LA MIA VITA
Pietro Biguzzi
Quando ho imparato a parlare Quando ho imparato a parlare, nessuno ci sperava più. Nel senso che i miei genitori mi hanno raccontato che a due anni non parlavo ancora. La mamma mi ha
detto che farfugliavo parole senza che si capisse niente. Le nonne facevano finta di capirmi, i nonni ridevano e i genitori mi guardavano con preoccupazione perché, forse, pensavano che ero muto come un’anatra. Peccato che non mi ricordi tutto questo, ma un giorno ho iniziato a parlare tutto d’un colpo e per sempre. Non ho detto MA MA o BA BA…come i bambini piccoli, ho pronunciato subito le parole intere e tutte insieme in un lungo discorso. Alla mamma e al babbo è preso un colpo. Come sono riuscito a fare questa sorpresa, non lo so, ma tutti hanno cambiato idea su di me, e sono rimasti loro, senza parole. Dopo un po' di tempo che parlavo, i miei genitori hanno pensato che stavano meglio quando ero muto, perché da quel giorno non ho più smesso.
Il mio compleanno Il mio compleanno è sempre un giorno speciale, perché lo festeggio con la mia famiglia. Ci sono i nonni, gli zii e i cugini, tutti a cena da noi. Le nonne cucinano i miei piatti preferiti e tutti mi portano un regalo. La mamma e il babbo comprano la torta che preferisco e al mattino quando mi sveglio, trovo un pacco sul letto. Tutti mi salutano e mi telefonano per farmi gli auguri e gioco con i mei cugini in giardino fino all’ora di cena. Il giorno del mio quarto compleanno è stato molto speciale perché abbiamo tutti cenato sotto il grande olmo del giardino del nonno Carlo. E poi tutti mi hanno portato dei regali molto belli. Il problema è stato che mi sono un po’ emozionato e tutte queste attenzioni mi hanno mandato in tilt. Quando mi emoziono, mia mamma dice che perdo la ragione e faccio cose strane. Infatti mi sono messo a piangere disperato perché avevo troppi regali, non volevo lasciarli e scappavo per il giardino a nasconderli. Non volevo più mangiare a tavola e mi muovevo e parlavo in modo frenetico
e confuso. I miei genitori ci hanno messo un’ora a calmarmi e a convincermi a sedermi. Hanno nascosto i giocattoli e si sono anche un po' arrabbiati per i miei capricci. Ma io non volevo fare i capricci, ero veramente impazzito di gioia. Alla fine della serata mi sono tranquillizzato e potevo giocare, ma ero sfinito e mi sono addormentato sulla panca, mentre tutti chiacchieravano e ridevano. Il babbo ha detto che ero proprio una pera cotta. Non so se ho fatto proprio una bella figura quel giorno, per fortuna era il mio compleanno e quindi nessuno mi ha sgridato. Però quando è ancora il mio compleanno la mamma mi dice: -Auguri Pietro e stai tranquillo!
Le mie persone speciali Da quando sono piccolo sono cresciuto con la mia cugina Matilde. Lei abita di fianco a me ed è nata sette mesi prima di me. Siamo come fratelli e quando stiamo insieme ci divertiamo molto perché ci capiamo al volo. A lei piace parlare come me, è vivace e ha un sacco di idee. E’ molto creativa e sa inventare cose nuove. Alla scuola materna eravamo nella sezione Coccinelle e giocavamo sempre insieme. A casa giocavamo molto e a volte abbiamo combinato qualche guaio. Noi due siamo molto bravi a combinare guai, come a fare i miscugli, incendiare le candele sul pavimento e strappare i fiori per fare pozioni magiche. Ma la cosa che ci riesce meglio è cucinare merende sfiziose, come ad esempio la frittata con le viole o il succo di limone e menta, o le crepes con il miele. Naturalmente i nostri genitori ci odiano quando facciamo queste cose perché sporchiamo tutta la cucina e macchiamo i cuscini e dicono che mangiamo schifezze. Matilde è una bravissima cuoca, ma le sue ricette sono un po' strane e difficili e poi lei è molto
golosa. Potrebbe mangiare quattro gelati, una stecca di cioccolato e tutti i dolci possibili. Peccato le facciano male e suo babbo non glielo permetta. CosĂŹ cuciniamo per noi qualcosa che i nostri genitori non avrebbero mai il coraggio di assaggiare e non sapranno mai quanto zucchero gli abbiamo messo. Spero che Matilde diventi una cuoca esperta e nel frattempo continuiamo a preparare merende speciali.
Un male terribile Un giorno di primavera di tre anni fa, ero in giardino a giocare a nascondino. Mia mamma stava lavando le persiane e le aveva smontate e appoggiate al muro della casa. Era quasi sera e noi ci nascondevamo in tutti i posti più segreti per non farci trovare. Io stavo cercando un posto nuovo e più segreto per vincere e non farmi scoprire. Ho avuto l’idea di nascondermi dietro una persiana di legno appoggiata al muro, ma quando l’ho mossa, era talmente pesante che in un botto si è rovesciata a terra, purtroppo sopra al mio piede, anzi sopra il mio alluce. Il dito si è rotto, schiacciato come una lumaca e la mia unghia è volata in mille pezzi come il suo guscio. Subito non ho avuto neanche il fiato per urlare, ma qualche secondo dopo sì. Mia mamma è corsa come una gazzella a vedere cosa era successo. Non è stato facile, perché io urlavo e piangevo e non riuscivo a stare fermo. Vedevo solo il sangue. Quando la mamma mi ha immerso il
piede nell’acqua gelida, ho visto ancora le stelle. Il babbo mi ha fasciato forte e mi ha portato al pronto soccorso e lì ho urlato ancora più forte. Mi sa che il medico ha avuto paura di me. Non è riuscito a farmi l’anestesia e mi ha tolto i frammenti di unghia che erano rimasti sul dito. Alla fine mi ha sistemato meglio che si poteva. Il mio dito era rotto e gonfio come una pallina, senza unghia e nero come carbone. Non potevo guardarlo. Dopo una settimana sono partito per la montagna e ho fatto tutte le passeggiate con i saldali e i calzini perché era impossibile portare le scarpe. Ora il mio piede è tornato normale, ma non ho ancora dimenticato il male terribile e la paura. Non passo più vicino alle persiane, ovviamente.
Letto-letto… un soffice amico…
Il mio primo e legittimo peluche si chiama Letto-letto: è un morbidissimo coniglietto peluche bicolore, con il naso rosa e due occhi neri dolcissimi. Possiede due orecchie lunghe e dritte: una color crema e l’altra celeste; quando ero piccolo mi piaceva giocare con lui e lo portavo sempre a dormire con me. Me lo ha regalato mia nonna per il mio primo compleanno; da quel giorno io e lui siamo stati sempre insieme. Tengo molto a lui ed è il mio pupazzo preferito e mi sono sempre immaginato che anche lui volesse bene a me. Ancora adesso quegli occhi scuri sembrano sorridermi.
Un ricordo in foto
Io e la mia famiglia, insieme agli zii siamo stati in vacanza in Trentino-Alto Adige, in una fattoria che si chiama Maso, dove c’erano tantissimi animali. Sembrava un enorme fienile e noi ci dormivamo sopra. Abbiamo passato dei giorni belli, in giro per i sentieri della montagna attraversando boschi verdissimi e freschi. Questa foto mi fa ricordare il profumo dei pini e degli abeti sul sentiero che stavamo percorrendo, cercando un posto tranquillo e ombroso per riposarci e mangiare qualcosa. Io e mio fratello, mentre camminavamo e saltavamo un po’ qua e un po’ là, a cercare rami secchi, pigne, formicai, all’improvviso abbiamo sentito un rumore.
Sugli alberi qualcosa si muoveva rapido, fra i rami di un pino e saltava da un arbusto all’ altro sfrecciando sui tronchi: era uno scoiattolo rosso. Era sceso dal pino e stava fermo sul prato, non molto distante da noi: il suo pelo era rossiccio e due vispi occhi neri scrutavano, tesi come due corde di violino, nella nostra direzione; non ho aspettato un attimo, mi sono precipitato veloce verso di lui per vederlo da vicino, ma quello scoiattolo non ha gradito il mio interesse per lui, così ha incominciato a correre spaventato verso un albero dove si è rifugiato; io ho solo potuto vedere una scia allontanarsi e sono ritornato deluso e un po’ seccato sul sentiero del bosco.
Il mio successo più grande
Il giorno più bello della mia vita è stato quando ho ricevuto il mio fazzolettone scout, durante la cerimonia delle promesse. In questa occasione ai nuovi arrivati vengono chieste, dai bambini più grandi, le leggi degli scout e bisogna recitare la promessa che impone lealtà, altruismo e generosità verso tutti.
Quando è incominciata l’attesa cerimonia… ero carico di emozioni e sentivo l’insicurezza e la paura annebbiarmi, l’orgoglio che mi rassicurava e una forte tensione che si accumulava nella mia mente. Nonostante questo le prove sono andate per il meglio e ormai ero convinto che avrei raggiunto il mio obiettivo. La cosa più bella è che l’ultima domanda me l’ha fatta mio fratello che era all’ultimo anno dei lupetti. Mi sono sentito orgoglioso e felice perché lui è un bravo scout, ed è il mio fratello maggiore. Sa fare molte cose e mi aiuta quando mi trovo in difficoltà. Lui sa accendere il fuoco, piantare una tenda, cucinare, costruire, giocare a scout-ball. Io non sono così esperto e le mie mani sono sempre un po' impacciate e a volte i nodi non riesco nemmeno a scioglierli. Ma siccome lui era lì con me, mi sono sentito sicuro e felice e ogni paura è passata. Ho risposto subito e gli ho sorriso: sono pronto anch’io! Quando i capi mi hanno posato il fazzolettone sul collo, ho provato una scarica di energia e felicità, ero fiero di me e felice di aver iniziato una nuova avventura. E’ stato un successo.
Una avventurosa “vacanza” La mia prima vacanza di Branco è stata davvero avventurosa. Non solo perché i miei genitori non c’erano, ma perché ho dormito nel sacco a pelo, avevo la gavetta dove mangiare e la sera giravo con la pila al buio, anche nel bosco. Per me, che non sono un amante del buio, è stato strano non avere paura. Ma con gli amici sono più coraggioso. Al campo dei lupetti si vive insieme e si fanno giochi divertenti e scatenati come tuffarsi nel fiume, rotolarsi nell’erba, dipingersi la faccia, correre liberi e combattere i nemici con le palle di carta e i gavettoni d’acqua. Il campo era di Peter Pan e i cattivi erano i pirati e il coccodrillo. Naturalmente alla fine abbiamo vinto noi, e abbiamo liberato Peter da Capitan Uncino. Mi è piaciuto vivere come un bimbo sperduto e stare con gli amici sempre in compagnia da mattina a sera e anche di notte, senza mai annoiarmi. E poi al primo campo c’era anche mio fratello Filippo e non ho avuto nemmeno un briciolo di malinconia perché sapevo che potevo contare su di lui che mi rassicarava. Quando sono tornato a casa, tutto mi sembrava nuovo e diverso e per tanti giorni, svegliandomi al mattino, ho
sperato di essere ancora là a giocare nell’Isola che non c’è.