MOOB Magazine / Issue No.5

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26 WHAT ABOUT

a cura di Chiara Pizi Il caso di Stefano Cucchi

28 25 ANNI DALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO

Uno sguardo sul crollo di un simbolo della storia contemporanea. Venticinque anni dopo.

38 FARE SOLDI, The interview La chiacchierata di Fabrizio Pinci con Luka Carnifull e Santana Pasta

“FricoDisco Therapy con Fare Soldi”

INDICE 24

44 HELLO ELLO!

Uno sguardo al primo social network nemico della pubblicità

“Innovazione o Capolinea della TV?“ Una panoramica su come Netflix stia cambiando il modo di vivere la tv. A pg. 46


#5 novembre/dicembre

48 YOUNG SMITHS

Uno sguardo all’eredità che scorre nelle vene dei pargoli di papà Will.

74 52 THIS IS NOT A Il RITORNO DEL RE La genesi del ritorno di King Lebron nella sua amata Cleveland

60 J. COLE

Il predestinato allievo di Jay Z

MOSCHINO TOY

sottotitolo od occhiello due righe sull’argomento

34 MTV EMA ‘14

La grande tradizione musicale in un Mash Up con il pop emergente

80 MIU MIU

Uno sguardo alla nuova campagna 2015

“Preview sul PITTI Immagine uomo ‘15”

“Monica Silva, un caravaggio dei nostri giorni” a pg. 54

a pg. 72

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Masticare la verità e sputarla nella forma meno scomoda:

il caso di Stefano Cucchi.

In Italia, unico testimone della mia morte, un giorno, potrei essere anche io. E’ curioso l’utilizzo che si fa in Italia del verbo “presumere”. Giornali, riviste, telegiornali, inchieste. Si presume che quella notte sia successo quello, o forse l’altro pomeriggio, si presume che la colpa sia di questo, si presume sia stato quell’altro. Presunti testimoni, presunti fatti, presunte violenze, presunti assassini. Innumerevoli supposizioni, infinità di ipotesi. Eppure, di presunta morte non si parla mai. Nel bel mezzo del bombardamento mediatico, tra la speculazione dei direttori di testate giornalistiche e nella morbosità del talk show di turno, che ci travolgono di congetture, di opinioni, di giudizi, di informazioni ritagliate e incollate tra loro a comporre la sequenza di fatti che faccia più comodo, nel bel mezzo di verità masticate e sputate nella forma che più conviene, ad emergere è una sola certezza. La persona grazie alla quale vengono gonfiate le buste paga dei reporter è morta. E dove, e come, e perché, forse a saperlo era solo lei. Come a saperlo era solo Stefano. La sera del 15 ottobre 2009, Stefano Cucchi aveva trentadue anni. Aveva molti problemi fisici, prendeva farmaci contro l’epilessia, ed era tossicodipendente. Fu fermato dai carabinieri, che lo trovarono in possesso di una serie di sostanze stupefacenti e di medicinali. I genitori di Stefano acconsentirono che gli perquisissero casa, e per il ragazzo fu disposta una custodia cautelare. Stefano non subì violenze di alcun tipo quella notte, ma pesava 43 kg per 1,76 m. Il giorno dopo venne processato per direttissima, mostrando grave incapacità ad esprimersi e a muoversi. Nonostante questo, il giudice decise di farlo rimanere in custodia cautelare al carcere di Regina Coeli. Da quel momento, le condizioni di Stefano non fecero altro che peggiorare, fino a condurlo, ad una settimana dall’arresto, alla morte.

E del motivo per cui questo accadde, ad oggi, nessuno sa niente. Credere alle testimonianze dei detenuti, che dichiarano di aver sentito o addirittura visto degli agenti di polizia percuotere Stefano, al punto da causargli delle lesioni così gravi da togliere ogni speranza di ripresa al suo quadro clinico, già così compromesso? Bisogna fidarsi delle indagini preliminari, che confermarono come il decesso del ragazzo fosse dovuto alla mancata assistenza medica, alle violenze subite in cella? Si dovrebbe dare ascolto ai medici che lo visitarono, i quali ad oggi dichiarano che il ragazzo avesse rifiutato le loro cure, quello stesso ragazzo in ipoglicemia, che avrebbe potuto salvarsi solo se gli avessero offerto un cucchiaio di zucchero, un ragazzo con un’emorragia interna in corso, che al giorno della sua morte pesava 37 kg e con 1400 cc di urina in vescica? Si dovrebbe dare ascolto al primo grado di giudizio, in cui i medici furono accusati di abbandono di incapace e gli agenti di abuso di potere, o alla sentenza del 31 Ottobre, quella in cui sono stati assolti tutti, quella in cui si è come urlato in faccia ai familiari di Stefano che “non è colpa di nessuno, non è successo niente”? Io non so cosa è successo. E non lo sanno i giornali, e non lo sanno le riviste, i telegiornali, e nulla emerge dalle inchieste. Io presumo, e loro presumono, e non abbiamo diritto a parlare. Anche il giudice non sa, eppure può parlare. Anche il giudice presume, ma decide e assolve tutti. E a cosa più serve presumere, se quello che ti resta di tuo figlio, di tuo fratello, è solo sapere dove, e come, e perché? A che serve, se anche questo ti viene tolto? Io non so cosa è successo, e forse nessuno lo saprà mai. So solo che, in Italia, unico testimone della mia morte, un giorno, potrei essere anche io. Chiara Pizi

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Muro di Berlino

Uno sguardo sul crollo di un simbolo della storia contemporanea. Venticinque anni dopo

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iciamo la verità, molte tappe fondamentali per la storia dell’umanità contemporanea noi ce le siamo clamorosamente perse. Non eravamo nati, forse eravamo troppo piccoli, troppo distratti, troppo immaturi per capire. Forse crescendo avremmo potuto riempire le lacune, sfruttare gli insegnamenti scolastici per cercare di interpretare i cambiamenti del mondo attorno a noi. Così, giusto per non rimanere del tutto spiazzati davanti ad una tessera elettorale. Il 9 novembre del 1989, la città di Berlino è la location di uno degli eventi che cambieranno il mondo contemporaneo; la caduta del muro divisorio che per 28 anni (dal 13 agosto del 1961 per la precisione) ha tenuto separata la parte orientale della città da quella occidentale. Costruito su indicazione del governo della Germania dell’Est, o Repubblica Democratica, il Berliner Mauer è il simbolo della cortina di ferro, la linea che separava l’intera Europa in sfere d’influenza sovietica e statunitense. Il crollo definitivo del muro ha rappresentato l’inizio dell’ufficiale processo di unificazione tedesca (conclusosi nel 1990), ma sopratutto la fine della guerra fredda e la caduta del regime comunista in Unione Sovietica. A venticinque anni dal crollo della fortificazione, 28

la Germania commemora i numerosi morti, caduti nel tentativo di scavalcare la barriera orientale per raggiungere la Berlino ovest, ma festeggia e celebra con gioia anche la riconquistata unità nazionale. Così, in pieno spirito patriottico, la carcassa di quel monumento indesiderato, distrutto sì ma non del tutto cancellato, la carcassa di quel muro che ancora macchia e inquina le strade cittadine, viene ricostruita. L’infame barriera viene erta di nuovo, sostituita però da palloncini luminosi installati lungo l’ex confine tra il Bösebrücke su Bornholmer Straße e l’Oberbaumbrücke, passando per Mauerpark, per una lunghezza complessiva di oltre 15 chilometri. I palloncini hanno illuminato tutta la città di Berlino per essere poi liberati in aria il 9 novembre, al tramonto. La città sceglie di rappresentare in questo modo la fine di un incubo,la fine del muro. Ne commemora lo stesso smembramento. Ed ecco che i pesanti macigni, le pietre grevi e rese scarlatte dal sangue dei cittadini di Berlino, si trasformano in palloncini leggeri, luminosi, che vorticano dipingendo il cielo notturno pieni d’aria e di speranza. Noemi Gesuè


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ONE MAN RULE? NOT FOR TIBETANS ANYMORE.

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Dopo quasi quattro secoli di teocrazia decollano anche per il Tibet Governo e Parlamento Dalai (dal mongolo) “oceano” ; Lama (dal sanscrito) “persona saggia”. Tradotto più elegantemente: oceano di saggezza, questo l’appellativo conferito alla massima autorità spirituale tibetana, appunto il Dalai Lama. Se nell’immaginario comune i monaci buddhisti assumono atteggiamenti estremamente calmi, quasi monotoni e un po’ noiosi, allora l’attuale Dalai Lama deluderà decisamente le vostre aspettative. Tenzin Gyatso infatti, quattordicesimo Dalai Lama, in carica dal 1939 (aveva appena 4 anni quando salì per la prima volta sul trono) ha a dir poco rivoluzionato la vita politico-religiosa del paese. Il Tibet è stato a lungo definito una teocrazia lamaista, poiché sin dal 1642 potere spirituale e potere temporale erano entrambi custoditi nelle mani dei Dalai Lama che si sono succeduti, i quali hanno svolto il proprio incarico in maniera pacifica, garantendo alla popolazione un periodo di tranquillità e di media prosperità. Tale postulato è stato smontato nell’arco degli ultimi 50 anni, da quando cioè il Dalai Lama corrente ha deciso di lasciare il passo alla democrazia. Già nel 1960, quando molti tibetani (Dalai Lama incluso) si sono ritrovati costretti a fuggire verso l’India del nord in seguito all’occupazione cinese del territorio, Gyatso si era mostrato favorevole alla creazione di un parlamento e di un governo, entrambi rappresentanti del popolo tibetano in esilio. << Nessun sistema di governo può assicurare stabilità e progresso se dipende unicamente da una sola persona senza il supporto e la partecipazione

delle persone all’interno del processo politico>> è il 2011 e con queste parole Gyatso rinuncia ufficialmente alla sua carica di capo politico in favore di una nuova figura, il “Kalon Tripa” ovvero il primo ministro del governo esule tibetano (figura esistente già dal 2001 ma che ha assunto pieni poteri dal 2011 in poi), promuovendo allo stesso tempo una riforma definitiva del potere temporale del Dalai Lama. Una mossa che denota senza dubbio lungimiranza e capacità di adattamento ai tempi da parte del saggio buddhista, ma che allo stesso tempo cela un urgente bisogno di tutela e salvaguardia della propria identità nazionale. Dopo l’occupazione del Tibet nel 1959, l’Impero cinese ha infatti dato il via ad un’accalorata campagna di “cinesizzazione” arrogandosi il diritto di nominare in futuro non solo i monaci buddhisti ma lo stesso Dalai Lama. Lo scorso settembre Gyatso ha rincarato la dose del processo d’innovazione delle istituzioni tibetane da lui stesso avviato, affermando che alla sua morte non sarà prevista l’elezione di un quindicesimo Dalai Lama poiché la religione buddhista non può e non deve più essere rappresentata da un solo individuo e sull’argomento conclude così: << L’attuale Dalai Lama è molto popolare, se venisse eletto un Dalai Lama debole disonorerebbe l’istituzione stessa, finiamo con un Dalai Lama popolare!>>. Sarah Meraviglia

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AW.Francesca Pannone

“Malala ha deciso di essere il cambiamento. Ha deciso di cancellare quel grigiore asfissiante e repressivo con una nota di colore.�


Malala Yousafzai premio Nobel per la pace

Quando sono i giovani protagonisti a fare la differenza e a lottare per un mondo migliore Malala Yousafzai ha diciassette anni appena compiuti, ed è nota al mondo per aver vinto il premio Nobel per la pace il 10 ottobre 2014. Avete letto bene, diciassette anni. La maggior parte di noi (me compresa, ovviamente) probabilmente non ricorda neanche con precisione cosa facesse a diciassette anni. Mi rivolgo a chi ormai ha superato la soglia dell’età adolescenziale e si avvia a diventare un adulto più o meno normale. Per quelli che ancora devono compierli invece, per quei fortunatissimi che ancora non portano sul groppone pesanti fardelli di responsabilità, a me viene solo da consigliare di godere appieno di una fase della vita dal sapore di dolce spensieratezza, sapore che difficilmente gusteranno in futuro. A Malala probabilmente, questa fase goliardica e transitoria è stata del tutto negata. E visto che “ciò che non uccide rende più forti” il contesto che l’ha vista crescere, le difficoltà che ha dovuto affrontare e le pesanti discriminazioni subìte l’hanno portata ad essere insignita di un premio dal valore incommensurabile, soprattutto per un minore. Malala nasce a Minora, Pakistan, il 12 luglio 1997 e diventa subito scomoda per il regime talebano del suo paese grazie ad un diario scritto per la BBC all’età di undici anni (pensavate che diciassette fossero pochi eh?),diario che la giovane è solita aggiornare quotidianamente e nel quale annota i soprusi e le violenze dell’occupazione militare talebana nel distretto dello Swat. Una posizione difficile quella di Malala, che sottolinea spesso i passaggi significativi dell’essere una giovane donna in Pakistan, una giovane donna vittima di un regime contrario a qualsiasi tipo di diritto femminile. “Mia madre mi ha preparato la colazione, e sono andata a scuola. Avevo paura di andare perché i talebani hanno emanato un editto che proibisce a tutte le ragazze di frequentare la scuola” questo è un estratto che risale al 3 gennaio, Malala è preoccupata perché le è stato vietato perfino di andare a seguire le lezioni. Il messaggio è chiaro; le donne non meritano di studiare. Non meritano di ricevere un’istruzione. “ci è stato detto di non indossare più vestiti colorati, perché i talebani sono contrari.” E’ ancora un ‘altra frase agghiacciante del diario. Malala scrive di come il preside della

sua scuola, anche lui avvilito e visibilmente teso, avesse caldamente consigliato a lei e le sue compagne di vestire colori sobri, poco appariscenti, per nulla sgargianti. Andare a scuola, indossare dei vestiti, perfino camminare per strada (“Mentre tornavo a casa, ho sentito un uomo che diceva “Ti ucciderò”. Ho affrettato il passo, guardandomi alle spalle per vedere se mi seguiva. Ma con grande sollievo mi sono resa conto che parlava al cellulare.”) sono azioni pericolose, sovversive, perseguibili. La paura schiacciante che fare “qualsiasi cosa” sia sbagliato e possa costare la vita avrebbe potuto terrorizzare Malala, renderla impietrita, disarmata. Avrebbe potuto farle chinare la testa, obbedire in silenzio covando in segreto e in religioso silenzio il desiderio di un cambiamento. Malala ha deciso di essere il cambiamento. Ha deciso di cancellare quel grigiore asfissiante e repressivo con una nota di colore (“..perciò ho deciso di mettermi il mio vestito rosa preferito”) ha scelto la strada più difficile; ha scelto di scegliere. La sfida che Malala ha lanciato le è costata cara; il 9 ottobre del 2012, Malala viene ferita alla testa e al collo da uomini armati saliti sul pullman scolastico che la stava riportando a casa. Ihsanullah Ihsan ,portavoce dei talebani pakistani, ha rivendicato la responsabilità del gesto, sottolineando quanto Malala fosse pericolosa e “simbolo degli infedeli e delle oscenità”. Malala è sopravvissuta grazie ad un delicatissimo intervento di rimozione dei proiettili svoltosi in un ospedale di Birminghan, ma non è fuori pericolo visto che è un punto fisso nel mirino degli attentatori. Lo stesso Ihsanullah ha dichiarato che, qualora Malala fosse sopravvissuta, avrebbero tentato di nuovo di colpirla. La lotta per la pace di Malala non si è mai arrestata; il 12 luglio 2013 era a New York a sostenere il diritto all’istruzione per i bambini di tutto il mondo, il 10 ottobre 2013 le è stato conferito anche il Premio Sakharov per la libertà di pensiero ed infine il 10 ottobre gli sforzi della lotta titanica le sono stati riconosciuti sul piano mondiale con l’assegnazione del Premio Nobel per la pace, del quale tuttora è la più giovane detentrice. Noemi Gesuè 33


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la grande tradizione musicale in un mash-up con il pop emergente Per un anno intero abbiamo pazientato per l’edizione del 2014 degli MTV European Music Awards. E finalmente il 9 novembre alla SSE Hydro di Glasgow una solita appariscente Nicki Minaj ha aperto lo spettacolo, nell’accezione più pura del termine. Tra fiammate, fuochi d’artificio, navicelle spaziali e tunnel temporali, decine di artisti, tra i più emergenti e i più datati, si sono battuti sul palco scozzese a suon di performance che potremmo definire, nel giusto, una più magnifica dell’altra. E’ il ventesimo compleanno della manifestazione musicale europea, in cui ogni anno si avvicendano artisti più o meno conosciuti, cantanti nuove rivelazioni mondiali e gruppi storici, che fanno commuovere con una nota ritrovata dal passato le migliaia di spettatori che ogni anno si ritrovano alla tappa tanto attesa. La spregiudicatezza e l’eccentricità della Minaj -anche vincitrice nella categoria best hip hop award- hanno presto ceduto il posto all’artista emergente più amata dell’ultimo anno; la giovanissima americana Ariana Grande ha dato il via alla sfida con una movimentata performance in perfetto tema EMA 2014, quello del viaggio nel tempo, che le ha procurato la vincita nelle categorie di best female 2014 e di best song con “Problem”.

Tra gli altri vincitori bisogna menzionare gli One Direction, che si sono aggiudicati ben tre statuette nelle categorie best pop, best performance live e biggest fans , raccogliendo ragazzine scatenate da tutto il mondo (e non solo) e Katy Perry, immancabile nel best look e videoclip con la sua straordinaria spettacolarità. L’icona del metal Ozzy Osbourne si riconferma global icon per la musica mentre la partecipazione straordinaria di David Hasselhoff, il primo bagnino di Bay Watch e anche il primo sogno di ogni giovane donna degli anni 90, lo ha visto in un particolare monologo-tributo alla città scozzese ospitante il festival. Sul finale la presentatrice si è però lasciata scappare un dettaglio sulla prossima edizione che ha messo già in fibrillazione milioni di persone; sulla scia dell’EXPO, infatti, si dice che sarà la nostra capitale della moda ad accogliere gli MTV EMA 2015, una ciliegina sulla torta per Milano che vedrà uno dei suoi anni migliori. L’Italia sarà meta scelta per la terza volta quindi, ben due volte Milano che si ripeterà dopo il 1998. Non ci resta che aspettare di poter comprare il biglietto. Vittoria Pinto

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La provocatoria American Apparel La pubblicità è l’anima del commercio ed ogni brand ha il proprio modo di giocare le carte. La nota catena di abbigliamento californiana “American Apparel” punta su ciò che da sempre attira il pubblico: ragazze sexy e seminude. L’azienda si è affermata in poco tempo grazie soprattutto all’abilità di comunicazione e marketing del suo fondatore e CEO, Dov Charney. Il marchio produce capi di abbigliamento sportivo ed intimo, semplici e colorati. Una delle caratteristiche è l’assenza del logo aziendale sui capi, i quali hanno solo l’etichetta interna che li contraddistingue. Charney ha creato il suo target “world-metropolitan culture”, facendo diventare la propria azienda un’icona del fashion di Los Angeles, per poi distribuirla in pochi anni in 280 paesi del mondo. Ma la grande popolarità dell’azienda è arrivata con la pubblicità ai limiti del porno (definita “fashion porn”), mostrando ragazze seminude in pose ammiccanti con espliciti riferimenti sessuali. Le immagini delle pubblicità spesso mostrano i soggetti con le proprie imperfezioni, senza quindi alcun ritocco fatto al computer, e sono accompagnati da brevi descrizioni personali. Molte delle modelle vengono reclutate da Charney e i suoi colleghi per le strade e nei punti vendita; altre vengono invece scelte dopo aver inviato le proprie foto al sito della compagnia. Mentre nelle foto le modelle sono sempre molto poco vestite e rappresentate in atteggiamenti provocanti, al contrario i modelli maschili vengono fotografati in situazioni più ordinarie, senza alcun riferimento al sesso. La differenza è evidente quando viene pubblicizzato un capo “unisex”. Molte pubblicità del noto marchio di abbigliamento sono state bannate dall’ASA inglese (organismo di controllo delle pubblicità), perché considerate al limite della pornografia. Ad esempio la campagna “back to school”, in cui una ragazza mostra gli slip chinandosi sul finestrino di un auto, è stata bannata poiché le immagini usate oggettivizzano la donna e sono considerate sessiste. La compagnia si è difesa dichiarando che “le modelle sono maggiorenni, durante il servizio fotografico si mostrano felici e rilassate e non vengono mai ritratte in modi negativi o di sfruttamento”. Finita anche nel mirino delle autorità per sospetti abusi sessuali, l’azienda dopo aver esposto manichini con peli pubici, proposto una modella di 62 anni e ritratto 36

ragazze in pose sessualmente esplicite, torna a far parlare di se con una delle ultime campagne: una modella mussulmana con seno nudo. La nuova pubblicità raffigura una dipendente dell’azienda in topless i cui seni sono parzialmente coperti dalla scritta “Made in Bangladesh”; mentre in un piccolo paragrafo in basso viene raccontata brevemente la sua storia oltre ai dettagli sul jeans sbottonato da lei indossato. In una recente intervista il direttore creativo di American Apparel, Iris Alonzo, ha dichiarato: “Nelle campagne abbiamo spesso fotografato i nostri dipendenti e proprio quest’ultima pubblicità ha diversi significati. Crediamo che tutte le donne debbano poter decidere liberamente come vivere la propria vita e poter esprimere loro stesse. Inoltre all’ordine del giorno vi è il problema del lavoro; in Bangladesh i dipendenti del settore dell’abbigliamento sono i meno pagati, pur lavorando tantissimo. È importante che i consumatori pensino alle persone che sono dietro al nostro lavoro; il punto non è dove sia l’azienda ma come vengono trattate le persone che vi lavorano”. Essendo American Apparel una compagnia, ha a disposizione più risorse degli attivisti individuali motivo per cui l’azienda ha supportato e continua a supportare due importanti cause: “Legalize LA” e “Legalize Gay”, schierandosi dalla parte degli immigrati ed appoggiando i matrimoni gay. American Apparel quindi attraverso le campagne pubblicitarie celebra le donne, le diversità ed il potere femminile; crede che la sessualità debba essere premiata, non condannata. L’azienda ha scelto appositamente questa linea, volendosi allontanare dalle solite campagne pubblicitarie del mondo della moda, riuscendo così a creare il proprio tratto distintivo. Non importa che i modelli non siano perfetti e che non rispecchino i canoni classici della moda, la volontà di American Apparel è quella di fotografare ragazze normali anche con i loro difetti, con lo scopo di rappresentare un’America vera, vissuta, fatta di contraddizioni, di energia e positività. Il brand quindi da sfogo alla sessualità nelle pubblicità poiché considera tali foto una componente fondamentale del marchio che lo definisce e ne permette il riconoscimento in tutto il mondo. Come è solito dire: “bene o male, purché se ne parli” e le campagne pubblicitarie di American Apparel ne sono la prova. Giulia Fabbrocini


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Fai ciò che più ami e non

lavorerai un giorno nella tua intera vita. Spesso sentiamo dirci questa frase, ma qualcuno la mette mai in pratica? Luka Carnifull e Santana Pasta, sì. Meglio conosciuti col nome di Fare Soldi, il duo friulano è riuscito, inseguendo le proprie passioni, a raggiungere i traguardi

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che quasi tutti ci prefissiamo: fama internazionale e tour in giro per il mondo. Non hanno ancora ricevuto ciò meritano nel Bel Paese, ma si sa, nemo propheta in patria. Hanno girato mezzo globo, eppure sono ancora assetati di musica e divertimento. Noi di MOOB li abbiamo conosciuti e siamo pronti a presentarveli‌ a cura di Fabrizio Pinci

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ALLORA RAGAZZI, PRIMA DI TUTTO PRESENTIAMOCI. TUTTI VI CONOSCONO COME LUKA CARNIFULL E SANTANA PASTA, MA IN REALTÀ, CHI SONO I FARE SOLDI? Luka: Siamo due che si sono conosciuti da ragazzini, che hanno sempre trafficato assieme, finchè ad un certo punto, 15 anni fa, abbiamo deciso di avviare un progetto musicale. Avevamo già altre band con progetti individuali (Amari e Carnifull trio), quindi un po’ d’esperienza non mancava. Da allora un po’ di acqua n’è passata sotto i ponti e siamo stati molto fortunati per cui abbiamo iniziato a fare musica elettronica e dj sets prima in Italia poi in Europa e nel mondo.

PARTIAMO DAL NOME, FARE SOLDI, A MOLTO PROVOCATORIO… Pasta: Beh, all’inizio è stato scelto proprio come una provocazione perché in tempi non sospetti quando noi stessi non eravamo focalizzati sulla dance, ma sulla musica elettronica nel senso più ampio del termine, ci siamo subito schierati contro quel tipo di attitudine troppo cervellotica, troppo intellettuale, troppo sperimentale della musica, e quindi abbiamo deciso di partire con un nome molto dissacrante per esser liberi di fare tutto quello che volevamo.

PRIMO IMPATTO SI MOSTRA SUBITO Luka: Molto spesso artisti, anche con nomi altisonanti, venivano poi accusati di fare musica esclusivamente per soldi. Allora abbiamo deciso di chiamarci Fare Soldi, così potevamo fare qualunque cosa artistoide o meno, e nessuno sarebbe venuto a romperci le palle. Avevamo preventivato il tutto.

PERÒ AL CONTEMPO AVETE CREATO E STATE LANCIANDO UN NUOVO GENERE MUSICALE, LA FRICO DANCE, LA QUALE ESCE DAL CONTESTO COMMERCIALE. TITOLI DEI BRANI, SOUND E SEGNI DISTINTIVI COME LE VOSTRE GOLDEN JACKETS VI TRASPORTANO IN UNO STILE ALTERNATIVO, ECCENTRICO, DISTINTIVO. COME MAI QUESTA CONTRADDIZIONE? Pasta: Per noi è sempre un gioco alla fine. Come ha detto Luka prima, noi ci siamo conosciuti da “piccoli” e abbiamo sempre giocato assieme, poteva essere una cosa anziché un’altra, quindi la musica stessa è nata per gioco, come i titoli e le giacche d’oro. Siamo persone fortunate perché abbiamo trasformato questo in un lavoro, ma è la prosecuzione del fatto che noi ci siam sempre divertiti a giocare assieme. Luka: Anche perché continuare fino a 30 anni con i pupazzetti non sarebbe stata una gran bella cosa… 15 ANNI FA IL GENERE DANCE ITALIANO ERA MOLTO AVANTI RISPETTO A QUELLO ESTERO, MA ALLO STESSO TEMPO NON ERA AFFERMATO A LIVELLO NAZIONALE, SE NE PARLAVA POCO. A CHI VI SIETE ISPIRATI PER LA VOSTRA MUSICA, IL VOSTRO STILE E PERCHÉ NO, IL VOSTRO ASPETTO? Luka: Visto che il nostro genere si chiama appunto Frico dance, ovviamente c’è tutta la parte storica di questo genere, quindi da Larry Levan ai milioni di aneddoti della scena di New York e queste robe anni ‘70, quel tipo di vibrazione che aveva quella musica lì. La Salsoul ad esempio, e un marea di altre influenze che ci siam sempre portati dentro, dall’ hip hop all’ elettronica, fino all’indie rock e alla disco ‘80/’90. Robe del tipo dj Shadow e the Boards of Canada. 40


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QUAL È STATA LA VOSTRA PRIMA SCRIVANIA E CON QUALI ALBUM AVETE INIZIATO A PRODURRE? Luka: Ah beh… Quando abbiamo deciso di fare il primo pezzo insieme è perché eravamo completamente galvanizzati dal primo album di dj Shadow, album del ‘96, e nel ‘99 abbiamo fatto appunto il primo lavoro. Pasta veniva dall’hip hop, io ero molto più inserito nell’indie rock e quindi l’idea è stata “facciamo una cosa che abbia dei beat hip hop ma anche delle chitarre”. Da lì è venuto il primo pezzo chiamato “Super colazione in famiglia”, dove abbiamo campionato noi che mangiavamo dei biscotti pucciandoli nel latte. Pasta: Proprio per tornare al solito discorso del divertirsi e giocare...

AVETE FATTO TOUR IN ASIA E AMERICA, E SUONATO AL FIANCO DI GENTE COME KAVINSKY E CALVIN HARRIS. NEL NUOVO TRACK-DISCO “MACCA & CHEESE/EIS COFFEE” SI SENTE MOLTO LA MATURAZIONE AVVENUTA RISPETTO AI VOSTRI PRIMI LAVORI. TUTTE QUESTE AVVENTURE VISSUTE, IN CHE MODO VI HANNO FORMATO, COSA VI HANNO DATO DAL LATO UMANO E DAL LATO ARTISTICO? Pasta: In realtà cambi continuamente. Ogni cosa che fai o che ti capita di fare in questo mestiere ti fa cambiare se stai attento a quello che ti succede e a quello che vedi, quindi a priori, da un dj più grosso puoi imparare tante cose guardandolo lavorare o anche andando in giro in tour, conoscendo i promoter. Puoi imparare anche dai ragazzi che aprono le serate. Ogni cosa ti da un input da mettere dentro, in quello che fai. Poi fa parte tutto di una macchina. Andare in tour ti dà continuamente stimoli e ispirazione. Dai titoli alle persone che conosci, alle foto delle cose che vedi in giro, fino ai mercatini di vinili che ogni volta noi andiamo a visitare. Chiediamo sempre ai promoter di portarci nei posti più sperduti. Compriamo i dischi, li portiamo a casa, campioniamo, facciamo musica e poi ci chiamano a suonare. E’ una ruota. Luka: Ovviamente si, la musica nasce dalla vita. Più esperienze di vita raccogli e più queste andranno a riflettersi nella musica che fai. Volontarie o non volontarie queste cose te le porti sempre dentro.

TUTTI I SACRIFICI E IL DURO LAVORO PERÒ POI TORNANO INDIETRO. GIÀ NEL 2013 AVEVATE RISCOSSO ENORME SUCCESSO CON IL REMIX DI “NO DIGGITY”, ORA SUBITO USCITO IL NUOVO DISCO E IMMEDIATAMENTE CI SONO STATE CRITICHE POSITIVE DA COLLEGHI COME DIGITALISM, BAG RIDERS E STYLOPHONIC, PER CITARNE ALCUNI. SIETE ANCHE STATI INSERITI DA BEATPORT NELLA “10 MUST HEAR NU DISCO”. COME STATE AFFRONTANDO QUESTO SUCCESSO, IN CHE MODO HA IMPATTATO SUL VOSTRO PROGETTO? FORSE ORA IL GIOCATTOLINO È DIVENTATO UN VERO E PROPRIO LAVORO… Pasta: E’ giusto, però non bisogna mai perdere di vista il fatto che deve rimanere un gioco. E’ bello che diventi un lavoro, è una cosa bella, è una figata però deve rimanere divertente altrimenti si perde la magia fondamentalmente.

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E I FARE SOLDI COSA ASCOLTANO QUANDO NON SONO ALLE MACCHINE? Luka: Guarda, noi abbiamo cominciato a fare i musicisti, ma in primis siamo sempre stati dei gran collezionisti di dischi di qualunque genere. Ti posso dire semplicemente che l’altra sera stavamo ascoltando il nuovo disco di Les Sins, cioè il progetto nuovo di Toro y Moi, ma stamattina per andare in aeroporto stavamo sentendo una compilation dei The Doobie Brothers, per farti capire che si spazia assolutamente aleatorio. Siamo sempre molto aperti a sentire qualunque cosa ci possa ispirare, che possa essere un cd indie rock chitarristico o un album di Kendrick Lamar, qualcosa di buono nel giro c’è sempre e non ci siamo mai fermati sulla questione generi. QUESTA SERA SARETE AL JUICY PARTY QUI A NAPOLI. COSA SI DEVONO ASPETTARE LE PERSONE QUANDO VENGONO AI VOSTRI LIVE, E COME DEVONO VENIRE PREPARATE? Luka: Noi diciamo sempre “Mi raccomando venite con scarpe comode” perché il dj set di Fare Soldi è fatto per far ballare ovviamente, per far divertire. Proprio memori di quel tipo di attitudine che abbiamo preso dai padri putativi della disco, i problemi stanno da un’altra parte, i problemi torneranno domani ma quello è il momento in cui lasciarsi andare un po’, dimenticare le cose e godersi semplicemente la serata, per cui i nostri djset tendono ovviamente a essere proprio il più festosi possibili. Noi ci bulliamo del fatto che spesso ci viene detto che c’è della gente che si bacia in pista, siamo molto orgogliosi di questa cosa perché vuol dire che c’è un’ottima vibrazione. APPUNTAMENTI PER IL FUTURO? PROGETTI, LIVE, STATE CAMPIONANDO QUALCOSA? Luka: Adesso stiamo lavorando e abbiamo dei progetti aperti e delle collaborazioni con personaggi piuttosto noti di cui non facciamo il nome per motivo scaramantico e anche perché ovviamente sarà più bello quando queste cose verranno pubblicate. Poi sì, si suona. Adesso abbiamo un bel po’ di date in Italia, nelle scorse settimane siamo stati in Europa, e si tornerà in America. Siamo sempre in giro, quindi dando un’occhiata ci si trova sempre. PARLATECI UN PO’ DI VOI. QUALCHE ANEDDOTO PER CONOSCERVI MEGLIO? DOPO TUTTI QUESTI ANNI DI “CONVIVENZA” SI ARRIVA SEMPRE AL NON SOPPORTARSI QUALCHE VOLTA. CHI È QUELLO ROMPISCATOLE? Pasta: Quello sono io, indubbiamente! Luka: Ti dico solo una cosa, mia madre di solito si riferisce a pasta come la mia vera fidanzata. Pasta: La sua falsa fidanzata non è molto felice di questo Luka: Esatto, le ragazze che ho avuto negli anni di solito questa cosa la soffrivano. Purtroppo ci conosciamo da talmente tanti anni, sono più di 20 anni che siamo amici e 15 che facciamo musica insieme, ormai per molti versi dall’esterno sembriamo un po’ casa Vianello. CHI È RAIMONDO E CHI SANDRA? Luka: Meglio non scoprirlo! E’ IL MOMENTO DEI SALUTI. GRAZIE MILLE RAGAZZI, È STATO UN PIACERE. Fare Soldi: Grazie a voi!

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Hello Ello ! In California nasce “Ello” il primo social network nemico della pubblicità You are not a product. Ci tiene a specificare questo concetto Ello, il nuovo social network che da Marzo 2014 sta spopolando sul web raggiungendo in poco tempo un milione di iscritti e raggiungendo picchi di 35mila sign in in un’ora. Il rivoluzionario social, ideato da un imprenditore californiano (Paul Budnitz, impegnato tra le altre cose nel commercio di giocattoli da collezione e di biciclette), nasce come piattaforma privata di un gruppo di 7 persone, designer e programmatori. Dopo un anno di uso privato si decide di dar vita ad una versione aperta al pubblico. Parte allora con 400mila euro di capitale iniziale l’impresa di Ello. Il social si definisce anti - Facebook e non prova timore a sbandierarlo; condizioni sine qua non sono infatti l’anonimato, la trasparenza e soprattutto l’assenza di inserti pubblicitari.<<Il tuo social network è nelle mani della pubblicità>> ammonisce Ello nella sua pagina iniziale <<tutti i post condivisi, gli amici aggiunti ed i link seguiti vengono rintracciati e memorizzati per essere poi rivenduti come info preziose sul tuo conto agli inserzionisti. Tu sei il prodotto che viene comprato e venduto. >> Palese il riferimento al gioiellino di casa Zuckerberg che proprio negli ultimi tempi è stato ammonito dai suoi stessi utenti in materia di privacy. Nel mese di Ottobre Facebook aveva infatti provato ad imporre l’uso di nomi reali suscitando forti proteste da parte della comunità

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LGBT come da parte di tutti i ferventi sostenitori del diritto alla privacy obbligando il magnate americano a fare un passo indietro riguardo la proposta avanzata. Ello al contrario afferma di credere nell’esistenza di una BETTER WAY e in una feconda collaborazione tra i creatori del social e gli utenti dello stesso. Cavalcando l’onda dell’eticità dei propri fini, l’innovativo social network ha da pochissimo ridefinito il proprio status giuridico classificandosi come Benefit Corporation, ovvero azienda che seppure a scopo di lucro si prefigge come scopo primario la realizzazione di un impatto positivo sulla società e sull’ambiente. Se è vero che Ello non chiede ai propri utenti nome, età o genere è pur giusto specificare che il servizio, almeno per ora, è sicuramente limitato. Non prevede alcun tasto “mi piace”, non da la possibilità di bloccare contatti, non è disponibile come mobile app e per l’iscrizione bisogna essere invitati da qualcuno che è già un Elloniano oppure inviare una richiesta al sito ello.com . Solo l’evoluzione degli eventi nell’arco del vicino 2015 potrà rivelare chi uscirà vincitore da questa sfida all’ultimo click, per ora ad ogni modo il miliardo e 300 milioni di utenti di Facebook conferma che la popolazione informatica continua a preferire la funzionalità piuttosto che la riservatezza. Sarah Meraviglia


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Netflix: innovazione o capolinea della TV?

E se non fossimo ancora pronti a rinunciare all’attesa da finale di stagione? Quante volte ci è capitato di appassionarci ad una serie televisiva tanto da assistere alle avventure dei protagonisti come se le vivessimo in prima persona, da discutere delle loro decisioni e delle loro emozioni con un trasporto tale da arrabbiarci realmente con loro o di sostenerli, quasi come se quei personaggi, usciti dalla penna di qualche brillante autore del comedy sistem, fossero dei nostri amici o dei nostri parenti? E quante volte non abbiamo resistito all’attesa da ultima puntata di stagione e abbiamo cominciato – in maniera poco legale! – a barcamenarci tra i più disparati portali per rinvenire l’agognato episodio in streaming, e finendo, nella migliore delle ipotesi, soltanto a buscarci un paio di virus sul PC? Non tutti sanno che, a partire dal 2008, la compagnia statunitense Netflix ha deciso di venire incontro alle esigenze dei series addicted, trasformandosi nella maggiore piattaforma di streaming on demand del pianeta. Nata come servizio di noleggio di videogiochi e film, oggi la Netflix offre la possibilità, in maniera del tutto legale, di accedere ad una varietà infinita di film e serie TV, dando vita anche a prodotti originalissimi, quali Orange is the new black, House of Cards e Arrested Developement. I 50 milioni di utenti che il portale, nel 2014, ospita, hanno la possibilità di visionare facilmente questi contenuti attraverso una larghissima gamma di dispositivi, tra cui smartphone, tablet o console. Insomma, Netflix è il sogno proibito di tutti quelli che, armati di cioccolata e portatile,

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amano trascorrere le serate a godersi un bel colossal senza fastidiosi buffering , o alimentando inconsapevolmente il fenomeno del binge watching, guardando tutti gli episodi della loro serie preferita in una sola sera! Eppure, non posso che pormi una domanda. Le serie TV ci hanno fatto ridere, ci hanno fatto trattenere il respiro, ci hanno fatto piangere, a volte ci hanno addirittura fatto capire cose di noi stessi; e in gran parte sono riuscite a farlo grazie al tratto che le caratterizza, cioè la serialità. L’attesa, giornaliera o settimanale, dell’episodio successivo, riusciva a caricarci di aspettative, la scansione temporale lasciava che i personaggi entrassero nelle nostre case non solo per poche ore, ma per settimane, e quindi ci avvicinava molto di più a loro, ci rendeva molto più facile condividere i loro sentimenti, e abbandonarci alle classiche emozioni da finale di stagione. Il tipico series addicted sarà balzato dalla contentezza alla notizia dell’esistenza di una piattaforma come Netflix: ma sarà disposto a barattare l’impazienza del “come andrà a finire”, le sorprese ma anche le delusioni della trama, vorrà davvero a viverle da solo e a rinunciare a condividerle con un amico, o con la propria famiglia? Netflix sta cercando language specialist per i suoi servizi di geolocalizzazione, e tra le lingue richieste c’è anche l’italiano; chissà che la risposta a queste domande non ci venga fornita nel momento in cui il portale attraverserà i confini dell’Italia! Chiara Pizi


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YOUNG ALLA RICERCA DEL SUCCESSO

L’eredità di papà Will che fa scorrere il ritmo nero nel sangue 48


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AW.Vincenzo Del Vecchio

SMITHS


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h e s i a m e r i t o d e l f at t o ch e s i a n o E r i s a l e s o l o a q u a l ch e s e t t i m a n a f a f i g l i d i u n at t o re p l u r i p re m i at o l ’ u l t i m o s i n g o l o Fa s t , r i t m at o e ve l o c e t r a i p i ù f a m o s i d i H o l l y w o o d o p - s u l l a s c i a d i u n p e r f e t t o f l o w. p u r e n o, p o c o c a m b i a : i r a m p o l - Wi l l o w è s t at a a n c o r a p i ù p re c o c e d e l l i S m i t h h a n n o f a t t o p a rl a re d i l o ro f r at e l l o m a g g i o re, s e p o s s i b i l e : a s o l i m a s s - m e d i a e p ro d u z i o n i c i n e m at o g r a - d i e c i a n n i f i r m a g i à u n c o n t r at t o c o n f i ch e e mu s i c a l i d e l m o n d o i n t e ro. p ro d u t t o re Jay - z , ch e h a s u b i t o f at t o Ave r e a l l e s p a l l e l ’ e f r u t t a re i l s u o i n sperienza e il successo d i s c u s s o t a l e n t o. “i rampolli Smith d i u n p a d r e c o m e Wi l l A n ch e l e i h a re c i hanno fatto parlare Smith ha certamente t at o c o n i l p a d r e a i u t at o Ja d e n e Wi l l o w n e l l ’ a l t ro s u c c e s di loro mass-media n e l l a l o ro s c a l at a a l l a s o m o n d i a l e f i rve t t a ; m a c ’ è d a s o t t o m at o S m i t h , I o e produzioni l i n e a re ch e d o p o l a p r i sono leggenda, cinematografiche m a s p i n t a c i n e m at o g r a ma è senza dubbio f i c a p at e r n a , i l r u o l o l a mu s i c a i l c a m e musicali del d i Wi l l è s t at o e c l i s s at o p o i n c u i e c c e l l e. d a l t r avo l g e n t e s u c c e s L a ve t t a l ’ h a t o c mondo intero” so dei due ragazzi. c at a c o n i l s i n g o l o d e l 2 0 1 2 , I A M M E , p ro d o t t o p ro p r i o L’ o r m a i s e d i c e n n e Ja d e n S m i t h n o n d a i g e n i t o r i , ch e è u n i m p o r t a n t e i m p u t s o l o h a r e c i t a t o a f f i a n c o a l p a d re i n p e r g l i a d o l e s c e n t i ; s i è p e n s at o ch e l a d u e f i l m d i s u c c e s s o m o n d i a l e, L a r i - r a g a z z i n a , ch e n e l v i d e o c l i p è l a f o t o c e rc a d e l l a f e l i c i t à a s o l i o t t o a n n i e c o p i a d i s u o p a d re a i t e m p i d e I l p r i n A f t e r E a r t h , e c o m e at t o re p ro t a g o n i - c i p e d i B e l - A i r, c o n i l s u o s t i l e p a r t i s t a i n U l t i m at u m a l l a Te r r a e T h e K a - c o l a r m e n t e m a s ch i l e ve i c o l i i n q u e s t o r at e K i d ; m a i l c i n e m a n o n è l ’ u n i c a t e s t o u n m e s s a g g i o c o n t ro l ’ o m o f o b i a . c o s a p e r c u i è c o n o s c i u t o. Ja d e n i n f at t i I n u t i l e d i re ch e l e l i n g u e p i ù c r i t i ch e è a n ch e u n r a p p e r e m e rg e n t e, n a t o c o n l ’ h a n n o v i s t o c o m e u n a m a n i p o l a z i o n e i l r i t m o n e l s a n g u e, c o s ì c o m e è d ove - d a p a r t e d e i g e n i t o r i , e n t r a m b i t e s t i m o ro s o d i r e a n ch e d i s u a s o re l l a Wi l l o w. I l n i a l p e r l ’ e m a n c i p a z i o n e o m o s e s s u a l e. s u o p r i m o a l bu m è u s c i t o n e l 2 0 1 2 e s i ch i a m a T h e C o o l C a f e : C o o l t a p e vo l . 1 I n s o m m a , t r a m i l i o n i d i v i s u a l i z z a z i o n i ; e t r a i s u o i l avo r i s i a n n ove r a u n d u e t - Yo u Tu b e e p a s s e re l l e d a l t a p p e t o ro s s o, t o c o n l a s t a r m o n d i a l e p i ù a c c l a m at a i p i c c o l i S m i t h s t a n n o f a c e n d o r i c o n o d a g l i a d o l e s c e n t i , N eve r S a y N eve r c o n s c e re i l l o ro z a m p i n o ov u n q u e e ch i s s à Ju s t i n B i e b e r, c o l o n n a s o n o r a d e l l ’ o - ch e n o n d i ve n t e r a n n o a l l ’ a l t e z z a a d d i m o n i m o f i l m - d o c u m e n t a r i o. r i t t u r a d e l l a f a m a p at e r n a . Vi t t o r i a P i n t o

Willow è stata ancora più precoce a soli dieci anni firma già un contratto con produttore

Jay-z

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Jaden infatti è anche un rapper emergente -risale solo a qualche settimana fa l’ultimo singolo

-Fast-

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IL RITORNO DEL RE

La Genesi che ha portato LeBron James a tornare a casa Dall’8 Luglio 2010 all’11 Luglio 2014. 4 anni di apnea, un’apnea profonda che ha fatto vivere tantissime emozioni a tutti gli appassionati del Basket, 4 anni in cui il King, LeBron James, si è visceralmente fatto odiare da tutto il popolo amante della palla a spicchi.

La storia della NBA è però cambiata a Miami La storia della NBA è però cambiata a Miami, sia per la Dinasty del King, di Wade e di Bosh, sia perché è lì che si sono incontrati James e Dan Gilbert, il proprietario dei Cavs, un patron pentito e tormentato dalla durissima lettera che scrisse ai tifosi subito dopo la Decision di LeBron. Al Prescelto la lettera non è andata giù, fu chiamato codardo, ora aspetta, ascolta le parole di Gilbert, insieme alla propria famiglia fino a quando arriva dalla bocca di Dan l’unica frase che aspettano da 4 anni: “I’m sorry”. Si parla di un incontro struggente in cui Gilbert figura come il tradito dal più grande amore della sua vita, un incontro in cui si augurava di non aver mai scritto quella lettera (che comunque è rimasta in bella vista per 4 anni sul sito dei Cavaliers) e di un LeBron comprensivo, che non vedeva l’ora di accettare l’offerta perché LeBron è tormentato dalla Decision, da come l’ha comunicata, vive un senso di colpa pari a quello di Gilbert. In quell’incontro, del 3 Luglio, si capisce che tra Cleveland e

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James, oltre ad un passato, potrebbe esserci anche un futuro. Il Prescelto così va via, una settimana di vacanza con Savannah ed i bambini, una settimana in cui è introvabile per prepararsi ad affrontare l’ennesima battaglia mediatica, la prima cosa che fa è però presenziare al camp di Las Vegas che porta il suo nome, insieme a Dwayne Wade, il suo capitano e compagno di battaglie. Il giorno dopo incontra Pat Riley, l’uomo che ha creduto nel sogno dei Big Three. Altro incontro struggente, sempre a Miami, siamo a mercoledì. La Decision 2.0 è presa, non comunicata al mondo però. Il giovedì chiama il suo amico Lee Jenkis, grande giornalista di Sports Illustrated: “Lee, sono LeBron e queste sono le chiavi per entrare nella mia mente”. Vuole scrivere una lettera, per i tifosi della Florida, e per quelli suoi, quelli dell’Ohio ma la lettera non viene però ancora mostrata. LeBron ha altri piani. Torna a Miami insieme a D-Wade poi vola per il Brasile per assistere alla finale dei Campionati del Mondo. Arriviamo a venerdì, James ha un debito di risposta con Gilbert e chiede a Rich Paul, il suo agente, di chiamare Dan: “Congratulazioni, LeBron James è un nuovo giocatore dei Cleveland Cavaliers”. Dan non risponde, farfuglia, poi si riprende e gli dice che questa è davvero una grande notizia. Paul non gli concede neanche il tempo di finire la frase, “Non preoccuparti amico, sta per essere di dominio pubblico”. I’m Coming home. Il Re torna a casa. Leonardo Ciccarelli


AW.Vincenzo Del Vecchio

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MONICA SILVA

PROVATE AD IMMAGINARE CARAVAGGIO CATA 54


LUX ET FILUM

APULTATO DI COLPO NEL VENTUNESIMO SECOLO... 55


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Provate ad immaginare Caravaggio catapultato di colpo nel ventunesimo secolo. E’ lì in jeans e maglietta, Vans ai piedi, magari a rifinire uno dei chicchi d’uva della Cesta di frutta, un occhio attento alla tela, l’altro concentrato sul suo blackberry in attesa degli ultimi tweet della critica in merito al suo ultimo dipinto. Irreale e inverosimile dite? Sicuramente non per Monica Silva, fotografa brasiliana che ha lanciato lo scorso settembre il suo ultimo e sensazionale progetto fotografico: “Lux et Filum – A Contemporary vision of Caravaggio”. La mostra comprende 7 tra le opere più conosciute del noto artista barocco (La Medusa, Il Bacco, I Musici, San Girolamo Scrivente, Narciso e La Cena di Emmaus) che sono state riprodotte in sette scatti fotografici in seguito ad una accurata e rivoluzionaria rivisitazione.”Riprodotti” potrebbe forse rimandare ad una banale ricostruzione delle scene dei dipinti così come erano state pensate dal pittore stesso, niente di più lontano invece da Lux et Filum. Il vecchio San Girolamo un po’ calvo e con la fronte corrugata, con tanto di aureola e tunica rossa indosso, viene sostituito da un giovane sotto i trenta, che a dorso nudo ed in pantaloni di pigiama, fuma una sigaretta e ascolta musica dalle sue enormi cuffie. E’ insomma uno dei tanti “ti-

pi”che si potrebbero incontrare il sabato sera in una qualsiasi piazza di una metropoli italiana. La scelta del soggetto potrebbe sembrare drastica e provocativa ma riflette invece in tutto e per tutto il modo di “fare arte” adottato dal Caravaggio, definito non a caso da molti studiosi il primo fotografo della storia, per la cura dei dettagli, per la propensione ai ritratti e per la resa fortemente realistica di questi ultimi. Caravaggio preferiva di gran lunga far posare per i suoi dipinti, semplici contadini, senzatetto e talvolta persino prostitute piuttosto che signorine incipriate e signorotti con i baffi impomatati provenienti dalla società cosiddetta “perbene”. Il progetto, spiega Monica Silva, nasce da una semplice domanda: “Se Caravaggio vivesse nella nostra epoca, come apparirebbero i suoi dipinti?”. Lux et Filum (dal latino “Luce e tessuto”) oltrepassa i limiti della fotografia e del reale spronando l’osservatore all’uso della propria fantasia e del proprio intuito. Sarà il pubblico in grado di cogliere la sfida? Sarah Meraviglia

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CHROMEO and

White Women “White Women”. Sottoscritto dalla label Last Gang Records, e’ il quarto capolavoro per il duo canadese.

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oloro che li ascoltano per la prima volta potrebbero confonderli per i Daft Punk o per qualche loro cugino, invece stiamo parlando di due artisti completi, amanti del loro lavoro e con un bagaglio di cultura musicale non indifferente. Il loro nome non potrebbe suscitarvi nulla inizialmente, per quelli che non li conoscono, ma i Chromeo sono una realtà ben nota al pubblico internazionale amante di questo genere musicale. I due artisti di musica elettrofunk, P-Thugg e Dave1, meglio conosciuti col nome di Chromeo, hanno lanciato il 12 Maggio il loro nuovo album “White Women”. Sottoscritto dalla label Last Gang Records, questo è il quarto capolavoro per il duo canadese. Patrick Gemayel e David Macklovitch si sono conosciuti a scuola appena quindicenni, avvicinati dalla passione per la musica. Si uniscono sotto il nome di Chromeo nel 2001 firmando un contratto con la casa discografica Turbo. Gli album tardano un po’ ad arrivare, infatti la prima pubblicazione avviene solo 3 anni dopo, con l’uscita di “She’s in Control”, seguito da “Fancy Footwork” (2007) e “Business Casual” (2010). Quest’ultimo, molto più elaborato ed equilibrato, si era un po’ allontanato dal loro stile iniziale, ma la vecchia strada è stata ripresa con l’ultimo lavoro. Macklovitch definisce, infatti, “White

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Women” come <<a combination of sexy, funky, macho music with neurotically love-torn lyrics>>, tale da riportare in vita la vera essenza della party dance. Nell’album ci sono inoltre molte collaborazioni, poiché a detta del duo, confrontarsi con diversi pareri e diverse idee e riuscire ad integrarle è un esempio di grande professionalità e maturità. All’interno del disco notiamo la presenza di Toro y Moi, Solange Knowles e Vampire’s Weekends Ezra Koenig. Il 18 Settembre, i Chromeo hanno partecipato ad una Ask Me Anything session per Reddit, un noto sito internet. Durante questa intervista hanno spiegato il senso del titolo dell’album: << Abbiamo scelto questo titolo perché è il nome del primo libro di Helmut Newton. Lui ha avuto un’enorme influenza su di noi… sai, le gambe, quel look sexy degli anni ’80. E abbiamo pensato che il titolo fosse sfrontato, divertente, le persone ci avrebbero pensato su. La nostra musica ha sempre confuso i confini tra presente e passato (E’ retrò? E’ moderno? E’ entrambi?) >>. L’album ha avuto critiche positive, vendendo 3500 copie nella prima settimana in Canada e 16000 in America, posizionandosi all’undicesimo posto nella classifica Billboard 200. Dettò ciò, non vi resta altro che premere play. Buon ascolto. Fabrizio Pinci


AW.Vincenzo Del Vecchio

“La nostra musica ha sempre confuso i confini tra presente e passato e ora vogliamo confondere anche i confini tra i diversi generi�

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J. Cole

il predestinato allievo di Jay-Z

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Jermaine Lamarr Cole, classe 1985, radici tedesche, rapper atipico, scrittore di testi, ne ha fatta di gavetta prima di diventare l’artista che è oggi. Lascia la Germania dopo una dolorosa separazione dal padre, e si trasferisce all’età di 8 anni nel North Carolina con la madre, la zia e il cugino. Comincia a fare rap a 12 anni, annotando le parole su un diario che portava sempre con sè, e a comporre basi musicali a 15 anni con la Roland TR-808 regalatagli dalla madre. Si appassiona al basket e si innamora sempre più della musica, tanto da seguire lezioni di chitarra dal famoso artista Mark Elbert, e a 17 anni col soprannome “The Therapist” comincia a postare alcune sue tracce sul web. Tenta di autopromuoversi nel settembre 2007, aspettando Jay-Z sotto la pioggia per circa 3 ore fuori il suo studio di registrazione Roc the Mic, con l’intenzione di fargli ascoltare la demo intitolata “On Top of The World”. Quando Jay-Z esce dalla sua Rolls Royce Phantom nera, riparato da un elegante ombrello, e il giovane Cole gli offre il cd da ascoltare, si sente rispondere seccamente : “No Man. I don’t want this!”. Jermaine non si perde d’animo: si laurea con il massimo dei voti e con lode alla St. John’s University di New York, aggiunge al suo repertorio la qualifica di produttore discografico, e pubblica il suo primo mixtape, “The Come Up”. Le fatiche del 22enne non passano inosservate, e il destino ci mette lo zampino: è proprio la casa di produzione Roc Nation di Jay-Z a contattarlo per un 62

provino! Durante quell’incontro ufficiale con Mister Carter, Cole presenta la traccia inedita “Lights Please”, e convince il produttore ad offrigli un contratto con l’etichetta tanto desiderata. Dopo la firma, la sua notorietà cresce nel 2009 con la pubblicazione del suo secondo mixtape “The Worm Up”, e il featuring nella traccia “A Star is Born”, presente nell’album “The Blueprint 3” di Jay-Z, diventato ormai suo mentore. Nel 2010 registra il suo video di debutto col brano “Who Dat”, e lancia il suo terzo mixtape “ Friday Night Lights”. Nel 2011 la svolta definitiva con il suo primo album “Cole World: Sideline Story”, titolo che andava a sottolineare come Cole avesse passato gran parte degli ultimi anni ai margini del campo (sideline), pronto ad esordire nella musica che conta. Il suo primo singolo “Work Out”, e il successivo “Can’t Get Enough” con Trey Songz, il cui video viene girato alle Barbados con un piccolo cameo di Rihanna, diventano le hits più trasmesse dalle radio. L’album ottiene un immediato riscontro positivo in termini di vendita, debuttando al numero uno della classifica Billboard 200, la graduatoria di riferimento per le vendite di album negli Stati Uniti, con ben 218mila copie vendute nelle prime settimane. Poco dopo esce il suo terzo singolo estratto, “Nobody’s Perfect” con Missy Elliot, e l’album raggiunge il traguardo delle 500mila copie vendute, diventando Disco D’Oro. Con “Cole World: Sideline Story” l’artista riesce subito a distinguersi nelle lyrics, parlando di esperienza


di vite normali, talvolta drammatiche, di relazioni, di sogni, di alti e di bassi, e nel sound, con la presenza del pianoforte e della chitarra jazz, che vanno ad arricchire le basi rap della batteria. Nel 2013 pubblica il suo secondo album, “Born Sinner”, con la data di lancio coincidente a quella dell’album “Yeezus” di Kanye West, già affermatissimo nel panorama mondiale. Peccato di presunzione? Non direi. Anticipato dalla traccia capolavoro “Power Trip” con l’amico Miguel, il nuovo lavoro di J. vende 297mila copie, e si piazza secondo nella classifica BillBoard 200, dietro all’album di West. Alla fine le copie vendute diventano 599mila, con l’uscita di altri tre singoli. “Born Sinner” permette alla critica di apprezzare il coraggio di un ragazzo che si è fatto da solo, stupisce con il suo hip hop stilisticamente ricercato, che ospita un sintonia soul e dei beats originali, che mescola testi tormentati ad assoli di chitarra. Cresciuto nel mito di Tupac, che come lui raccontava storie nei testi, Cole è riuscito ad emergere rapidamente perché in questi anni non ha puntato tutto sui soliti stereotipi dell’hip hop (macchine costose, abiti firmati e soldi), che sono finiti per stancare gli amanti del genere. Certo, anche lui strizza l’occhio ai topics del suo genere musicale, parlando dell’impossibilità di vivere serenamente la monogamia e la notorietà, ma lo fa alternando saggiamente moralismo e spacconeria. Oggi quindi è riconosciuto come un artista

versatile, degno rappresentate del “sad hip hop” insieme ai colleghi Drake e Kendrick Lamar, con i quali infatti ha siglato delle collaborazioni negli ottimi brani “In The Morning” e “Forbidden Fruit”. J. Cole non viene dal ghetto, non ha tatuaggi, ha un ottima preparazione musicale e ha sempre preferito il feedback dei propri fans al numero di copie vendute. Ne è stata un chiaro esempio la strategia di marketing per il suo nuovo album in uscita: un comunicato sulla sua pagina Facebook. <<Come va? Il mio nuovo disco è finito. Si chiama 2014 “Forest Hills Drive” e per me ha davvero un significato speciale. Sarà possibile acquistarlo ovunque, dal 9 Dicembre. Questa volta non rilascerò nessun singolo, solamente il disco. Ci vediamo tra 3 settimane. Grazie per il vostro amore e per il vostro supporto.>> 2014 Forrest Hills, oltre a dare il titolo all’album è l’indirizzo della casa d’infanzia di J.Cole in North Carolina. Insieme a questo annuncio, l’artista ha pubblicato un video lungo 7 minuti che parla del “making of ” del suo nuovo prodotto discografico. Welcome Back J.

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Che cosa c’è sulla t

Dal 1979 al 2014, l’evoluzione degli oggetti che compongono Fax, telefono con il filo, quaderni, lettore CD, quotidiani, cornici per le foto, una piccola radio con tanto di musicassette, un block notes, pennarelli, un calendario, una tazza per le penne e un’agenda. Che ci l’ordine ci piacesse, o che lo fuggissimo, queste cianfrusaglie hanno per anni occupato le nostre scrivanie, costringendoci spesso a rovistare per ore tra le chincaglierie più disparate, nel tentativo di trovare quell’unico oggetto che in quel preciso momento ci serviva. E mica ci spaventavano quelle ricerche infinite! Eravamo sordi a qualsiasi invito a disfarci di qualcosa, a fare spazio per le cose strettamente necessarie; una richiesta del genere, per noi, suonava inammissibile. L’indispensabile era tutto quello che affollava la nostra scrivania, ogni singolo oggetto concorreva da solo a comporre un piccolo universo di musica, appunti, ricordi e immagini che appartenevano solo a noi.

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Eppure, se in questo momento ci chiedessero “Che cosa c’è sulla tua scrivania?”, molti di noi risponderebbero in maniera molto diversa rispetto a come avrebbero risposto anche solo qualche anno fa; la maggior parte di noi direbbe che, di tutti gli oggetti elencati prima, ne rimangono al massimo un paio. Sono forse cambiate le nostre priorità? Abbiamo cominciato negli anni, a ritenere superfluo quello che ritenevamo indispensabile, e abbiamo dunque deciso di eliminarlo? La risposta ci viene data da Evolution of the desk, un video di cinquantasei secondi che ci mostra, a tutta velocità, come – esattamente in trentacinque anni - i suppellettili che personalizzavano le nostre scrivanie non siano stati aboliti, ma semplicemente riconvertiti in una dimensione alternativa. Il prodotto made in Harvard Innovation Lab ci spiega come abbiamo sostituito, nel corso del


tua scrivania, oggi?

o il nostro microcosmo di immagini, creazioni, suoni e ricordi. tempo, quegli oggetti materiali che ritenevamo indispensabili semplicemente condensandoli nella tecnologia dei computer e degli smartphone. Uno specifico programma per visualizzare immagini o per scrivere documenti, una precisa applicazione per ascoltare la musica o per guardare film, e infiniti mezzi rigorosamente virtuali per esprimere la nostra creatività: a cosa più ci serve carta e penna, a cosa più ci serve una bacheca per le foto, a cosa più ci serve un lettore DVD, se tutto questo è a portata di mouse? I progressi della scienza tecnologica ci hanno concesso quello che fino a trentacinque anni fa era per noi solo un sogno potenzialmente irrealizzabile: racchiudere tutto quello che abbiamo prodotto, pensato, vissuto in un’unica entità, che possiamo tenere sempre con noi, che possiamo portare dove preferiamo e alla quale possiamo accedere in qualsiasi momento. Per il piacere dei maniaci dell’ordine, per la gioia

dei più pratici e di chi ama tener tutto sotto controllo, in trentacinque anni non abbiamo rimosso nulla; abbiamo solo sostituito. C’è solo da chiedersi se, nei prossimi trentacinque anni, a venir surrogate non saranno più le carabattole, ma le persone. Chiara Pizi

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Flight Facilities,

“Oggi è molto difficile stupire, colpire con la musica, è trito è ritrito ogni suono, ogni sfumatura, ogni tintinnio.” La musica ha molti volti, ma quello che cerchiamo quando ascoltiamo una canzone sono le vibrazioni, vogliamo che il nostro corpo e la nostra mente vibrino all’unisono. Oggi è molto difficile stupire, colpire con la musica, è trito è ritrito ogni suono, ogni sfumatura, ogni tintinnio.

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Questo non impedisce alla scarsa qualità di emergere, ma permette anche tanto all’originalità e all’innovazione ed è questo il caso dei Flight Facilities. Il duo musicale australiano ha contaminazioni nell’house e nell’indie-elettronica e inizia nel 2009 a Sydney quando Hugo Stuart Gruzman e James Nathan Lyell, “Jimmy” iniziano a mixare canzoni di vari artisti. “Crave You” è il loro primo pezzo, la canzone viene scritta e cantata assieme alla cantautrice australiana Giselle Rosselli e ottiene numerosi passaggi sulla


dall’australia arriva il vero Clubber sound. stazione radio australiana Triple J nel 2010, il duo aveva contattato la cantante per registrare un singolo per la compilation della loro etichetta discografica, la Bang Gang. Lavorano per Bag Raiders, Toecutter e Sneaky Sound System, il loro primo tour nel luglio 2010, li vede suonare in molte città Australiane, ma tocca anche Tokyo e Osaka in Giappone e nel 2011 col pezzo Foreign Language vincono un J-award per il miglior video musicale. Tra i loro remix, quello di “Shine a Light”, la canzone dei The C90s guadagna popolarità quando nel 2013 viene inserito nella colonna sonora del videogioco della Rockstar Games GTA V. I loro singoli spaziano tra influenze ed atmosfere disparate, tanto da aver difficoltà a credere che provengano dalla stessa matrice: “Foreign Language” featuring Jess Higgs (2011), “With You” featuring Grovesnor (2012), “Clair De Lune” featuring Christine Hoberg (2012), “I Didn’t Believe” featuring Elizabeth Rose (2013), “Stand Still” featuring Micky Green (2013), il “F.F sound” una volta ascoltato, difficilmen-

te lo si confonde, resta. Quest’anno tutti gli amanti del genere e probabilmente non solo, sono ancora reduci da two Bodies feat. Emma Louise il singolo tratto dall’album “Down to Earth” che tra video e sonorità ci ha stregati. Anche se non si è fan della cosiddetta musica da club, quando c’è talento e creatività vanno sdoganati i tabù secondo i quali il sound da locale è necessariamente privo di qualità e spessore, non possiamo prescindere dall’accorgerci che i Flight Facilities possano essere un’alternativa valida alla pedantemente gettonata “commerciale” che ci attanaglia ogni volta che mettiamo piede in una disco…e se apriamo la mente e ascoltiamo uno qualunque dei loro singoli o anche uno dei loro remix, se chiudiamo gli occhi e lasciamo fluire i pensieri la differenza è tutta lì, basta solamente “sentirla”. Sara Esposito

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Shameless

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Alle porte della quinta stagione torna la serie tv senza vergogna Ormai ci siamo. Dopo mesi di attesa finalmente gennaio 2015 vedrà la luce della nuova stagione dell’acclamata serie televisiva “Shameless”, letteralmente; senza vergogna. Per chi non la conoscesse (e vi invito a farlo) o non ne avesse mai sentito parlare, ecco in breve la trama; siamo a Chicago, nell’Illinois, e in un quartiere squallido e malfamato si snodano le vicende della famiglia Gallagher. Non aspettatevi la classica famiglia americana, o meglio il classico modus operandi con il quale viene rappresentata. I Gallagher non sono patriottici, non sono gran lavoratori che si ritrovano a cena davanti al tacchino per raccontarsi la giornata, non hanno la piscina, non curano il giardino di casa, non c’è nessun un golden retriever scondinzolante che li attende all’ingresso quando fanno ritorno nella fatiscente abitazione, non organizzano gite tutti assieme e non ordiscono parate di benvenuto per i nuovi vicini. Frank, il capofamiglia, è un ubriacone tossicodipendente e privo di qualsiasi forma di moralità. Abbandonato dalla moglie, Monica, bipolare e mentalmente instabile, si trova però a dover crescere e mantenere (si fa per dire) i sei figli che ha avuto con lei. In realtà Frank, disoccupato recidivo e pigro incallito, passa le giornate al bar del quartiere, l’Alibi, e si ricorda della sfortunata progenie solo quando questa può essergli fonte di guadagno. Per fortuna c’è Fiona, primogenita ventitreenne, che si destreggia abilmente tra mille lavori cercando di garantire ai fratelli una stabilità economica e affettiva, ricoprendo il ruolo della madre sensibile ma anche del padre autoritario quando la situazione lo richiede. E poi Lip, (Philip) il secondogenito genialoide,cinico e tormentato, sempre in conflitto con se stesso,sempre più confuso sull’utilizzo del suo enorme potenziale intellettivo (servirsene a scopo delinquenziale per cercare di tirare avanti e aiutare Fiona o diventare il primo Gallagher iscritto ufficialmente al College?). Ian, il terzogenito, silenzioso, atletico e disciplinato. Ian prende molto sul serio la carriera nell’esercito e pur riconoscendo scomoda la sua

posizione di omosessuale in un quartiere difficile come il Southside di Chicago, rivendica sempre con orgoglio i propri gusti sessuali e con gran disinvoltura e dolcezza riuscirà a coinvolgere anche un bulletto di quartiere (prima suo acerrimo nemico) in una relazione tormentata che si rivelerà col tempo una delle più commoventi dell’intero telefilm. E poi Debbie, la coscienza della famiglia, adolescente saggia, ambiziosa e responsabile. Carl, il fratellino deviato e borderline, ai limiti della sociopatia (ma anche il più legato a Frank) e infine Liam, di soli due anni. Se siete pronti a staccarvi dalla patina di finzione che ha ammantato telefilm quali O.C., Settimo Cielo, e anche il vecchio caro Dawson’s Creek, allora io vi consiglierei, con le dovute precauzioni, di gettarvi a capofitto in un’America cancerosa e sporca che rararamente viene mostrata sul piccolo schermo. Un’America che ignora i deboli, i discriminati, gli infelici. Un’America che getta i suoi figli deformi in pasto al destino, senza curarsi di aiutarli a rimettersi in piedi. E in questa America una famiglia atipica, sfortunata e smembrata. Non ci sono ruote che girano per i Gallagher, non c’è un padre che chiama il figlio “campione” e gli insegna a giocare a baseball la domenica, non ci sono mamme che vanno a messa, o che preparano frittelle a prima mattina. Lo scenario che Shameless offre allo spettatore è fin troppo realistico, senza filtri, politcamente scorretto. Se preferite vedere i telefilm come proiezioni di realtà che non avete mai vissuto ma solo immaginato, allora no, non distruggete il vostro castello di sogni fatto di cheerleader e balli studenteschi. Ma se doveste aver voglia del più crudo realismo, ai limiti del disturbante, se vi foste stufati di vampiri, dottori innamorati, gossip girls e quant’altro allora vi inviterei a provare. Mi unisco ai fedeli fans del telefilm nella trepidante attesa della stagione in arrivo, sperando che sia meglio di quella precedente e peggio di quella successiva. Noemi Gesuè

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PITTI UOMO 2015: OSPITI, EVENTI, PARTECIPAZIONI

Da sempre in Italia,viene dato spazio alla moda in tutte le sue sfumature attraverso innumerevoli manifestazioni che sono motivo di vanto e orgoglio per il nostro paese. Nello specifico,stavolta parliamo del Pitti Immagine Uomo,che ogni anno torna a stupirci con un evento che permette a chi vi partecipa di sentirsi parte di un “sistema” che abbraccia moda,design,arte e sport. Dal 13 al 16 Gennaio difatti a Firenze,tornerà la fiera dedicata alla moda maschile con un numero record di richieste di partecipazioni internazionali,stiamo parlando di circa il 40% di aziende provenienti da oltre 30 paesi diversi. Il tema che vi sarà rappresentato a Gennaio sarà “Walkabout Pitti”: “camminare per il piacere di farlo,per vedere,pensare e assaporare il mondo,da soli o in compagnia.Per sport o perché camminare,o parlarne,è di moda.” ;questo è quanto sostenuto dal vice-direttore generale del Pitti Immagine,Agostino Poletto,durante una conferenza stampa. Come ogni anno,saranno presenti molti dei marchi più prestigiosi

come ad esempio Marni che sarà il Menswear Guest Designer di Pitti e Hood By Air,marchio creato nel 2006 da Shayne Oliver che ha le sue radici a New York,e che sarà lo special Guest di gennaio;vi saranno anche brand emergenti che avranno la possibilità di mostrare talento e originalità attraverso le proprie collezioni. Tra le novità,vi saranno molti altri brand prestigiosi come Bogner,direttamente dalla Germania;Windsor,la collezione Colmar Originals,e WP lavori in corso che presenterà il lancio esclusivo della collaborazione tra Ducati e Blundstone. Approfittando di un evento di tale rilievo come il Pitti Uomo,sarà presentato un nuovo progetto riguardante la città di Milano,che coinvolgerà dal 17 Gennaio Via del Gesù;difatti l’iniziativa prende il nome de “la via dell’uomo”,inteso come nucleo dell’italian style al maschile. A partire da gennaio,vi sarà un vero e proprio calendario di eventi inerenti all’iniziativa sponsorizzato proprio dal Pitti Uomo. Alessia Maisto

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THIS IS OR THIS IS NOT… A MOSCHINO TOY

Dopo un clamoroso debutto che ha fatto parlare tutti gli addetti ai lavori e persino i semplici appassionati di moda, Jeremy Scott continua a stupirci: dopo averci catapultato nel mondo delle Barbie con la collezione SS14, arriva TOY, l’orsacchiotto di peluche. Lo slogan “This is not a Moschino toy” stampato sulla maglietta del tradizionale Teddy Bear è classico esempio di manipolazione psicologica dei consumatori che la maison porta avanti da sempre, in cui un oggetto diventa il manifesto della negazione di se stesso. Si chiama Toy, è contenuto nella classica scatola colorata da giocattolo, con la finestrina in plastica trasparente che invita al “Try Me” e “Touch Me”, questo orsetto, presentato come il più classico fra i giocattoli è invece l’ultimo profumo della Maison. Abituati al packaging dalle linee semplici e pulite delle essenze in commercio è stato davvero sorprendente scoprire che un tenero orsetto potesse rimpiazzare sterili e geometrici pezzi di vetro nella nostra Toilette. “Ho voluto pensare ad un contenitore di fragranze al di là di quello che è l’ambito vero e proprio della profumeria - ha spiegato direttore creativo di Moschino - E penso di esserci riuscito”.

Jeremy Scott condivide con il fondatore della Maison, Franco Moschino, la passione per la cultura pop, l’irriverenza e la voglia di stupire. Il designer americano sviluppa idee che hanno radici nella correttezza politica, sociale e in particolare nella critica del sistema moda attingendo a piene mani dall’archivio storico dell’azienda rielaborando e attualizzando la cifra stilistica di Franco. Il Teddy Bear, infatti, è un soggetto che ha già avuto il suo spazio nella maison; nella collezione invernale del 1988 Franco infatti usò i peluche, orsetti in particolare, per personalizzare abiti, cappotti e cappelli come polemica contro l’omicidio degli animali da pelliccia, facendone un’icona. Nella campagna pubblicitaria, realizzata da Steven Maisel, Isabeli Fontana indossa un abito di orsetti Toys ispirato proprio alla collezione del 1988. La fragranza sarà in vendita in esclusiva mondiale sugli scaffali del più famoso grande magazzino londinese Harrods e on-line, sul sito moschino.com; successivamente arriverà nelle boutique Moschino e in altri selezionati punti vendita. Giorgia Trematerra

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THE BRIDE WORE WHITE & SO DID EVERYONE ELSE

Solange Knowles, un matrimonio da

sogno. Per una volta, le luci dei riflettori sono state puntate tutte su di lei. Solange ha vissuto delle nozze speciali a New Orleans; una cerimonia e una festa semplici ed eleganti, circa 200 invitati tra parenti ed amici e un “dress-code” rigoroso: il look total-white. Abbandonando l’usanza comune della macchina elegante o di quella sportiva, la cantante Solange Knowles ed il music video director Alan Ferguson si sono recati alla cerimonia celebrata alla “Marigny Opera House” in sella a bici bianche vintage. Ad aspettarli c’era la famiglia al completo: Beyoncé in compagnia del marito Jay-Z e della figlia Blue Ivy, mamma Tina, e il figlio di Solange, Daniel Julez, nato dal precedente matrimonio con Daniel Smith. Mentre per il party gli sposi hanno scelto il “Museum of Art” della città festeggiando tra brindisi e balli fino a notte fonda. Il look di Solange Knowles era senza dubbio innovativo ed elegante. Il suo abito e la mantella color avorio portano la firma di Humberto Leon, i bracciali sono di Jill for Lady Grey e le scarpe di Stuart Weitzman. I capelli lasciati sciolti e naturali ed un trucco semplice in cui le

labbra sono messe in risalto da un favoloso rossetto di un rosso intenso. Tra i festeggiamenti pre e post cerimonia Mrs, Ferguson ha cambiato 4 abiti disegnati da Stéphane Rolland, straordinari ed eleganti che avvolgevano ed esaltavano dolcemente la figura della cantante, caratterizzati da profonde scollature a goccia e spacchi vertiginosi. Anche Ferguson era vestito di bianco in uno splendido completo di Lanvin con giacca doppio petto, senza cravatta e scarpe con la punta in bronzo. Per le foto delle nozze è stato scelto Rog Walker che ha utilizzato riferimenti insoliti. La maggioranza dei fotografi dei matrimoni sanno quali sono le richieste comuni: primi piani e scatti della coppia in pose tradizionali. Walker si è invece ispirato al lavoro dell’artista italiana Vanessa Beecroft e alla campagna 2013 di Givenchy Haute Couture, ritraendo la sposa in tutta la sua eleganza e semplicità ricordando quasi una sacerdotessa. Gli scatti delle nozze sono state condivise per giorni su internet e sono il risultato di un ritratto di nozze che ricorda molto un editoriale di alta moda. Giulia Fabbrocini

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NATALIE WESTLING IN NEW MIU MIU CAMPAIGN

Quella che percepiamo dalla nuova

campagna pubblicitaria del resort 2015 Miu Miu è una leggera metamorfosi. Jamie Hawkesworth realizza così un inebriante gioco di mimesi, come se stesse riproducendo nei suoi ritratti la naturalezza del mondo. La donna di questo marchio italiano, è rappresentata in maniera calzante dalla giovanissima Natalie Westling,che diventa attrice protagonista di una riproduzione teatrale. La poetica di Hawkesworth consiste nell’interazione soltanto immaginaria tra il mondo della natura e il mondo di Natalie che , nonostante circondata in realtà soltanto dal fondale di uno studio fotografico, riesce con i suoi tratti soffici, la sua pelle candida con riflessi ramati e i capelli di un rosso naturale a renderci partecipe di un reciprocità velata. Attraverso le pose, ben studiate per imitare gli alberi, scorci di paesaggi ed elementi architettonici vari,

questa poesia viene esplicitata maggiormente. Geniale è la mescolanza tra la tradizionale e quasi scontata ritrattistica di moda, rinnovata e rinvigorita dalla presenza di uno pseudo foto reportage di paesaggi naturali e accenni architettonici. A sottolineare la metafora tra Natalie e il mondo, il marrone, il blu e il verde sono le sfumature dominanti, perfettamente riprese nelle stampe psichedeliche o floreali e nella maglieria di Miu Miu ma anche negli sfondi che incorniciano Natalie. Tutto ciò è d’altronde perfettamente in linea con la linea generale della Croisière, animata da miniabiti con intarsi di cristalli, camoscio colorato , gilet a uncinetto e lunghe sciarpe wispy. Natura vera, vestiti contestualizzati, Natalie bravissima attrice e la moda è subito immersa nel teatro Agnes An

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AN EXHIBITION BY

AN EXHIBITION BY

ALESSANDRO CAFARELLI minoranze.tumblr.com

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Urban Urban Outfitters Outfitters DI CHIARA CAMELLINA

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Diesel


Moschino

Yohji Yamamoto

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Chalayan

Acne Studios

Fay CĂŠline

Maison Martin Margiel

Prada

Gucci

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Damir Doma

Miu Miu


THE PERFECT STORM

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Balenciaga

DI CHIARA CAMELLINA

Alexander Wang

la

Balenciaga

Christian Dior

IChanel

Yohji Yamamoto

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UNEARTHLY Photographer: Jody Mattioli Stylist: Donatella Pia Make up and hair: Silvia Gerzeli Model: Ludovica La Mela

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DRESS JOVONNISTA PANTS STYLIST OWN SKIRT RICK LEE 93 SHOES RICK LEE!


DRESS JOVONNISTA PANTS STYLIST OWN SKIRT 94RICK LEE SHOES RICK LEE!


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DRESS 0770 HAT YOJIRO KAKE 96 MARDI PRICE KNEE SHOES RICK LEE


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DRESS 0770 HAT (ON SHOULDER) YOJIRO KAKE!

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COAT YOJIRO KAKE SHOES RICK LEE

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SHIRT RALF LAUREN COAT JOYIRO KAKE NECKLACE MARDI PRICE

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DRESS PARADIS LONDON CAPE, SHOES RICK LEE LEGGINS. PRIMARK!

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DRESS TRULY YOU JACKET STYLIST OWN HAT YOJIRO KAKE SHOES RICK LEE

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INSIDE ME A PROJECT BY giuseppe morales volpe

-No Photoshop -No Crop Or light Adjustment -Just me-Camera- and You. -Photo: Giuseppe Morales -Model: Mihaela Rusu -Make up: Mirela Rusu -Dress by Cutuli cult

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