Lucia

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IO SONO I MIEI RICORDI

La mamma a volte mi racconta di quando io ero ancora nel pancione. In particolare durante un’ ecografia in cui la dottoressa disse ai miei genitori: “Volete sapere cos'è?! ...E' una femmina!” e mio babbo rispose: “E' sicura?! Può controllare meglio?”


LA PRIMA VOLTA CHE... Erano ormai passati mesi dalla mia nascita e ancora non emettevo alcun suono, a parte il ruttino dopo aver mangiato. I miei genitori erano impazienti che io dicessi la prima parola e quando la pronunciai rimasero sbalorditi. Mia madre sperava fosse “mamma” mentre mio padre desiderava fosse “babbo”. Furono comunque contenti quando la udirono : non fu né mamma né babbo ma “da-da”. Col passare dei mesi imparai a dire anche le parole tanto attese dai miei genitori: “mamma” e “babbo”. Avevo circa quattro anni e a volte mio babbo scherzando diceva: “questa bambina è un po' indietro” e mia mamma in tutta risposta ribatteva: “Non è affatto vero!”. Un giorno lei mi portò al parco giochi in cui c'era una lunga pista ciclabile. Mia madre si mise a sedere in una panchina attenta che non mi facessi male, mentre io mi misi in sella alla bicicletta. Iniziai a pedalare, ma a stento restavo in equilibrio; rimasi un po' delusa perché, nonostante i diversi tentativi, non ci riuscivo. Allora mia mamma venne a confortarmi dicendo: “Non ti preoccupare, per imparare ad andare in bici bisogna cadere almeno cento volte”. Così mi feci coraggio e con il suo aiuto il giorno dopo tornai al parco. Dopo varie cadute riuscii finalmente a pedalare. Quando tornammo a casa e annunciammo a mio babbo che ero riuscita ad andare in bici, lui incredulo volle le prove: il sabato dopo andammo in centro tutti e tre insieme!


UNA PERSONA SPECIALE A mia zia Glenda voglio un sacco di bene. Di mestiere fa la veterinaria, e anche se abita a Londra, quando ci vediamo ci racconta sempre degli animali che sono in ambulatorio. Ci descrive anche di quando visita animali strani...impensabili! Una volta era venuta una paziente che aveva mostrato a mia zia dei topi di fogna col raffreddore che si rifiutò di curare visto il ribrezzo che provava e mi disse che avrebbe preferito curare un serpente piuttosto che un ratto. Aveva anche visitato un canguro dalla stazza enorme, proveniente da un circo di passaggio, ed aveva anche assistito alla sterilizzazione di un leone. Le voglio molto bene perché con me è sempre molto dolce e con lei di noia non se ne parla. Ogni volta che ne abbiamo l'occasione percorriamo una strada che porta al fiume. Lì ci sono diverse case disabitate e noi andiamo a fare le nostre escursioni chiamate “testa il tuo coraggio”. Io contro mio fratello vinco sempre, ma lei è insuperabile. Una volta si addentrò in una delle case più paurose in cui mio fratello ed io non osammo mettere piede perché ci aveva raccontato una storia da brividi! Un’ anziana signora sentiva delle strane voci provenire dalla soffitta e quando aprì la porta qualcuno la spinse giù per le scale e nessuno seppe mai perché fosse morta. A volte ci faceva andare nel boschetto “stregato”, che faceva molta paura, ma arrampicarmi sugli alberi è la mia passione, quindi di solito ero io quella che chiedeva di andarci. Ero solita arrampicarmi sull'abete più alto su cui avevamo costruito una capanna, molto piccola, ma essenziale per trascorrerci un pomeriggio pieno di avventure: una casetta su quattro assi, con il tetto e una finestrella. Di tanto in tanto mia zia Glenda ci preparava del tè e deliziosi biscotti provenienti dall'Inghilterra così insieme a lei gustavamo


delle squisite merende inglesi. Nelle giornate piovose ci divertiamo a disegnare, piÚ in particolare a ricopiare le delicate fatine del mio libro di magia. Una zia cosÏ non si vede mica tutti i giorni! Ora ha un bimbo di nome Lorenzo, una vera peste, per questo motivo non trascorriamo piÚ giornate cosi intense, ma comunque è sempre una zia meravigliosa.


C' ERA UNA VOLTA... Di solito il sabato e la domenica mattina mi alzavo dal letto e con una buffa corsa andavo dai miei genitori. Naturalmente erano “sornecchianti” a dormire in camera loro. La prima ad accorgersi che mi ero intrufolata nel letto tra le coperte era sempre mia mamma. Teneva gli occhi chiusi, ma sapeva che quando li avrebbe aperti mi avrebbe trovato con un sorriso. Poi era la volta del babbo. Mi mettevo seduta sulla sua pancia e gli accarezzavo la sua ispida barba, adoravo sentire quel ruvido sotto le mani. Finito di farci le coccole mi stendevo sul morbido cuscino e iniziavo dicendo: “Volete che vi racconti una storia triste o allegra?” e loro in coro dicevano: “Allegra!”. Allora io iniziavo scherzando a farfugliare: “C'era una volta in un ciminero (cimitero) un lupo nero” o anche “C'era una volta una corvacchia (cornacchia) che rubava un anello a una principessa...”. I miei genitori a questo punto esclamavano: “Ma Luci ti avevano chiesto una storia felice e allegra...!” io allora mi mettevo a ridere. Alla fine era sempre mia mamma a raccontarmi le storie più belle. Mi raccontava, con la sua voce dolce, le sue escursioni avventurose in montagna, dei suoi amici che facevano stupidi giochi, di quando hanno attraversato un fiume, delle scivolate dalla collina con i sacchi della spazzatura. Io adoravo ascoltare le storie, era la sua bocca la cosa più bella delle avventure che mi raccontava: aveva sempre il sorriso stampato sul viso. Ogni racconto era diverso, ma la sua risata era sempre la stessa. Era leggera e soave come una piuma.


TITTI Era la mia bambola preferita, le volevo un mondo di bene, era la mia compagna di avventure. Me l'ha regalata la mia nonna Edda quando avevo un anno. Già al primo sguardo mi ero affezionata, mi piaceva tutto di lei: la sua testa pelata, gli occhi azzurri che parevano vivi, il suo nasino all'insù e la sua bocca di colore rosato. Aveva un profumo dolce, ogni volta prima di andarmi a letto l'annusavo per bene e poi mi potevo concedere un sonno tranquillo. Sognavo praterie, fiori profumati e cavalli che galoppavano su quei prati sconfinati, che si fermavano all'improvviso e poi si rimettevano a correre. Poi quando mi svegliavo trovavo sempre al mio fianco la mia bambola di pezza, Titti. Dopo averle fatto indossare bellissimi abiti, da brava mammina la appoggiavo con delicatezza nel suo passeggino rosa e insieme scorrazzavamo per tutta la casa a vivere le nostre avventure. La portavo sempre con me, ma un giorno il mio fratellino Luca prese la mia bambola di soppiatto e con un pennarello scarabocchiò la sua testa. Quando me la riconsegnò rimasi un istante ferma per poi correre a perdifiato dalla mamma. Lì per li ero molto arrabbiata con lui, però sapevo che se volevo togliere quelle macchie dovevo andare a lavare via gli scarabocchi. Misi sotto l'acqua bollente la testa di Titti e, con l'aiuto della mamma, riuscì a mandarli via quasi tutti. Oggi si vedono ancora dei segni, ma faccio finta che sia una cicatrice procurata da una parrucchiera non molto brava a tagliare i capelli. Anche se ha avuto qualche incidente è sempre la migliore bambola del mondo.


MARTINA E' proprio destino! Lei è nata il 14 ottobre 2004 ed io il 15 ottobre; mia mamma e quella di Martina erano nella stessa sala pre-parto ed è per questo che siamo diventate migliori amiche del cuore. Siamo andate insieme all'asilo nido, alla scuola materna. Insieme ne abbiamo passate tante! A volte giocavamo ad essere fate e cosÏ ci ricoprivamo di fiori profumati, foglie e tanta allegria. Noi due eravamo una coppia inseparabile, dove andavo io c'era anche lei e viceversa, infatti siamo ancora insieme. Alle elementari siamo entrate con i grembiuli blu, mano nella mano, ci siamo scambiate sguardi di intesa e da sempre ci capiamo subito al volo.


Il primo giorno di scuola, questi nostri sguardi erano soprattutto di eccitazione, ma anche di paura. Non scorderò mai quando abbiamo deciso di stare insieme nei banchi, quando ci siamo sedute in quelle piccolissime sedie e le maestre che ci hanno accolto con quegli sguardi coinvolgenti. Di quando, la prima volta che dovevamo stare a scuola anche il pomeriggio, Martina si era appisolata sul banco. Preoccupata cercavo di svegliarla incitandola: “Dai Marti svegliati, non si può dormire a scuola!”. Ma i suoi occhi erano chiusi, non avevano intenzione di aprirsi! Mi guardai intorno e fui molto sollevata nel vedere che la mia amica del cuore non era l'unica ad essersi addormentata sul banco. Martina è molto chiacchierona, le piace dire la sua ed io preferisco ascoltare i suoi racconti vissuti in prima persona. Martina è molto dolce e sensibile, ci penso io a difenderla e a


rincuorarla quando è giù di morale. Martina è molto ordinata e precisa, è lei che mi aiuta ad organizzare i progetti della giornata. Non perde mai la speranza, ci crede, ci crede fino in fondo. Sono contentissima di essere la sua migliore amica perché ci completiamo a vicenda. Quando vado a casa sua per prima cosa organizziamo la giornata per non sprecare tempo. Di solito come prima cosa ci dirigiamo in cucina e facciamo rifornimento di patatine e poi sì che inizia il vero divertimento. Per prima cosa ci travestiamo da rock star: cappelli color rosa acceso, rossetto, ombretto ci addobbiamo per assomigliare ai cantanti imitando le loro azioni prima di uno spettacolare concerto. Appena abbiamo finito col “trucco e parrucco” e ci siamo calmate prendiamo la telecamera e giriamo una scena in cui il copione è scritto con la nostra fantasia. Passerei giorni e giorni con Martina senza mai stancarmi. Con la mia migliore amica ho condiviso sorrisi, sguardi, paure. So di poter contare sempre su di lei in ogni momento. L'adoro, lei è veramente una persona speciale! LA MIA GATTINA FLICKA Avevo più o meno sei anni, quando tornando a casa da un’ estenuante giornata di scuola vedemmo due auto accostate sul marciapiede. Mia mamma si fermò con uno sguardo preoccupato e chiese al signore sceso dall'auto che cosa fosse successo: “C'è un piccolo gattino tigrato di qualche mese che vaga nei dintorni e sicuramente è ferito! Se qualcuno non lo prende andrà sotto ad una macchina!”. Io e mia mamma, andammo verso il punto indicato dall'uomo e ci accorgemmo che a pochi passi da noi c'era un tenero micio che ci scrutava impaurito. Io dissi: “Ti prego mamma, possiamo prenderlo e portarlo a casa per essere curato dalla zia Gle?”.


Allora con un pò di fatica riuscimmo a catturarlo, anche se ci graffiò nelle mani; la misi in braccio e schizzammo verso casa. Quando varcai la soglia di casa, la mamma prese una ciotola in cui versò del latte, poi appoggiai il micio in modo delicato sul pavimento. Si guardò intorno terrorizzato, non sapeva che fare: era in un ambiente nuovo, in cui non sapeva di chi fidarsi. Quando Glenda rispose alla telefonata mia mamma disse in modo affannato: “Gle, abbiamo trovato un gattino di pochi mesi in strada domani te lo porto!” e lei ribattè: “Non prendiamo mica tutti i gatti che ci porta la gente!” La mamma era delusa, mentre io molto felice perché sapevo che con quella risposta il gatto sarebbe diventato nostro. La zia disse : “Non vi preoccupate con le mie istruzioni riuscirete a prendervi cura del gattino.” Ci spiegò che quello non era un gatto maschio, ma una femmina. Decisi da quel momento che la micia si sarebbe chiamata Flicka. che significa spirito libero. Era un gattina così carina che subito me ne innamorai. Con la mamma andai a fare spese per lei e appena tornammo a casa corsi a vedere come stava. Era molto scontrosa, non si faceva accarezzare, soprattutto sulla coda perché era ferita. Chiamai immediatamente la zia e le dissi che sicuramente si era fatta male quando ancora vagava per le strade. La zia Gle mi rassicurò dicendo che la ferita si sarebbe rimarginata dopo pochi giorni. Io e lei iniziammo ad essere più in confidenza: lei adorava che l'accarezzassi sotto il mento, io adoravo quando lei faceva le fusa. Mangiava regolarmente, andava fuori a giocare e tornava la sera prima di andare a letto; ma un giorno non si fece vedere all'appello. Io ero un po' preoccupata perché non era mai mancata, ma poi mio fratello mi disse che aveva sicuramente fatto più tardi del solito. Fui ancora più in ansia quando alla mattina non si presentò a colazione.


Mia mamma ed io andammo a perlustrare tutta la zona, ma di lei non c'era traccia. Dopo giorni la mamma sentÏ un miagolio provenire da un garage chiuso. La mamma ipotizzò che si fosse intrufolata mentre il garage era aperto e poi non aveva fatto in tempo ad uscire. Era rimasta chiusa dentro, intrappolata! Mia mamma andò a suonare il campanello della porta e fu molto sollevata nel vedere Flicka e insieme, impazienti, tornarono a casa. Fui felicissima quando la vidi, l'accarezzai dolcemente e le servÏ la doppia porzione di cibo. Ero contentissima di averla ritrovata; in questi giorni, quando mi sveglio, la trovo accovacciata vicino ai miei piedi, le faccio un po' di coccole e poi mi alzo e incomincia la giornata.


La mia famiglia è sempre pronta a sostenermi, mi aiutano quando sono in difficoltà . I miei genitori sono gentili e dolci quando mi sento triste... Voglio un sacco di bene a mia mamma che sta sempre con me, a mio babbo che mi aiuta nelle cose pratiche, a mio fratello che, anche se a volte litighiamo, quando mi abbraccia mi fa sentire al sicuro!


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