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NOVELLA CALLIGARIS
GRAZIA NOVELLA CALLIGARIS
Èstata la prima atleta del nuoto italiano a vincere una medaglia olimpica. Un argento e due bronzi a Monaco 1972, e a quelle Olimpiadi esplose la sua popolarità: Novella Calligaris, minuta nel suo metro e 67 per 48 chili, non ancora 18enne, immancabilmente fotografata vicino alle gigantesche nuotatrici della Germania Est, divenne la stella dello sport italiano. Una carriera breve, la sua, ma dai 13 ai 20 anni vinse 71 titoli individuali. Oggi è presidente dell’Associazione Atleti Azzurri e Olimpici d’Italia e dal 1975 fa la giornalista sportiva. Prima che racconti gare e personaggi di Tokyo 2021 come inviata di RaiNews 24,
Grazia l’ha intervistata.
Che cosa ricorda delle sue Olimpiadi?
«Quelle di Città del Messico 1968 furono per me come
Disneyland: a 13 anni per la prima volta incontravo atleti di tutto il mondo. A Monaco arrivavo con record europei, ero l’unica da finale, ricordo che la pressione su di me era forte: ma l’allenatore Bubi Dennerlein fu bravo nel proteggermi. E io, con una sorta di training autogeno, mi isolavo da tutto. Bubi mi aveva preparato anche prima, però: mi aveva portato in Germania Est per abituarmi allo stile delle tedesche e all’idea di esserne sconfitta».
La differenza fisica con quelle atlete, che si credeva fossero dopate, era impressionante.
«A chi chiede che restituiscano i premi olimpici dico che erano vittime di un sistema. Dopo anni alcune sono morte, altre hanno avuto tumori o figli deformi. A loro restano solo le medaglie; noi, invece, abbiamo la vita».
Come affrontava, da 13enne, sacrifici e rinunce?
«Non ne facevo. La domenica uscivo con gli amici. E in settimana mi allenavo in una società sportiva all’avanguardia, creata dalla famiglia Grassetto: un college con clubhouse, tutor, bus che ci venivano a prendere per gli allenamenti. Era la Padova degli anni di piombo e della droga. I genitori erano contenti che frequentassimo quell’isola felice. Sono ancora in contatto con le amiche di quel periodo. Niente rinunce, semmai qualche sorpresa esterna: la stampa, che mi fotografava fuori da scuola, e i paparazzi intrufolati alle feste alle quali andavo».
Poi arrivò Monaco 1972, le Olimpiadi della fama. E del blitz anti-Israele. Dov’era quella notte?
«Al Villaggio Olimpico le palazzine degli atleti erano in ordine alfabetico, l’italiana era vicino all’israeliana, ma le donne alloggiavano in villette più lontane. Io dormivo con la mia amica Chicca Stabilini, il giorno dopo volevamo procurarci i biglietti per le gare d’atletica. Quella notte
Chicca mi svegliò: c’era stato uno scoppio. La mattina andammo alla palazzina italiana, per cercare quei biglietti: c’era gran confusione. Non ci videro salire al quarto piano. Da lì, a pochi metri da noi, scorgevamo persone mascherate, ma noi non capivamo che cosa stesse succedendo. Poi due guardie tedesche, vedendo che davamo notizie ai piani di sotto, con il citofono, ci portarono via. Solo all’aereoporto realizzammo: una nuotatrice israeliana che conoscevamo bene piangeva disperata: il fidanzato era tra gli 11 uccisi».
Lei si ritirò non ancora ventenne.
«M’interessava fare altro. E poi, con il mio carattere libero, forse avrei avuto difficoltà con i paletti e i doveri che sarebbero arrivati dopo nello sport: sponsor, interviste, social».
Le nostre atlete non sono professioniste. Firmano, come dilettanti, scritture private senza tutele assicurative e contributive, spesso con clausole anti-maternità. Che cosa si può fare per la parità di genere sportiva?
«Gli azzurri a Tokyo sono quasi pari: 171 atleti e 169 atlete. Questa è la prima volta e fa ben sperare. Il passaggio al professionismo, per entrambi, dopo il Covid è complesso: molte associazioni sportive, in cattive condizioni, non riapriranno. Regolarizzare ora il professionismo femminile causerebbe ulteriore crisi: è giusto, ma va fatto per gradi. Intanto, per le atlete in maternità, c’è un fondo di solidarietà. Sulla parità economica, concordo che le donne siano pagate come gli uomini che valgono come loro. Ma nello sport è il mercato che fa il prezzo di un atleta, uomo o donna: cioè quanto il suo personaggio attira gli sponsor. Ciò che è urgente è la battaglia perché sport e scuola siano sinergici. E lo sport diventi un diritto previsto dalla Costituzione: ispirando e abituando i giovani al rispetto delle regole, è una forma importante di educazione a qualunque sfida della vita. E un Paese in cui, accanto al diritto all’istruzione, c’è quello all’educazione sportiva, risparmia in sanità».
In quali discipline potremo dare molto a Tokyo?
«L’arrampicata, lo skate e il surf hanno belle carte da giocare. Ma ci possono essere belle sorprese in tutti gli sport della nostra squadra».
Chi sono oggi le rivali delle nuotatrici azzurre?
«In Giappone c’è il mondo intero. Chiunque: chiunque può fare un exploit e va temuto. Io stessa nel 1972 non ero candidata al podio. E Federica Pellegrini ad Atene 2004 vinse un argento quasi da sconosciuta. Le Olimpiadi sono gare secche: le vinci quel giorno, a quell’età, e nel momento in cui i tuoi avversari non sono in stato di grazia». ■
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