Riccardo

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Io SONO I MIEI RICORDI Riccardo ghetti

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IL MIO CARO NONNO Ogni volta che vedo delle persone che giocano a scacchi, non posso fare a meno di rievocare il ricordo del mio caro nonno. Lo adoravo, gli volevo un mondo di bene. Una cosa precisa che mi ricordo tuttora di lui era il modo in cui giocava a scacchi, era bravissimo, e fu proprio lui ad insegnarmi a giocare ed ha acceso la passione che ancora oggi sto coltivando. Mi ricordo precisamente il giorno della mia prima partita; lui mi stracciò, ma io mi divertii cosÏ tanto che volli continuare a giocare per tutto il giorno.

Quando la mia mamma e il mio papĂ avevano un impegno urgente, lasciavano me e mia sorella a casa di mio nonno, e lui ci strapazzava di coccole per tutto il tempo, 2


finché noi non riuscivamo a liberarci. In quei pomeriggi passavamo il tempo principalmente a parlare, cosa che mi manca molto, perché avevo un posto dove sfogare i miei sentimenti e le mie emozioni, diverso da casa mia, dove poi le cose si sarebbero fatte più imbarazzanti. Io riuscivo a esprimermi e a parlare meglio, con mio nonno, di cui mi ricordo ancora, la tenera voce con cui mi diceva che sarebbe andato tutto bene nei momenti più difficili e il pancione che aveva, su cui mi addormentavo le sere in cui i miei genitori non c’erano e avevo paura. Io, infatti, da bambino avevo sempre tanta paura che i miei genitori non tornassero da qualche posto in cui erano andati o che mi abbandonassero; cosa che con il tempo ho capito: non mi abbandoneranno mai, perché mi vogliono molto bene e lo dimostrano ogni singolo giorno, non con regali preziosi, ma a parole. Parlando di mio nonno, non posso certo non raccontarvi di quella volta in cui si è rotto una gamba, più o meno cinque anni fa. Non ho capito di preciso come abbia fatto, quello di cui sono sicuro, però, è il ricordo dei pomeriggi che passavo con lui in quel periodo. Aveva il gesso ed io mi divertivo insieme a mia sorella a scarabocchiarlo con un pennarello, oppure ad allenarmi a scrivere. Facevamo a gara a chi riusciva a fare il disegno più bello: naturalmente io perdevo sempre. Ha tenuto quel gesso per molto tempo, ma la sua grande forza di volontà nel tornare a camminare, perché era anche un po’ anzianotto, lo ha aiutato. Io ho sempre stimato moltissimo il mio caro nonno, perché era spiritoso, simpatico … ed io credo di aver “adottato” il mio carattere esuberante, proprio da lui che è stato un esempio da seguire per me, la capanna dove andarmi rifugiare durante un temporale … per questo mi dispiace che mio nonno “non ci sia più”.

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UN COMPAGNO DI AVVENTURE Il mio più grande amico di sempre fu il pupazzo che avevo quando ero piccolo. Si chiamava MaMo e me lo regalarono due amici dei miei genitori, che si chiamano Marco e Monica e l’abbiamo chiamato così, perché era la fusione delle loro iniziali.

Non mi dimenticherò mai, le giornate che passavo con lui, a giocare, spesso, a “papà e figlio”; io me ne prendevo sempre cura e, in un certo senso, anche lui si prendeva cura di me. Non riuscivo a dormire se non era con me e senza di lui non avrei saputo chi stringere forte quando avevo paura, perché mi dava un senso di protezione e mi sembrava di avere un amico con cui parlare e giocare. Quando ero con MaMo, spesso cominciavo a mordergli l’occhio; io non avevo il ciuccio, avevo lui. Mi faceva sentire bene sapere che qualcuno mi osservava sempre e credevo che potesse, in caso un mostro mi attaccasse, difendermi, come fa una mamma con il suo piccolo. Mi ricordo, anche che MaMo era un pupazzo così dolce, che faceva invidia a tutti i bambini dell’asilo nido. Era il preferito di ogni bambino, infatti, io appena arrivavo venivo circondato da molti miei compagni che cercavano di rubarmelo. Una 4


bambina che si distinse fra tutti si chiamava Sara e mi rubava continuamente MaMo, non sapevo perché, ma nonostante me lo rubasse continuamente, diventò la mia migliore amica … naturalmente dopo di lui. MaMo era di cotone color bianco neve e aveva delle dimensioni non esagerate, non minuscole, ma normali. Possedeva una testa gigantesca, rispetto al corpo, su cui spiccava un grande naso a patata marrone che era in rilievo sulla bocca nera cucita nella parte inferiore del viso. Il vero giorno, in cui capii che stavo crescendo, fu più o meno sette anni fa, quando rinunciai a MaMo. Me lo ricordo nel minimo dettaglio. Io, mia mamma e mia sorella, stavamo tornando da messa, e appena usciti dalla macchina, io lo porsi a mia mamma. Lei, leggermente stupita, disse: ”Wow, Riccardo! Hai deciso di rinunciare a MaMo. Stai crescendo”. Fu un grande giorno e da quel momento non lo presi più in braccio, fatta eccezione in alcuni momenti, quando mi sento solo, perché, anche se si cresce, non è detto che bisogna dimenticare il miglior amico di sempre.

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IL MIO PRIMO GIORNO ALLA SCUOLA MATERNA

Vorrei parlarvi anche del primo giorno in cui ho fatto l’ingresso alla scuola materna. Me lo ricordo vagamente, ma so con certezza che fu un giorno “ magico”. Mi accompagnarono entrambi i miei genitori ed io avevo paura di non socializzare facilmente con i miei nuovi compagni; nonostante ciò ero molto curioso di sapere 6


quali attività avremmo svolto e quali conoscenze avrei fatto. La sera prima ero abbastanza nervoso, ma avevo un sorriso smagliante “stampato” sul viso. Appena entrati, conoscemmo le maestre, le mie prime maestre, che si rivelarono essere molto accoglienti e simpatiche. Dopo essersi presentate, fecero l’appello e ci assegnarono gli armadietti, dove avremmo potuto riporre i nostri lavori. Quando i genitori se ne andarono, cominciammo a fare dei giochi di conoscenza. Tra tutte le persone che parlarono, mi colpirono principalmente i “discorsi” di alcuni bambini che avevano il nome di: Alice, Alessia, Marco, Sebastiano e Lisa. Socializzai subito con ognuno di loro e scherzammo divertendoci per tutto il giorno. Vi voglio parlare, specialmente di Marco, fu il primo che conobbi e si rivelò molto simile a me, solo molto più intelligente. Era simpatico, vivace, spiritoso … Ancora oggi frequento questi miei amici ed hanno occupato un posto importante nella storia della mia vita. Non posso proprio dimenticarmi del fantastico cortile “dove, io e i miei amici, ci scatenammo” per molto tempo. Quando le maestre ci rimproveravano per qualche marachella, cosa che succedeva spesso, noi non riuscivamo a fermarci e continuavamo a correre per tutto il grande giardino. E’ stato il più bel parco giochi della mia vita e quando lo vedo, ancora oggi, non posso fare a meno di ricordarmi le fantastiche giornate passate a divertirmi, invece di passarle a studiare seduti in una classe silenziosa come mi succede tutt’oggi. Un altro posto altrettanto importante per me fu il salone interno dell'asilo, dove non si poteva correre, ma noi lo facevamo ugualmente. Questo luogo lo usammo e lo continuammo a usare, per sedurre le ragazze, facendo gli “sciocchi”. Tornando al primo giorno quando i miei genitori mi vennero a prendere, per tornare a casa, io volli restare lì e li convinsi a giocare ancora un po’ di tempo.

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LA NASCITA DI MIA SORELLA

Uno dei giorni più belli della mia vita fu la nascita di mia sorella. Si chiama Giada e il nome lo scelsi proprio io; i miei genitori erano indecisi fra il nome che ha ora e Giorgia, nome che al mio papà piaceva molto. Anche se ora è una vera peste, io le volevo, le voglio e le vorrò sempre bene. Il giorno prima della sua nascita, mia mamma, appena sveglia, avendo prenotato una visita e sentendo alcune doglie alla pancia, andò all’ospedale di Bologna, accompagnata dal mio papà. Io intanto, rimasi a Cesena con una loro amica di nome Barbara, che si prese cura di me fino a quando mio padre, tornò a prendermi, dicendomi che di lì a poco, sarebbe nata mia sorella. Il giorno dopo io rimasi di nuovo con la loro amica e papà tornò ad assistere la mamma. Nel primo pomeriggio del 27/ 08/04 nacque Giada. Alla sera dello stesso giorno, con mio padre andai a

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Bologna, dove, finalmente la conobbi e per la prima volta allungai la vista sul suo dolce, paffuto viso. Quel giorno, chiesi a la mia mamma se potevo spingere il suo lettino, con dentro mia sorella e fare un giro dentro all’ospedale. Lei, naturalmente rispose di sì, così io mi divertii, facendola sorridere e “passeggiando” con lei. Una volta tornati a Cesena, per festeggiare il grande evento, io e papà andammo a cenare in un ristorante vicino a casa, di nome “Portico” e assaporammo la pizza più buona mai gustata. Mi ricordo bene che i medici pensavano che mia sorella avesse un “problema” quando si trovava ancora nella pancia della mia mamma. C’era una “palla” sopra il suo addome e credevano che fossero tutti i suoi organi della pancia che crescevano fuori nel liquido amniotico perché sembrava che Giada avesse la pancia aperta. I miei genitori non mi dissero niente, oppure io non me lo rammento, non lo so con certezza, ma mi ricordo che vedevo mia mamma piangere e non sapevo perché. Piangeva tutti i giorni, senza interruzione, dal 19/02 al 09/04, quando, arrivò la fantastica notizia … Giada stava bene! La mia mamma ancora oggi ricorda l’immensa felicità e l’enorme quantità di lacrime che versò, ma questa volta per la gioia quando le hanno comunicato la bella notizia. Naturalmente anche io fui felicissimo, pur non comprendendo la difficile situazione che stavano affrontando i miei genitori. La mia felicità era suscitata principalmente dalla futura nascita di mia sorella, ma anche dalla vista del sorriso della mamma, nascosto da tempo. Dunque, cos’ è successo a mia sorella? Beh … è una storia complicata, ma, “facendola semplice” questa “pallina” in realtà, era semplicemente una dilatazione del cordone ombelicale … Quei giorni furono “magici” ma tutt’oggi, mia sorella sta crescendo bene e in salute anche se litigo con lei spesso.

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LA PRIMA VOLTA CHE HO GUIDATO So che può sembrare strano che un bambino di otto anni abbia potuto guidare, ma è così e se non ci credete, ascoltate questo racconto: Io e la mia famiglia circa quattro anni fa andammo in una località a Santo Domingo e, in quella settimana di permanenza, per la prima volta guidai un go kart o una cosa del genere. Credo si chiamasse “Dune buggy”.

Quel giorno, io, il mio papà e altri visitatori, raggiungemmo una guida che ci fece salire sul mezzo di trasporto; era formato da due posti anteriori: naturalmente, alla guida c’era mio padre, mentre io guardavo il panorama scorrere via velocemente, mi sembrava di volare, andavamo velocissimi, eppure non eravamo a capo gruppo, ma circa a metà. 10


Subito dopo che il mio papà cominciò a guidare, io dissi: "Papà, per favore mi fai guidare solo un attimo … -"e continuai a chiederglielo per almeno dieci minuti, sentendomi ribadire sempre la stessa cosa: ”No, te l’ho già detto, sei troppo piccolo” finché, il momento arrivò: mi disse di tenergli un attimo il volante mentre scattava qualche fotografia alla gigantesca coltivazione di canne. Cominciai a guidare, mi sentivo come uno di quegli uomini con i capelli che venivano scompigliati dal vento, delle pubblicità della gazzosa, anche se facevo fatica ad arrivare al volante perché non ero al posto di guida e inoltre ero talmente basso che non riuscivo ad arrivare ai pedali, quindi continuò lui a premere l’acceleratore. Anche quando mio padre ebbe finito di fare le foto, io continuai a guidare e fortunatamente il giro durò ancora a lungo ed io mi divertii così tanto che non feci più toccare il volante al mio papà e sfrecciai così veloce che dietro di me si vide volare la polvere. Fu un bellissimo momento e se solo potessi, lo rifarei. Infatti, il giorno dopo chiesi al mio papà di poterlo rifare; sfortunatamente non ce ne fu la possibilità, ma quel ricordo vivrà sempre dentro di me.

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UNA GIORNATA AD ATLANTICA

Mi ricordo bene, una fantastica giornata dell’estate scorsa. Andammo ad “Atlantica” per la prima volta, un parco acquatico dove, io e mia sorella, principalmente, ma anche i miei genitori ci divertimmo tantissimo. Quando papà ebbe l’idea e me la propose, io accettai subito e lo ringraziai, finché andò al lavoro . La sera prima, mi giravo e rigiravo nel letto, non riuscendo a dormire, pensando alla giornata che avrei trascorso il giorno dopo. Quando i raggi del sole attraversarono la finestra di camera mia, io mi svegliai e, “carico” saltai giù dal letto. In macchina per tutto il viaggio, non feci altro che chiedere ai miei genitori:”Siamo arrivati? Siamo arrivati? Siamo arrivati?” e loro 12


rispondevano di no, fino a quando chiesi, per quella che mi sembrò la milionesima volta, la medesima cosa e loro, finalmente, risposero di sì. Appena arrivati, tra l’altro con mezz’ora d’anticipo sull’apertura per prendere i biglietti, anche se la fila era già abbastanza lunga, dicevo … appena arrivati io scorsi una gigantesca balena di plastica , visibile anche dall’esterno, mi sfilai i vestiti e ci entrai. I miei genitori mi seguirono insieme a mia sorella e, all’uscita della balena, la vidi, eccola lì … “Atlantica” e a mano a mano che mi avvicinavo al vero centro del parco acquatico, vedevo sempre più attrazioni avvicinarsi a me. Infatti quando uscii dal grande mammifero, la vidi solo in parte e rimasi deluso da quelle che mi sembravano le sue piccole dimensioni, ma subito capii che non era poi così piccola. Il primo gioco che provai fu naturalmente il più grande scivolo che avessi mai visto; mi buttai senza la minima paura e in quella trentina di secondi mi sentii volare, urlai come un matto per la gioia, era il mio paradiso, la velocità, l’adrenalina, la tensione … fantastico! Provai tutti gli scivoli, ma la cosa che mi piacque di più, naturalmente dopo il pranzo preparato dalla mamma, fu una piscina che generava le onde ogni due ore e dovevamo resistere attaccandoci a delle corde, per non essere portati via dalla corrente. Mi ricordo anche del giro attorno ad “Atlantica”, sopra dei gommoni, tipo salvagente, ma più comodi attraverso una specie di canale dove si veniva spinti con calma dalla corrente. Infine, più o meno alle sei di sera, tornammo a casa ed io avevo trascorso la più bella giornata dell’estate.

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L’ ESPERIENZA PIU’ BELLA DELLA MIA VITA L’esperienza più bella della mia vita, è stata indimenticabile. Quando partii per Vienna, ed è un ricordo che non dimenticherò mai.

Quando mi proposero per la prima volta di fare questa esperienza, io non accettai subito, ammetto che ero molto indeciso, non sapevo se sarei riuscito a “vivere” cinque giorni senza i miei genitori. Abbiamo avuto circa due mesi per decidere e, alla fine io scelsi di partire … Il giorno prima del viaggio, mia mamma è uscita prima dal lavoro, per passare più tempo possibile con me, infatti era eccitata al fatto che partissi ma anche un po’ preoccupata. Abbiamo preparato le valigie nei minimi particolari, ne avevamo tre, una, la più grande, dove tenevamo i vestiti e tutto il necessario, una che andava usata per le partite e dove all’andata si trovavano sacco a pelo e cuscino (che dopo aver tolto “non abbiamo più toccato” se non per 14


ripartire) e un piccolo borsellino con dentro tessera sanitaria, soldi, documenti, ombrello … La sera, quando sono arrivato, ho visto un pullman gigantesco e tutti i miei amici, eccitati e divertiti; io mi sono unito subito al gruppo e per circa mezz’ora siamo stati “ricoperti” da baci e abbracci dei nostri genitori. Mi ricordo bene il viaggio, ero vicino a Christian ed io, lui e i miei compagni abbiamo fatto mezzanotte guardando film d’azione. Durante il viaggio, di mattina, ho visto Lorenzo Pieri che giocava con il suo cellulare, allora io gli ho chiesto se potevo provarlo, e appena ho cominciato non ho voluto smettere più. Quando si è ripreso il telefono ed io sono tornato al mio posto, da lì, gli ho chiesto

per un’ora di

ridarmelo. Siamo arrivati a Vienna verso le nove di mattina e abbiamo raggiunto la scuola che ci ospitava per il soggiorno. Dopo aver depositato i “bagagli” in classe siamo andati a fare colazione e via subito a visitare il centro della città che mi è piaciuto tantissimo, c’erano palazzi e grattacieli molto alti. Un ricordo, non tanto piacevole, è stato il risveglio di ogni giorno, dopo una lunga notte di russate. Il nostro allenatore, infatti, ogni mattina, per farci svegliare metteva una musica con il volume al massimo in modo da farci alzare subito, anche se arrabbiati, molto arrabbiati. Tutti i giorni mangiavamo in un luogo diverso, a volte al ristorante o fast food e altre ci preparavamo il pranzo o la cena da soli, eppure essendo in compagnia, il cibo era sempre buono e tutte le volte che finivamo di mangiare facevamo la temuta … passeggiata digestiva. Abbiamo visitato gran parte delle attrazioni turistiche della città, come per esempio il “Prater” un Luna Park incredibile: abbiamo provato tantissime giostre, tra 15


montagne russe di ogni tipo, autoscontro … nel “Prater” giravo con Lorenzo Pieri e Federico Mariani, perché il nostro allenatore ci faceva girare minimo in tre, così, in caso qualcuno si facesse male, uno restava con lui e l’altro andava a chiedere aiuto. Una giostra che mi ricordo bene è … beh, non mi ricordo il nome, ma era un “braccio” roteante che ci faceva girare velocissimi, anche a testa in giù e all’estremità di questo “braccio” c’erano i posti dove sedevamo noi, che a sua volta giravano. Ero con Pieri e Tautonico (un altro nostro compagno di squadra), mentre Mariani è rimasto “con i piedi per terra”; urlavamo e sbraitavamo per la sensazione di estrema adrenalina, eravamo pietrificati, sembrava di volare, ma volare sul serio! Abbiamo visitato anche lo splendido “Museo della Storia Naturale di Vienna”. Era incredibilmente grande, con sale dedicate a un preciso argomento, erano almeno cinquanta, divise in due piani. Non erano belle solo le opere, ma anche il museo in sé. Una sala che mi ha colpito molto è quella dei cristalli che risplendevano e mi affascinavano; mi ricordo di aver fatto in totale trecento foto, tra cui almeno cento, solo al museo. La residenza estiva degli “Asburgo” mi è piaciuta molto; è una reggia di dimensioni immense, con un giardino grande tipo due campi da calcio, pieno di fiori primaverili che toglievano il fiato, sembrava di essere veramente un principe in groppa al suo cavallo che girava attorno al suo castello. Non siamo entrati all’interno, ma alla fine del prato posteriore si trovava una “collina”, il punto più alto, da cui si vedeva tutta Vienna. Avevamo percorso una lunga strada, ma ne era valsa la pena, si scorgeva un panorama mozzafiato. Non posso non parlarvi delle nostre partite, la parte più importante della vacanza … Per cominciare: le abbiamo perse tutte … ma ci siamo molto divertiti, abbiamo fatto belle azioni, contropiedi, eppure, non è bastato … non posso negare questo però: questa esperienza mi ha … anzi, ci ha, fatto crescere, non solo perché siamo 16


migliorati nel basket, ma anche perché abbiamo imparato a essere più responsabili, e credo che non ci sarebbe stato modo migliore per farlo. Ci siamo scontrati con diverse squadre: Düsseldorf, Ziar, Bayer … e durante ogni incontro, il mio allenatore perdeva la voce e aveva ragione, perché a Cesena di solito giocavamo meglio, spesso ci richiamava perché ci scappava la palla dalle mani o facevamo passaggi lenti. Pensate che una volta sono addirittura stato espulso … ok, ok, ok … so cosa state pensando. ”E’ stato violento, ha fatto un gran fallaccio!” no, non è andata così, non funziona come nel calcio. Il fatto è che io marcavo un ragazzino che non poteva avere la nostra età, sul serio, è più alta mia sorella di lui, e lei ha sette anni! Comunque, era così piccolo, che mi sfuggiva e quindi, cercando di “riprenderlo” , per sbaglio, e lo sottolineo, lo urtavo con il mio corpo. Il bello è che lui ”non si faceva niente”; poiché era fallo su tiro, lui otteneva due tiri liberi, li faceva e otteneva sempre un punto. Questo fatto si è ripetuto per quattro volte e così sono stato espulso. Non so descrivervi la rabbia che ho provato, ero super arrabbiato, ma fortunatamente, mi è passata (tanto per essere chiari, sono stato espulso solo per quella partita, non per tutto il campionato). Infine, l’ultima sera, il nostro allenatore ha pronunciato le parole più belle della vacanza:” Stasera non dormiamo, godiamocela!” e quindi abbiamo passato tutta la notte a raccontare barzellette, fare giochi … e mi sono divertito tantissimo, finché sono andato a dormire verso l’una. E’ stata una vacanza bellissima e se solo potessi, la rifarei molto volentieri.

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