Focus Storia 199 - maggio 2023

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MENSILEAUT 10,00 €BE 9,60 €D 12,00 €PTE CONT. 8,70 €E 8,70 €USA 13,80 $CH 11,50 ChfCH CT 11,30 Chf Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona � 4,90 IN ITALIA TRUCCHI DI GUERRA Carri armati gonfiabili, soldati fantoccio... così gli Alleati ingannarono i tedeschi ALLIEVO MODELLO Cecco del Caravaggio posò per il grande pittore, studiò con lui e forse ne fu l’amante GIALLI & MISTERI 199 21 APRILE 2023 MAGGIO 2023 JANE STANFORD Ricchissima ma generosa, fu avvelenata due volte (la seconda con successo). Da chi?
pirati
Verità e bugie su un popolo che seminava il panico ovunque sbarcasse VICHINGHI St
SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE
I
venuti dal freddo
ria

Storia

Per i poveri monaci di Lindisfarne che l’8 giugno 793 sperimentarono la furia dei Vichinghi fu terrore allo stato puro. A quella incursione (la prima di grande portata) ne seguirono altre, e altre ancora. Quei guerrieri grossi e urlanti piombavano all’’improvviso sulle coste, rubavano, rapivano, uccidevano e riprendevano il largo. Tennero in scacco buona parte dell’Europa in un’epoca (VIII-X secolo) in cui la vita era già piuttosto complicata. Per questo ancora oggi associamo ai Vichinghi un profilo di rozza ferocia che in realtà la storiografia ha in buona parte rivisto. Senza negare incursioni e razzie (attività, va detto, cui indulgevano comunque tutti i soldati del passato) i documenti ci dicono che questi popoli del Nord sotto alcuni aspetti erano più “civili” di molti loro contemporanei. Intanto si lavavano e si cambiavano con regolarità, poi rispettavano le donne (le loro, beninteso), vivevano il sesso con allegria, prendevano le decisioni in modo democratico. E immaginarli nei loro villaggi intenti a farsi la barba o il bucato, li rende quasi simpatici.

Emanuela Cruciano caporedattrice

I VICHINGHI

28 Falsi miti

Le dicerie sul loro conto hanno distorto spesso la verità storica.

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Furore dal Nord

In tre secoli gli scandinavi dilagarono in Europa. Riscrivendone la storia.

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Navigare con un dreki

Come affrontarono il Mare del Nord, il Mediterraneo e i grandi fiumi.

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Marinai provetti

I più avventurosi dalla Scandavia si spinsero fino al Nord America.

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Sulle rotte degli knarr

Il commercio li portò ovunque, a bordo dei loro mercantili.

48

Benvenuti al Sud

A caccia di tesori e terre, i Normanni conquistarono il Sud d’Italia.

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Un giorno al villaggio

Case di paglia e legno, niente letti e al lavoro fin da piccoli...

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Quello che resta

L’epopea vichinga nei musei e nei siti archeologici dei Paesi del Nord.

In copertina: un vichingo all’attacco.

16 GIALLO STORICO

Chi ha ucciso

Jane Stanford?

Indagine postuma sulla morte della dispotica fondatrice della Stanford University, avvelenata due volte.

22 PERSONAGGI

L’allievo modello

Cecco del Caravaggio, modello preferito del genio lombardo, fu il suo seguace più brillante. E misterioso.

66 ESPLORAZIONI

Il Polo della discordia Rivalità e “sgambetti” che nel 1928 resero l’impresa di Umberto Nobile sull’Artico una tragica avventura.

74 BATTAGLIE

L’esercito fantasma

La finta armata che aiutò gli Alleati a vincere la Seconda guerra mondiale.

80 PORTFOLIO Come nasce un’icona

L’Orient-Express inaugurò la linea ParigiIstanbul nel 1883. Una mostra sul “dietro le quinte” del famoso treno di lusso.

86 MEDICINA

Il brutto male

Il cancro è da sempre una malattia temuta e poco trattabile. Ecco come i medici di ogni epoca l’hanno affrontato.

92 SECONDA GUERRA MONDIALE Sangue innocente

Dopo l’Armistizio del 1943, la violenza nazifascista si accanì sui civili per seminare il terrore.

IN PIÙ...
Maggio 2023 199 4 LA PAGINA DEI LETTORI 6 NOVITÀ & SCOPERTE 8 TRAPASSATI ALLA STORIA 10 UNA GIORNATA DA... 12 MICROSTORIA 14 NEL PIATTO 61 COMPITO IN CLASSE 64 CURIOSO PER CASO 98 AGENDA RUBRICHE
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Il Marinaio di Bergen (Norvegia).
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Cosimo I de’ Medici fu duca di Firenze, duca di Siena e infine granduca di Toscana. «Basterebbe questa sequenza di titoli nobiliari per fare capire chi era», dice lo storico medievalista Franco Cardini nella puntata dedicata a questo personaggio su

Storia in Podcast. Cardini mette subito in guardia gli ascoltatori: «Attenzione a non confonderlo con l’altro Cosimo, che noi fiorentini chiamiamo Cosimo il Vecchio, che era il nonno di Lorenzo il Magnifico». Cosimo I de’ Medici (1519-1574) era invece del ramo cadetto

della dinastia medicea e, di Lorenzo, era nipote per parte di madre. Era però anche l’intraprendente figlio di Giovanni dalle Bande Nere che era stato uno strenuo difensore di Firenze. Quale fu dunque il suo ruolo? A portata di cuffie. Per ascoltare i nostri podcast

(dalle biografie di personaggi ai grandi eventi storici) basta collegarsi al sito della nostra audioteca storiainpodcast. focus.it. Gli episodi –disponibili gratuitamente anche sulle piattaforme online di podcast – sono a cura del giornalista Francesco De Leo.

Un momento delle celebrazioni per la Pasqua ebraica (Pesah) a Gerusalemme.

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rispondere alla sua giusta domanda chiarendo che il calendario ebraico è lunisolare, ha cioè una base sia lunare sia solare. In pratica ciò significa che il calendario ebraico segue un anno di dodici mesi lunari, di cui ognuno conta 29 o 30 giorni (ossia 354 giorni). Ma siccome le festività ebraiche seguono le stagioni agricole dell’anno solare (che conta invece 365 giorni) e devono cadere nella stagione giusta, bisogna colmare la differenza di 11 giorni tra anno lunare e solare. Si aggiunge quindi un tredicesimo mese sette volte ogni 19 anni. Nel calendario gregoriano

(introdotto nel 1582 da papa Gregorio XIII) si aggiunge un giorno in febbraio ogni quattro, il famoso anno bisestile. Ultimo dettaglio: lo Shabbat, e tutte le feste religiose, iniziano al tramonto.

Focus Storia n° 197, pag. 67, abbiamo scritto erroneamente che Bernardo di Chiaravalle fu il fondatore dei Templari. In verità i Templari furono fondati nel 1119 da Hugo de Pains, un cavaliere francese; Bernardo di Chiaravalle ne appoggiò la nascita

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I NOSTRI ERRORI

e partecipò alla scrittura di alcune regole.

Focus Storia n° 198, pag. 98, abbiamo scritto erroneamente che Gabriele d’Annunzio è nato l’11 marzo 1823, mentre la data esatta è 12 marzo 1863.

SPECIALE
SYGMA VIA GETTY IMAGES
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Chi ha ucciso Jane Stanford?

La dispotica fondatrice dell’università di Palo Alto fu avvelenata due volte e fuggire alle Hawaii non la salvò dalla stricnina. Un libro cerca di fare chiarezza.

Simone La mecenate Jane Elizabeth Lathrop Stanford (1828-1905), qui in una foto del 1900, e la sua casa di Palo Alto, dove nel 1887 sorse l’università. A destra, il campus in un manifesto dell’epoca. Jane Stanford
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STANFORD UNIVERSITY SLIDE COLLECTION

Il colpevole è il maggiordomo, secondo la classica formula del giallo all’inglese: “The butler did it” Ebbene, nel nostro cold case non ci andremo troppo lontano. Gli elementi di questo noir rimasto irrisolto sono: un’anziana milionaria vissuta durante la Gilded Age, l’epoca d’oro americana, tra ’800 e ’900, la politica spregiudicata, i soldi fatti con i monopòli, un figlio perduto troppo presto e un dolore colmato con le sedute spiritiche. A questi ingredienti aggiungiamo lo scenario da sogno in cui si svolsero i fatti: grandi ville candide affacciate sulla baia di San Francisco e hotel in stile coloniale alle isole Hawaii. Concludiamo con il dettaglio più curioso: Jane Elizabeth

Lathrop Stanford (1828-1905) fu avvelenata con la stricnina non una, ma due volte. Ultimo ma non meno importante tassello, l’ambiente dove i protagonisti di questo giallo molto intricato si muovevano.

Jane era una donna importante: fu lei, con il marito Leland, a fondare la Stanford University, la prestigiosa università di Palo Alto che, tra ex studenti e membri delle sue facoltà, vanta 36 premi Nobel. E si tratta dell’ateneo dove si sono formati molti geni della Silicon Valley. Alle origini di questo tempio del sapere scientifico c’era dunque una dama ricca e colta, appassionata d’arte, potente e autoritaria. Chi le somministrò il veleno? Ma prima di provare a risolvere il giallo bisogna partire dalla prematura fine di un adolescente.

IL PREDESTINATO. Si chiamava Leland Stanford jr. e aveva 15 anni. Era un ragazzo fortunato, solo erede di una fortuna immensa. Come ogni figlio unico era viziato, ma i giochi di cui mamma e papà lo ricoprivano non erano

balocchi, bensì reperti di arte antica. Fin da bambino Leland era stato infatti un collezionista, uno dei più importanti d’America. I genitori lo portavano ogni anno in giro per l’Europa per fargli conoscere la culla della civiltà, i musei più importanti e i vasti giacimenti culturali che il Vecchio continente poteva offrire come trastullo alla mente sveglia e fertile di un predestinato. E a ogni viaggio la collezione di antichità del ragazzo cresceva. Aveva trascorso interi pomeriggi nell’ala egizia del Louvre, copiando geroglifici e imparando a decifrarli con l’aiuto del famoso egittologo Georges Daressy. Nelle case d’asta aveva acquistato monete antiche, vasi greci e altri reperti con piccole somme che gestiva con una contabilità rigorosa. Ad Atene nel gennaio 1884, con la neve alta, Leland Jr. aveva insistito per visitare i templi e incontrare Heinrich Schliemann, l’uomo che aveva portato alla luce Micene e Troia.

MORTE A FIRENZE. Forse si ammalarono in Grecia. Ma la famiglia Stanford si trovava in Italia quando Leland fu colpito dalla febbre tifoide e tutti i soldi del mondo non servirono a salvarlo. La mattina in cui il ragazzo morì all’Hotel Bristol di Firenze, il 13 marzo 1884, Leland e Jane Stanford giurarono l’uno all’altra che sarebbero diventati i genitori d’America. A chiederglielo era stato il loro figliolo dall’oltretomba. Sembra infatti che Mr. Stanford, a sua volta malato dopo aver tanto pregato e dopo aver inutilmente applicato per due settimane impacchi freddi sulla fronte del ragazzo, si fosse appisolato esausto, quasi in uno stato di trance, avendo una visione del giovane Leland che gli consegnava un lascito: “Padre, non dire che non hai niente per cui vivere... Vivi per il bene dell’umanità”

Gli Stanford cercavano soltanto un modo per sopravvivere al dramma, visto che l’età non avrebbe consentito loro di avere altri figli. Jane era già stata una primipara attempata quando,

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MONDADORI PORTFOLIO

dopo 18 anni di vane speranze, era riuscita a concepire. Al momento della morte dell’adorato figlio lei aveva 55 anni, Leland 60. Lo avevano cresciuto con attenzione invogliandolo in tutti i modi a coltivare la passione per il bello, fornendogli stimoli culturali e saperi, adesso avrebbero fatto la stessa cosa con altri ragazzi: “I bambini della California saranno i nostri figli”, dissero.

UNA MISSIONE. Nulla distolse gli Stanford da loro obiettivo. Il 14 maggio del 1887, nel 19° anniversario della nascita di Leland Jr., posarono a Palo Alto la prima pietra dell’università: sarebbe sorta sulla tenuta di frutteti, vigneti, pascoli, stalle e piste per il trotto che il padre latifondista aveva acquistato per il divertimento del figlio, dove il ragazzo era andato a spasso sul suo pony con i cani alle calcagna, aveva pescato nel torrente, cacciato con l’arco e fatto i picnic sotto le sequoie.

Intanto Leland era stato eletto senatore e aveva assunto la presidenza di un’altra

Le sedute spiritiche

La domanda che circolava era: l’ateneo di Stanford è stato fondato durante una seduta spiritica? Nell’autunno del 1891 la medium Maud Lord Drake raccontò ai giornali che era andata così e che lei era stata l’intermediario-guida nella decisione di Jane e Leland Stanford. Dopo la morte del figlio, in effetti la coppia aveva preso parte ad alcune sedute a Parigi. Avevano poi incontrato Madame Drake a New York, davanti al tavolino a tre gambe, alla presenza degli amici, l’ex presidente Usa Ulysses Grant e sua moglie Julia. Ma fu nell’autunno 1884, mesi dopo la morte del figlio, quando i lasciti destinati all’università erano già stati definiti. Moda diffusa. Se la Drake era una truffatrice, è vero però che lo spiritualism nel mondo angloassone aveva milioni di seguaci. Si presentava come un movimento quasi religioso e prometteva di mettere in collegamento i suoi fedeli con l’aldilà. Uno degli sponsor era il fratello di Leland, Thomas Welton Stanford, distributore di macchine per cucire Singer in Australia, dove aveva fondato la Victorian Association of Progressive Spiritualists. Prese parte alla fondazione del campus e fu una forza trainante nelle attività “ultraterrene” di Jane. Il rettore Jordan scrisse nelle sue memorie che gli Stanford “furono profondamente interessati a certe fasi dello spiritualismo”. Ma nel 1891 loro smentirono dichiarando: “Nessuna influenza spiritualista ha influito la decisione”

Fu archiviata come morte accidentale, sopraggiunta a causa di un’indigestione

compagnia ferroviara e di una di navi a vapore. Gli Stanford si erano trasferiti da Sacramento a San Francisco, a Nob Hill, il quartiere più elegante, in una magione fatta costruire nel 1876 al costo astronomico di 2 milioni di dollari: era la più elegante dello Stato, si diceva, con un grande parco e circondata da un muro di basalto e granito. La villa bruciò nell’incendio seguito al terremoto del 1906, ma Jane e Leland erano già morti.

EREDITÀ CONTESA. Lui se ne andò per un attacco di cuore il 21 giugno 1893 e fu sepolto a Palo Alto. Dopo la sua morte, il governo federale fece causa all’unica erede per recuperare 15 milioni di tasse evase. Non solo, Collis P. Huntington, succeduto a Leland alla

La famiglia

Jane con il figlio Leland Jr. nel 1873. A lui è intitolata l’università di Stanford. Sotto, Leland Stanford nel 1870, anno in cui assunse la direzione della Wells Fargo.

presidenza delle ferrovie, esigeva che Jane saldasse i creditori privati della compagnia. L’eredità fu congelata e negli anni successivi la vedova usò i suoi beni personali per tenere a galla l’ateneo con appena 10mila dollari al mese. Vinta la battaglia legale nel 1898, vendette le sue azioni e staccò un generoso assegno all’università per una somma equivalente a circa un quarto di miliardo di oggi. Ordinò così la costruzione del Memorial Arch e del mausoleo dedicato alla memoria del marito, e avviò il primo nucleo del museo che doveva contenere le opere d’arte di famiglia. Nel 1905 mise a disposizione i suoi gioielli (per un valore di 500mila dollari di allora) disponendo che alla sua morte venissero venduti per finanziare

STANFORD ARCHIVES
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Leland Stanford
ALAMY/IPA

l’ateneo. Donazione che ancora oggi alimenta il fondo milionario della Jewel Society, dove affluiscono i soldi dei generosi finanziatori di Stanford destinati all’acquisizione di biblioteche (sul frontespizio dei volumi viene impresso un ex libris che raffigura Jane Stanford mentre offre i suoi gioielli ad Atena, la dea greca della sapienza).

LA PIÙ ODIATA. Tanto generosa, eppure tanto detestata. La vedova Stanford assunse il controllo dell’università con pugno di ferro. Richard White, membro emerito dell’ateneo e autore del volume Who Killed Jane Stanford? (sottotitolo: “Un racconto della Gilded Age di omicidi, inganni, spiriti e la nascita di un’università”), pubblicato dall’editore americano Norton nel 2022, ne traccia un ritratto... al veleno. White descrive una donna sgradevole e cattiva, tirannica con la servitù e le persone di famiglia e pessima con i dipendenti delle sue fattorie, che licenziava per assumere immigrati irregolari sottopagati. Una milionaria accentratrice che brandiva i suoi soldi come un randello, licenziando i docenti quando non ne condivideva le opinioni. E cercando di far entrare la religione e lo spiritismo in facoltà.

Già, perché Jane Stanford era in contatto con l’aldilà. O almeno era fortemente influenzata dai messaggi che, a suo dire, le inviavano il defunto marito e il figlio perduto. «I fantasmi gestivano l’università», scrive White. Di certo Mrs. Stanford, quando non si distraeva con le sedute spiritiche, la amministrava accentrando nelle sue mani un potere assoluto, pare anche usando l’ateneo per riciclare denaro guadagnato illegalmente. Gli storici Richard Hofstadter e Walter P. Metzger in Development of Academic Freedom in the United States (1955) hanno scritto che Jane adorava l’istituzione nascente con “l’amore imponente e intrigante che uno sfrenato istinto materno dà a un figlio unico”. Finì per scontrarsi presto con il rettore Davis Starr Jordan, intromettendosi nelle questioni accademiche. Il licenziamento di un docente venne coperto da Jordan, che si trovò a dover difendere a ogni costo l’operato della sua patronessa.

AVVELENAMENTO 1 E 2. Il possente cancello in ferro battuto della sua dimora non protesse Jane dall’odio di chi voleva liberarsi di lei. La sera

Il senatore Stanford

Leland Stanford si concesse il lusso di fondare una prestigiosa università perché poteva permetterselo. Originario di New York, nato in una famiglia di agiati agricoltori, arrivato sulla West Coast con i fratelli durante la corsa all’oro, dopo gli incerti inizi da droghiere e proprietario di saloon negli Anni ’50 dell’Ottocento, Stanford era diventato un commerciante e grossista di successo, accumulando una fortuna. Fu eletto governatore della California per il Partito repubblicano nel biennio 1862-1863. In un’epoca in cui i contorni del conflitto di interessi

erano molto più sfumati di oggi, ricoprì allo stesso tempo la carica politica e quella di presidente della Central Pacif Railroad Company. Era sempre in viaggio a caccia di fondi per espandere la rete ferroviaria attraverso la Sierra e oltre, fino a collegarla a un’altra importante ferrovia, la transcontinentale Union Pacific di Jay Gould, un altro famoso monopolista. I binari delle due ferrovie si unirono con grandi festeggiamenti il 10 maggio 1869 sulle Promontory Mountains, nello Utah, a un anno esatto da un altro “miracolo”, la nascita del figlio.

Su un piatto d’argento. Quando Leland senior era diventato padre aveva chiesto alla moglie di organizzare una cena per presentare l’erede al mondo. Fece portare in tavola un vassoio d’argento e sollevò il coperchio: disteso su un letto di boccioli c’era il neonato nudo. A raccontarlo fu la segretaria di Jane, Bertha Berner, nel suo libro del 1934 Mrs. Leland Stanford: An Intimate Account. Era una tipica storia della Gilded Age, epoca piena di promesse e di ferocia in cui i robber barons, i “baroni rapinatori”, costruivano l’America.

del 14 gennaio 1905, nella sua villa di 50 stanze a San Francisco, la vedova Stanford bevve un sorso d’acqua minerale dalla bottiglia che qualcuno le aveva lasciato sul comodino. Il liquido aveva un sapore amaro e lei si infilò due dita in gola per costringersi a vomitare. La sua assistente e la cameriera l’aiutarono a ingerire acqua calda per liberarsi. Come poi emerse da un’analisi che lei stessa commissionò, l’acqua era stata contaminata con veleno per topi.

Il fratello, chiamato al suo capezzale, invece di coinvolgere la polizia incaricò un avvocato di seguire le indagini, affidate a un investigatore privato. Jane era ormai terrorizzata dalla consapevolezza di avere un nemico mortale. Inoltre, era stremata per una affezione polmonare che non le lasciava requie. Così il 15 febbraio salpò per le Hawaii, dove confidava di rimettersi in salute. Con lei c’era la fidata segretaria, l’immigrata tedesca Bertha Berner. Scesero al Moana Hotel di Honolulu.

La notte del 28 febbraio la signora Stanford prima di andare a letto chiese a Bertha di prepararle un po’ di bicarbonato. Poco dopo le 23 urlò alla sua assistente di chiamare il medico.

La trovarono appoggiata allo stipite: si sentiva male, temeva di essere stata avvelenata di nuovo. Il medico dell’hotel arrivò in pochi minuti, ma la donna ormai stava morendo. Mentre il dottore cercava di somministrarle una soluzione, la poveretta lamentava di sentire le mascelle rigide. Cosa che confermò il dottor Humphris al coroner che lo interrogò in seguito.

L’agonia di Jane fu straziante: fu colta da uno spasmo tetanico che progredì inesorabilmente fino a uno stato di grave rigidità, con la mandibola serrata, le cosce spalancate, i piedi girati verso l’interno, le dita strette a pugno e la testa girata all’indietro. Poi smise di respirare. Il resoconto di quei momenti viene dato nel volume

The Mysterious Death of Jane Stanford (Stanford University Press), pubblicato nel 2003 da Robert W.P. Cutler, per un trentennio docente di neurologia a Palo Alto. Quella notte furono chiamati in soccorso altri medici, Humphris cercò di somministrare un

David S. Jordan

David Starr Jordan (1851-1931), ittiologo, presidente e primo rettore della Stanford University.

MONDADORI PORTFOLIO

tossicologo, compresi tre dottori che non avevano assistito la signora Stanford la notte della sua morte. Un becchino e un assistente dell’obitorio erano testimoni. Dopo tre giorni di deposizioni, ci vollero solo due minuti per concludere che Jane Lathrop Stanford era morta “per avvelenamento da stricnina, introdotta in una bottiglia di bicarbonato di sodio con intento criminale da parte di una o più persone sconosciute a questa giuria” Nel suo libro-inchiesta Cutler osserva che l’assistente Bertha Berner era l’unica persona presente a entrambi gli avvelenamenti.

Ma non era finita qui: intanto era arrivato a Honolulu anche il rettore dell’ateneo, David Starr Jordan, che prese in mano la situazione assumendo un medico locale, Ernest Coniston Waterhouse, per contestare la causa della morte. Jordan dichiarò alla stampa che la ricca patronessa era morta per insufficienza cardiaca. E questo fu riportato nelle cronache dell’epoca.

Le indagini proseguirono anche a San Francisco, ma nessuno venne mai accusato dell’omicidio. Invece, secondo Cutler, Jordan e altri organizzarono un elaborato insabbiamento per mettere in dubbio le prove mediche e accreditare le

cause naturali. C’erano in ballo oltre a un patrimonio multimilionario anche la Stanford University, quindi un processo per omicidio doveva essere evitato a tutti i costi.

Roland de Wolk, nella sua biografia American Disruptor: The Scandalous Life of Leland Stanford, del 2021, torna su un dettaglio: la segretaria personale di Jane Stanford aveva accesso diretto a entrambe le bottiglie avvelenate. Richard White, insomma, arriva per ultimo con la sua indagine, ma rimestando nelle cronache dell’epoca tira fuori un racconto avvincente della San Francisco durante la Gilded Age, con i suoi

mal pagati e le spese da saldare. Al centro di tutto questo c’era lei, la dama imperiosa, solitaria ed eccentrica che cercava di guidare il suo impero aiutandosi con le sedute spiritiche o interpretando i messaggi che le arrivavano in sogno dall’aldilà. Una donna che, secondo White, aveva una lista di nemici lunghissima.

CHI ERA STATO? A San Francisco i cronisti di nera restrinsero l’elenco dei sospetti a tre domestici che avevano avuto accesso alla Stanford: Elizabeth Richmond, una cameriera inglese presa di mira dall’investigatore privato che indagò sul primo tentativo di avvelenamento; un altro britannico, l’ex maggiordomo Alfred Beverley, legato alla Richmond; Ah Wing, il cuoco cinese che era stato torchiato dai poliziotti. Alla fine vennero tutti scagionati. Emerse il nome della Berner, che fornì una testimonianza incoerente, ma fu difesa da Jordan. Ecco, il perno di tutto, a oltre un secolo di distanza, sembra essere il presidente e rettore dell’ateneo.

Secondo Cutler, la Stanford usava i docenti per spiare il suo operato. Uno di questi, il tedesco Julius Goebel, secondo un altro professore era “un confidente, se non una spia per Jane Stanford”. Ai tempi del primo avvelenamento, la matriarca lo aveva appena incaricato di indagare su questioni universitarie, secondo Cutler. Pare che nel 1904 la fondatrice non tollerasse più il presidente dell’ateneo. Goebel sussurrava alle orecchie della patronessa che il rimedio era rimuovere Jordan. Invece fu lui a essere licenziato dal rettore dopo la morte della Stanford.

Ma alla fine, come andò? Il professor Cutler, basandosi sui referti medici e sui resoconti contrastanti dei testimoni, conclude che la donna fu sicuramente

Il gruppo scultoreo che commemora la famiglia Stanford nel campus dell’ateneo. Sopra, il Moana Hotel di Honolulu, dove morì Jane, com’era nella prima parte del XX secolo. HAWAII STATE ARCHIVES ALAMY/IPA

avvelenata e che la condotta del presidente e rettore della Stanford University, a sua volta scienziato di spicco, fu eclatante: Jordan si precipitò a Honolulu per «mettere a tacere» chi c’era. Arrivò al punto di accusare il medico dell’albergo di aver aggiunto la stricnina al bicarbonato di sodio dopo la morte della signora Stanford, e insinuò nelle autorità di Honolulu dubbi sul tossicologo, raccomandando di “tenere d’occhio le azioni e la storia passata dei due medici intervenuti al Moana Hotel”. Eppure, come sostiene Cutler, se il rettore aveva il movente, non aveva però l’opportunità, essendo arrivato sul posto a delitto compiuto.

CHERCHEZ LA FEMME! Nel suo libro, White avanza una tesi diversa: a mettere la stricnina nell’acqua fu

l’unica persona presente a entrambi gli avvelenamenti, fu l’assistente Bertha Berner. Secondo White, Bertha odiava la sua dispotica datrice di lavoro e fu coperta dal presidente Jordan, che invece aveva l’obiettivo di preservare l’onore dell’università.

Di certo la segretaria aveva l’opportunità di avvelenare la sua padrona. Sappiamo che fu la prima a scrivere una biografia della vedova, descrivendola molto amata e dedita alle azioni benefiche, ritratto che non combacia troppo con i libri successivi scritti dai professori di Stanford. Berta firmò addirittura due memoir, Incidents in the Life of Mrs. Leland Stanford, e Mrs. Leland Stanford: An Intimate Account, con dettagli sulla notte dell’avvelenamento che però cambiano da un libro all’altro. Scrisse

infatti che la sera fatale lei e Jane avevano ammirato la luna sorgere sul Pacifico. Un particolare smentito dalle carte astronomiche, secondo le quali la luna non era sorta fino alle 2:53 del mattino successivo, quando la Stanford era ormai morta da un pezzo. Prove indiziarie, però, nulla di più. Si trattava di ricordi confusi o Bertha si era involontariamente autoaccusata? «Fu interrogata», spiega Cutler, ma «non era considerata una sospettata seria. Berner sembra avesse avuto ampie opportunità, ma nessun movente ovvio».

Eppure il movente era grande come una casa: la dimora che Jane Stanford le aveva lasciato nel testamento, insieme con un lascito pari a centomila dollari di oggi. Centomila buoni motivi. Insomma non è stato il maggiordomo, ma forse ci siamo andati vicini. •

RichardWhite, professore di Stanford in pensione, finalista al premio Pulitzer e storico della Gilded Age, ha avuto il merito di ricostruire, più che il delitto, l’ambiente attorno al quale maturò. E ha dato un volto all’assassina: quello della segretaria Bertha Berner. Ma resta un’ipotesi, perché dopo le indagini dell’epoca nessuno parlò di omicidio. Ciò su cui White solleva il velo sono le sordide vicende che accompagnarono la nascita di una leggendaria istituzione accademica. Costruire un impero a quei tempi presupponeva non farsi scrupoli e il presidente di Harvard, Charles W. Eliot, insinuò allora che la Leland Stanford Jr. University fosse un tentativo di “innalzare un monumento personale mediante il buon uso di denaro ottenuto illecitamente”. Secondo White, non si sbagliava. Importanti studiosi avevano rifiutato la presidenza, e la coppia si “accontentò” di assumere David Starr Jordan, sconosciuto ittiologo dell’Indiana.

La morte di Leland, che negli affari sistemava le cose a modo suo, creò problemi enormi: ci volle un emendamento alla Costituzione della California per sancire la fondazione di quell’ateneo che secondo la legge non aveva i presupposti legali. Secondo White l’università era gestita nel caos, sotto il peso di uno statuto contorto e con finanze traballanti. Docenti e amministratori, mal pagati, erano sempre sulle barricate contro la proprietà, che si trattasse di autonomia accademica, di priorità di spesa o di amanti.

Minacce. Jane Stanford aveva fatto sapere che aveva intenzione di licenziare il presidente Jordan al suo ritorno dalle Hawaii. Ma non tornò. Quindi, forse, le complicità dietro l’omicidio furono molte. Ci fu un elaborato insabbiamento messo in atto per contestare le conclusioni delle analisi post mortem e convincere autorità e stampa

che il decesso fosse dovuto a cause naturali. A chi giovava? A tutti i beneficiari del patrimonio: la Stanford University, il suo presidente, i parenti e due dipendenti. Un processo per omicidio andava evitato a tutti i costi, poiché avrebbe potuto portare a contestare il testamento in tribunale. La zarina. Bertha Berner scrisse nella biografia della Stanford che Jane era “arrivata a governare le persone attraverso la sua ricchezza, e nessuna corona o titolo avrebbe potuto rendere il suo governo più assoluto né la realizzazione del suo potere più chiara nella sua mente”. In effetti si alienò ogni simpatia: secondo il suo più stretto consigliere, George Crothers, le sue decisioni andavano “dall’illegale all’incostituzionale, all’impraticabile e all’irragionevole”. La Stanford violava sistematicamente i diritti costituzionali dei membri della facoltà, le loro libertà accademiche, e cercava di orientare l’ateneo verso lo “sviluppo dell’anima” piuttosto che della mente, violando la legge delega dell’università che vietava ogni forma di insegnamento religioso. Quando poi, nel 1905, fu presa dal panico perché c’erano troppe ragazze nel campus, si mosse per licenziare Jordan, che si opponeva ai suoi tentativi di consegnare l’università alla Chiesa cattolica. La Stanford propose allora un sistema di matrone “con piena autorità per imporre la disciplina” alle studentesse, con sentinelle e guardie a cavallo tenute a denunciare “e a consegnare il colpevole alle autorità universitarie per punizione”. La sua morte portò un certo sollievo. Jane fu sepolta in una cerimonia elaborata con una preghiera collettiva per l’università. Ma forse qualche preghiera era già stata esaudita: non c’è miglior benefattore del benefattore morto.

IL LIBRO
Il movente e l’opportunità
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La ricostruzione più recente punta l’indice contro la segretaria. Ma anche il rettore aveva un movente

Insieme

Caravaggio, David con la testa di Golia, 1606. Il dipinto fu realizzato quando l’artista, condannato a morte per omicidio, disperava di poter tornare a Roma. Così si autoritrasse nella testa mozzata del gigante e dipinse Cecco come un David mesto, per nulla trionfante.

Cecco del CARAVAGGIO, modello preferito del genio lombardo, fu il suo seguace più brillante. E misterioso.
di Irene Merli
PERSONAGGI
FOTO MAURO COEN

MODELLO L’ALLIEVO

Roma, 1650. Un viaggiatore inglese appassionato d’arte, Richard Symonds, sta visitando Palazzo Giustiniani, per studiare la collezione del padrone di casa, marchese ricchissimo e tra i più colti della città. Mentre si aggira nelle sale e segna le vertiginose quotazioni delle opere, scorge il dipinto Amor vincit omnia, del celebre Caravaggio, con un amorino nudo dalle ali nere, che pare un ragazzino irriverente e giocoso che sta ridendo. Nel suo diario annota allora una notizia appresa da qualcuno di casa Giustiniani: il Merisi in quel quadro aveva ritratto “Checco, his boy” (il suo ragazzo), e più avanti precisa “his owne boy, or servant that laid with him” (il suo ragazzo o garzone, che giaceva con lui).

“Checco” era Cecco del Caravaggio, allievo e modello di Michelangelo Merisi, detto appunto Caravaggio, e il suo volto appare in altri sei capolavori del genio lombardo, a diverse età. Il giovinetto menzionato dall’inglese, oltre a essere l’Eros bambino del quadro sopraccitato, è infatti anche il chierichetto urlante nel Martirio di san Matteo, l’angelo nella prima Conversione di Saulo, un San Giovanni Battista nudo e sensuale, ancora adolescente, Isacco nel Sacrificio di Isacco e infine David nel David con la testa di Golia, in cui la testa mozzata del gigante è, drammaticamente, quella di Caravaggio.

DAMNATIO MEMORIAE. Eppure quel ragazzo dal viso così riconoscibile nei sette quadri di Caravaggio realizzati tra il 1600 e il 1606 (due potete vederli in queste pagine) è il più misterioso del piccolo gruppo di artisti che lo seguirono sulla strada del crudo realismo e dell’innovativo uso di luce e ombra.

Ma chi erano quei seguaci? Secondo Giulio Mancini, medico e scrittore d’arte del tempo, facevano parte della “schola” del Merisi: Spadarino, Bartolomeo Manfredi, Jusepe de Ribera e “Francesco o Cecco del Caravagio”, che Mancini definiva come uno dei più dotati. Ma, tanto per complicare il lavoro degli storici dell’arte, il giovane pittore non firmò mai un 

Forza e originalità

San Giovanni Battista al fonte, di Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, 1618-1620. L'iconografia del Battista che si abbevera era assai diffusa, ma la completa nudità del soggetto, forte e sensuale, risultava probabilmene unica a quei tempi.

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Non firmò i suoi QUADRI. E non conosciamo né date né luoghi in cui è nato e morto

suo quadro. E soprattutto Cecco è l’unico dei quattro della “schola” di Caravaggio di cui non si conoscono né luogo né data di nascita e di morte. Anche al suo vero nome – Francesco Boneri – si è risaliti solo all’inizio degli anni Novanta. Per questo si parla di mistero nei suoi riguardi. «È come se su di lui fosse calata una damnatio memoriae», spiega Gianni Papi, storico dell’arte che ha scritto due monografie sull’allievo, modello e pittore: lo studia e insegue da più di trent’anni.

MISTERI ROMANI. Un censimento parrocchiale del 1605 rivela che un certo “Francesco garzone” abitava con Caravaggio nelle sue stanze in affitto a Roma, in vicolo San Biagio. I due risultavano prendere la comunione insieme a messa, secondo quel documento ecclesiastico. Ma che cosa faceva un garzone di un pittore all’epoca? Macinava i colori, montava le tele sui telai: seguiva una sorta di apprendistato durante il quale familiarizzava con le basi del mestiere. Posare come modello per il maestro poteva far parte dei doveri e dormire con lui non era cosa rara nel mondo degli artisti seicenteschi. L’apprendistato col Caravaggio per il giovanissimo Cecco doveva però essere stato ben diverso: senza alcuna regola, l'unico modo di imparare era osservare il maestro mentre dipingeva dal vero, senza mai disegnare prima, in un’ambigua mescolanza di arte e vita.

Sembra che i due fossero anche compagni di avventure nelle taverne. Da lì venne, probabilmente, il soprannome di Cecco del Caravaggio, che lo bollò per secoli come un marchio indelebile, un segno di possesso. «In realtà Francesco Boneri in quanto artista venne citato due volte, dopo la morte di Caravaggio», continua Papi. «Nel 1619 si trovava nelle liste degli appartenenti all’Accademia di San Luca, e nel 1617 risultava negli elenchi dei debitori di un ingrosso di merci romane».

Un’altra traccia in questo intricato puzzle è un documento processuale, nel quale Agostino Tassi, buon pittore dell’epoca che nel 1614 lavorava al Casino di Bagnaia, nella villa acquistata dal potente cardinale Montalto, raccontava che Cecco aveva fatto parte della sua

Lezione imparata

Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Cacciata dei mercanti dal Tempio, 1613-1615. È uno dei dipinti più importanti attribuiti al modello-allievo, ispirato alla Conversione di Matteo del maestro. Qui sotto, il suo Ritratto di giovane con il colletto a lattuga (Autoritratto?), 1615-16.

équipe. Tassi (accusato di adulterio), dichiarava di aver lavorato e dormito nella stessa stanza con lui. Cecco doveva ormai essere un artista affermato, se ingaggiato da un tale committente.

TROVATO! Dal 1620 si perde ogni traccia di Cecco del Caravaggio alias Francesco Boneri. Fino a quando il grande storico dell’arte Roberto Longhi, riscopritore anche di Michelangelo Merisi, nel 1943 con talento rabdomantico dichiarò che quattro dipinti prima attribuiti ad altri caravaggeschi erano invece dell’allievo modello del genio lombardo. Longhi però

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continuò a chiamare l’autore riscoperto della Resurrezione, dell’Amore al fonte, della Cacciata dei mercanti dal Tempio e del Flautista con il solito soprannome. E lo considerava di origine fiamminga o francese. Poi si fece una scoperta che cambiò tutto.

«Nel 1989 fu pubblicata una notizia minore sugli onorari agli artefici della Cappella Guicciardini, nella chiesa di Santa Felicita a Firenze», racconta Papi. «Piero Guicciardini, ambasciatore dei Medici a Roma, nel 1619 aveva reclutato a Roma tre pittori, commissionando a ciascuno una pala d’altare nella cappella di famiglia. Dai pagamenti risulta che oltre a Gherardo delle Notti, noto fiammingo,

vi avevano lavorato Spadarino e Francesco Buoneri, o Boneri. Quest’ultimo, in sei documenti di pagamento veniva chiamato Boneri; tranne nell’ultimo, in cui era citato come Francesco “del Caravaggio”». Bingo! Nel 1991 lo studioso rivelò la vera identità di Cecco e che la Resurrezione presentata nel 1943 dal Longhi era la pala eseguita per Piero Guicciardini, ai tempi giudicata inadatta dal committente e venduta al ben contento cardinale Scipione Borghese, grande estimatore di Caravaggio.

Lo storico dell’arte troverà altri due dipinti di Francesco Boneri alias Cecco del Caravaggio nella collezione della storica famiglia bergamasca Pesenti. E grazie a ricerche anagrafiche si iniziò a 

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Il suo VERO NOME era Francesco Boneri e forse era di Alzano Lombardo

capire che Francesco Boneri era originario della provincia bergamasca, con tutta probabilità di Alzano Lombardo (sì, proprio il comune tristemente noto per il Covid), dove i Boneri erano molti. Sembra che la sua famiglia conoscesse i Merisi ed è quindi probabile che a 12-13 anni i genitori abbiano mandato Francesco a studiare pittura a Roma, affidandolo a Caravaggio, poi tanto importante per la sua vita e la sua arte. Così diventò il Francesco garzone, il boy who laid with him, e il modello dai ricci castani, le guance rotonde e le orecchie perfette che il maestro ritrasse nella nutrita serie di quadri del periodo romano. Nonché uno dei più dotati tra i suoi seguaci.

SECONDA VITA. «Probabilmente, quando Caravaggio fuggì a Napoli per l’omicidio Tomassoni, Francesco lo seguì», ipotizza Papi. «Sarebbe stato pericoloso per lui rimanere a Roma, proprio perché era così fortemente legato all’artista condannato». Ma quando Caravaggio morì misteriosamente cercando di tornare a Roma, Francesco, ormai libero, si affermò come pittore. Producendo circa 29 opere, a quanto si sa fino a oggi, tra Roma e Napoli.

Francesco Boneri lavorò per committenti importanti, come il cardinale, Montalto che gli commissionò un prestigioso San Lorenzo, ancora oggi nella chiesa romana della Vallicella. E si ritrarrà anche lui, come il maestro, in due occasioni. Nel Ritratto di giovane uomo con colletto a lattuga, che sta nientemeno che alla Galleria degli Uffizi di Firenze e lo mostra adulto, serio. E se osservate nelle pagine precedenti la Cacciata dei mercanti dal Tempio lo vedrete: l’ultima figura sulla sinistra, il “dandy” con il cappello rosso che guarda la scena tra lo snob e lo sdegnato è l’autore, Francesco Boneri.

Della sua fine, però, non sappiamo nulla. Dal 1620, Cecco scompare senza clamore. «Morto?

Tornato a Bergamo, dalla famiglia, cambiando lavoro? Forse andato in Spagna, visto che alcuni suoi quadri vengono da lì?», si chiede Papi.

C’è quindi ancora molto da scoprire sull’allievo e modello preferito di Caravaggio. Magari si troveranno anche altri suoi dipinti. Ma per ora restano le sue opere audaci, sensuali e iperrealiste, su cui è stata organizzata la prima mostra (v. riquadro a destra). E il suo viso, il suo corpo, ritratti tante volte dal Merisi, che lo ha consegnato alle vette più alte della storia dell’arte. •

Ammiccante

Nell’audace San Giovanni Battista di Caravaggio,1602. un giovanissimo Cecco, nudo, ci sorride malizioso. Il modello era allora un adolescente di non più di 15 anni.

La mostra

ABergamo, l’Accademia Carrara presenta Cecco del Caravaggio. L’allievo modello, prima esposizione mai dedicata al più misterioso seguace e modello del grande genio lombardo. In mostra sono visibili ben 19 su 29 opere di Cecco, due magnifici dipinti del Merisi dei 7 che lo ritraggono da ragazzino in soggetti sacri (il San Giovanni Battista dei Musei Capitolini e il Davide e Golia della Galleria Borghese) e una serie di quadri di artisti cui il giovane pittore si ispirò e che da lui furono influenzati. Il percorso dell’esposizione comprende 41 opere e si divide in sei parti: Caravaggio, Cecco, Un rivale e gli amici; La radice lombarda: Giovanni Gerolamo Savoldo; Cecco del Caravaggio; I comprimari; L’influenza di Cecco; A Bergamo, dopo Cecco: Evaristo Baschenis.

Tra le opere di Francesco Boneri alias Cecco spiccano la Cacciata dei mercanti dal Tempio, Tributo della Moneta, gli scandalosi e sensuali Amore al fonte e San Giovanni Battista al fonte, San Lorenzo, Martirio di San Sebastiano, Fabbricante di strumenti musicali (“logo” della mostra) e Sibilla Eritrea. Tutti lavori che rendono bene l’idea del naturalismo spietato e crudo, dell’originalità negli impianti iconografici e del virtuosismo pittorico che raggiunse l’allievo di Michelangelo Merisi. E altro ancora. I visitatori potranno infine ammirare, nelle sale rinnovate del museo bergamasco, opere di Savoldo, Spadarino, Manfredi, Finson, Baschenis, Valentin de Boulogne e altri interessanti autori caravaggeschi. (www.lacarrara.it, fino al 4 giugno).

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MARE NOSTRUM

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