Pe rio di co d i In form azi on e e C u ltu ra An n o I - Num ero 1 - Di cem bre 20 12
il Magazine scritto da Voi
Modus Vivendi
Ferrari World Abu Dhabi
Orgoglio italiano
SOMMARIO DICEMBRE 2012 •
•
20 - Dolci di Natale
04 - Tradizioni natalizie
28 - Sciare nel mondo 42 - Ferrari World
48 - Vento di Sardegna
34 - NTV Italo 58 - Dracula
54 - Diabolik
62 - Elda Lanza 78 - Esoscheletro
https://www.facebook.com/pages/Modus-Vivendi-MagazineIl-Magazine-scritto-da-Voi/128149437338920
© 2012 Apple Inc.
74 - Gallerie d’Italia
•3
SPECIALE NATALE •
I simboli del Natale
4•
© NTV Nuovo Trasporto Viaggiatori SPA
• A cura della Redazione
•5
I
Viaggio alla scoperta delle origini e delle tradizioni che ruotano attorno alla figura di Babbo Natale, dell’albero e del presepe ghirlande per addobbare l’albero e le stauette del presepe. Tutti li acquistano ma pochissimi si soffermano poi sul loro vero significato: chi è veramente Babbo Natale e da dove deriva la sua figura, il perchè si addobba l’albero e la sacralità del presepe. © rovaniemi.fi
l 25 dicembre si avvicina a grandi passi, e in tutto il mondo fervono i preparativi per festeggiare il Natale. Dalle vetrine dei negozi e dei centri commerciali fanno capolino i simboli “classici” di questa festa: i pupazzi che raffigurano Babbo Natale, palline e
BABBO NATALE Il personaggio di Babbo Natale, presente nel folklore di molte culture nel mondo, è colui che la notte di Natale solca i cieli a bordo di una slitta per distribuire doni ai bambini. Il suo mezzo di locomozione, la slitta appunto, è trainata da 8 renne i cui nomi italiani sono: Cometa, Fulmine, Donnola, Freccia, Ballerina, Saltarello, Donato e Cupido. Per ricordare tali nomi, in italiano esiste una nota filastrocca: “Non solo fanno la slitta volare e in ciel galoppano senza cadere Ogni renna ha il suo compito speciale per saper dove i doni portare Cometa chiede a ciascuna stella dov’è questa casa o dov’è quella. Fulmine guarda di qui e di là per sapere se la neve verrà. Donnola segue del vento la scia schivando le nubi che sbarran la via. Freccia controlla il tempo scrupoloso, ogni secondo che fugge è prezioso. Ballerina tiene il passo cadenzato per far che ogni ritardo sia recuperato. Saltarello deve scalpitare per dare il segnale di ripartire. Donato è poi la renna postino porta le lettere d’ogni bambino. Cupido, quello dal cuore d’oro s orveglia ogni dono come un tesoro. Quando vedete le renne volare Babbo Natale sta per arrivare”
6•
© Laurin Moser
LE SUE ORIGINI Le versioni del Babbo Natale moderno derivano dal vescovo cristiano del IV secolo San Nicola di Mira (antica città dell’Anatolia), famoso per le sue grandi elargizioni a favore dei poveri e, soprattutto, per aver fornito la dote alle tre figlie di un cristiano povero ma devoto, evitando così che fossero obbligate alla prostituzione. Originario di Patara, sempre in Licia (Asia Minore), scoprì molto presto la sua vocazione religiosa e dedicò interamente la sua vita alla fede cristiana. Le reliquie di San Nicola furono traslate a Bari da alcuni pescatori, e per ospitarle fu costruita una basilica nel 1087. Il luogo è da allora meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli. San Nicola è considerato il proprio patrono da parte di molte categorie di persone: marinai, mercanti, arcieri, bambini, prostitute, farmacisti, avvocati, prestatori di pegno, detenuti. È anche il santo patrono della città di Amsterdam e della Russia. La leggenda di San Nicola è alla base della grande festa olandese di Sinterklaas (il compleanno del Santo) che, a sua volta, ha dato origine al mito ed al nome di Santa Claus nelle sue diverse varianti (Sint Nicolaas, Saint Nicholas, St. Nick o Sant Niklaus).
Babbo Natale raffigurato in una stampa d’epoca
Gli abiti di Sinterklaas sono simili a quelli di un vescovo; porta una mitra (un copricapo liturgico) rossa con una croce dorata e si appoggia ad un pastorale. Il richiamo al vescovo di Mira è ancora evidente. Sinterklaas ha un cavallo bianco con il quale vola sui tetti; i suoi aiutanti scendono nei comignoli per lasciare i doni (in alcuni casi nelle scarpe dei bambini, lasciate vicino al caminetto); arriva in piroscafo dalla Spagna ed è accompagnato da Zwarte Piet, letteralmente “Pietro il Nero”, l’aiutante dalla faccia nera e dai costumi moreschi coloratissimi. Secondo la leggenda, dopo al vittoria di San Nicola sulle forze del male, il demonio viene sconfitto, incatenato e reso suo schiavo e questo sarebbe il significato del colore nero che simboleggia le forze oscure. Le strenne regalate in questa ricorrenza accompagnate da poesie, talvolta molto semplici, elaborate ed ironiche ricostruzioni del comportamento di chi le riceve durante l’anno trascorso. I regali veri e propri, in qualche caso, sono addirittura meno importanti dei pacchetti in cui sono contenuti, di solito molto sgargianti ed elaborati; quelli più importanti, spesso, sono riservati al mattino seguente.
•7
Un’altra immagine che divenne molto popolare è quella disegnata nel 1902 da L. Frank Baum, autore de “Il meraviglioso mago di Oz”, per il racconto “La vita e le avventure di Santa Claus”. Nell’immaginario collettivo, le immagini di
© rovaniemi.fi
IL BABBO NATALE “MODERNO” All’inizio, Santa Claus veniva rappresentato in costumi di vario colore, ma il rosso divenne presto predominante a partire dalla sua comparsa sulle prime cartoline di auguri natalizie, nel 1885. Il primo artista a raffigurare Santa Claus come noi oggi lo conosciamo, è stato il cartoonist americano Thomas Nast che, nel 1863, illustrò la copertina della rivista Harper’s Weekly.
© 2006-2011 The Coca-Cola Company
In Grecia, San Nicola viene talvolta sostituito da San Basilio Magno (Vasilis), un altro vescovo del IV secolo originario di Cesarea. Nei Paesi Bassi, in Belgio e in Lussemburgo, Sinterklaas (Kleeschen in lussemburgese) arriva due settimane prima del 5 dicembre, data in cui distribuisce i doni (il suo compleanno risulta essere il 6 di dicembre). L’equivalente di Babbo Natale in questi paesi è Kerstman (letteralmente: “Uomo di Natale”). In alcuni villaggi delle Fiandre, in Belgio, si celebra la figura, pressoché identica, di San Martino di Tours (Sint-Maarten). In molte tradizioni della Chiesa ortodossa, San Basilio porta i doni ai bambini a Capodanno, giorno in cui si celebra la sua festa.
8•
È, peraltro, vero che l’immagine della CocaCola e quella di Babbo Natale sono sempre state molto vicine. Pur non inventanto da loro, viene comunemente rappresentato con i colori bianco e rosso cioè come una lattina di Coca-Cola, se si esclude la campagna del 2005 che ha visto la sua sostituzione con gli orsi polari.
© 2011 The Coca-Cola Company
Babbo Natale hanno preso piede grazie al suo uso nelle campagne pubblicitarie natalizie prodotte dal colosso americano Coca-Cola Company, realizzate da Haddon Sundblom. La popolarità di tale immagine ha fatto sì che si diffondessero varie leggende urbane che attribuivano alla Coca-Cola l’invenzione stessa di Babbo Natale.
•9
Il magico Villaggio di Santa Claus a Rovaniemi, nel Circolo Polare Artico
10 •
• A cura di Xxxxxxxx Xxxx
• 11
L’ALBERO DI NATALE Assieme al presepe, è una delle tradizioni più diffuse. Si tratta in genere di un abete addobbato con sfere colorate, luci, festoni, ghirlande, dolciumi, piccoli regali impacchettati e altro. Può essere portato in casa o tenuto all’aperto, e viene preparato qualche giorno (o qualche settimana) prima di Natale, e rimosso dopo le feste. Soprattutto se l’albero viene collocato in casa, è tradizione che ai suoi piedi vengano collocati i regali di Natale impacchettati, in attesa del giorno della festa in cui potranno essere aperti dai componenti della famiglia e i loro ospiti. La data di allestimento e dismissione dell’albero varia da nazione a nazione: la tradizione più antica prevedeva che l’albero fosse addobbato il 24 dicembre e rimosso all’Epifania; in seguito il periodo si è notevolmente allungato. Gli esercizi commerciali, in particolare, spesso iniziano a esibire alberi di Natale addobbati già dalla metà del mese di Novembre. In generale, nella maggioranza delle regioni italiane l’albero viene addobbato l’8 dicembre, giorno in cui si festeggia l’Immacolata Concezione. L’immagine dell’albero come simbolo del rinnovarsi della vita risale almeno alla Germania del XVI secolo. Ingeborg Weber-Keller (professore di etnologia a Marburgo) ha identificato, fra i primi riferimenti storici alla tradizione, una cronaca di Brema del 1570, secondo cui un albero veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. La città di Riga è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Natale della storia (vi si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510). Precedentemente a questa prima apparizione “ufficiale” dell’albero di natale si può però trovare anche un gioco religioso medioevale celebrato proprio in Germania il 24 dicembre, il “gioco di Adamo e di Eva” (Adam und Eva Spiele), in cui venivano riempite le piazze e le chiese di alberi di frutta e simboli dell’abbondanza per ricreare l’immagine del Paradiso.
12 •
Successivamente gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché quest’ultimi avevano una profonda valenza “magica” per il popolo. Avevano specialmente il dono di essere sempreverdi, dono che secondo la tradizione gli venne dato proprio dallo stesso Gesù come ringrazia-
mento per averlo protetto mentre era inseguito da nemici. Non a caso, sempre in Germania, l’abete era anche il posto in cui venivano posati i bambini portati dalla cicogna. L’uso di candele per addobbare i rami dell’albero è attestato già nel XVIII secolo. Per molto tempo, la tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni a nord del Reno. I cattolici la consideravano un uso protestante. Furono gli ufficiali prussiani, dopo il Congresso di Vienna, a contribuire alla sua diffusione negli anni successivi. A Vienna l’albero di Natale apparve nel 1816, per volere della principessa Henrietta von NassauWeilburg, ed in Francia nel 1840, introdotto dalla duchessa di Orléans. Ad oggi, la tradizione dell’albero di Natale, così come molte altre tradizioni natalizie correlate, è sentita in modo particolare nell’Europa di lingua tedesca (si veda per esempio l’usanza dei mercatini di Natale), sebbene sia ormai universalmente accettata anche nel mondo cattolico (che spesso lo affianca al tradizionale presepe). A riprova di questo sta anche la tradizione, introdotta durante il pontificato di Giovanni Paolo II, di allestire un grande albero di Natale nel luogo cuore del cattolicesimo mondiale: piazza San Pietro a Roma. D’altronde un’interpretazione allegorica fornita dai cattolici spiega l’uso di addobbare l’albero come una celebrazione del legno (bois, in francese è sia inteso come “albero”
sia come “legno”) in ricordo della Croce che ha redento il mondo. Gli alberi di Natale hanno conosciuto un momento di grande diffusione, diventando gradualmente quasi immancabili nelle case dei cittadini del mondo ed è il simbolo del Natale a livello planetario. Oggi il fenomeno ha acquisito una dimensione commerciale e consumistica senza precedenti, che ha dato luogo, alla nascita di una vera e propria industria dedicata esclusivamente all’addobbo natalizio. IL PRESEPE Il termine presepe (o più correttamente presepio) deriva dal termine latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, composto da prae (innanzi)
• 13
e saepes (recinto), ovvero luogo che ha davanti un cultura rurale con il significato originario almeno recinto e indica la scena della nascita di Cristo, fino al XV secolo e, in alcune regioni italiane, ben oltre. derivata dalle sacre rappresentazioni medievali. Nel presepe si riproducono tutti i personaggi e Per capire meglio il significato originario del presepe, bisogna fare luce sulla figura del lari (la- i posti della tradizione, dalla grotta alle stelle, dai res familiares), figura fondamentale nella cultura Re Magi ai pastori, dal bue e l’asinello agli agnelli, e così via. etrusca e latina. La rappresentazione può essere sia vivente che I larii rappresentano gli spiriti protettori che avevavo il compito di vegliare sul buon andamen- iconografica. I presepi popolari più conosciuti to della famiglia, della proprietà o delle attività in sono quelli di San Gregorio Armeno a Napoli. La tradizione italiana del Presepe risale all’epogenerale. Ogni antenato veniva rappresentato con una ca di San Francesco d’Assisi che nel 1223 reastatuetta, di terracotta o di cera, chiamata sigillum lizzò a Greccio la prima rappresentazione vivente della Natività. dal latino signum (segno, effigie, immagine). Sebbene esistessero anche precedentemente imTutte le statuette venivano collocate in apposite nicchie e onorate con l’accensione di una fiam- magini e rappresentazioni della nascita del Cristo, queste non erano altro che “sacre rappresenmella. In prossimità del Natale si svolgeva la festa detta tazioni” delle varie liturgie celebrate nel periodo Sigillaria (20 dicembre), durante la quale i parenti medievale. Il primo presepe scolpito è quello realizzato da si scambiavano in dono i sigilla dei familiari deArnolfo di Cambio fra il 1290 e il 1292. Le statue funti durante l’anno. In attesa del Natale, il compito dei bimbi delle rimanenti si trovano nel Museo Liberiano della famiglie riunite nella casa patriarcale, era di lu- Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. cidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura. Alla vigilia del Natale, dinnanzi al recinto del presepe, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino. Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, “portati” dai loro trapassati nonni e bisnonni. Dopo l’assunzione del potere nell’impero (IV secolo), in pochi secoli i cristiani tramutarono le feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone i riti e le date, ma mutando i nomi ed i significati religiosi. Essendo una tradizione molto antica e particolarmente sentita (perché rivolta al Giotto di Bondone - Presepe di Greccio (o Natale di Greccio) - 1290-95 ricordo dei familiari defunti), tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi il presepe sopravvisse nella
14 •
L’iconografia del presepio ebbe un impulso nel Quattrocento grazie ad alcuni grandi maestri della pittura: il Botticelli nell’Adorazione dei Magi raffigurò personaggi della famiglia Medici. Ben presto questo tipo di simbolismo si diffuse all’interno delle famiglie, per le quali la rappresentazione della nascita di Gesù, con le statuine ed elementi tratti dall’ambiente naturale, diventò un rito irrinunciabile. Nel XV secolo si diffuse l’usanza di collocare nelle chiese grandi statue permanenti, tradizione che si diffuse anche per tutto il XVI secolo. Uno dei più antichi, tuttora esistenti, è il presepe monumentale della Basilica di Santo Stefano a Bologna, che viene allestito ogni anno per Natale. Dal XVII secolo il presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei nobili sotto forma di “soprammobili” o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all’invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ne ammirava la capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare. Nel XVIII secolo a Napoli si scatenò una vera e propria competizione fra famiglie su chi posse-
© Stefano Bolognini
Sandro Botticelli - Adorazione dei Magi - 1475 - tempera su tavola - Firenze, Galleria degli Uffizi
Arnolfo di Cambio - Presepe - 1288 Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore
• 15
© Giovanni Dell’Orto
Simone dei Crocefissi - Presepe in legno - 1370 - Bologna, Basilica di Santo Stefano
deva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impegnavano per la loro realizzazione intere camere dei loro appartamenti ricoprendo le statue di capi finissimi di tessuti pregiati e scintillanti gioielli autentici. Nello stesso secolo a Bologna, altra città con un’antica tradizione, venne istituita la Fiera di Santa Lucia quale mercato annuale delle statuine prodotte dagli artigiani locali, che viene ripetuta ogni anno, ancora oggi. Con i secoli successivi il presepe occupò anche gli appartamenti dei borghesi e del popolino, ovviamente in maniera meno appariscente, resistendo fino ai giorni nostri. Il presepe è una rappresentazione ricca di simboli direttamente tramandati dal racconto evangelico: sono riconducibili al racconto di Luca la mangiatoia, l’adorazione dei pastori e la presenza di angeli nel cielo. Altri elementi appartengono all’iconografia dell’arte sacra: Maria ha un manto azzurro che simboleggia il cielo, San Giuseppe ha in genere un manto dai toni dimessi a rappresentare l’umiltà. Nei Vangeli “classici” si tralasciano molti particolari che riguardano sia i personaggi che le ambientazioni, e per questo motivo si ricorre alle tradizioni “popolari”: il bue a l’asinello, presenti ogni
16 •
presepe, derivano da un’antica profezia di Isaia che dice “Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone”. L’immagine dei due animali venne utilizzata come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall’asino). Anche la stalla, o la grotta in cui venne alla luce il Messia, non compare nei Vangeli canonici e a Gerusalemme la Basilica della Natività sorge intorno a quella che è indicata dalla tradizione come la grotta ove nacque Cristo. Tuttavia, l’immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli soprattutto del settore mediorientale: del resto si credeva che anche Mitra, una divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre. I RE MAGI Queste figure derivano dal Vangelo dell’infanzia armeno: questa scrittura colma le lacune che invece Matteo non risolve, ovvero il numero e il nome di questi sapienti orientali: il vangelo in questione fa i nomi di tre sacerdoti persiani: Melkon, Gaspar e Balthasar, anche se non manca chi vede in essi un persiano (oro), un arabo meridionale (incenso) e un etiope (mirra).
Tre statuette “eccellenti”: il comandante Schettino, il CEO di Apple Steve Jobs e il leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo
Così i re magi entrarono nel presepe, sia incarnando le ambientazioni esotiche sia come simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa. Anche il numero dei Magi fu piuttosto controverso. Fu definitivamente stabilito in tre, come i doni da loro offerti, da un decreto papale di Leone I Magno, mentre prima di allora oscillava fra due e dodici. IL PRESEPE NAPOLETANO La tradizione partenopea aggiunge alla scena “classica” della Natività (Gesù bambino, Maria e Giuseppe) molti personaggi popolari, osterie, commercianti e case tipiche dei borghi agricoli, tutti elementi palesemente anacronistici.
Questa è una caratteristica di tutta l’arte sacra, che, almeno fino al XX secolo, ha sempre rappresentato gli episodi della vita di Cristo con costumi ed ambientazioni contemporanee all’epoca di realizzazione dell’opera. Anche questi personaggi sono spesso funzionali alla simbologia. Ad esempio il male è rappresentato nell’osteria e nei suoi avventori, mentre il personaggio di Ciccibacco, che porta il vino in un carretto con le botti, impersona il Diavolo. Oggi alcuni artigiani producono anche “pastori moderni” che rispecchiano l’attualità: non c’è da meravigliarsi se, nelle vetrine della caratteristica via San Gregorio Armeno, nel centro storico di Napoli, ce ne siano alcune che raffigurano anche il nuovo Presidente del Consiglio Mario Monti.
• 17
© Emanuela Cattaneo
18 18 ••
Il bellissimo presepe barocco, in legno, ceramica e sughero dello scultore Joaquim Machado de Castro posto nel deambulatorio della Cattedrale di Lisbona
• 19
SPECIALE NATALE •
Il Re dei dolci Sempre presente sulle tavole degli italiani, non teme la concorrenza del suo più acerrimo e “dolce” sfidante: il pandoro di Verona
20 •
• A cura della Redazione
• 21
G
ià dal mese di novembre, sugli scaffali dei negozi e nei reparti alimentari dei supermercati, sono apparsi i primi panettoni e pandori, preannunciando sì l’arrivo del Natale ma togliendo il “gusto” dell’unicità della festa. Sì perchè “una volta”, come si è soliti dire, questi dolci erano “riservati” solo ed esclusivamente per festeggiare il Natale ed apparivano proprio in prossimità di quei giorni mentre ora (grazie o purtroppo all’industrializzazione) il tutto viene anticipato creando uno strano effetto di doppia festività, sovrapponendo i dolci e le decorazioni di Halloween a quelli del Natale lasciando tutti un pò sbigottiti. LEGGENDE E TRADIZIONE Attorno al panettone ruotano diverse leggende che ne rivelano la nascita (quasi per caso) e la sacralità. Originariamente era nient’altro che un grosso pane, alla preparazione del quale doveva sovrintendere il padrone di casa, che prima della cottura vi incideva col coltello una croce in segno di benedizione. Il grosso pane veniva poi consumato dalla famiglia solennemente riunita per la tradizionale cerimonia natalizia “del ciocco”. Il padre, o il capo di casa, fattosi il segno della croce, prendeva un grosso ceppo, solitamente di quercia, lo adagiava nel camino, vi poneva sotto un fascetto di rami di ginepro ed attizzava il fuoco. Versava il vino in un calice, lo spruzzava sulle fiamme, ne sorseggiava egli per primo poi lo passava agli altri membri della famiglia che, a turno, l’assaggiavano. Il padre gettava poi una moneta sul ceppo che divampava e successivamente distribuiva altre monete agli astanti. Infine gli venivano presentati tre grandi pani di frumento ed egli, con gesto solenne, ne tagliava solo una piccola parte, che veniva riposta e conservata sino al Natale successivo. Il ceppo simboleggiava l’albero del bene e del male, il fuoco l’opera
22 •
Hans Memling - San Biagio - 1491 - olio su tela - Lubecca, Sankt-Annen-Museum.
di redenzione di Gesù Cristo; i pani, progenitori del panettone, simboleggiavano il mistero della Divina Trinità. La tradizione milanese fa arrivare fino ai giorni nostri l’abitudine di conservare, in una scatola di metallo, una fetta del panettone consumato il giorno di Natale e di mangiarlo il 3 di febbraio: quel giorno si festeggia San Biagio, protettore della gola. Per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele
incrociate (oppure con l’unzione, mediante olio benedetto), sempre invocando la sua intercessione. L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato un bambino da una spina o lisca conficcata nella sua gola. Un’altra leggenda che racconta la nascita del panettone racconta che alla corte di Ludovico Sforza e, come ogni Natale, sta per essere servito in tavola, per il signore di Milano e per i suoi magnifici ospiti, un sontuoso banchetto. Verso le ultime portate, il cuoco si accorse che mancava il dolce, ma in forno trovò solo un ammasso bruciacchiato e immangiabile. Le urla e le bestemmie arrivarono fino ai tavoli degli invitati. Era ormai troppo tardi per preparare nuovamente un impasto così elaborato; poco importava chi aveva dimenticato il dolce nel forno, tanto Ludovico se la sarebbe presa con lui e lo avrebbe condannato a morte.
Disperato il cuoco si abbandonò su una sedia e cominciò a piangere sommessamente. Toni, un povero sguattero, gli si avvicinò dicendo che aveva tenuto per sé un po’ dell’impasto del dolce perduto a cui si era permesso di aggiungere un po’ di frutta candita, uova, zucchero e uvetta. Voleva farselo cuocere al termine del lavoro per avere qualcosa da mangiare. Se il cuoco voleva poteva portare quel dolce a tavola. Guidato dalla forza della disperazione il cuoco infilò nel forno quella specie di forma di pane. Nonostante il povero aspetto, non avendo più nulla da perdere, il cuoco fece portare il dolce in tavola. Neanche a dirlo, il pan del Toni (da qui il termine panettone) riscosse un successo strepitoso, tanto che il cuoco fu obbligato a servirlo a tutti i banchetti natalizi degli anni successivi e presto l’usanza si diffuse fra tutta la popolazione.
La ricetta del panettone “tradizionale” Ingredienti: 800 gr. di farina bianca - 15 gr. di lievito - 150 gr. di burro - 2 uova intere - 4 albumi - 400 gr. di zucchero - 80 gr. di canditi assortiti - 50 gr. di uvetta sultanina - 25 gr. di zucchero vanigliato - 60 ml di latte - un pizzico di sale Preparazione: il giorno precedente alla preparazione, sciogliere in una ciotola il lievito e un quarto della farina nel latte tiepido. Date all’impasto una forma arrotondata, copritelo con un tovagliolo e lasciatelo lievitare, in un luogo asciutto e non freddo, per tutta la notte. Il giorno dopo riprendete l’impasto, lavoratelo a lungo sulla spianatoia con 100 gr. di farina e qualche goccia di acqua tiepida; poi copritelo con un tovagliolo e fatelo lievitare al caldo per circa 2 ore. A questo punto ripetere l’operazione usando altri 100 gr. di farina e aggiungendo acqua tiepida quanto basta per rendere l’impasto morbido ed elastico. Fatelo lievitare per circa 3 ore. Fate rinvenire l’uvetta in acqua tiepida per almeno 20 minuti. Poco prima di riprendere l’impasto fate sciogliere il burro in un tegamino su fiamma molto bassa per evitare che frigga, lasciandone da parte un po’ per ungere la tortiera; poi sciogliete anche lo zucchero e un pizzico di sale in poca acqua, sempre su fiamma molto bassa, aggiungendo, lontano dal fuoco, le uova intere ed i bianchi. Imburrate una pirofila da forno alta e stretta. Riprendete adesso l’impasto e tornate a lavorarlo con il resto della farina aggiungendo, poco alla volta, il burro sciolto e il miscuglio di zucchero e uova. Lavorate a lungo l’impasto inserendoci verso la fine anche le uvette (ben strizzate ed infarinate) e i cubetti di frutta candita. Disponetelo nella pirofila, copritelo con un tovagliolo e lasciatelo lievitare per almeno 3 ore. Accendete il forno e regolatelo su 180° C. Mettete il dolce in forno solo quando la temperatura è quella giusta e cuocetelo per circa 45 minuti o fino a quando si è ben colorato o la superficie è diventata bruna. Fatelo raffreddare a testa in giù per evitare che le uvette e i canditi si depositino sul fondo.
• 23
24 •
La “stella” delle feste
Il viaggio del pandoro da Vienna a Verona per contendere al panettone il titolo di “dolce di Natale” per antonomasia
I
l pandoro è un tipico dolce veronese, il cui nome descrive perfettamente il colore della pasta giallo oro conferitogli dalle uova, leggero e soffice come la pasta brioche, ha sapore delicato e un leggero aroma di vaniglia. LEGGENDE E TRADIZIONE Una tradizione ne fa risalire la nascita ai tempi della Repubblica Veneta, quando sulle tavole delle famiglie ricche venivano serviti dei dolci a forma conica ricoperti da foglie d’oro zecchino, da qui il nome “pan d’oro”. Altri invece sostengono che il pandoro derivi da un antico dolce veronese: il famoso “nadalin” di cui conserva la forma stellare. La versione più recente sull’origine del pandoro lo lega invece alla Casa Reale degli Asburgo, sicuramente fin dal ’700-’800 erano note le due tecniche del croissant e del “Pane di Vienna” che sono rimaste alla base della preparazione del pandoro. In particolare la lavorazione della “brioche” francese consisteva nell’alternare due o tre fasi d’impasto con pause di lievitazione,. Quella del “Pane di Vienna”, invece, prevedeva di completare l’impasto aggiungendo una maggiore dose di burro con il sistema della pasta sfoglia, dove diversi strati di pasta vengono alternati a strati di burro, con il risultato che durante la cottura il dolce acquista volume.
In ogni caso c’è una data che sanziona ufficialmente la nascita del pandoro, il 14 ottobre 1894, giorno in cui Domenico Melegatti depositò all’Ufficio Brevetti un dolce dall’impasto morbido e dal caratteristico stampo di cottura con forma di stella troncoconica a otto punte, opera dell’artista Dall’Oca Bianca, pittore impressionista.
La ricetta del pandoro “tradizionale” Ingredienti: 610 gr. di farina - 250 gr. di burro - 175 gr. di zucchero - 30 gr. di lievito di birra - 8 uova - 1 limone - 1 dl di panna fresca - un pizzico di vanillina - 50 gr. di zucchero a velo Preparazione: la sua preparazione e lavorazione sono un pò lunghe: tre fasi di impasto alternate a pause di lievitazione. Setacciate 75 gr. di farina in una terrina, unite 10 gr. di zucchero, il lievito precedentemente sbriciolato, ed un tuorlo. Impastate bene il tutto, aggiungendo due cucchiai di acqua tiepida. Coprite l’impasto con un telo di cotone e lasciatelo lievitare per un paio di ore. Unite 160 gr. di farina setacciata, 25 gr. di burro ammorbidito, 90 gr. di zucchero, 3 tuorli ed impastate. Lasciate lievitare l’impasto per sue ore. Unite il resto della farina, 40 gr. di burro, 75 gr. di zucchero, 1 uovo intero e 3 tuorli. Impastate a lungo e fate lievitare per la terza volta, sempre coperto ed in luogo tiepido, per 2 ore. Lavorate l’impasto ed incorporatevi il resto del burro ammorbidito, la panna, la buccia grattugiata del limone e la vanillina. Impastate fino ad ottenere un composto morbido. Ricavate dalla pasta due palle e disponetele in 2 stampi precedentemente imburrati e fate lievitare in un luogo tiepido finché la pasta arriverà al bordo degli stampi. Fate cuocere per 40 minuti in forno preriscaldato a 190°. Abbassate il calore a 160° a metà cottura. Fate raffreddare e spolverizzate con lo zucchero a velo.
• 25
Il “duro” dal cuore tenero 26 •
Il pranzo delle feste non può definirsi tale se non si conclude con l’assaggio del torrone: scopriamone i segreti e la tradizione
I
I torrone è un dolce principalmente natalizio, tipico di molte zone d’Italia, composto da un impasto di albume d’uovo, miele e zucchero, farcito con mandorle o nocciole, spesso ricoperto da due ostie. LA STORIA La maggioranza degli esperti è d’accordo nell’attribuire al torrone origini arabe; a supporto di questa tesi vi sarebbe, fra l’altro, il De medicinis et cibis semplicibus, trattato dell’XI secolo scritto da un medico arabo, in cui è citato il turun. Gli Arabi portarono questo dolce lungo le coste del Mediterraneo, in particolare in Spagna e in Italia. La versione spagnola del torrone ha origine nella regione di Alicante e le sue prime attestazioni certe risalgono al XVI secolo. Il torrone a Cremona, invece, pare abbia origini addirittura anteriori, se diamo credito alla tradizione che dice che il primo torrone sia stato servito il 25 ottobre 1441 al banchetto che si tenne alle nozze, celebrate a Cremona, fra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti.
Quel nuovo dolce, sempre secondo la tradizione, era stato modellato riproducendo la forma del Torrazzo, la torre campanaria della città, da cui sembra prenda il nome anche il dolce. La prima notizia certa riguardo al torrone a Cremona risale al 1543, anno in cui il Comune acquistò del torrone per farne dono ad alcune autorità, soprattutto milanesi. Questo episodio ci mostra come già all’epoca il torrone fosse radicato negli usi delle popolazioni lombarde. Col tempo questo dolce venne legandosi sempre più alla tradizione natalizia.
La ricetta del torrone Ingredienti (1,5 Kg di torrone): 300 gr. di miele - 300 gr. di zucchero semolato - 100 gr. di acqua - 150 gr. di nocciole pelate e tostate - 550 gr. di mandorle pelate e tostate - 150 gr. di canditi tritati (scorze di arancia e di cedro) - 3 albumi d’uovo - 1 busta di vanillina - la scorza grattugiata di 2 limoni - una trentina di grosse ostie da pasticceria. Preparazione: mettete il miele nella pirofila, ponete il recipiente a bagnomaria e lasciatelo cuocere a fuoco basso per un’ora e mezzo o più, mescolando in continuazione con un cucchiaio di legno. Il miele sarà pronto quando, versandone una goccia in poca acqua fredda si solidificherà. Poco prima che il miele sia cotto versate in una casseruola lo zucchero e l’acqua e fatelo cuocere sempre mescolando. Anche lo zucchero sarà pronto quando una goccia versata in un piattino formerà una perla bianca e croccante. Montate a neve ben soda gli albumi, quindi uniteli al miele ormai pronto. Con questa aggiunta il miele si gonfierà, diventando bianco e spumoso, continuate a mescolare per altri cinque minuti, quindi aggiungete anche lo zucchero e mescolate ancora sino a quando il composto, dopo essersi ristretto, comincerà a indurire. Unite allora le mandorle, le nocciole, la frutta candita, la scorza dei limoni grattugiata, la vanillina e mescolate con cura e a lungo, in modo da riuscire ad amalgamare tutto perfettamente. Foderate con metà ostie lo stampo. Versate il composto nello stampo, livellate bene la superficie e coprite con le ostie rimaste. Lo spessore del composto dovrebbe essere di circa 3 cm. Ponete sopra le ostie un tagliere o un’assicella di legno e su questa dei pesi e lasciate riposare così per circa mezz’ora. Solo allora capovolgete lo stampo su un ripiano e, con un grosso coltello, tagliate il torrone a pezzi della misura desiderata. Avvolgete i pezzi ottenuti prima in carta pergamena e poi in fogli d’alluminio e conservateli in luogo fresco e asciutto in una scatola o in un barattolo di vetro a chiusura ermetica.
• 27
SCIARE NEL MONDO •
NEPAL Annapurna
Il Cavallino sbarca tra le dune di sabbia
28 •
• A cura della Redazione
© NTV Nuovo Trasporto Viaggiatori SPA
I posti più pazzi dove sciare
• 29
Dalle cime himalayane alle vette con vista mare della Nuova Zelanda. Difficile se non impossibile trovare località più belle delle Alpi dove sciare. Ma per chi proprio vuole provare l’impresa, è possibile sciare su pendii posti a un’altezza superiore a quella della cima del Monte Bianco. Così come si può sciare con vista mare o, se si preferisce, col volto velato oltre che da un passamontagna, da un burqa islamico
T
anto dal Nepal quanto dalle regioni settentrionali dell’India - muovendo dalla capitale federale Nuova Dehli verso il Kashmir, famoso anche per l’omonimo tessuto - è possibile sciare sui pendii dell’Himalaya, la catena montuosa più alta del mondo, comprende l’Everest (8848 metri) e che, nel solo Nepal, conta circa la metà delle 14 vette sopra gli 8mila metri del pianeta (il K2, la seconda vetta più alta, è però in Pakistan, località non proprio consigliabile per nessun tipo di turismo). Guidati da sherpa dotati di sci o snowboard, si può scendere lungo pendii di abbondantissima neve vergine, circondati dal panorama dell’Annapurna, una delle mete più gettonate anche per il trekking e le scalate, o dello stesso Everest (che di per sé non è però sciabile). Le discese partono da un’altezza di 5000 metri, ma per chi ha più fiato, coraggio e denaro è possibile partire anche da altezze maggiori). Non ci sono ovviamente né piste battute né impianti di risalita (basterebbe una folata di vento a sommergere di bianco le une e gli altri), semplicemente al posto delle seggiovie si usa l’elicottero.
NUOVA ZELANDA Milford Sound
30 •
Una volta completata la discesa del pendio - con dislivelli fino a 2000 metri e punto di arrivo alla bellezza di 3000 metri di altezza - si riprende l’elicottero e si riparte per un’altra discesa. Più ancora di una certa dimestichezza con gli sci e le discese fuori pista occorrono soprattutto fiato e resistenza fisica. A 5000 metri di altezza, col clima dell’Himalaya, l’ossigeno è circa la metà di quello al livello del mare (in cima all’Everest scende al 30%), il fiato si fa corto e ogni movimento diventa lento e faticoso. Difficile infatti fare più di 3 discese al giorno, vuoi per la lunghezza dei tracciati vuoi per il tempo, e lo sforzo agonistico, che richiedono. Ma l’emozione e l’orgoglio di scendere tra quelle vette a quelle altitudini valgono lo sforzo (notevole anche sotto il profilo strettamente economico). Se non si ha un giorno di tempo per adattarsi alle altitudini himalayane, , una sciata spettacolare è quella che offre il Milford Sound, il più famoso e visitato dei fiordi della Nuova Zelanda. Nella parte sud dell’isola meridionale della Nuova Zelanda, l’aeroporto di arrivo (previo sca-
CANARIE Monte Teide
lo dall’Europa) è quello di Queenstown, le vette che affacciano sul fiordo consentono, da giugno a novembre, di godersi una panoramica mozzafiato: l’Oceano Pacifico che si insinua in profondità tra le terre emerse e ricoperte di neve. Fossero troppe 30 e passa ore di volo dall’Italia per arrivare alle 4 cime nei dintorni di Queenstown - tutte dotate di piste regolarmente battute, dotate di impianti di risalita e sciabili dal principiante come dallo slalomista - da cui godersi questo panorama, ci si può anche fermare a Melbourne.
immigrati italiani di tutta l’Australia. Troppo lontana anche l’Australia? Non volete comunque rinunciare alla vista mare mentre sciate? Benissimo. Le isole Canarie, territorio spagnolo al largo del Marocco, sono poco più lontane di Madrid dall’Italia. Con i suoi 3718 metri, il monte Teide, sull’isola di Tenerife, è la montagna più alta di Spagna e il terzo vulcano del pianeta. Sciabile d’inverno, non è però dotato di impianti di risalita né piste battute perché fa parte di un parco naturale. CANADA Whistler
Non ci sono fiordi - i canguri e la famosa montagna rossa sacra agli indigeni distano un paio di ore di volo - ma le piste da sci non mancano, come non manca una Little Italy a Melbourne, la città lungo la Yarra River con la più alta percentuale di
E allora? Beh, per quest’anno il suggerimento non può che essere Whistler, in Canada, a un paio d’ore di autobus da Vancouver, considerata una delle città più vivibili del mondo (se non la più vivibile in assoluto).
• 31
IRAN Ab Alì
Neve in Canada ce n’è in abbondanza e non solo a Whistler; il panorama forse non è bello come quello delle Alpi, ma la quantità di neve da queste parti è qualcosa che in Italia non si vede più da una ventina d’anni a questa parte. E infatti molte delle piste delle due cime che circondano il graziosissimo paesino di Whistler - un piccolo centro tutto turistico, al cui interno non si può girare in auto - non sono battute. Una discesa ideale per chi ha ginocchia ben allenate e non teme dossi a ripetizione, per chilometri e chilometri, alti fino a 4 metri! Non mancano possibilità di eliski per tutti i gusti e le abilità (si va dalle 4 alle 9 discese in
ARGENTINA Ushuaia
32 •
un giorno), o, per chi vuole restare coi piedi per terra, quelle di andare a sciare in neve fresca con il gatto delle nevi (nell’uno come nell’altro caso non impressionatevi, prima di iniziare le discese sarete muniti di un segnalapersone e di una pala in caso di valanga e vi verrà tenuto un rapido corso per imparare cosa fare se una valanga travolge voi o travolge altri con voi). Se invece si resta a Vancouver è possibile prendere i bastoncini per sciare la mattina e i remi per fare un giro in canoa nelle acque della baia sul Pacifico il pomeriggio. E benché il cambio al vertice a Washington l’abbia un po’ fatta cadere da metà à là pàge qual’era quando svariati pensatori neo-con dell’era Bush vi andavano a rilassarsi, il cambio euro-dollaro suggerisce d’altronde di fare un salto ad Aspen, la Saint Moritz del Colorado. Se invece vi piace coprirvi di tutto punto, non solo per il freddo, quello che fa al caso vosto è l’Iran. Sì, si può sciare perfino lì: per l’esattezza ad Ab Alì: ski resort a 2500 metri d’altezza a metà strada tra il Golfo Persico (e Dubai) e il Mar Caspio con 9 ski lift per altrettante piste. Il suggerimento, quasi d’obbligo per le signore, è di non dimenticarsi il burqa anche quando ci si toglie il passamontagna.
CILE Tres Valles
Nessuna possibilità di sci in Africa se non alle Canarie: il Kilimangiaro coi suoi 6mila metri può essere raggiunto solo facendo trekking per quasi una settimana, il Sud America offre invece un’ampia gamma di possibilità: la graziosissima Bariloche in Argentina, col suo lago e il suo paesaggio quasi germanico; le Tres Valles a poca distanza da Santiago del Cile, per chi magari dopo un paio di giorni sulla neve vuole attraversare mezzo Pa-
cifico e vedere le misteriose statue dell’Isola di Pasqua; la gelida e impervia Ushuaia, nella Terra del Fuoco, praticamente ai confini del mondo, nel posto più a sud del pianeta ove esista uno stabile insediamento umano. Per finire ecco la vetta del Chacaltaya, a 36 chilometri da La Paz (capitale della Bolivia) su quella che è ufficialmente la pista battuta più alta del mondo: 5580 metri sopra il livello del mare.
COLOMBIA Chacaltaya
• 33
NTV ITALO •
Il leprotto che insegue il futuro
34 •
© NTV Nuovo Trasporto Viaggiatori SPA
• A cura della Redazione
Il completamento della rete ferroviaria italiana ad Alta Velocità e la liberalizzazione del trasporto ferroviario di persone in ambito nazionale hanno spinto Luca di Montezemolo, Diego Della Valle, Gianni Punzo e Giuseppe Sciarrone a creare Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV). • 35
L
a costruzione del progetto inizia nel 2008, anno in cui ai fondatori si aggiungono altri soci, Intesa San Paolo, Generali Financial Holdings Fcp-Fis, Alberto Bombassei, la famiglia Seragnoli e in seguito Sncf. L’obiettivo è quello di innovare nei contenuti il trasporto ferroviario dei viaggiatori, valorizzando il tempo di viaggio, attraverso servizi completi e personalizzati, ambienti confortevoli e tecnologicamente avanzati, grande qualità a prezzi competititvi, e contribuendo anche alla valorizzazione del grande investimento fatto dallo Stato per sviluppare la rete AV.
La Cultura dell’eccellenza Il sogno di un nuovo modo di viaggiare, dove la relazione con il Viaggiatore è più facile, di qualità e innovativa, nasce dalla miscela di questi tre elementi cardine: • la competenza, con la costituzione graduale di un gruppo integrato di professionisti provenienti dal mondo del trasporto ferroviario, del marketing e dei servizi alle persone. • la tecnologia, con l’acquisto del treno AGV di ultimissima generazione progettato da Alstom, il principale costruttore mondiale di treni AV; e con l’adozione di tecnologie e sistemi software modernissimi.
36 •
• la cultura del servizio, con la selezione e formazione nella scuola di ospitalità di Ntv, appositamente costituita, di personale giovane, per assicurare ai Viaggiatori un’assistenza personalizzata e fare così la “differenza” in un servizio nato per grandi numeri. Le linee e tutte le stazioni AV Italo collega 9 città italiane e 12 stazioni, lungo le seguenti due linee: 1) Torino Porta Susa - Salerno Centrale con fermate intermedie a Milano Porta Garibaldi, Milano Rogoredo, Bologna Centrale, Firenze Santa Maria Novella, Roma Tiburtina, Roma Ostiense e Napoli Centrale. 2) Venezia Santa Lucia - Roma Ostiense con fermate intermedie a Venezia Mestre, Padova Centrale, Bologna centrale, Firenze Santa Maria Novella e Roma Tiburtina. La scelta delle stazioni di Roma e Milano è innovativa rispetto alla tradizione di queste due città. A Roma i terminali di Italo sono due: Roma Tiburtina, che è la nuova grande stazione AV della capitale e che costituirà il terminale principale di Italo e Roma Ostiense, che ha una funzione complementare a Tiburtina: serve una zona della città, quella Sud, Sud-Ovest, particolarmente importante per i viaggi di affari e di lavoro, dalla quale
Il treno indossa la livrea Rosso, come il colore assegnato all’Italia nelle prime competizioni automobilistiche dopo la seconda guerra mondiale. Rosso, perché è il colore della velocità. E Italo, che usa lo stesso sistema di trazione del treno Alstom detentore del record mondiale della velocità con 575 chilometri all’ora, ha i titoli per indossare una livrea rossa. Rossa bordeaux, più propriamente, impreziosita da una elegante banda d’oro, che come un filo conduttore accompagna le 11 carrozze del treno, legandole l’una con l’altra con la bandiera tricolore. Insomma, sprizza italianità da tutti i “pori” l’uniforme che indossa Italo. E lo stesso nome, scelto da quasi 40 mila navigatori con un sondaggio lanciato dal sito aziendale, racchiude non solo l’identità, la filosofia e il progetto dell’impresa, ma interpreta anche il sogno, il sentimento e l’impegno degli azionisti verso l’Italia. Imprenditori che sono espressione di un Paese maestro di stile di vita, di alta qualità, di design, di genialità e di innovazione. Il brand Italo è tutto questo, con grande immediatezza. Il logo si coniuga poi con le caratteristiche stilistiche e formali del concept prescelto: il leprotto, rappresentato nello slancio della sua corsa.
© NTV Nuovo Trasporto Viaggiatori SPA (3)
Termini e Tiburtina non sono facilmente raggiungibili. Anche a Milano Italo ha due terminali del tutto innovativi: Porta Garibaldi, che costituisce il principale terminal milanese di Italo, è collocata in zona centrale, all’interno del più importante progetto di riqualificazione della città (il nuovo Quartiere Isola); Rogoredo, che ha una funzione complementare a Porta Garibaldi, è posizionata in zona periferica e quindi facilmente accessibile da tutto l’hinterland milanese. A regime, ovvero una volta completata la consegna dei 25 treni, ogni giorno saranno effettuati 50 viaggi per un totale di circa 12 milioni di treni-km all’anno.
La figura snella, di profilo, trasmette un messaggio di velocità e di agilità, proprie del servizio Italo. L’essenzialità del tratto infonde la sensazione di forza e leggerezza e interpreta così i caratteri innovativi del nuovo treno e le attese dei viaggiatori: Italo è veloce, sicuro, ecologico e agile. E dal momento che il leprotto è comunemente percepito, in tutte le culture, come un animale simpatico, rassicurante e docile, di conseguenza Italo è l’amico di cui ti puoi fidare e che ti accompagna fedele nel viaggio. Lo stile del logo rimanda anch’esso all’idea di velocità, sinuosità e flessibilità proprie del leprotto. Il punto in testa riecheggia invece sia l’innovazione tecnologica, sia un nuovo punto (e a capo) di partenza: l’inizio di un nuovo modo di viaggiare. Il treno più moderno d’Europa Disegnato per sfidare le leggi dell’aerodinamica, progettato per viaggiare fino a 360 km/h: il nuovo Agv costruito da Alstom per NTV rappresenta a oggi il massimo della tecnologia nell’altissima velocità, il massimo della sicurezza e dell’ecologia e il top del comfort.
• 37
a “fisarmonica, a beneficio della sicurezza in marcia, e migliora la resistenza al vento laterale. Un sistema antincendio automatico ad acqua nebulizzata e sistemi di segnalamento di ultima generazione completano l’equipaggiamento di Italo.
Comodo, luminoso, silenzioso Due innovazioni d’avanguardia “pulsano” nel cuore del progetto Agv: l’architettura articolata e la trazione distribuita, che grazie al posizionamento dei motori sui carrelli permette di sfruttare al meglio la potenza del treno. Il sistema di motorizzazione ripartito su tutto il convoglio, anziché sulle motrici di testa e di coda, consente l’eliminazione delle motrici e la conseguente restituzione di spazio prezioso ai passeggeri. La combinazione delle due innovazioni elimina gran parte delle vibrazioni e del rumore a bordo, ottimizza l’aerodinamica, garantisce una più efficace sicurezza e riduce i costi della manutenzione del 15%. Gli innovativi materiali utilizzati, combinati con moderni sistemi di trazione e con queste soluzioni tecniche, permettono di alleggerire la massa di Italo rispetto ai treni sul mercato, con consumi energetici ridotti del 10%. Innovazione = MASSIMA sicurezza Con dispositivi all’avanguardia, certificati rispetto alle più recenti normative europee, Italo offre ai suoi Viaggiatori la tranquillità della massima sicurezza. La protezione in caso d’urto è garantita dagli assorbitori d’energia collocati sul fronte del treno, che riducono le conseguenze di eventuali impatti; la struttura articolata consente inoltre un legame maggiore tra le casse, evita che il treno si disponga
38 •
IL PRIMO “ECOTRENO” Italo è il risultato di un percorso di eco-progettazione studiato per controllare e ridurre l’impatto ambientale del treno durante l’intero ciclo di vita, dalla costruzione, al recupero e al riciclaggio dei materiali usati. L’architettura eco-sostenibile di Italo si declina in: • basse emissioni di gas a effetto serra, • alta riciclabilità: il 98% dei materiali utilizzati per la costruzione del treno si riutilizzano (alluminio, acciaio, rame, vetro), minori consumi energetici (-10%), • autosufficienza elettrica: il sistema frenante elettrodinamico con recupero di energia permette al treno di produrre l’elettricità di cui necessita • minor inquinamento acustico: il design filante, l’aggiunta di deflettori d’aria, i materiali isolanti e lo stesso posizionamento dei carrelli, consentono a Italo viaggi più silenziosi, sia per chi è a bordo, sia verso l’ambiente esterno.
Tre ambienti CON IL MASSIMO COMFORT La “Prima” è l’ambiente pensato per chi ama il comfort a 360 gradi, per chi cerca l’eleganza ovattata di un salotto, per chi vuole rilassarsi in tutta comodità, e per chi non rinuncia a un servizio di prima qualità, che prevede i menu di Eataly, se richiesti, per pranzo o cena, serviti comodamente
© NTV Nuovo Trasporto Viaggiatori SPA (4)
Il giro del mondo in 200 mila km Nel corso delle prove il prototipo dell’AGV ha percorso in totale 100.000 km, dei quali: • 38.000 km nel centro di prove ferroviarie di Velim (Repubblica Ceca), fino a una velocità massima di 200 km/h; • 7.000 km sulla linea ad Alta velocità LGV Est in Francia, raggiungendo i 364 km/h; • 55.000 km in Italia, dove ha raggiunto i 330 km/h. I 4 treni hanno invece percorso ad oggi un totale di 130.000 km, viaggiando sulle linee convenzionali, sulla “direttissima” tra Roma e Firenze e su tutta la rete ad alta velocità italiana. I test di omologazione di .Italo in linea si sono tenuti da marzo 2011 a dicembre 2011 per un totale di 67 settimane, dal momento che più treni effettuavano le prove in contemporanea.
in poltrona, come anche il servizio di benvenuto incluso nel biglietto, il quotidiano negli orari del mattino, la connessione Wi-Fi gratuita, la TV in diretta e i film da Italolive, il portale di bordo. Le poltrone organizzate su file da tre consentono ampi spazi individuali, con braccioli singoli distanziati di quasi 5 cm, e una distanza longitudinale tra i sedili di 960 mm, completata da piccole comodità: dal comando luci di lettura a portata di mano al vano porta-oggetti collocato tra i sedili doppi. Per sgranchirsi le gambe, i Viaggiatori hanno a disposizione l’Area Break (uno spazio in piedi per chiacchierare e prendersi una pausa). E se invece si desidera viaggiare, lavorare o magari riposare senza disturbo (e senza il fastidioso cicaleccio prodotto dall’uso dei cellulari) si può scegliere la Prima Relax, la carrozza silenziosa dove il telefono e i toni alti sono cortesemente banditi. La “Smart” ha i colori vivaci che introducono allo stile Smart, l’ambiente di chi cerca la comodità, per esempio i sedili in pelle Frau tutti reclinabili, ma è interessato più all’economicità del viaggio che ai servizi aggiuntivi. Economicità, praticità, self service (disponibile una piccola Area Snack con i distributori automatici di snack e bevande), grande comfort ma anche gran-
• 39
© NTV Nuovo Trasporto Viaggiatori SPA (3)
de accessibilità di prezzo: così si declina il modo di viaggiare, più essenziale, dei Viaggiatori Smart, che possono godere comunque di copertura Wi-Fi gratuita in tutte le carrozze e di accesso sempre gratuito a Italolive, il portale di bordo. La “Smart Cinema” collocata all’estremità del treno per evitare il disturbo prodotto dal passaggio di Viaggiatori, è pensata come un vero e proprio
40 •
Cinema da 39 posti: otto schermi da 19 pollici ad alta definizione posizionati sul soffitto della carrozza, per garantire una visione coinvolgente quasi come nelle sale cinematografiche, permettono ai passeggeri di gustarsi sui treni No Stop Roma-Milano, senza fermate intermedie, film anche in prima visione, nonché programmi di intrattenimento e di attualità sui percorsi più brevi.
L’ARTIGIANO IN FIERA 1-9 DICEMBRE 2012 FIERAMILANO RHO-PERO
Sponsored by:
www.artigianoinfiera.it INGRESSO GRATUITO
ORARI E INGRESSI
Feriali (3, 4 e 5 dic.): 15.00 - 22.30 Sabato e festivi (1, 2, 7, 8, 9 dic.) e 6 dic.: 10.00 - 22.30 Disponibile gratuitamente su appstore e mobile.artigianoinfiera.it Promosso insieme a:
AF2012_210x275_ita.indd 1
NOVITÀ:
Seguici su:
GIOVEDÌ 6 DICEMBRE, APERTURA DALLE 10.00 ALLE 22.30 PASSANTE FERROVIARIO
LINEA 1 RHO-FIERAMILANO
Media partners:
29/11/12 08.36
FERRARI WORLD ABU DHABI •
Il Cavallino corre tra le dune di sabbia
42 •
© NTV Nuovo Trasporto Viaggiatori SPA
• A cura della Redazione
• 43
è il primo parco tematico dedicato alla Casa di Maranello oltre che la più grande attrazione di questo tipo. Un’intensa esperienza multisensoriale e un luogo unico nel suo genere dedicata non solo ad ad appassionati e fan ma anche alle famiglie
I
l Parco rende omaggio alla passione, l’eccellenza, le prestazioni ed le innovazioni tecnologiche che Ferrari ha raggiunto nel corso degli anni e che rappresenta oggi. Il suo iconico e sinuoso tetto rosso si ispira direttamente al classico profilo laterale a curva doppia delle scocche Ferrari, con un’estensione di 200.000 m2 e sormontato dal più grande logo Ferrari mai creato. Ferrari World Abu Dhabi offrirà oltre 20 attrazioni, per adulti e bambini, per un’esperienza Ferrari completa, ognuna studiata per raccontare un aspetto diverso della storia Ferrari, comprese le montagne russe più veloci del mondo, che raggiungono i 240 km/ora e che simulano la sensazione mozzafiato di una monoposto Ferrari, oppure
44 •
l’esperienza di G-force, con un’eccitante corsa fino ai 62 metri di altezza, oltre il tetto del Parco, per poi tornare fino a terra. Il parco si trova su Yas Island - destinata a diventare una meta turistica globale con una ampia offerta di strutture - sul lato nord-orientale del territorio di Abu Dhabi che è al crocevia tra Europa, Asia ed Africa. La località araba è stata scelta come location ideale per costruire il parco a tema Ferrari, essendo il mondo delle corse automobilistiche estremamente popolare negli Emirati Arabi Uniti. Ferrari World Abu Dhabi offrirà un divertimento unico ed intenso, insieme ad una vasta gamma di prelibatezze italiane, e, ovviamente, esperienze di shopping esclusive.
Il parco è di proprietà di Aldar Properties PJSC, azienda di gestione, investimenti e sviluppo immobiliare leader nel settore ad Abu Dhabi. Farah Leisure Parks Management L.L.C, joint venture tra Aldar Properties PJSC e ProFun Management Group Inc. (azienda internazionale che si occupa della gestione e attività di strutture per il tempo libero) saranno responsabili della gestione e dell’attività di Ferrari World Abu Dhabi. Ogni aspetto del progetto rifletterà i principi fondamentali di Ferrari di eccellenza e prestazioni nell’ambito dell’innovazione tecnologica.
© Ferrari World Abu Dhabi (3)
Architettura della struttura Ferrari World Abu Dhabi si estende sotto un iconico tetto rosso nel cuore di Yas Island ed è il primo parco a tema Ferrari al mondo, oltre che la più grande attrazione di questo tipo. Un’intensa esperienza multisensoriale, imperdibile per gli appassionati, i fan e le famiglie.
• 45
ma molto semplice “che abbraccia il terreno”, stagliandosi dal paesaggio con linee fluenti come una duna di sabbia rossa. La struttura e la forma visivamente caratteristiche coronano il Circuito di Yas Marina, creando uno skyline immediatamente riconoscibile.
Il Parco rende omaggio alla passione, l’eccellenza, le prestazioni e le innovazioni tecnologiche che Ferrari ha raggiunto nel corso degli anni e che rappresenta oggi. Per ospitare questo modernissimo Parco, è stato realizzato un edificio che riflette la forma sinuosa di una Ferrari, direttamente ispirato al classico profilo laterale a curva doppia della scocca. Data la morfologia dell’isola e la posizione di Ferrari World Abu Dhabi nelle vicinanze dell’aeroporto, l’edificio è stato concepito come una for-
46 •
PRINCIPALI ATTRAZIONI Ferrari World Abu Dhabi presenta le sue fantastiche attrazioni, create per raccontare la storia, la passione, l’eccellenza, le performance e le innovazioni tecnologiche di Ferrari. Oltre 20 giostre di emozioni e divertimento per una completa esperienza Ferrari. • Formula Rossa - le montagne russe più veloci al mondo, raggiungono i 240 KM/h. • Speed of Magic - il fantastico viaggio in 4-D che riproduce le avventure di un giovane in una caleidoscopica ambientazione da sogno tra natura e paesaggi eccezionali, dove nessuna Ferrari è mai stata prima. • Made in Maranello - gita virtuale oltre le porte del famoso stabilimento Ferrari a Maranello, attraverso il processo di produzione di una Ferrari. • V12 - l’emozionante percorso su acqua fino al cuore di un motore 12 cilindri.
esperti dedicata ai bambini, che potranno testare F430 GT Spiders in scala ridotta. • Junior Grand Prix - dopo l’esperienza di guida Junior GT, i giovani piloti possono testare la pista sulle monoposto Ferrari in scala ridotta. • The Racing Legends - una percorso attraverso i momenti più importanti della storia Ferrari, dalle prime corse fino alle vittorie di oggi. • Driving with Champions - lo spettacolo interattivo in 3-D che ricalca le avventure di un giovane ingegnere - nel suo primo giorno di lavoro allo stabilimento Ferrari - che vive un’esperienza indimenticabile a bordo con un pilota. • Cinema Maranello - il cinema dove verrà proiettata la “Coppa di Sicilia”, un cortometraggio sulla leggendaria vita di Enzo Ferrari. • Junior Training Camp - l’area di gioco interattiva per i più piccoli dove provare l’autolavaggio, diventare costruttori, salire in tribuna, giocare con macchinine radiocomandate e Ferrari in miniatura sull’acqua e giocare con una vettura di F1 in morbida gommapiuma. • Carousel - i prototipi mai visti di alcune Ferrari, basati sui disegni vincitori di un concorso Ferrari. • Ristoranti e Shopping - gli ospiti del Ferrari World potranno usufruire della gamma di bar e ristoranti a tema per un’esperienza completa della cucina italiana, e location uniche per lo shopping.
© Ferrari World Abu Dhabi (3)
• G-Force - un’eccitante corsa su un sedile ispirato alla Ferrari Enzo, fino ai 62 metri di altezza della torre centrale del parco, per poi tornare fino a terra provando così la vera forza gravitazionale di una Ferrari. • Scuderia Challenge - il simulatore di corse al limite della realtà, simile a quelli usati dai piloti della Scuderia Ferrari durante l’allenamento. • Viaggio in Italia - il viaggio aereo virtuale sulle città italiane e i principali monumenti, montagne e coste, seguendo una Ferrari. • Fiorano GT Challenge - montagne russe dove potersi sfidare fino allo sprint finale su strette curve con Ferrari F430 Spider. • Bell’Italia - la ricreazione in miniatura dei posti più famosi dell’Italia, dalla pittoresca Portofino e la costiera Amalfitana, alla pista di Monza, e ancora il Colosseo di Roma, Venezia e Maranello, il cuore e la casa di Ferrari. • Paddock - riproduzione del motor home Ferrari, dai garage, ai trasporti, alle stanze dedicate all’ospitalità, con spettacoli interattivi che offrono ai fan il gusto dell’azione e i retroscena di un GP. • The Pit Wall - il gioco dove mettersi alla prova in realistici scenari da corsa. • Galleria Ferrari - la galleria Ferrari più grande al mondo dopo quella di Maranello, con una gamma esclusiva di Ferrari classiche e contemporanee. • Junior GT - una scuola di guida con istruttori
• 47
ANDREA MURA •
“Vento di Sardegna” vuole andare oltre...
48 •
© NTV Nuovo Trasporto Viaggiatori SPA
• A cura della Redazione
• 49
Nel 2012 Andrea Mura ha percorso 20.000 miglia in mare, toccato 7 nazioni e 2 continenti. Tutte le sfide hanno visto la Sardegna come punto di partenza e arrivo. Seguiteci in questo affascinante viaggio alla scoperta dell’uomo e del suo progetto “Vento di Sardegna”
A
ndrea Mura è nato il 13 settembre 1964 a Cagliari, in Sardegna. Dalla sua terra eredita la tenacia e la determinazione, dal padre Sergio Mura, velista di lunga esperienza, la passione per la vela. Andrea Mura ha cominciato a praticare la vela all’inizio degli anni 70 e non l’ha più abbandonata, collezionando importanti risultati tra cui 2 titoli europei in 420, 1 titolo mondiale Juniores 470, 2 campagne olimpiche in 470 e 1 Tornado, oltre a 10 titoli italiani in varie classi tra olimpiche e di vela d’altura. Nel 1985 nasce la Veleria Andrea Mura Sail Design che ancora oggi, rappresenta una delle velerie più competitive in Italia. L’impegno in veleria non impedisce ad Andrea, che è un velista eclettico e capace di confrontarsi in tutte le classi, di continuare a regatare a livello
50 •
internazionale. Andrea partecipa così alla campagna di America’s Cup a bordo del Moro di Venezia tra il 1989 e il 1992, vincendo 2 campionati del mondo, 1 in Coppa e 1 nella classe 50”,e una Louis Vuitton Cup. L’esperienza come randista si replica a livello internazionale nel 2000 e 2002, a bordo di Bribon dell’equipaggio del Re Juan Carlos di Spagna. Nel 2005 l’Accademia Navale di Livorno assegna alla Veleria l’Oscar come “Miglior Velaio” dell’anno. Sempre nel 2005 viene assegnata ad Andrea la “Navicella d’Argento” per aver promosso la Sardegna nel mondo. Nel 2006, all’apice di una lunga carriera agonistica tra le boe e in equipaggio, decide di cambiare e affrontare un nuovo progetto, molto impegnativo dal punto di vista tecnico, che prevede la partecipazione alle grandi classiche della vela d’altura.
Assieme all’amico Guido Maisto comincia a navigare a bordo dell’Open 50 Vento di Sardegna, con il quale va a caccia di record e porta di nuovo il nome dell’Italia e della Sardegna alla ribalta a livello internazionale. La sfida sportiva lanciata da Andrea Mura è sostenuta dalla Regione Autonoma Sardegna, dal Comune di Cagliari, dalla Camera di Commercio di Cagliari e da Argiolas Formaggi, con lo straordinario patrocinio dello Stato Maggiore della Marina Militare, che prima di allora in Italia non era mai stato concesso a un civile. L’atleta, nato e cresciuto a Cagliari, rappresenta grazie ai risultati sportivi ottenuti a bordo dell’imbarcazione Vento di Sardegna, un’eccellenza per l’Italia. Il progetto Vento di Sardegna, nasce nel 2006 e, dal 2010, porta Andrea Mura a regatare anche fuori dal Mediterraneo tra i migliori velisti oceanici del mondo. Vento di Sardegna rappresenta, nella scelta del nome e nella grafica dello scafo, caratterizzata dallo stemma e dai colori dei Quattro Mori, la testimonianza dell’appartenenza a una terra e alla sua identità. Andrea Mura si fa dunque portacolori anche oltre i confini del Mediterraneo, della storia delle
tradizioni, della cultura della Sardegna, perla del Mediterraneo caratterizzata da una natura e da paesaggi di incomparabile bellezza. Andrea lancia una nuova sfida e, a bordo di Vento di Sardegna, si prepara a partecipare alla Route du Rhum regata transatlantica in solitario che si svolge ogni quattro anni. Partita il 31 ottobre da Saint Malò, in Bretagna, e conclusa a Point à Pitre, in Guadalupa dopo 3.543 miglia, nelle insidiose acque del Nord Atlantico, ha regalato ad Andrea, alla Sardegna e
• 51
all’Italia intera grandi emozioni che hanno addirittura colpito il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano come primo Italiano nella storia a vincere questa leggendaria regata, sino ad oggi appannaggio dei grandi navigatori francesi. Nel 2010 riceve l’ambito premio “D’Albertis” per l’atto di Marineria compiuto con la vittoria nella Route du Rhum, consegnato dal Presidente dello Yacht Club Italiano a Genova e nel 2011 la “Maschera Punica” per aver promosso la Sardegna nel mondo, consegnata dal Sindaco di Cagliari Emilio Floris. Un grande successo per lo sport Italiano e per la vela oceanica italiana in cui è stato espresso il più grande atto di marineria che gli è valso il premio di miglior velista dell’anno 2010. Nel 2012 vince la Twostar (3000 miglia da Plymouth a Newport) insieme a Riccardo Apolloni, Andrea Mura: il suo palmarès
stabilendo un nuovo record di percorrenza assoluto storico in 13 giorni 17 ore e 47 secondi e a distanza di un solo mese vince la Quebec - S. Malò insieme ad Apolloni, Luca Tosi e Tommaso Stella arrivando primi tra i monoscafi e stabilendo un nuovo record di percorrenza in 11 giorni 15 ore e 59 secondi migliorando la prestazione di Soldini di circa 24 ore. Dopo i successi conseguiti con la vittoria alla “Route du Rhum” nel 2010, la “Twostar” e la “Quebec - S. Malò” nel 2012 con l’imbarcazione Vento di Sardegna, cresce più che mai la voglia di continuare a navigare in oceano per competere contro i migliori velisti oceanici del mondo portando in alto la bandiera tricolore e il vessillo dei 4 Mori in una regata in solitario. Di qui il progetto Ostar 2013 per regata atlantica in solitaria, di cui vi daremo tempestive notzie.
• Una Coppa America come randista de “Il Moro Di Venezia” • Due titoli Mondiali (Coppa America e 50 piedi) • Un titolo Mondiale Juniores in 470 • Due titoli Europei in 420 • Dieci titoli Italiani in varie classi tra Olimpiche e Vela d’Altura • Otto anni di squadra nazionale FIV. Due campagne olimpiche 470 e una in Tornado • Medaglia d’argento al valore atletico nazionale nel 1982 • Medaglia di bronzo al valore atletico nazionale nel 2004 • Oscar della Vela come “Miglior Velaio 2005” • Premio “Navicella D’Argento 2005” • Premio “D’albertis” per la marineria Yacht Club Italiano 2010 • Premio “Maschera Punica” Lions - Comune di Cagliari 2011 • Premio “Straulino” - Y. Club Montecatini 2011 • Velista dell’anno 2010 • Premio “Faro Blu” 2011 • Premio “Y. Capital award” 2012 - Genova
52 •
DRACULA
è in Triennale
Dracula e il mito dei vampiri storia letteratura cinema moda design
una produzione
w w w. a l e fc u l t u r a l . c o m
in collaborazione con
La mostra
23 novembre 2012 - 24 marzo 2013 www.draculamilano.com www.triennale.org partner istituzionali della Triennale di Milano
production design
media partner
social media partner
catalogo
partner
DIABOLIK •
Diabolik © Astorina Srl
Il Re del terrore
54 •
• A cura della Redazione
Il 1° novembre del 1962, con un logo studiato da Remo Berselli, appare nelle edicole italiane il primo numero di diabolik (titolo evocativo: “Il re del terrore”, sottotitolo a rincarare la dose: “il Fumetto del brivido”) al prezzo di 150 lire. I testi erano di Angela Giussani, i disegni di Zarcone
IL FORMATO DIABOLIK Il 1962 rappresenta una svolta nel mondo del fumetto non solo per la comparsa dell’eroe nero, ma anche per una grande invenzione: il “formato Diabolik”. Piccoli albi tascabili con solo due o tre vignette a pagina, abbastanza grandi per ospitare campi lunghi (necessari al fumetto d’azione) ma utilizzabili anche per dialoghi ricchi e articolati. Le sorelle Angela e Luciana Giussani, che allora abitavano vicino alla stazione delle Ferrovie Nord
Diabolik © Astorina Srl (2)
R
ileggendo oggi quel primo episodio possiamo dire che l’impostazione del personaggio era già perfettamente delineata: Diabolik era un ladro di un’abilità e un’ingegnosità fuori dal comune, capace di assumere diverse fisionomie grazie a maschere di plastica sottilissima che lui stesso aveva inventato e provvedeva a realizzare. Per avversario ecco subito l’ispettore Ginko, poliziotto integerrimo che, da allora, ha dedicato tutta la sua vita professionale alla caccia dell’inafferrabile ladro. Il “fumetto Diabolik” era un giallo, ma aveva in sé anche tutte le caratteristiche del “nero”: presto i lettori si resero conto che il loro eroe era un criminale, certo, ma stranamente non privo di alcuni principi etici. Un personaggio fuori dalla società, comunque non peggiore di certi elementi che in quella stessa società occupavano posizioni di potere e di prestigio. Una formula di successo perché, per citare Umberto Eco, “Si prova una soddisfazione non del tutto pacifica (ma per questo più eccitante) nel parteggiare per il cattivo.”
di Milano, avevano voluto creare un formato adatto alla lettura in treno, calibrato per le migliaia di pendolari che ogni giorno vedevano passare sotto le loro finestre. Una geniale intuizione di marketing, non casualmente copiata negli anni successivi da decine di editori di fumetti. CINQUANT’ANNI DI STORIE Se le prime storie erano scritte dalla sola Angela, dal numero 14 (“La donna decapitata”) anche Luciana fu coinvolta ufficialmente nella realizzazione dei testi: le sorelle avevano formato una formidabile coppia creativa. Angela e Luciana si sono dedicate sempre e solo a Diabolik, e ne sono state ampiamente gratificate: il personag-
• 55
56 •
La sua più grande soddisfazione fu verificare come Diabolik fosse entrato saldamente nell’immaginario collettivo degli italiani, al punto che anche chi non ne ha mai letto un episodio è in grado di riconoscere i suoi occhi gelidi, la sua nera silhouette, il sibilo (“SWIISSS”) del suo pugnale che colpisce inesorabile. Perché Diabolik, senza prendere le sembianze di nessuno, è riuscito a introdursi nella nostra mente e nella nostra cultura… e questo posto non l’ha rubato: gli spetta di diritto. DIABOLIK OGGI Il fumetto è sempre stato in continua evoluzione. Già a metà degli anni ‘60, mentre gli imitatori/ concorrenti (definiti “la banda dei K”) cercavano il successo puntando su violenza, sesso e morbosità varie, le sorelle Giussani ritoccarono il carattere del Re del Terrore eliminando tutti gli elementi che potessero farlo anche solo vagamente assomigliare a un serial killer e sviluppando invece l’aspetto poliziesco delle storie.
Diabolik © Astorina Srl (4)
gio - a cinquant’anni dalla sua nascita continua a godere di un ottimo successo, grazie anche all’immutata qualità delle storie e al ritmo delle sceneggiature. Quando Angela morì, il 12 febbraio del 1987, Luciana continuò tenacemente a condurre la testata da sola, perché la coraggiosa avventura iniziata con la sorella non dovesse interrompersi. Chiamò nuovi collaboratori e coinvolse vecchie amicizie (nel ’92 mise Patricia Martinelli alla direzione delle testate, nel ’99 affidò a Mario Gomboli la gestione della Astorina Srl) ma continuò a elaborare personalmente soggetti e sceneggiature sino alla fine, sopraggiunta il 31 marzo 2001.
E quando lo spazio delle storie disegnate non basta, ecco si passa a sperimentare nuovi media: i cartoni animati, la televisione, la radio, la pubblicità, i CD, i videogiochi, il cinema… e recentemente perfino iPad. Perché Diabolik non è solo un personaggio “di carta”: è un Personaggio tout court.
Diabolik © Astorina Srl (2)
La stessa Luciana in un’intervista ammise: “In effetti bisogna riconoscere che nei primi anni Diabolik era una feroce carogna, … però non lo era mai per il piacere di esserlo, ma sempre con uno scopo preciso.” Non a caso, nel ‘65, l’autodefinizione: “Il fumetto del brivido” venne modificata in: “Il giallo a fumetti”. Ma l’operazione non fu solo di facciata: per rendere sempre più “vivo e vero” il mondo di Diabolik, le Giussani presero a collegare le storie con l’attualità coinvolgendo mafiosi e contrabbandieri di droga, politici corrotti e mercanti di schiavi, galeotti in rivolta e organizzatori di combattimenti tra cani. Proprio a questo tema Luciana Giussani dedicò la sua ultima sceneggiatura: “Furia bestiale”, apparsa nel novembre 2000. Poco prima di andarsene fece promettere a Mario Gomboli che avrebbe affrontato il tema dell’omosessualità. La promessa è stata mantenuta: nel gennaio del 2007 è arrivato in edicola “Il segreto della rocca”. E lo stesso Direttore, proseguendo sulla linea editoriale tracciata dalle geniali sorelle, nel 2010 pubblica “Il covo degli orchi”, un episodio che affronta la terribile piaga della pedofilia. Indubbiamente il merito dell’ininterrotto successo della testata va a questa evoluzione amorevolmente concepita e seguita in ogni dettaglio. E che continua tuttora. Ogni mese appare in edicola un albo inedito che - esplicitamente o in modo subliminale - aggiunge qualcosa ai personaggi, alla loro vita, alle loro caratteristiche. Lo stesso, in maniera ancor più evidente, si verifica nelle lunghe storie de “Il Grande Diabolik”, lo speciale quadrimestrale di grande formato.
CHI LEGGE DIABOLIK Ogni anno la Casa Editrice Astorina distribuisce nelle edicole, complessivamente, quasi quattro milioni di copie delle varie edizioni di Diabolik. A queste vanno aggiunte le edizioni in allegato a periodici o licenziate per il circuito delle librerie, con circa 1.500.000 copie/anno. In base a un recente sondaggio risulta che quasi un quinto dei lettori di Diabolik ha meno di 20 anni (e comunque la metà è sotto i 35); che circa il 30% è di sesso femminile; che un 20% è formato da liberi professionisti; che oltre il 70% ha un titolo di studio superiore e, infine, che le vendite nel raggruppamento territoriale di Centro, Sud e Isole sono equivalenti a quelle del Nord Italia.
• 57
Il mio nome è Tepes, Vlad Tepes...
58 •
Vlad Tepes, detto Dracula - olio su tela, 60x50 cm - Kunsthistorisches Museum, Vienna - in deposito presso il Castello di Ambras, Innsbruck
IL MITO DI DRACULA •
• A cura della Redazione
Fino al 24 marzo 2013, la Triennale di Milano presenta la mostra dedicata a una delle leggende antiche più articolate e suggestive: “Dracula e il mito dei vampiri”
L
La mostra - ideata, prodotta e organizzata da Alef-cultural project management in partnership con La Triennale di Milano e in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna - con circa 100 opere tra dipinti, incisioni, disegni, documenti, oggetti storici, costumi di scena e video - affronta e indaga la figura del vampiro per antonomasia, partendo dalla dimensione storica per procedere alla trasfigurazione letteraria, fino ad arrivare alla trasposizione cinematografica e, infine, alle implicazioni sociologiche del mito di Dracula. Un vero e proprio viaggio nel mondo vampiresco che, al contempo, analizza il contesto storico e quello contemporaneo, passando in rassegna oggetti d’epoca e design dei nostri giorni, miti antichi e divi di oggi. Nel 1912 muore Bram Stoker, lo scrittore che, nel 1897, pubblicò il romanzo “Dracula”: il mon-
Dracula di Bram Stoker, 1897- Prima edizione originale del romanzo - Bram Stoker Estate
do celebra il centenario della sua scomparsa con una serie di importanti eventi. La mostra è l’occasione per rendere omaggio alla creatura letteraria del romanziere irlandese: Dracula, l’immortale vampiro, principe della notte, antesignano di una lunga serie di emuli più o meno fascinosi.
Bela Lugosi and Helen Chandler in Dracula di Tod Browning, 1931 - © Bettmann/CORBIS
• 59
La figura del vampiro ha conosciuto infatti uno sviluppo straordinario entro la cultura illuministica, romantica e contemporanea, per culminare ogginella saga di Twilight e in una sorta di “vampiromania” che continua a sedurre adolescenti e non solo. Capire perché il vampiro sia comparso improvvisamente sulla scena dell’immaginario europeo nel Settecento per non uscirne mai più, rileggere per immagini il Dracula di Bram Stoker, pensare a Dracula guardando a tutto quanto è stato prodotto dopo Bram Stoker, ma anche conoscere Dracula prima di Bram Stoker: questo l’intento della mostra. Le diverse declinazioni del fenomeno del vampirismo sono affrontate in tre sezioni principali: • “La realtà dietro il mito”, a cura di Margot Rauch, conservatrice del Kunsthistorisches Museum di Vienna, da cui provengono una serie di eccezionali documenti storici e opere tra le quali il primo ritratto del conte Vlad, figura storicamente esistita nel XV secolo e associata a quella leggendaria di Dracula;
Armatura di Dracula del film Bram Stoker’s Dracula di Francis Ford Coppola, disegnata da Ishioka Eiko BRAM STOKER’S DRACULA © 1992 Columbia Pictures Industries, Inc. All Rights Reserved.
60 •
Scena del film Bram Stoker’s Dracula di Francis Ford Coppola BRAM STOKER’S DRACULA © 1992 Columbia Pictures Industries, Inc. All Rights Reserved.
• “Bram Stoker: Dracula” in collaborazione con la Bram Stoker Estate, che propone una riflessione sul vampirismo nell’ambito letterario con particolare attenzione all’opera di Stoker approfondita attraverso taccuini e documenti del romanziere esposti per la prima volta in Italia; • “Morire di luce: il cinema e i vampiri” a cura del critico cinematografico Gianni Canova che, attraverso una serie di videoproiezioni ci immerge nella storia del vampirismo sul grande schermo, dalle prime pellicole in bianco e nero degli inizi del Novecento fino alle saghe degli ultimi anni. Particolare attenzione è rivolta al “Bram Stoker’s Dracula” (1992) di Francis Ford Coppola, di cui sono presentati per la prima volta in Italia alcuni storyboards e la sceneggiatura originale. Per l’occasione si presenta al pubblico anche l’armatura indossata da Gary Oldman - su disegno della costume designer Ishioka Eiko - eccezionalmente ricostruita dai produttori hollywoodiani dell’originale. Infine due interessanti variazioni sul tema. La storica del costume Giulia Mafai offre un’interpretazione originale dell’identità del vampiro e, in particolare, della donna vampiro.
For courtesy of L’Uomo Vogue/Prada, fall 2012 - Foto di Bruno Rinaldi
For courtesy of L’Uomo Vogue/Gucci, fall 2006 - Foto di Bruno Rinaldi
Splendidi abiti di scena offrono un particolare sguardo sulla figura della “Donna vamp”, creatura che al vampiro al femminile - incarnato storicamente da Elizabeth Bathory e letterariamente da Carmilla - sovrappone il concetto di donna che distrugge attraverso il potere della seduzione. Un’affascinante divagazione nel mondo della moda è quella che nasce dalla collaborazione con L’Uomo Vogue che presenta una selezione di riferimenti fashion al mondo degli un-deads attraverso le immagini di brand che hanno adottato lo stile dei vampiri divenendo cultori del genere: da Comme des Garçons, a John Galliano, da Alexander McQueen a Rick Owens fino alla recente interpretazione di Prada. Il costume e la moda aprono le porte al “Design del Vampiro” attraverso un racconto per immagini delle dimore e dei luoghi frequentati dal re della notte, con una riflessione sul ruolo di Dracula come “costruttore di città” firmata dall’architetto Italo Rota. Completa il percorso dell’esposizione uno speciale omaggio dedicato a Guido Crepax: in mostra diciotto disegni inediti che illustrano l’incontro
tra Dracula e Valentina, una delle sue più celebri creature. Un’iniziativa di profondo valore è quella promossa insieme all’Avis, Associazione Volontari Italiani Sangue, che in occasione dell’esposizione farà conoscere le sue attività e sensibilizzerà il pubblico ai valori del dono e della solidarietà.
Guido Crepax - Valentina incontra Dracula, 1987(?) - disegno inedito - china su carta - Archivio Crepax, Milano
• 61
STORIA DELLA TELEVISIONE •
Cari amici, vi scrivo...
N
on è facile presentarmi, dopo una vita ad intervistare personalità del mondo dello spettacolo e della cultura, come giornalista (soprattutto in radio e sulla carta stampata, poco in televisione, e, ultimamente, anche in rete) e dopo avere spiegato la storia, la letteratura, la storia della radio e della televisione a due generazioni di studenti e ai miei fedeli lettori e radioascoltatori. Nella mia vita ho fatto tante di quelle cose che non le ricordo tutte nemmeno io, forse per me è più facile ricordarmi la storia degli altri che la mia. Ricordo soltanto ciò che sto facendo ora: l’insegnante (ma potrebbe essere il mio ultimo anno di docenza), il giornalista (oggi collaboro con Millecanali, la prestigiosa rivista che si occupa di tutto il mondo della radio, della televisione e dei new media, lasciando un particolare spazio alle radio e alle televisioni locali, nata nel 1974 ed oggi del gruppo editoriale Il Sole 24) e per altre testate nazionali, lo speaker radiofonico (sono in onda con il programma “L’angolo della scuola” su un circuito di emittenti radiofoniche locali e webradio), da poche settimane rivesto il ruolo di direttore artistico del meeting internazionale della radiofonia “Deejay sotto le stelle”, la prestigiosa manifestazione ideata da Tonino Luppino, che ogni anno assegna gli Oscar della radio. Da questo mese inizio un appuntamento fisso con i lettori di Modus Vivendi Magazine, cercherò di ripercorrere la storia della radio, della televisione e della cultura italiana dal 1924 (anno di nascita dell’U.R.I.
62 •
(Unione Radiofonica Italiana), l’antesignana Rai - Radiotelevisione italiana, fino ai nostri giorni, con la nascita delle emittenti satellitari, delle webtv, delle webradio. Non seguirò un ordine cronologico ma l’attualità, gli anniversari, e, soprattutto, risponderò alle vostre richieste, la storia di una radio, di una televisione, di un letterato, di un personaggio storico (in inedite versioni) ricorderò i grandi personaggi del passato ed intervisterò i personaggi del momento. Oggi assistiamo ad un appiattimento da parte del duopolio Rai-Mediaset, mancano programmi innovativi e nuovi talenti, ma nelle radio e nelle tv locali, nella rete, ci sono vecchie glorie del passato, sempre propositive, oltre a giovani promettenti. Li scopriremo assieme. Aspetto anche vostre richieste e domande ed inizio questo mio appuntamento che mi auguro duri a lungo, proponendovi una mia intervista ad Elda Lanza, la prima presentatrice della televisione italiana. Elda è intervenuta recentemente nel mio programma radiofonico “L’angolo della scuola”, non è stato facile per me presentare ai radioascoltatori la prima presentatrice della televisione italiana.
• A cura di Massimo Emanuelli
C
Elda Lanza: la signora della televisione italiana
’è una signora che ha visto nascere la tv, per lei fu coniato il termine presentatrice, e ne è uscita con la discrezione l’eleganza che le è propria. Alle soglie dei 90 anni ha pubblicato un romanzo, che è stato apprezzato da Umberto Eco, viaggia, si reca a mostre di pittura (non se ne perde una), naviga in internet e partecipa, purtroppo di rado, a trasmissioni televisive e radiofoniche. Elda ripercorre la sua vita con il garbo e l’eleganza che sono le sue caratteristiche, unite alla vasta cultura e visione del mondo. Elda Lanza nasce a Milano il 5 ottobre 1924 da una famiglia di estrazione borghese: “Mio padre era un genio, suonava, dipingeva, viaggiava, parlava quattro lingue. Era un uomo charmant. Mia madre era una donna bellissima come un disegno di Antonello da Messina, aristocratica e repressa. Si sono separati quando io avevo tre anni e mezzo, non un gran che per farsene una ragione.
Tutta la mia vita è dipesa, nel bene e nel meno bene, da quella loro decisione. Forse non sarei come sono se fossi cresciuta tra le loro braccia. Ma non lo saprò mai. La mia famiglia era socialista dai tempi di Turati, io sono cresciuta con queste idee, cultura e filosofia socialiste che ho sempre cercato di applicare alla mia vita e ai miei rapporti. Più avanti incontrai Bettino Craxi, a una riunione nella sede di Milano, e ho lavorato con Carlo Tognoli con lui mi sono anche presentata alle elezioni per il sindaco di Milano: Elda Lanza per le donne. Ho incontrato Sandro Pertini, al Quirinale: abbiamo chiacchierato, abbiamo mangiato una mela insie-
• 63
me, abbiamo riso. Una figura indimenticabile. Ricordo quegli anni con molto rimpianto. Essere socialisti significava essere dall’altra parte, con gli intellettuali, i lavoratori, gli studenti. Ho amato Pietro Nenni, ma anche Enrico Berlinguer e Giorgio Amendola. Forse con il socialismo non c’entra, ma ho anche incontrato Papa Wojtyla, poco dopo la sua nomina Papa: emozionante, specie per me che non sono cattolica e comunque non praticante.” Come ricorda la Milano della sua infanzia? “Una Milano quieta, con poche auto e qualche carrozzella, l’acqua del Naviglio che passava dalle parti di piazza Cavour, i giardini pubblici con gli animali e il chiosco con il latte fresco e i savoiardi, le tate in divisa, le carrozzelle alte come rolls royce, le luci discrete di sera, i negozi ‘speciali’ di famiglia: in via Manzoni...” Elda studia in collegio: Dames des Anglais a Ginevra, Collegio reale delle fanciulle a Milano, un convitto privato a Lodi: tra tutti, otto anni. Quindi si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Torino: “ma c’era la guerra e ci consentivano di fare gli esami a Milano, alla Cattolica. I professori erano sempre diversi. A Torino, l’anno successivo la fine della guerra, era l’Università statale e il professore titolare era Nicola
64 •
Abbagnano. Il professor Abbagnano parlava dell’esistenzialismo con una certa diffidenza. Incuriosita, forse più che interessata, andai a Parigi e studiai sociologia alla Sorbona, due anni ma in modo irregolare, docente Jean Paul Sartre”. Simone de Bevouir “Nel 1946, terminata la guerra, dopo l’esperienza francese ho incontrato un ragazzo che avrei sposato otto anni più tardi. Attraverso un’agente, Matilde Finzi, che lavorava per un editore argentino, ho iniziato un’intensa attività di scrittrice: romanzi a fumetti, sceneggiature, romanzi a puntate, novelle. Contemporaneamente mi sono impiegata presso una gioielleria di via Montenapoleone (F.lli Vassallo): esperienza che è durata forse soltanto due anni. Avevo infatti cominciato a scrivere novelle e sceneggiati per BoleroFilm e articoli per Grazia a tempo pieno. Scrivevo articoli di arredamento e il mio fidanzato di allora, che aveva frequentato un’accademia di pittura, mi faceva piccoli deliziosi disegni che illustravano il testo. Il caffè Giamaica era il luogo dove si incontravano tutti i giovani che a quel tempo e in quegli anni, parlavano di pittura e di arte: il mio fidanzato, Dova, i Pomodoro... e altri di cui ho perso traccia. Io ascoltavo e imparavo, non so disegnare...
Ho sposato un uomo che avendo fatto l’Accademia si occupava per diletto di pittori moderni, quando eravamo ancora fidanzati mi portò al Palazzo Reale di Milano ad una mostra di Picasso e mi fece vedere dei quadri, me li spiegò, uscii ed avevo capito tutto, mi aveva rivoltato come un guanto, di questo gli sono molto grata, ancora oggi vado alle mostre con lui, e quando andiamo all’estero ci facciamo un elenco delle mostre e dei musei da visitare.” Nel 1952 Elda supera quattordici provini e diventa il primo volto della televisione italiana. Elda, sei stata scelta per i tuoi studi e dopo lunghi provini, Elda, oggi invece presentatrici, le vallette, senza titolo di studi e non dopo provini ma... “Forse qui ti do torto, perchè non hanno cercato me perchè avevo quasi una laurea, perchè sapevo parlare di pittori, mi hanno cercato perchè sapevo scrivere quattro righe di arredamento su un giornale, che non era Le Figaro, ma era Grazia, Grazia di allora, scelsero una ragazza carina, che sapeva parlare, con una bella voce, che entusiasmò Franco Enriquez (disse: questa è una bella voce che prende lo stomaco” e mi portò davanti alle telecamere), scelsero una ragazza qualunque, che per caso era anche colta, che per caso sapeva anche scrivere, che per caso non era stupida, cercavano una ragazza normale, una ragazza mode-
sta, un pò spigliata che non si innervosisse davanti alle telecamere. Tutto mi avrei potuto immaginare tranne che un giorno mi avrebbero chiamato in televisione, io non sapevo neppure che esistesse, e in effetti non esisteva ancora essendo il 1952, per scrivere dei testi che poi sarebbero stati letti e recitati in televisione.” Elda, oggi si cercano in altro modo le donne che devono apparire in televisione. se i dirigenti Rai o Mediaset cercassero una ragazza che conosce Sartre o Schopenauer non la trovano... la cultura non è più un vanto. “Beh ma se la trovano è quella, se invece vogliono una che mostri le tette e il resto tutti sanno dove mettere le mani.” Per due anni davanti a quelle telecamere Elda è sola: l’unica capace di sorridere, parlare, intrattenere. Sperimentare per sé e per gli altri il nuovo mezzo. Elda condivide questa esperienza entusiasmante con attori che diventeranno poi famosi. “In quegli anni durante i quali la neonata televisione sperimentava soprattutto sé stessa io affrontavo ogni giorno, spesso nello stesso giorno, generi diversi: trasmissioni per le signore, i ragazzi, la moda, la politica, il teatro. Due anni che hanno influito sulle abitudini degli italiani.” Direttore della televisione sperimentale era Attilio Spiller, un personaggio poco ricordato, lo puoi presentare ai nostri lettori? “Attilio è stato il personaggio più controverso che io abbia avuto la fortuna di incontrare. Quando l’ho conosciuto era direttore dei programmi (che non c’erano) della televisione italiana (che non c’era). Lui era famoso come autore di rivista e soprattutto di riviste radio. Gli avevano dato uno studio enorme e lussuosamente lucido e nuovo, una targhetta sulla porta, e gli avevano augurato buona fortuna. E lui ne ha avuta. Ha chiesto di me, perché avendo letto i miei articoli su Grazia avrebbe voluto affidarmi i testi di una tra-
• 65
smissione per le signore (allora le donne si chiamavano ancora così) che una giovane bionda, fatale e bellissima che lui aveva in testa, avrebbe presentato. Franco Enriquez mi ha imposto, invece, come presentatrice di questa fantomatica trasmissione, (la commedia) Prego Signora che è andata in onda l’8 settembre del 1952, da uno studio scalcinato di corso Sempione, alle nove di sera. Fu la prima trasmissione della televisione sperimentale. Da quel momento Spiller ha potuto immaginare la televisione come qualcosa di concreto, che si poteva fare. Conoscendo tutti i comici e gli artisti di rivista del momento, fabbricava trasmissioni sulla loro misura, che andavano in onda la sera, sempre con la mia faccia che ‘presentava’: ero la presentatrice ma anche l’unica sicurezza che avevano. Spiller è stato un genio, e mi stupisce che la TV che in certe cose ha memoria lunga, se ne sia dimenticata. Aveva il senso del ritmo, dei tempi scenici, della battuta... Tutti i comici e gli attori di quel periodo, che erano ancora piccoli e quasi sconosciuti, hanno imparato davanti a quelle telecamere. E dietro a tutto c’era sempre lui: Attilio Spiller. Io gli sono grata non soltanto di avermi insegnato un lavoro che non avrei mai fatto in vita mia (ero timida, ma davanti a quelle telecamere io ‘potevo tutto’), ma mi ha insegnato i ritmi della comunicazione, il rappor-
Elda Lanza con Walter Chiari
66 •
Elda Lanza sulla copertina del “Radiocorriere”
to tra chi comunica e chi ascolta, che mi è servito nella mia professione successiva. E’ stato un grande maestro, e non soltanto per me che ero poca cosa, ma per molti che poi sono cresciuti e sono diventati grandi.” Elda e Fulvia Colombo sono state le prime donne della tv: “Fulvia è stata la prima annunciatrice, io sono la prima presentatrice, il termine l’hanno inventato per me. Fulvia Colombo era bellissima, elegante, piena di scollatura, sempre pettinatissima e truccatissima, era un simbolo. Io ero una presa dalla strada e messa li. Nessuno sapeva che cosa sarei stata e che cosa avrei dovuto fare. Ce lo siamo inventati. Nella stessa giornata passavo dal programma del pomeriggio, casalingo, alla rivista per la sera, cambiandomi soltanto il vestito. Quando la rivista era a Torino, mi cambiavo in macchina. La televisione per iniziare ha avuto bisogno di due gambe, e le ha trovate buone tutte e due.” Un altro tuo grande amico è stato Giorgio Gaber, come l’hai conosciuto? “Attraverso un amico comune, ma il nostro incontro e’ stato subito speciale. Mi piaceva Maria Monti, così decisa, spontanea, intelligente. E mi piaceva lui, così Giorgio Gaber. Noi eravamo già sposati, era anche nato mio figlio: Giorgio e Maria
venivano a casa nostra, ci facevano sentire le canzoni che aveva composto davanti al camino del nostro salotto, lui cantava o cantava lei: la chitarra, i miei panini al salame, la torta della nonna. E noi. Alcune delle sue canzoni sono state provate nel nostro salotto, davanti a un camino acceso, la chitarra, fette di pane e salame nel piatto. Una delle sue canzoni, Le strade di notte, mi commuove ancora. Giorgio Gaber era speciale perché era intelligente e umanissimo. Educato, perbene, riflessivo. Spiritoso e altruista. Ho letto da qualche parte che fosse modesto: mai. Era timido, ma sapeva assolutamente quanto valesse e che cosa pretendere. Mi è difficile parlare di Giorgio senza commuovermi. Non amava i complimenti e la stupidità lo rendeva furioso. Aveva pazienza, dote rarissima. Non ci sono episodi da raccontare: è stato un periodo della nostra vita in cui per caso, come spesso accade, ci siamo trovati compagni sulla stessa strada. Lui cominciava a cantare, io a lavorare in TV: tutte e due un po’ spaventati e impreparati, ma
ostinati ad andare avanti. Giorgio è stato una delle persone che hanno inciso nella mia vita: in silenzio, soltanto con un gesto o con un sorriso.” Dall’8 settembre 1952 al 3 gennaio 1954 presenta moltissime trasmissioni della tv sperimentale, è lei con Febo Conti a condurre la prima puntata di “Un, due, tre spettacolo” che sarà poi di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello. “Ho presentato tutto quello che mandavano in onda; dal programma per le signore del pomeriggio, ai programmi per ragazzi, alle riviste serali, agli incontri, alle interviste... Non si facevano troppe distinzioni, perché non c’erano palinsesti. Alle nove di una certa sera doveva andare in onda una rivista o uno spettacolo e lo si faceva. Questo, naturalmente, tra il 1952 e il 1954 - data di inizio delle trasmissioni ufficiali. Tuttavia non ci sarebbe stata nessuna ufficialità se non avessimo per due anni sperimentato la televisione, i tecnici, le macchine e tutte le possibilità che la televisione offriva. Mi sono sempre considerata, in quei due anni, manovalanza.
“Niente lacrime per la signora Olga”
Nell’ottobre 2012 esce il libro “Niente lacrime per la signorina Olga” che in sole tre settimane arriva alla ristampa, Elda è anche autrice della presigla del libro “E’ la tv bellezza” di Mariano Sabatini. Massimo Emanuelli intervista Elda e Mariano a “L’angolo della scuola”. Il libro di Elda Lanza è stato apprezzato da Umberto Eco: “Quando iniziai a televisione Umberto Eco e Furio Colombo erano due giovani appena laureati che avevano vinto un concorso indetto dalla Rai, erano eruditi e furono pertanto assegnati al settore culturale del quale facevo parte anch’io. Erano un pò spaesati perchè non capivano dove erano capitati, io invece ero una che la sapeva lunga perchè ero li da tre anni, mi prendevano in giro, mi stuzzicavano, Umberto Eco si divertiva a parlarmi delle dottrine di Hume e di Kant, non sapendo che io ero laureata in filosofia come lui... Comunque siamo stati amici, poi ci siamo persi, ognuno è andato per la propria strada. Mi è capitato di rivederlo qualche anno fa, per strada, l’ho guardato, lui mi ha guardata e ha detto: “Elda Lanza..” “E tu sei Umberto Eco...” ci siamo abbracciati, a questo punto la nostra è diventata un’amicizia, perchè ci scriviamo, lui mi manda un libro, io gli scrivo, gli ho fatto i miei complimenti per il libro La misteriosa fiamma della Regina Loana, mi è piaciuto moltissimo perchè racconta anche un pò a mia storia di bambina con la guerra. Umberto Eco l’ho recentemente ritrovato alla bellissima mostra di Salani al Castello Sforzesco di Milano, mi ha salutato dicendomi: “Cara Elda, ho finito adesso di leggere il tuo libro”. Io poi sono andata dal mio editore, Spagnol, il mio editore, e gli ho detto: “Umberto Eco ha letto il mio libro, gli è piaciuto” e Spagnol mi ha risposto: “Eh ci credo, in tre settimane sei alla ristampa”. A quel punto mi è venuta la pelle d’oca. Ascoltate la puntata a questo link: http://www.radiofree.it/page_96.html
• 67
Elda Lanza in occasione del Capodanno del 1953
Una bella immagine del matrimonio con Vitaliano Damioli
Ma sono stati due anni fantastici che sono felice di aver vissuto. Dovevamo lavorare perché registi, nuove presentatrici (che intanto arrivavano, superavano i provini, qualcuna restava e altre venivano sostituite definitivamente), annunciatrici, tecnici imparassero il loro mestiere. Mi e’ difficile ricordare tutte le trasmissioni di quegli anni, a volte passavo da una all’altra, nello stesso giorno, soltanto cambiandomi d’abito. La famosa trasmissione del professor Cutolo era stata ideata da me e per due o tre settimane l’avevo presentata io; quando è arrivato lui, gliel’ho ceduta perché mi era sembrato più adatto di me, e lo e’ stato certamente. Questa era l’atmosfera nella quale lavoravamo.”
più giovani. Il programma cambiava titolo ogni giorno: Per te Elisabetta, Per te Giovanna, Per te Chiara, i nomi cambiavano secondo il santo (o la santa) che cadeva il giorno della trasmissione. Elda ha conosciuto alcuni fra i più grandi personaggi della cultura contemporanea e non, ecco i suoi ricordi di alcuni di loro: • Totò: a parte qualsiasi ovvietà sulla sua grandezza d’attore e la sua signorilità, era un uomo timido. • Walter Chiari: è stato il compagno più simpatico, allegro, divertente, intelligente e altruista che abbia mai avuto come partner. • Federico Fellini: l’ho molto amato e ammirato da lontano, non l’ho mai incontrato in televisione. Ai miei tempi lui era ancora giovane. • Vittorio De Sica: l’ho presentato una sola volta al Teatro Nuovo di Milano, in una trasmissione dal vivo - come si diceva allora. Io ero timida e intimidita, e lui è stato cortese. Forse in cuor mio l’avrei preteso affettuoso. • Domenico Modugno: ricordo la sua prima volta in televisione, nella mia trasmissione pomeridiana, quindi negli anni ‘53/’54. In collegamento con uno studio di Roma lui ha cantato “U’ piscispada”. Era un artista che non aveva bisogno della TV per essere grande e conosciuto in tutto il mondo. • Ingrid Bergman: di passaggio a Milano, intervi-
Con la nascita ufficiale della tv, il 3 gennaio 1954, Elda conduce la rubrica settimanale Vetrine che dura fino al 1957, “l’anno della nascita di mio figlio”, dal 1958 al 1965 è la volta di Avventure in libreria: “Io sceglievo i libri, io li presentavo, io parlavo degli autori: Italo Calvino, Dino Buzzati, Giovanni Arpino e molte scrittori per grandi che scrivevano libri che io ritenevo giusti per i ragazzi: Rodari, Manzi... Non ho presentato Cuore per esempio” Nel 1966 ha inizia a condurre un programma per la fascia meridiana destino alle telespettatrici
68 •
stata in una trasmissione serale. A lei piaceva parlare italiano, credo fosse il suo periodo rosselliniano, e io faticavo a capire quello che mi diceva e a tradurlo per gli ascoltatori. Molto cortese. Molto molto alta. • Dario Fo: il ragazzo più intelligente e divertente che abbia conosciuto - e la sua carriera mi dà ragione. Era ragazzo, aveva appena conosciuto Franca Rame e impazziva per lei. Al Piccolo lo avevano ingaggiato con Giustino Durano per uno spettacolo di mimo. Un intero spettacolo muto, fatto soltanto di gesti. Non ho mai visto niente di più straordinario e esilarante. • Umberto Eco: quando la televisione cominciò ad assumere una fisionomia meno improvvisata, al settore Culturali arrivarono per concorso due neolaureati: Umberto Eco e Furio Colombo. Umberto era un monello irriverente. Oltre a combinare scherzi malandrini, ci recitava in rima le teorie di Kant o di Hegel, per fare il saputello. Non ci siamo più rivisti per anni, anche se io ho sempre seguito la sua storia e i suoi successi. Fino al giorno in cui ci siamo per caso incontrati a un mercatino di cose usate e ci siamo abbracciati come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Da allora ci scriviamo per mail, ci spediamo libri, e non ci siamo più rivisti. Ma non occorre. Io so che lui c’e’.
• Furio Colombo: era educato, molto rispettoso, persino ansioso di capire quello che succedeva. Era uomo di carriera e carriera ha fatto, ed era uomo di grande stile e l’ha sempre dimostrato. Non l’ho più rivisto, ma ho letto i suoi libri, l’ho seguito sull’Unità, mi fa piacere sapere di averlo conosciuto. In tanti anni di tv avrai senz’altro mille episodi divertenti da raccontare... “Gianni Granzotto quando era un importante giornalista politico aveva accettato di intervenire nella mia trasmissione Vetrine per un breve inserto di politica al femminile (questo era il mio modo di parlare alle donne!!!): seduto dietro una scrivania commentava un fatto e lo spiegava meravigliosamente con parole semplici e chiare! Davanti, sulla scrivania, aveva un foglietto con gli appunti, ma gli seccava farsi vedere che andava a leggere. Allora gli ho insegnato un trucco: tenere la penna fra le due mani, in modo orizzontale, ogni tanto abbassare gli occhi come a guardare la penna e intanto leggere. Cosa che ha lui ha fatto e da allora per sempre. Persino lo hanno parodiato con quel gesto che ormai era diventato suo. Tra parentesi, quando è diventato direttore generale della Rai, non sono mai andata a salutarlo e a chiedergli un posto. Questione di pelle...
Elda Lanza una cena di lavoro fra Vincenzo Buonassisi (a destra) e Nino Nutrizio
• 69
Con le tue domande mi hai fatto ripensare a tante cose che avevo dimenticato: questa è una di quelle.” Elda hai condotto più di mille programmi: “Ho citato le trasmissioni che hanno avuto un titolo e una certa ripetizione. Capitava a volte che la Tv mandasse in onda riviste alle quali partecipavo soltanto come legame tra un numero e l’altro, o interviste a personaggi, o presentazioni di festival (internazionale del jazz a Sanremo), o dibattiti politici, o interviste a artisti (Lucio Fontana e altri). Elda si è cimentata anche nella conduzione radiofonica: “Ho avuto una trasmissione per sette anni, I conti in tasca. Ero la signora che parlava alle donne in TV, e l’ho fatto anche in radio. Ancora oggi, quando mi intervistano in radio, io sono molto più felice di quando
70 •
mi capita in tv - anche se la televisione è stata la mia casa. Io sono timida, ma in radio mi sento coraggiosissima. E felice...” Nel 1971 Elda dopo vent’anni ed oltre mille trasmissioni, si ritira dalla televisione per dedicarsi ad un nuovo esperimento all’avanguardia per quel periodo: la comunicazione. Apre un’agenzia di comunicazione d’impresa, pubblicità, giornalismo, grafica, architettura e arredamento. Contemporaneamente organizza corsi accademici sull’evoluzione del costume; all’Accademia d’Arte di Osaka è attivo un suo corso sull’Evoluzione del costume e della Tavola dal Medioevo a oggi. Su questi temi ha scritto testi, articoli, libri. Ha collaborato con Corriere della Sera, Il Giorno, La notte. “Ero giornalista sapevo scrivere. Quando mi sono avvicinata ai problemi della comunicazione d’impresa, avevo alle spalle anni di socio-psicologia e molti viaggi in paesi dove la comunicazione d’impresa era già matura. Ho scelto una strada difficile, in un periodo in cui le relazioni pubbliche (che allora ci ostinavamo a chiamare Public Relations) in Italia erano ancora sconosciute. Era un lavoro di prestigio: l’ho fatto bene per oltre trent’anni. Ho avuto clienti come Cartier, come Reporter, come Hoover, FIAMM e le corse automobilistiche... e tanti altri, alcuni per un’azione particolare, altri per anni. Alcuni li ho raccolti piccoli e nazionali, e li ho lasciati grandi in tutto il mondo. Io non ho mai avuto ‘lavori divertenti’: era una cosa seria la televisione, e’ stata una cosa seria anche la mia
agenzia. Trent’anni, sono un percorso che merita tutto il mio rispetto. Alcuni dei miei clienti mi mandano gli auguri di Natale ogni anno. I giornalisti che si occupavano di redazionali-stampa, ricordano che ero intransigente e poco simpatica.” Vi è poi una terza Elda, la scrittrice, autrice di romanzi e saggi. Fra i libri pubblicati ricordiamo: La tavola (De Agostini, 1999), I riti della comunicazione (Sperling & Kupfer, 1992), Ho una pazza voglia di amare (Sperling & Kupfer, 1 992), Una donna imperfetta (Mondadori, 1993), La tavola (De Agostini, 1994), Signori si diventa (Mondadori, 1995), Una stagione incerta (Marsilio, 2006, opera con la quale ha vinto il premio letterario Antonio Sebastiani detto il Minturno), L’altra faccia della luna (Lula.com 2008). “Sto scrivendo tre gialli, che forse proprio gialli non sono, legati a un solo personaggio; che nel primo romanzo è commissario, e nel secondo e terzo torna a fare l’avvocato. I titoli La signorina Olga (un’adorabile truffatrice di ottantadue anni), Il matto affogato (mossa degli scacchi, quando le proprie pedine impediscono al giocatore di dare (uno) scacco al re), l’intrigata storia di un omicidio; Morire d’inverno una storia di ricatti e di mafia” Dall’incontro casuale e l’amicizia con Francesca Mazzuccato, scrittrice feconda e animatrice culturale, in Elda Lanza nasce una nuova passione: il
blog. “Al computer sono arrivata da sola, nel 2000, ora sperimento il potere di internet, di facebook, del blog, e delle nuove tecnologie”. Elda oggi vive a Castelnuovo Scrivia, in provincia di Alessandria, un paesino fra Milano e Genova, un paesino vicino a Volpedo: “è tutto un Pelizza”. Elda è tornata recentemente a Milano: “pochi giorni dopo l’inaugurazione del Museo del 900. C’era poca gente, molto spazio, poche code. Un’esperienza che ripeterò certamente. Alcuni di quegli artisti li ho visti crescere: Fontana, Dova, Guttuso, Messina, i due Pomodoro... Tutti calmi: nessuno di loro mi ha lasciato uno schizzo in ricordo, io li ho amati ugualmente. Ora li guardo attraverso le loro opere e sono immortali”. Come è cambiata Milano nel corso dei decenni dal dopoguerra a quando l’hai lasciata? “E’ una città stravolta. Dove c’erano, preziosissime, le vecchie librerie oggi si vendono scarpe e le librerie sono supermercati. Sparite le mercerie con i plastron colorati. Le tabaccherie. Il panettiere di Via Montenapoleone oggi è diventato non so cosa. I salotti - quello famoso della Maruccelli - dove erano invitate non le persone “in vista sui rotocalchi” ma quelle che davvero contavano nella cultura e nell’arte. I pomeriggi musicali al Nuovo, i teatri, la Scala. Mi dirai che almeno questi sono rimasti in piedi: ma gli spettacoli sono
• 71
gli stessi? Soprattutto è lo stesso pubblico di allora, elegante, partecipe, colto, coinvolto? Da quello che ho visto recentemente dubito. Certo Milano è diventata una città da bere. Ma poi forse ci vuole un alkaseltzer per digerire lo smog, il rumore, la sporcizia, la volgarità, il disinteresse, la corsa al successo o all’ultima idea di... con insensate code davanti a vetrine di oggetti. Ho lasciato Milano dieci anni fa, ci ritorno sempre volentieri, soprattutto per le grandi mostre d’arte, che forse una volta non erano così grandi. Ci torno volentieri perché so che torno a casa, in un paese a misura d’uomo in cui oggi mi piace vivere davvero”. Stupisce l’incredibile contrasto fra questa quieta signora ultra ottantenne sorridente e una vita attraversata da eventi che hanno trasformato il mondo e la società nella quale viviamo. Quale è la differenza più grande fra la tv degli anni ‘50 e quella di oggi? “E’ come paragonare il trenino a carbone della mia infanzia con l’alta velocità di oggi. Il nostro era un giocattolo per signorine di buona famiglia. Questo di oggi è un carrozzone altamente tecnologico che deve saper raccogliere di tutto per tutti”. Come è cambiata la tv dagli anni ‘50 ad oggi? “Quando si parla di conformismo culturale degli esordi forse non dobbiamo dimenticare che Italia fosse, la Democrazia Cristiana al governo; le donne a casa, soprattutto quelle anziane, senza lavoro; suor Pasqualina che guardava la nostre trasmissioni e ne riferiva al Papa, a volte telefonando alla direzione per rimproverare qualche atteggiamento o per esprimere soddisfazione. Le ballerine con le calze e un vocabolario attentissimo, dove la vendita all’asta diventava vendita all’incanto, i membri del governo erano solo ministri o chiamati per nome; gli scapoli erano uomini non sposati... Oggi è facile dire che fosse un conformismo becero, ma quella era un’Italia nella quale cominciavamo a sentirci stretti. Ce ne siamo liberati poco alla volta, per
72 •
cadere nel conformismo opposto ma altrettanto becero: fare il peggio perché tanto oggi si può. Le ragazze tette e culi sono almeno belle da vedere, chiedono soltanto di essere guardate. Che male fanno? Trovo peggiore il conformismo politico e sociale che nella nostra televisione abbonda sotto la bandiera della libertà.” Non trova che la tv degli esordi (quella di Guala) era più didattica e pedagogica (pur con le censure democristiane) di quella attuale? “Credo che sia giusto definire soprattutto didattica la prima televisione. Il maestro Manzi era un maestro e ha fatto una serie di trasmissioni che hanno insegnato davvero a chi non sapeva leggere né scrivere. Jole Giannini ha ‘inventato’ un metodo straordinario per insegnare l’inglese attraverso piccoli fumetti e disegni (era bella e bravissima: un peccato che abbia lasciato la Tv troppo presto). L’amico degli animali ha insegnato l’amore per gli animali e il come trattarli e pensarli. Gli sceneggiati e le commedie sono diventate cultura ‘popolare’. Ancora oggi incontro uomini maturi che mi ringraziano perchè da ragazzi hanno imparato l’amore per la lettura dalla mia trasmissione Avventure in libreria. La televisione di allora era diretta a un pubblico che andava ‘educato’ alla televisione.
Ci insegnavano a parlare lentamente per abituare i telespettatori a guardare le immagini e ad ascoltare le parole contemporaneamente. Perchè la televisione non era la radio; ma neppure il cinema, dove la storia può suggerire anche quello che non si è ascoltato o capito. La televisione era asettica: video e audio, e bisognava farsi capire. Oggi, con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, una Tv ‘maestra’ non avrebbe senso. Le trasmissioni di cucina, di attenzione alla spesa, di viaggi, di strapaese hanno orari che coinvolgono soprattutto un pubblico casalingo. Tanto più il pubblico si allarga e si estende, e tanto più la televisione diventa qualunquista. Io ho l’impressione che la televisione oggi non sia interessata alla qualità del pubblico a cui si rivolge, ma alla quantità. Ho sempre pensato, infatti, che la pubblicità avrebbe salvato e distrutto la televisione.” Cosa guarda Elda in tv? “Guardo poco la televisione, perché di solito nelle ore buone io sto al computer. I telegiornali - mi piace quello de La7 perché Mentana e perché era al Liceo Manzoni di Milano con mio figlio: e anche
se è un pò più grande gli ha insegnato la politica. Non mi piacciono i dibattiti politici. Mi annoiano i varietà. Che cosa resta? Quel poco me lo godo. La televisione è di casa in casa mia, mi ha nutrito”. Cosa fa oggi Elda Lanza? “Cose che mi piacciono e che scelgo. Sono docente di corsi sull’evoluzione del costume, che diventano anche lezioni di buone maniere civili. Sono stata presidente della biblioteca locale e ancora oggi promuovo per il mio paese occasioni di cultura e di divulgazione. Scrivo: sto terminando tre piccoli gialli che presto andranno in stampa. Scrivo articoli per giornali locali. Rispondo alle interviste come la tua. Vado ospite in televisione a raccontare la tv dei miei tempi. Ascolto molto e leggo molto. Una vita impegnata, per fortuna accanto a un compagno che, dopo 64 anni di vita in comune, ancora mi interessa e mi impegna la testa e il cuore.” Grazie Elda per tutto quella che hai fatto per la tv (e non solo) un posto nella storia della televisione e pertanto nel nostro sito lo meriti a pieno diritto.
• 73
GALLERIE D’ITALIA - PIAZZA SCALA •
Giuseppe Canella - Veduta del canale Naviglio presa sul ponte di San Marco, 1834 - Olio su tela, 65 x 82 cm - Collezione Fondazione Cariplo
Nasce nel cuore di Milano, “Gallerie d’Italia - Piazza Scala”, polo museale frutto di una partnership nel segno dell’arte fra Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo, per realizzare uno spazio espositivo ricavato in un complesso architettonico di straordinario pregio tra via Morone, via Manzoni e piazza della Scala
D
ue palazzi storici affiancati, di proprietà di Intesa Sanpaolo, ospitano 197 opere dell’Ottocento italiano, in particolare lombardo, 135 di queste appartenenti alla collezione d’arte della Fondazione Cariplo e 62 a quella di Intesa Sanpaolo. Al settecentesco Palazzo Anguissola e all’adiacente Palazzo Brentani, rielaborato nell’Ottocento, si affiancherà nella primavera del 2012 la storica sede della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala, che ospiterà la nuova sezione delle Gallerie e vedrà esposta una selezione di opere del Novecento, provenienti da prestigiose raccolte.
74 •
Il percorso espositivo di 2.900 mq, curato da Fernando Mazzocca, propone un itinerario originale alla scoperta di una Milano ottocentesca, indiscussa capitale culturale, protagonista del Romanticismo e dell’industrializzazione, a confronto con movimenti artistici di altre regioni di Italia. Non si tratta di un museo per soli studiosi e amanti dell’Ottocento, bensì di un avvincente percorso nella storia dell’arte di una nazione in divenire, che prende avvio dai gessi neoclassici del Canova e si conclude con le opere della stagione prefuturista di Boccioni. Le 23 sale accompagnano i visitatori in un viaggio dalle forti suggestioni alla scoperta della Mila-
• A cura della Redazione
no di un tempo, con vedute originali del Duomo e dei Navigli scomparsi, momenti salienti del Risorgimento, fra battaglie e atmosfere private, l’ultima delle Cinque Giornate di Milano con lo scontro decisivo a Porta Tosa, la commozione all’annuncio della morte del Re in una piazza della Scala innevata. Il percorso è scandito in 13 nuclei tematici che spaziano dal Romanticismo, dominato dalla personalità di Hayez, al Naturalismo di pittori di paesaggio quali Calvi, Poma, Gignous, Gola; dalla pittura di genere di Carcano, Chierici, Induno, Sottocornola, al Simbolismo, rappresentato da capolavori di Bazzaro, Morbelli, Sartorio e Previati, fino alle opere di Boccioni che creano un ponte con il nuovo secolo e con la seconda parte dell’itinerario museale che sarà dedicata al ’900. Altrettanto suggestivo e persino sorprendente è il percorso alla scoperta degli edifici e dei luoghi di grande valore storico, architettonico e decorativo - in cui gli spazi espositivi sono stati realizzati: Palazzo Anguissola, punto di svolta nell’architettura a cavallo fra Sette e Ottocento, e l’adiacente Palazzo Brentani, dove si respira l’atmosfera delle dimore nobiliari del XIX secolo.
dell’Ottocento della Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo; il palazzo che fu la sede storica della Banca Commerciale Italiana, affacciato su Piazza della Scala e progettato da Luca Beltrami tra il 1906 e il 1911, ospita una selezione delle opere del Novecento della raccolta Intesa Sanpaolo. Sottolineare la provenienza cantonese del Soave e del Canonica non è casuale, visto che proprio sul finire del Settecento un altro architetto svizzero-italiano, Simone Cantoni, ricevette l’incarico del riadattamento di gusto neoclassico dell’edificio che avrebbe ospitato il Museo Poldi Pezzoli, poco distante. Al di là del loro valore compositivo, questi edifici ben rappresentano la Milano che cresce. Palazzo Anguissola del Soave, in particolare, fu considerato il simbolo della rinascita della città in seguito alle riforme compiute da Maria Teresa d’Austria e da suo figlio Giuseppe II, i cui benefici continuano ancora oggi, avendo portato Milano a essere la città italiana più vivace e ricercata, grazie in particolare alla moda e al design, a livello internazionale.
© Ufficio Stampa Intesa Sanpaolo Progetto Cultura (2)
I PALAZZI Simboli stessi della storia di Milano, i palazzi che formano il complesso architettonico in cui hanno sede le Gallerie milanesi furono progettati dai più importanti architetti italiani tra la fine del Settecento e i primi del Novecento. Palazzo Anguissola Antona Traversi, con il corpo interno realizzato su progetto di Carlo Felice Soave da Lugano tra il 1775 e il 1778, e il corpo affacciato su via Manzoni, realizzato nel 1829 dal ticinese Luigi Canonica, e Palazzo Brentani coevo e opera ancora del Canonica, ospitano opere Luigi Bisi - Veduta del complesso absidale del Duomo di Milano, 1830-1835 - Olio su tela, 90 x 71,5 cm Collezione Intesa Sanpaolo
• 75
Palazzo Anguissola, facciata verso il giardino interno
Il percorso espositivo Le sale delle Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano, ospitano 197 opere, tra dipinti e sculture, che sono preziose testimonianze dell’arte dell’Ottocento soprattutto lombardo. La qualità e la storia delle opere selezionate dal curatore Fernando Mazzocca fra le collezioni della Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo, ne fa un insieme straordinario, unico a livello nazionale. Per molte di loro è documentata la presenza nelle più significative esposizioni dell’epoca, come quelle organizzate dall’Accademia di Brera a Milano, dalla Biennale Internazionale di Venezia a partire dal 1895 o nelle Esposizioni Universali. Inoltre, la loro provenienza è, in diversi casi, altrettanto illustre, in quanto fra le opere in mostra vi sono dipinti appartenuti all’imperatore d’Austria, ai sovrani dell’Italia unita, ad aristocratici o a nuovi imprenditori soprattutto milanesi. Il percorso delle Gallerie di Piazza Scala ha inizio con una magnifica sequenza di tredici bassorilievi in gesso di Antonio Canova, ispirati a Omero, Virgilio e Platone, e si conclude altrettanto emblematicamente con quattro capolavori di Umberto Boccioni (tra cui “Tre donne” degli anni 1909-1910 e “Officine a Porta Romana” del 1910) fondamentali per comprendere il decisivo passaggio dal Divisionismo al Futurismo.
76 •
Vengono così documentati, attraverso opere eccezionali, due momenti fondamentali della storia dell’arte italiana: il Neoclassicismo, dominato dal genio di Canova che, eguagliando gli antichi, restituiva alla scultura italiana il suo primato nel mondo; e l’esperienza esaltante del Futurismo, nato proprio a Milano, che apre nuovi orizzonti alla pittura e raggiunge un prestigio internazionale. Protagonista è la pittura dell’Ottocento lombardo, rappresentata da dipinti che, per l’alta qualità e il significato storico, testimoniano come Milano sia stata il maggiore centro artistico italiano, interprete delle istanze di una società in rapida trasformazione e delle aspirazioni stesse di una nazione in via di formazione. La dimensione civile del Romanticismo, secondo gli ideali di cui si fecero portavoce Alessandro Manzoni, Giandomenico Romagnosi e Carlo Cattaneo, trova la sua massima espressione nei quadri storici di Francesco Hayez, del quale il Museo ospita opere fondamentali.
Antonio Canova - Danza dei figli di Alcinoo, 1790-1792 (particolare) - Gesso, 141 x 281 cm - Collezione Fondazione Cariplo
© Ufficio Stampa Intesa Sanpaolo Progetto Cultura (3)
Gerolamo Induno - Pescarenico, 1862 - Olio su tela, 57,5 x 79,5 cm - Collezione Fondazione Cariplo
I monumentali dipinti di battaglie di Gerolamo Induno e di Sebastiano De Albertis confermano, nel loro commovente slancio epico, il contributo decisivo della pittura lombarda al Risorgimento nazionale. Accanto a questi esempi di soggetti storici, le sezioni del Museo ricostruiscono le vicende degli altri generi pittorici - la veduta urbana, la pittura prospettica, il paesaggio, le scene di vita popolare - che sono stati consacrati dalle esposizioni e dai collezionisti come l’espressione della vita moderna. I dipinti di Giuseppe Molteni, Giovanni Migliara, Luigi Bisi, Giuseppe Canella, Luigi Premazzi, Angelo Inganni rappresentano la vera e propria riscoperta di una importante stagione pittorica, quella del Romanticismo lombardo, ancora poco nota e non adeguatamente considerata. Ma documentano anche in maniera eccezionale l’immagine e le trasformazioni della città, rappresentata non solo nel suo solenne centro monumentale, il Duomo, ma anche nella vivacità quotidiana dei suoi quartieri popolari, lungo le rive dei Navigli che oggi non esistono più. Con Domenico e Gerolamo Induno si apre il Naturalismo che, rappresentato anche da Mosè Bianchi, Eugenio e Lorenzo Gignous, domina, soprattutto nella pittura di paesaggio, la seconda metà del secolo, diventando la premessa del Di-
visionismo sperimentato da Giovanni Segantini, Filippo Carcano, Giovanni Sottocornola, Angelo Morbelli. Non manca, grazie alla presenza di opere di Giovanni Boldini, Telemaco Signorini, Lorenzo Delleani, Federico Zandomeneghi, Vincenzo Irolli, Antonio Mancini, la possibilità di un confronto con le esperienze più innovative di altri centri italiani, tra la Firenze dei macchiaioli, Torino e Napoli. Di particolare rilievo per l’importanza e la qualità delle opere esposte è la sezione dedicata al Simbolismo che, tra Otto e Novecento, ha dominato la scena artistica italiana con risultati di livello europeo. Lo testimoniano, accanto ai dipinti ancora legati alla trasfigurazione della realtà quotidiana di Luigi Rossi, Emilio Gola, Leonardo Bazzaro, i capolavori di Angelo Morbelli, Filippo Carcano e Gaetano Previati, realizzati con la nuova tecnica divisionista. Appaiono caratterizzati da una moderna forza visionaria, che nelle monumentali superfici dipinte da Giulio Aristide Sartorio, il pittore del Parlamento protagonista della grande decorazione ufficiale, diventa allegoria e sontuosa celebrazione - nel richiamo a Fidia e a Michelangelo - della tradizione classica.
• 77
TECNOLOGIA •
Ecco a voi l’Avatar “made in Italy”
78 •
• A cura della Redazione
è il primo parco tematico dedicato alla Casa di Maranello oltre che la più grande attrazione di questo tipo. Un’intensa esperienza multisensoriale e un luogo unico nel suo genere dedicata non solo ad ad appassionati e fan ma anche alle famiglie
N
el 2009 l’esoscheletro di Avatar sembrava un’applicazione destinata a restare confinata nell’immaginario, oggi invece viene presentato il primo “esoscheletro per la servo-amplificazione di forza” realizzato in Italia e che, per le sue caratteristiche tecniche, può essere considerato il più complesso sistema robotico indossabile al mondo. Il dispositivo sviluppato dal Laboratorio PercRo dell’Istituto di Tecnologie della Comunicazione, dell’Informazione e della Percezione (TeCIP) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è uno strumento cibernetico esterno che riesce a potenziare le capacità fisiche, amplificando fino a 20 volte la forza dell’utilizzatore che lo indossa, agendo come una sorta di “muscolatura artificiale”. Un primo prototipo del dispositivo, denominato “body extender”, è stato completato e presentato nel marzo 2009 alla Direzione Generale degli Armamenti Terrestri del Ministero della Difesa, che aveva cofinanziato il progetto della Scuola Superiore Sant’Anna per un esoscheletro indossabile destinato ad applicazioni militari, soprattutto di tipo logistico.
Il “body extender” è oggi costituito da un corpo centrale a cui sono collegati 4 arti robotici (2 braccia e 2 gambe) di tipo esoscheletrico, caratterizzato da capacità di movimento paragonabili a quelle del corpo umano. E’ in grado di inseguire, incontrando la minima resistenza, i movimenti delle gambe e delle braccia dell’operatore e di amplificarne le sue forze esercitate sull’ambiente esterno. L’elemento di novità, che lo rende unico al mondo, è costituito proprio dall’elevato numero di gradi di libertà (ben 22!) consentiti all’operatore. Ogni “grado di libertà” è dotato di un sensore di posizione angolare ed è controllato in modo indipendente dagli altri, attraverso un motore elettrico dedicato. Il dispositivo è inoltre dotato di sensori di forza collocati in corrispondenza dei punti di contatto con il corpo dell’operatore, che consentono al “body extender” di capire le intenzione di movimento. L’operatore che lo indossa riesce ad avere un’estrema libertà di movimento sulle gambe, ha la capacità di compiere passi avanti, indietro e laterali, di roteare sul posto, di accovacciarsi al suolo, di salire e scendere gradini. Inoltre - utilizzando entrambe le braccia robotiche, ognuna di esse dotate di organi di presa capaci di esercitare una forza massima di serraggio pari a 1.500 newton - si possono sollevare e sostenere carichi fino a 100 chilogrammi, anche per lunghi intervalli di tempo.
• 79
Il movimento delle gambe e l’amplificazione della forza consentono di lavorare in ambienti inaccessibili ai sistemi tradizionali per movimentare i materiali e di mantenere la sensibilità di forza durante le operazioni di presa e di movimentazione del carico. Per comandare il “body extender” l’operatore deve indossarlo, semplicemente afferrando le maniglie, dotate di grilletti per il comando della presa degli oggetti, e allacciando le cinture dello zaino e dei piedi. A questo punto è in grado di comandare la macchina con semplicità, avvertendo minime forze di resistenza al movimento. Il “body extender” può agire con una forza paragonabile a quella di una piccola gru, concedendo al contempo un’ampia di libertà di movimento, necessaria per poter lavorare in ambienti angusti. Ad esempio, quelli che si possono presentare nel caso dell’assemblaggio di grandi manufatti, come aerei, natanti, vagoni ferroviari; l’esoscheletro può contribuire al salvataggio di feriti in condizioni di emergenza rimuovendo le macerie, nel caso di disastri naturali o causati dall’uomo (dalle esplosioni, agli attentati), nonché al trasporto di materiali nei cantieri edili.
80 •
I ricercatori Laboratorio PercRo dell’Istituto di Tecnologie della Comunicazione, dell’Informazione e della Percezione (TeCIP) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa sperimentano il dispositivo per identificare ulteriori tematiche da affrontare e ulteriori obiettivi affinché il “body extender” possa essere utilizzato negli scenari prospettati in precedenza. E’ stato così avviato un progetto di ricerca finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito dell’iniziativa “Echord” (European Clearing House for Open Robotics Development), per sviluppare tecnologie chiave capaci di rendere più efficiente e sicuro l’impiego di robot indossabili per l’amplificazione di forza. Massimo Bergamasco, professore ordinario fondatore del Laboratorio PercRo e responsabile del progetto “body extender”, sottolinea che “esoscheletri quali il nostro, da utilizzare per movimentare materiali in ambienti ‘non strutturati’ potrebbero essere commercializzati entro i prossimi tre - cinque anni”. I ricercatori hanno inoltre avviato alcuni studi finalizzati all’applicazione delle tecnologie sviluppate al supporto del movimento per migliorare la vita dei soggetti con deficit motori quali gli anziani e i disabili. Per informazioni: Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa - www.sssup.it
d a
2 7
a n n i
a
n o v e g ro
A P P U N TA M E N T I 2 0 1 3 8 - 10 FEBBRAIO 15 - 17 MARZO 12 - 14 APRILE 10 - 12 MAGGIO
13 - 15 SETTEMBRE 11 - 13 OTTOBRE 8 - 10 NOVEMBRE 13 - 15 DICEMBRE
orari: 10.00 - 19.00
parco esposizioni novegro milano /linate aeroporto ✈ tel. +39 02 7562711 - fax +39 02 70208352 brocantage@parcoesposizioninovegro.it w w w. p a r c o e s p o s i z i o n i n o v e g r o . i t
COME COLLABORARE •
• A cura della Redazione
Modus Vivendi il Magazine scritto da Voi
cerca proprio te!!! Volete diventare i protagonisti dell’inserto speciale “MV Scritto da Voi”? Eccovi le specifiche per vedere pubblicati i vostri articoli su “Modus Vivendi” nella versione on-line. Lunghezza articolo: 2000 battute (spazi inclusi) Caratteristiche foto: 300 dpi, jpg qualità massima.
© 2012 Apple Inc.
Spedite a modusvivendimag2012@gmail.com l’articolo con le foto ad alta risoluzione, e tra tutti quelli pervenuti, la Redazione sceglierà quali pubblicare nell'inserto centrale "Speciale scritto da Voi" della rivista che sarà sfogliabile via web il tutto gratuitamente. Aspettiamo i Vostri articoli!!!
Il mercatino di
Modus Vivendi il Magazine scritto da Voi
Volete scambiare, barattare o vendere oggetti che non vi servono più? Il mercatino di “MV” è aperto per tutti Voi!!! “Modus Vivendi” vi offre la possibilità di barattare, scambiare o venderei ostri oggetti, creando così una catena di Riciclo e Riuso “antispreco”. Spedite a modusvivendimag2012@gmail.com la foto dell’oggetto, una sua breve descrizione (caratteristiche tecniche, dimensioni, età del bene, prezzo, indicazione di scambio/baratto/ vendita), un vostro contatto mail utile ai lettori per il contatto e un testo che sollevi “Modus Vivendi” da ogni responsabilità in merito alla vendita o scambio. La redazione pubblicherà sul profilo Facebook di “Modus Vivendi” un album fotografico con i Vostri annunci. Aspettiamo i Vostri annunci!!!
82 •
1
padell
e
RICHIEDILO ADESSO!!! “SODDISFATTI O RIMBORSATI” 1000padelle@gmail.com www.1000padelle.it www.facebook.com/1000padelle.it
Una novità mondiale che fa perdere la testa!!!
+39 334-3148795 / 340-5324230
MILLEPADELLE è un foglio isolante riutilizzabile in tessuto di vetro PTFE flessibile come la carta che vi permetterà di non buttare le vostre vecchie padelle e di proteggere quelle nuove da graffi e abrasioni Le misure per le padelle coprono i diametri dai 24 ai 30 cm, quella per teglia ha una misura standard di 35 x 45 cm
La confezione MILLEPADELLE contiene 4 diverse misure per padelle e una misura standard per teglie da forno
24
26
28
30
35x45
Mai più padelle graffiate: lo usi come fondo di padelle, piatti da forno, teglie Adatto a qualsiasi tipo di cibo: puoi friggere, grigliare, puoi usarlo con olio o burro ma anche senza grassi, per un cucina dietetica Lo usi nel forno elettrico e microonde, è lavabile a mano e in lavastoviglie
Millepadelle è ecologico: risparmierai sul consumo di acqua, gas e luce per la cottura di cibi
CERTIFICAZIONE CEE N° B05.R6547 0001 Prodotto in Canada da: Green Belting Industries
Distribuito da: www.comunicaredasudest.com