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Io, ospite del conte Dracula

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La	squadriglia

La squadriglia

1 Leggi attentamente il testo.

Verso sera il Conte mi ha detto: «Domani, amico mio, potrete ritornare a casa!»

Allora io gli ho chiesto: «Perché non stanotte?»

Il Conte ha sorriso, con uno sguardo diabolico e un ghigno tanto infido e malvagio che ho intuito la presenza di qualche inghippo.

Poi ha risposto: «Va bene, giovane amico!»

Con grande solennità, mi ha preceduto con la lampada lungo le scale, poi di colpo si è fermato.

«Ascoltate!» mi ha sussurrato.

Da molto vicino giungeva l’ululato di parecchi lupi. Dopo un momento di pausa il conte è avanzato verso la porta, ha tirato i massicci chiavistelli, ha sciolto le pesanti catene e ha iniziato ad aprirla. L’ululato dei lupi si è fatto più forte e rabbioso. Le loro fauci rosse e le loro zampe si sono infilate nella porta ancora socchiusa. Allora ho capito che lottare contro la volontà del Conte era inutile.

Con alleati come quelli ai suoi ordini, non potevo far nulla.

Improvvisamente ho urlato: «Chiudete quella porta! Aspetterò il mattino!»

Con un solo gesto il Conte ha richiuso il portone. In silenzio, e con disappunto, mi sono ritirato nella mia stanza.

Ho dormito poco e solo all’alba, al canto del gallo, ho compreso di essere al sicuro. Ho aperto la porta della camera e sono corso all’ingresso. L’uscio e la fuga erano innanzi a me. Con le mani tremanti di impazienza, ho sciolto le catene e ho tirato i massicci chiavistelli. Ma la porta non si muoveva! Ho tirato e tirato, poi ho guardato la serratura: era chiusa!

Allora mi ha preso l’insano desiderio di procurarmi la chiave a ogni costo, e ho deciso lì per lì di entrare nella stanza del Conte.

Era vuota, e non vedevo chiavi da nessuna parte. Allora sono sceso per la scala a chiocciola fino al lungo corridoio buio che portava alla vecchia cappella. Una grande cassa era accostata al muro, chiusa da un coperchio.

Ho alzato il coperchio e l’ho appoggiato alla parete. A quel punto ho visto qualcosa che mi ha riempito l’animo di orrore. Il Conte era lì disteso. La pelle del volto era bianca, ma la bocca era più rossa che mai perché sulle labbra c’erano gocce di sangue fresco.

Quella creatura orripilante giaceva come un’immonda sanguisuga, ma io dovevo frugarlo per trovare la chiave e fuggire per sempre da quel posto orribile.

(B. Stoker, Storie di fantasmi, Edizioni EL)

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