SCOPRIRE E CAPIRE IL MONDO
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14 AGOSTO 2020 SETTEMBRE 2020
LA DIMENSIONE ONIRICA NON HA LIMITI, CI FA VIVERE ESPERIENZE IMPOSSIBILI DA SVEGLI. E I SUOI CODICI INDECIFRABILI APPASSIONANO GLI SCIENZIATI
I SUPERPOTERI DEI
SOGNI
ALIMENTAZIONE PERCHÉ TUTTI CONSIGLIANO LA DIETA MEDITERRANEA
COMPORTAMENTO SESSO CHIODO FISSO? IL TEST PER SCOPRIRLO
SPAZIO COSA POTREMMO “VEDERE” CADENDO IN UN BUCO NERO
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Se spazio
Sono spesso giganteschi, l’universo ne è pieno e inghiottono polveri e stelle. Che cosa c’è oltre la loro soglia è ancora un di Andrea Parlangeli mistero.
cadessimo in un buco nero?
All’inizio potremmo sopravvivere. Ma poi...
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VIDEO LA SIMULAZIONE SCIENTIFICA DI UN VIAGGIO IN UN BUCO NERO INQUADRA LA PAGINA CON LA APP
VISTO DA FUORI Raffigurazione artistica di un buco nero circondato da un disco di gas e polveri che si dirige al suo interno. I telescopi non possono vedere oltre l’orizzonte degli eventi.
Nasa
INFO A PAGINA 5
GETTO ULTRAVELOCE
AI CONFINI DELLA CONOSCENZA
DISCO DI ACCRESCIMENTO ORIZZONTE DEGLI EVENTI
Nell’universo sono stati trovati molti buchi neri giganti, situati spesso al centro delle galassie. Ecco, tipicamente, come sono fatti. DISCO DI ACCRESCIMENTO. È costituito dalla materia che cade, con un percorso a spirale, verso il centro. Si tratta in genere di gas ad alta temperatura.
SINGOLARITÀ
ULTIMA ORBITA CIRCOLARE STABILE. Al di là di questo punto, lo spazio è “risucchiato”, e non ci sono più orbite stabili come quella della Terra intorno al Sole. GETTO ULTRAVELOCE. Non tutta la materia viene inghiottita. Una parte viene espulsa lungo l’asse di rotazione. Anche il buco nero M87 (v. riquadro a destra) ha un getto di particelle, visibile in alcune immagini.
Eso
ORIZZONTE DEGLI EVENTI. È il limite oltre il quale nulla può tornare indietro, nemmeno la luce. Da fuori, non si può veder nulla di quel che c’è al suo interno.
ULTIMA ORBITA CIRCOLARE STABILE
SINGOLARITÀ. Nessuno sa che cosa ci sia nel centro di un buco nero. Estrapolando le formule della relatività, ci sarebbe un punto di densità infinita: la singolarità.
I
buchi neri sono i corpi celesti più estremi che possiamo immaginare. Fino a meno di cinquant’anni fa, in pochi sapevano davvero che cosa fossero, e tra questi solo una minoranza era convinta della loro esistenza. Oggi sappiamo che esistono, e ormai tutti hanno un’idea – più o meno precisa – di che cosa siano. Ma cosa accadrebbe se entrassimo in un buco nero? Se varcassimo, cioè, quella soglia chiamata “orizzonte degli eventi”, al di là della quale sarebbe impossibile tornare indietro?
COMPRESSIONE ESAGERATA Rispondere non è semplice. «Di solito, interessa di più sapere che cosa accade all’esterno dell’orizzonte», spiega Luciano Rezzolla, direttore dell’Istituto di Fisica Teorica dell’Università Goethe di Francoforte e tra i protagonisti della ricerca che ha portato alla prima immagine di un buco nero (v. foto in alto a destra) da parte della collaborazione Event Horizon Telescope (Eht), «perché è quello che si può osservare con i telescopi e confrontare con i modelli matematici». Ma con gli stessi modelli matematici, e con l’immaginazione, si può andare oltre (Vedi l’ebook Viaggio all’interno di un buco nero, scritto dallo stesso autore di questo articolo , disponibile su Amazon e sugli store online, ndr). Cominciamo col dire che cos’è un buco nero. Da un punto di vista matematico, è una conseguenza particolare della Relatività Generale di Einstein: «Sull’esistenza matematica dei buchi 52 | Focus
neri, non ci sono mai stati dubbi», dice Maurizio Gasperini, fisico teorico all’Università di Bari. «Io stesso, però, all’inizio, ero scettico sulla loro reale esistenza, perché non pensavo che la materia potesse comprimersi in modo così estremo. Poi, alla luce delle recenti osservazioni con le onde gravitazionali (vedi Focus n° 281 e n° 300), mi sono dovuto ricredere». Nella descrizione classica, infatti, un buco nero è un corpo celeste che si forma quando, per varie possibili ragioni, la materia si comprime oltre ogni limite, concentrandosi in un punto detto “singolarità”. Nella singolarità, in teoria, la materia avrebbe densità infinita, ma questo implicherebbe che le leggi fisiche note cessassero di essere valide. «Dal momento che si tratta di campi gravitazionali estremi in volumi di dimensioni piccolissime, abbiamo bisogno di una nuova teoria, una teoria quantistica della gravità, che ancora non possediamo nonostante quarant’anni di ricerca in questa direzione», spiega Rezzolla. Dunque, nel centro di un buco nero, deve verificarsi qualcosa che ancora sfugge alla nostra comprensione. Ma lasciamo per un attimo la questione in sospeso. Ci torneremo. LIMITE INVALICABILE... PER CHI GUARDA Vediamo ora un’altra caratteristica essenziale del buco nero: l’orizzonte degli eventi, cioè quel limite oltre il quale la gravità è così intensa che nemmeno la luce può uscirne. Per questo un buco nero si chiama così: se osservassimo l’orizzonte degli
UN PASTO COSMICO
Un’astronave potrebbe varcare indenne l’orizzonte di un buco nero gigante. Ma poi verrebbe distrutta dalle forze gravitazionali eventi dall’esterno, e sullo sfondo di un cielo stellato, ci apparirebbe nero, in quanto nessuna luce potrebbe esserne emessa. Non può esistere telescopio, per quanto potente, che permetta di scrutare oltre quella barriera. Per scoprire che cosa c’è in un buco nero, dobbiamo immaginare di entrarci. Con un’astronave adatta, ovviamente. NEL CUORE DELLA GALASSIA Prendiamo, allora, come destinazione Sagittarius A*, il buco nero al centro della nostra galassia. Sagittarius A* è un buco nero gigante: ha una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole, e il suo orizzonte degli eventi ha un raggio di 12 milioni di km, trenta volte la distanza tra la Terra e la Luna. «Per guardarlo da vicino, possiamo pensare di metterci a una distanza di sicurezza, per esempio in un’orbita circolare stabile», spiega Rezzolla. «In questo modo, possiamo rimanere a una distanza fissa dal buco nero senza usare energia. L’orbita circolare stabile più vicina all’orizzonte è a 24 milioni di chilometri di distanza. Se ci si avvicina di più, non esistono orbite stabili e bisognerebbe azionare i motori della nostra astronave per non cadere nel buco nero». In una situazione del genere,
un’enorme quantità di materia, e infatti la foto lo sorprende durante uno dei suoi “pasti”. L’alone luminoso che si vede al centro è generato dai gas che si avvicinano all’orizzonte, mentre la zona nera al centro è detta “ombra”: «L’ombra è dovuta al deficit di luce che ci raggiunge da quella zona, che lì viene in parte assorbita dall’orizzonte degli eventi», spiega Luciano Rezzolla, membro del Board di Eht e responsabile dei complessi calcoli teorici necessari all’interpretazione dell’immagine.
LA PRIMA FOTO M87, ripreso dall’Event Horizon Telescope. È la prima immagine ravvicinata di un buco nero.
saremmo un po’ come gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale in orbita attorno alla Terra. Che cosa vedremmo? «Dipende dalla direzione in cui guardiamo», risponde Rezzolla. «Se guardassimo verso il buco nero, vedremmo una zona di esclusione (v. foto in alto), da dove non arriva la luce». In pratica, vedremmo una grande sfera nera che occupa un’ampia porzione del campo visivo. «Nella direzione opposta, invece, vedremmo il resto dell’universo», continua Rezzolla. E nelle altre direzioni? «La situazione è più complicata, perché la luce viene deviata dalla gravità e non si muove in linea retta. Se immaginassimo di inviare un fascio laser nello spazio per visualizzarne la traiettoria, in generale vedremmo che segue una linea curva. Puntando il laser in alcune direzioni, lo vedremmo addirittura tornare indietro al punto di partenza, o non partire affatto». Per questo, l’immagine del cosmo che vedrebbero i nostri occhi sarebbe profondamente alterata rispetto alla quotidianità a cui siamo abituati. «Sarebbe come guardare una stanza attraverso il riflesso di una maniglia di forma sferica (v. foto e video in realtà aumentata nella prossima pag.)», spiega Rezzolla. «L’immagine sulla maniglia è completamente diversa dall’idea tradizionale che abbiamo della stanza; potrebbero comparire perfino zone, alle nostre spalle, che normalmente non vedremmo. Così è per un buco nero». È strano, certo. Ma è solo l’inizio. Focus | 53
Eht Collaboration
La ricordiamo tutti, la prima foto di un buco nero, pubblicata nel 2019 dagli scienziati dell’Event Horizon Telescope (Eht), un consorzio che in realtà riunisce 8 radiotelescopi situati in ogni angolo della Terra, sincronizzati tra loro in modo da comportarsi come un unico strumento di dimensioni planetarie. Gigante. L’immagine ritrae un buco nero con massa pari a 6,5 miliardi di volte quella del Sole, situato al centro della galassia Messier 87 (M87), a 55 milioni di anni luce da noi. Questo gigante è particolarmente attivo: ingurgita
Mondo
E SE IL BUCO NERO RUOTASSE?
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Se già descrivere il viaggio in un buco nero “semplice” è complicato (v. testo principale), farlo nel caso di un buco nero rotante è una sfida ai limiti delle capacità umane. Eppure, nella realtà, si pensa che quasi tutti i buchi neri ruotino, con una velocità più o meno sostenuta. Vortice. Un buco nero rotante trascina lo spazio intorno a sé come in un vortice, modificando il percorso che seguono gli oggetti mentre cadono. «Quando entriamo in un buco nero di questo tipo, vediamo l’orizzonte degli eventi davanti a noi, e il
cielo stellato – in rotazione – dalla parte opposta», spiega Andrew Hamilton, docente all’Università del Colorado (Usa), che ha simulato al computer situazioni di questo tipo. «Le dimensioni apparenti del buco nero cambiano con il movimento, ma tipicamente occupano metà del campo visivo. A un certo punto, incontreremmo un secondo orizzonte, tipico dei buchi neri rotanti, che è l’orizzonte interno. Qui convergono le radiazioni e le particelle che provengono da due direzioni diverse. Da una
VARCARE L’ORIZZONTE A questo punto, infatti, rompiamo gli indugi ed entriamo nell’orizzonte degli eventi. Immaginiamo che il buco nero non ruoti (v. riquadro sopra), e immaginiamo di entrarci in caduta libera – cioè senza opporre resistenza – in direzione radiale, puntando direttamente al centro. Potremmo andare anche molto veloci, ma non avvertiremmo il nostro peso. «Sarebbe come trovarsi in una discesa molto dolce, anche se ci stiamo muovendo a velocità molto elevate», commenta Rezzolla. Nel cadere, vedremmo l’orizzonte degli eventi che si espande fino a inghiottirci, distorcendo in modo sempre più marcato l’immagine (che si restringe) del cielo alle nostre spalle. «Una volta varcato l’orizzonte, si può ricevere la luce solo dall’esterno», spiega Rezzolla. In pratica, vedremmo nero ovunque davanti noi, mentre riusciremmo a vedere, anche se molto distorte, le stelle e le galassie dalla direzione da cui proveniamo, visto che la luce non ha problemi a entrare con noi nell’orizzonte, ma solo ad uscirne. Questa esperienza può risultare forse deludente, ma una buona notizia c’è: a bordo della nostra astronave, saremmo ancora vivi. Perché varcare l’orizzonte non è, in sé, un’esperienza traumatica; per lo meno se entriamo in un buco nero gigante come Sagittarius A*: «È come trovarsi in barca su un fiume, prima di una cascata, facendo affidamento a potenti motori fuoribordo che ci consentirebbero di risalire la corrente», spiega Rezzolla. «Se ci lasciassimo trasportare, raggiungeremmo, prima o poi, un punto in cui la corrente sarebbe così forte che risulterebbe impossibile tornare indietro, a prescindere dalla potenza dei motori. Quel punto può essere paragonato all’orizzonte degli eventi di un buco nero». COME SPAGHETTI NEL BUIO PESTO Ora siamo dentro il buco nero, avvolti dall’oscurità pressoché totale. Abbiamo almeno una quarantina di secondi di vita, prima di raggiungere il centro e scoprire il nostro destino. Siamo
VIDEO UN TOUR IN 3D TRA DUE BUCHI NERI NELLA VIA LATTEA INQUADRA LA PAGINA CON LA APP INFO A PAGINA 5
EFFETTO OTTICO Immagine tratta da un video in 3D, che mostra quel che vedremmo se fossimo tra due buchi neri.
Più ci si avvicina al centro, più le condizioni si fanno estreme, e misteriose In edicola dal 13 agosto
curiosi, ma quasi subito cominciamo ad avvertire un certo disagio. A causarlo sono alcune forze che c’erano anche prima, ma che inizialmente erano così deboli da risultare trascurabili. Si tratta delle forze di marea, così dette perché – sulla Terra – sono responsabili del fenomeno delle maree (prodotte dal campo gravitazionale del Sole e da quello della Luna). Queste forze nascono dal fatto che la gravità agisce in ogni punto in modo leggermente diverso, mentre noi e la nostra astronave occupiamo un certo volume; sicché diverse parti dell’astronave – ma anche di noi – sono soggette a campi gravitazionali di intensità e direzione diverse. Per farla breve, se siamo con la testa verso il buco nero, i capelli sono attratti con una forza maggiore rispetto ai piedi, perché sono un po’ più vicini. E, per la stessa ragione, si manifesta anche una forza che tende ad assottigliarci ai fianchi. «Sulla Terra, le forze di marea che agiscono sul nostro corpo sono piccole e nemmeno ce ne accorgiamo», spiega Rezzolla. «Ma, in un buco nero, sono importanti. Anche la nostra astronave – che ha una certa rigidità strutturale – a un certo punto non riuscirebbe più a reggere la tensione e inizierebbe a deformarsi. All’inizio, la deformazione sarebbe elastica, ma poi anche l’acciaio cederebbe». Il nostro destino ultimo è un fenomeno chiamato “spaghettificazione”: ci disintegreremmo, noi e il mezzo che ci trasporta, trasformandoci in un gas di particelle di forma sempre più allungata e sottile. Fino a raggiungere il punto in cui tutte le nostre teorie attuali falliscono: la singolarità. A meno che…
A meno che non incontriamo, prima, una sorpresa. «Tutti questi ragionamenti, oggi ampiamente condivisi, si basano sul fatto che la materia, la sorgente gravitazionale che ha curvato lo spazio al punto da formare un buco nero, da qualche parte ci deve essere», spiega Maurizio Gasperini. «Le equazioni di Einstein ci dicono infatti che la curvatura dello spazio è prodotta da una densità di energia di qualche sorgente. Se la sorgente c’è, dunque, per quanto piccola, prima o poi dovremmo incontrarne la superficie. E a questo punto la singolarità svanirebbe». FINALE CON MISTERO Di quale sorgente si tratterebbe? Che cosa c’è nel cuore di un buco nero? Difficile dirlo, le nostre teorie, oggi, non sono in grado di rispondere. Ci sono, però, alcune ipotesi. Carlo Rovelli, per esempio, ha proposto un modello basato sulla teoria della Loop Quantum Gravity, di cui è uno dei fondatori: al centro del buco nero ci sarebbe un “cunicolo”, che costituirebbe un passaggio verso un lontano futuro (v. Focus n° 320). Un’altra possibilità è offerta dalla Teoria delle stringhe, secondo cui l’universo è composto da minuscole stringhe vibranti. In quest’ottica, le varie particelle corrispondono a vibrazioni diverse delle stesse stringhe elementari. «La teoria prevede che esistano minuscoli buchi neri in cui tutta la massa è concentrata nelle dimensioni minime concepibili, quelle di una stringa», spiega Gasperini. «Al centro di un buco nero gigante, dunque, potrebbe esserci un gas molto compatto di mini buchi neri». Questi ultimi, conclude Gasperini, potrebbero essersi generati addirittura durante il Big Bang, ed essersi poi combinati tra loro per formare buchi neri più grandi. È solo una supposizione tra le tante. La realtà, come spesso accade, potrebbe essere al di là di ogni immaginazione. «L’unica certezza che abbiamo su che cosa ci sia al centro di un buco nero è che non lo sappiamo», conclude Rezzolla, «ed è per questo che lo studio di questi corpi celesti non cessa di interessarci e di stimolare la nostra fantasia». Focus | 55
NASA’s Goddard Space Flight Center; background, ESA/Gaia/DPAC
parte, infatti, ci sono le particelle che entrano nel buco nero ruotando nella sua stessa direzione; dall’altra quelle che entrano ruotando in direzione opposta. Questi due fasci seguono traiettorie distinte, che entrano in collisione nell’orizzonte interno generando energie straordinarie, paragonabili a quelle del Big Bang. In un buco nero rotante di dimensioni pari a quelle di Sagittarius A*, il nostro viaggio finirebbe lì, nell’orizzonte interno, dove verremmo vaporizzati dalla radiazione ad alta energia».
salute
LA DIETA DEL
BENESSERE
Perché quello mediterraneo è considerato il mix alimentare più salutare? Per una fortunata coincidenza di ingredienti e di clima. Eccoli, analizzati uno per uno. di Elena Meli
PASTA AL POMODORO Un menù completo in un solo piatto, specialmente se si sceglie una pasta integrale ricca di fibre; cuocere il pomodoro per la salsa aumenta la bio-disponibilità di licopene, uno dei principali antiossidanti dell’ortaggio, e l’aggiunta di un po’ di parmigiano grattugiato apporta proteine e grassi quanto basta per un buon equilibrio nutrizionale complessivo.
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ANIMAZIONE VIRTÙ E DIFETTI: DIETE CELEBRI ALLA PROVA DELLA SCIENZA INQUADRA LA PAGINA CON LA APP
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PIZZA È il simbolo della cucina italiana, ma, come osserva Enzo Spisni, «in realtà non fa parte della vera tradizione. 100 anni fa il consumo era limitato e certo meno diffuso nell’area del Mediterraneo rispetto a quello di cous cous o paella». Detto ciò, dal punto di vista nutrizionale una pizza margherita è un buon cibo, completo di carboidrati dai cereali (meglio se integrali), proteine dal formaggio e antiossidanti e fibre dal pomodoro.
È
una delle pochissime diete a vantare il “bollino” della scienza: migliaia di ricerche l’hanno consacrata come il regime alimentare più sano, il migliore per vivere a lungo e in salute. È stata battezzata dieta mediterranea negli anni ’50 da un medico statunitense, Ancel Keys, che si accorse come greci, italiani, spagnoli avessero meno guai cardiovascolari rispetto ai nordeuropei o agli americani. E forse un tale stile alimentare non poteva nascere che qui, sulle sponde di un mare pescoso e ben più tranquillo da solcare rispetto a un oceano, in un clima temperato che favorisce l’agricoltura e ha creato nei millenni “un insieme di competenze, conoscenze, riti, simboli e tradizioni, che vanno dal paesaggio alla tavola”, per dirla con le pa-
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role dell’Unesco che nel 2010 l’ha definita patrimonio mondiale dell’umanità. Una specie di miracolo della storia e della geografia applicato alla buona tavola insomma, ma che cosa rende così benefica la dieta mediterranea? Abbandonando la poesia delle tradizioni, è nella fredda chimica di pasta e fagioli, zuppe di pesce e paella che si nasconde il suo segreto? POTENZA DELL’INSIEME In parte è così, anche se la dieta mediterranea è un classico esempio in cui l’effetto complessivo è superiore a quello della somma delle parti. Al di fuori dei gustosi mix tipici della cucina tradizionale, i nutrienti che la caratterizzano sarebbero infatti assai meno utili e in qualche caso perfino dannosi, se estratti
Ma anche lenticchie, ceci, piselli, fave, cicerchie: i tantissimi legumi coltivati in Italia, protagonisti di innumerevoli ricette, sarebbero una delle principali fonti di proteine, se tornassimo alla dieta mediterranea delle origini, perché ricchi di preziosi aminoacidi. Non è l’unico motivo per portarli in tavola: a fronte di un apporto calorico basso contengono infatti anche tante fibre solubili (che
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Uova Le galline erano gli animali più diffusi nei cortili dei nostri nonni e le uova una delle fonti proteiche principali insieme alla carne di pollo, che però arrivava in tavola meno spesso: le uova contengono proteine nobili associate a grassi (per il 45% saturi, per il resto mono e polinsaturi), sali minerali e vitamine, soprattutto la vitamina A. Vengono però “guardate storto” perché nel rosso c’è un bel po’ di colesterolo, circa 300 milligrammi per etto; tuttavia, come spiega
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Fagioli
Tutto grazie a un grande apporto di grassi polinsaturi “buoni” omega-3 e omega-6 in un ottimo equilibrio. «La frutta secca non va temuta per il suo contenuto calorico: la quantità prevista è solo 30 g al giorno e si tratta di calorie colme di nutrienti benefici, che non si traducono in ciccia. Anche in una dieta ipocalorica, la frutta secca non pregiudica i risultati», dice il nutrizionista Enzo Spisni. 2/3 PORZIONI A SETTIMANA regolano i livelli di colesterolo e glicemia) e insolubili (che favoriscono il transito intestinale), vitamine (soprattutto quelle del gruppo B) e sali minerali come ferro, fosforo, potassio, magnesio. Un mix eccellente, “condito” con un potere saziante considerevole, che li rende perfetti per mangiare un po’ meno di tutto il resto e controllare così più facilmente il peso.
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Noci, nocciole, mandorle, pistacchi, pinoli (non le noci di macadamia o le arachidi, che in realtà sono legumi) sono tipici del Mediterraneo e consumarli regolarmente riduce il rischio cardiovascolare, l’infiammazione generale, perfino la probabilità di infezioni, come hanno dimostrato numerosi studi fra cui l’europeo Predimed sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari.
1 PORZIONE AL GIORNO
4/5 PORZIONI A SETTIMANA Enzo Spisni, «oggi sappiamo che non è il colesterolo alimentare a far male, quel che conta è ridurne la sintesi da parte del fegato, e ci si riesce con una dieta equilibrata ricca di fibre e antiossidanti. Il colesterolo inoltre è dannoso in circolo soprattutto se è ossidato e l’uovo è ricchissimo di carotenoidi che ne impediscono l’ossidazione: non va perciò demonizzato e la dose di quattro uova a settimana indicata nella dieta mediterranea è del tutto ragionevole».
A funzionare non sono i singoli nutrienti ma il mix di alimenti che compongono questa dieta straordinaria dai cibi e introdotti come tali. Basti pensare al beta-carotene di albicocche, peperoncini e simili che, messo alla prova come integratore, non solo ha dimostrato di non proteggere dai tumori come si sperava, ma può perfino aumentare il pericolo di ammalarsi se a prenderlo sono i fumatori (lo hanno provato diverse indagini). Per il piacere del palato ma anche per la salute, quindi, è assai meglio portare in tavola un menù mediterraneo evitando le pillole, anche perché, come spiega Enzo Spisni, docente di fisiologia della nutrizione dell’Università di Bologna, «i nutrienti responsabili dell’efficacia di questo regime alimentare sono tanti. I carboidrati, per esempio, nella dieta mediterranea arrivano dai cereali integrali, spesso in chicco come orzo o farro: sono quindi ricchi di vitamine e soprattutto fibre, che
non sono eliminate coi processi di molitura e abbassano l’indice glicemico (il picco di zuccheri nel sangue dopo i pasti, da tenere basso per non sballare il metabolismo, ndr). I grassi per lo più sono quelli “buoni” monoinsaturi dell’olio d’oliva, il quale, abbondando di antiossidanti, è un vero cibo anti-età, oppure della frutta secca o del pesce: veri scrigni di grassi polinsaturi altrettanto benefici, mentre nei menù mediterranei scarseggiano i grassi saturi di origine animale. Anche le proteine sono soprattutto vegetali, dai legumi: non dimentichiamo che la dieta mediterranea vera è quella studiata in arzilli vecchietti di metà del secolo scorso, che quindi hanno vissuto gran parte dell’esistenza senza avere a disposizione un frigorifero. Latte e formaggi non si potevano conservare a lungo e non si man-
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Frutta secca
PASTA E FAGIOLI
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È l’emblema del piatto “perfetto” previsto dalla dieta mediterranea: il mix di cereali, meglio se integrali, e legumi porta in tavola un sostituto ideale della carne, con un profilo nutrizionale analogo alla bistecca dal punto di vista delle proteine (gli aminoacidi essenziali che mancano in fagioli e simili si trovano infatti nei cereali) ma più sano perché privo di grassi saturi.
Frutta e verdura, molto varie e abbondanti sulle nostre coste, si consumavano ben mature
giavano certo tutti i giorni, tantomeno la carne rossa che era un cibo di lusso: le proteine animali arrivavano da pollo, uova e soprattutto pesce. La dieta del resto si chiama mediterranea perché è quella delle coste, dove era più economico uscire a pesca che allevare mucche o maiali». Era insomma un’alimentazione povera, in cui si portava in tavola quel che ci si guadagnava letteralmente col sudore: lo zoccolo duro della dieta erano le verdure e la frutta dell’orto, ricchissime di vitamine e antiossidanti anche perché mangiate nella stagione di perfetta maturazione.
SEMPRE IN MOVIMENTO Oggi dobbiamo tenere a mente la raccomandazione del ministero della Salute di consumare vegetali di cinque colori, allora veniva spontaneo fare il pieno di antiossidanti come le antocianine dei vegetali blu e viola, la clorofilla e la luteina di quelli verdi, i flavonoidi e i carotenoidi di frutta e verdura gialla e arancione, il licopene dei prodotti rossi o il selenio e i composti solforati degli ortaggi bianchi e dei funghi. Micronutrienti fondamentali che, come spiega Spisni, «tutti assieme, nel mix delle ricette mediterranee, hanno potenti effetti immunomodulanti e anti-età, ovvero aiutano a invecchiare in salute: oggi l’aspet-
È il cibo mediterraneo per eccellenza, pieno di sostanze chimiche ottime per la salute: oltre ai grassi monoinsaturi, che costituiscono il 75% dei grassi presenti (il resto sono una piccola quota di insaturi, circa il 9%, e un po’ di saturi), è ricchissimo di vitamina E, uno dei migliori antiossidanti disponibili, e di polifenoli. I dati dello studio europeo Predimed hanno dimostrato che proprio grazie a questi composti il consumo quotidiano di olio riduce del
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30/40 ML AL GIORNO 30% il rischio di malattie cardiovascolari. Francesco Violi, del Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche dell’Università La Sapienza di Roma, ha inoltre verificato che l’olio può essere perfino un buon anti-diabetico, grazie a una sostanza identificata in olive e foglie, l’oleuropeina, che si comporta in modo simile alle incretine e consente di tenere bassi i picchi di glicemia dopo i pasti.
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Olio di oliva
tativa di vita è aumentata, ma l’età media a cui cominciano gli acciacchi è bassa, appena 56 anni. I nostri nonni, che seguivano la vera dieta mediterranea, erano sani assai più a lungo, anche perché oltre a mangiar bene non erano sedentari, dovevano faticare per procurarsi il cibo. Alla chimica degli alimenti della dieta mediterranea vanno infatti aggiunte le miochine, sostanze antinfiammatorie prodotte dai muscoli in movimento». Le individuò circa vent’anni fa Bente Pedersen, del Copenhagen Muscle Research Centre danese, scoprendo che, quando facciamo esercizio, nel tessuto muscolare si “accendono” geni che portano alla sintesi di citochine: queste hanno effetti positivi su tutto l’organismo portando, per esempio, a un miglior controllo della glicemia, del grasso corporeo e della salute di ossa e muscoli stessi. «La dieta mediterranea poi abbonda di spezie», aggiunge Spisni. «Le piante aromatiche che crescono nei nostri territori si stanno dimostrando utilissime per mantenere in
ZUPPA DI PESCE
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Oggi è un piatto da ristoranti chic, ma fino a qualche decennio fa era un cibo povero, perché il pesce costava molto meno della carne: sulle coste uscire a pesca era meno dispendioso di allevare animali da cortile per mangiarli, così la zuppa era spesso nel menù. Oltre alle verdure dell’orto ci finivano pesce azzurro, molluschi, crostacei di ogni genere: tutto il pescato, per un pieno di proteine nobili ad alta digeribilità e grassi polinsaturi omega-3.
salute la flora batterica intestinale, e grazie a questo sono in grado di ridurre nell’organismo l’infiammazione generale». DOLCI PERFETTI Ricercatori dell’UCLA Center for Human Nutrition hanno scoperto infatti che sette spezie ben presenti nelle ricette di Italia e dintorni hanno effetti prebiotici, ovvero sono il “cibo” prediletto dai batteri buoni dell’intestino: origano, rosmarino, salvia e simili perciò non sono semplici insaporitori, ma un mezzo per garantirsi un microbiota intestinale in cui i batteri “cattivi” siano in minoranza. Grazie alle spezie, inoltre, la dieta mediterranea delle origini, per quanto frugale, è appetitosa e per nulla punitiva, tant’è che c’è spazio pure per il dessert: la frutta. Un dolce perfetto, perché gli zuccheri sono associati naturalmente “all’antidoto” che li rende innocui, cioè le fibre: rallentando l’assorbimento dei glucidi, evitano infatti il picco di glicemia che avremmo invece con biscotti o torte, e che spianerebbe la strada ad alterazioni metaboliche e diabete. La dieta perfetta in fondo ruota proprio attorno alle fibre, abbondanti in tutti i cibi alla base della piramide mediterranea: cereali integrali,
verdura, frutta e legumi contengono infatti tante fibre solubili, che, stando a studi dell’Università dell’Illinois, hanno effetti antinfiammatori sull’intestino e perfino sul cervello (oltre a essere cibo per i batteri intestinali “buoni”), e fibre insolubili, che migliorano la funzionalità intestinale contribuendo anche al controllo del peso. Ma il vero segreto della dieta mediterranea è nei piatti unici, un mix portentoso di sostanze benefiche che si potenziano l’un l’altra: «In Italia, Grecia, Spagna, Marocco la cucina tradizionale è a base di piatti poveri che però contengono tutti i nutrienti essenziali in proporzioni perfette: pasta e fagioli, cous cous o paella hanno in comune una base di cereali a cui si aggiungono spezie, verdure e legumi, in alcuni casi pesce oppure carne in piccolissime quantità. Il risultato sono piatti gustosi, saporiti e soprattutto completi, con un profilo nutrizionale ideale», conclude Spisni.
Perfino le nostre spezie sono salutari: origano e salvia sfamano i batteri “buoni” dell’intestino
Il succo dell’uva è nella tradizione di tutti i popoli mediterranei. Dagli anni ’60 si ipotizza anche che sia responsabile del paradosso per cui i francesi, pur mangiando molti formaggi e cibi grassi, non hanno un rischio di patologie cardiovascolari elevato quanto si potrebbe supporre: sarebbe merito dell’antiossidante resveratrolo, contenuto delle bucce dell’uva. Oggi però si è capito che per ottenere da questa sostanza gli effetti benefici osservati negli esperimenti ne occorrerebbero dosi incompatibili
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1 - 2 BICCHIERI AL GIORNO con un consumo ragionevole di vino. Infatti, come spiega il nutrizionista Enzo Spisni, «l’alcol ha effetti tossici, per cui è indispensabile berlo con moderazione (non oltre un bicchiere al giorno per le donne, due per gli uomini, ndr). Per di più oggi la modalità di vinificazione è diversa dal passato, quando si usavano anche per i bianchi le bucce dell’uva e non si aggiungevano solfiti. Il consumo se moderato e saltuario non è un problema, ma non va incoraggiato con la “scusa” del resveratrolo».
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Vino