II° volume (Giuseppe Saragat a Motta San Giovanni 1966 - Altro1940‌ emigrazione
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A cura del C.P.R. Motta centro .. 2015 – prima edi. 2008-
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Vittorio Catalano
MOTTA SAN GIOVANNI (RC) Evevti Storici e personaggi dall’unità d’Italia II° VOLUME (GIUSEPPE SARAGAT A MOTTA SAN GIOVANNI 1966) emigrazione – Altro 1940…..
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A cura del C.P.R. Motta centro prima edizione 2008-
Copvring © 2015 Vittorio Catalano Tutti I diritti riservati
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a.d. 2015
L’AUTORE
:
Vittorio Catalano Nato a Motta San Giovanni risiede a Milano. Iscritto: all’albo dei periti I. e laureati delle province di Milano e Lodi; all’albo dei consulenti Tecnici verificatori e collaudatori impianti L. 46/90 progettista/consulente apparecchi e impianti: elettroradiotelefonici - televisivi - fotovoltaici civili e industriali - Già Ordinario di Lab. Elettronico Tecnologie - Disegno – Progettazione all’I istuto Tecnico Industriale ‘’FELTRINELLI’’ di MILANO.
INTRODUZIONE Sono molte le opere che hanno contribuito allo sviluppo della città di Motta durante il secolo che si è appena concluso. Quasi tutti questi processi di sviluppo possono essere documentati, ad es : -L’impianto di cunette per il passaggio dell’acqua ripartimentale per
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l’agricoltura e sue trasformazioni. -Costruzione e ricostruzione degli edifici prima e dopo il terremoto del 1908.L’acquedotto: da Sant’Acqua al nuovo acquedotto - Le vie di comunicazione: strade, telegrafo, telefono - 1910 i primi impianti d’illuminazione pubblica.Avvicendamenti politici. Già pubblicati : - le prime vie di comunicazione - i primi impianti d’illuminazione pubblica – ricostruzione degli edifici dopo il terremoto del 1908 - emigrazione anni ’40; ‘70 – Saragat a Motta San Giovanni – il premio ‘’Il Minatore d’oro’’. ‘03/’07 Video: Anni 2003-’13 inseriti anche alcuni episodi di quel periodo. Alcune di queste opere sono state dimenticate, per altri versi non vengono tramandate, per poco interesse o per mancanza di conoscenza. Molti sono i documenti che storicamente datati e ufficializzati, possono rendere chiare ai giovani le opere dei loro padri, anzi dei loro nonni che si sono distinti per il loro operato e per la loro intelligenza e non vanno dimenticati. Ultima pubblicazione : 1900- 1930 (conflitto 1922 + memorandum stampato a Catania 1922). Un po’ di STORIA : EMIGRAZIONE, SARAGAT A MOTTA SAN GIOVANNI, E ALTRO. Nel periodo finale della II^ guerra mondiale, primi anni ’40, anche Motta San Giovanni subì alcune incursioni da caccia nemici, sui campi dove si
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mieteva il grano e nelle aie dove avveniva la trebbiatura, scendendo a bassa quota iniziavano a mitragliare, per fortuna non andando quasi mai a segno. Veri bombardamenti si ebbero in rione Stavoli, dove ci fu una vittima e la distruzione dell’abitazione. In contrada Larderia, invece non ci furono danni perché le bombe caddero in mezzo al torrente oliveto. Si ricorda che in paese vi erano due rifugi: uno sotto il rilievo di tufo contrada Suso, ove all’interno si snodavano due corridoi che davano in due distinte uscite, in centro di questi corridoi tramite un’ entrata era stato scavato un grande stanzone allestito con sedili in legno, ove i rifugiati prendevano posto; per vincere la paura le serate venivano allietate da canti e suoni di chitarra e mandolino. L’altro era scavato sotto la roccia ‘’Gallaccio’’ di modesta profondità, di capienza limitata, però più sicuro. Per proteggere le abitazioni dalle schegge venivano costruite delle vere e proprie pareti davanti agli ingressi. Nei primi anni ’40 le città cominciarono a spopolarsi, Motta San Giovanni ospitò molti sfollati. Il servizio di collegamento con la città, gestito dalla Ditta Suraci si interruppe bruscamente. Nella seconda parte anni ’40, gradualmente fu ripristinato, con l’impiego di autocarri militari americani detti ‘’GRA’’. Un giorno di pieno sole estivo in tarda mattinata, mentre una squadra di quadrimotori sorvolava il cielo di Motta ad una altezza considerevole, la contraerea appostata nei pressi di Messina ‘’a carrubbara’’ ne colpì uno di essi . L’aereo centrato in pieno, con rocamboleschi movimenti iniziò la sua disordinata caduta.
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L’equipaggio non si salvò; sia quello gettatosi con il paracadute, che l’altro rimasto imprigionato nelle lamiere seguendo la sorte dell’aereo, che andò a schiantarsi presso il monte ‘’Dequa’’ alle falde della contrada ‘’Priasò’’. Un gruppo di cittadini mottesi, assieme alle forze dell’ordine comandate dal maresciallo di nome Ciarabino si recò sul posto, e a quanto pare lì si è verificato un ‘’fatto poco qualificante ’’ è meglio non ricordare. In seguito a quell’ episodio si ebbero alcuni dissapori, infine però prevalse il buon senso, e tutto finì con l’arrivo degli anglo-americani * * * Erano gli anni del dopo guerra, momenti di carestia un modo di vivere insostenibile ed ecco la necessità di emigrare in cerca di un pezzo di pane per sfamare la famiglia, un periodo veramente critico che attraversava la nostra nazione, non solo … - Grazie ai contributi esteri inizia il tempo della ricostruzione, i minatori e lavoratori in genere trovano lavoro in quei cantieri che negli anni ‘40 – ’50 fiorirono da per tutto, è stata una vera provvidenza divina per tutti. Nasce il primo esercizio pubblico detto ‘’BAR’’ siamo nei primi anni ’40, il locale al centro di piazza Borgo consisteva: in un magazzino senza finestre, anzi vi era una nei pressi dell’entrata e dava su un vicolo, che una volta aperta lasciava vedere una parete della casa attigua, dalla distanza più o meno di un metro. La luce non poteva entrare; anche di sopra era chiuso dal pavimento della stessa casa, per dare bene l’idea si affacciava su un corridoio coperto che metteva in comunicazione Pzza Borgo con la stradella retrostante al caseggiato detta ‘’vinella’’ All’entrata
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del locale, sulla sinistra era situata una grande botte sempre rifornita di vino, bevanda principale per gli avventori, di fronte un bancone, a circa un metro e mezzo dalla porta d’ingresso, veramente non comodo, un pò alto, alle spalle del barista uno scaffale sul quale erano sistemate bottiglie di vario genere e mercanzie varie. Sul bancone spiccavano due contenitori di vetro; uno pieno di caramelle ‘’bomboloni’’ l’altro di ceci tostati ‘’calia’’ quest’ultima cavallo di battaglia per i bevitori di vino. Nel retro bancone vi era allestita una saletta con quattro o cinque tavolini di forma quadrata con sedie chiudibili ove si sedevano i paesani per giocare a carte. Delle volte si facevano giochi dove si puntava solo vino e la ‘’calia’’. In fondo alla saletta sulla destra c’era un lavandino in cemento. Il gestore, realizzatore del BAR, che tutti ringraziano per aver portato a Motta , a quei tempi, una ventata di modernità, si chiamava Felice Vigilanti. Il locale ‘’BAR’’ frequentato da pochi durante l’anno si affollava nelle occasioni delle feste pasquali e natalizie, di lavoratori che rientravano in paese e davano un contributo, grazie alle risorse che accumulavano durante il loro faticoso lavoro, privandosi più dalle volte di soddisfazioni primarie . Si precisa che il locale era sprovvisto di servizi igienici, in compenso c’era un passaggio, detto ‘’ u currituri ‘’, sotto le case esistenti e situate in p.zza Borgo che immetteva in una viuzza lunga fino alla fonte di Sant’Acqua, dalla quale prima della realizzazione dell’acquedotto, anni trenta, tutta la popolazione mottese si forniva di acqua potabile .
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Fine anni ’40 Felice Vigilanti lasciò l’esercizio al fratello Paolo; quest’ultimo con grande senso di responsabilità, intuito, intelligenza arguta e spiccata conoscenza in campo commerciale, comprese di avere intrapreso la giusta via per trarre profitto; tant’è
che mirò alla grande crescita comprando un locale più grande per la costruzione di un nuovo Bar, anche se in quel preciso momento il nostro paese attraversava una profonda crisi di povertà. Fece affari: grazie anche ai minatori, che tornando a casa dopo la grande fatica per il duro lavoro nelle miniere di tutta Europa, spendevano una parte dei loro
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guadagni. Il rientro dei minatori rappresentava anche l’occasione per gli incontri con amici e parenti e l’affollamento del Bar di p.zza Borgo dava ai minatori svago e limitata spensieratezza. La costruzione del nuovo BAR avvenne a seguito della demolizione di una casetta tutta in pietra di proprietà e abitata da Domenico Maisano detto ‘’Mastro Micu Boira’’. Nel 1953 in occasione della realizzazione del film ‘’Fratelli d’Italia’’ in seguito intitolato ‘’Il brigante di tacca del lupo’’ la stanzetta sovrastante al BAR fu allestita per ospitare il grande attore Amedeo Nazzari.
Via Giuseppe Mazzini anni ‘’50 * * * A fine ostilità bellica, furono ripristinati in tutta
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Italia le amministrazioni decadute con l’evento del fascismo. Nel ’46, dopo la consultazione elettorale
fu proclamata la Repubblica Italiana. A Motta San Giovanni ritornava l’amministrazione presieduta dal sindaco Avv. Cesare Malara che resistette per circa sette anni, fin quando alle elezioni dei primi anni cinquanta dovette cedere lo scettro al Prof. Davide Catanoso, da quel momento cominciò l’avvicendamento politico. Dobbiamo doverosamente ricordare che la guerra creò molti disagi, fame, feriti, invalidi, distruzioni e morte generando una situazione critica che spinse molti operai e minatori ad emigrare. Per loro la ‘’guerra’’ proseguì molto tempo ancora, la maggior parte degli emigrati al nord e in altre parti del mondo erano Italiani meridionali. L’esodo massiccio cominciò nel 1946. Evidenziamo solo un episodio molto significativo per comprendere l’entità dei problemi e pericoli che i lavoratori affrontarono quotidianamente, con conseguenti disastri irreparabili: nel 1945 l’emigrazione in Belgio si intensificò sensibilmente. Nel 1947 nelle miniere di carbone si contavano oltre 55.000 lavoratori italiani. Non ci soffermiamo su questo, ma accenniamo il disastro che ricordiamo con grande commozione verificatosi nel 1956, che scosse il mondo intero : la grande e nefasta sciagura di Marcinelle, episodio ormai lontano. Molti altri si verificarono negli anni successivi
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per non parlare di quelli recenti che sono più vivi nella nostra memoria. I lavoratori nelle miniere hanno sacrificato la salute e spesso la vita per aprire un varco nella giungla dell’ingiustizia sociale e dare una luce diversa dalla loro, al cammino dei loro figli e nipoti, luce di prosperità e tranquillità economica. Si vuole ricordare, anche se notorio, in cosa consiste il lavoro del minatore: ‘’operaio che presta manodopera nelle miniere, in particolare, prima della costruzione di macchinari sofisticati di nuova tecnologia di cui oggi disponiamo, era addetto alla preparazione dell’alloggiamento e l’inserimento della carica esplosiva nella roccia o muro da sfondare, esercitando una particolare tecnica per proteggere la sua incolumità e quella dei compagni. Quindi, il minatore non può essere considerato un operaio comune, ma uno specialista, dotato di una preparazione per la conoscenza della consistenza del materiale in cui opera. Deve principalmente sapere a discernere gli esplosivi da usare, dosare, maneggiare con cautela onde evitare disastri irreparabili. Il nemico nascosto, per i minatori che prestano la loro opera nelle viscere della terra è il grisou (grisù) una miscela di metano e aria che provoca un’esplosione micidiale; oggi le nuove tecniche hanno diminuito il pericolo, ma il gas mortale è sempre in agguato. L’invisibile e ingrato male che si manifesta a posteriori come un tradimento in
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tempi più o meno lunghi è : la silicosi; un male, che giorno dopo giorno, distrugge i polmoni e che è causato dalle polveri sprigionate dalle trivelle durante la perforazione della roccia. Gli Italiani dal ‘46 al ’60 hanno pagato un conto molto alto: circa 900 morti, 800 pensionati per invalidità, oltre 7000 per infortuni a cui si aggiungono oltre 1500 invalidi che non avendo maturato i requisiti per la pensione, sono assistiti dalle mutue. Alla fine del secolo il numero degli italiani che lavoravano in miniera all’estero e in patria scese al 30%, sostituiti da personale straniero (marocchini, algerini, polacchi, ungheresi, spagnoli, russi, greci). Gli emigrati interni e quelli esterni ebbero a combattere, non solo il disagio di trovarsi lontano dalle famiglie e dalla propria terra, con usi e costumi diversi, ma ad affrontare ostilità e infinite polemiche generate dal vivere quotidiano, tra gente di comportamenti e sentimenti diversi. * * * L’emigrazione interna: si inizia da Torino dove l’arrivo che si registra è il più numeroso. Negli anni ’60 con gli abbandoni delle campagne del Sud, l’emigrazione ebbe un forte incremento, stimolata da aperture di stabilimenti ‘’satelliti’’ alla Fiat e da nuove assunzioni. Siamo ai primi eventi del miracolo
economico,
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si
cerca
manodopera
anche
specialistica, a Milano la Montecatini, Pirelli, Magneti Marelli, Alfa Romeo, in Liguria gli stabilimenti siderurgici, si aprono in tutto il settentrione numerosi cantieri edili. Le polemiche su accennate, si sono manifestate politicamente; si temeva lo spopolamento delle campagne per incrementare principalmente le città del Nord. Alla base di tutto, imperava un aggressivo razzismo che rendeva molto difficile la convivenza. In ogni modo, siamo negli anni meravigliosi per l’economia nazionale, qualcuno li ha vissuti, altri ne hanno sentito parlare sono i favolosi anni ’60 allegri e spensierati . Il grande registra cinematografico Federico Fellini definisce ‘’ la dolce vita ’’ il periodo che va dalla metà degli anni ‘50 alla metà degli anni ’60. Desidero fare un passo indietro per testimoniare che dopo l’indimenticabile
alluvione del ’53 disastroso per la Calabria e non solo…, ci fu anche per me l’occasione di emigrare. Nel 1954 dopo aver vinto un concorso fui a Caserta, presso la scuola specialisti dell’Aeronautica Militare istituita nella famosa Regia. Nei paesini limitrofi c’erano alcuni cantieri aperti per la costruzione di gallerie, lì ho incontrato alcuni paesani che prestavano la loro opera. Purtroppo oggi non ci sono più, uno di loro mi portò all’interno della galleria e constatai in quali condizioni lavoravano. Conseguita la specializzazione di marconista di bordo, nel ‘55 sono stato destinato a Roma Aeroporto Ciampino. Anche qui ho avuto l’opportunità di incontrare molti
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paesani in servizio presso enti Statali e non; periodo d’oro per il cinema italiano. Ricordo Via Veneto gremita di tanta gente allegra e spensierata, mescolata ad attori stranieri e personaggi famosi seduti ai tavolini allestiti davanti ai famosi ‘’ Caffè ‘’. Metà ’56 approdai a Milano, ancora in questa città si sentiva il residuo del dopo guerra. L’autostrada del sole era iniziata da pochi mesi; molti compaesani vennero a Milano e in altre città della Lombardia in cerca di lavoro. Fu il periodo in cui entrai a far parte di una grande famiglia telefonica la STIPEL Piemontese/Lombarda era tempo d’inizio della teleselezione. Dal 1958 al 1961 a Torino per aggiornamenti nel mio lavoro ho assistito a massicci esodi di immigrati sistemati in abitazioni di fortuna, a volte malsane che dovevano essere provvisorie, ma non fu così. Dal ’62 a tutt’oggi risiedo a Milano sono passati ben 60 anni da quando ho lasciato il paese, a me tanto caro, ma le mie radici in questa meravigliosa terra costituiscono un forte richiamo, tanto che spesso e volentieri ritorno con tanto piacere, illudendomi sempre che sia una rimpatriata definitiva. Alla metà del 900 e del boom
economico, Roma era diventata succursale di Hollywood, animata da uno spirito folle e creativo che ha avuto per palcoscenico Cinecittà e Via Veneto. Basta guardare le foto scattate in quegli anni da paparazzi per capire l’atmosfera della dolce vita. Veramente la nascita della dolce vita viene fatta risalire al 1958, quando scoppiò lo scandalo del Rugantino, un locale romano alla
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moda passato alla storia per il celebre spogliarello della ballerina (Iscè Mamann) Sono gli anni in cui c’è bisogno di rifarsi dal grigiore delle ristrettezze degli anni ’50, il modello di comportamento e di stile si trova nei mezzi di comunicazione di massa ormai alla portata di tutti. Divi, aristocratici e miliardari ripresi di continuo dai paparazzi offrono esempi alla gente comune. Negli anni della Dolce Vita Walter Chiari e Ava Gardner sono i protagonisti di un movimentato scambio di partners sentimentali, Elisabet Taylor e Richar Burton gli interpreti di una tumultuosa storia d’amore a più riprese. Nell’Italia del profondo Sud la Dolce Vita fu un mito molto, molto lontano, per le usanze e modi di vivere della popolazione, ancorate a leggi ottocentesche. La situazione economica restava critica, fin quando grazie ai politici ed al sacrificio degli emigrati lavoratori, portarono in queste terre livelli economici atti a contribuire allo sviluppo di queste Regioni depresse. Con il boom economico, nelle case, arrivano i televisori i frigoriferi e per chi osa i transistor e i registratori ‘’Gelosino’’, con i ‘’giubox’’ si affermano nuovi stili musicali con le voci forti che passano alla storia come: gli ‘’urlatori’’. Il rock arriva in Italia con Celentano e Mina, al bel canto si sostituisce l’urlo a gola spiegata. La ventata trasgressiva non offusca cantautori dell’epoca come; Gino Paoli, Fabrizio De Andrè,
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Luigi Tenco e Sergio Endrico. In sintesi: il festival di San Remo del 1960 segna il successo della melodia con Romantica, canzone di Renato Rascel e Tony Dallara. Nel 1966 è l’anno della musica Bip, la musica dei capelloni ; approda a San Remo l’Equip ’84 e si fa notare il caschetto d’oro di Caterina Caselli. Nell’anno ’68 si affermano le note briose del molleggiato Celentano. Il mitico decennio musicale si chiude con il debutto di Nada che canta: ‘ Ma che freddo fa’ e la vittoria di Iva Zanicchi e Bobby Solo. Gli anni ’60 registrano anche casi di avvenimenti che turbano la popolazione: resta un giallo senza soluzione la morte di Enrico Mattei presidente dell’ENI che precipita con il suo aereo privato. Nel ’63 una immensa frana caduta nel lago artificiale del Vajont, provoca un’ondata che supera la diga e si abbatte furiosamente sulla Valle di Longarone. Il bilancio è drammatico, i morti sono quasi duemila. La politica italiana cambia passo. Nel ’60 cade il Governo di centrodestra presieduto da Fernando Tambroni, gli sono fatali gli scontri di Genova dove i manifestanti impedirono il congresso del MSI. Nel ’63 tocca ad Aldo Moro guidare la svolta di un Governo a partecipazione socialista, comincia la lunga stagione del centro-sinistra. Nel ’64 le cronache politiche sono turbate dalla morte di Palmiro Togliatti , in vacanza a Yalta. Firenze sommersa da una disastrosa alluvione, tecnici e
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restauratori, ma anche gli ‘’angeli del fango ’’ i giovani capelloni arrivano da ogni parte del mondo per partecipare alla ricostruzione della città sfigurata. In Sicilia, un fortissimo terremoto sconvolge la Valle del Belice. Nel ’68 un’atmosfera di insoddisfazione insieme di attesa esplode nelle contestazioni studentesche, gli scontri fra studenti e polizia sono durissimi. Il ’69 è l’anno delle manifestazioni, dei massicci scioperi dei lavoratori che chiedono più garanzie. Atti terroristici attraversano l’Italia e a Milano il 12 Dicembre una bomba esplode nella Banca Nazionale dell’Agricoltura; i morti sono 16, i feriti più di 100. * * * Negli anni ’70 l’esodo emigratorio, da zone rurali a zone urbane, rappresentato da una curva su una tavola cartesiana è una parabola in fase calante, dal Sud al Nord la curva si mantiene pressoché costante. Ci si limita a constatare che un tempo l’emigrazione era bisogno primario per la necessità di benessere, oggi affermiamo con convinzione più per il progresso che per la miseria del Sud. L’emigrazione negli anni ’80 – ’90 cresce, riguarda però un altro esodo emigratorio gli impiegati e i dipendenti statali. Oggi l’emigrazione può essere grossolanamente divisa in due categorie: la prima non qualificante del mondo rurale, la seconda qualificata, grazie alle università meridionali che sfornano periodicamente
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laureati molto preparati. Dal 1953 ai giorni d’oggi sono passati molti anni, oltre mezzo secolo, in questo periodo la popolazione Mottese ha superato tutti gli ostacoli , non semplici: dalla massiccia emigrazione 1946 –’60 , al fatidico alluvione 1953, ma alcune Leggi degli anni ‘70 fecero ridurre fortemente l’emigrazione. Il rientro, purtroppo non fu per tutti e fu costellato da gravi lutti. giovani pieni di grandi speranze hanno sacrificato la vita per dare alla famiglia e a tutta la comunità un avvenire migliore. In questo scorcio di tempo gli avvicendamenti politici del comune divennero molteplici non più monopolizzati, ma democraticamente ‘’ il potere ’’ fu condiviso tra più partiti e più classi dirigenti. Motta raggiunse l’apice della notorietà in occasione dell’arrivo dell’allora presidente della repubblica Giuseppe Saragat, (19 Aprile 1966) venuto ad onorare i caduti sul lavoro, scoprì una lapide in P.zza del Minatore dedicata ai minatori mottesi che erano caduti eroicamente nelle miniere svolgendo con onore il proprio e non semplice lavoro. La visita ufficiale in Calabria, del Presidente Giuseppe Saragat dal 19 al 22 Aprile ’66 , oltre ai tre capoluoghi fu estesa a centri meno importanti. Il significato di quel viaggio ebbe lo scopo di mettere in evidenza la realtà economica e sociale della Regione. Nel discorso
tenutasi a Reggio Calabria, Saragat ha voluto ricordare i massicci interventi effettuati dallo Stato nel Mezzogiorno, dal dopo guerra e ha portato la solidarietà di tutta la nazione per una Regione che, nonostante la sua gloriosa storia, fino a quindici anni prima ( anni ’50) era
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sull’orlo della miseria, nel 1966 non sono stati raggiunti livelli nazionali, ma esistevano le speranze di una ripresa. Giuseppe Saragat in
macchina scoperta ha attraversato Corso Garibaldi di Reggio Calabria per recarsi alle Officine Meccaniche Calabresi , cominciando così le visite programmate. L’incontro con gli operai fu cordiale: un operaio nel salutarlo tentò timidamente di ritirarsi la mano perché unta, il Presidente gli l’ha prese e la strinse con forza. Un gesto molto significativo. A Motta San Giovanni seconda visita. Saragat fu immerso in un vero bagno di folla, un incontro sincero ed emozionante, travolse lo schema del cerimoniale. Inaugurò una lapide che rese omaggio ai lavoratori calabresi costretti , come più volte accennato, ad emigrare e che sono caduti sul lavoro. Motta San Giovanni rappresenta il simbolo doloroso della Calabria, il paese che ha assistito ad un grande esodo di emigrati in tutto il mondo, soprattutto minatori. L’accoglienza di questa comunità per il Presidente fu senza precedenti, tutto il
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paese si mobilitò, prese posto sui tetti, terrazze, balconi, finestre per vederlo. Ai balconi furono stese a festa coperte damascate dei piÚ svariati colori; questo trattamento era riservato solo a riti religiosi e alla processione del Corpus-Domini. Le persone in attesa, in maggioranza furono donne, vecchi, ragazzi, gli uomini giovani assenti erano impegnati al Nord o all’estero. La presentazione del paese fu fatta dal Sindaco Benedetto Mallamaci, suonò come un bollettino di guerra dal militare al suo superiore: seimila abitanti, millecinquecento emigrati, duecentocinquanta morti nel terremoto 1908, duecento nelle ultime guerre, centocinquanta sul fronte del lavoro, augurando tempi migliori per Calabria proponendo per il Presidente la
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cittadinanza onoraria di Motta.della cerimonia:
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(alcuni momenti
Prese la parola il Presidente Saragat, fra l’altro disse: sono venuto qui, come capo dello Stato, che rappresenta perciò tutti i cittadini di qualunque colore e classi sociali, per dirvi che il compito che ci spetta, è più grave dello stesso Risorgimento. L’impegno di tutti gli italiani per i calabresi e di darvi una mano per aiutarvi a mettervi al passo con il resto del paese. (19 Aprile ’66) … -Dalla folla in ascolto e in silenzio, si elevò un grido ‘’ viva Saragat, viva Torino ‘’ si presume da un emigrato.
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Il Presidente poi, inaugurò la statua dedicata al Minatore e a fine cerimonia si avviò a visitare il secondo Paese in programma: San Luca. - Nel cammino degli anni trascorsi i mottesi non rimasero con le mani in mano, ma con orgoglio e coraggio hanno proseguito la strada della fatica nell’operosità costruendo il futuro ai propri figli ; non solo per il benessere, ma con l’istruzione di scuola superiore, mettendoli nelle condizioni di parità con le migliori comunità calabresi e di altre regioni. Uscito dal tunnel del disaggio generale, economico, socioculturale, politico-ambientale, il popolo mottese prende coscienza e intraprende il cammino dei ricordi e commemorazioni per non dimenticare (argomento che tratteremo nelle prossime pubblicazioni) Occorre sensibilizzare i giovanissimi
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che, i loro nonni, o i loro padri hanno sofferto in momenti difficili per dare loro un avvenire giusto., equo e per liberarli da sistemi inaccettabili , nel vivere sereni e sicuri di un lavoro protetto da insidie nefaste. La cultura può, aiutarli a capire e migliorarsi perché, l’iter della vita è sempre minacciato da
agguati insidiosi, impensabili e inattesi. Proprio nella scuola elementare e media di Motta San Giovanni ebbe inizio un percorso ben mirato sostenuto da insegnanti e non, alcuni di loro hanno subito il peso di una triste vita, vissuta di riflesso, con i loro cari presenti e nel ricordo di quelli che non ci sono più. Il progetto suggerito anche dal Comune, coinvolse pure professionale del mondo settoriale specifico, questi ultimi raccontarono agli alunni momenti vissuti, alcuni modi di reclutamento e avviamento al lavoro, nel secolo scorso, come gestivano il loro tempo, come si difendevano dai pericoli, principalmente economizzando al meglio il magro guadagno per sostenere la famiglia lasciata in paese. Il corso si concluse con esito meritorio e di alto profilo didattico-conoscitivo di vera lezione di vita, l’insegnamento non è stato vano otre alla conoscenza è stato un indirizzo di vita in collettività, quindi, non astratto. Ma con la conclusione concreta ad opera dell’Amministrazione Comunale che dopo attenti esami, istituì con tanto entusiasmo e accettazione senza riserve di tutta collettività il premio
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‘’il Minatore d’oro’’ (argomento che tratteremo nelle prossime pubblicazioni)
www vittorio katalano.com http://search.yahoo.com/search…
http://search.yahoo.com/search?ei=utf8&fr=aaplw&p= www.vittoriokatalano.com
finito di stampare nel mese di Agosto 2015
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