Focus Storia n. 157 - Novembre 2019

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Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE

n°157

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novembre

L’AVVENTURA DELL’UOMO IN 20 OGGETTI Il Codice di Hammurabi e la Stele di Rosetta, la ghigliottina e gli Scacchi di Lewis, la Corona ferrea e la tazza di tè: così raccontano la loro epoca

16 OTTOBRE 2019 - MENSILE � 4,90 IN ITALIA

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L’ALCHIMISTA

JOHN DEE, L’ERUDITO INGLESE CHE STREGÒ LA REGINA ELISABETTA

BERLINO 1989

IN FUGA DALLA GERMANIA COMUNISTA CON PETER BIEBER

COLD CASE

LA VERITÀ SULLE DONNE UCCISE DA JACK LO SQUARTATORE


Novembre 2019

focusstoria.it

Storia

C

i sono tanti modi per raccontare la grande avventura dell’uomo. Attraverso la biografia di personaggi chiave, le conquiste militari, la filosofia... Eppure sono gli oggetti, col loro silenzio, a parlare di più. Che siano opere d’arte o suppellettili di vita quotidiana, possono dirci tanto su chi li ha costruiti, sull’epoca a cui risalgono e sui messaggi, più o meno impliciti, che trasmettono. La Coppa Warren, per esempio, nella sua bellezza ci illumina anche sui costumi sessuali dei Romani e dei Greci. La Stele di Rosetta ha aperto il varco alla comprensione dei geroglifici. La ghigliottina, messa a punto per alleviare il supplizio dei condannati, svela con la sua “scientificità” tutto l’orrore delle migliori intenzioni... Affrontiamolo dunque questo viaggio fra gli oggetti, e partiamo dall’inizio: dai primi pantaloni mai ritrovati alla statua più antica, dal materasso di foglie preistorico alla pentola del Pleistocene “passando” dall’occhio artificiale di una donna vissuta 5.000 anni fa. Emanuela Cruciano caporedattore

SHUTTERSTOCK/ANDRONOS HARIS

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CREDITI DI COPERTINA: ART MEDIA/HERITAGE-IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO; FINE ART IMAGES/HERITAGE-IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO; GETTYIMAGES; ALAMY/IPA

4 FLASHBACK

6 LA PAGINA DEI LETTORI

8 NOVITÀ & SCOPERTE

10 TRAPASSATI ALLA STORIA 12 MICROSTORIA 80 DOMANDE & RISPOSTE 82 PITTORACCONTI 110 I GRANDI DISCORSI 112 AGENDA

113 PROSSIMAMENTE

In copertina: la ghigliottina, una nave da tè e il Codice di Hammurabi.

IN PIÙ... UNA GIORNATA DA... 14 Scultore del ’500

In una bottega della Roma rinascimentale.

INVENTATO? 16 GliCHI L’HA occhiali da vista

Ecco che cosa ci siamo inventati per vederci meglio.

La porta dei Leoni di Micene, l’antica città di Agamennone.

IL MONDO IN 20 OGGETTI 36 Pietra miliare

La Stele del Codice di Hammurabi è una delle più antiche raccolte di leggi.

40 Giù la maschera

La maschera di Agamennone: di chi era e i particolari della sua scoperta.

44 La lingua svelata

Senza la Stele di Rosetta, i geroglifici non sarebbero mai stati decifrati.

50 La copp(i)a dello scandalo

La Coppa Warren non fu solo un’opera d’arte.

RUBRICHE

CI TROVI ANCHE SU:

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S’è cinta la testa

La Corona ferrea che è stata indossata da (quasi) tutti i re d’Italia.

60 Scacchiera mondiale Gli Scacchi di Lewis hanno quasi mille anni e raccontano il Medioevo.

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La decapitazione francese La ghigliottina, simbolo della Rivoluzione, fece una carneficina.

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Inghil...tè Il tè divenne bevanda nazionale e cambiò gli inglesi.

74 I più antichi di tutti

I primi pantaloni, il primo flauto, il primo globo, la prima scultura umana...

MONDI PARALLELI 18 Parigi vs Cahokia

Nel Duecento città prosperose ai due capi opposti del mondo.

22 IlINTERVISTA fuggitivo

Peter Bieber racconta la caduta del Muro.

ANTICHITÀ 28 Akrágas

colonia gioiello Agrigento, “la più bella città dei mortali”.

CASE 84 LeCOLDprescelte

dell’assassino Chi erano le vittime di Jack lo Squartatore?

TEMI 90 IlI GRANDI crac di Wall Street

La più grande recessione di sempre.

A TAVOLA 96 Nel nome del grana La nascita del famoso formaggio.

ARTE 98 Futurismo

Il primo ’900 nei quadri degli artisti.

104 IlCINQUECENTO mago di corte

John Dee non fu solo uno stregone... 3


NEI PROSSIMI NUMERI

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ALBUM/FINE ART IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

IN EDICOLA DAL 16 NOVEMBRE CON TANTE ALTRE STORIE E PERSONAGGI

ANTICHITÀ

GLI ULTIMI GIORNI DI POMPEI

“ATENE” DEL NORD

Stoccolma divenne uno dei grandi centri della cultura europea grazie all’ambizione della regina Cristina.

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Quello che c’è da sapere sulla catastrofica eruzione vulcanica che seppellì un’intera città trasformandola nel sito archeologico più famoso d’Europa.

SEICENTO

TERRORISMO

LA STRAGE DI MILANO

Era il 12 dicembre 1969 quando scoppiò una bomba nella Banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana.

COSTUME

ARSENICO E VECCHI MERLETTI

Dal Medioevo in poi il veleno è diventato l’arma segreta del delitto perfetto: ecco come e perché è entrato nelle corti italiane (e non solo). 113

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PRIMO PIANO Simbolo della Rivoluzione, la ghigliottina nacque con intenti ugualitari. Ma diventò strumento di una gigantesca carneficina.

MONDADORI PORTFOLIO/AKG

La ghigliottina usata dall’Armata della Francia rivoluzionaria contro i ribelli della Vandea (1793-1796). A destra, l’esecuzione della regina Maria Antonietta, il 16 ottobre 1793. Nell’ovale, JosephIgnace Guillotin.

di Massimo Manzo

La

DEC T

utto si consuma in fretta, gli assistenti tagliano con una forbice la camicia blu e lo lasciano a torso nudo, le mani gli vengono legate dietro la schiena [...], lo fanno inginocchiare, [...] sento un rumore sordo: mi giro e vedo sangue, sangue ovunque, in un secondo una vita è stata falciata”. All’alba del 10 settembre 1977, nel carcere de Les Baumettes (Marsiglia), la giudice Monique Mabelly descriveva con queste agghiaccianti parole il ghigliottinamento del 28enne tunisino Hamida Djandoubi, accusato di un brutale femminicidio. Il “rasoio nazionale”, come veniva


FINE ART IMAGES/HERITAGE-IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO (2)

PITAZIONE chiamata la ghigliottina, faceva così la sua ultima vittima della storia francese, dopo che per quasi duecento anni aveva falciato le teste di migliaia di condannati d’ogni classe sociale, compresi nobili e re, diventando uno dei simboli più famigerati della Rivoluzione francese.

CONDANNE “DEMOCRATICHE”. Anche se ai nostri occhi può apparire brutale, il macabro strumento fu figlio degli ideali illuministi di uguaglianza, concepito per alleviare il supplizio dei condannati, prima destinati a pene ben più dolorose. «Nella Francia dell’Ancien régime, la pena spettacolare era parte

francese integrante del sistema repressivo», racconta lo studioso Antonio Castronuovo nel saggio La Vedova Allegra: storia della ghigliottina (Stampa Alternativa). «La morte era applicata con opzioni differenziate in base al ceto del condannato: il popolano era impiccato, l’aristocratico decapitato con la spada e i criminali peggiori erano destinati a pene crudeli come il fracassamento delle ossa, il rogo o lo squartamento». Nell’epoca

dei Lumi e della ragione, tali orrori non erano più accettabili e così, dopo che nel 1780 re Luigi XVI ebbe abolito la tortura, prese corpo l’idea di una pena capitale uguale per tutti, indipendentemente dall’estrazione sociale. Fu però lo scoppio della Rivoluzione, nel luglio 1789, a dare una spinta decisiva ai nuovi ideali. A farsene portavoce fu il medico e filantropo Joseph-Ignace Guillotin, deputato dell’Assemblea nazionale, il

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POPPERFOTO VIA GETTY IMAGES

PRIMO PIANO

Ne vuole, madam?

Un tea party in giardino a fine ’800. Nella pagina accanto, la regina Vittoria (1819-1901) prende un tè a Nizza con la figlia Beatrice (di spalle) e la moglie di un nipote.

La scoperta del tè e l’averne fatto la bevanda nazionale cambiò gli inglesi e i loro rapporti di forza col resto del mondo. di Riccardo Michelucci

ING lorem!

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BRIDGEMAN IMAGES

Spie tedesche prima della fucilazione in Francia, durante la Prima guerra mondiale..


CORBIS VIA GETTY IMAGES

HIL...TÈ THE BRITISH MUSEUM / TRUSTEES OF THE BRITISH MUSEUM/ SCALA

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Interclassista

Un servizio in grès e argento di metà ’800: è in mostra al British Museum. Nell’altra pagina, due operai di Leeds pranzano con la tradizionale tazza di tè (1972).

inston Churchill definì il tè “l’arma più importante in dotazione ai soldati di Sua Maestà”. E si dice che la regina Vittoria mitigasse il suo carattere austero soltanto quando le veniva servito quello del pomeriggio. Anche i grandi della letteratura inglese moderna – da Charles Dickens a Jane Austen, da Oscar Wilde ad Agatha Christie, solo per citarne alcuni – vi hanno fatto spesso riferimento nelle loro opere. Nel 1946 George Orwell scrisse addirittura un breve e appassionato saggio nel quale elencava 11 regole d’oro per preparare la tazza perfetta: “Rigorosamente indiano o di Ceylon, la teiera (in ceramica o terracotta) deve essere riscaldata prima di versarvi gli ingredienti, il tè deve essere forte, la tazza cilindrica per non disperdere il calore. Mai aggiungervi  zucchero. Il latte soltanto alla fine”.


Le prescelte

COLD CASE

SHUTTERSTOCK/GUIDOPIANO

dell’assassino

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GEORGIE GILLARD/ANL/SHUTTERSTOCK

Chi erano le vittime di Jack lo Squartatore? Che cosa avevano in comune? Ecco quello che sappiamo sulle donne trucidate dal più celebre serial killer di sempre. di Fabio Dalmasso

Nelle tenebre

Un disegno che rappresenta il misterioso assassino: commise i suoi omicidi sempre di notte, tra l’agosto e il novembre 1888. In alto, una richiesta al pubblico di fornire informazioni sui delitti di Whitechapel, quartiere di Londra.

M

ary Ann Nichols, Annie Eliza Smith Chapman, Elizabeth Gustafsdotter Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly: i nomi delle cinque vittime di Jack lo Squartatore sono entrati nella Storia sempre accompagnati da una parola: prostitute. «Ma non ci sono prove per convalidare questa tesi per tre delle vittime», scrive la storica Hallie Rubenhold in The Five: The Untold Lives of the Women Killed by Jack the Ripper (Doubleday). «Poiché i corpi furono ritrovati in cortili bui o nelle strade, la polizia diede per scontato che le donne esercitassero il mestiere e che fossero state uccise da un maniaco che le aveva adescate in quei luoghi per fare sesso. Ma non c’è e non c’è mai stata alcuna prova nemmeno di questo». L’unica certezza è che le vittime di Jack lo Squartatore erano povere e in difficoltà, spesso prigioniere di un alcolismo che le “aiutava” ad affrontare le asprezze di un’esistenza durissima. «Sin dall’inizio la loro vita è stata difficile: non solo perché erano nate in famiglie della classe lavoratrice, ma perché erano nate femmine», spiega la storica. Abbandonare il marito, i figli, avere problemi con l’alcol, convivere con uomini senza essere sposate o avere avuto figli al di fuori del matrimonio: all’epoca tutto

questo bastava per essere bollate come poco di buono. Ma se Elizabeth Stride e Mary Jane Kelly furono costrette dagli eventi a prostituirsi, per Mary Ann Nichols, Annie Chapman e Catherine Eddowes non esistono evidenze storiche che facessero “la vita”. Vediamo allora chi erano queste donne e come sono finite fra le mani del serial killer più famoso di tutti i tempi.

MARY ANN NICHOLS LA PRIMA VITTIMA Nata a Londra il 26 agosto 1845, Polly – così era soprannominata – visse un’infanzia normale e, cosa assolutamente inusuale per l’epoca, riuscì anche a studiare, nonostante le difficoltà economiche della famiglia. Rimasta orfana di madre a 17 anni, nel 1864 convolò a nozze con William Nichols, giovane tipografo con il quale mise al mondo cinque figli. Una vita in apparenza tranquilla e dignitosa, che però celava tensioni e gelosie: lui la accusava di bere troppo, mentre lei era sicura che il marito la tradisse. Litigi e accuse reciproche durarono fino al 1880, quando Mary Ann decise di andarsene. Come scrive Rubenhold, per la società vittoriana una donna sola faceva scandalo e ottenere la separazione era un lusso che solo le classi più abbienti

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CRAC

Il di Wall Street La più grave recessione degli Stati Uniti ebbe effetti disastrosi in tutto il mondo. Ecco come iniziò.

UNDERWOOD ARCHIVES/UIG/SHUTTERSTOCK

di Simone Cosimelli

P Giovedì nero

La calca di azionisti davanti alla sede della Borsa di New York, a Wall Street: è il 24 ottobre 1929, il giovedì nero. In alto, la prima pagina del quotidiano Brooklyn Daily Eagle.

assata alla Storia come il “crac di Wall Street”, la crisi dell’ottobre 1929 sconvolse tutti. Esplose negli Stati Uniti e fece impallidire le crisi precedenti, provocando la Grande depressione degli Anni ’30. Come ha scritto l’economista John K. Galbraith, in quei giorni, che poi divennero anni, “il peggio continuava a peggiorare”. Che cosa accadde? E perché?

LA GRANDE ILLUSIONE. Negli anni Venti, meglio noti come i “ruggenti” anni Venti, gli Stati Uniti vissero un periodo di grandi speranze e pericolose

illusioni. Tra 1922 e 1928 il Pil crebbe del 40%, il tasso di disoccupazione si ridusse e gli indici della produzione industriale si impennarono. Le autorità monetarie, per favorire una maggiore circolazione di denaro, abbassarono i tassi di interesse sui prestiti. Si diffusero gli acquisti a rate. Elettrodomestici, frigoriferi, lavatrici, radio, telefoni invasero la società americana. Alla fine del decennio si contavano 27 milioni di automobili, una ogni cinque abitanti: numeri che l’Europa avrebbe conosciuto solo 30, 40 anni più tardi. E la crescita,  nonostante si conservassero ampie 91

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K HISTORIA/SHUTTERS TOC

I numeri della crisi negli Usa

– 50%

sacche di povertà (soprattutto fuori dalle grandi città), sembrava inarrestabile. Il mercato interno, certo, non era in grado di assorbire tutta la produzione, e fu quindi necessario esportare. Dopo la Prima guerra mondiale, gli Stati Uniti prestarono ingenti somme agli Stati europei bisognosi di ricostruire sulle macerie del conflitto. Non fu un aiuto disinteressato. In realtà, più che per la ricostruzione, quei prestiti vennero utilizzati quasi interamente per l’acquisto massiccio di prodotti americani. In sostanza, gli Stati Uniti, che da parte loro non volevano merci straniere, investivano in altri Paesi affinché questi potessero acquistare merci americane. Era un circolo vizioso, non virtuoso. Eppure necessario per alimentare il benessere nazionale. Tutti, del resto, a partire dai presidenti in carica in quegli anni (Warren Harding, Calvin Coolidge e Herbert Hoover), credevano nel business e in un mercato senza vincoli che giudicavano capace di autoregolarsi.

LUPI A WALL STREET. L’ottimismo sfrenato fece della speculazione finanziaria una prospettiva allettante.

Riduzione del Pil Usa tra il 1929 e il 1932.

Rovinati

Uno sfortunato speculatore mette in vendita la sua auto di lusso, una Roadster. In alto, la pagina del supplemento della Gazzetta del popolo che illustra il crollo di Wall Street.

25% Tasso di

disoccupazione Usa nel 1932 (da 4,6 milioni a 13 milioni di disoccupati).

9 milioni

I correntisti che persero i loro risparmi.

5.000

Banche fallite.

360mila 1 milione

Gli sfrattati, perché non potevano pagare l’affitto.

1 su 3

Gli agricoltori che persero la loro terra. 92

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GRANGER/SHUTTERSTOCK

Aziende con il bilancio in passivo.

Oltre ai grandi investitori, molti comuni cittadini (dagli impiegati ai piccoli imprenditori) acquistavano pacchetti azionari delle società quotate in Borsa, spesso prendendo in prestito denaro per farlo. Fino a quel momento si erano comprate azioni per incassare un “dividendo”, ossia una quota annuale di denaro con la quale, via via, si sarebbe accumulato un capitale superiore a quello investito. Per ottenere il dividendo, e alla lunga guadagnare, bisognava mantenere il possesso del pacchetto azionario e aspettare. Quegli anni, però, furono segnati dall’euforia: si desideravano soldi facili in poco tempo. E poiché le azioni erano molto richieste, il loro valore saliva rapidamente. Così si acquistavano azioni, aspettandosi che il loro valore aumentasse, per poi rivenderle subito e guadagnare sulla differenza tra il prezzo di acquisto (inferiore) e quello di vendita (superiore). In questo modo molti riuscirono ad arricchirsi in fretta, ma il valore delle azioni smise di riflettere l’effettiva salute economica e finanziaria delle aziende. In altre parole,


A TAVOLA Nel Medioevo i monaci dell’Abbazia di Chiaravalle inventarono il primo formaggio stagionato che rivoluzionò dieta e abitudini di ricchi e poveri.

di Massimo Manzo

NEL NOME DEL

GRANA È

uno dei formaggi italiani più conosciuti e venduti al mondo, immancabile sulle nostre tavole e oggetto, purtroppo, di maldestre imitazioni all’estero. Già nel Medioevo la sua fama non era da meno, sia nelle dispense dei ricchi signori sia in quelle del popolo. Parliamo del Grana Padano, vero must di molte ricette della tradizione gastronomica del Belpaese. Ma quando è nato? Per rispondere dobbiamo fare un salto indietro di quasi 1.000 anni, all’epoca delle grandi abbazie sparse nel Nord Italia.

ORA ET LABORA. Secondo la tradizione tutto iniziò nel 1135, anno in cui il monaco cistercense Bernardo di Clairvaux (futuro santo) fondò l’Abbazia di Chiaravalle, in una zona piena di acquitrini e paludi a pochi chilometri di distanza da Milano. Fedeli al motto “ora et labora” (prega e lavora), i monaci avviarono una poderosa opera di bonifica delle campagne circostanti, che coinvolse presto ampie zone della Pianura padana, sfruttate per l’agricoltura e l’allevamento. Attorno alle numerose abbazie cistercensi e benedettine sorsero così varie aziende agricole dette “grange” (antenate delle odierne cascine lombarde) e dipendenti dai vari monasteri. Oltre a rifornire i monaci, queste contribuirono al fiorire dei commerci alimentari, giocando un ruolo fondamentale nella rinascita del territorio. La maggiore diffusione dell’allevamento portò al bisogno di conservare le quantità in eccesso di latte bovino, la cui produzione stava crescendo a dismisura. Come? Ideando un nuovo formaggio in grado di conservarsi per lunghi periodi. Per trovare la “formula perfetta”, gli storici ritengono che gli ingegnosi frati abbiano affinato probabilmente tecniche casearie già note in 96

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passato. Nel dettaglio, sottoposero il latte delle due mungiture giornaliere a una lunga cottura, aggiungendovi caglio e sale per creare poi forme cilindriche di grandi dimensioni, più adatte a una lenta stagionatura. Al termine dell’invecchiamento, che in genere durava più di un anno, il risultato era un saporito formaggio dal colore dorato e dalla consistenza granulosa, conferitagli dai cristalli di tirosina, un amminoacido rilasciato nel corso della maturazione. I monaci lo battezzarono “caseus vetus” (formaggio vecchio), nome presto rimpiazzato dal più popolare “formaggio grana” o “grana”, in ragione della sua consistenza.

TANTE VARIETÀ. L’intuizione dei frati riscosse un immediato successo: in men che non si dica, attraverso le abbazie e i caseifici a loro collegati, il grana si guadagnò la fama di “prodotto tipico” di numerosi centri del Nord della Penisola, in particolare in Lombardia e in Emilia-Romagna, venendo utilizzato anche come preziosa merce di scambio nelle transazioni commerciali. Nel novero dei caseifici più attivi spiccavano quelli di Lodi, Codogno, Mantova, Piacenza, Milano, Reggio Emilia e Parma, dove a seconda della sua provenienza il caseus vetus venne identificato come “Lodesano”, “Mantoano”, “Piacentino”, “Bressano” o “Parmesano”. Proprio la denominazione di “parmigiano” (definito anche “caseus parmensis”), trovò nel 1353 uno sponsor d’eccezione nel poeta fiorentino Boccaccio, che nel Decamerone descrisse il leggendario Paese di Bengodi evocando “una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli”. Le parole di Boccaccio


citando nel 1736 un “eccellente formaggio che tutta l’Europa chiama Parmigiano, ma che in realtà non è di Parma ma di Lodi”.

VERSATILE. Antagonismi a parte, già nel Rinascimento il grana era ormai entrato a pieno titolo nell’Olimpo dei più famosi formaggi italiani, tanto da essere menzionato nel 1477 dall’umanista vercellese Pantaleone da Confienza nella Summa Lacticinorum, noto trattato sui latticini. Il proverbiale “cacio sui maccheroni” si guadagnò inoltre un posto d’onore nelle ricette dell’intera Penisola, divenendo condimento indispensabile di paste e tortelli d’ogni genere. Apprezzato dal popolo per le sue proprietà nutritive e di “lunga conservazione”, non mancò di stregare i signori delle grandi dinastie, tanto da fare capolino in una lettera di Isabella d’Este, datata 1504, nella quale la nobildonna inviava a Ferrara al padre “meza forma de formazo per uno, perché il facto loro consiste più in bontà che in quantità”. Nei secoli successivi, la reputazione del formaggio conteso si estese a livello mondiale e a partire dal XIX secolo, con l’evolversi delle tecnologie agricole e di allevamento, nacque la necessità di disciplinare le sue caratteristiche, uniformando le tecniche di produzione. Si arrivò così, nel 1951, alla Convenzione di Stresa, con cui i produttori europei chiarirono finalmente la normativa sui formaggi a Denominazione d’Origine, poi aggiornate nei decenni seguenti. Oggi i due formaggi sono tutelati da distinti consorzi. Nel dettaglio, il Grana Padano è prodotto in ben 34 province sparse tra Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, mentre il Parmigiano nasce in quattro province emiliane e in una parte della • provincia di Mantova.

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segnarono l’inizio di epiche rivalità: da allora, infatti, su entrambe le sponde del Po varie città si vantano di aver dato i natali al blasonato formaggio, tra i cui progenitori spuntano anche il Granone lodigiano e il formaggio piacentino. Ancora nel 1662, il cuoco bolognese Bartolomeo Stefani ricordava tale disputa nel trattato L’Arte di Ben Cucinare, scrivendo che “per la precedenza nella bontà dei formaggi, fra loro contendono Piacenza e Lodi”. Non sapendo a chi dare la preferenza, il cuoco esprimeva un giudizio “salomonico”: “il formaggio di Lodi non si può nominar che non si lodi; né quello di Piacenza si può gustare, che non piaccia”. A rincarare la dose di campanilismi, stavolta tra Lodi e Parma, ci pensò in seguito persino Giacomo Casanova,

Dall’abbazia alla bottega

Sopra, san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) e, a sinistra, l’abbazia, da lui fondata, dove è nato il formaggio grana. Sotto, una bottega medievale di formaggi: quelli stagionati, che si diffusero proprio in questo periodo, erano specialità delle abbazie.

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CINQUECENTO John Dee è stato lo studioso più eclettico del Rinascimento inglese. Ma è diventato famoso come stregone, perché cercava la pietra filosofale e parlava coi morti. di Adriano Monti Buzzetti Colella

IL MAGO DI CORTE

INTELLETTUALE. Chi era dunque davvero John Dee? «Un grande intellettuale, forse il più grande della sua terra a quell’epoca», spiega Valerio Viviani, docente di Letteratura inglese all’Università della Tuscia e grande esperto di Rinascimento anglosassone. «Per dare un’idea della sua fama, basti dire che secondo alcune 104

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teorie il personaggio di Prospero, l’aristocratico mago de La Tempesta di Shakespeare, potrebbe essere stato modellato su Dee; e lo stesso si può dire per la sulfurea figura del Faust di Christopher Marlowe». L’enigma vivente dell’era elisabettiana nacque a Londra nel 1527, figlio di un cortigiano gallese trasferitosi nella capitale con la famiglia seguendo l’ascesa regale dei conterranei Tudor. Mandato al St. John’s College di Cambridge, il quindicenne John ottenne il baccalaureato in tre anni passati a studiare – per diciotto ore al giorno – di tutto: dalla geografia alle scienze degli astri, dal diritto alla medicina, dall’ottica alla matematica. I suoi talenti lo portarono quindi all’appena inaugurato Trinity College di Cambridge, dove il giovane iniziò a crearsi

Sapere occulto

A destra, un ritratto di John Dee (1527-1608) a 66 anni. Sotto al quadro, uno degli strumenti usati da Dee per la ricerca occulta: un disco d’oro con le “Visioni dei quattro castelli” usato durante un esperimento a Cracovia, in Polonia. Qui sotto, dalla tavola degli incantesimi, 12 simboli dell’alfabeto enochiano, che Dee considerava la lingua di Adamo.

IPA/ALAMY

E

nrico VIII Tudor si proclamava discendente del mitico Artù ma fu sua figlia Elisabetta I, la leggendaria “Regina vergine”, ad avere accanto l’equivalente storico di Merlino. Il suo nome era John Dee ed era astrologo della sovrana, consigliere di Stato e molto altro ancora. Erudito tra i più eclettici del Rinascimento, scienziato ma anche studioso del sovrannaturale, in un’epoca dove i due campi d’indagine convivevano ancora con disinvoltura. Celebrato tra i contemporanei e poi caduto in un lungo oblio, fu riscoperto in età moderna come figura-simbolo del mago. In campo letterario da scrittori quali Gustav Meyrink (che gli dedicò il romanzo L’Angelo della finestra d’Occidente, del 1927) e Howard Phillips Lovecraft (1890-1937), ma anche “operativamente” da celebri occultisti dell’Ottocento come Aleister Crowley, che si ispirarono ai suoi rituali. Eppure è la stessa persona che divulgò conoscenze matematiche e geometriche dimenticate da secoli, prefigurò con le sue intuizioni concetti come l’energia solare e la velocità della luce, e sostenne con le proprie competenze nautiche e cartografiche la trasformazione della Gran Bretagna in potenza navale e coloniale.


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MONDADORI PORTFOLIO/AKG

GETTY IMAGES


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