive insieme a noi». Il trattato internazionale sottoscritto a Kyoto nel 1997 prevedeva che, nel periodo 2008-2012 (prorogato al 2020), i Paesi industrializzati riducessero le emissioni di elementi inquinanti come il biossido di carbonio ed altri cinque gas serra, tra cui metano e ossido di azoto, rispetto a quelle registrate nel 1990. La Conferenza Onu non è riuscita a perseguire gli obiettivi che si era prefissata: adesso si viaggia tutti verso un accordo universale sui cambiamenti climatici che coinvolga tutti i Paesi a partire dal 2020, da adottare entro il 2015. Inoltre, il libro bianco Clima-Energia 2030, adottato di recente dalla Commissione europea, secondo Legambiente rappresenta una retromarcia preoccupante e pericolosa, rispetto agli impegni assunti finora dall’Europa: per contenere il riscaldamento globale sotto i 2°C, si dovrebbe puntare alla riduzione delle emissioni di gasserra di almeno il 95%, al 2050. Cosa ci aspetta. Sì, ma nel frattempo che si fa? «Anche il Rapporto 2012
Una breve panoramica dei danni Il 29 novembre 2013 la Regione ha fatto richiesta dello stato di calamità naturale: se venisse riconosciuta, l’assessorato alle politiche agricole avrebbe accesso a fondi PSR utili agli indennizzi. Per ora sappiamo che è stata messa a disposizione una parte dei fondi per l’espianto di vigne, e che è in corso la conta dei danni. Sono stati colpiti tanto i semplici produttori di uva, per i quali le vigne erano le principali fonti di reddito, quanto le aziende vitivinicole. Da una breve panoramica sappiamo che in provincia di Pescara la società agricola Perrucci di Catignano ha perso 36 ettari, l’azienda Marramiero a Rosciano ne ha denunciati 10 del vigneto storico, mentre qualcun altro si sente miracolato, come Cristiana dell’azienda Tiberio a Cugnoli: «Le nostre vecchie pergole di Trebbiano e Montepulciano sono salve per una serie di circostanze fortunose, come la posizione (in cima ad un altopiano) e il tempismo (siamo riusciti a liberarle subito dal peso della prima neve). Bastava però guardarmi intorno per vedere, sullo stesso appezzamento, nel giro di pochi metri, vigneti rovinati a terra». Sempre nel Pescarese, è ancora Valentini, a Loreto, a raccontare: «Da quando sono nato, è la terza volta che vedo la neve buttare giù le vigne: prima alla fine degli anni ‘70, poi nel 1998. Ma mai l’ho vista di questa densità, così collosa, così pesante. Avevo già fatto la prepotatura, con una neve “normale” le piante avrebbero retto. La portata dei danni la potremo ipotizzare solo alla ripresa vegetativa delle viti che sono state rialzate, e conoscere realmente tra alcuni anni: ma i danni in termini di produzione, quelli nessuno li risarcisce». In provincia di Teramo, l’azienda agricola San Lorenzo, a Castilenti, lungo il Fino, ha dovuto far fronte prima all’allagamento di alcuni ettari e poi all’abbattimento di altri, causa neve, sui terreni più scoscesi, quelli più indeboliti dalla pioggia. «Dovremmo sederci ad un tavolo con le istituzioni e avere la possibilità di elencare PAG 36 / C COME PREVENZIONE
dell’Agenzia Europea dell’Ambiente “Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012 - An indicatorbased report” prevede che nei prossimi decenni l’Europa, ed in particolare la regione del Mediterraneo, subiranno impatti particolarmente negativi dei cambiamenti climatici – spiega Giovanni De Palma – che faranno del Mediterraneo una delle aree più vulnerabili d’Europa. In sostanza, ci troveremo sempre di più di fronte a fenomeni violenti come quelli a cui abbiamo assistito nel 2013 e passaggi bruschi tra una stagione e l’altra. Riscontreremo innalzamenti eccezionali delle temperature medie e massime, soprattutto in estate, una diminuzione delle precipitazioni annuali medie e dei flussi fluviali, e più frequenti eventi meteorologici estremi, come ondate di calore, siccità ed episodi di precipitazioni piovose intense, con conseguente possibile calo della produttività agricola e perdita di ecosistemi naturali. Ricordiamo ancora come la nevicata del febbraio del ‘12 sia stata paragonata a quella del ‘56: il clima è ciclico, e la perturbazione Siberiana ciclicamente ritorna. Può essere utile sapere, comunque, che i fenomeni violenti sono prevedibili nell’arco di 72 ore; la possibilità di neve un paio di giorni, quella di grandine un paio di ore prima».
Adattamento e mitigazione Nel 2011 il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) ha pubblicato il libro bianco “Sfide ed opportunità dello sviluppo rurale per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici”, e nel 2013 l’ISPRA gli ha fatto seguito con le linee guida per la mitigazione del dissesto idrogeologico, che hanno, tra l’altro, l’obiettivo di contrastare il degrado dei suoli e di contenere fenomeni di dissesto quali erosione e frane superficiali, ad esempio attraverso opere di manutenzione ordinaria e straordinaria del terreno, riconversione, adeguamento tecnologico, riqualificazione dei corsi d’acqua. Secondo queste linee guida, adattamento e mitigazione non sono in contraddizione tra di loro, ma rappresentano due aspetti complementari della politica sui cambiamenti climatici. «Senza azioni efficaci di mitigazione pianificate in tempo utile, l’entità delle conseguenze sarà tale da rendere l’adattamento più costoso ed anche, in certi casi, inefficace – spiegano le stesse linee guida – L’adattamento non dovrà essere in contraddizione con gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, ma dovrà operare in maniera congiunta con essi».
i danni nel dettaglio – sostiene Gianluca Galasso, dell’azienda San Lorenzo – Un primo contatto lo abbiamo ricevuto, tempestivo, con la promessa di prendere provvedimenti, ma sappiamo già che non basterà: abbiamo bisogno che il dialogo resti vivo». Problemi con l’acqua li ha avuti anche l’azienda Contesa di Collecorvino: l’alluvione e l’esondazione del Pescara del 2 e del 3 dicembre ha danneggiato seriamente il punto vendita “Enoteca Naturalmente vino” in viale Pepe a Pescara (zona stadio), con 15 cm di acqua in negozio e 20 in magazzino, rovinando irrimediabilmente bag-in box, materiali di confezionamento e cartoni di vini di altre aziende, anche pregiati. Nell’Aquilano la storica Cantina Pietrantonj a Vittorito si è vista a terra i suoi unici tre ettari di vigneto allevato a tendone, di cui forse riuscirà a recuperare solo una piccola parte: «Umanamente è un colpo al cuore: erano vigneti di quasi 40 anni ma ancora in piena produttività – spiega Alice Pietrantonj – Siamo a circa 400 metri di altitudine, siamo abituati alla neve, ma questo è stato un fenomeno decisamente anomalo, anche perché l’autunno è stato mite anche in altura e le foglie non erano ancora cadute. Le piante non erano pronte a sostenere quel carico pesante di neve». Dopo il sisma del 2009, l’azienda ha perso l’agibilità di alcune proprietà, di una struttura rurale e della cantina storica, dov’è custodita un’antica cisterna rivestita di mattonelle di Murano: nessuno la può più visitare da cinque anni, ma la bella notizia è che i lavori di ripristino sono partiti. «Le piante a terra ferite e compromesse saranno sostituite, e le strutture di sostegno andranno ripristinate – spiega Valentina Di Camillo, di Tenuta I Fauri (Chieti) – Questo comporterà costi elevatissimi per i viticoltori. La nostra azienda è tra le meno colpite, anche se, come è accaduto agli altri, anche da noi la potatura era iniziata da poco e le vigne erano ancora cariche di foglie e di legno, che non hanno retto al peso della neve. Bisogna tornare a parlare di clima, di ambiente: la natura è tanto forte e generosa, quindi va rispettata e tutelata». PAG 37 / C COME PREVENZIONE
Valide alternative alle farine comuni sono quelle provenienti dagli autoctoni grano Solina e farro.
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c come farina
DI NICOLA SALVATORE – DIRETTORE DIDATTICO PIZZA SCHOOL TV
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Non sceglietela solo raffinata
La farina, così come recitano i vocabolari della lingua italiana e la legislazione in materia, è “il frutto della macinazione della cariosside (chicco) del grano, scartando quelle parti che costituiscono i cruscami”. Tutti i costituenti inorganici dei cibi sono classificati come ceneri, sebbene alcuni di essi possano essere volatilizzati. Essi contengono i minerali essenziali al mantenimento della vita: fra i più importanti troviamo il calcio, il cloro, lo iodio, il ferro, il fosforo, il potassio, il sodio e lo zolfo. E così, in base al loro contenuto in sali minerali (ceneri o cruscami), le farine si distinguono in tipo 00 (con contenuto di ceneri inferiori allo 0,50%); tipo 0 (con ceneri fino ad un massimo di 0,65%); tipo 1 (con ceneri fino ad un massimo di 0,80%); e tipo 2 (fino ad un massimo di 0,95%). PAG 39 / SPECIALE CEREALI / C COME FARINA
La farina 00 rappresenta molto spesso l’ingrediente base più comunemente usato in numerose preparazioni, sia casalinghe sia industriali, ma è anche la più raffinata tra le farine in commercio. A seguito di tutti i processi di raffinazione che subisce, perde purtroppo gran parte del proprio contenuto nutritivo, con particolare riferimento al germe contenuto nei chicchi, ricco di aminoacidi, sali minerali e vitamine del gruppo B ed E. Il Professor Franco Berrino, ex direttore del Dipartimento di medicina predittiva e per la prevenzione dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e consulente della Direzione scientifica, ha messo in luce l’esistenza di effetti negativi derivanti dall’impiego abituale di farina 00 in un regime alimentare. Si ha a che fare con un aumento della glicemia e con il conseguente incremento dell’insulina: questo fenomeno, nel tempo, porta ad un maggior accumulo di grassi depositati e ad un indebolimento generale dell’organismo, rendendolo maggiormente esposto nei confronti delle malattie. Tumori inclusi. Anche senza voler essere troppo catastrofici, è opportuno variare la nostra dieta con altre tipologie di farine, perché di alternative ce ne sono tante: per la loro ricerca o acquisto è meglio ricorrere a farine di produzione artigianale acquistate nei piccoli molini (quelli che mi sento di segnalare, per diretta conoscenza dei loro prodotti e
titolari, sono le “Terre del Tirino” di Capestrano e il “Molino Cappelli” di Moscufo), o addirittura macinarsele in casa con appositi apparecchi. Le alternative più valide sono quelle con un contenuto più alto di ceneri, ossia la farina integrale (tra 1,40% e 1,60%). Ricordiamo però che le ceneri, o crusca, non sono nient’altro che le bucce dei chicchi di grano, e, come tutte le bucce, trovandosi all’esterno assorbono la maggior parte di pesticidi, anticrittogamici, ferro, piombo, metalli pesanti... Scegliendo quindi farine integrali provenienti da produzioni biologiche garantite, eviteremo di assumere tutti questi elementi gravemente nocivi per l’organismo umano. L’offerta abruzzese permette al consumatore di orientarsi verso i cereali antichi, preferendo in modo particolare quelli biologici (più possibilmente a km 0), perché hanno più probabilità di essere privi delle influenze industriali del Dopoguerra, che hanno provocato un danneggiamento del germe e sono spesso causa di allergie e incentivazione della celiachia. Uno dei cereali antichi che merita attenzione, autoctono della nostra regione, è il solina, particolare tipo di grano tenero coltivato in alcuni Comuni montani della provincia dell’Aquila, localizzati all’interno del territorio del Parco Nazionale del Gran Sasso. È caratterizzato
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da un colore chiaro e da un forte profumo di montagna: ha lunghe reste divaricate e una proverbiale resistenza ai parassiti e agli agenti atmosferici, tanto che riesce a produrre anche in alta montagna, oltre i 1300 m di quota. Le prime testimonianze scritte relative alla produzione del solina in Abruzzo sono ricondotte ad un atto notarile rogato nel XVI secolo, nella media vallata del Sangro, relativo proprio all’acquisto di una partita di questo frumento. Secondo l’Atlante dei prodotti abruzzesi, la sua frugalità rende il solina adatto alla coltivazione con i metodi dell’agricoltura biologica, in quanto non richiede elevati apporti di azoto e, grazie alla sua taglia ed alla sua capacità di accestimento, riesce a competere con le erbe infestanti, non rendendo così necessario il ricorso al diserbo chimico. In tutto l’Abruzzo interno, quando si parla di grano (le rène, lo rano), si intende il Solina. Un’altro antico tipo di frumento, coltivato e utilizzato dall’uomo come nutrimento fin dal neolitico, che viene spesso associato a coltivazioni biologiche, è il farro (farro medio o dicocco), distinto anche in farro piccolo o monococco e grande o spelta, anche discretamente coltivato nella nostra regione. Rientrato in uso negli anni ’90, il farro ha riacquistato un posto d’onore nelle coltivazioni locali perché riscoperto adatto sia per il pane, sia per la pasta: è ricco in fibre e in magnesio ed
è molto digeribile. È in grado di fornire produzioni costanti anche in ambienti agricoli marginali, come molte zone interne e pedemontane. Il farro, in particolare, è un rimineralizzante perché contiene calcio, fosforo, sodio, potassio e magnesio, ed è un ottimo antiossidante. Svolge un’azione ricostituente, è antianemico grazie a ferro, manganese e rame, ed è un emolliente intestinale. Pare che ci sia un nuovo “rinascimento” in corso per il mercato delle farine, in tempi di recessione economica e di “spending review”: in parte per via del loro gusto e salubrità, in parte per il fiorire di programmi televisivi e blog dedicati alla cucina, viene di gran lunga preferito il “fatto in casa” anche per il contributo che dà al risparmio per il bilancio familiare rispetto ai prodotti già pronti o a una cena fuori casa. Nei primi 6 mesi del 2013, il segmento della vendita delle farine biologiche e integrali è cresciuto di circa il 10% in volume e di quasi il 20% in valore. Un dato positivo, certo, ma dobbiamo guardarci bene da alcune farine che si dichiarano integrali o semi integrali e che vengono invece rese tali dal mixaggio di farine di frumento tenero raffinate “0” o “00” con aggiunte variabili di sola crusca. Per fortuna il trucco è facilmente smascherabile se si osserva la data di scadenza: se è a breve termine, la veridicità dell’etichetta è pressoché assicurata.
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Macinazione, impastamento, gramolatura, trafilatura, essiccazione sono le fasi principali della produzione di pasta.
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DI ROBERTO PARISIO – FOTO: ALESSANDRA DI LUCA
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Quando la vogliamo fare secca
L’alimento più importante della cucina italiana è senza ombra di dubbio la pasta: siamo un popolo di veri e propri degustatori di questo cibo, specialisti di migliaia di formati, indefessi gourmet di tante ricette tramandate dalla nonna o rielaborate da chef di prestigio internazionale. Luca De Luca e le sue cugine, Alessandra ed Irene, accettano da farmi da Cicerone in questo loro mondo, accogliendomi nella sede di Chieti Scalo (CH) del Pastificio Fratelli De Luca srl. La prima grande sorpresa è quella di trovarmi di fronte ad una delle aziende storiche nel settore della produzione di paste alimentari secche in Abruzzo, con un’esperienza di cinque generazioni che parte dalla metà dell’Ottocento, con l’attività molitoria, per proseguire, dal 1901, come pastificio vero e proprio. L’azienda produce sia per conto terzi che a marchio De Luca: quest’ultimo copre ormai quasi il 30% delle 6mila tonnellate annue di produzione. PAG 43 / SPECIALE CEREALI / C COME PRODUZIONE
«Lo sforzo di investimento dei piccoli produttori sulla qualità viene ricompensato da una fetta sempre più grande di consumatori che sono attenti a quello che mangiano».
«La qualità non è solo quella prodotta – spiega Luca De Luca – ma anche quella percepita dal consumatore. I principali test di qualità della pasta secca devono evidenziare una buona tenuta di cottura (elasticità), un buon sapore, una capacità di mantenere l’amido ed un buon tenore di proteine». Nell’immaginario dei buongustai e degli esperti di enogastronomia si parla da anni di filiera corta o certificata, del made in Italy, di qualità come tipicità. Ma questi concetti come si applicano alla pasta? Alessandra mi spiega che per la legislazione di settore non è obbligatorio certificare in etichetta la filiera di provenienza degli approvvigionamenti di materie prime, in primo luogo del grano duro, perché, non dimentichiamolo, quasi tutta la pasta secca italiana si produce con questa materia prima: «Ciò che è veramente importante – aggiunge – è la certificazione organolettica della fornitura di grano rilasciata dal fornitore su esplicita richiesta del committente. La certificazione di qualità che posseggono molte aziende di produzione, la cosiddetta ISO9001, riguarda più il processo produttivo che il prodotto pasta». Le caratteristiche organolettiche del grano dipendono dalla ricchezza di sostanze azotate (proteine), e queste ultime dipendono dalle tecniche di coltivazione. Le grandi coltivazioni estensive diffuse all’estero (Canada, Paesi dell’Est) consentono quelle rotazioni agrarie che, ogni sei/sette anni, a loro volta arricchiscono i terreni delle necessarie sostanze nutrienti. Da questo punto di vista, «non bisogna pensare che la produzione di pasta con grani importati dall’estero non sia di qualità – mi dice Luca – e neanche disconoscere l’esistenza di terreni italiani particolarmente vocati. Dobbiamo solo tenere conto del fatto che è impossibile effettuare analisi chimiche sul grano o sulla pasta per rilevarne la provenienza: la filiera può essere tracciabile solo a livello documentale. Parlare di filiera corta ed esercitarla realmente, a conti fatti è solo questione di serietà aziendale». Come si fa. Da 100 Kg di grano duro si ottengono, attraverso la
macinazione, circa 70 Kg di semola e circa 30 Kg di sottoprodotti, destinati prevalentemente all’industria di mangimi; da 100 Kg di semola di grano duro si ottengono circa 88 Kg di pasta. La pasta è preparata esclusivamente con impastamento di semola, mescolata al 20-30% con acqua (che dovrebbe essere poco dura e fredda), in modo da formare il glutine e idratare l’amido. Attraverso la gramolatura, l’impasto viene poi lavorato per ottenere la giusta consistenza. La fase successiva è quella della trafilatura, dove l’impasto viene forzato attraverso un cilindro con vite senza fine (la pressa) con la forma voluta: alcuni coltelli tagliano la pasta della lunghezza desiderata. Le trafile possono essere in bronzo (ottone) o in teflon: con le trafile in bronzo la pasta risulta più ruvida, anche se la porosità resiste poco alla bollitura dell’acqua. «La qualità del prodotto finale – sottolinea Luca – dipende più dalle materie prime utilizzate, che dal tipo di trafilatura». L’ultima fase del processo produttivo è l’essiccazione, la cui durata dipende dalla temperatura. In linea di massima, una temperatura di essiccazione molto alta abbatte i costi di produzione; al contrario, una temperatura medio bassa aumenta i costi di produzione, ma preserva maggiormente le caratteristiche organolettiche. Non è mai stato fissato un parametro sulla temperatura di essiccazione, ma generalmente per quella a bassa temperatura parliamo di una temperatura inferiore a 55 gradi, con tempi di essiccazione che vanno oltre le 24 ore e anche fino alle 60. «Abbiamo scelto di mantenere una produzione con ciclo in continuo, unita alle basse temperature di essiccazione – spiega Luca De Luca – per ottenere così un prodotto costante che permetta anche di declinare la pasta in formati speciali, come zite, candele, lumaconi e paccheri». Il concetto alla base dell’essiccazione a bassa temperatura è ricalcare la pratica degli antichi pastai dell’essiccazione all’aperto e dare origine ad una pasta più vicina all’artigianalità, che mantiene preservate le sue qualità organolettiche e, a differenza delle paste industriali, rilascia la giusta quantità di amido per creare il legame con tutti i condimenti, anche i più acquosi.
PAG 45 / SPECIALE CEREALI / C COME PRODUZIONE
ÂŤIl consumatore ha il diritto di essere informato, in etichetta, circa la provenienza dei grani che sono stati usati per la pasta che sta per acquistareÂť.
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c come pasta FOTO_MODIV/AA.VV.
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La sfida del made in Italy
Tutto nasce da un’esigenza: il diritto all’informazione. Portabandiera di questa battaglia è la squadra ValentiniVerrigni, che nel 2010 ha lanciato il progetto della pasta a filiera completamente italiana. Il pastificio Verrigni di Roseto, già Antico pastificio rosetano, ha prodotto una serie limitata di pasta (circa 1200 quintali), di diversi formati, lavorando il grano San Carlo dell’azienda agricola Valentini, di Loreto: la provocazione è voler informare il consumatore sull’intera filiera di un pacco di pasta, visto che il marchio made in Italy può essere applicato anche su un prodotto che in Italia viene completato, o anche solo assemblato. Il 3040% della semola utilizzata per la pasta italiana viene, invece, dall’estero, per un semplice motivo: nella nostra penisola c’è poco spazio adatto alla coltivazione e alla rotazione di grandi quantità di grano. «Se si smettesse di importare il grano estero ci sarebbe una riduzione della produzione del 40%», ha dichiarato due anni fa Vincenzo Divella al Sole 24 Ore, quando la Forestale decretò inopportuno il tricolore del suo marchio. PAG 47 / SPECIALE CEREALI / C COME PASTA
Nel 2013 sono nati un’Accademia e un Ordine dedicati ai maccheroni alla chitarra, il piatto più rappresentativo d’Abruzzo.
Ecco che sulla serie di pasta “made in Italy” prodotta dalla squadra Verrigni-Valentini è riportata l’esatta provenienza del grano e persino l’anno di trebbiatura, importante come per il vino l’anno di vendemmia: e siccome viene rispettato il riposo del terreno della coltivazione triennale, sulla confezione del 2012 (trebbiatura 2011) si dà già appuntamento alla trebbiatura 2013. La scatola, a questo punto, a pieno diritto propone il tricolore, e ogni edizione riporta sul retro una comunicazione diversa al consumatore, che come tema comune ha lo slogan “Viva l’Italia” e, come firma, Francesco Paolo ed Elena Valentini e Gaetano e Francesca Verrigni. Questo diritto all’informazione del consumatore troverebbe un canale molto importante, visto che, come ricordato dalla Cia, di pasta l’Italia è il primo produttore mondiale (3,3 milioni di tonnellate annue), il primo consumatore (26 kg a persona) e il primo esportatore (1,9 milioni di tonnellate). Gli italiani rimangono i maggiori consumatori mondiali, con una netta preferenza per la secca (22 chili a testa) rispetto a quella fresca (4 chili); seguono, ma a notevole distanza, Venezuelani, Tunisini e Greci. In tema di pasta secca, ci sono novità meritevoli e gratificanti per i maggiori produttori di pasta industriale d’Italia, che guarda caso attingono dalla stessa acqua abruzzese: quella del fiume Verde a Fara San Martino. Parliamo delle aziende De Cecco e Del Verde. Alla De Cecco, nella giornata conclusiva di Food&Book, Festival della cultura gastronomica svoltosi a Montecatini lo scorso novembre, è stato assegnato il premio FoodCult, ritirato da Marco Camplone, responsabile delle relazioni esterne (alla sua sinistra, nella foto, l’editore Sergio Auricchio; a destra, il giornalista Bruno Gambacorta). Già alla fine di ottobre l’azienda era stata protagonista della manifestazione CookingXArt a Roma come main sponsor, non solo con pasta e olio ma anche nei workshop “Variazioni di pasta e parmigiano” e “La pasta a lezione con un grande chef”, tenuti rispettivamente da Marco Martini, vincitore di Chef Emergente 2013, e Daniele Usai. Il pastificio si è fatto anche promotore del Premio Miglior Piatto di Pasta, che è stato consegnato allo chef stellato Francesco Apreda, del ristorante Imago dell’hotel
Hassler di Roma, per la ricetta “Capellini n. 9 De Cecco aglio olio e peperoncino, con anguilla affumicata e cacao amaro”. Il pastificio Del Verde, invece, ha iniziato il 2013 con investimenti promozionali all’estero, di cui abbiamo già raccontato, e ha lanciato un progetto innovativo: il “Pasta Sommelier”, un format studiato e promosso per educare i consumatori a riconoscere una pasta di elevato livello qualitativo, tramite un vero e proprio “protocollo di degustazione” che tocca tutti e quattro i sensi, per un’analisi visiva (prima, durante e dopo la cottura); tattile (prima e dopo la cottura); olfattiva (prima, durante e dopo la cottura) e gustativa (dopo la cottura), guidata da precise scale colorimetriche, scale degli aromi e così via. Parlando di pasta fresca, qualcosa si sta muovendo intorno ai maccheroni alla chitarra, che evidentemente è all’unanimità considerato il piatto più rappresentativo dell’Abruzzo, anche se non esiste solo in una versione (e in un condimento). Nello stesso anno, nel corso del 2013, gli sono stati dedicati un Ordine e un’Accademia: in aprile è stata presentata l’Amaca, Accademia dei Maccheroni alla Chitarra; in ottobre ha fatto il suo debutto l’OCMC, l’Ordine dei Cavalieri dei Maccheroni alla Chitarra. Dell’Ordine sappiamo che è un’emanazione dell’Unione Cuochi Abruzzesi e che per il 17 febbraio 2014 è in programma la prima cerimonia per il conferimento dei titoli di Cavaliere a chi abbia dimostrato una congrua attività profusa alla diffusione della cultura gastronomica abruzzese. Il Direttivo cambierà ogni anno, e per ottobre 2013 – ottobre 2014 è presieduto da Peppino Tinari del ristorante Villa Maiella. Consiglieri: Antonio De Sanctis, vice presidente Unione Cuochi Abruzzesi (UCA); Andrea Di Felice, presidente Unione cuochi abruzzesi (UCA); Domenico Di Nucci, presidente Associazione cuochi Valle del Sangro; Lorenzo Ferretti, presidente associazione cuochi Teramo; Leo Giacomucci, presidente onorario UCA; Lorenzo Pace, presidente associazione cuochi Pescara; Leonardo Seghetti, gastronomo e docente di chimica e trasformazione dei prodotti; Marcello Spadone, chef di cucina; segretario Cristina Mosca, direttore responsabile di C come Magazine.
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Cotta (scolata e non condita - su uno sfondo latteo) Colore: CAMPIONE A Lucente o Opaco o
5
1
Assaggiare
CAMPIONE B Lucente o Opaco o
Nervatura interna (presenza di amido non completamente gelatinizzato): CAMPIONE A Assente o Definito o Indefinito (maggiore su un lato e meno su un altro) o CAMPIONE B Assente o Definito o Indefinito (maggiore su un lato e meno su un altro) o
Toccare Cruda (accarezzandola con le dita umide) Al tatto: CAMPIONE A Ruvida o Porosa o CAMPIONE B Ruvida o Porosa o
6
Liscia o
Lascia le dita impolverate o
Liscia o
Lascia le dita impolverate o
Cotta (porre una pressione con le dita) Al tatto: CAMPIONE A Poco elastica o Abbastanza elastica o Poco collosa o Abbastanza collosa o CAMPIONE B Poco elastica o Abbastanza elastica o Poco collosa o Abbastanza collosa o
Molto elastica o Molto collosa o Molto elastica o Molto collosa o
Scheda di degustazione della pasta Cotta (scolata e non condita) Scala dei parametri: CAMPIONE A Elasticità Poco o Abbastanza o Molto o
CAMPIONE B Elasticità Poco o Abbastanza o Molto o
Scivolosità Poco o Abbastanza o Molto o
Scivolosità Poco o Abbastanza o Molto o
Durezza Poco o Abbastanza o Molto o
Durezza Poco o Abbastanza o Molto o
Ruvidezza Poco o Abbastanza o Molto o
Ruvidezza Poco o Abbastanza o Molto o
Omogeneità Poco o Abbastanza o Molto o
Omogeneità Poco o Abbastanza o Molto o
Adesività Poco o Abbastanza o Molto o
Adesività Poco o Abbastanza o Molto o
Ammasso Poco o Abbastanza o Molto o
Ammasso Poco o Abbastanza o Molto o
Tenacia Poco o Abbastanza o Molto o
Tenacia Poco o Abbastanza o Molto o
Condire e…divertirsi!
Abbina ora la tua pasta al sugo che preferisci…e condividila con chi vuoi!
Se partendo dal colore della pasta pensiamo al “colore del grano”, noteremo che ogni estate l’Abruzzo si impegni in numerose rievocazioni della trebbiatura, valorizzandone il significato di festa che questa pratica contadina aveva. A luglio 2013 anche noi siamo stati alla rievocazione enogastronomica organizzata dalla Delegazione di Chieti dell’Accademia Italiana della Cucina presso l’agriturismo “Caniloro” di Lanciano. Un’atmosfera gioiosa e allegra come un sospiro di sollievo. «Se un raccolto andava male, era la disperazione: non ci sarebbe stato nulla da mangiare – ha spiegato la professoressa Adele Cicchitti, antropologa e studiosa delle tradizioni popolari – Perciò la trebbiatura era vissuta un po’ come la fine di una gestazione. Tramite la mietitura, che con la falce simboleggia la fine, avveniva un nuovo inizio: il grano, la farina, il pane, la vita». E mentre sotto il sole di luglio avvenivano la tresca, la concia e la macinatura del grano, a ristoro veniva servita la rimbrenna: pizza scima, fagiolini e patate, ventricina con pomodoro ad insalata, peperoni arrostiti, checocce, patane, pallotte cace e ove, finocchietti e una bevanda di altri tempi, acqua, vino e limone. Una sorta di merenda
CAMPIONE A................................................................................. CAMPIONE B.................................................................................
LE 5 “FUN ACTION” DEL DEGUSTATORE DI PASTA Annusare Cruda (all’interno del pacco appena aperto) Scala degli aromi: CAMPIONE A Farina o Semola o Bruciato o CAMPIONE B Farina o Semola o Bruciato o Odori estranei: CAMPIONE A Plastica o Cartone o Farina o CAMPIONE B Plastica o Cartone o Farina o
Mollica di pane o Tostato o
Crosta di pane o
Mollica di pane o Tostato o
Crosta di pane o
Fermentato o Abiti vecchi o Garza o
Vecchio o Impasto umido o
Fermentato o Abiti vecchi o Garza o
Vecchio o Impasto umido o
a metà mattina, visto che si iniziava a mangiare alle 6 con la “stozza”, ossia uno spuntino con pane e prosciutto o pane e ventricina. A pranzo, seduti ad un tavolo imperiale tra gli spaventapasseri e gli ulivi, abbiamo riassaporato il menu della trescatura: gnucconi con sugo di papera muta, rentrocelo al sugo di castrato, pollo soffritto con frattaglie, insalata e cetrioli e infine cetrone e vernacòchele, pizzelle e spumette, accompagnate da vino cotto. «Praticamente si passavano ore a mangiare», ha commentato divertito il simposiarca Mario Del Zoppo. Come racconta Francesco Stoppa in “Il cuore della rondinella”, curato insieme all’associazione Donne in campo per la Cia di Chieti e pubblicato dalla Cannarsa nel 2013, “ai macchinisti era riservato un posto e un mangiare più raffinato e abbondante. Si iniziava a trebbiare in una nuvola di polvere e pula che ti chiudevano la vista e la gola. Gli uomini, a squadre, si davano il cambio al massimo ogni ora, specie quelli ai covoni e alla paglia. (…) A fine lavoro gli uomini si lavavano (spartanamente) al pozzo o alla pompa, si cambiavano la maglia di lana (se ne portava un cambio) e si sedevano alla lunga tavola, preparata sull’aia”. E il nuovo ciclo della vita poteva ricominciare.
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Intorno alla trebbiatura ruota una tradizione enogastronomica che parla di fatica e di gioia. E di vita che ricomincia.
PAG 51 / SPECIALE CEREALI / C COME PASTA
PAG 52 /C COME VI CONSIGLIAMO / PASTAPLANET
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Un pianeta di pasta Durante la 28esima edizione della rassegna dedicata all’enogastronomia Mediterranea, organizzata dalla Camera di Commercio di Pescara dal 26 al 28 luglio 2013, si è svolta l’edizione zero di PastaPlanet. Organizzata dall’associazione S.A.L.E. e finanziata dal Polo Agire e dalla stessa Camera di Commercio di Pescara, la manifestazione è durata tre giorni ed è stata dedicata al mondo della pasta. L’ex Cofa è stato allestito per l’occasione dalla designer Claudia Ciccotti, con una notevole esposizione di grani antichi. Per tre giorni si sono susseguiti show cooking da una media di 300 spettatori a sera, con picchi di 500, facendo registrare un totale che ha sfiorato quasi le 1.200 presenze all’interno del contenitore di Mediterranea, che ne ha registrate oltre 7 mila, con oltre 200 incontri B2B. Nella staffetta ai fornelli si sono avvicendati volti noti della gastronomia italiana, come Chef Bartolo, della rubrica di Uno Mattina “L’Abc in cucina”; Daniele Persegani, chef della trasmissione Sky “Casa Alice”; Nicolino Di Renzo, dell’ “Hostaria del Pavone” di Vasto, più volte ospite della rubrica del Tg5 “Gusto”. «L’edizione zero di Pastaplanet - spiegano il presidente del polo Agire Salvatore Di Paolo e il suo amministratore delegato Donato De Falcis - ha visto lo svolgimento di due diversi momenti: uno scientifico, aperto al confronto tra esponenti del mondo accademico, dell’imprenditoria
e delle Istituzioni; e uno dedicato alla degustazione di pasta, offrendo agli spettatori la possibilità di apprendere, divertendosi, ricette e segreti». Ripartire, quindi, da quello che gli altri vorrebbero avere, ma non hanno, per rilanciare l’economia del territorio, come spiega Filiberto Mastrangelo, presidente di S.A.L.E. e inventore del format: «Il nostro modus vivendi, la nostra natura, i nostri prodotti unici, inimitabili ma ancora poco conosciuti e riconosciuti, devono contribuire a creare finalmente un brand Abruzzo Quality of Life, con cui veicolare il nostro territorio fatto di eccellenze». Tra i momenti salienti di Pasta Planet c’è stato Pasta kids, curato dalla Rustichella e dedicato ai piccoli studenti della scuola “Orizzonti” di Pianella; ed è stato conferito ill Premio Abruzzo Pasta Planet allo chef di Sky Daniele Pergolesi. Una speciale giuria, composta da giornalisti, critici enogastronomici, imprenditori, politici e persone scelte tra il pubblico, ha giudicato i piatti preparati dai giovani cuochi emergenti abruzzesi che si sono formati presso l’istituto alberghiero De Cecco di Pescara, sotto la regia della professoressa Enza Liberati. Hanno ricevuto il Premio Master Chef Pasta Planet, la prima sera Serana Colantoni, la seconda sera Bruno Camplone e l’ultima sera Andrea Perfetti, che ha anche guidato tutta la giovane brigata di cucina, Gabriele Centorame e Mattia Santurbano.
PAG 53 / C COME VI CONSIGLIAMO / PASTAPLANET
Il consumo pro capite di birra artigianale annuo in Italia ha raggiunto quello del vino: non abbiamo a che fare con un fenomeno modaiolo, bensì con una vera e propria opportunità. Il luppolo migliore è di importazione, ma siamo pronti per cominciare a studiare una filiera corta e contraddistintiva della birra artigianale abruzzese.
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c come birra artigianale
DI CRISTINA MOSCA / FOTO_MODIV
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Quella abruzzese non esiste, ma la possiamo creare
Il colpo sarà duro, per gli appassionati di birra artigianale: non solo a livello merceologico in Italia la categoria non è ancora né riconosciuta né tutelata, ma quella abruzzese non esiste. Non esiste, semplicemente perché non è fatta interamente con ingredienti abruzzesi, e perché in Abruzzo non c’è una tradizione storica ad essa legata, salvo un birrificio industriale a Castel di Sangro negli anni ’20, una presenza di produzioni famigliari fino ai ’40 e un brewpub aquilano alla fine dei ’90. Al momento, la birra artigianale è una miscela sapiente, una cottura tecnicamente avanzata di determinati ingredienti: alcuni di loro li si riesce a recuperare dal territorio, come l’acqua e parte dei cereali, ma quello che più la caratterizza a livello organolettico, cioè il luppolo, è sempre stato, necessariamente, di importazione. PAG 55 / SPECIALE CEREALI / C COME BIRRA ARTIGIANALE
Il punto di forza delle migliori birre artigianali prodotte in Abruzzo è nell’acqua, che le costituisce fino al 90%: c’è chi, pur di avere l’acqua più adatta, sta spostando il suo stabilimento a Fara San Martino, più vicino alla fonte del fiume Verde, lo stesso che alimenta i rinomati pastifici lì insediati. Una forte componente è data dai cereali (orzo, saragolla, farro, cereali antichi) e da altri ingredienti, fino anche ad una ventina, come miele, mosto di frutta, castagne, deliziosamente caratterizzanti il territorio… ma c’è un elemento che dal 1500 resta imprescindibile, ed è il luppolo, che attualmente viene sempre importato dalla Germania, dall’Europa o dal Nord Italia, con prezzi che variano dai 13 ai 40 € al Kg. Un fenomeno in crescita. È stato rilevato che il consumo pro capite di birra artigianale annuo in Italia ha raggiunto quello del vino: 37 litri a testa. Questo significa che non abbiamo a che fare con un fenomeno modaiolo, bensì con una vera e propria opportunità. In Abruzzo abbiamo osservato una crescita esponenziale di birrifici, nel giro di due solo anni: questo vuol dire che, in vista del 2015, stiamo approssimativamente per raddoppiare il dato dell’attuale produzione media annua di un milione di litri di birra. L’orzo, una chiave per la filiera corta. I birrai più affezionati al territorio hanno personalizzato il loro prodotto così fortemente, che in questo momento sono le più “abruzzesi” (sempre luppolo escluso) e le più apprezzate in circolazione. Il segreto è, come accade in cucina, nel bilanciamento degli ingredienti e nella fantasia utilizzata nello sceglierli. Il primo ingrediente che può privilegiare la filiera corta è l’orzo, il cui consumo, da parte dei birrifici abruzzesi, si aggira intorno alle 50 tonnellate annue. A memoria di adulto, fino agli anni ‘60 l’orzo era coltivato ad uso animale; è un cereale distico, robusto, che cresce a tutte le latitudini e si presta ad essere seminato in qualsiasi periodo dell’anno, per poi essere utilizzabile nel giro di 9/10 mesi: «Lo sforzo da parte degli agricoltori o degli eventuali birrifici agricoli per coltivarlo sarebbe minimo – precisa l’agronomo Leonardo Seghetti – perché per il fabbisogno del potenziale consumo abruzzese basterebbe una coltivazione di orzo equivalente a un centinaio di campi di calcio». Con questo vogliamo dire che l’Abruzzo è pronto a
sfruttare e potenziare il fenomeno birra per arricchire le microeconomie locali, e ad affiancare alla già più che ottima produzione di birre artigianali, già consacrata in ambito nazionale, una produzione tutta regionale, a filiera corta, su cui si può cominciare a lavorare a partire dall’orzo. Quelli che non lo sono già potrebbero diventare birrifici agricoli, o gli agricoltori potrebbero aggiungere coltivazioni che conferirebbero, nel giro di due anni, una notevole impronta territoriale alle birre artigianali già esistenti. Anche gli agricoltori o i vignaioli potrebbero, inoltre, pensare di cavalcare quest’onda fornendo mosto di vino, come sta già accadendo in alcune collaborazioni tra vignaioli e birrai. Il luppolo, croce e delizia al cuor. Per quanto riguarda il luppolo? Per questa pianta distica, infestante e resistente, che è ingrediente fondamentale per la birra, che destino possiamo prevedere? «In Abruzzo non c’è mai stata una domanda tale da incoraggiarne lo studio, ma adesso ce ne sono i giusti presupposti – spiega Leonardo Seghetti – È una pianta che si adatta molto facilmente e ha bisogno di un clima pedemontano, con forti escursioni termiche, e di acqua, tant’è vero che, ad esempio, cresce spontanea nella Val Pescara e i contadini ci condivano, abitualmente, le frittate. Il fatto è che non sappiamo come reagirebbero, nel nostro territorio, i diversi rizomi abituati a crescere in altre parti d’Italia e d’Europa: bisognerebbe mettersi a studiare quali principi amari e componenti aromatiche svilupperebbero qui, e occorrerebbe, soprattutto, del tempo». È parere comune, ad ogni modo, che per sviluppare una varietà adatta ci vorrebbe innanzitutto un dialogo tra agricoltori, birrai, istituzioni e università. Potrebbero volerci anche quindici anni, dicono. Qualcuno di recente si è avviato verso questa sperimentazione, ma non può essere lasciato da solo, anche perché, come testimoniano i birrai, la coltivazione del luppolo è a metà fra la trebbiatura e la vendemmia, e richiede macchinari impegnativi, che magari si potrebbero condividere con altri agricoltori o birrifici agricoli. Il Polo della birra artigianale di Spoltore. Se ci si incamminasse verso una conoscenza ragionata del luppolo, saremmo a buon punto quando il progetto del Polo della birra artigianale presentato lo scorso autunno
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a Spoltore diventerà realtà. Un gioiello di ambizione e di speranza, che è stato presentato dal Comune di Spoltore alla presenza, tra gli altri, del sindaco Luciano Di Lorito, dell’assessore al commercio e alle attività produttive Chiara Trulli, e dei tre birrai promotori del progetto, che – unica esperienza in Italia – con le loro attività insistono nei 36 Km quadri del territorio comunale di Spoltore, cioè Jurij Ferri di Almond ’22, Arrigo De Simone di Desmond e Marco Leardi di Birra Leardi. Testimone di eccellenza della filiera corta è stata Francesca Petrei Verrigni, dell’omonimo pastificio di Roseto. All’idea del Polo si affianca il primo Spoltore Beer Festival organizzato nel centro storico dall’associazione Birrabruzzo e Comune di Spoltore, dal 31 luglio al 3 agosto 2014. Il Polo della birra artigianale si pone come obiettivo diventare il punto di riferimento regionale dello sviluppo di questo prodotto, che vada a includere anche tutti gli altri birrifici, come i più longevi Opperbacco di Notaresco e
Birrificio Maiella di Casoli, in modo da convergere, nel giro di pochi anni, nella realizzazione di un micromalteria in Abruzzo e accorciare sempre di più la filiera produttiva della birra artigianale. «Con una micromalteria in loco – spiega Jurij Ferri, che per primo in Abruzzo, nel 2003, ha iniziato a imbottigliare birra rifermentando in bottiglia – non solo potremmo avvicinare alle nostre sedi le operazioni di stoccaggio, germinazione, essiccazione e maltazione, ma si potrebbero fare altre operazioni utili all’economia regionale, come produrre fiocchi d’orzo, caffè d’orzo, frutta essiccata…». Vedi mai che fra venti anni avremo una birra artigianale nuova, particolare, dalle peculiarità tutte abruzzesi e forse proprio per questo nuovo motivo di orgoglio del comparto agroalimentare? (Per questo articolo ringraziamo anche i non citati Luigi Recchiuti, Monica Di Fabio e Gino Primavera)
Una nuova era: ma attenzione a chi ne fa una moda consumistica di Giovanni Angelucci, coordinatore regionale guida birre d’Italia Slow Food
Il fenomeno birra artigianale non accenna a rallentare. Corre e cresce quasi senza controllo. Ovunque in Italia continuano ad aprire microbirrifici, nascono a cadenza ormai quasi regolare nuove beer firm. Ad oggi in Italia si contano più di 500 laboratori di produzione per un totale di oltre 3000 etichette a disposizione, tra luci e qualche ombra. I produttori di birra artigianale sono aumentati a livello esponenziale negli ultimi anni, ma cerchiamo di capire quanto e come. Le prime produzioni in Italia sono da ricondurre a metà degli anni ’90, quando nascono le prime realtà destinate a durare nel tempo: dieci anni fa erano una quarantina, nel 2006 circa duecento, oggi molte di più. Troppe? No, però è necessario tenere ben presente il significato di artigianalità che non sempre (e spesso accade) vuol dire qualità. In questo sommario quadro generale si apre la finestra sull’Abruzzo, regione che vanta una consolidata costanza qualitativa negli anni. Le birre artigianali rappresentano l’ultima frontiera della tipicità abruzzese, dietro ogni etichetta non compaiono imprenditori ma professionisti che hanno investito la passione di sempre (tutti si dilettavano con la birra fatta in casa), i loro saperi, e risparmi. I primi passi vengono mossi agli inizi del 2000 fino ad arrivare al 2008, data importante in cui nascono quei birrifici che contribuiranno poco dopo a consolidare la realtà birraia nella nostra regione. Al momento sono 16. L’Abruzzo si presenta come culla di grandi mastri birrai e terra di interessanti materie prime con cui creare birre meravigliose. Il fenomeno birra artigianale non è mai stato così fertile come ora. È longevo e ha ancora tantissimo da regalarci. Prima o poi il mercato si saturerà, è naturale, ma non lo vedo un rischio imminente. Piuttosto il rischio è che si permetta a questo affascinante mondo, che vive di propria anima (ancora pura), di venire contagiato da chi ne fa una moda consumistica: birrifici che spuntano come funghi e che, con la stessa velocità con cui nascono, spariscono, ma che nel frattempo incidono sull’alta reputazione di cui godiamo. Questo è il rischio. Per evitarlo, se non si è degli esploratori di lungo corso in questo settore, l’unica possibilità è assaggiare, parlare con i birrai e farsi un’idea. Dentro ogni bicchiere c’è un territorio a cui teniamo, una storia che ci appartiene, un’artigianalità da conoscere e tutelare.
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Crema di zucca con gocce di pecorino
di Sabatino Lattanzi Ingredienti per 4 persone: mezza zucca da 1,5 kg; 2 patate belle grosse; uno spicchio di aglio; un porro; mezza cipolla rossa; una fogliolina di salvia; un rametto di rosmarino; un peperoncino piccolo; una noce di burro; 50 ml di latte; 50 gr di pecorino; brodo vegetale; un cucchiaio di olio extravergine di oliva; guanciale; germogli d’aglio; crostini al rosmarino. Soffriggere salvia, rosmarino, aglio, porro, peperoncino in una pentola alta con il burro e l’olio. Una volta soffritti gli odori, aggiungere la zucca e le patate pulite e tagliate precedentemente a cubettoni, aggiungere un pizzico di sale, il brodo vegetale caldo e coprire con un coperchio. Lasciar cuocere per circa 30 minuti. Per le gocce di pecorino: in un pentolino sciogliere il pecorino con il latte. Passare in forno per 3 minuti a 200 gradi il guanciale, tagliato a fettine sottili, e con del pane al rosmarino fare i crostini croccanti in forno per tre minuti a 200 gradi. Una volta cotta la zucca, frullarla per bene con l’aiuto di un Bimby, adagiare la crema su un piatto fondo e completare con delle gocce di pecorino fuso una manciata di crostini al rosmarino, una cialda croccante di guanciale e qualche germoglio d’aglio.
PAG 58 / C COME EMERGENTE
c come emergente
DA ABRUZZOWEB.IT - CCOMEBLOG / FOTO_MODIV_WITALY
La dose di rischio A settembre 2013 siamo stati a Firenze perché abbiamo preso parte anche per questa edizione alla giuria di selezione per “Chef Emergente del Centro Italia 2013”. La gara è organizzata ormai da alcuni anni da Witaly, realtà gastroculinaria di Lorenza Vitali e Luigi Cremona. L’Abruzzo quest’anno è approdato alla selezione con ben tre rappresentanze: Mario Ciano, l’allora primo cuoco del Ristorante “Ninì” di Montesilvano Colle; Guido Angelucci della “Vineria Ciavolich” di Miglianico; e Sabatino Lattanzi, del ristorante “Zunica 1880” di Civitella del Tronto. La bella notizia è che Sabatino Lattanzi ha passato la sessione legata ad Umbria-Marche-Abruzzo, puntando sulla tradizione (spaghetti, alici e pecorino); l’altra bella notizia è che i nostri ragazzi hanno imparato molto sulla dose di rischio che un cuoco della nuova generazione dovrebbe assumersi. Luigi Cremona, patron e conduttore della
manifestazione, ha infatti ripetuto a più riprese che ciò che dà identità al lavoro di un cuoco è la capacità di inventiva: di unire estro e disciplina per seguire il suo intuito culinario, anche a costo di rischiare. A distinguersi realmente, tra gli aspiranti, è stato infatti chi si è sporto verso il rischio con cognizione di causa e soprattutto di tecnica; chi ha proposto abbinamenti inaspettati, inusuali bilanciamenti di consistenze, accettando di incorrere nell’eventualità di sbagliare. Ai nostri occhi, in particolare, tra tutti i partecipanti c’è stata solo una differenza: maggior confidenza con il rischio da parte di chi aveva un ristorante in proprio o era abituato ad assumersi la piena responsabilità della propria libertà creativa, rispetto a chi era abituato a lavorare da semplice esecutore. Può sembrare la scoperta dell’acqua calda, ma chissà che non sia vera la storia che un ristorante è un gioco di squadra, e che come tale ha bisogno di fiducia reciproca tra tutti gli attori e i giusti spazi tra di loro.
Ciò che dà identità al lavoro di un cuoco è la capacità di unire estro e disciplina, a costo di rischiare. PAG 59 / C COME EMERGENTE
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di Mario Ciano Ingredienti per 4 persone: 300 g di piselli freschi, ½ cipolla piccola, olio, sale, 6 pomodori ramati maturi, 320 g di pasta Verrigni, 100 g di ricotta maritata all’erba cipollina. Per la crema di piselli: affettare finemente la cipolla e stufarla in una casseruola con olio extravergine di oliva, unire i piselli appena sgranati e farli cuocere per pochi minuti a fiamma alta con un bicchiere di acqua. Fuori dal fuoco frullare con un mixer, aggiustare di sale e passare il composto con un setaccio fine. Per la salsa di pomodoro, portare a bollore abbondante acqua, immergere i pomodori e dopo qualche minuto spellarli completamente, tagliarli a spicchi poi privarli della gelatina interna e dei semi. Frullare le falde appena il tempo di ottenere una polpa morbida e lasciarla scolare per una notte in un colino. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata per 5 minuti, finire la cottura per 2 minuti in padella con l’acqua di vegetazione dei pomodori, scolati durante la notte con olio. Servire la pasta in un piatto da portata piano, la salsa di pomodoro fresco e la crema di piselli disposti in maniera casuale. Chiudere con un filo di olio extravergine di oliva e una grattata di ricotta maritata all’erba cipollina.
Siamo tutti camerieri Di Cristina Conti Parizzi – Ristorante Parizzi, Parma - JRE / Noidisala È il momento degli chef, è il boom mediatico del lavoro in cucina, è l’incremento di iscrizione negli istituti alberghieri. Sappiamo che in Abruzzo due anni fa si sono create 8 nuove prime nell’istituto alberghiero di Villa Santa Maria, 20 nell’istituto alberghiero di Pescara. Ma se si entra nelle classi e si chiede agli studenti cosa vogliono fare da grandi, la risposta unanime è: lo chef. Il ruolo di chi sta in sala, invece, è fondamentale, e le principali vetrine della ristorazione d’autore gli stanno dedicando sempre più spazio: il 9 febbraio 2014, a Milano, Identità Golose ospita la seconda edizione di Identità di Sala, in collaborazione con la giovane scuola di formazione Noidisala, mentre a ottobre 2013 la finale di Chef Emergente che si è svolta a Roma ha decretato anche una vincitrice per la prima edizione di Emergente Sala, realizzata anche in collaborazione con JRE. Nella kermesse di Emergente Sala, a Roma, l’Abruzzo è stato rappresentato dal Reale di Castel di Sangro: il maître Gianni Sinesi ha servito un arrosticino con un mohito fatto espresso col Montepulciano d’Abruzzo. Cristina Conti Parizzi rappresenta la sala del ristorante stellato Parizzi, a Parma, e ci racconta cosa sta accadendo. Suo marito Marco è vicepresidente JRE Italia e ha partecipato con noi alla giuria della finale Chef Emergente del Centro Italia a Firenze. «Quello che sta accadendo non è un ammutinamento, ma una rivendicazione di autostima. Chi lavora nella sala di un ristorante non può fingere che l’eleganza, il bon ton e l’accoglienza non siano parti integranti del
Maialino al mosto cotto con chips di patata turchesa dell’Aquila
di Guido Angelucci Ingredienti: filetto di maiale, farina, olio extravergine di oliva, vino passito, mosto cotto, sale, pepe, patata turchesa, scaglie di sale. Tagliare il filetto in medaglioni di circa 4 cm di spessore ed infarinarli leggermente. Riscaldare in una padella 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, scottare il filetto su ogni lato, salare e pepare leggermente, irrorare con il passito e farlo evaporare. Aggiungere il mosto cotto e terminare la cottura in forno per alcuni minuti, bagnando la carne con il fondo di cottura. Lavare accuratamente le patate e tagliarle a fette sottili, infornarle con un filo di olio extravergine e polvere di timo e rosmarino. A cottura ultimata disporle sul piatto e cospargerle con scagliette di sale.
suo lavoro. Sala e cucina sono pronte per ricominciare a comunicare, il servizio è un lavoro di squadra. Occorre sapere accompagnare il cliente nel recupero del piacere di stare a tavola. Dobbiamo ricordare che siamo tutti nati “portapiatti”: chi non sa apparecchiare come deve essere apparecchiato, o dare un caldo benvenuto, o adattarsi ad una situazione imprevista, non potrà mai essere un bravo sommelier o un bravo maître. Invece oggi scontiamo il pregiudizio che il cameriere sia un lavoro part-time, qualcosa che non è destinato a diventare parte della nostra vita, ma che si fa per necessità: se aggiungiamo il fatto che la figura del cuoco sta vivendo un momento di sovraesposizione mediatica, è naturale che un giovane oggi veda il cameriere come un mestiere di passaggio, il cuoco come una professione d’élite. L’unica cosa certa è che un mestiere di sala occupa gran parte della giornata e non ha orari fissi ne’ giorni festivi, ma, di contro, è fonte di grande soddisfazione quando si riesce a trasmettere un messaggio di cultura della tavola, di eleganza, di professionalità, e questo successo si vede quando il cliente ti chiama, prima di andare via, per complimentarsi per il lavoro svolto. Due anni fa mi sono accorta di non riuscire a trovare un cameriere per il mio ristorante, nemmeno tramite gli istituti alberghieri. Allora ho iniziato, a mie spese, a fare lezione di galateo a tavola nella scuola di Salsomaggiore (pare che non sia una disciplina prevista dal Ministero scolastico). Poi con Luigi Cremona è nato questo bellissimo concorso, “Emergente sala”, in collaborazione con JRE e “Noidisala”: contiamo, creando degli eventi ad hoc e concorsi con bellissimi premi, di ridare dignità a questo mestiere fantastico, far capire che fare il cameriere non è solo portare i piatti in tavola, ma è un lavoro difficilissimo di cultura e responsabilità. Il ristorante va visto in tutto l’insieme: tutti insieme possiamo migliorare l’esperienza del cliente che ripone la sua fiducia in noi».
c come news Carta dei vini d’Abruzzo
La commissione del concorso giornalistico indetto dal quotidiano d’Abruzzo “Il Centro” in collaborazione con il Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, il Consorzio di Tutela Colline Teramane e il Movimento Turismo del Vino d’Abruzzo, ha scelto, tra le decine di racconti pervenuti, uno di un concorrente abruzzese e di uno di fuori regione. L’obiettivo è individuare come i vini abruzzesi siano valorizzati nelle carte dei vini dei ristoranti in Abruzzo e in Italia. Maria Grazia Di Foglio e, per conto di Achille Splendore, Alessandro Leardi, hanno ritirato un “assegno” pari a 112 mila e 500 millilitri di vino doc abruzzese, che sarà tradotto in 150 bottiglie in dono. Il dibattito, a cui hanno partecipato rappresentanti del mondo del vino e del mondo dell’alta ristorazione, si è concluso con l’impegno da parte di entrambi di iniziare un percorso di condivisione e sensibilizzazione, sia verso i consumatori sia verso gli operatori del settore. L’obiettivo finale è favorire una proposta del vino abruzzese, in bottiglia o “al calice”, sempre più articolata, commentata e proporzionata nel rapporto qualità/prezzo, in base al servizio offerto in un ristorante. (Da sinistra: Nicola D’Auria, Mauro Febbo, Alessandro Leardi, Tonino Verna, Maria Grazia Di Foglio. Foto: Giampiero Lattanzio. Approfondimento su ccomemagazine.it, sezione live twitting)
Words of Wine
Sabato 23 novembre si è svolta all’Aurum di Pescara la cerimonia di premiazione di Words of Wine, il concorso giornalistico internazionale sul tema “l’Abruzzo e i suoi vini”. Gli accreditati sono stati 630, 32 i giornalisti stranieri intervenuti, tutte le guide dei vini rappresentate dai dirigenti. L’evento si è svolto nell’ambito del Wine Tour 2013, che ha portato per una settimana i più importanti giornalisti enologici internazionali e conoscere i vini e la cultura enogastronomica delle quattro province abruzzesi. Queste due iniziativa sono state realizzate da Pomilio Blumm e promosse dal Consorzio di Tutela dei Vini d’Abruzzo, insieme al Consorzio di Tutela Colline Taramane, Consorzio di Tutela DOC Tullum e al Consorzio di Tutela Ortona DOC. Tutti i nomi dei vincitori sono su ccomemagazine.it, sezione “I nostri live twitting”.
Le belle notizie dalle guide 2014
Il 2013 si è chiuso con tante soddisfazioni per alcuni ristoratori abruzzesi. La guida Identità Golose, per il primo anno distribuita da Mondadori, ha conferito il premio “Giovane famiglia” agli Spadone de “La Bandiera”, di Civitella Casanova. La guida L’Espresso ha proclamato “Villa Majella” Cantina dell’anno grazie alle 1200 etichette di vino e 100 di distillati raggiunti in trent’anni di esperienza. Dalla guida PAG 62 / C COME NEWS
Michelin, la prima bella notizia è stata che nessun ristorante in Abruzzo è “retrocesso”: la seconda, che il Ristorante Reale di Niko e Cristiana Romito, trasferito da Rivisondoli a Castel di Sangro nel 2011, è il primo tristellato d’Abruzzo. Confermata quindi la stella a “Les Paillotes” di Pescara, a “Al metrò” di San Salvo, a “La Bandiera” di Civitella Casanova, a “Villa Maiella” di Guardiagrele e a “Magione Papale” de L’Aquila. La guida del Touring Club ha conferito il titolo di “Stanze italiane” le strutture ricettive del ristorante Elodia (Camarda) e di “Magione papale”: a William Zonfa ha assegnato anche il riconoscimento “Cucina d’autore”.
A lezione da Uliassi
Oltre 50 cuochi abruzzesi hanno sfidato le intemperie, lunedì 2 dicembre, per assistere alla lezione gratuita che Mauro Uliassi ha tenuto per loro presso i locali Despan a Sambuceto, nell’ambito dei festeggiamenti per il 25esimo anniversario della fondazione dell’associazione cuochi Pescara. Tra un “loaker” con fegato grasso e crema di nocciole, tagliatelle di seppie, una ricciola alla moderna puttanesca e una battuta di gamberi rossi con acqua di limone, cuore di melone e polvere di pistacchi, Mauro Uliassi ha ricordato come le origini della ristorazione marinara sull’Adriatico siano molto recenti: «In realtà, se ne parla solo negli ultimi cinquant’anni – ha spiegato – perché storicamente il pesce veniva venduto o alle famiglie agiate oppure esportato. I pescatori tenevano per sé solo quello che risulta troppo spinoso o piccolo per essere venduto, come le trigliette, le alici e generalmente il pesce povero».
35esima rassegna dei cuochi
Sono stati oltre 6mila i visitatori nelle tre serate della 35° edizione della Rassegna dei Cuochi che si è tenuta dall’ 11 al 13 ottobre 2013 a Villa Santa Maria, affascinante borgo dell’alto Sangro, patria storica dei cuochi e paese natale di molti chef portano alta la bandiera villese in tutto il mondo. L’evento, organizzato dall’Associazione Cuochi Valle del Sangro, con la partecipazione della Regione Abruzzo, della Provincia di Chieti, del Comune e dell’Istituto alberghiero I.P.S.S.A.R. “G. Marchitelli” di Villa Santa Maria, ha previsto un corposo e coinvolgente programma. La rassegna, nell’ultima giornata, ha visto la consegna del Premio “Il Cuoco Doc - Città di Villa Santa Maria” che quest’anno è stato consegnato all’Associazione Cuochi della Provincia di Pescara.
MTV, Nicola D’Auria confermato presidente
Nicola D’Auria sarà alla guida del Movimento Turismo del Vino per altri tre anni. Titolare dell’azienda Dora Sarchese di Ortona, D’Auria sarà affiancato dalla produttrice Stefania Bosco nel ruolo di Vicepresidente. Nuovi ingressi anche nel Cda, rinnovato a dicembre, che ha accolto le candidature di Luana Di Lorito,
in rappresentanza di Cantina Tollo, Giuseppe Colantonio, per Citra Vini; Umberto Buccicatino per Fattoria Buccicatino e Fabio Tomei per Cantine Maligni. Confermate inoltre, nel direttivo, le presenze di Enrico Cerulli Irelli (Tenuta Cerulli Spinozzi), vice presidente uscente; mentre Rocco Pasetti (Contesa) e Domenico Radica (Tenuta Arabona) assumeranno entrambi la carica di revisori e Chiara Ciavolich (az.Ciavolich) ed Erika De Luca (Fattoria Licia) quella di supplenti.
“Il miele in cucina”, l’Abruzzo al secondo posto.
Il Montonico è il miglior bianco autoctono d’Italia
L’Abruzzo Dop Montonico Superiore “Santapupa” dell’azienda Vini La Quercia di Morro d’Oro (Te) è il miglior bianco autoctono italiano. È stato decretato negli Autochtona Award 2013 che si sono conclusi a Bolzano il 22 ottobre 2013. A ritirare il premio destinato alla società agricola di Elisabetta Di Berardino è stata Antonietta Mazzeo, che da oltre due anni si fa ambasciatrice di questo vino nel Nord Italia.
Lutto nell’AIS
L’Istituto alberghiero “G. Marchitelli” di Villa Santa Maria ha conquistato il secondo posto alla terza edizione del concorso gastronomico nazionale “Il Miele in Cucina” promosso dall’associazione Le Città del Miele, e svoltosi a novembre 2013 a Bagnone, in provincia di Massa. La ricetta “Rollè di capretto ai due mieli di bosco aromatizzati” realizzata dall’allievo Roberto Ragiunti, accompagnato dal docente Nino Di Pietro, ha conquistato le due giurie: quella tecnica, con giornalisti ed esperti, e una istituzionale, con sindaci delle Città del Miele. Al concorso era presente anche Nicola Pallante, sindaco di Tornareccio e vicepresidente vicario dell’associazione Le Città del Miele. All’alberghiero villese è stata consegnata l’Ape d’Oro de Le Città del Miele.
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Si è spento a Bologna la sera del 9 gennaio 2014 il consigliere regionale dell’Ais Abruzzo e responsabile servizi Renato De Luca. Aveva 61 anni, era nato a Miglianico e viveva a Francavilla al mare. Noi di C come magazine lo abbiamo conosciuto sensibile e silenzioso: i suoi gesti non facevano mai rumore.
c come libro
Mangiare l’autentico
Ernesto Di Renzo è stato ospite della delegazione coordinata da Paolo Fornarola “Pescara Aternum” dell’Accademia italiana della cucina, per la conferenza dibattito “Mangiare l’autentico” che si è svolta il 31 maggio 2013 nella biblioteca provinciale di Pescara, in collaborazione dell’assessorato provinciale alla Cultura. Il dibattito prendeva spunto dall’omonima pubblicazione del docente di discipline antropologiche all’università di Roma Tor Vergata, in cui si parla di un’“industria della nostalgia” che si sta nutrendo di “revivalismi culturali”. Nel libro, edito da Universitalia, viene infatti registrato un fenomeno secondo il quale ricorrere all’eccellenza genuina, al ricercatamente tipico (e quindi costoso) è diventata quasi una forma di distinzione sociale, creando un paradosso secondo il quale “solo ai ricchi è concesso di mangiare come i contadini”. Il libro ammonisce sul rischio di sfruttare l’evocazione al rurale come un richiamo di puro marketing. Abbiamo tutti un forte immaginario secondo il quale ciò che è “come una volta” è anche “genuino e sano”, quando invece, se ci soffermiamo a pensare, molti stili alimentari di oggi sono migliorati rispetto a sessant’anni fa: ad esempio, l’olio extravergine di oliva è andato a sostituire i grassi animali, o alcune tecniche di vinificazione, che si sono dimostrate sbagliate, sono cambiate. Il segreto è nel mangiare consapevole. Il libro si conclude con una disamina sulle tradizioni vitivinicole nella provincia di Teramo.
C’è il rischio di sfruttare l’evocazione al rurale come un richiamo di puro marketing. Il segreto è nel mangiare consapevole.