FOCUS STORIA SETTEMBRE 2020

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Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE

n°167

settembre

AMORE E POTERE

DAL MITO DI TROIA AI GIORNI NOSTRI PASSIONI, TRADIMENTI E TRASGRESSIONI CHE HANNO CAMBIATO IL CORSO DEGLI EVENTI 13 AGOSTO 2020 - MENSILE

GABELLE

HANNO TASSATO DI TUTTO: PARUCCHE, FINESTRE E PERSINO LA PIPÌ

NOI E L’ACQUA COME NUOTAVANO I POPOLI ANTICHI TRA SFIDE E SVAGHI

SANTA SOFIA

LA BASILICA-MOSCHEA 1 CONTESA DA SEMPRE S FRA DUE MONDI


IN EDICOLA CON NOI

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IN EDICOLA CON NOI

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scegliere il proprio marito. Ma, conscio di come vanno le cose in amore, fece giurare ai pretendenti che chiunque fosse stato il fortunato prescelto, tutti avrebbero dovuto soccorrerlo nel caso in cui qualcuno avesse provato a rapirgli la moglie.

MISOGINIA ANTICA. Da sempre le fiabe finiscono così: con un matrimonio e la promessa di un futuro pieno di amore. Ma nella realtà come andavano le cose? Cos’era l’amore per gli antichi? E bastava davvero un “sì, lo voglio” a coronarlo? Dai mitologici amori dei Greci a quelli prepotenti dei Romani, dal casto amore cristiano all’appassionato amore romantico, una sola cosa è certa: nella sua lunga storia, l’amore di coppia è stato spesso tradito e sottomesso alla legge, alla politica o al denaro. “Abbiamo le etère per il piacere, le concubine per la soddisfazione quotidiana del corpo e le mogli per darci figli legittimi”, spiegava senza mezzi termini l’oratore greco Demostene nel IV secolo a.C., parlando delle relazioni 32 4

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ALBUM/MONDADORI PORTFOLIO

questione fu il biondo e valoroso Menelao, il “qualcuno” che venne a privarlo della compagna fu Paride, figlio del re di Troia. Chiamato sull’Olimpo a fare da giudice a una spinosa gara di bellezza fra dee, il principe troiano aveva dato la vittoria ad Afrodite: in cambio, la dea della bellezza gli aveva promesso il cuore della donna più bella del mondo. Perciò, protetto da lei, Paride giunse a Sparta a ritirare la sua tangente. Grazie alla propria bellezza e, secondo alcuni, al contributo di Eros, l’arciere dio dell’amore figlio di Afrodite, Elena perse la testa al punto da abbandonare marito, figlia e città natale per seguire il prestante giovane. Ma a Troia la fiamma della passione si consumò in fretta, lasciandola coi sensi di colpa: Menelao infatti aveva deciso di agire, attaccando la città con gli eserciti di coloro che avevano prestato giuramento a Tindaro. L’esito della guerra lo conosciamo tutti, quel che invece non viene quasi mai ricordato è il finale a sorpresa di questa moderna love-story. Una volta presa Troia, Menelao fece irruzione nella camera da letto di Deifobo, a cui Elena era stata data in sposa dopo la morte di Paride, e lo uccise. C’è chi dice che ad aiutarlo fu l’ex moglie, chi invece sostiene che per un attimo l’uomo pensò di infilzare anche lei, desistendo solo quando la donna si scoprì il seno per offrirlo alla sua lama. Il risultato comunque non cambia: in puro stile C’è posta per te, i due si riconciliarono, ripartirono per Sparta e vissero felici e contenti.

AKG-IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

TRA MITO E STORIA. Il “fortunato” in

DIVINO

Per Greci e Romani le nozze erano FEDELE


OSTEGGIATO

Catone e Marzia

HERITAGEPICS/ALAMY/IPA

un dovere civile, per mettere al mondo cittadini Dèi e uomini

Sopra, Aspasia e Pericle, coppia malvista ad Atene: i due si amavano ma non poterono sposarsi. Sopra a sinistra, Giove e Giunone, la coppia regale dell’Olimpo (affreschi sugli Amori degli dèi di Annibale e Agostino Carracci, 1600 circa).

Modello Penelope

In questa terracotta greca del 450-400 a.C., è ritratto il ritorno di Ulisse. Secondo l’Odissea, Penelope lo attese per 20 anni. Il comportamento ostinatamente fedele di Penelope era quello ideale per una donna, secondo gli antichi Greci.

amorose nella sua epoca. Gli sposi perfetti, insomma, erano i protagonisti dell’Odissea di Omero: Penelope, fedele al marito per 20 anni, senza neppure essere certa del suo ritorno a Itaca, e Ulisse, irrequieto farfallone pronto a rivedere la consorte solo dopo lunghe avventure extraconiugali con maghe e divinità. In questo quadro un po’ avvilente, a metà del V secolo a.C. Pericle e Aspasia di Mileto (Asia Minore) furono senz’altro un’eccezione: il politico ateniese amò moltissimo la sua compagna. E anche se la legge gli proibiva di sposare una straniera, dimostrava apertamente il suo sentimento: “Addirittura la bacia ogni giorno, sia uscendo di casa sia rientrando dall’agorà”, bisbigliavano esterrefatti gli Ateniesi. Così lei, che era coltissima, tutt’altro che sottomessa e sostenitrice della parità di ruoli nella coppia, venne processata per empietà. Si salvò, ma soltanto grazie all’accorata difesa di Pericle, che sconvolse i giudici versando lacrime di dolore per la sua donna. Lo diceva, il poeta romano Lucrezio: “L’amore può trasformarsi in ossessione, causando sofferenze e turbamenti”. Peccato aggiungesse: “perciò meglio soddisfare gli impulsi sessuali, perché soddisfare un desiderio con la persona amata è pericoloso”. Che seguissero o meno il suo consiglio, per i cittadini romani il matrimonio rimaneva per lo più un male necessario, un obbligo civile per mettere al mondo futuri cittadini dell’impero oppure una transazione commerciale o politica

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rovarsi è una fortuna, non perdersi è un miracolo. Non smettere mai di cercarsi è amore”, recita un anonimo aforisma. Ma la caparbietà mostrata da Marzia nei confronti del marito, Catone l’Uticense, si può davvero considerare amore? O fu la prova della distorta fedeltà coniugale di epoca romana? La loro era stata un’unione combinata come tante, ma, caso raro, si era rivelata azzeccata. I due si amavano davvero, assicurano le fonti. Avevano già due figlie e un terzo bebè in arrivo quando il sessantenne retore Quinto Ortensio Ortalo fece una proposta indecente all’amico Catone: “[tua moglie] ti ha già dato un numero sufficiente di eredi ed è abbastanza giovane per averne altri: lascia che li faccia questa volta per me”. In prestito. E Catone? In linea con le disposizioni del diritto romano, dopo essersi consultato col padre di Marzia lasciò la moglie a Ortensio. Che cosa ne pensasse la diretta interessata, nessuna fonte lo rivela. Fatto sta che la donna sposò Ortensio nel 56 a.C. e gli diede due eredi. Infine, rimasta vedova, nel 50 a.C. tornò a bussare alla porta dell’ex marito. Lo pregava di risposarla, perché sulla sua tomba fosse scritto “Marzia, moglie di Catone”, e lui, bontà sua, acconsentì. Più che per amore, notarono con malignità i nemici politici, per la grossa eredità che Ortensio aveva lasciato alla donna. 33 5

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Il Romanticismo esaltò l’amore, ma i matrimoni combinati continuarono in cui la donna (ubbidiente, pudica e fedele) faceva da suggello. Chi cercava la passione continuò a rotolarsi in letti ben lontani da quelli della propria domus, finché l’imperatore Augusto non intervenne. Grazie al programma di moralizzazione dei costumi del sovrano, nel I secolo d.C. la fedeltà coniugale diventò una specie di status-symbol delle grandi famiglie, considerate custodi degli antichi valori. Questa nuova morale di coppia aprì la strada al cavallo di battaglia della Chiesa cristiana: il matrimonio “monogamico e indissolubile”, scelto come antiafrodisiaco naturale per evitare il vizio dell’incontinenza sessuale.

Tutti lo vogliamo

MONDADORI PORTFOLIO/ELECTA

Sotto, Amor sacro e Amor profano, di Tiziano Vecellio, 1515. Secondo alcuni storici dell’arte, a sinistra è dipinta la donna in procinto di sposarsi, vestita di bianco, casta e pudica, mentre la fanciulla a destra è seminuda perché simboleggia l’amore privato e sensuale, che si vive dopo le nozze. Con il Concilio di Trento (1542-63) anche la Chiesa aveva aperto al sentimento.

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NIENTE SESSO, SIAM CRISTIANI. E l’amore? Non era eros, l’amore passionale, ma quello che i Greci chiamavano agape: un sentimento quasi religioso, che elevava le anime e lasciava fuori i corpi, destinati a unirsi, se proprio non potevano farne a meno, solo per fare figli. Una concezione che condizionò per secoli la vita sessuale delle persone. «Uomini e donne cercarono di ritagliarsi uno spazio di libertà in un contesto ideologico che faceva del controllo della sessualità il perno dell’ordine sociale», scrive la saggista Patrizia Zani, ne La storia dell’amore (La Linea). L’amore passionale, in ogni caso, rimaneva un lusso, additato con disappunto dai moralisti. Emblematica, a questo proposito, l’infuocata relazione scoppiata a Parigi nel 1116 tra il chierico Abelardo e la sua 17enne allieva Eloisa. Il famoso maestro di teologia e la sua pupilla si trovarono a fare i conti con una gravidanza, la fuga e nozze segrete. Per non

SACRO E PROFANO

danneggiare la carriera di Abelardo, Eloisa si trasferì provvisoriamente in convento, ma i suoi parenti, convinti che il marito l’avesse lasciata, si vendicarono castrandolo (vedi articolo pagine seguenti). L’incompatibilità tra passione e fiori d’arancio, però, non aveva solo cause religiose. «Soprattutto per le classi più elevate, il matrimonio rimaneva il più solido strumento al servizio delle strategie dinastiche e patrimoniali», prosegue Zani. “Sposa chi devi, ama chi vuoi” era il leit-motiv che regolava la vita in quelle gabbie dorate a due piazze.

SPAZIO AL SENTIMENTO. Eppure, in alcuni rarissimi casi, l’amore vero riusciva ancora a trionfare. Prendiamo Isotta degli Atti (14321474) e Sigismondo Malatesta (1417-1468). Fra i due, quindici anni e due matrimoni di differenza: figlia di un agiato mercante e cambiavalute lei, ambizioso signore di Rimini e di Fano lui, furono colpiti dall’amoroso fulmine nel 1446. Nonostante fosse sposato, Sigismondo accolse Isotta nel proprio castello. Da lei ebbe due figli e nel 1456, sette anni dopo la morte della seconda moglie, la sposò: fino ad allora aveva scelto le proprie consorti in base ai vantaggi politici che potevano offrirgli, ma stavolta non cercò altro che l’amore di Isotta. Più in generale, fu la Chiesa a cercare di dare maggior spazio ai sentimenti degli sposi. Nel 1563, durante il concilio di Trento, difese “la libertà del matrimonio”, comandando “a tutti – di qualsiasi grado, dignità e condizione – sotto pena di scomunica ipso facto [...] di contrarre liberamente matrimonio”. La minaccia non fu sufficiente: ancora nei due secoli successivi, due


PASSIONALE

sconosciuti potevano diventare marito e moglie nel giro di un paio di incontri organizzati dalle rispettive famiglie. Bando alla passione: l’unico scopo ragionevole del matrimonio aristocratico o borghese dell’epoca dei Lumi era fondare una famiglia socialmente equilibrata. Qualcosa però stava cambiando: a rinverdire l’arido cuore degli europei irruppe il romanticismo ottocentesco. Gli esponenti di questo complesso movimento artistico e letterario vivevano lasciandosi guidare dalle passioni, non dalla ragione: ogni sentimento era esasperato e, in amore, il loro desiderio si rivelava insopprimibile, soprattutto se ostacolato dalla morale comune. Quando si sgonfiò, questa tempesta di emozioni lasciò dietro di sé solo vuota romanticheria: la folata di passione passò, abbandonando i giardini del cuore appena fioriti alle drastiche cesoie dell’ipocrita puritanesimo vittoriano di metà

HERITAGE-IMAGES / MONDADORI PORTFOLIO

A sinistra, Isotta degli Atti e Sigismondo Malatesta. Quando scattò fra i due il colpo di fulmine, lui era sposato per la seconda volta e aveva 15 anni più di lei. Ma la prese con sé ed ebbero 2 figli.

Ottocento. Simbolo di questo particolare periodo storico fu il matrimonio fra la regina Vittoria d’Inghilterra e il “principe consorte” Alberto di Sassonia. Le nozze erano state organizzate come sempre per motivi politici, ma inaspettatamente l’unione di Stato si rivelò un legame d’amore “inesauribile e illimitato”, anche dopo che la morte (del marito, nel 1861) separò gli sposi. Vittoria portò il lutto per i successivi 40 anni e lo abbandonò solo in occasione del proprio funerale: nella bara volle infatti essere deposta vestita di bianco, con il suo velo nuziale. Nella destra stringeva il calco della mano di Alberto, ma nella sinistra, nascoste dai fiori, teneva ben strette una ciocca dei capelli rossi e la foto del suo stalliere, John Brown, che tre anni dopo la morte di Alberto era entrato a (completo) servizio della regina. Perché davvero, come cantavano i Beatles • nel 1967, all you need is love.

Vittoria e Alberto

UFFICIALE

La regina Vittoria d’Inghilterra sposa Alberto di SassoniaCoburgo-Gotha, il 10 febbraio 1840. Le loro nozze erano state decise per motivi dinastici (i due erano cugini), ma tra loro scoppiò un grandissimo amore.

MATTHEW CORRIGANALAM/IPA

DE AGOSTINI PICTURE LIBRARY/MONDADORI PORTFOLIO

A tutti i costi

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PRIMO PIANO

Antinoo era un ragazzino bellissimo. E Adriano ne rimase folgorato. Tanto che lo rese immortale. di Federica Campanelli

L’imperatore

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e il fanciullo


Colpo di fulmine

A sinistra, busto marmoreo dell’imperatore Adriano (76-138 d.C.). Sotto, il suo idolatrato favorito, Antinoo (110-130), anch’egli scolpito nel marmo. Quando si incontrarono, Adriano aveva 47 anni e Antinoo circa 13.

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i erigerò una statua che sarà nel futuro prova incessante del mio amore, della tua bellezza e del senso che la bellezza dà del divino”. Con questi versi, composti nel 1918, il poeta portoghese Fernando Pessoa immagina un affranto imperatore Adriano piangere la scomparsa del più grande amore della sua vita: Antinoo, il bellissimo giovane annegato misteriosamente nelle acque del Nilo nell’ottobre del 130 d.C. Nel poemetto (che porta appunto il titolo di Antinoo), l’imperatore promette di glorificare il proprio compagno erigendogli “una statua”, quale simbolo

eterno del loro amore, ma nella realtà fece molto di più, tramutando il fanciullo in un dio e incentivando attorno alla sua figura divinizzata un’intensa produzione artistica. Busti, rilievi, camei, monete e innumerevoli altre opere con le sembianze del bel giovane invasero infatti il Mediterraneo, tanto che Antinoo divenne uno dei personaggi storici più effigiati della romanità.

RAGAZZO DI PROVINCIA. Nel mondo romano, la divinizzazione (o “apoteosi”) era un processo riservato agli imperatori o ai loro familiari. Ma Antinoo non era un membro

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Musa proibita

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l fascino senza tempo di Antinoo ispirò tra XIX e XX secolo molti artisti e scrittori, fino a farne un’icona Lgbt (lesbo, gay, bisex, transgender). A rendergli omaggio fu tra gli altri Oscar Wilde, che nel Ritratto di Dorian Gray (1890) associò la bellezza eterna del protagonista a quella del giovane bitinio. Dopodiché lo scrittore irlandese fece parlare di sé per la turbolenta storia d’amore vissuta con il poeta Alfred Douglas, che lo condurrà in galera. Il padre di Douglas accusò infatti Wilde di sodomia, trascinandolo in un processo che si concluse con una condanna a due anni di carcere e lavori forzati. Sempre in ambito “letterario”, altrettanto tormentato fu il rapporto tra Virginia Woolf e la poetessa Vita SackvilleWest, la cui figura ispirò il personaggio di Orlando dell’omonimo romanzo datato 1928, in cui si narra di un nobile che, attraversando i secoli, si tramuta in donna. I volti dell’amore. Spostandoci in Italia, nella lista delle celebri coppie gay (o presunte tali) spicca quella tra Leonardo da Vinci e il giovane Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì, suo allievo e modello. Il loro rapporto ha suscitato varie ipotesi, tra cui quella che Leonardo abbia realizzato il volto della Gioconda e altre opere ispirandosi al ragazzo. Anche Caravaggio avrebbe “nascosto” nelle sue opere il volto di un amato: in alcuni dipinti, come il Fanciullo con canestro di frutta e il Ragazzo morso da un ramarro, si riconoscerebbe il pittore Mario Minniti, con cui avrebbe avuto un rapporto iniziato a Roma nel 1593.

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della famiglia imperiale, non ebbe alcun ruolo nella vita politica di Roma e si dice addirittura che fosse uno schiavo. Come mai gli fu concesso questo onore? «Innanzitutto è poco probabile che si trattasse effettivamente di uno schiavo, come riportano alcune fonti», spiega Raffaele Mambella, archeologo e storico dell’arte, autore del saggio Adriano. L’uomo e l’artista (Bertolami). «Furono gli apologeti cristiani del II e III secolo a chiamarlo servus o publicum scortum, cioè pubblico prostituto, ma per ragioni

meramente morali. Nessun romano avrebbe mai potuto venerare un dio-schiavo». Quanto alla sua nascita, sappiamo che Antinoo nacque in una famiglia greca di Claudiopoli, nella provincia di Bitinia (oggi Bolu, in Turchia), forse il 27 novembre 110, e l’incontro con Adriano (sul trono imperiale dal 117 al 138) avvenne proprio lì, intorno al 123. L’imperatore aveva all’epoca 47 anni, Antinoo all’incirca 13 e di lui si diceva che fosse il fanciullo più bello di tutto l’impero. Un uomo come Adriano, così sensibile


Fama eterna

Memoria

L’arco di Trionfo ad Antinopoli (Egitto) in una stampa dell’Ottocento. Sotto, statua di Antinoo col corpo di Apollo Licio.

AKG-IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

Sotto, un gruppo di aristocratici esamina un busto di Antinoo, con una statua di Atena, vicino a una galleria di quadri: si tratta di un dipinto inglese di fantasia, del 1811, che mostra come la fama del fanciullo tanto amato da Adriano sia durata nei secoli.

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Antinoo era nato in Bitinia. Adriano lo portò a Roma e lo fece studiare per due anni, senza vederlo

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alla bellezza in tutte le sue forme, non poté che rimanerne folgorato.

RELAZIONE “ALLA GRECA”. Dopo l’incontro a Claudiopoli, Antinoo fu inviato a Roma per essere istruito al paedagogium imperiale, istituto di educazione per fanciulli situato sul colle Celio. Due anni dopo, nel 125, i due finalmente si ricongiunsero e il ragazzo entrò stabilmente nella corte dell’imperatore, divenendone il favorito. Adriano aveva dunque a cuore l’educazione di Antinoo, e in proposito molti studiosi ritengono che la loro relazione fosse plasmata sul classico modello dell’amore omosessuale greco: la “pederastia”, pratica che aveva appunto una forte connotazione formativa oltre che erotica. In tal caso, Adriano rivestiva i panni dell’erastés (il “maestro-amante”) che accoglieva sotto la propria egida il giovane e ancora acerbo erómenos (“amato”), a cui trasferire tutti gli insegnamenti utili a diventare un uomo e cittadino compiuto. L’imperatorefilosofo era d’altronde un fervente seguace della cultura ellenica, che preferiva di gran lunga a quella latina, come attesta il soprannome Graeculus, “piccolo greco”. A onor del vero, la pederastia “autentica” prevedeva alcune regole, tra cui l’interruzione del rapporto nel momento 

ANTINOO

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e vice italien, “il vizio italiano”, così i francesi chiamavano l’omosessualità nel XVII secolo. Eppure, una delle liaison omosessuali più scabrose fu consumata proprio alla corte dei re di Francia, tra il cavaliere Filippo di Lorena (1643-1702, nel tondo col colletto rosso) e il fratello di Luigi XIV, il duca Filippo I di BorboneOrléans (1640-1701, nel tondo col colletto bianco), anche detto Monsieur e ben noto per i suoi gusti sessuali. Tra l’altro, pare che la madre Anna d’Austria, da piccolo, lo chiamasse “la mia bambina” e lo agghindasse con abiti femminili (abitudine che Monsieur conservò anche da adulto). A nozze. I due iniziarono a frequentarsi nel 1658, ma tre anni dopo il Borbone sposò per ragion di Stato Enrichetta Anna Stuart, sorella di Carlo II d’Inghilterra, che mal sopportava l’altro Filippo. Nel 1670 la donna riuscì a farlo esiliare a Roma, ma quando nello stesso anno anche lei morì, accusando strani dolori, una mala lingua insinuò che fosse rimasta vittima di un omicidio passionale compiuto proprio dallo scandaloso Lorena.

in cui l’erastés avesse preso moglie. Peccato che l’imperatore fosse sposato da più di vent’anni quando iniziò la sua relazione con Antinoo. Nell’anno 100, per accelerare il suo cursus honorum, Adriano si era infatti unito in matrimonio con Vibia Sabina, pronipote del suo predecessore Traiano (imperatore dal 98 al 117). La loro unione non fu felice, ma mantenere una parvenza di stabilità coniugale era d’obbligo, così Adriano non volle mai separarsi. L’imperatrice fu sempre presente al suo fianco, persino durante quel nefasto viaggio in Egitto in cui, verso la fine dell’ottobre 130, Antinoo perse la vita a soli vent’anni, risucchiato dalle correnti del Nilo presso l’antico villaggio di Besa. MONDADORI PORTFOLIO

Come gli Elleni

Busto di marmo dell’imperatore Adriano, II secolo d.C. Seguace della cultura greca, fu un maestroamante per il suo giovane favorito.

ADRIANO

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FINE OSCURA. Le circostanze della scomparsa di Antinoo restano tuttora avvolte nel mistero. Si trattò di un tragico incidente (come avrebbe scritto Adriano in una perduta autobiografia) o di un omicidio passionale? Di certo non a tutti andava a genio che l’imperatore amasse quel giovane, forse per timore che potesse indicarlo proprio successore. Le ipotesi sono tante, ma la congettura più orribile, emersa da fonti antiche, è che il ragazzo si fosse immolato, o fosse stato indotto al suicidio, per attuare oscure pratiche di magia con cui Adriano si dilettava. «Dione Cassio, nella sua Storia romana del III secolo, afferma infatti che Adriano aveva bisogno del sacrificio “volontario” di un uomo per allontanare un pericolo di morte», riferisce Mambella. E ipotesi simili le ritroviamo anche in altri autori, tra cui Sesto Aurelio Vittore (IV secolo), che credeva che Antinoo si fosse suicidato per protrarre la vita dell’imperatore. «Questa cerimonia di auto-sacrificio, nota nel mondo romano come devotio, era tuttavia rarissima e serviva semmai per salvare lo Stato, non la vita di un imperatore che

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MONDADORI PORTFOLIO

Scandalosi Filippi


Il ragazzo morì appena ventenne, nelle acque del Nilo. E Adriano, disperato, lo rese un dio e fondò una città col suo nome in quel momento non correva alcun rischio imminente», spiega l’esperto.

AMORE IMMORTALE. Quale che fu la causa dell’annegamento, la prematura scomparsa di Antinoo colpì immensamente Adriano, tanto che il suo dolore suscitò persino disapprovazione. Elio Sparziano, uno dei presunti autori della Historia Augusta (raccolta di biografie dei Cesari datata alla tarda antichità), scrisse che l’imperatore “pianse come una donna”. Il biasimo non dipendeva dal fatto che amasse un ragazzo (anche Traiano, tra i migliori sovrani di tutti i tempi, era bisessuale, ma ciò non intaccò la sua reputazione). A destare scalpore erano gli omaggi che Adriano fece alla memoria del suo diletto, immediatamente divinizzato e onorato con la fondazione della città di Antinopoli nel luogo della sua morte, e con l’istituzione di festività sacre per celebrarne la nascita. «Il culto di Antinoo era molto diffuso, come dimostrano le centinaia di statue a lui attribuite sparse in tutto l’impero», racconta l’esperto. «Era tra l’altro molto popolare tra le più disparate classi sociali». Il fanciullo fu quindi assimilato a diverse divinità, tra cui Hermes, Dioniso, Silvano, Aristeo e soprattutto Osiride, che secondo la tradizione egizia annegò nel Nilo per poi risorgere immortale. Non solo. Il nome di Antinoo fu associato a quello di una

costellazione, Antinous (oggi “assorbita” in quella dell’Aquila), secondo un processo di glorificazione detto “catasterismo”, di cui in genere beneficiavano le divinità, gli eroi e gli uomini illustri. L’imperatore Adriano, in virtù del suo amore, aveva quindi trasformato un comune ragazzo di • provincia in una creatura immortale.

La terza incomoda

Sotto, busto di Vibia Sabina, la moglie di Adriano. L’imperatore non l’amò mai, ma neppure divorziò, per ragion di Stato. Sotto a sinistra, la costellazione dell’Aquila, che Adriano aveva chiamato col nome di Antinoo: nel disegno tratto da un atlante astronomico lo si vede col Delfino e il rapace.

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VIBIA SABINA

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