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GIORGIO CAGNOTTO
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GRAZIA GIORGIO CAGNOTTO
Giorgio Cagnotto parla al telefono durante una «pausa nonno». Sua figlia Tania, campionessa di tuffi come lui, lo scorso marzo ha avuto la sua seconda bambina, Lisa, dopo essere diventata mamma di Maya, nel 2018. Lui, 74 anni, due medaglie d’argento e due di bronzo, insieme con l’amico-antagonista Klaus Dibiasi (si conoscono dal 1957) ha “inventato” la scuola dei tuffi in Italia. Oggi è il coordinatore tecnico della Federazione nuoto, dopo aver vinto molto altro come allenatore di altri atleti, fra i quali sua figlia e Francesca Dallapé che, insieme, si aggiudicarono un argento nei tuffi sincro alle Olimpiadi di Rio del 2016. «Volevano provare a qualificarsi, poi è arrivato il Covid, il rinvio dei Giochi, Tania è rimasta incinta. Insomma, quest’anno le Olimpiadi le seguirò da casa. È stato il destino».
La sua prima Olimpiade è stata proprio a Tokyo nel 1964.
«Avevo 17 anni, ma era come se ne avessi avuti 13. La mia partecipazione fu una sorta di premio che il Coni mi aveva concesso per i risultati ottenuti a livello nazionale. Klaus Dibiasi, all’epoca, era già un atleta affermato e, infatti, vinse l’argento. Io nulla, arrivai decimo».
Che ricordi ha?
«Intanto la piscina. Noi eravamo abituati ad allenarci all’aperto. A Torino c’era un solo impianto coperto, ma era una specie di grossa vasca da bagno, sempre piena di genitori e bambini. Non avevamo mai visto una piscina olimpionica, ci sedemmo sulle tribune a guardarla increduli. E mi ricordo il terremoto, con tutti che scappavano dalle casette del villaggio olimpico, e la tecnologia all’avanguardia. Comprai una macchina fotografica che in Italia era futuristica. Inoltre, dopo le gare, ci mandarono, come premio, a visitare Kyoto su un treno che viaggiava a circa 300 chilometri all’ora. A noi, abituati a viaggiare nei vagoni con le galline, sembrava di stare in aereo».
Quanto è cambiato il mondo dell’agonismo?
«Allora era un po’ un gioco. Finita la scuola, passavo i tre mesi estivi allo stadio del nuoto di Torino, erano le mie vacanze. Non sono un nostalgico, ma io mi divertivo, mentre per gli atleti di adesso la fatica è tanta e non c’è tempo per nessuna distrazione. Noi, dopo le gare, potevamo andarcene in giro, fare qualche “scematina”. Oggi gli allenamenti sono costanti, si fa tantissima palestra, potenziamento e occorre una grande specializzazione. Anche se fisicamente ero più predisposto per il trampolino da tre metri di altezza che per la piattaforma da dieci, ho
sempre gareggiato in entrambe le specialità. Adesso una cosa del genere è impensabile».
Lei è alto un metro e 63. Il fisico compatto l’ha aiutata?
«Sono piccolo ma, come dico io, sono un longitipo. Ho gli arti lunghi». GIORGIO CAGNOTTO CON LA FIGLIA TANIA, 36 ANNI, NEL 2015 QUANDO LA CAMPIONESSA VINSE NEI TUFFI Lati positivi e negativi di allenare la propria figlia? LA MEDAGLIA D’ORO AI MONDIALI DI NUOTO IN KAZAN. «Fino ai 7, 8 anni è stata mia
LEI HA COLLEZIONATO DUE MEDAGLIE OLIMPICHE. moglie (Carmen Casteiner, anche lei campionessa di tuffi, ndr) a seguire Tania. Ma essere la madre che la obbligava a fare i compiti e l’allenatrice era troppo. Il nervosismo, a casa, era diventato intollerabile. Così le ho detto: “Dividiamoci i compiti, mi occupo io della preparazione in piscina”. Quando Tania è diventata un po’ più grande, qualche discussione l’abbiamo avuta. Per esempio, quando voleva andare a ballare in discoteca e a me toccava andarla a prendere. Ma sono cose che capitano in tutte le famiglie».
Quanto conta la genetica e quanto l’esempio?
«Né io né mia moglie l’abbiamo spinta all’agonismo. Tania aveva una predisposizione naturale. Era bravissima anche a sciare, ma non le andava perché soffriva il freddo. In piscina, invece, si divertiva con le sue amiche. Forse ha preso il coraggio della mamma che si tuffava senza esitazioni da 10 metri e la potenza muscolare da me».
Che cosa si prova un attimo prima di lanciarsi da quell’altezza?
«Nonostante abbia persino vinto una medaglia di bronzo, a Monaco nel 1972, la piattaforma non mi è mai piaciuta proprio perché non mi andava la sensazione di stare in bilico lassù».
Invece, al trampolino ha sfiorato la medaglia d’oro due volte. Colpa di errori dovuti all’emotività, quelle che lei chiama le “cagnottate”?
«A Monaco ho fatto una stupidaggine, posso dire di aver perso l’oro. Invece, nel 1976, a Montréal, posso dire di avere vinto l’argento. Phil Boggs era più forte di me».
A proposito di Monaco, quella fu l’edizione dell’attacco terroristico palestinese contro gli atleti israeliani nel villaggio olimpico. Lei c’era quando è successo?
«Avevo giusto finito le gare ed ero andato a festeggiare. Quando siamo tornati, abbiamo trovato una confusione enorme. Tra l’altro, gli alloggi degli italiani e degli israeliani erano vicini. Ma che cosa fosse accaduto davvero l’abbiamo capito solo il giorno dopo».
Come sarà guardare l’Olimpiade in tv?
«Strano. Ma, del resto, tutto ha una fine». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA
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