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comeMagazine
ABRUZZESE IN UN FREEPRESS
ANNO 7 - NUMERO 33 - GENNAIO / MARZO 2015
LA CULTURA ENOGASTRONOMICA
c come
Speciale Vino
Patrizia Corradetti
C come tradizione
Gli esperimenti, le bollicine, gli incontri, i tappi
La semplicità a Colonnella
La pupa che… vola in bocca
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comeMagazine
LA CULTURA ENOGASTRONOMICA
ABRUZZESE IN UN FREEPRESS
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>> Abbonamenti C come magazine è una rivista a distribuzione gratuita ma si può ricevere anche direttamente a casa in abbonamento postale al prezzo di 30 euro per un anno (6 numeri). Il pagamento può essere effettuato tramite bollettino postale al c/c 96585500 intestato a Modiv Snc e deve essere spedito a: Modiv s.n.c. Viale Matrino 36,65013 Città Sant’Angelo (Pe). Per informazioni info@ccomemagazine.it
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c comeMagazine Sommario
c come rubriche
05 Editoriale / 07 Informazione / 08 Food Design / 10 Fotoreportage / 28 Analogie / 54 Ricette / 58 Libri / 61 News
c come speciale vino
30 Spumanti / 36 Incontro / 42 Esperimento / 48 Tappi /
c come abruzzo
17 Patrizia Corradetti / 20 IdentitĂ golose / 24 Tradizione / 52 Expo 2015
PAG 3 / SOMMARIO
c come editoriale
DI CRISTINA MOSCA - DIRETTORE RESPONSABILE C COME MAGAZINE
Il nostro turismo quotidiano Entriamo un po’ più nel merito della campagna “Mettici bocca!” che abbiamo lanciato nel numero 32 di C come magazine. Nell’annunciarvi la campagna di sensibilizzazione, abbiamo spiegato che troviamo necessario che noi abruzzesi per primi ci sentiamo responsabili della promozione del nostro territorio, a partire dalla tavola di ogni giorno. Per promozione intendiamo condivisione, nello stesso modo in cui consiglieremmo un paio di jeans che adoriamo indossare o un film che vedremmo più volte. Se amiamo una persona dobbiamo anche vincere la superficialità e dimostrarglielo; se crediamo in un territorio, dobbiamo viverlo nel quotidiano, cedendo il meno possibile alla pigrizia e cercandolo in ogni occasione. Ecco che è importante ricordarsi, in occasione di una vacanza o di una breve gita, che il patrimonio naturale che abbiamo a disposizione è unico al mondo. In questo senso è stato molto interessante, per noi, partecipare attivamente al convegno “L’oro nel verde”, organizzato l’8 marzo a Pescara dall’associazione Roccacaramanico e dal Movimento civico “Regione
facile – Valore Abruzzo”, perché è stato proposto di integrare il messaggio di richiamo turistico che stiamo adottando, di una regione che ha la montagna a pochi passi dal mare. A fronte di 130 Km di costa e 700 mila ettari di terre alte, vale decisamente la pena invertire le parti e parlare del mare a pochi passi dalla montagna: suggerire (e ricordarci), cioè, di valorizzare le zone interne, e poi passare qualche giorno in spiaggia. Una condizione imprescindibile per un sistema Abruzzo che riesca a farsi scoprire, è che noi per primi lo conosciamo, perché solo conoscendolo possiamo innamorarcene e innamorare, quindi, gli altri. Espressione di un territorio, è noto, è il vino. Quale migliore occasione del Vinitaly, per raccontare nel giro di poche pagine le maniere interessanti in cui il settore vitivinicolo abruzzese si sta reinventando?, per accennare agli esperimenti, agli sviluppi e fare un po’ di ordine in alcune informazioni? Abbiamo approfittato, inoltre, del periodo quaresimale per rispolverare un’usanza tanto nota quanto magica, collegata alle bambole e, quindi, alle pupe. Buon viaggio.
«Una condizione imprescindibile per un sistema Abruzzo che riesca a farsi scoprire, è che noi per primi lo conosciamo, perché solo conoscendolo possiamo innamorarcene e innamorare, quindi, gli altri.» PAG 5 / C COME EDITORIALE
PASSIONE
ITALIANA
Fabbrica Sedie, Tavoli e Sofà 65013 CITTÀ S. ANGELO (PE) ITALIA TEL: +39 085 95201 - FAX: +39 085 9500288 - www.fabercsa.com - info@fabercsa.com
c come informazione
DI ANNA ALEZIO E GIOVANNI ROSATO - AGROQUALITÀ SPA
Perché scegliere DOC. Quella sigla posta sull’etichetta accanto al nome del vino, doc: tutti la conosciamo, in pochi si chiedono davvero cosa significa Denominazione di Origine Controllata. La domanda oggi è: controllata da chi? E come? Per l’Abruzzo, l’organismo di controllo scelto dai Consorzi di tutela è Agroqualità SpA, che opera dal primo agosto 2012 su autorizzazione ministeriale, garantendo il controllo della filiera produttiva e la certificazione di prodotto. Ci sono, poi, le autorità pubbliche competenti come il Ministero dell’Agricoltura, attraverso l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari. La filiera vitivinicola Abruzzese comprende 15.000 viticoltori, quasi 300 cantine tra private e sociali e circa 500 imbottigliatori. In regione contiamo una superficie di circa 32.000 ettari coltivata a vigneto, per una produzione di oltre 3 milioni di ettolitri di vino. La parte del leone spetta, tra le doc, al Montepulciano d’Abruzzo, con oltre il 25 % della produzione, seguito dal Trebbiano d’Abruzzo doc e dal Cerasuolo d’Abruzzo doc; tra le igt, il primo posto spetta alla IG Terre di Chieti. L’obiettivo dei controlli è assicurare la tracciabilità lungo tutta la filiera, in termini di provenienza e quantità prodotte, e garantire in ogni fase il rispetto dei requisiti prescritti dalle norme.
Per ogni doc esiste uno specifico piano dei controlli, nel quale vengono definite le modalità operative delle verifiche da svolgere a caratteri documentale, ispettivo e analitico su tutta la filiera, nel segno di uno specifico disciplinare di produzione. Tutto ruota intorno al disciplinare, cioè il documento in cui è definito il processo produttivo di un dato vino tutelato dalla doc, a partire dalle varietà di uva e l’areale geografico, fino alle rese produttive e al tipo di recipienti in cui è possibile confezionarlo. Scegliere un prodotto a marchio doc vuol dire essere sicuri che il vino risponde a determinati requisiti chimicofisici (titolo alcolometrico, estratto non riduttore minimo, acidità volatile, contenuto di anidride solforosa…), che sono stati vagliati e controllati sistematicamente, e che il vino è stato sottoposto anche a un’analisi organolettica che include la valutazione del colore, della limpidezza, dell’odore e del sapore da parte di tecnici ed esperti degustatori. Sia i laboratori di analisi chimico fisica, sia le commissioni di degustazione operano esclusivamente su campioni resi anonimi, a garanzia della terzietà e dell’indipendenza di giudizio. Nel solo 2014 i volumi di vino certificato a doc sono stati pari a 1.131.530,23 hl, che corrispondono a circa un terzo della produzione annuale del vigneto Abruzzo.
«Scegliere un prodotto a marchio doc vuol dire essere sicuri che il vino risponde a determinati requisiti chimico-fisici che sono stati vagliati e controllati sistematicamente, e che il vino è stato sottoposto anche a un’analisi organolettica.» PAG 7 / C COME INFORMAZIONE
PAG 8 / C COME FOOD DESIGN
c come food design
DI LUDOVICA PERSICHITTI - LUDOVICA.ARCHITETTURA@GMAIL.COM / FOTO_DI CARLO/PELINO
La felicità è sempre stata a forma di mandorla
Ci sono cibi dalla tradizione antichissima, elaborati come fossero magici amuleti e che da centinaia di anni conservano il proprio valore. Uno di questi è il confetto: un bocconcino di mandorla zuccherata da portare sotto i denti senza sporcarsi le mani, un prodotto dalla forma inconfondibile, un piccolo amuleto tascabile, un portafortuna da lanciare in aria come simbolo di augurio e prosperità. Il confetto per eccellenza è legato al matrimonio, ma è presente da centinaia di anni a festeggiare i grandi eventi. La sua origine è antichissima, tutta nostra, abruzzese, e dal 1400 ad oggi continua a preservare a Sulmona l’eccellenza nella produzione. Si tratta di uno di quei prodotti la cui forma riproduce la tecnica di produzione, ed è talmente giusta nel consumo da non essersi modificata nel tempo: una composizione multistrato di una mandorla ricoperta da un sottile strato di zucchero fine seccato e lisciato. Il prodotto finale è poco più grande di un unghia, va messo in bocca tutto intero e sgranocchiato tra i denti, facendo così emergere il gusto della mandorla, addolcita dallo strato di zucchero che si scioglie piano in bocca. Nella tradizione si sono aggiunte maestrie tecniche e artigianali. Nel XV secolo, dalle operose mani delle suore di clausura del Monastero di Santa Chiara di Sulmona,
sono venuti fuori bouquet di confetti. Queste rivestivano di seta i confetti per comporre spighe e grappoli d’uva da portare in dono a sposi di famiglie nobili. È nata così una famosa lavorazione artigianale riconosciuta in tutto il modo: i Fiori di Sulmona. Ancora oggi aziende come William Di Carlo (dicarlo. it) e Pelino (confettimariopelino.com) rendono omaggio a questa tradizione, realizzando diverse tipologie di bouquet e creazioni floreali di confetti che vengono utilizzati come omaggio in matrimoni e moltissime occasioni. Oltre a questa resa così simpatica e naif, entrambe le aziende realizzano una versione personalizzata del confetto, che, in occasione di matrimoni, cerimonie e anniversari, può riportare sulla superficie anche nomi e date, scritti a mano nel caso di Pelino o incisi delicatamente, tono su tono, nel caso di Di Carlo. È stupefacente come una tradizione si mantenga per secoli senza variazioni, né nel prodotto né nella modalità di consumo: merito della grande qualità delle materie e dell’originalità del risultato finale, unico, giusto e bilanciato… ma anche di quel pizzico di magia che il confetto sembra trasferire nei giorni più belli della propria vita.
PAG 9 / C COME FOOD DESIGN
c come fotoreportage DI ROBERTO PARISIO / FOTO_MODIV
I risultati di Words of wine 2014 Sant’Antonio 2015 Sigep 2015 Cena a cinque stelle
I risultati di Words of wine 2014
È prestigioso l’elenco dei premiati del concorso Words of Wine a dicembre 2014, che oltre a Sarah Jane Evans, presidente della più prestigiosa associazione di esperti di vino, l’Institute of Masters of Wine, ha visto l’affermazione di esperti del settore provenienti da ogni parte del mondo. Alcuni esempi: Rossend Domenech, inviato de El Periodico e giornalista enogastronomico internazionale; Fulvio Collovati, campione del mondo 1982 e giornalista televisivo; Mauro Giacomo Bertolli, della rubrica “Andar per vini” di ilsole24ore.com e italiadelvino.com; Giulia Nekorkina, blogger di Rosso di Sera e Scatti di Gusto; e Alessia Arcolaci di Vanity Fair. Un premio speciale è stato assegnato al direttore del quotidiano Il Centro, Mauro Tedeschini, e menzioni speciali sono andate alle “firme d’Abruzzo”, ovvero ai giornalisti e alle testate che hanno dato un contributo alla promozione dei vini d’Abruzzo attraverso la comunicazione. Tra i premiati: la rivista C come Magazine, il sito abruzzoservito.it, il quotidiano Il Messaggero, l’emittente televisiva Rete 8 e la trasmissione Rai Tgr Abruzzo. PAG 10 / C COME FOTOREPORTAGE
Sant’Antonio 2015
Abbiamo partecipato, il 17 e il 18 gennaio 2015, a due occasioni celebrative della tradizione contadina dell’uccisione del maiale. L’impegnativo fine settimana si è aperto sabato 17 con la conviviale della delegazione Pescara Aternum dell’Accademia Italiana della cucina, organizzata presso il ristorante “Lu pianellese” a Manoppello dal simposiarca di turno Gianfranco Falcone. La materia prima è stata fornita da Nicola Genobile, artigiano da quattro generazioni nel settore dell’allevamento suinicolo e della norcineria abruzzese; noto per la porchetta, cotta nei forni a mattoni, ha annunciato l’imminente inserimento del maiale nero nella sua produzione. Il piatto forte della serata è stata la grigliata mista, la cui cottura ha saputo valorizzare la qualità della carne. Ci sono stati interventi molto interessanti da parte dell’accademico Gianni Di Giacomo, direttore del Centro Studi Regionale A.i.c. per l’Abruzzo e del postulante Carlo D’Intino, dirigente dei servizi veterinari della Ausl di Pescara: grazie alle loro relazioni è stato scoperto, per esempio, che il legame fra Sant’Antonio e il maiale nasce dall’iconografia classica che vede coincidere questo animale con “l’espressione del demonio” e, quindi, con le tentazioni che Sant’Antonio ha dovuto affrontare. Domenica 18 gennaio siamo stati invece ospiti della Cantina Dora Sarchese e dell’appuntamento annuale “Majaland”. Il pranzo a base di maiale, preparato da mamma Dora, è stato preceduto da una lezione dimostrativa sulla preparazione della ventricina teramana condotta da Leonardo Seghetti. Insieme al macellaio Roberto Mazzatenta, dell’azienda agricola Geniola Irene, e a Roberto Fracassa, titolare dell’azienda agricola Fracassa di Sant’Egidio alla Vibrata, si è andati alla scoperta della ricetta della “ventricina di Enrico”, ossia il padre di Roberto, che l’ha preparata in diretta e ne ha svelato alcuni trucchi. La tecnica che ha perfezionato in quindici anni di esperienza privilegia le parti più magre del maiale, come la spalletta, il lombo e il prosciutto. La piccantezza e il profumo derivano da un misto (segreto) di erbe aromatiche e in particolare dal peperone dolce secco tritato molto fine, dal pepe o dal peperoncino a tocchetti, dal sale di Cervia e dal miele di acacia sciolto in acqua come dolcificante. I risultati sono una stagionatura di minimo tre o quattro mesi nella vescica o nello stomaco dell’animale e una conservazione di almeno due anni e mezzo senza mai ossidarsi.
PAG 11 / C COME FOTOREPORTAGE
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Sigep 2015
Tra i protagonisti abruzzesi al Sigep che si è svolto a Rimini a gennaio, spiccano la ReD Academy e l’Ipssar pescarese De Cecco. La prestigiosa struttura di San Vito Chietino ha avuto modo di dare un assaggio del suo ampio programma di corsi e master riservati agli amanti della cucina e ai professionisti del settore, anche proponendo in fiera mini corsi di pasticceria, gelateria, pizzeria e panificazione tenuti dai suoi docenti. Per lo stand ReD Academy sono passati, tra gli altri, il campione mondiale di pasticceria Leonardo di Carlo; il gelatiere di tradizione Franco Palmieri; il maestro pasticcere Francesco Giordano, formatosi alla École Lenôtre; Pino Arletto, campione mondiale di pizza “free style”; il campione mondiale di cioccolateria Davide Comaschi; e Marco Scaglione, tra i più autorevoli esperti di cucina senza glutine. La squadra degli studenti abruzzesi dell’Ipssar De Cecco si è poi aggiudicata il primo posto al 24esimo Sigep Giovani, che si è concluso il 21 gennaio. Tra undici scuole professionali, la vincitrice è stata quella pescarese, rappresentata da Luigi Argentieri, Alessandro De Nobile, Mirko Marini e Francesco Esposito, con il supporto di 12 compagni e della docente Enza Liberati, coordinatrice del sodalizio Lady Chef per l’Unione regionale dei Cuochi Abruzzesi. Nonostante la loro formazione non fosse nella pasticceria, sono stati premiati per la compattezza dei dolci, la precisione e l’originalità. In meno delle quattro ore previste hanno preparato una nevola ortonese con variegatura di marmellata ai fichi e gelatina al mosto cotto D’Alessandro, un ice cream chups con la ratafia Toro e gelato alla crema, e una torta gelato “alla presentosa”, ossia un parrozzo rivisitato con la variegatura all’amarena e una gelatina alla centerba Toro.
Cena a cinque stelle
“Il profumo della neve antica” è il nome della cameretta del reparto di chirurgia pediatrica oncologica dell’ospedale Civile di Pescara che la cena a 5 stelle organizzata lo scorso 22 febbraio presso Hotel Villa Michelangelo a Citta Sant’Angelo ha contribuito a realizzare. Il resident chef Michele Ottalevi e i cuochi stellati Niko Romito, Nicola Fossaceca, Marcello Spadone, Giuseppe Tinari e William Zonfa si sono occupati di una cena per 120 persone, animata dal tenore Piero Mazzocchetti, dal pianista Michele Di Toro e dalla sand-artist Erika Abelardo. Durante la serata sono stati raccolti 12.700 euro: andranno a sostenere il progetto della Onlus Adricesta finalizzato all’acquisto di lettini e arredi per l’unico reparto in Abruzzo e Molise che effettua sia interventi di routine che gravi oncologici e gravi malformazioni pedriatiche, anche per i bimbi provenienti dalle regioni limitrofe. Il progetto di 140 mila euro è partito nel 2013 e si concluderà nel mese di maggio con l’inaugurazione delle camerette dotate dei nuovi arredi. (Foto: Francesco Di Filippo/Nicola Fossaceca)
PAG 13 / C COME FOTOREPORTAGE
c come fotoreportage DI ROBERTO PARISIO / FOTO_MODIV
La cena delle alleanze Novità per la birra abruzzese Il fagiolo Tondino del Tavo
La cena delle alleanze
Una tappa della “Cena delle alleanze” organizzata dalla Condotta Slow Food di Chieti per celebrare i presìdi si è svolta presso il ristorante pizzeria “La sorgente” a Guardiagrele venerdì 20 febbraio. La simpatia e la professionalità di Arcangelo Zulli e suo figlio Angelo hanno dato vita a un bel menu di scoperta di alcune pizze già presenti in carta, come quella alla pala romana, per la serata farcita con il presidio abruzzese Slow Food del canestrato di Castel del Monte, o la “marinara a modo nostro” (ossia senza alici) che celebra il pomodoro fiaschetto bio di Torre Guaceto e i capperi di Salina. Si è messo in gioco anche il pasticcere guardiese Emo Lullo, che ha portato, per restare in tema, la sua interpretazione della “pizzadoce” di Guardiagrele: lui utilizza plance dello stesso pan di Spagna delle sue notissime “sise delle monache”, di cui abbiamo parlato nel numero 32 di C come magazine, e le bagna con liquori di produzione propria. I vini sono stati offerti dalla Cantina Citra.
PAG 14 / C COME FOTOREPORTAGE
Novità per la birra abruzzese
L’azienda agricola Valentini di Loreto coltiverà l’orzo per il birrificio Almond ‘22 e a maggio 100 piante di luppoli saranno impiantate intorno alla nuova sede del birrificio. Questo vuol dire che, a partire dal prossimo autunno, potremo avere le prime birre artigianali che, oltre all’acqua, di abruzzese presentano anche altre materie prime fondamentali. Il birrificio Almond ’22 da alcuni mesi si è spostato da Spoltore, dove è stato fondato nel 2003, a Loreto, in Contrada Remartello, in uno spazio dieci volte più grande di prima, presentato alla stampa in occasione di una serata audace all’insegna dei “giochi pericolosi”. Per raccontare i loro progetti, infatti, Jurij Ferri e Francesco Paolo Valentini, rispettivamente birraio e vignaiolo, hanno organizzato un incontro a tavola in cui a ogni piatto sono stati abbinati sia una birra di Ferri sia un vino di Valentini. Alla serata speciale ha contribuito anche Kristian Ferretti del vicino ristorante “Carmine”, con le sagne, ceci e pesce.
Il fagiolo Tondino del Tavo
Dieci produttori per un totale di 15 quintali di fagioli Tondino del Tavo: è la prima compagine del Consorzio che ha visto la luce il 27 novembre 2014 e che è stato presentato presso il ristorante Loreblick di Domenico Speranza dopo tre mesi esatti, a febbraio. I primi produttori a sposare il progetto del Consorzio di tutela del fagiolo Tondino del Tavo, presieduto da Fabio Belfiore, vengono da Loreto, Pianella e Collecorvino e sono Silvio Belfiore, Valerio Di Renzo, Vittorio Dell’Oso, Massimo Petrini, Gabriele Buccella, Gianluca Buccella, Enzo Vadini, Manuela Carota e Lorenzo Patricelli. I prossimi ingressi vedranno protagonisti altri produttori della vallata del Tavo, per esempio da Farindola, Penne e Cappelle. «La peculiarità inconfondibile del fagiolo Tondino – ha spiegato il consulente tecnico Giovanni De Lucia – è che viene raccolto tardivamente, tra la fine di novembre e la metà di dicembre, perché viene lasciato essiccare sulla pianta a cui sono state estirpate le radici. Il vero fagiolo Tondino esiste solo in versione secca». Per il mese di maggio si prevede la prima distribuzione nazionale e internazionale delle confezioni a marchio del Consorzio, attraverso la rete vendita Verrigni.
PAG 15 / C COME FOTOREPORTAGE
Ceppe al rag첫 di papera
c come Patrizia Corradetti DI CRISTINA MOSCA / FOTO_MARIO SABATINI
A Colonnella una lunga storia d’amore. È una storia abruzzese che inizia dalle Marche, quella di Patrizia Corradetti, fondatrice e cuoca del ristorante “Zenobi” a Colonnella. È la vita che ricomincia a 45 anni, il non avere altra scelta che accoglierla e, nonostante questo, comportarsi come se non ci fosse amore più grande. Patrizia è di Offida, è venuta in Abruzzo nel 1969 per sposarsi con un bellissimo albense, Marcello Zenobi, ma il destino l’ha costretta presto a vivere senza di lui. Patrizia ha scelto di restare a Colonnella e, nel luglio 1994, già madre di Cristina, Marcello e Sandra, è ripartita dagli 8 ettari di azienda agricola appartenuta al suo primo marito, trasformandola in un agriturismo. Fondamentale è stato l’apporto di mamma Ada, che l’ha affiancata ai fornelli e ha favorito, così, quella contaminazione tra la cucina abruzzese e quella marchigiana che oggi contraddistingue l’arte di Patrizia. Nel 1998 “Zenobi” è diventato un ristorante, privilegiando un’accoglienza semplice, da trattoria, continuando ad avvalersi della vasta produzione propria di ortaggi, aromi, olive e uva. Da quindici anni tutta la famiglia è coinvolta nel progetto: Cristina aiuta Patrizia in cucina; Marcello si occupa della cantina, che conta circa 150 etichette di cui ¾ abruzzesi; e Sandra è in sala. «Questo è un lavoro che deve piacere, altrimenti non si fa – spiega Patrizia – Occorre cogliere sempre ogni occasione utile per formarsi, aggiornarsi, confrontarsi con i colleghi, collaborare. All’inizio del mio percorso la sfida più grande è stata vincere la diffidenza di alcuni interlocutori che non erano abituati a lavorare con una donna, ma per fortuna le scelte che abbiamo fatto ci hanno permesso di venire compresi e di ottenere la fiducia di tutti». Oggi, intorno a “Zenobi” si muove una cerchia stretta di fornitori locali e fidati, tutti valorizzati sul menu, che condividono lo stesso rispetto per la materia prima e per l’ambiente in cui cresce; il più lontano è in provincia di Ascoli, il più vicino è, naturalmente, a Colonnella. «L’incontro con Libero Masi, allora governatore di Slow Food per l’Abruzzo, ha segnato la svolta nella nostra attività. – ricordano Patrizia e il secondogenito Marcello – Abbiamo capito che la differenza fra la cucina casalinga e quella professionale sta nella qualità del prodotto, su cui un ristoratore ha il diritto e il dovere di essere esigente. Rispettare un buon prodotto, avendo cura di conservarne le caratteristiche e le virtù al momento di cucinarlo, vuol dire rispettare anche chi lo mangia». PAG 17 / C COME PATRIZIA CORRADETTI
Ceppe al ragù di papera
Ingredienti per 4 persone: 300 gr di farina; 400 gr di semola di grano duro rimacinata; 300 gr di acqua; mezza papera spezzata e pulita; olio extravergine di oliva; 1,5kg di passata di pomodoro; cipolla, sedano, carota; peperoncino; sale e pepe. Far rosolare olio, sedano, carota e cipolla in una pentola, aggiungere la papera e rosolarla; aggiungere la passata e far bollire a fuoco moderato fino ad una buona cottura, per almeno 2 ore abbondanti. Per le ceppe: impastare con l’acqua la farina e la semola, fino ad ottenere un composto liscio; coprire e far riposare una mezz’ora. Dividere la massa in tanti pezzetti uguali, che verranno allungati a mano e avvolti intorno a un ferro (anticamente si usava la parte interna delle canne ancora verdi perché non aveva “nodi”), così da ottenere dei maccheroni col buco. Cuocere le ceppe e “tirarle” con il sugo ottenuto.
PAG 18 / CC COME COME FRATELLI PATRIZIA DI CORRADETTI TILLIO
Coscio d’agnello alle erbe aromatiche su crema di fagioli, cocco bianco e cicorietta saltata
Ingredienti per 4 persone: 600 gr di coscio agnello disossato e tagliato al coltello; 400 gr di cicorietta; 200 gr di fagioli; timo, alloro, rosmarino e salvia; 1 peperoncino; 1 testa di aglio; olio, sale, pepe; vino bianco. Preparare il fondo in padella con olio extravergine di oliva, 2 o 3 spicchi aglio pulito, gli aromi e sale e pepe qb. Rosolarvi l’agnello, disossato e tagliato a cubetti al coltello; cuocere, sfumare con il vino bianco. Pulire la cicorietta e lessarla in acqua salata, scolare e tritare, ripassare con aglio, olio e peperoncino. Lessare i fagioli in acqua fredda con 2 foglie di alloro, frullarli con un po’ della loro acqua fino ad ottenere un crema, aggiungere sale se necessario.
PAG 19 / C COME PATRIZIA CORRADETTI
Nadia Moscardi
PAG 20 / C COME IDENTITÀ GOLOSE
c come identità golose LA REDAZIONE / FOTO_MODIV - BRAMBILLA- SERRANI
A Milano l’Abruzzo di montagna
Ha fatto una bellissima figura l’Abruzzo gastronomico all’undicesima edizione di “Identità Golose”, il congresso di cucina d’autore che si è svolto a Milano all’inizio di febbraio. Nella sezione dedicata alle “Identità di montagna”, domenica 8 ha fatto il suo esordio Nadia Moscardi del ristorante “Elodia nel parco” di Camarda (L’Aquila) accompagnata dal giornalista Massimo Di Cintio, ha presentato tre piatti che hanno messo in discussione lo stereotipo rude dell’animo montanaro e ne hanno rivelato la delicatezza nascosta. Gli ingredienti su cui sono stati basati sono strettamente legati al territorio e spesso anche poco noti agli stessi residenti, come la patata turchesa, il coregone del lago di Campotosto, le erbe spontanee della montagna e la pastinaca, una carota bianca aquilana che insieme alla patata turchesa è stata recuperata dal Parco nazionale del Gran Sasso. Nadia Moscardi ha cotto il coregone al vapore per pochissimo tempo, per rispettarne le carni delicate, e lo ha servito su crema di pastinaca ed erbe spontanee come rosolaccio di campo (papavero), piantaggine, crescione di sorgente e semi di lunaria e di panace. Fiori di calendula e pane allo zafferano hanno concluso questo piatto dedicato alla pesca di lago.
Cuocendola a pressione per cinque minuti, poi, Nadia ha realizzato una crema di bucce di patata turchesa, naturalmente coltivata biologicamente, che ha proposto come fondo a “Le consistenze dell’orto”, suo cavallo di battaglia in omaggio alle Virtù teramane, apprese da parte materna. Questo piatto, completato con verdure di stagione disidratate a 40 gradi per 12 ore, valorizza, tra l’altro, anche i legumi del Parco, come i ceci di Navelli, i fagioli bianchi di Paganica e le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio. A conclusione è stato servito, grazie anche all‘aiuto degli altri due fratelli Moscardi, Antonello e Vilma, un gelato freschissimo di sedano d’acqua con mela verde all’anice stellato. Lunedì 9 febbraio il tristellato Michelin Niko Romito, unico abruzzese alla sua nona apparizione consecutiva sul palco di Identità Golose, ha presentato “10 lezioni di cucina” (Giunti 2015, collana Piattoforte, 10 euro), un’autobiografia professionale ispirata alle “10 lezioni americane” di Italo Calvino, che fa il punto nella sua vita. Niko ha iniziato la sua carriera in cucina 15 anni fa a Rivisondoli e oggi conduce insieme a sua sorella Cristiana il ristorante Reale nella struttura Casadonna a Castel di Sangro, avendo scelto più volte di restare in
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Niko Romito
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provincia de L’Aquila e di sposare il suo territorio. Il libro è stato distribuito ai presenti gratuitamente. Semplicità, stratificazione, evoluzione, equilibrio, archetipo, salute, vegetale, dolce, pane e degustazione sono le parole chiave del libro, che affronta il «senso di responsabilità di quei cuochi che attraverso un piatto non si limitano a narrare, ma vogliono comunicare un territorio – ha spiegato Niko Romito – e che quindi sentono il bisogno di spiegare come sono arrivati a un certo risultato». Nel libro viene messa a nudo la sua filosofia e vengono fissati alcuni concetti cardine della sua professionalità: «La parola d’ordine è ricerca: la cucina richiede tempo, studio, sperimentazione: conoscere a fondo una materia prima, per esempio, permette sia di lavorare in maniera sana sia di concentrarsi su
quell’ingrediente». Grazie a questa attenzione, nella ristorazione le verdure hanno lentamente guadagnato una posizione centrale nel piatto e non sono più trattate solo come contorno: non è un caso se nella copertina del libro di Niko c’è un carciofo, che in una delle sue ultime creazioni viene proposto arrosto, con l’estratto e il riutilizzo continuo delle parti. Alla breve introduzione del suo libro, che racconta la sua cucina diretta e trasversale, che non vuole presentarsi impenetrabile a tutti i costi, a “Identità golose” Niko ha affiancato una lezione molto tecnica con cui ha spiegato come è arrivato all’oliocottura delle carni a bassa temperatura e a bassa pressione, con lo scopo di non perdere gli elementi nutrizionali e salvaguardarne allo stesso tempo la struttura.
COREGONE, PASTINACA ED ERBE SPONTANEE di Nadia Moscardi, Ristorante Elodia, Camarda, L’Aquila
Ingredienti per 4 persone: 240 g filetto di coregone di Campotosto, 400 g di pastinaca aquilana, 500 g di rosolaccio di campo, 0,9 g di agar, 200 g di pane allo zafferano dell’Aquila, 2 spicchi di aglio rosso di Sulmona, cipolla bianca, olio extravergine di oliva agli agrumi, olio extravergine di oliva al finocchietto, erbe spontanee di fiume, fiori di calendula. Porzionare il coregone e metterlo in infusione per 2 ore con gli oli aromatizzati, poco sale e l’aglio. Poi cuocere a vapore a 70 °C per 30 secondi. Cuocere al vapore la pastinaca, saltarla in padella con uno spicchio di cipolla, sistemare di sale e frullare fino a ottenere una crema. Passare il rosolaccio in una centrifuga per ottenere il succo, portarne a bollore 250 g con l’agar e far raffreddare su una teglia di acciaio a uno spessore di 0,2 cm, infine tagliare in quadrati di 6x6 cm. Fare delle fettine molto sottili di pane allo zafferano e seccare in forno a 100°C per 1 ora: servire con la crema di pastinaca come base, poi il coregone, la cialdina di pane, il velo di rosolaccio, le erbe spontanee, i petali di calendula e un filo di olio agli agrumi. PAG 23 / C COME IDENTITÀ GOLOSE
«A Dicembre, per la festa di Santa Lucia, le pupe sono fatte di fatte di fichi secchi, poi a metà Quaresima diventano un biscotto, e infine a Pasqua recano, a seno nudo, il classico uovo sulla pancia.» PAG 24 / C COME TRADIZIONE
c come tradizione FOTO E TESTO DI FRANCESCO STOPPA*.
La pupa ci vola in bocca
Qual è il modo migliore per realizzare un desiderio? Mangiarselo, poiché siamo ciò che mangiamo! Per le massaie abruzzesi, cosa sia la pupa è chiaro: un biscotto dolce con sagoma femminile formosa, tipico del periodo pasquale. Da un punto di vista storico non ne sappiamo molto, anche se una figura con grandi seni e fianchi è una rappresentazione della Dea Madre ovunque e in tutte le epoche. Ma scommettiamo che ci sono un sacco di altre cose da scoprire riguardo a queste pupe?… Intanto sono importanti perché rappresentano il patto tra ciò che viene prima e ciò che viene dopo; l’unione tra terra e cielo, tra umanità e uno spirito superiore. Quest’ultimo, trovando casa nella pupa, diventa un elemento concreto e familiare, una sorta di protettore, un guardiano, per chi lo possiede, fino a creare così un legame indissolubile ma meglio sarebbe dire viscerale, poiché sono talismani in grado di entrare ed essere assimilati dal nostro corpo. Ma non dobbiamo commettere l’errore madornale di pensare che siano semplici dolci e di trattarli come tali: le pupe vanno sempre preparate e consumate insieme al compimento di altri rituali. Se appesantirete le vostre con elementi irrituali non potranno “volare” e portare in
alto i vostri desideri: una volta mangiate, saranno solo un mucchietto di calorie inutili. Iniziamo con le pupe di fichi secchi di Santa Lucia. Sono di fichi secchi caracinə infilzati su stecche di canna, vestite di un abito elegante e con capelli in trucioli; i fichi possono essere spolverati con zucchero a velo, amido o cacao, oppure spruzzati di cannella. Conservare le pupe di fichi nel giorno più corto dell’anno, dedicato alla festa solstiziale della luce, e mangiarle a San Biagio significa preservarsi dalle malattie della gola e dei polmoni. A marzo arriva l’equinozio di primavera e compare una pupa stupefacente, che somiglia all’antica gorgone capace di pietrificare con il suo sguardo. È un ammonimento! Le sette gambe della Quarantana (cosi si chiama questa pupa) rappresentano il percorso di purificazione della Quaresima; le sette piume o un canestro con sette pesci rappresentano l’astinenza da tutte le cose impure. Le sette lingue indicano la necessità di astenersi dalla maldicenza e altri peccati orali o di pensiero. Non dovrebbe essere tanto ricca d’ingredienti ricercati e “quindi” peccaminosi, perciò sicuramente niente cioccolato, cannella e mandorle; magari solo un poco di mosto cotto impastato
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con farina. Ma perché tutto questo lutto? Perché, in realtà, questa pupa rappresenta la vedova di Re Carnevale e ha uno scopo ben preciso: purificarsi dal male con l’astinenza e tornare fertile e feconda. Infatti eccola trasformata a Pasqua, nella festa della rinascita, piena di gioia di vivere, seno nudo e turgido e gravida di un bell’uovo sulla pancia, anzi tante uova quanti sono i figli della famiglia, così che anch’essi ne avranno almeno un pari numero. Non spostate l’uovo, non coprite il seno e non smagritela, sarebbe segno di malaugurio. Una dose di fantasia non guasta, per esempio aggiungendo simboli floreali, ma solo se prima si rispettano le regole. Alle pupe di biscotto si affiancano altre pupe che non si possono mangiare ma si fanno bruciare o si appendono. Sono le pupe “volatili”, fatte di una materia tale e contenenti un ingrediente magico che si può disperdere nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo e nella terra su cui camminiamo. La famosa pupa che balla tra i fuochi d’artificio, un tempo fantasmagorica divinità danzante con i seni nudi fatta di cartapesta, è la regina di tutte queste bambole. Sono quasi scomparsi, invece, il fantoccio del re Carnevale e del Majo, entrambi spiriti della Natura che andavano bruciati per rendere fertile la Terra. Questi due fantocci maschili hanno uno scopo rituale complementare alle pupe: la fertilità
è rappresentata da un simbolo fallico, un salame o una pannocchia di granturco; gli scoppi rumorosi di petardi celati in peperoncini scacciano il male; un bigliettino viene cucito nella tasca per ogni desiderio da mandare in cielo mentre il fantoccio brucia. Una festa bellissima è l’antico rituale delle “bambole volanti”, la IV domenica di Quaresima. Esse possono attrarre gli spiriti della Natura e seminare una magia buona, perciò c’è l’usanza di farle volare appese a fili sui luoghi che si desidera proteggere e rendere fertili. Queste pupe portano doni, ma sono vestite di nero o di bianco – i colori del lutto – e in mano hanno un fuso con della lana e una rocca. Sotto il vestito delle bambole tornano le “sette cose” che rappresentano i cibi e i simboli della Quaresima, da consumarsi in attesa della rinascita, della resurrezione e del risveglio della natura. Sono accompagnate da tre maschi vestiti da vecchia, rappresentanti le Parche, che fanno e disfanno il destino umano: forse sono le uniche tre pupe viventi ancora conservate nella tradizione abruzzese.
*Francesco Stoppa è uno studioso di tradizioni popolari e direttore del centro di Antropologia Territoriale per il Turismo, Ud’A. Per la pupa di Pasqua si ringrazia il signor Marcelo Castello, di Rosario (Argentina)
CHECOCCE E PATANE
Quali sono gli ingredienti magici con cui assicurarci la salute e l’abbondanza? E soprattutto, che farci? Ecco i punti di partenzaa: i peperoni secchi (bastardoni), il pane, la sardella salata, il baccalà, l’olio, l’aglio e il peperoncino. Vanno ricombinati in un menu quaresimale da servirsi la quarta domenica di Quaresima, a pranzo, avendo cura di scegliere solo uno o due piatti e non di farli tutti assieme. Alcune idee: la pasta con i bastardoni; la pizzə də randinijə, rapə ‘rscucinate nghè l’alicə; le pallotte de baccalane; checocce e patane; o la pupe. Le ricette sono contenute nella versione integrale di questo articolo, pubblicato su www.ccomemagazine.it .
Cuocete 6-700 g di zucca gialla tagliata a dadi; a parte lessate 500 g di patate, poi pelatele e tagliatele. Fate soffriggere i bastardoni per pochi secondi, a grossi pezzi o interi, e scolateli; soffriggete l’aglio nello stesso olio, aggiungete poi la zucca e le patate. Intanto fate friggere rapidamente le sardelle dissalate e disponetele insieme ai bastardoni sul piatto prima di servire. PAG 27 / C COME TRADIZIONE
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DI BEATRICE DE TULLIO
Mogli e buoi... dei paesi che vuoi!
Ho iniziato a conoscere Guido, simpaticissimo ragazzo casertano, futuro marito di mia cugina, parlando di gastronomia. La comune passione per il cibo ci porta a fantasticare su un tour eno-gastronomico in Campania da ormai due anni. In attesa di gustare le decantate specialità campane, gli chiedo cosa pensa della nostra ricca cucina e scopro che non ha riscontrato grandi novità. Il primo esempio cade sui dolci abruzzesi al mosto cotto: a Napoli i mostaccioli che conosciamo di Scanno si chiamano mustacciuoli e sono anch’essi a forma di rombo e ricoperti di glassa al cioccolato. Di consistenza morbida o dura, devono il loro nome sia al mosto, con cui vengono fatti, sia alla forma (ricordano molto i “mustacchi”, i lunghi e folti baffi dei signori nobili) ma vengono consumati solo nel periodo natalizio. Parlando di pietanze delle feste, sorprende scoprire come il brodo con i cardi non sia una peculiarità abruzzese: la versione originale irpina prevede l’aggiunta della carne spezzettata della gallina stessa oltre alle polpettine e all’uovo sbattuto. Gli struffoli, dolce natalizio campano, non sono altro che la cicerchiata abruzzese, da noi preparata prevalentemente a Carnevale. Mi sento imbattibile parlandogli del Parrozzo, ma anche in questo caso Guido dichiara di aver visto qualcosa
di molto simile a Benevento: di fronte all’immagine del Panesillo di Ponte rimango a bocca aperta. Come suggerisce l’etimologia latina del suo nome (panis ille), è un tipo di pane che veniva preparato nelle occasioni speciali a Ponte (Bn). Dolce artigianale di antichissima tradizione, viene confezionato impastando farina di grano tenero, uova fresche, zucchero e latte. Lievitato naturalmente, si cuoce in forno per più di un’ora e viene guarnito con glassa di zucchero al mandarino, all’arancia o al cioccolato. Se non per gli ingredienti, aspetto e origini sono molto simili: da noi era pane rozzo, da loro panis ille. La pasta mandorla guardiese (da non confondere con la pasta di mandorle) a base di mandorle, cioccolato, ammoniaca, canditi e spezie ha un impasto che ricorda molto i Roccocò, dolcetti tipici campani. Anche tra pastiera napoletana e pizza di ricotta abruzzese ci sono, in fondo, poche differenze: escludendo il grano cotto nel latte, molte versioni del nostro dolce prevedono l’aggiunta dei canditi. Facoltativa e discussa in ambedue le regioni è l’aggiunta di crema pasticciera nella farcia. Per finire, a San Giuseppe entrambi gustiamo le zeppole. Ok, Guido, col senno di poi vorrà dire che nel tour gastronomico alla scoperta della Campania dovremo cercare qualcosa che non sia troppo abruzzese!
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Metodo Martinotti o classico?
Nell’ultimo decennio l’export dei vini italiani è cresciuto dell’88%, trainato delle esportazioni degli spumanti (+263%). Questo è il dato che emerge dall’Area agricoltura e industria alimentare seguita dal settore Wine Monitor, dell’istituto Nomisma. Le statistiche sono raccolte nell’articolo “Mercato nazionale vs Mercato globale”, oggetto di approfondimento al Vinitaly 2015. Secondo l’Osservatorio economico dei vini effervescenti, la produzione 2013 è stata di 434 milioni di bottiglie, con un valore all’origine di 735 milioni di euro. La crescita dei volumi è stata del 9,1%. E per il solo export è andata ancora meglio, con 2,1 milioni di ettolitri e 736 milioni di euro, rispettivamente in crescita del 13% e del 18% sul 2012 (dati Istat elaborati da «I numeri del vino»). PAG 31 / SPECIALE VINO / C COME SPUMANTI
«Finalmente è possibile parlare di spumanti abruzzesi provenienti da vitigni autoctoni e internazionali, dal carattere ben identificabile»
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I consumi totali sono stimati intorno ai 420 milioni di bottiglie, 397 milioni delle quali realizzate con il metodo Martinotti (Charmat) e il resto con il metodo classico (Champenois). Le bottiglie stappate all’estero (in 78 Paesi) sono state 277,6 milioni: una crescita che non si è mai interrotta dal 2009 a questa parte, con Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Russia a fare la parte dei leoni, mentre il mercato italiano si presenta in crescita relativa, a causa - secondo le fonti – di un eccessivo distacco tra produttore-consumatore e di una gestione poco efficace dell’offerta. Molti numeri per affrontare un tema che risulta tanto effervescente quanto “ostico”, perché si tende a soffermarsi sempre sulle statistiche, senza convogliare l’attenzione verso l’essenza del discorso. Sa il consumatore medio italiano scegliere uno spumante? Sa qual è la differenza tra il metodo Charmat e classico (Champenois)? Bisogna, sì, incentivare i consumi, ma partendo da concetti basilari che aiutino a scegliere in maniera consapevole, in modo da far capire che effervescenza non significa, automaticamente, Champagne. Questo nome sta infatti a indicare uno spumante ottenuto con metodo classico e proveniente solo da quella zona dalla Francia. “Bollicine”, termine orrido, non è sinonimo solo di Prosecco, perché il Prosecco è riferito esclusivamente a una DOC dell’area Nord Orientale dell’Italia, ricadente in 5 province del Veneto e in 4 nel Friuli Venezia Giulia. Inoltre, fatto non trascurabile, le uve destinate alla sua produzione provengono per l’85% dal glera, vitigno autoctono a bacca bianca di quelle zone. Il consumatore curioso potrà trarre giovamento dal sapere che il Metodo Charmat o Martinotti fu inventato alla fine del Diciannovesimo secolo da, appunto, Federico Martinotti, direttore dell’Istituto sperimentale per l’Enologia di Asti. Lui introdusse la fermentazione in grandi recipienti a tenuta stagna, ma fu poi il francese Eugène Charmat a brevettare,
attorno al 1910, questa attrezzatura, così il metodo fu conosciuto nel mondo con il nome francese. In questo processo di spumantizzazione, la fermentazione avviene in un’autoclave pressurizzata e a temperatura controllata, per un periodo breve che va dai 30 giorni ai 6 mesi, durante il quale gli zuccheri presenti vengono trasformati in alcol e anidride carbonica per opera dei lieviti. Il prodotto viene subito imbottigliato ed è pronto per il consumo. Negli spumanti ottenuti con questa tecnologia le bollicine non saranno necessariamente fini e persistenti, ma vengono privilegiate la freschezza, le note aromatiche e fruttate, l’accessibilità di beva e l’immediatezza sensoriale. In questa categoria troviamo due paradigmi: il Prosecco il Moscato d’Asti. Il metodo classico o Champenoise è tutt’altra storia che proviamo a sintetizzare. Nasce in Francia nella regione della Champagne alla fine del 1660. Leggenda vuole che l’inventore sia il monaco benedettino Dom Pierre Pérignon, ma la realtà storica ci racconta che già il De salubri potu dissertatio del XV secolo, opera di Don Francesco Scacchi di Fabriano, fa dei riferimenti agli spumanti e al metodo per ottenerlo. Il metodo classico consiste essenzialmente nella rifermentazione del vino (presa di spuma) direttamente nelle bottiglie – e non in autoclavi come per il Charmat – con l’aggiunta di zuccheri e lieviti selezionati e prevedendo una successiva sosta per ottenere maggiore complessità organolettica. Le bottiglie vengono messe a riposare coricate per periodi più o meno lunghi, da mesi fino a oltre 10 anni, in cantine fresche, buie e lontane dai rumori. È richiesto il remuage sistematico, una rotazione con cui si fanno migrare i sedimenti verso il tappo. Segue il dégorgement o sboccatura. Avviene immergendo il collo della bottiglia capovolta in una soluzione che ghiaccia i sedimenti precedentemente migrati verso il tappo; a questo punto, la bottiglia può essere rimessa dritta. La pressione dello spumante provoca la fuoriuscita
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«Effervescenza non significa automaticamente Champagne.»
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del blocchetto di ghiaccio con i fondi e si può procedere al rabbocco con lo sciroppo di dosaggio, detto liqueur d’expèdition (non sempre aggiunto) o con lo stesso vino. Seguono la tappatura, la chiusura con la gabbietta metallica e l’etichettatura. Il risultato del metodo classico sarà un vino complesso, in cui emergono la “croccantezza” dei profumi apportata dai lieviti. Il perlage (le bollicine) tenderà a essere fine e persistente. È un prodotto che in termini produttivi richiede un impegno finanziario non indifferente per i produttori, per via delle lunghe attese prima del ritorno economico. In Abruzzo, grazie al ricco patrimonio viticolo che annovera vitigni dal tenore acidico importante, quindi idonei alla spumantizzazione, si assiste oggi a un netto
indirizzamento del comparto verso questa tipologia di prodotto. Un sensibile apporto in tal senso l’ha dato il Programma di sviluppo rurale (P.S.R.) 2007-2013 Misura 1.2.4, con incentivi per i percorsi di ricerca e sperimentazione in vari ambiti, tra cui la produzione di vini spumanti. Svariati i criteri sui risultati: le fazioni dei detrattori e dei favorevoli come al solito si fronteggiano. Il fatto positivo è uno: finalmente è possibile parlare di spumanti abruzzesi provenienti da vitigni autoctoni e internazionali, dal carattere ben identificabile, versatili negli abbinamenti gastronomici e capaci di competere per unicità, senza scimmiottare stili altrui. Quindi è ora di iniziare a chiederli e a proporli!
GLI SPUMANTI ABRUZZO DOP
All’inizio di febbraio 2015 Codice Citra ha presentato un progetto di ricerca che porterà alla elaborazione di vini spumanti ottenuti dai vitigni autoctoni abruzzesi (Montepulciano, Passerina, Pecorino, Cococciòla, Montonico) sia con il Metodo Martinotti (o Charmat) sia con il Metodo Classico. Il progetto sarà realizzato da parte di Codice Citra attraverso le sue associate e i soci vignaioli, con la partnership di C.Ri.V.E.A. e dell’Università di Teramo. Gli spumanti “Abruzzo dop” saranno presentati in tutto il mondo nel 2015, nella versione Martinotti (o Charmat) e, dopo un riposo sui lieviti di 36 e 48 mesi, nelle versioni Metodo Classico e Metodo Classico Millesimato. «Siamo partiti dalla mappatura dei vigneti dove le cultivar autoctone sono allevate, distribuiti sui seimila ettari dei nostri soci vignaioli – ha spiegato Lino Olivastri, enologo di CITRA VINI, coordinatore e responsabile del progetto – finita la sperimentazione, si identificheranno le aree e le uve migliori per produrre spumante». A corollario della presentazione del progetto sono intervenuti anche il critico enogastronomico Alessandro Bocchetti, la docente universitaria Paola Di Gianvito, del Dipartimento di Microbiologia, e Maurizio Odoardi, rappresentante di C.Ri.V.E.A. Giuseppe Arfelli, docente di Enologia all’Università di Teramo, ha sottolineato come la produzione di vini spumanti sia molto impegnativa perché la presa di spuma è una fase in cui tutto il processo di vinificazione può essere messo in discussione. (Fonte: Citra.it)
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Montepagano Borgo Divino
Pescara Abruzzo WIne
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c come incontro
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Camminando sulla stessa strada
Ci sembra ormai acclarato che a noi di C come magazine piace vedere le persone lavorare insieme. Quando si è onesti con se stessi e si ha fiducia nel proprio operato, collaborare diventa una festa e incontrarsi un trampolino per una identità condivisa. L’incontro per eccellenza, che ci ha incuriosito sin dal suo annuncio, è avvenuto a Montepagano (Te) a luglio 2014, nell’ambito della 43esima Mostra dei vini d’Abruzzo “Montepagano Borgo DiVino”. L’evento è stato storico: il critico enogastronomico Antonio Paolini ha condotto una degustazione guidata che ha messo a confronto i due “macho” del Centro Italia, il Montepulciano Nobile di Toscana e il nostrano Montepulciano d’Abruzzo. Hanno partecipato all’evento le aziende toscane Dei, La Talosa, Poliziano, Bindella, Le Bertille, Il Macchione, e le aziende abruzzesi Torre dei beati, Valle Reale, Tenuta Ulisse, Masciarelli, Barba e Lidia e Amato. PAG 37 / SPECIALE VINO / C COME INCONTRO
Gran Galà del Vino d’Abruzzo
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Ascoltando i produttori intervenuti sono state evidenti le affinità, come la cura agronomica maniacale della vigna, l’attenzione verso la maturazione delle uve e la tendenza crescente a intervenire il meno possibile in Cantina. «È stata la prova che tutti stiamo camminando sulla stessa strada – commenta Paolini – Abbattute le diffidenze e i campanilismi, siamo ora concentrati su un confronto sano e costruttivo. Dall’esperienza di luglio sono emerse le unicità dei due rossi “cugini”: il toscano, che nasce da uve Sangiovese, è caratterizzato dalla grazia ma ha dimostrato di saper “alzare il tono di voce”, presentare rocciosità; l’abruzzese, che nasce da uve Montepulciano, è viceversa in grado anche di ingentilire la sua forte personalità. Siamo riusciti a varcare le barriere per un giorno, possiamo riuscirci anche più a lungo: sarebbe bello che fossimo noi a dare il buon esempio all’Italia». A proposito di festa, il 22 novembre 2014 nella nona edizione di “Pescara Abruzzo Wine” sono stati premiati operatori illustri nel settore del vino, con cerimonia organizzata dalla Delegazione AIS di Pescara e dal Comune di Pescara in collaborazione con la Fondazione PescarAbruzzo e con il patrocinio degli assessorati regionali all’agricoltura e alle tradizioni, della Camera di Commercio di Pescara, del Consorzio di tutela Vini d’Abruzzo e del Consorzio di tutela Colline Teramane. Ecco i “premiati speciali” abruzzesi: enologo dell’anno è stato nominato Carlo Ferrini, consulente di aziende come Masciarelli e Valle Reale; giornalista abruzzese dell’anno è stato Luigi Di Fonzo del quotidiano “Il Centro” per la carta stampata, mentre per il settore televisivo Alfredo Giovannozzi, direttore di Tv6; il miglior olio abruzzese è stato il Cultivar Dritta dell’azienda “La Quagliera” di Spoltore; la miglior azienda di prodotti gastronomici il salumificio “F.lli Cappola”di Tocco da Casauria; il miglior cultore delle tradizioni, il Trebbiano 2010 dell’Azienda “Valentini” di Loreto Aprutino; e Feudo Antico è “Cantina dell’anno”. I vini premiati? Per la
categoria dei vini bianchi il Pecorino 2013 dell’azienda agricola Contesa; nella categoria vini rosati il Cerasuolo Abruzzo 2013 Costantini; per i vini rossi l’Amphora 2013 della Cantina Cirelli e il Montepulciano d’Abruzzo del 2010 di Emidio Pepe. La miglior docg è il Celibe 2010 Riserva, Montepulciano d’Abruzzo docg Colline Teramane di Cantina Strappelli; premiati anche il passito rosso Pietrantonj e lo spumante Santagiusta brut metodo classico di Marchesi de’ Cordano. Il Montepulciano d’Abruzzo “Valori 2012” è stato premiato nella categoria del vino biologico, mentre a livello aziendale non poteva mancare un riconoscimento a Chiusagrande. Per il miglior rapporto qualità prezzo è stato premiato “Sogno 2012” della Cantina Platinum di Corropoli; il miglior evento Ais è stato giudicato quello organizzato a favore di Alba onlus; la migliore promessa lo spumante Rosè Abruzzo doc Eredi Legonziano; e il premio speciale “Il bianco di Giulio” è stato assegnato al Trebbiano d’Abruzzo Gianni Masciarelli. Un bellissimo momento di festa e di incontro è l’appuntamento annuale con il Gran Galà del Vino d’Abruzzo, sempre a firma Ais, che il 5 dicembre 2014 è stato anche l’occasione per discutere di come la notorietà del brand Montepulciano possa costituire il volàno per lo sviluppo di un enoturismo interno. Sono intervenuti, come una voce sola, tutti i rappresentanti del settore, a partire dai delegati Ais e dai presidenti dei Consorzi di Tutela dei Vini d’Abruzzo e Colline Teramane Tonino Verna e Alessandro Nicodemi, per finire al presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino Daniela Mastroberardino e al presidente nazionale Città del vino Pietro Iadanza. È stata presentata la guida Vitae 2015, di cui il sommelier Luca Panunzio, delegato Ais Pescara, è responsabile regionale, e che quest’anno conta le aziende Ausonia, Barba, Barone Cornacchia, Nestore Bosco, Bove, Umberto Buccicatino, Cantina Colonnella, Cantina Frentana, Cantina Miglianico,
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LINEA “TORRE VINARIA”
Cantina Frentana ha presentato all’inizio di marzo la linea dedicata alla Torre Vinaria aziendale, rimessa a nuovo nel 2014 a Rocca San Giovanni. Nella sala degustazione, il giornalista Massimo Di Cintio ha introdotto la conoscenza del Terre di Chieti igt Rosso e il Terre di Chieti igt Bianco, pensati per un panorama internazionale e abbinati, per la serata, ai piatti del Ristorante Villa Maiella. Nel Rosso si incontrano il Montepulciano d’Abruzzo, il Merlot e il Cabernet Sauvignon, nel Bianco il Pecorino (oltre il 60%), lo Chardonnay e il Pinot grigio. I due vini sono stati abbinati, rispettivamente, a un controfiletto di maiale nero di Villa Majella servito in crosta di patate e a vialone nano mantecato al pecorino e indivia belga su crema di rape. Dopo aver scelto di valorizzare i vitigni autoctoni, la Cantina presieduta da Carlo Romanelli e seguita dall’enologo Gianni Pasquale ha adottato questo passepartout per varcare i confini nazionali e incontrare il gusto del pubblico estero, con l’obiettivo di avvicinarlo ai sapori più autentici della nostra regione.
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Cantina Sangro, Cantina Tollo, Castorani, Cataldi Madonna, Centorame, Cerulli Spinozzi, Chiusa Grande, Francesco Cirelli, Citra, Collefrisio, Contesa, Giuseppe Cordoni, Antonio Costantini, De Angelis Corvi, De Fermo, Eredi Legonziano, Faraone, Farnese Vini, Feudo Antico, Filomusi Guelfi, Fontefico, Gentile, Dino Illuminati, Jasci & Marchesani, Donatello Jasci, La Quercia, La Valentina, Lepore, Marchesi De’ Cordano, Marramiero, Masciarelli, Mastrangelo, Monti, Camillo Montori, Nicodemi, Pasetti, Emidio Pepe, Pietrantonj, San Lorenzo, Guido Strappelli, Tenuta I Fauri, Tenuta Ulisse, Terra D’aligi, Tiberio, Torre Dei Beati, Valentini, Valle Reale, Valori, Villa Medoro e Zaccagnini. Passiamo, infine, a un incontro speciale, a tu per tu, utile come spunto per nuovi e ulteriori momenti di condivisione. Ad agosto 2014 la Tenuta I Fauri ha avuto una vendemmiatrice speciale: la wwoofer Bàrbara Crespi Ramos, ha offerto manodopera in cambio di ospitalità.
Il circuito WWOOF World Wide Opportunities on Organic Farms (wwoof.it/it/) è nato in Inghilterra più di 30 anni fa, ma l’associazione è diventata internazionale nel 2011 e permette di fare un tuffo nel mondo agricolo in cambio del proprio lavoro. Viene definita “un’esperienza di apprendimento autentico in lavori agricoli nei campi, la possibilità di condividere la giornata con i loro proprietari”: così, Bàrbara ha girato un mese per l’Italia ed è stata prima in Emilia Romagna a imparare a fare marmellate biologiche, poi in Abruzzo a vendemmiare. «Non sapevo nulla di vino – ha commentato prima di ripartire – e in una settimana ho imparato a raccogliere l’uva, a seguire il processo di fermentazione e ad accogliere i clienti». (Si ringraziano, per le foto: la Confraternita del Grappolo, l’Ais Pescara, Tenuta I Fauri)
E ORA IL MONTEPULCIANO PUÒ VOLARE
Da ottobre 2014 è aperta nell’Aeroporto d’Abruzzo, a Pescara, la prima bottega italiana della rete di Campagna Amica rivolta principalmente a turisti e visitatori che provengono da altre nazioni, con particolare riferimento a Spagna, Belgio, Inghilterra, Francia e Germania. La novità sta nel fatto che per la prima volta, in Abruzzo, si ha la possibilità di far decollare nella borsa a mano anche i prodotti agroalimentari liquidi: l’unica condizione è che vino, olio e liquori devono essere acquistati presso questa bottega, gestita da Ettore Flacco, un italiano recentemente tornato dall’Australia per lanciarsi nell’agroalimentare, e rifornita da oltre 30 aziende della rete promossa da Coldiretti. Una volta che il passeggero acquista il proprio articolo nella bottega, paga e ritira solo lo scontrino. Successivamente si recherà in area sterile dove, prima dell’imbarco, il venditore provvederà a consegnargli l’articolo in una busta sigillata. (Fonte: Coldiretti Abruzzo)
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Abruzzo Terrad’oro - sezione Doradoro - Adelina Ferrante
Abruzzo Terrad’oro - sezione Persone - Simona Budassi
Abruzzo Terrad’oro - sezione Territorio - Sandro Menga
Abruzzo Terrad’oro -Foto più votata su Facebook - Piera Di Clemente
Vigneto Casadonna - Feudo Antico
c come esperimento
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Cinquanta sfumature di vino
È irresistibile, quasi inevitabile, la citazione del best seller del momento per raccontare alcuni dei tantissimi modi in cui il mondo vitivinicolo sta re-inventando l’Abruzzo. Consolidate le forme classiche e più apprezzate, che vedono protagonisti i vitigni autoctoni, i produttori sono pronti a spingersi un po’ più in là con la ricerca e la sperimentazione, forti anche di finanziamenti regionali che sono stati predisposti, e stanno reimparando a trovare nuove forme e capacità di comunicazione, di sensibilizzazione e soprattutto di “innamoramento” del territorio. PAG 43 / SPECIALE VINO / C COME ESPERIMENTO
Francesco Cirelli
Adriana Tronca
Niko Romito - Andrea Di Fabio - Riccardo Brighigna
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Guardare da un’altra prospettiva. Un esempio lo abbiamo raccontato l’anno scorso: tra il 2013 e il 2014 la Cantina di Ortona “Dora Sarchese” ha organizzato un monumentale concorso fotografico, il primo a prolungarsi per un intero anno solare: “Abruzzo Terrad’oro” (abruzzoterradoro.it) è stato dedicato alle aree di Arielli, Ortona e Crecchio e ha visto il coinvolgimento e la disponibilità di tutti gli operatori della zona che hanno fornito i premi e le opportunità di raccontare la bellezza. Tra le finalità principali del concorso spiccava il mettere in discussione la propria percezione del territorio e accogliere punti di vista esterni, riscoprendo il ritmo della vigna e della terra durante le quattro stagioni. Tra i partner troviamo i due stellati Michelin “Al Metrò” di San Salvo Marina e “Villa Majella” di Guardiagrele e la struttura di Castel di Sangro “Casadonna”; i ristoranti “L’angolino sul mare” di Francavilla al mare, “Caldora Punta Vallevò” di Rocca San Giovanni, “Il vecchio teatro” di Ortona, i “Bagni Vittoria” e l’agriturismo “Del Casale” di Vasto; il Trabocco “Vento di Scirocco” e la “Bottega culinaria biologica” di San Vito Chietino. Vigneti ad alta quota. Un esempio recente di vino inedito, non convenzionale, coltivato all’insegna della sperimentazione in un luogo impervio è il Pecorino Igp Terre Aquilane 2013 Feudo Antico per Casadonna. La novità sta nel fatto che normalmente il vitigno autoctono del Pecorino non viene allocato in altura. Nel 2010 Niko Romito, cuoco tristellato e patron di Casadonna, e Andrea Di Fabio, direttore generale dell’azienda vitivinicola Feudo Antico, hanno scelto di provare a coltivarlo a Castel di Sangro, cioè a ben 860 metri di altitudine. «Abbiamo avviato un progetto audace, all’insegna della sperimentazione e della volontà di valorizzare il nostro territorio e la sua vocazione alla viticoltura – commenta Andrea Di Fabio – Lo abbiamo portato avanti con entusiasmo, determinazione
e grandi aspettative, che sono state non solo confermate, ma superate dai risultati». Le caratteristiche principali, dovute alla forma di allevamento e alla bassissima resa per ceppo, sono un’acidità elevata e un alto contenuto di estratti. «Questo progetto non nasce con un obiettivo commerciale – aggiunge Niko Romito – ma con l’auspicio che funga da case history per altri terreni in altitudine che possano trovare una vocazione vitivinicola». Sul piano tecnico, l’operazione di ricerca è seguita dall’enologo Riccardo Brighigna e da un’equipe della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università degli Studi di Milano guidata dal professor Attilio Scienza. Dopo essere stato presentato al Salone del Gusto di Torino di ottobre 2014, il Pecorino è stato selezionato per aprire la degustazione promossa dal Cortina Wine Club, programmato sabato 27 dicembre 2014 a Cortina d’Ampezzo. Di luoghi impervi ha parecchio da parlare anche Adriana Tronca, titolare dell’azienda agricola “Vigna di more”, Cantina rivelazione per il Pescara Abruzzo Wine Festival 2013 e aderente al Cervim, il Centro internazionale di ricerca e valorizzazione per la viticoltura di montagna. Parliamo di un piccolo Trentino a circa 20 Km da L’Aquila, a Tione degli Abruzzi, dove a oltre 700 metri di altezza si trovano le uniche vigne abruzzesi di Pinot nero e Traminer, alternate a filari di Cococciola e Chardonnay, Kerner e Petit Manseng nello spazio di 6 ettari vitati. «Il pendio Lamata a Tione degli Abruzzi – spiega Adriana Tronca – presenta condizioni pedoclimatiche uniche per il pinot nero, regalandogli mineralità e strutturalità». Il prossimo obiettivo di questa donna aquilana, che ha trascorso una vita in Franciacorta e che pochi anni fa ha iniziato quest’avventura in Abruzzo, cambiando totalmente vita, è completare le pratiche burocratiche per poter iniziare a vinificare in proprio. Vino in anfora. Nel territorio di Atri abbiamo una sperimentazione che più che guardare in avanti è una sorta di “Ritorno
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IL SEGRETO DELLA PIETRA
È un uso che si perde nella notte dei tempi, quello di pigiare l’uva in vasche di pietra: solitamente realizzate a valle delle vigne, a volte scavandole nella roccia, vasche e palmenti raggiungevano anche una grandezza di 4 metri x 3 ed erano spesso fornite anche di torchio a trave, con contrappesi e beccucci, perché erano in comunicazione con vasche di raccolta. L’uso maggiore è stato fatto fino all’epoca romana, ma nel 1500 abbiamo documenti che ne dimostrano l’esistenza, ad esempio vietando il pascolo nei loro pressi. Oggi sono dismesse e seminascoste dalla vegetazione o perdute nelle grotte. In Abruzzo il ricercatore Edoardo Micati ne ha contate una ventina all’aperto, di cui almeno 10 solo intorno a Pietranico, in provincia di Pescara. Il vinosofo Franco D’Eusanio, fondatore dell’azienda Chiusa Grande a Nocciano, ha intrapreso un percorso di riscoperta decidendo di vinificare il Montepulciano D’Abruzzo, il Pecorino e il Trebbiano d’Abruzzo nelle vasche provenienti da Pietranico, in alcuni casi lasciandolo fermentare con le bucce e in altri spostando il vino in acciaio a fine fermentazione. La condivisione del primo risultato è avvenuta a dicembre 2014, di fronte a un pubblico di operatori del settore e di giornalisti, con commenti e spiegazioni ad opera degli enologi Beniamino Di Domenica e Franco Giandomenico; di Maurizio Odoardi, già direttore tecnico C.ri.v.e.a; e dei docenti universitari Roberto Zironi e Dino Mastrocola. A marzo 2015 sono stati proposti anche 6 piatti in abbinamento, a cura degli chef stellati Matteo Iannaccone (Café Les Paillotes) e Marcello e Mattia Spadone (Ristorante La Bandiera), con commenti tecnici da parte del giornalista enogastronomico Antonio Paolini. «Dal punto di vista delle analisi non c’è alcuna variazione – ha spiegato Franco D’Eusanio – anzi si resta nella filosofia aziendale di vini estremamente emozionali e la valorizzazione della materia prima. La specificità della pietra porta un arricchimento in calcio, silicio, potassio... tutti elementi minerali che aggiungono riconoscibilità e donano complessità al profilo organolettico del vino». In aggiunta alla vinificazione in vasche di pietra di Pietranico lo studio si occupa di altri due filoni: il primo analizza la produzione di vini senza solfiti aggiunti, per evidenziare la capacità di conservazione nel tempo garantendone la qualità (ne è un esempio la linea di vini “Natura”); del secondo filone è un esempio “D’Eus”, il primo spumante biologico metodo classico d’Abruzzo, che è stato concepito come omaggio a Gabriele D’Annunzio nel 150° anniversario della nascita. L’atto conclusivo del progetto sarà orientato alla divulgazione dei dati emersi durante la lunga ricerca. (Foto: Chiusa Grande/Modiv)
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al futuro”: l’azienda agricola biologica Cirelli propone da alcuni anni un’intera linea di Trebbiano, Cerasuolo e Montepulciano vinificati in anfora in terracotta, proponendo una tecnica antichissima, risalente all’Impero romano, per la conservazione del vino. Le bottiglie sono riconoscibili dal disegno in etichetta (un’anfora stilizzata, per l’appunto). Come racconta il giornalista Andrea De Palma sul wineblog Lucianopignataro.it, «la cantina si mostra di una semplicità estrema, con anfore da otto quintali, di porosità media non smaltate né cerate, niente acciaio o legno, un torchio, “olio di gomito” e poco altro. (…) Non ci sono lieviti aggiunti ma solo autoctoni: la terra non giudicata idonea alla coltivazione della vigna
è stata per anni abbandonata dai contadini della zona e quindi è molto viva. (…) Dopo la fermentazione alcolica e malolattica, i vini non sono filtrati né stabilizzati con il freddo delle macchine prima dell’imbottigliamento, ma Francesco pazientemente sposta le anfore fuori al freddo della notte e la mattina imbottiglia. Il vino sosta in anfora almeno 9 mesi». Il risultato è interessante e in continuo miglioramento: come conclude De Palma, «questi vini hanno bisogno di qualche anno per mostrarsi al meglio». Le sperimentazioni più recenti e interessanti sono la vinificazione in pietra di Franco D’Eusanio (Cantina Chiusagrande, di Nocciano, in provincia di Pescara) e il recupero della vite selvatica nell’area Frentana.
IL PROGETTO “PALEOVITE D’ABRUZZO”
Nell’area frentana è in corso un progetto di studio e di salvaguardia dall’estinzione che potrebbe rivelarci molte cose sulle origini dei vitigni coltivati in Abruzzo. Circa 6 anni fa, nel corso di una indagine a cura dei ricercatori Aurelio Manzi e Fabio Conti, è stata rinvenuta una decina di individui di vite selvatica nella Riserva Naturale della Lecceta di Torino di Sangro. «Sappiamo che la vite selvatica doveva essere molto diffusa, anticamente – spiega Aurelio Manzi – Non solo abbiamo testimonianze dei periodi romani e medievali, ma nello statuto di Atri, che risale al quindicesimo secolo, ne veniva persino regolata la raccolta. Cresceva nei boschi di pianura, che sono spariti per far spazio ai campi agricoli e alle risaie a partire dal 1500. A differenza di quella coltivata, la vite selvatica non è ermafrodita: è stato perciò importante poter riprodurre in cattività sia esemplari maschili sia femminili, anche perché una delle “femmine” più grandi era stata tagliata via insieme a un albero. Ci siamo riusciti grazie alla sensibilità di Luciano Di Martino, del Parco Nazionale della Majella, perché abbiamo lavorato nel Centro per la Conservazione del Germoplasma dell’orto botanico di Lama dei Peligni». Questo ha reso possibile, a novembre 2014, la messa a dimora di una ventina di talee di vite selvatica, cioè di giovani piantine, nelle Riserve naturali della Lecceta di Torino di Sangro, del Bosco di Don Venanzio a Pollutri e in un vigneto di proprietà della Cantina Frentana, che ha ideato il progetto “Paleovite d’Abruzzo”. Questo progetto prevede un doppio percorso: provare a vinificare da vite selvatica – e per la prima vendemmia occorrerà aspettare almeno tre anni – e incoraggiare uno studio biologico e genetico. «Sarebbe prezioso poter risalire al DNA della vite selvatica per capire l’effettiva provenienza dei vitigni attuali – conclude Manzi – o, per esempio, trovare il modo di sfruttare la sua resistenza ai parassiti animali e vegetali, magari per innesti virtuosi». A Lama dei Peligni si prevedono nuove talee per l’autunno 2015: la ricerca continua. (Foto: Gily/Cantina Frentana/Aurelio Manzi)
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«Non esiste un tappo migliore e un tappo da discriminare: a seconda del tipo di vino che si dovrà conservare, si sceglierà il tipo.»
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DI DALILA LANCI, ENOLOGA / FOTO_MODIV
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comeMagazine Speciale Vino
LA CULTURA ENOGASTRONOMICA
ABRUZZESE IN UN FREEPRESS
Ogni vino ha il suo.
Il vino è il riassunto di una storia, di una passione, di una continua evoluzione che esploriamo nelle nostre degustazioni. Per fare in modo che un vino venga conservato nel modo migliore, la scelta del “giusto tappo” è fondamentale perché il suo ruolo è quello di proteggere, conservare e affinare. Il vino che andiamo a imbottigliare è destinato a un secondo invecchiamento in bottiglia, è un vino da consumare giovane o è per uso quotidiano e domestico? Non esistono né un tappo migliore né un tappo da discriminare, ma a seconda del tipo di vino che si dovrà conservare si sceglierà il tipo: di sughero, di silicone, in vetro o a vite? PAG 49 / SPECIALE VINO / C COME TAPPI
IL TAPPO “ASSICURATO”. La cantina loretese “Marchesi de’ Cordano” è la prima nel Centro Sud e terza in Italia a scegliere il tappo excellence “assicurato” del Gruppo Amorim Cork, leader mondiale nel mercato delle chiusure in sughero. La scelta è stata annunciata a dicembre 2014, in occasione del lancio delle 6mila bottiglie Montepulciano d’Abruzzo doc Santinumi Terra dei Vestini Riserva 2008 a cui questo nuovo tappo, lungo il 20% in più degli altri, è stato associato senza applicare aumenti al prezzo al pubblico. La novità sta nella garanzia dell’alta qualità, rilasciata con tanto di certificazione e di promessa di rimborso se il vino dovesse “odorare di tappo”. «È giusto che chi acquista un vino pregiato come una Riserva sia anche tutelato da sorprese spiacevoli – hanno spiegato il titolare di “Marchesi de’ Cordano” Francesco D’Onofrio, l’enologo Vittorio Festa e l’amministratore delegato Amorim Cork Italia Carlos Santos – Il rischio del “sentore di tappo” può essere ulteriormente arginato con una selezione attenta della plancia di sughero e l’analisi olfattiva finale dei tappi, eseguita personalmente da 4 dei “nasi” più esperti del mondo». In occasione della presentazione è stata proposta una verticale di “Trinità Montepulciano” del 2000, 2001 e 2003 condotta da Manuela Cornelii. PAG 50 / SPECIALE VINO / C COME TAPPI
Il tappo più antico è quello di sughero, che ha molte caratteristiche importanti per la conservazione del vino. Il sughero è impermeabile ed elastico, quindi garantisce un’ottima aderenza al collo della bottiglia, isolando il vino dagli agenti esterni. Importanti sono le microporosità naturali che presenta al suo interno, che consentono una “lenta ossigenazione” del prodotto. L’ossigeno è molto temuto, quando si parla di vino, perché è causa di ossidazioni e sviluppi batteriologici all’interno del prodotto; ma se lo scambio di ossigeno è molto lento, come in questo caso, apporta un’ottimale evoluzione delle qualità organolettiche del vino, dandogli morbidezza, eleganza e personalità. Queste caratteristiche fanno sì che il tappo di sughero, con tutto il suo fascino, venga scelto per i vini di pregio e destinati a un lungo affinamento in bottiglia. Nonostante tutti i suoi aspetti positivi questo tipo di tappo può causare degli inconvenienti: tra questi, il vino che “sa di tappo”. L’incidenza di questo problema è riscontrata tra l’1% e il 15% delle bottiglie prodotte, specialmente se conservate in un ambiente fresco ed umido. La causa di questo difetto è dovuta da un fungo, Armillaria Mellea, parassita della Quercia da sughero: quando una bottiglia viene chiusa con un tappo in cui si è sviluppato questo fungo si avrà il suddetto “sentore di tappo”, che ricorda l’odore di cane bagnato o cantina umida. Ci sono anche alcuni funghi, come l’Aspergillus, che si sviluppano, invece, in cantine tenute con scarsa igiene: sono loro a creare composti che attaccano il sughero e creano, di nuovo, il “sentore di tappo”. Per evitare questa problematica ci sono delle procedure, tra cui la sanificazione del tappo e tenere in piedi per almeno 1 giorno le bottiglie appena tappate, in modo che il tappo recuperi la sua elasticità e possa aderire bene al collo della bottiglia. I tappi che avanzano dall’imbottigliamento, inoltre, devono essere conservati a una temperatura di 20° C, umidità relativa tra il 50% e 70% e a riparo dai raggi solari. Tutto questo ci fa capire che la gestione e il costo dei tappi di sughero è superiore a tutti gli altri, per questo ritengo che sia più idoneo utilizzarli per vini pregiati, anche perché aiuta il loro lungo affinamento in bottiglia. L’alternativa commerciale al tappo di sughero, nel caso in cui ci troviamo davanti a vini destinati a un secondo affinamento che dura tra i 2 e i 5 anni è il sintetico in silicone. È prodotto con diversi tipi di materiale
plastico, spesso di colore somigliante al sughero. Non incide sulle caratteristiche organolettiche del vino, anzi è sufficientemente isolante da mantenerle inalterate, e non si sgretolano. Minimizza, però lo scambio di ossigeno tra l’esterno e l’interno della bottiglia, per cui non è adatto per i vini da invecchiamento. Negli ultimi vent’anni il tappo in silicone viene usato molto, perché è economico e, in quanto sterile (quindi non può essere aggredito da muffe), non crea il problema del “sentore di tappo”. Essendo un fenomeno relativamente giovane, tuttavia, non ci sono ancora certezze sul rischio di ossidazione del vino a lungo termine. Un terzo tipo molto innovativo e con molti punti di forza è il tappo di vetro. Il materiale è perfettamente sterile, quindi non soggetto a contaminazioni, ed è immune all’azione del tempo. L’ermeticità è assicurata dalla piccolissima guarnizione e dalla capsula in alluminio, mentre per la stappatura non occorrono particolari attrezzature, ma basta una lieve pressione. L’affinamento è in linea con quello dei tappi in sughero, anche se credo che stappare grandi vini con il tappo di sughero abbia un fascino imparagonabile. A sfavore, abbiamo che il tappo di vetro non è economico, anzi ha gli stessi prezzi dei tappi di sughero di alta qualità, e in più necessita di bottiglie e tappatori specifici. L’ultimo tappo utilizzato per il vino è il tappo a vite. Viene usato per l’imbottigliamento domestico e per i vini che vengono bevuti presto. È formato da una capsula esterna di alluminio, che trattiene una guarnizione impermeabile che funge da isolante. La pellicola che entra a contatto con il vino è fatta di una resina sintetica, che garantisce una assenza di contaminazioni. La chiusura con la capsula filettata che si aggrappa al collo della bottiglia garantirebbe uno scambio di gas (ossigeno, anidride solforosa) con l’ambiente controllato e adeguato al naturale processo di invecchiamento del vino. Il prezzo di questo tipo di tappo è molto basso, ma necessita di una bottiglia con una specifica filettatura. Ogni tappo è importante perché creato per svolgere una funzione specifica per un prodotto, che per me ha un cuore: il vino.
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Convegno “L’oro nel verde”
Camillo D’Alessandro
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LA REDAZIONE – FOTO: MODIV/DORIANA ROIO.
Uno stimolo competitivo
Partecipare all’Expo, è chiaro, non ci salverà. Non è l’occasione della nostra vita e non è il motivo della nostra esistenza. È sicuramente, però, un’ottima occasione per metterci in gioco: ma farlo tutti quanti, a partire dal produttore più vicino alla terra per finire al bambino che siede a tavola, passando per chi il nostro patrimonio agroalimentare lo gestisce, lo commercializza, lo propone, lo trasforma, lo racconta. Con l’Expo si apre l’occasione di una grande vetrina internazionale, di fronte alla quale siamo chiamati a sentirci responsabili di quello che facciamo, di quello che mangiamo e di come trattiamo il nostro patrimonio culturale. Siamo davvero consapevoli del fatto che il sistema Abruzzo, prezioso e insostituibile, funziona solo con il nostro apporto quotidiano? A tutti verrà data l’occasione di raccontare, attraverso il proprio operato, il proprio territorio. Si ha tempo fino al 30 marzo 2015 per chiedere di partecipare al “Fuori Expo” e di utilizzare, tra l’1 maggio e il 31 ottobre, lo spazio “Casa Abruzzo”, nel quartiere Brera, messo a disposizione gratuitamente dalla Regione Abruzzo per attività promozionali, eventi, manifestazioni, relazioni istituzionali e commerciali. Tutti i dettagli e gli allegati sono scaricabili comodamente dal sito Abruzzosviluppo. it. «Dovremmo parlare di Expo ogni anno – ha commentato
il presidente della Regione Luciano D’Alfonso, in occasione del convegno “L’oro nel verde” che si è svolto a Pescara l’8 marzo – perché ogni anno dovremmo chiederci cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo e se siamo competitivi su scala internazionale». Quello che ci aspettiamo resti dell’esperienza Expo è lo spirito di collaborazione, e infatti un gruppo di imprenditori della filiera agroalimentare e del turismo sta già guardando al dopo e si sta confrontando su idee, mercati e sull’importanza della collaborazione fra imprese (facebook.com/oltrelexpo), in incontri iniziati a metà marzo a Penne. «L’Expo sarà un’ottima occasione per consolidare la capacità di mettersi in rete – ha commentato Camillo D’Alessandro, sottosegretario della presidenza del Consiglio Regionale abruzzese e consigliere delegato – e per rafforzare anche in regione, in collaborazione con l’assessorato alle attività agricole, un’idea di “menu Abruzzo” a base di prodotti del territorio e a favore della microeconomia locale, da diffondere tra le famiglie, nelle scuole e negli ospedali. L’opportunità lanciata dall’Expo e dalle sue domande poste sulla qualità del cibo è ottima per lanciare un progetto parallelo, in Abruzzo, che renda chiara la necessità e la fattibilità di un’alimentazione sana e migliori la reperibilità e la distribuzione dei prodotti».
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Direttivo Pescara 2015-2018
Francesco Giordano
Direttivo Teramo
Marco Di Santo
Mario Salvatore
Tommaso Sboro
Valentino Di Renzo
Millefoglie di polenta, gallinella di mare e scamorza fumè su passatina di broccoli di Massimo Di Gaetano con Eusto Cannavale – associazione cuochi provincia di Teramo. Ingredienti per 6 persone 500 g gallinella di mare, 250 g farina di mais, 150 g di scamorza fumé, 500 ml acqua per polenta, 300 g di broccoli, un ciuffo di prezzemolo, finocchietto q.b., 50 g peperone dolce, 1 spicchio d’aglio, 70 ml olio e.v.o., sale e pepe q.b. Procedimento Procedere alla pulizia delle gallinelle eviscerandole prima e sfilettandole poi, privandole della pelle. Tagliarle a fettine sottili tipo carpaccio e metterle a marinare per almeno 1 ora con prezzemolo, finocchietto selvatico, aglio e olio. Nel frattempo, procedere alla preparazione della polenta, che appena pronta dovrà subito essere raffreddata su una teglia d’acciaio e formare uno strato omogeneo di circa 1 cm di spessore. Una volta fredda, ricavare con un coppapasta dei quadrati di circa 5cm per lato. Iniziare ad assemblare, alternando uno strato di polenta, le fettine di gallinella e la scamorza fumé, il tutto fino a formare tre strati e due farciture. Preparare la passatina di broccoli facendoli prima sbollentare in acqua e poi soffriggere in padella con olio e aglio: il tutto va frullato fino ad ottenere una salsa fluida da mettere a specchio sotto la millefoglie. Decorare con fili di peperone dolce essiccato. PAG 54 / C COME RICETTE
c come ricette
A CURA DELL’UNIONE CUOCHI ABRUZZESI
Il rinnovo dei direttivi
Cambio al vertice per tre associazioni provinciali della Federazione Italiana Cuochi. Tra gennaio e febbraio 2015 sono stati rinnovati i direttivi delle delegazioni della provincia di Pescara, Teramo e dei Cuochi Valle del Sangro (Acvs). Gli otto anni di mandato di Lorenzo Pace alla presidenza dell’associazione provinciale cuochi di Pescara si sono conclusi il 26 gennaio presso l’hotel Villa Michelangelo, al termine del convegno “La gestione della qualità nel ristorante” al quale sono intervenuti la nutrizionista Michela Alberta Toro e il presidente dell’Unione Cuochi Abruzzesi Andrea Di Felice. Il testimone della presidenza passa a Narciso Cicchitti, originario di Miglianico ma pescarese di adozione, docente dell’Ipssar De Cecco di Pescara da circa dieci anni: eredita un’associazione che è nona, tra le 107 provincialli della FIC, per numero di iscritti, e tra le prime cinque per le attività svolte. Il presidente onorario della nuova compagine associativa è Nicolò Di Garbo, il vice presidente Lucio D’Angelo e il segretario Mario Rabottini. Il direttivo è completato dal tesoriere Giuseppe Di Malta e dai consiglieri Gianluca Carrozzi, Enea D’Amico, Cristian Di Tillio, Francesco Guida, Enza Liberati, Michele Ottalevi, Lorenzo Pace, Enzo Piccirilli, Luca Spinosi e Domenica Vagnarelli. La cena è stata preparata dal team dei cuochi abruzzesi capitanata da Michele Ottalevi. Dal 2 febbraio anche l’associazione Cuochi Valle del Sangro ha un nuovo direttivo dal 2 febbraio 2015: il presidente che succede a Domenico Di Nucci è
Tommaso Sboro, da pochi mesi chef presso il Ristorante “Villa Elena” di Lanciano ma con oltre trent’anni di esperienza, soprattutto nella banchettistica, con il team di Arte&Gusto: tra le varie attività ha lavorato presso l’hotel Santamaria di Villa Santa Maria ed è stato lo Chef dell’Hotel “Villa Danilo” a Gamberale. In quest’avventura lo affiancano i vicepresidenti Marco Di Santo e Francesco Giordano, il segretario Valentino Di Renzo e il tesoriere Mario Salvatore. Teatro del passaggio di consegne dell’associazione provinciale cuochi di Teramo, il 20 febbraio, è stato invece l’I.i.s. “Crocetti - Cerulli” di Giulianova, in concomitanza con il convegno “La nobile cucina teramana fra tradizione e salute”, che ha visto intervenire il prorettore dell’Università di Teramo Dino Mastrocola, gli enogastronomi Gino Primavera e Gabriele Di Francesco e i cuochi Emanuela Tommolini e Gabriele Marrangoni. Ai due mandati di Lorenzo Ferretti succede la presidenza del giuliese Domenico Iobbi, membro dell’associazione da circa 15 anni, docente negli istituti alberghieri dal 2005 e chef de cuisine specializzato nella banchetti stia da cerimonia. Nel nuovo direttivo lo affiancano Gabriele Fontana come presidente onorario, Nicola Salvatore e Raffaele Martini come vicepresidenti, Francesco Liguori come vicario, Sonia Ferretti come segretario e i consiglieri Lorenzo Ferretti, Andrea Di Felice, Gabriele Bartolacci, Patric Marozzi, Eusto Cannavale, Mirko Vuolo, Salvatore Molè, Claudio Di Donato e Maurizio Petrucci.
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La patata ha fatto l’uovo, fonduta di caprino, tartufo nero di Michele Ottalevi – associazione cuochi provincia di Pescara
Ingredienti per 4 persone per la patata: 600 g patate dolci, 4 uova, 100 g pane grattugiato, 800 g di olio di arachidi, sale q.b; per la fonduta: 200 g formaggio caprino, 150 g latte intero vaccino. Procedimento Per la patata. Sbucciare le patate, tornirle dando una forma cubica di 4 cm per lato. Con lo scavino creare al centro un incavo sufficientemente ampio per contenere un tuorlo. Cuocere le patate in acqua per 20 minuti regolando di sale, scolarle e lasciarle raffreddare. Cuocere i ritagli di patate in poca acqua, scolare e passare al setaccio; mantecare con olio extravergine di oliva e sale, ottenendo un purè. Aprire le uova privandole dell’albume, mettere il tuorlo dentro la patata, chiudere il foro con il purè, passarlo prima nell’albume e di seguito nel pane grattugiato, poi ripetere la panatura. Friggere le patate in olio di arachidi a 180°C per 50 secondi, regolando di sale. Per la fonduta: sciogliere nel latte il caprino a bagnomaria , filtrare al colino e tenere in caldo. In una fondina mettere la fonduta di caprino, alloggiare il cubo di patate, guarnire con lamelle di tartufo e olio evo.
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Magretto d’anatra arrostito alla rosa canina di Denys Ladisa – ACVS
Ingredienti per 4 persone: 2 petti di anatra, 500 g di ossa e ritagli di anatra, 2 carote, 1 cipolla, 1 costa di sedano, 30 g di concentrato di pomodoro, 2 bicchieri di vino rosso corposo, 150 g di pasticche di surrogato di cioccolato, 20 di fior di sale, fili di peperoncino disidratato, 120 g di patè di fegato grasso, 2 pezzi di indivia belga, succo e buccia di 1 arancia, 500 g di patate, vitellotte o patate blu, sale, pepe, olio di oliva evo, fiori eduli, 50 g di burro, 50 g di confettura di rosa canina. Procedimento Per il fondo d’anatra: preparare un fondo con le ossa e le parature dell’anatra, il sedano, la carota, la cipolla, aggiungendo il concentrato di pomodoro e successivamente sfumando con il vino rosso. Aggiungere circa ½ litro d’acqua. Salare, pepare e lasciare bollire fino ad ottenere una riduzione di circa metà del liquido. Filtrare e tenere in caldo. Per il macaron di ciccolato: fondere le pasticche di cioccolato a bagnomaria, stendere la massa di cioccolato su un foglio di carta forno con una spatola (lo strato deve essere sottile come un’ostia). Cospargere per la metà con fior di sale e peperoncino. Con l’aiuto di un tagliapasta di circa 4 cm di diametro, ottenere per ciascuna porzione 2 ostie di cioccolato. Le due ostie vanno farcite nel mezzo, con una fettina di foie gras e vanno sovrapposte. Completamento: Tagliare l’indivia in 4 e brasarla velocemente in padella con olio di oliva, una nocetta di burro, la buccia dell’arancio e il suo succo. Sbucciare le patate vitellotte e cuocerle in acqua salata come per un normale purè di patate. Scolarle e ottenere un purè all’olio d’oliva. In una padella antiaderente molto calda adagiare i pezzi di anatra ben conditi, iniziando dalla parte della pelle praticandovi delle incisioni a croce per far penetrare il calore fino all’interno. Girare il petto d’anatra e informare nel forno caldo a 250 gradi per circa 7/8 minuti. Lasciare riposare 2/3 minuti in luogo tiepido e procedere con la scaloppa tura dell’anatra. Con l’aiuto di un minipimer emulsionare il fondo caldo dell’anatra con la confettura di rosa canina, una nocetta di burro sale e pepe fino ad ottenere una salsa lucida e sciropposa. Impiattare e servire.
c come libri DI ROBERTO PARISIO
Storia e ricette della Majella È un libro prezioso, quello che il gastronomo Gino Primavera e il giornalista romano Lucio Biancatelli, di origini abruzzesi, hanno curato per la serie Orme della casa editrice romana Lit. Dalla pastorizia al miele, passando per i segreti degli orapi e del brodo di agnello, “La cucina della Maiella” è stato pubblicato alla fine del 2014 e si inserisce in un corpus di oltre 40 volumi che mostra il meglio delle storie gastronomiche delle regioni. Gino Primavera e Lucio Biancatelli hanno messo insieme voci interessanti dell’esperienza gastronomica abruzzese: per fare alcuni esempi, il vino cotto è stato raccontato dal punto di vista del tecnologo alimentare e docente universitario Dino Mastrocola, la ventricina del Vastese dal produttore Michele Piccirilli, la ritualità culinaria dal ricercatore Francesco Maria Stoppa, fino alle testimonianze sulle sise delle monache e delle sfogliatelle di Lama da parte del guardiese Mario Palmerio e della fiduciaria della condotta Slow Food di Lanciano Silvana Pasquini. Nel libro si parla all’Italia dei pastai di Fara San Martino, dell’affascinante uso antico delle “niviere” per conservare la neve e quindi il ghiaccio, e anche dell’aglio di Sulmona e di zafferano. Ogni argomento è corredato da ricette dettagliate: ci si può cimentare nella preparazione del baccalà arrosto, del cif e ciaf di maiale, delle “chicocce e patane” (zucca gialla e patate), di una frittata con germogli di luppolo o del brodino con i cascigni e sperimentare, infine, la “tisana invernale di Gino”, a base di cannella, chiodi di garofano e miele millefiori. L’avventura dei due co-autori è iniziata con il volume di Maria Teresa Olivieri “La cucina abruzzese dei trabocchi”,
perciò in questo libro lo sguardo è inevitabilmente tornato alla montagna madre, di cui Primavera è profondo conoscitore e difensore, tanto da aver aderito con il suo ristorante “Santa Chiara”, a Guardiagrele, al progetto “Coltiviamo la diversità” lanciato dal Parco nazionale della Majella. Il libro pubblicato nella serie Orme è una raccolta importante di scritti e articoli dalla lunghezza giusta, pensati per appassionare e dare un’idea più che soddisfacente dell’eterogeneità di prodotti e tradizioni che hanno sempre arricchito gli abruzzesi.
«Ogni argomento è corredato da ricette dettagliate: ci
si può cimentare nella preparazione del baccalà arrosto, nel cif e ciaf di maiale, nel brodino con i cascigni e sperimentare, infine, la “tisana invernale di Gino”.» PAG 58 / C COME LIBRI
La ragion gastronomica Storia, sociologia e filosofia di un Abruzzo folkloristico, forse noto a pochi, si intrecciano nel libro “La ragion gastronomica” a cura dei docenti universitari di sociologia Costantino Cipolla e Gabriele Di Francesco, pubblicato nel 2014 per la Franco Angeli edizioni nella collana Gusto e Società. Vini cotti del Teramano e dieta mediterranea fanno da corollario a considerazioni importanti sullo sviluppo dei sistemi turistici locali rispetto ai prodotti tipici, alle sagre enogastronomiche e alla tutela dei prodotti alimentari. Esperti e studiosi conducono un viaggio gastronomico sul valore della cucina come luogo della memoria, sulla dieta mediterranea come stile di vita e riflettono sul gradiente sociale, divario alimentare e salute, regalandoci anche un approccio sociologico al mare e perciò alla cultura della pesca. L’eterogeneità degli autori, specializzati anche in Criminologia, Estetica, Geografia, Multiculturalità o Medicina Veterinaria, dà vita a un prodotto accademico, serio e approfondito, che permette di osservare alcune pratiche e consuetudini abruzzesi anche da punti di vista inaspettati e molto tecnici. Articoli interessanti, firmati da studiosi come Lia Giancristofaro, Elisabetta D’Ambrosio, Aldo Marroni, Eide Spedicato o Vincenzo Corsi (università d’Annunzio), Dino Mastrocola, Nico Bortoletto o Paola Canestrini (università di Teramo), raccontano della tradizione arcaica del “baccalà della sposa” e della nota peculiarità del pecorino di Farindola, unico formaggio a venire prodotto con caglio animale, passando per la tavola medievale, le origini storiche della dieta e descrivendo, infine, il progetto delle Vie del gusto.
I promotori di questa pubblicazione sono l’associazione Pro-Loco “Sant’Omero per la cultura” e il Dilass dell’Università di Chieti-Pescara, infatti è stata presentata e distribuita nell’estate 2014 in occasione della 34sima sagra del Baccalà, nell’ambito di un convegno di due giorni sul tema “La ragion gastronomica”.
«Esperti e studiosi conducono un viaggio gastronomico
sul valore della cucina come luogo della memoria, sulla dieta mediterranea come stile di vita e riflettono sul gradiente sociale, divario alimentare e salute, regalandoci anche un approccio sociologico alla cultura della pesca.»
c come news Rosarubra a Mundus Vini
Il Mundus Vini 2014, in Germania, ha assegnato due medaglie d’argento a due etichette “Rosarubra”: “Intimo” e “Triluna 2012”. Il primo è un blend di Montepulciano e Merlot con vendemmia manuale dei grappoli raccolti in leggera surmaturazione e vinificati separatamente, che aveva, tra l’altro, conquistato una medaglia d’oro a Bordeaux nel 2013 al “Challenge International du vin”. Il “Triluna” è un blend di Chardonnay e Sauvignon con aggiunta di malvasia aromatica, che nasce da una selezione delle migliori uve raccolte tardivamente. In meno di due anni di produzione, la Cantina di Pietranico Rosarubra, che ha uno show room a Pescara, ha già collezionato ben tredici medaglie in concorsi enologici di alto livello.
I vincitori di “Sinestesie”
“Odore di mosto” di Anna Iskra Donati per la sezione pittura, “Nettare diVino” di Ferruccio Maierna per la sezione scultura, “De-cantato” di Francesca Checchi e Roberta Vacca per la sezione video. Sono questi le opere e gli artisti vincitori della quarta edizione del “Premio Sinestesie”, ideato e organizzato dall’associazione di promozione sociale FuoriScala, presieduta da Carlo Mangolini, e conclusosi a dicembre 2014 a L’Aquila. A loro si aggiunge l’opera
vincitrice del premio acquisto, la scultura “Abbastanza persistente” di Umberto Crisciotti, che entrerà a far parte della collezione di Fondazione Carispaq. Il tema indagato dagli artisti in concorso quest’anno è stato il vino: la sinestesia è, infatti, la percezione simultanea di due organi di senso, dovuta alla stimolazione di uno solo di questi. Al termine della cerimonia sono stati offerti i vini dell’azienda vitivinicola Castelsimoni, di Cese di Preturo (Aq).
Caprice tra le stelle.
Sono state solo due, in Italia, le nuove insegne ammesse nella categoria delle stelle della Guida 2015 Bar D’Italia del Gambero Rosso, e una era abruzzese: si tratta del Bar Caprice, che nel 1957 fu il primo bar pasticceria ad aprire a Pescara. Le stelle vengono assegnate a locali che per almeno dieci anni consecutivi hanno conquistato Tre Tazzine e Tre Chicchi. Il premio è stato consegnato ai titolari Fabrizio e Antonella Camplone lo scorso settembre presso la Città del gusto. Con il supporto dello chef Donatello Cacciatore, Fabrizio Camplone ha proposto un menu dedicato ai sapori abruzzesi, proponendo per esempio la Rimpizza, il Bocconotto frentano, lo Scrucchjatello con la marmellata d’uva e due specialità di Caprice: la Presentosa con crema di Ratafia e la Torta Florita.
I nuovi presìdi Slow Food
Il GAL Gran Sasso Velino ha deciso PAG 61 / C COME NEWS
di sostenere l’attivazione di sei nuovi presìdi Slow Food, in collaborazione con l’Associazione Slow Food Abruzzo e Molise, utilizzando i fondi del PSR Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 ASSE 4 “Approccio LEADER”. Alla fine del 2014 i 6 nuovi presìdi sono andati ad aggiungersi a quelli già esistenti (lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, Canestrato di Castel del Monte, Mortadella di Campotosto e Salsicciotto Frentano), e sono la Patata Turchesa, il Fagiolo di Paganica, i Mieli dell’Appennino abruzzese, il Grano Solina della montagna abruzzese, la Salsiccia di fegato aquilano e l’Oliva Monicella. I nuovi presìdi conferiscono importanza e riconoscimento al lavoro dei produttori aquilani che verranno seguiti direttamente dalle Condotte Slow Food di L’Aquila e di Avezzano, entrambe neo costituite.
Marramiero a 5 sfere.
Marramiero, l’azienda vinicola di Rosciano (PE), ha conseguito le 5 sfere d’eccellenza – massimo punteggio possibile - sulla Guida Sparkle 2015, l’unica specializzata ai migliori spumanti secchi d’Italia, per i suoi Marramiero Brut e Marramiero Rosé. Il massimo riconoscimento è andato a soli 70 vini premiati su oltre 900 provenienti da tutta Italia dalle 350 aziende selezionate,
e Marramiero era presente al fianco dei mostri sacri della produzione spumantistica nazionale come tra gli altri Ferrari, Berlucchi, Bellavista e Ca’ del Bosco.
Orti sociali a Rosciano.
2014 ai dodicesimi mondiali di cucina di Lussemburgo, il vastese Mirko Vinciguerra riporta a casa un oro individuale dai 14esimi “Internazionali d’Italia – Esposizione culinaria” 2015 che si sono svolti a febbraio a Marina di Carrara. Classe 1987, Mirko ha partecipato alla sezione del concorso artistico di cucina con la composizione “L’angolo fiorito”, trasformando delle zucche (anche di oltre 20 Kg) in vere e proprie opere d’arte con la tecnica di intaglio thailandese che lui pratica da tre anni.
La top100 dei rossi Per imparare a coltivare la terra e coltivare in autonomia, 146 appezzamenti da 100mq nel Pescarese saranno affittati per la coltivazione di frutta, verdura e ortaggi a persone in cerca di relax, a studenti per fini didattici, a soggetti svantaggiati, a ristoratori per un cibo a chilometro zero. Il costo si aggirerà intorno a 1 euro al giorno. Il progetto OrtoVita è anche questo ed è nato contestualmente alla firma per l’Accordo di partenariato stretto a gennaio 2015 tra la Provincia di Pescara, l’associazione OrtoVita e il Comune di Rosciano. I 146 orti collettivi, sociali e didattici sono situati al confine tra le colline di Rosciano e il fiume di Pescara e costituiranno un parco unico, di cui farà parte un tratto di parco fluviale che costeggia il fiume Pescara e da un bike park come sede di una scuola di mountain bike per bambini e come percorso per lo sviluppo del cicloturismo.
Un oro nell’intaglio
Dopo la medaglia d’argento vinta nel
L’allegato a MF-Milano Finanza “Gentleman” di gennaio-febbraio 2015 ha individuato la top 100 dei rossi d’Italia incrociando i voti delle sette guide enologiche più notevoli: l’Abruzzo è tra i primi dieci, rappresentato dal Montepulciano d’Abruzzo “San Calisto 2011” di Valle Reale. In classifica anche Cantina Masciarelli (14esima con il Montepulciano d’Abruzzo Villa Gemma 2008), Torre dei Beati (33esimo posto con il Montepulciano d’Abruzzo Cocciapazza 2011) e Luigi Cataldi Madonna (38esimo con il Montepulciano d’Abruzzo Malandrino 2012).
Maestri Pasticceri Italiani capitanata dall’abruzzese Emmanuele Forcone ha vinto la Finale della coppa del mondo di pasticceria che si è svolta a Lione a gennaio 2015, nel corso della fiera SIRHA (Salone internazionale della ristorazione, dell’hotelleria e dell’alimentazione). Nato a San Valentino in Abruzzo Citeriore, in provincia di Pescara, ma residente a Vasto dove lavora presso la pasticceria Pannamore, Emmanuele Forcone è quattro volte campione italiano di pasticceria, secondo classificato alla XII Coppa del Mondo di Pasticceria con il Team Italia e terzo nel 2013, anno che lo ha visto in veste di allenatore insieme ad Alessandro Dalmasso e al primo posto assoluto italiano nella sezione pièce artistica in zucchero, di cui è diretto responsabile. Era già stato nella squadra dell’Accademia che nel 2011 si è classificata seconda a Lione. Quest’anno, con le opere “Il bambino che c’è in loro”, è stato prima conquistato il “Vase de Sevres”, premio destinato alla migliore presentazione delle opere, e poi è stata decretata la vittoria sulle 21 squadre in gara a “La Coupe du Monde de la Pâtisserie”.
L’olio pianellese a Lucca.
Il monocultivar “Alchimia” Leccio del
Forcone è campione del mondo Corno, dell’azienda Palusci Marina di
La squadra italiana dell’Accademia PAG 62 / C COME NEWS
Pianella (Pe), ha trionfato il 13 febbraio alla terza edizione di “EXTRA Lucca”, considerata la più grande kermesse dedicata al mondo dell’olio extravergine di oliva e creata da Fausto Borrella, fondatore dell’Accademia Maestrod’olio. L’olio prodotto dal 31enne Massimiliano D’Addario ha ottenuto il prestigioso riconoscimento “Corona Maestro d’olio”. La conduzione famigliare dell’azienda Palusci Marina è alla quarta
generazione, riguarda un territorio di 20 ettari coltivati e 8 in affitto, di cui 16 di oliveto, 6 di vigneto e 6 di cereali. I monovarietali prodotti sono tre: “L’Uomo di Ferro” da Dritta, “Alchimia” da Leccio del Corno, e “L’Oil” da Intosso.
Lo spumante Mucci trionfa in Giappone
il 16 novembre 2002. Con l’occasione, la Cantina ha rinnovato una linea di vini giovani e l’ha intitolata a lui. I vini “Mimì” sono tre bianchi (un Trebbiano d’Abruzzo 100%, uno Chardonnay e un Pecorino), un Cerasuolo d’Abruzzo e un Montepulciano d’Abruzzo. La presentazione della nuova linea si è svolta il 24 febbraio nella Cantina e ha visto intervenire, nel ricordo di Mimì, amici e collaboratori dell’azienda, come l’agronomo Vincenzo Aquilano, l’enologo Leonardo Seghetti e l’avvocato Carmelo Paolucci Pepe. «Si tratta di un progetto semplice e schietto, come semplice e schietto era Mimì D’Auria», è stato spiegato.
Convegno sul Global Food
Viene annunciata in occasione del Vinitaly la nascita dell’associazione “È Abruzzo”, sorta dall’urgenza di dare voce alla biodiversità di cui ogni produzione e ogni prodotto sono vettori e frutti. Così alle aziende fondatrici Valentini, Pepe, Torre dei Beati, La Valentina, Tenuta Ulisse, Tenuta I Fauri, Valle Reale, Terraviva, De Fermo, Cirelli, Illuminati, Fattoria Nicodemi, Cataldi Madonna, Tiberio e Gentile si uniranno il pastificio Verrigni, i salumi, i formaggi, gli animali da cortile, gli oli abruzzesi, realtà ricettive come il 5 stelle La Réserve di Caramanico e tante altre realtà abruzzesi che condividono un’idea per trasformarla in un racconto plurale. In occasione del Vinitaly viene anche presentata la nuova compagine dell’associazione Qualità Abruzzo, per il nuovo mandato presieduta da Marcello Spadone.
Convegno “La cucina povera” Gran Medaglia d’oro per lo spumante “Mucci” extradry, prodotto per il secondo anno dalle Cantine Mucci di Torino di Sangro. Si tratta di un blend di uve Falanghina e Pecorino spumantizzate secondo il metodo Martinotti, ottenuto direttamente dal mosto. A febbraio 2015 è giunto il riconoscimento dal concorso internazionale “Japan Women’s Wine Award”. La Cantina è stata fondata nel 1895 e oggi è alla quinta generazione, condotta dai fratelli Aurelia e Valentino Mucci.
La linea “Mimì”
Siamo anche noi partner del convegno sul Global Food organizzato dalla Rete Olistica Adriatica a Pescara sabato 21 e domenica 22 marzo 2015. All’auditorium Flaiano si alterneranno, dalle 9.30 alle 20.00, rappresentanti nazionali e abruzzesi dell’alimentazione, del benessere, dell’enogastronomia e della salute. Tra i relatori abruzzesi: gli enogastronomi Gino Primavera e Leonardo Seghetti, il maestro cioccolatiere Ezio Centini, i ricercatori Nicola Casolani e Aurelio Manzi e il nutrizionista Paolo De Cristofaro. Il programma dettagliato e aggiornato è sul nostro sito ccomemagazine.it
Nasce “È Abruzzo”
Il 24 febbraio 2015 avrebbe festeggiato 84 anni Mimì D’Auria, patron e fondatore della cantina Dora Sarchese trent’anni fa, se un incidente non lo avesse portato via inaspettatamente PAG 63 / C COME NEWS
Martedì 14 aprile 2015 alle 9.30 si svolgerà la cerimonia annuale della consegna delle nuove fasce dell’Ordine dei Cavalieri dei Maccheroni alla chitarra, presso la sala rossa della Camera di Commercio di Chieti (via O. Pomilio, Chieti scalo). L’Ordine, fondato nel 2013, presenta 13 elementi nel direttivo tra cuochi, sommelier, enogastronomi e giornalisti, e conta oltre 20 operatori del settore insigniti per la valorizzazione della cucina e del territorio abruzzese. Il 14 aprile saranno insigniti altri cinque cavalieri, tra studiosi e cuochi, al termine del convegno “La cucina povera”, presieduto dallo studioso Ezio Sciarra e dal nutrizionista Corrado Pietrantoni. Ingresso libero.
c come controeditoriale FONTE: COLDIRETTI ABRUZZO
#IOSTOCONCHIMUNGE
Il comparto latte sviluppa in Abruzzo oltre 37 milioni di euro, ma rischia di estinguersi velocemente se non si punta ad una filiera realmente regionale. Seicento allevamenti bovini a indirizzo lattiero-caseario, 15mila capi adulti e quasi 800mila quintali di produzione sono un buon motivo per difendere il “latte made in Abruzzo”. Così, il 6 febbraio 2015 cento allevatori abruzzesi provenienti dalle quattro province in rappresentanza della zootecnia abruzzese, guidati dal direttore Coldiretti Abruzzo Alberto Bertinelli e dal presidente di Aprozoo David Falcinelli, hanno partecipato all’iniziativa “Una giornata da allevatore”, promossa a Roma da Coldiretti. Degli oltre 37milioni di euro, 30 derivano dal latte bovino e 7 dal latte di pecora e capra. Produciamo 800.000 quintali di latte bovino contro 1.400.000 quintali di latte importato dall’estero. La nostra vocazione storica si trova a fare i conti con una progressiva diminuzione delle stalle (in Italia ne chiudono 4 ogni giorno), che negli ultimi dieci anni ha portato un decremento del 30% nel numero dei bovini da latte e da carne. Su questa situazione pesa anche la diminuzione della remunerazione per il produttore, a fronte di un aumento
dei prezzi al consumo: sulla base delle elaborazioni Coldiretti su dati Ismea, per il settore latte la materia prima viene pagata agli allevatori in media 35 centesimi al litro, con un calo di oltre il 20% rispetto al 2014, mentre, al consumo, il costo medio del latte di alta qualità è di 1,50 centesimi. Il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre neanche i costi per l’alimentazione degli animali. L’unica eccezione si registra nella filiera corta, più redditizia per il produttore che riesce a recuperare parte del valore aggiunto sul prodotto finito garantendo l’origine al consumatore. Tra le richieste avanzate da Coldiretti, ci sono l’obbligatorietà dell’indicazione dell’origine e del luogo di mungitura del latte e dei formaggi, indispensabile per tutelare la provenienza e l’origine della materia prima contro falsari e mistificatori, e la trasparenza nelle importazioni del latte e dei suoi derivati con il tracciato delle sostanze utilizzate. Per salvare giuncata e scamorza abruzzese, inoltre, viene rivendicata la garanzia di chiamare formaggio solo ciò che deriva dal latte e non da prodotti diversi e viene richiesto di applicare la legge che vieta pratiche di commercio sleale.
PAG 64 / C COME CONTROEDITORIALE