Federico

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LA SECONDA FACCIA DI LONDRA Londra alla fine dell’ ‘800 era una città malfamata, una mossa falsa ed eri morto, bastava imboccare un vicolo sbagliato e trovarsi davanti un assassino che senza pensarci due volte ti ammazzava con facilità. Bastava pensare ai giornali, è vero non so leggere però le voci girano, ho sentito di un certo Jack lo squartatore che ogni volta uccide e moltissime persone muoiono Ed io vivevo qui. Era un giorno come tutti gli altri, cioè speciale e irripetibile, ma quello speciale non prendetelo come una cosa buona, anzi era la cosa più brutta che potesse capitare a un dodicenne come me. Era una giornata di inferno gratuito, molti hanno il proprio luogo di dannazione che è rappresentato da una paura, un luogo spaventoso, persino da una persona; beh il mio inferno era quella fabbrica che era comandata dal diavolo in persona cioè Daniel Crasher, se volete immaginare il suo carattere, o l’aspetto fisico, vi do’ un aiuto, non si può sbagliare, basta usare un pizzico di fantasia, ma se non l’avete leggetevi un bel romanzo di Edgard Allan Poe, di cui tutti parlano, e prendete il personaggio più viscido, schifoso e antipatico che ci sia e quello assomiglierà almeno un po’ a Crasher. Tornando alla mia giornata vi ho detto che era speciale ed irripetibile, chiunque conosce come si lavoranelle fabbriche, si chiederà il perché. Io in quella fabbrica ci lavoravo fin da piccolo per sopravvivere. Si fa sempre lo stesso movimento all’ infinito finché non ti sanguinano le mani e allora i proprietari ti sbattono fuori a calci nel sedere. L’unica cosa che rende ogni giorno speciale è il dolore, il dolore che ogni giorno rimbomba tra quelle quattro mura, così intenso che si può tagliare con le forbici, il dolore che solo chi soffre come te può capire, che ogni giorno


uccide qualcuno, il dolore che un giorno prenderà anche me e che può far diventare ogni giorno che passo in quella stanza delle torture l’ultimo. Quel giorno mi recai in fabbrica e iniziai a lavorare a testa bassa come sempre. All’ora di pranzo mangiai la mia fetta di pane velocemente per avere più tempo per lucidare e sistemare la macchina in modo da renderla sicura per il turno successivo ma, non andò tutto liscio, tornando alla mia postazione dei ragazzi più grandi mi videro sgranocchiare ancora le ultime briciole del pane e mi aggredirono credendo ne avessi ancora, anche una briciola in quel luogo può far diventar cattive le persone, la fame può far impazzire, e mi dissero: ”Sgancia il pane ragazzino” io, spaventato feci un salto all’indietro e risposi “io non ho, niente ormai l’ho finito, vi prego lasciatemi stare”. “ Perché dovremmo farlo ti abbiamo visto mangiarlo e noi abbiamo fame”. “ Domani vi darò tutto quello che ho, ma ora lasciatemi stare” non lo fecero, mi picchiarono a sangue, sferravano pugni a destra e a manca, sputavo sangue come una fontana, mi salvò la sirena che segnava la fine del pranzo. Affaticato, mi rialzai in fretta per non farmi vedere dal direttore o da una guardia di passaggio, le macchine iniziarono a muoversi e in quel momento un enorme pannello di metallo mi cadde addosso; ridotto in quel modo non avevo la scaltrezza per scappare e fui colpito. Il dolore mi accecava, non riuscivo a pensare ad altro, non potevo muovermi; quella trappola mortale mi aveva reso suo schiavo, non respiravo. Avevo gli occhi sbarrati, mi sforzavo di mettere a fuoco le immagini che davanti a me tremavano come foglie d’autunno sfiorate dal vento. Tutti mi guardavano e tra loro c’era il direttore che, senza pensarci due volte ,urlò :”Portatelo fuori non serve più”; avvicinandosi a me, mi disse sottovoce “sei licenziato” dopodiché si rialzò sbraitando “Tornate a lavorare idioti, non c’è niente da vedere qui”.


Mi portarono fuori di forza, mentre piangevo e soffrivo, mi rattristai, perché potevo ancora farcela, ero giovane e mi sarei ripreso presto. Perché licenziarmi così? Rimasto a casa dal lavoro, in compagnia di un vecchio nonno che arrancava adogni respiro, iniziai a disperarmi girando in tondo, ignorando il dolore lancinante. Misi a soqquadro le poche cose che avevo, forse in cerca di qualcosa che mi potesse aiutare a trovare un lavoro o forse solo per consolarmi. Non ci volle molto poiché il mio angolo nello slum era piccolissimo circa due metri per due metri, non trovai niente di interessante a parte un piccolo foglio tutto stropicciato e bruciato, gettato in un angolo con un disegno che rappresentava un monumento di Londra. Mi incuriosii, lo controllai e ricontrollai, lo rigirai più volte, il piccolo schizzo che appariva sembrava rappresentare il London Bridge e da lì partiva una linea tratteggiata come a segnare una traiettoria. Ero curiosissimo, sembrava una vera e propria mappa, iniziai a fantasticare su un possibile tesoro che potevo trovare là, potevano esserci talmente tante monete d’oro da diventare ricco, potevo smettere di lavorare per tutta la vita, comprarmi una casa enorme e sposarmi con una donna bellissima. Alimentato da quei pensieri mi volli mettere in marcia, tanto ormai non avevo più niente da perdere, a parte il nonno che mi avrebbe lasciato presto, allora ignorando il dolore che col tempo si affievoliva, presi lo zaino e lasciai quel poco che avevo alle spalle per partire verso una magnifica avventura, che sognavo mi avrebbe reso ricchissimo. Mi recai al London Bridge, non volevo fare in fretta, mi godetti il panorama sul Tamigi: era bellissimo, uno spettacolo, dopodiché ripartii spedito impaziente di mettere le mani sul tesoro.


A metà del ponte ci fu un incidente, subito seguito da una rissa da strada, erano due bande rivali che se le davano come delle bestie, avevano riverniciato l’asfalto di sangue, ed era come stare in un bosco pieno di orsi armati fino ai denti che se le davano di santa ragione. Presi un lungo respiro e mi caricai di coraggio, volevo attraversarlo tutto quel ponte anche se non avevo idea di dove mi avrebbe portato quel pezzo di carta. Cercai furtivamente di passare in mezzo, ma venni bloccato da un grosso signore che mi disse :”Hey, tu chi sei? Una loro spia per caso?” “No, signore, stavo solo passando da queste parti” ribattei, ma come i ragazzini della fabbrica non mi credette. “Non ci credo” disse, allora in quel momento mi sferrò un pugno che mi ribaltò la faccia, piagnucolando mi girai per vederlo in faccia. “Cos’hai piccolino, vuoi la mammina?” disse ridendo. “Non parlare della mia mamma o giuro che ti ammazzo “ urlai. “Perché piccolino ti manca molto vero?” Infuriato gli tirai un calcio nello stomaco, lui si piegò a metà dal dolore e colsi il momento per sferrargli un pugno che credo se lo sia ricordato per un bel po’, poi gli intimai “se parli ancora male della mia mamma io ti uccido, lei si è sacrificata per me, per colpa mia, solo perché ho avuto paura e non voglio che sia morta invano”. Mi girai e iniziai a correre più veloce che potevo in modo da seminarlo e così fu. Mi nascosi dietro al colonnato del ponte, giusto in tempo per prendere respiro, e mentre ripensavo all’accaduto rimuginai sulle parole dette su mia madre, che si sacrificò cercando di lavorare il doppio coprendo anche i miei turni di lavoro fino a morire, e solo perché avevo paura che i ragazzi più grandi mi picchiassero.


Non so se fu la fortuna, il destino o lo sguardo di mia mamma dal cielo, ma proprio lì a due passi da me notai un altro pezzo della mappa che combaciava perfettamente con il primo. Mi recai subito al Big Ben, che era l’immagine sul biglietto appena trovato. Una volta arrivato lì, sentii fragorose urla, mi trovai in mezzo a una folla enorme: guardavano tutti in alto, verso l’orologio, mi chiesi il perché, poi sbattei contro un signore che mi diede attenzione, colsi l’occasione per chiedere. “Mi scusi signore, ma cos’è successo?” , lui rispose, “Come non lo sai?, Jack lo squartatore si è intrufolato nella torre e ha appeso la guardia sulla punta della lancetta”. “Cosa? E nessuno va a salvarlo?” “No, nessuno ha il coraggio, lo danno per spacciato”. In quel momento, senza pesarci un attimo, mi lanciai verso la torre, non ero mai stato coraggioso, ma sapevo che nessuno è spacciato finché il cuore batte ancora, me lo aveva insegnato il mio caro papà quando era ancora in vita, prese il tifo due volte, la prima si salvò miracolosamente, la seconda mi abbandonò, lasciandomi da solo, ed ora che sono qui ad inseguire non so bene cosa. Era arrivato il momento di mettere questo insegnamento in pratica, e poi ormai non avevo più niente da perdere. Aprii la porta tanto velocemente che fece un tonfo rumorosissimo, iniziai a salire le scale, una dopo l’altra, quando ormai ero sfinito dalla fatica, arrivai finalmente in cima e mi arrampicai tra gli ingranaggi, fino ad arrivare alla finestra dell’orologio. Appena mi videro dalla strada iniziarono ad urlare: avevo tutti gli occhi puntati su di me, le gambe mi tremavano e la testa girava come una trottola, raccolsi le ultime forze e mi lanciai verso la lancetta che fortunatamente restò ferma,


feci uno sforzo enorme, ma riuscii a mettermi a cavalcioni della grande lancetta. Lì c’era la guardia accovacciata che mi disse:” Complimenti, ti sei appena suicidato” io basito gli risposi “ No, insieme possiamo farcela a scendere da qui” “e come?” Fai così, vieni lentamente verso di me, insieme scivoleremo verso la finestra, non guardare in basso e tutto andrà bene. Non so bene come, ma riuscimmo a salvarci entrambi, probabilmente inseguire un sogno fa emergere in te molto coraggio. Tutte le persone vennero a congratularsi con me e la guardia mi ringraziò con tutto il cuore, mi raccontò che cercava di fuggire da quell’assassino perché era in possesso di una traccia con cui Jack lo squartatore sarebbe potuto essere arrestato una volta per tutte, e mi allungò di nascosto una pezzo di carta che ancora una volta combaciava con gli altri due già in mio possesso non potevo crederci! Un puzzle incredibile si stava completando, stavo vivendo un’ incredibile avventura! La tappa finale di quella che risultò essere una vera e propria mappa, mi portava alla Cattedrale di Westminster. Non aveva una gran reputazione quel luogo, si diceva ci fossero stati sacrifici umani e delle stragi da parte di famosi assassini e ora, dopo le confidenze della guardia, si affievoliva l’idea che portasse ad un tesoro, ma ormai l’avventura era in atto e la curiosità aumentava passo dopo passo. Arrivato a destinazione era ormai buio. Andai davanti al portone e bussai molte volte, solo dopo qualche minuto mi ricordai che era abbandonata, allora spinsi con una spallata il portone che si aprì cigolando.


Appena entrato si sentì un tonfo alle mie spalle, era la porta che si chiuse velocemente. Non vedevo quasi niente, se non grazie alla luce fioca della luna che penetrava dalle vetrate, sentivo, sentivo un odore pungente, quasi di putrefazione e pensai subito che, essendo la chiesa abbandonata da anni, di sicuro c’era qualche topo morto. Continuai sempre furtivamente, non si poteva mai sapere, arrivai davanti a una specie di tombino aperto, era da lì che proveniva l’odore sgradevole e, alimentato dalla curiosità, mi recai di sotto. Appena fatto l’ultimo gradino, mi Immobilizzai come una pietra, alla vista dei mille corpi umani appesi al soffitto. Rimasi immobile, mi ripetevo tra me e me “Sono stupido, questo è il covo di Jack lo Squartatore, e adesso cosa faccio?” ero pietrificato dalla paura quando…. un coltello mi trafisse la schiena, senza pietà. Non potevo crederci ero diventato una delle vittime dell’assassino più temuto di Londra, questa volta non avevo più chance, non avevo una seconda possibilità, non si poteva tornare in dietro, solo morire. Ma non volli accettare questa fine, ancora il mio cuore batteva, lo so si sarebbe fermato tra poco, ma ancora batteva, dovevo rendermi utile anche l’ultimo secondo della mia vita, dovevo fare in modo che Jack venisse scoperto, in modo da non far soffrire più nessuno. Urlai, sì non era l’idea più bella che mi potesse venire, ma speravo con tutto il cuore di attirare l’attenzione anche di una sola persona, di un piccolo uomo che preso dal sospetto avrebbe chiamato la polizia e messo fine alla ragnatela di morti di Jack. Allora urlai, urlai più forte che potevo, fino a privare di tutta l’aria i miei polmoni.


Poi il buio.

Mi risvegliai in ospedale, mi sentivo rinato ed infatti lo ero, rinato in ospedale dopo essere stato operato e messo sotto sedativi per la profonda ferita. Non avevo trovato un tesoro, ma ero diventato un eroe, perchÊ qualcuno mi aveva sul serio sentito e aveva avverato il mio sogno di essere utile fino all’ultimo secondo, beh anche se non era proprio l’ultimo, ma il primo di una nuova vita. Grazie a qualcuno che forse prima di me aveva tentato di fermare quelle morti e mi aveva aperto la strada disegnando la mappa.


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