9 FEBBRAIO 2019 d TRIMESTRALE
N.32 d APRILE 2019
SOLDATI E BATTAGLIE NEI SECOLI
UNIFORMOLOGIA L’esercito dell’imperatore Traiano nelle guerre contro i Daci
IL GENERALE
INVERNO DAI ROMANI A NAPOLEONE, DALLE TRUPPE DELL’ARMIR A GEORGE PATTON, ECCO CHI HA SFIDATO IL NEMICO PIÙ OSTILE
Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
€ 6,90
L’INDAGINE
UNITÀ D’ÉLITE
Chi erano i soldati che torturarono Il 3° Reggimento Alpini: e uccisero Cristo? Scopriamolo dalla conquista del Monte nella nostra ricostruzione Nero alla spedizione in Iraq
WARS
SOMMARIO
Combattere sotto la tormenta
Non si fa la guerra d’inverno. Lo sapevano i Romani, chiusi negli hiberna ad spettare tempi migliori. Lo sapeva Napoleone, che cercò di scappare da Mosca, ma lo fece troppo tardi. Lo sapevano gli Alpini dell’Armir, che dalla Russia non tornarono. Non si combatte al gelo, eppure questi uomini l’hanno fatto. In questo numero raccontiamo com’è andata. d Lidia Di Simone
GIORGIO ALBERTINI
Milanese, 50 anni, laureato in Storia medievale, illustratore professionista per case editrici e riviste (giorgioalbertini.com).
GASTONE BRECCIA
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PRIMO PIANO
IL GENERALE INVERNO
Neve e fango ghiacciato erano da temere come la morte, che arrivava sempre per le armate che avevano osato sfidare il nemico più ostile.
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I SECOLO ROMA
HIBERNA
La vita dei legionari nei campi invernali, i castra hiberna. DANUBIO 20 171-180 IL VENTO FREDDO DELL’EST
PEIPUS 26 1242 MORTE SUL LAGO GHIACCIATO
La manovra dei russi contro i Teutonici riuscì grazie al gelo.
BALTICO 30 1718-1719 QUELL’ULTIMA CAMPAGNA
Nella Grande guerra del Nord gli svedesi persero re e potere.
Livornese, 56 anni, bizantinista e storico militare, ha pubblicato saggi sull’arte della guerra, sulla guerriglia e sulla missione ISAF in Afghanistan.
RUSSIA 36 1812 IL PASSAGGIO DELLA BERESINA
FRANCESCO CHIONNA
AFGHANISTAN 42 1842 LA RITIRATA DA KABUL
Ufficiale incursore della Marina Militare, si è congedato col grado di contrammiraglio dopo aver comandato COMSUBIN.
RAFFAELE D’AMATO
Piemontese, 54 anni, studioso di storia militare romana e professore di storia e archeologia antica e medievale alla Fatih University di Istanbul.
ANDREA FREDIANI
Per Napoleone fu l’inizio della fine. A Mosca era caduto in trappola.
Inseguiti, stremati, gli inglesi furono massacrati senza pietà.
PRUSSIA ORIENTALE 48 1915 ATTACCARE NELLA TORMENTA
Sui Laghi Masuri intere divisioni sparivano nelle bufere di neve.
ITALIA 52 1915-1918 LA GUERRA BIANCA
Quando le nostre truppe impararono a combattere in quota.
Romano, 55 anni, medievista, ha scritto vari saggi di storia militare e romanzi storici di successo (andreafrediani.it).
UNIONE SOVIETICA 56 1942 LA LUNGA MARCIA DELL’ARMIR
MARCO LUCCHETTI
BELGIO 62 1944 FUOCO NELLE ARDENNE
Romano, 59 anni, laureato in Giurisprudenza, ufficiale della riserva, storico militare, uniformologo, scrittore, scultore e pittore.
FABIO RIGGI
Romano, 45 anni, si occupa di tematiche militari a livello professionale. Ha collaborato con riviste militari specializzate.
WARS
RUBRICHE
LIVING HISTORY
PAG. 10
SCUOLA DI GUERRA
PAG. 68
RECENSIONI
Dal 101 al 106 le truppe dell’imperatore andarono alla conquista della Dacia in due campagne durissime.
Con le Guerre marcomanniche iniziò il declino di Roma.
WARS I NOSTRI ESPERTI
SOLDATINI
4 UNIFORMOLOGIA L’ESERCITO DI TRAIANO
PAG. 11 PAG. 82
La ritirata dalle posizioni sul Don segnò la fine dell’8a Armata.
Fu l’ultima, grande controffensiva della Wehrmacht. Ma Patton...
D’ÉLITE 70 UNITÀ IL 3° REGGIMENTO ALPINI
Protagonista della storia militare italiana.
76 RICOSTRUZIONE I SOLDATI CHE UCCISERO CRISTO
Chi erano i milites che torturarono e ammazzarono Gesù? Erano Romani oppure ausiliari greci e samaritani? Di certo non erano i classici legionari rappresentati nei film.
IN COPERTINA
Soldato tedesco (GettyImages) e legioni romane (L. Tarlazzi).
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UNIFORMOLOGIA
DURANTE LE GUERRE DACICHE L’IMPERATORE COMANDÒ UN’ARMATA ATTRAVERSO L’EUROPA PER PORTARE ROMA ALLA SUA MASSIMA ESPANSIONE. ECCO GLI UOMINI CHE AFFRONTARONO DECEBALO
101-106 d.C. L’ESERCITO DI
TRAIANO L
e ultime grandi guerre di espansione dell’Impero romano vennero condotte durante l’età dell’imperatore Traiano (98-117 d.C.). Tra queste, l’impresa più gloriosa e più celebrata fu la conquista della Dacia (corrispondente all’attuale Romania), portata a termine in due sanguinose guerre combattute tra il 101 e il 106 d.C. contro i Daci e il loro re Decebalo. Per realizzare questa complessa operazione militare l’imperatore guerriero utilizzò non meno di 150.000 uomini nella Prima Campagna, e circa 200.000 uomini nella seconda fase della guerra. Vennero impiegate almeno 16 legioni, più vexillationes legionarie di altre 10 legioni, auxilia di cavalleria e fanteria e unità di irregolari (numeri e cunei). I documenti. La Colonna di Traiano e le metope (elementi architettonici presenti sui templi) di Adamclisi, entrambi monumenti databili all’inizio del secondo secolo d.C., ci offrono oggi le informazioni migliori che possiamo ottenere sull’armamento dei legionari, degli auxilia e dei reparti Vexillationes e auxilia Le prime erano distaccamenti misti delle legioni, formate da fanti e cavalieri; le seconde erano truppe di supporto alle legioni, reclutate fra i provinciali, che potevano così ottenere la cittadinanza romana al congedo. Numeri e cunei Reclutati tra i popoli amici e alleati, anche barbari, erano unità di fanteria, di cavalleria o misti, varianti dai 300 ai 900 uomini. Normalmente le unità di cavalleria erano denominate “cunei”, e quelle di fanteria “numeri”, ma spesso tali termini erano intercambiabili.
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che Traiano impiegò nelle sue campagne di conquista. Accanto ai milites legionarii e agli auxilia di cavalleria, ai pretoriani e ai comandanti militari, più facilmente individuabili sui monumenti per certe caratteristiche loro proprie, certe immagini di auxilia di fanteria, numeri e cunei pongono maggiori problemi di identificazione, la cui risoluzione può essere agevolata oggi da dati archeologici e letterari prima non a nostra disposizione. Ricordiamo che mentre i legionari (milites gregarii) erano cittadini romani a tutti gli effetti, gli auxilia, reclutati nelle province, non erano cittadini romani, i cui diritti acquisivano solo al momento del congedo. Accanto a loro nell’esercito combattevano raggruppamenti di irregolari (numeri, cunei): non si trattava di cittadini romani, venivano reclutati tra i popoli amici e alleati, anche barbari. Il tutto formava un’armata pittoresca e varia, un vero e proprio esercito cosmopolita, con differenze di armamento e di equipaggiamento che fonti iconografiche, letterarie e archeologiche ben mettono in evidenza. L’ampio raggio di differenti costumi militari mostrati sulla colonna, unitamente alla rappresentazione di un equipaggiamento militare più tradizionale e standardizzato, ma non identico, attesta la pittoresca e varia immagine di un esercito romano in campagna nel II secolo d.C. e rappresenta l’ulteriore prova della veridicità delle immagini del monumento traianeo. d Testi di Raffaele D’Amato, illustrazioni di Giorgio Albertini
PRIMA CAMPAGNA DACICA 101-102 D.C.
MARCUS ULPIUS NERVA TRAIANUS
L’imperator è ripreso dalla metopa X di Adamclisi, integrata per il suo prezioso elmo (cassis) pseudoattico dal Grande fregio traianeo dell’Arco di Costantino. Indossa una lorica statos argentata, dipinta e con applicazioni in bronzo dorato. La corazza è portata sopra un subarmalis (giustacuore) con quattro livelli di pteryges (frange). Il Cesare porta ai piedi caligae militari, come i suoi soldati, e il mantello militare (sagum) anziché il paludamentum da generale.
PRIMA CAMPAGNA DACICA 101-102 D.C. CENTURIONE PRIMUS ORDO
Il centurio, copiato dalla Colonna traiana, indossa una corta corazza muscolare (thorax) di stile ellenistico, semicoperta dal pesante sagum militare. Si notino le corte brache, o feminalia. Sebbene il suo pesante cassis sia argentato, non vi sono tracce di uso da parte dei centurioni della crista transversa sui monumenti traianei, né sulla maggior parte dei monumenti del II secolo d.C.
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SUL LIMES
Legione romana a cavallo tra il I e il II secolo d.C. È schierata in assetto di guerra, ed è in avvicinamento ai propri castra hiberna, posti solitamente sul limes (il confine, la barriera che divideva l’impero dai territori barbarici). Di fianco al comandante, il legatus legionis, avanza l’aquila della legione, portata dall’aquilifer.
IL GENERALE INVERNO I SECOLO ROMA
I CASTRA DELLA LEGIONE SUPERAVANO I RIGORI DELLA STAGIONE FREDDA CON STRUTTURE IN LEGNO E PIETRA, CHE POI DIVENIVANO CITTÀ
HIBERNA L’ESERCITO ROMANO
NEI CAMPI INVERNALI
I
RAVA/LEEMAGE
l suono rauco della fine della quarta vigilia , suonato dal cornu, che echeggiava nella brezza del freddo mattino, annunciava alle sentinelle che presto sarebbero state sostituite. I soldati uscivano dalle loro tende sbadigliando e coperti dalle loro pesanti paenulae, i mantelli di lana, per raccogliere legna e preparare la colazione. Ecco un mattino qualunque nella vita del soldato romano in Britannia, in Germania, nel Norico o ai confini del Barbaricum, sul Reno e sul Danubio. Aspettando la primavera, ogni miles attendeva ai compiti del campo, organizzato per affrontare i rigori dell’inverno. In queste province, il tempo poco clemente era uno dei problemi che i soldati romani dovevano affrontare per sopravvivere, insieme agli attacchi dei barbari. Per l’inverno, periodo in cui di solito le guerre erano più rare, i soldati, fossero auxilia o milites legionis, si ritiravano negli accampamenti, castra hiberna o stativa, che contenevano casematte, edifici o baracche in legno (Livio, V,2; XXX,3) o altre costruzioni di materiale più solido. Gradatamente, soprattutto a partire dall’età flavia, la pietra aveva rimpiazzato il legno, l’argilla e il terriccio precedentemente impiegati. Così nella stagione invernale, in regioni fredde come la Britannia o il Nord Europa, le tende che usualmente caratterizzavano gli accampamenti temporanei (castra aestiva) diventano costruzioni in pietra o legno. Gli scrittori classici sottolineano la differenza fondamentale fra tali abitazioni (hibernacula) e le tende di cuoio (tabernacula) degli accampamenti estivi. A volte la nascita dei campi invernali, di solito più grandi, derivava anche da esigenze tattiche che richiedevano la permanenza prolungata delle truppe in un luogo. Tacito (Annales, XIV,38) ci dice per esempio che parte delle truppe inviate da Nerone per ri-
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Vigilia La vita militare era scandita di notte da turni di guardia, detti vigilia. La notte era divisa in 4 vigiliae (prima vigilia, secunda vigilia ecc.), ciascuna di 3 ore circa.
empire i vuoti della VIIII Legio dopo la rivolta di Budicca (duemila legionari, otto coorti di auxilia e mille cavalieri) vennero stanziati in nuovi quartieri invernali (novis hibernaculis locatae). Non è un caso che i resti di questi campi siano da rintracciarsi lungo il limes renano-danubiano, in Britannia (Vallo di Adriano e Vallo di Antonino) e in Africa Settentrionale, dove l’inverno, specie nelle regioni dell’Atlante, è alquanto rigido. Gli edifici. Le costruzioni in cui i soldati vivevano durante la stagione invernale erano dette dunque hibernacula. Tali edifici erano più complessi e resistenti di quelli dei campi temporanei e certamente più confortevoli delle pesanti tende di cuoio che dovevano essere smontate e rimontate. Gli appartamenti invernali si distinguevano da quelli estivi soprattutto per la loro esposizione al sole. Vitruvio (De architectura I,2) raccomandava di costruirli verso il sole calante. I pavimenti delle zone mensa erano costruiti in modo tale che l’acqua che vi si fosse sparsa, bevendo nelle coppe o lavandosi mani e bocca, si asciugasse immediatamente; in tal modo, i servitori potevano camminarvi a piedi nudi senza bagnarsi i piedi e raffreddarsi. Venivano mantenuti accesi anche focolari fissi. Di solito i campi invernali diventavano permanenti e le casematte in legno e pietra, dotate anche di mobilio fisso (Vitruvio, De architectura, VII,2), formavano il nucleo di future città. Anche perché una volta che l’accampamento permanente veniva creato, al suo interno si sviluppavano tutte le attività e le strutture necessarie all’esercito imperiale: il valetudinarium (ospedale), il deposito di viveri, le officine dei fabri armorum, le fabbriche di mattoni, i bagni (termae) e le latrine, di cui splendidi esempi in muratura sono stati trovati sul Vallo di Adriano. La ricostruzione delle casematte di uno di questi castra hiberna ad Arbeia (oggi South-Shields, Vallo di Adriano) mostra come ogni porta permetteva l’accesso a un’ampia stanza, dove dormivano insieme i 10 uomini che formavano un contu-
IL GENERALE INVERNO 1242 PEIPUS
LA MANOVRA DEI RUSSI CONTRO I TEUTONICI RIUSCÌ GRAZIE A UN POTENTE ALLEATO: IL GELO
MORTE SUL LAGO
GHIACCIATO
N
TEUTONICI PORTA STENDARDO
G. ALBERTINI
Il soldato.:Fratello cavaliere (Bruder). L’equipaggiamento. L’armamento difensivo corazzato consiste in una lorica a maglie di ferro, indossata sotto un gambeson (tunica) trapuntato, usato come sopravveste. Sopra il cavaliere porta la cotta con la croce nera dell’ordine. L’elmo, uno chapel-de-fer munito di bordo, è indossato sopra l’haubersg (usbergo) di ferro. Altamente avanzata per il periodo è la protezione delle gambe, derivata da modelli orientali, e munita di ginocchiere. La spada (gladius), che qui non si vede, aveva l’impugnatura dorata ricoperta di corda rossa. Il caparison (bardatura) del cavallo è ornato dalla croce nera dell’ordine dai bordi argentei, che solo l’Hochmeister (Gran Maestro) dell’ordine e il suo seguito potevano portare.
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ella prima metà del Duecento l’espansionismo germanico trovò nell’Ordine crociato di Santa Maria dei cavalieri teutonici la sua punta di diamante. Nelle prime decadi del secolo i crociati tedeschi iniziarono la colonizzazione delle terre baltiche, seguiti da coloni e cavalieri germanici, danesi e svedesi che cercavano una terra promessa in queste perdute regioni d’Europa. Combattendo con crudeltà i pagani nel nome della fede latino-cattolica, con la benedizione del papa e il sostegno del Sacro imperatore romano-germanico, i Teutonici si ritagliarono un piccolo regno in Pomerania e in Prussia Orientale. Fusa nel 1237 con il secondo grande ordine crociato tedesco, gli Schwertbrudern (i “fratelli della spada”), la branca livona dell’Ordine teutonico tentò di espandere i suoi domini a spese del principato russo di Novgorod, di fede cristiana ortodossa. Ma il 5 aprile 1242 le forze congiunte dei cavalieri livoni, dei crociati danesi, tedeschi ed estoni vennero sconfitte dai russi, sotto il comando del principe Aleksandr Jaroslavich, chiamato Nevskji per la sua famosa vittoria sugli svedesi sul fiume Neva. Questa battaglia, combattuta sulla superficie ghiacciata del lago Peipus, a sud-est di Novgorod, fu una delle più esaltanti vittorie della Russia medievale. La campagna. All’inizio le cose non erano andate affatto male per i cavalieri. L’idea della crociata, nata nel 1239 per volontà del conte di Holstein, si era concretizzata col trattato di Stensby, dove il re di Danimarca, il vescovo di Tartu Hermann, i principi estoni e Hermann Balke dell’Ordine teutonico avevano messo da parte i loro dissidi e progettato una spedizione contro i principati russi di Pskov e Novgorod. Nonostante la sconfitta degli svedesi sulla Neva, nel luglio 1240, bande di crociati iniziarono con successo le scorrerie nel territorio intorno a Novgorod lungo il fiume Luga, nell’inverno tra il 1240 e il 1241. I Teutonici e i cavalieri danesi conquistarono gli avamposti russi a 30 km da Novgorod e costruirono un castello in pietra nella regione di Vod, a Koporye, imponendo tributi, depredando tutte le fattorie e lasciando senza animali i contadini russi. Un terzo attacco di Teutonici e danesi, guidati personalmente dal Landmeister Andreas von Felben e dal vescovo di Tartu, conquistò la fortezza di Izborsk. I cittadini di Pskov,
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MILEK JAKUBIEK
IN TRAPPOLA
I russi attaccano i cavalieri teutonici sulla superficie gelata del lago dei Ciudi, detto anche Peipus (1242). La croce del gonfalone dei Teutonici ricorda il legame dell’ordine germanico con lo scomparso Regno di Gerusalemme.
IL GENERALE INVERNO 1941-1943 RUSSIA
LA RITIRATA DALLE POSIZIONI SUL DON SEGNÒ LA FINE DELL’8A ARMATA. GLI ITALIANI CONTINUARONO COMUNQUE A BATTERSI FINO ALL’ULTIMO
M
entre sulla desolata steppa gelata una folla di sbandati si muoveva, apparentemente in preda alla disperazione, risuonò un grido: “Tridentina, avanti! A lanciarlo, per infondere coraggio ai suoi Alpini che stavano per gettarsi in un ultimo disperato assalto per rompere l’accerchiamento, fu il generale di divisione Luigi Reverberi, comandante della Divisione “Tridentina”, nomi destinati a diventare dei miti fondativi nella storia del corpo degli Alpini e dell’Esercito Italiano. Era il 26 gennaio 1943, e questa unità – l’ultima ancora in grado di combattere come formazione organica – si trovava di fronte a Nikolajevka, alla testa di altri 40.000 uomini, in parte disarmati e ridotti in condizioni miserevoli dal freddo terribile: erano i resti di quella che era stata l’8a Armata italiana, meglio nota come Armata italiana in Russia (ARMIR). Si parte per l’Est. L’avventura italiana sul fronte orientale era iniziata un anno e mezzo prima: l’invasione dell’Unione Sovietica era cominciata da neanche un mese che Mussolini aveva deciso di prendervi parte. Nel luglio 1941 fu inviato sul fronte orientale il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) . Posto agli ordini del generale di corpo d’armata Giovanni Messe – in seguito giudicato uno dei migliori generali italiani del conflitto – dal luglio 1941 allo stesso mese del 1942 il CSIR fu impegnato in un intenso ciclo operativo, nel corso del quale ottenne sempre lusinghieri risultati.
PUBLIFOTO / OLYCOM
CSIR Si trattava di un corpo d’armata su tre divisioni, due di fanteria (“Pasubio” e “Torino”) e la 3a Divisione “Principe Amedeo Duca d’Aosta”, di tipo celere (le truppe celeri furono costituite nel 1930: le prime due divisioni di questo tipo erano formate inquadrando insieme reggimenti bersaglieri e di cavalleria). A queste si aggiungevano altre unità di supporto tattico e logistico e la 63a Legione della MVSN “Tagliamento” (ovvero la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, meglio conosciuta come “Camicie Nere”, un corpo armato diretta espressione del Partito Nazionale Fascista, o PNF).
LA LUNGA MARCIA DELL’
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LA RITIRATA
Marzo-aprile 1943: il Corpo d’armata alpino si ritira dall’Unione Sovietica. Schierata lungo il bacino del Don, l’Armata italiana in Russia (ARMIR) era composta da circa 230.000 uomini. Ne tornò a casa la metà.
ARMIR
UNITÀ D’ÉLITE
IL 3° REGGIMENTO
ALPINI
PROTAGONISTA DELLA STORIA MILITARE ITALIANA LA GUERRA BIANCA
Nella foto, illustrazione della Domenica del Corriere sulla Guerra bianca, di cui gli Alpini del 3° Reggimento furono protagonisti con la presa del Monte Nero (1915). Un’impresa che valse al reparto la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
“Altius tendo” (IL MOTTO DEL REGGIMENTO)
FOTO ARCHIVIO 3° REGIMENTO ALPINI
SULLA DIGA A MOSUL
Alpino del 3° Reggimento in servizio di sorveglianza alla diga di Mosul, in Iraq. Gli Alpini hanno difeso questa strategica infrastruttura minacciata dall’Isis fino al febbraio 2018.
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“G
iù il cappello davanti agli Alpini; questo è stato un colpo da maestro!”. Così commentò Alice Schalek – fotografa e scrittrice al servizio dell’ufficio per la stampa di guerra dell’Impero austro-ungarico, considerata la prima donna corrispondente da un fronte nella storia del giornalismo – l’impresa a cui resterà per sempre legato il nome del 3° Reggimento: la presa del Monte Nero il 16 giugno del 1915. Una data che ancora oggi si celebra con la festa del reparto. Alle 4:45 di quel giorno, dopo aspri combattimenti alla baionetta, l’84ª Compagnia del Battaglione “Exilles”, comandata dal capitano Arbarello, travolse ogni resistenza sul versante meridionale e issò il tricolore sulla vetta del monte, sacrificando non pochi uomini. Sull’altro versante della montagna fu impegnato invece l’altro battaglione – il “Susa”, con la 35ª Compagnia – che attraversò un neva-
io per aggirare le difese degli austriaci, riuscendo a catturare un intero battaglione nemico. Nella battaglia trovò la morte, tra gli altri, il sottotenente Alberto Picco di Ulrico, fondatore e capitano dello Spezia Calcio, che con altri cinque uomini aveva guidato l’assalto e che, per il coraggio dimostrato, fu decorato con la Medaglia d’argento al valor militare. Gli austriaci tentarono subito un contrattacco per riprendere la cima, posizione chiave per la difesa di Tolmino e per tentare di aggirare le nostre posizioni sulla sinistra dell’Isonzo, ma furono respinti dalle Penne Nere, che si servirono anche di pietre, fatte accumulare dal capitano Arbarello proprio per essere scagliate dall’alto contro gli attaccanti. Quella del Monte Nero fu un’azione fulminea e coraggiosa: un vero e proprio capolavoro alpinistico, prima ancora che militare, che portò alla conquista di una cima considerata ine-