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Arianna Montalti 3D Non svegliare il robot che dorme Sono le 7 e 40 di mattina e il mio primo pensiero, come tutti i giorni, è sempre questo: odio la sveglia! Quello stupido cuscino a protoni elettrificanti! Vorrei sapere chi ha avuto la brillante idea di creare un oggetto che mandasse scariche elettriche al cervello dei bambini per svegliarli! Andiamo, siamo nel ventiseiesimo secolo, neanche nel 2000 si commettevano certe barbarie! Dopo il mio solito quarto d’ora di lamentele su quei bacucchi del Consiglio Gamma del Governo mi decido a vestirmi con una maglia comoda di plixene azzurra e dei pantaloni bianchi auto-lavanti, insieme ad un paio di scarpe da ginnastica bianche e nere munite di mini-propulsori. Finita la preparazione, corro in cucina a mangiare le caramelle ultranutrienti a tutti i gusti. - Ma come, Ashley, di nuovo in ritardo? Dovresti saperlo che se non arrivi alla piattaforma di teletrasporto entro le 07:59 l’opzione “scuola media” si cancella automaticamente. - Mmpf, guarda che lo so! – biascico con la bocca ancora piena. – E’ per questo che ho messo le scarpe a razzo. – concludo e scappo via, con la mia borsa mini maxi a tracolla, prima che mia madrepossa dirmi che non dovrei usare quelle scarpe tutte le volte che arrivo in ritardo. Premo i pulsanti sui bordi delle scarpe e parto a velocità supersonica verso la piattaforma, schivando di tanto in tanto dei ragazzi con gli zaini a razzo. Tsk, sono così obsoleti! Raggiungo la piattaforma alle 7:50 e vedo un sacco di ragazzi di tutte le età che parlano e chiacchierano fra loro. Ci sono anche un paio di teleologrammi; uno in costume da bagno che saluta dall’Oceano Pacifico e due ragazze in cima ad una montagna che parlano delle loro vacanze. Al mio arrivo tutti i ragazzi smettono di chiacchierare; cala un gran silenzio e tutti mi fissano come se fossi un’estranea, un mostro. Odio questa cosa.


È raro che la gente mi parli, a meno che non sia strettamente necessario, o che vogliano insultarmi. - E anche oggi viaggio da sola. – sbuffo mentre mi smaterializzo per poi venire teletrasportata direttamente a scuola. Tanto tempo fa a scuola ci si andava tutti insieme, in classi piene di bambini e ragazzi raggruppati per età, e probabilmente si divertivano tanto. Sarebbe bello se si facesse ancora così, adesso è tutto molto più veloce e artificiale. Ti attaccano un cavetto con una ventosa in fronte e premono un pulsante. Puff! In pochi secondi immagazzini tutte le nozioni della lezione. Tecnicamente si potrebbe imparare tutto quello che c’è da sapere in pochi minuti, ma non è permesso farlo poiché una normale mente umana non resisterebbe e impazzirebbe. Papà ha detto che io potrei benissimo farlo senza conseguenze, ma dubito che questo migliorerebbe la mia situazione. Tempo fa c’erano anche moltissimi robot e automi - papà ha molti libri sull’argomento – e quasi tutti ne avevano almeno uno in casa, come maggiordomo, cameriera, o addirittura come animale domestico. Ma non sono durati a lungo. Papà ha detto che ci sono stati dei “problemi tecnici” e i robot, diventati molto intelligenti e complessi, sono sfuggiti al controllo degli uomini e hanno combinato molto guai. - Morì molta gente, Ashley, questo è vero, ma non tutti i robot erano pericolosi. Gli uomini commisero l’errore di creare qualcosa di estremamente intelligente – a tal punto da sviluppare una volontà propria – e di sfruttarli, di trattarli come bestie. Tu non ti saresti arrabbiata, al posto loro? E così alcuni robot avevano cominciato a distruggere gli uomini, ma erano stati fermati quasi subito. Da allora i robot avevano cessato di esistere.


Dopo la “lezione” vado alla biblioteca e mi rilasso leggendo qualche libro. Cinque KB di informazioni dopo, l’orologio fotonico a neutroni mi avverte che sono le 13 e 21 minuti, 45 secondi e 31 nanosecondi. Mi dirigo quindi verso casa per il pranzo, stavolta uso la carrucola ad elettroni auto-rimpicciolente che avevo nella borsa e la programmo per tornare alla mia abitazione: è più bello fare il giro panoramico dall’alto dei palazzi che farsi scomporre e ricomporre le cellule a velocità esponenziale! Quando arrivo davanti alla porta sento delle voci concitate a me sconosciute provenire da dentro casa e decido di intrufolarmi dalla finestra della cucina. Sbirciando dalla porta socchiusa riesco a vedere la scena che si sta svolgendo nel salotto. - Dov’è quell’abominio? Non dovrebbe essere già tornata da scuola? – domanda irritato un enorme uomo sulla quarantina. - Esattamente! Scommetto che il nostro piccolo scienziato la sta nascondendo, non è vero Lawrence? – sogghigna un altro uomo, vestito di nero e dalle spalle larghe. Tiene una mano nascosta nella tasca della giacca e la cosa non mi piace. - Mia figlia non è un abominio! È una normalissima ragazzina di dodici anni. Non capisco cosa vogliate dalla mia famiglia! – È strano sentire papà urlare; lui non urla mai. - Andatevene subito da casa mia! E lasciate in pace me e la mia famiglia! – grida mamma, con le lacrime agli occhi. - Vostra figlia? Ma quale figlia e figlia! Quel mostro non può essere considerato tale! La vostra piccola Ashley non è altro che un ammasso di ferro e bulloni! L’hai costruita solo perché ti sentivi solo, Dottore. Ora è giunto il momento di smantellarla. – disse il primo uomo. - E ora muoviti. Chiamala e dille di venire qui così finiremo finalmente questa storia! – ordina l’altro. Nel salotto cala il silenzio. Poi mio padre fa quanto di più stupido si possa fare; l’eroe. Si butta contro l’uomo alto con un attrezzo da lavoro e cerca di colpirlo, ma l’altro lo stende con un colpo alla nuca.


- Maledetto! – sibila quello a terra, per poi rialzarsi e puntargli la pistola contro. Spara a mio padre. Mia madre non fa in tempo a gridare che è stesa a terra anche lei, morta. I due uomini ridono. In un attimo sono dietro di loro: sento i circuiti che iniziano a ribollire. Quei due sono giĂ morti e neppure lo sanno. Nessuno fa arrabbiare un robot.


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