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civiltà del mare

civiltà del mare

overnando bene la Nazione […], facendo del Mediterraneo il lago nostro, alleandoci, cioè, con quelli che nel Mediterraneo vivono, ed espellendo coloro che del Mediterraneo sono i parassiti, noi inaugureremo veramente un periodo grandioso della storia italiana” Con queste parole pronunciate il 4 ottobre 1922, alcune settimane prima della Marcia su Roma, Benito Mussolini chiarì che il Mar Mediterraneo era al centro del futuro progetto espansionista del fascismo. Prima ancora di arrivare al potere, il duce annunciò la volontà di ripristinare in chiave moderna il dominio dell’Impero romano sui mari risalente alle vittoriose guerre contro Cartagine del III e II secolo a.C. Per la sua posizione geografica, sosteneva, l’Italia deteneva una sorta di diritto naturale al controllo dell’area.

SPAZIO VITALE. Durante il Ventennio il concetto di “Mare Nostrum” fu ribadito di continuo dalla propaganda fascista, che lo utilizzò in modo simile a quello dello “spazio vitale” teorizzato da Hitler. Per fare dell’Italia la principale potenza mediterranea il regime potenziò la Marina militare e indirizzò fin dagli Anni ’30 la politica estera italiana verso un progetto di conquista territoriale dell’Europa mediterranea che prevedeva anche il controllo dello Stretto di Gibilterra e de Canale di Suez, la cui importanza politico-commerciale era ritenuta strategica per il futuro della nazione. «Obiettivo storico del fascismo fu l’espansione territoriale, all’interno del quale l’uomo nuovo fascista avrebbe prosperato», spiega lo storico Davide Rodogno, autore di Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943)

(Bollati Boringhieri) «Nizza, Corsica, Savoia, Dalmazia e isole Ionie furono rivendicate accampando presunte prove storiche di italianità e altrettanto presunti diritti d’annessione. Il litorale orientale adriatico era considerato italiano perché era stato veneziano e ancora prima romano, la Corsica perché genovese, la Savoia in quanto culla della dinastia sabauda. Poco importava che da secoli questi territori appartenessero ad altri Stati», prosegue Rodogno.

LA GUERRA. Nel novembre 1938, mentre si preparava a far entrare l’Italia nella Seconda guerra mondiale, Mussolini delineò al Gran consiglio del fascismo gli obiettivi da raggiungere a breve: Tunisia, Corsica e Albania, poi Malta e Cipro, infine Suez e Gibilterra. Da quel momento in poi il servizio informazioni dell’esercito, i consolati, gli accademici e la stampa  pubblicarono un’enorme mole di notizie sulla composizione geografica, sugli usi, i costumi, la lingua e l’economia dei territori che rientravano nel progetto espansionistico fascista e fornirono al regime presunte basi giuridiche e prove scientifiche per giustificare le annessioni. Il punto di non ritorno fu raggiunto con l’occupazione dell’Albania nell’aprile del 1939 e con la successiva firma del Patto d’acciaio con Hitler.

Quando il 10 giugno 1940 il duce annunciò l’ingresso in guerra al fianco della Germania nazista, l’Italia era già una potenza mediterranea che controllava le sponde nord e sud del Mediterraneo. Davanti alla folla riunita a Roma, in piazza Venezia, tuonò: “Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano”.

In un primo momento tutto sembrò volgere nel senso auspicato da Mussolini: la caduta della Francia rimosse la minaccia principale a ovest mentre il controllo dell’Albania, e poi l’occupazione della Grecia e di parte dell’Egitto estesero il controllo nazifascista a est. «Fino alla sconfitta della Francia, però, i fascisti non compresero che l’espansione nazista rispondeva a un progetto di dominazione illimitata ed esclusiva, in cui l’Italia avrebbe avuto al massimo un ruolo subordinato al Reich»,

Alla riconquista sostiene Rodogno. «Prima d’allora vagheggiarono sulla divisione delle due sfere di influenza illudendosi che lo spazio euro-africano potesse essere suddiviso, ovvero la Mitteleuropa ai nazisti e il Mediterraneo ai fascisti».

Mussolini al largo di Genova. Nell’altra pagina, il duce in visita al capoluogo ligure. Il fascismo rivendicava in nome di un presunto “diritto storico” anche la Corsica, appartenuta alla Repubblica di Genova.

LA DURA REALTÀ. Durante la guerra Mussolini e i suoi gerarchi

La battaglia di P unta Stilo

Ilprimo confronto diretto tra la flotta britannica e quella italiana nel Mediterraneo, al largo delle coste ioniche della Calabria, fu anche la prima vera battaglia aeronavale della Storia. Mai, prima del 9 luglio 1940 si erano scontrate due flotte di navi da battaglia con un intervento massiccio dell’aviazione, come a Punta Stilo. Tutto ebbe inizio perché la Regia Marina doveva scortare un grosso convoglio di rifornimenti verso la Libia, mentre la flotta britannica stava scortando due convogli diretti da Malta ad Alessandria d’Egitto. La flotta italiana ricevette l’ordine di concentrarsi verso le coste orientali della Calabria nella convinzione che il nemico avrebbe attaccato le basi navali della Sicilia. In trappola. Il piano era quello di attirare i britannici in una trappola con massicci attacchi aerei e uno sbarramento di sommergibili, bloccando le corazzate nemiche per poi attaccare il resto della flotta avversaria in condizioni favorevoli. Ma l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della flotta britannica del Mediterraneo, arrivò di sorpresa alle spalle delle navi italiane e riuscì a colpire prima la corazzata Giulio Cesare, poi l’incrociatore Bolzano e il cacciatorpediniere Alfieri idearono un progetto ambizioso di talassocrazia, un dominio sui mari che prevedeva la creazione di un impero marittimo che andasse dalla Libia all’Africa Orientale, con l’acquisizione dell’Egitto, del Canale di Suez e del Sudan. Ma il progetto si scontrò fin da subito con lo strapotere navale delle forze alleate. Nonostante la resa della Francia ai nazisti, la Marina britannica si dimostrò sufficientemente forte da chiudere il Mediterraneo, bloccando Gibilterra e Suez.

Costringendo infine il comandante della flotta italiana, ammiraglio Inigo Campioni, a ritirarsi verso lo Stretto di Messina.

Il primo scontro tra la flotta britannica e quella italiana fu la battaglia di Punta Stilo (Calabria) del luglio 1940 (v. riquadro) che si concluse senza perdite. Il successivo attacco degli aerosiluranti inglesi alla base navale di Taranto (11 novembre 1940) mostrò invece tutta la vulnerabilità della flotta italiana. Tre delle sei corazzate di cui disponeva l’Italia furono messe fuori combattimento segnando la fine delle speranze della Regia Marina di poter infliggere danni decisivi alle forze nemiche. L’episodio di Taranto, insieme alla catastrofica invasione della Grecia e alle sconfitte in Africa del Nord, segnò l’inizio della guerra subalterna a quella della Germania nazista. Le sconfitte e l’intervento tedesco trasformarono il conflitto per il Mediterraneo in mera difesa dei convogli dell’Asse.

SFIDA PERSA. La sfida sui mari impegnò l’Italia per oltre tre anni, con altri scontri: a Capo Teulada nel marzo 1941 (tre incrociatori e due cacciatorpediniere italiani furono affondati) e nell’impresa di Alessandria del 19 dicembre 1941, che vide la Regia Marina penetrare nel porto egiziano dopo avere affondato due navi da guerra britanniche. Ma non servì. «La conquista e il tentativo di dominazione fascista del Mediterraneo fallirono» conclude Rodogno. «L’occupazione italiana non riuscì a realizzare i suoi obiettivi perché la subordinazione politica, militare ed economica dell’Italia alla Germania si determinò prima ancora che avessero luogo le occupazioni

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