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Chemioprevenzione e nutraceutica, una grande sfida per il nostro futuro

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Il nuovo identikit

Il nuovo identikit

Una battaglia scientifica e tecnologica, che chiama in causa l’Industria e la sua attività di Ricerca e Sviluppo

Vivere a lungo, ma invecchiare meglio. Tagliare il traguardo dei 100 anni di vita non è più un evento eccezionale, ma la grande scommessa del futuro è farlo con una qualità di vita sempre maggiore. Con l’aumento della vita media, infatti, cresce anche il rischio di malattie non solo cronico-degenerative, ma soprattutto neuro-degenerative. “Non ci sono molecole magiche – ha detto Silvana Hrelia Ordinario di Biochimica Università Alma Mater Studiorum Bologna in occasione della Nutraceuticals Conference a Cosmofarma – ma stiamo cercando di identificare quelle che possono fungere da brain busters, da attivatori del nostro cervello per aiutarci a invecchiare bene”.

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Accanto a questa battaglia, non meno importante, è quella sul fronte della chemioprevenzione, in particolare della “chemioprevenzione alimentare” che, a differenza della chemioprevenzione farmacologica, consiste proprio nel contrastare l’insorgenza, lo sviluppo e la recidiva dei tumori attraverso l’assunzione ogni giorno di sostanze naturali contenute negli alimenti, capaci di interrompere o fare regredire il processo di cancerogenesi. “La chemioprevenzione nasce come branca dell’oncologia – dice Silvana Hrelia - ma è diventata successivamente un settore importante della nutrizione. Si rivolge a persone sane per indicare loro gli stili di vita, e quindi anche nutrizionali, più adatti per prevenire o ritardare l’insorgenza dei tumori”. “Con la chemioprevenzione non possiamo assicurare alle persone che non avranno mai un cancro – aggiunge la Prof.ssa Hrelia – ma possiamo garantire che diminuiremo i fattori di rischio sottesi allo sviluppo di un tumore. Si tratta, per questo, di una scienza nuova e moderna”. “Il settore agroalimentare è una fonte inesauribile di componenti bioattivi dai quali l’industria chimico-farmaceutica è in grado ormai di estrarre sia fitocomplessi che componenti isolati da usare come nutraceutici – sottolinea ancora Silvana Hrelia –. Alcuni di questi, per esempio gli appartenenti alla classe dei polifenoli piuttosto che degli isotiocianati, possono svolgere un ruolo importante nelle fasi iniziali di sviluppo del tumore, ma anche nella fase di latenza, rallentandone la progressione”. Il problema è legato all’affidabilità degli studi clinici. Gran parte dei risultati sono stati ottenuti su sistemi modello, cioè colture cellulari o animali da esperimento. La grossa sfida è la traslazione dagli studi in vitro agli studi in vivo. “Le concentrazioni che utilizziamo nei sistemi-modello per vedere il reale effetto chemiopreventivo – aggiunge la Prof.ssa Hrelia - sarebbero difficilmente somministrabili ad un soggetto umano, perché estremamente elevate. L’obiettivo dei prossimi anni sarà quello di trovare una soluzione a questo problema, con nuove formulazioni che aumentino la biodisponibilità di questi componenti, per consentire loro di raggiungere il sito d’azione alla concentrazione desiderata”. Una sfida che chiama in causa l’industria farmaceutica e nutraceutica, in una gara virtuosa, che è contemporaneamente scientifica e tecnologica.

Silvana Sassi

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