Il Veleno della Storia - Giuseppe Scalarini

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Giuseppe

Scalarini

DIGITAL EDITION



Giuseppe

Scalarini il

DIGITAL EDITION Realizzazione Franco A. Calotti


MCMXIV

Comune di Forte dei Marmi

Con il patrocinio della Regione Toscana

MCMXIV

Forte dei Marmi Servizi Azienda Speciale

Per informazioni: Museo della Satira e della Caricatura, Forte dei Marmi - tel. 0584 82966 - 0584 876277 www.museosatira.it - info@museosatira.it


Giuseppe

Scalarini a cura di Cinzia Bibolotti Franco Angelo Calotti Testi di Paola Pallottino e Gianni Silei e un testo di Gec (Enrico Gianeri) del 1965

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Museo della Satira e della Caricatura Forte dei Marmi 5 agosto - 8 ottobre 2006


MCMXIV

Comune di Forte dei Marmi

Dirigente Ufficio Cultura: Laura Quadrelli Direzione Artistica del Museo: Cinzia Bibolotti Franco A. Calotti

Un sentito ringraziamento a: i nipoti di Scalarini - Anna Chiabov, Bianca Chiabov, Dora Chiabov, Carlo Levi, Ferdinando Levi, Nerina Porta - non solo per averci gentilmente concesso in prestito i disegni del nonno, di cui siamo loro grati, e per averci seguito passo passo in questo progetto, ma soprattutto per l’amore e la competenza con cui hanno perpetuato l’opera delle loro madri, Virginia, Francesca e Rainera Scalarini, schedando e archiviando migliaia di disegni. Scalarini non poteva augurarsi più degni eredi. Un sincero ringraziamento a Paola Pallottino, per il costante, prezioso e affettuoso aiuto; a Gianni Silei, per le annotazioni storiche riferite ai vari disegni di Scalarini e per la preziosa consulenza; a Donata Gianeri, per il permesso di pubblicazione del testo del padre Enrico, in arte Gec.

Presidente: Giacomo Pieve Consiglieri: Paolo Brondi Giampiero Cancogni Alfonso Fusco Anna Maria Guidi Rachele Nardini Attilio Pagani Mario Sarti

A pagina 6: il giovane Scalarini con alcuni amici a Mantova

Nota dei curatori: In questa mostra abbiamo proposto soprattutto i disegni che furono pubblicati sull’«Avanti!» nella convinzione che siano il filone più significativo della produzione scalariniana, oggi conservata nella collezione degli Eredi. Abbiamo inoltre scelto di riprodurre i disegni con tutti i segni del tempo, così come si trovano allo stato attuale, per garantire assoluta fedeltà agli originali.




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con legittimo orgoglio che ancora una volta presentiamo una mostra di grande rilievo artistico e satirico, nella sede del Museo della Satira e della Caricatura. “Giuseppe Scalarini. Il Veleno della Storia” è infatti il frutto di una preparazione lunga e meticolosa tesa a riproporre una lettura meno tradizionale di questo grande artista ed autore mantovano. Per l’opera di Scalarini, in realtà, si tratta di un ritorno in questa città, dopo che una selezione delle sue opere venne presentata già nel lontano agosto 1974 nella rassegna collettiva “Disegno satirico e politico”, curata da Mario De Micheli e Massimo Carrà, nelle sale della nostra Galleria comunale. Allora Scalarini condivise l’attenzione con altri grandi della satira politica, da Bonzagni a Grosz, mentre oggi sarà al centro dell’attenzione con un numero ragguardevole di disegni che rappresentano soprattutto la sua lunga e fondamentale collaborazione con l’Avanti!. Proprio con questa esposizione intendiamo consolidare una tradizione di cultura letteraria e di arti visive che ha radici lontane nella nostra città e nelle quali la satira, soprattutto quella di alto valore iconografico e politico, ha un radicamento ultra trentennale. Desideriamo rivolgere un apprezzamento ed un sentito ringraziamento ai curatori della mostra, ai critici e agli studiosi che vi hanno apportato il loro prezioso contributo, e soprattutto agli eredi di Scalarini, nipoti di questo artista che perpetuano il ricordo conservando mirabilmente l’immenso patrimonio delle sue opere, e che ci hanno permesso di realizzare una mostra degna delle migliori tradizioni.

Giacomo Pieve Presidente Comitato organizzatore

Roberto Bertola Sindaco di Forte dei Marmi

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Scalarini con la compagna di una vita, Carolina Pozzi, 1903


Il canone del coraggio

La caricatura è un’arma terribile. Per la reazione o per la rivoluzione. Chi la maneggia deve essere un artista puro, inesorabile come il carnefice, ma giusto come il confessore. Emilio Zanzi, 1920

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n tanti anni abbiamo avuto la fortuna di vedere, conoscere e proporre a chi ci segue il lavoro di molti disegnatori, alcuni grandissimi, altri meno celebri ma non per questo qualitativamente e satiricamente meno validi. Tutti ci hanno permesso di indagare nel proprio tratto, di scrutare nel proprio segno e, se viventi, ci hanno onorato sempre della loro amicizia e confidenza, trasmettendoci la parte migliore del proprio lavoro. In tutti abbiamo sempre cercato sempre l’essenza satirica, un alito di coraggio, un filo di caparbia ribellione. E questa è stata la nostra gratifica per un lavoro di molti anni.

Scalarini è un’altra storia. È la personificazione di un mito; è una passione durevole e intensa; è il desiderio di appropriarsi anche solo per un istante della fede e del genio di questo Autore. E così l’ammirazione diventa intensa emozione, il giudizio critico si imbeve costantemente di travolgente passione. Il lavoro su Scalarini che abbiamo realizzato, va dunque visto e valutato, prima come atto d’amore per questo geniale disegnatore, poi come appassionato confronto con la sua arte e il suo spirito politico, per darne una lettura che ne perpetui la grandezza. È esplosiva la forza di quest’uomo, in apparenza mite e umile, ma in grado di innescare sentimenti politici grandi, profondi e universali; è travolgente l’afflato che pervade sempre dalle sue opere, solo in apparenza scarnificate e ridotte all’essenzialità di un segno potente e penetrante. Il Veleno della Storia, che ha provato ad avvelenare l’esistenza di questo grandissimo disegnatore, non è riuscito a piegare il nitore di un’idea, il coraggio di una missione esercitata con purezza d’animo e nobiltà di sentimenti e ideali. Ne è piuttosto uscito sconfitto. Scalarini prova a mitridatizzare i suoi contemporanei per renderli immuni, a indicare loro l’antidoto per un mondo scellerato già indirizzato alla catastrofe politica e umana. Si erge nella sua essenza di artista satirico e di uomo del suo tempo come un gigante mai flessibile, un baluardo. Ripete il suo canone grafico, sempre uguale, sempre chiaro, sempre senza se e senza ma, attinge alle sue dissertazioni grafiche raccolte in tanti fogli di miniature che l’aiutano a perpetuare i suoi messaggi; è una goccia che scava la roccia dell’insensibilità, dell’egoismo, dell’interesse dei pochi

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sui tanti. Una spada per tanti derelitti che Scalarini, socialista autentico, ha sempre nel cuore e negli occhi. Un canone del coraggio che segna una vita, la rende dolorosa ma di immensa dignità. Fa ancora male oggi sapere che un artista politico di tale valore abbia dovuto subìre affronti, spregi e umiliazioni; fa ancora male pensare a quel divieto di firmare quei disegni che erano la sua ragion di vita e che ha cercato di proteggere dalla distruzione. Fa ancora male vederlo triste e malinconico nelle foto del confino. Fa ancora male pensare a quanta geniale capacità espressiva quei tempi bestiali abbiano sottratto alla sua opera. Ma come non c’è pianta se il seme non macera in terra, ci piace pensare che Giuseppe Scalarini sia uno dei semi, fortunatamente non pochi, di una ritrovata libertà d’espressione e di democrazia. Il suo certificato di povertà unitamente alla sua tessera di giornalista dovrebbero essere un esempio per il mondo di oggi. Scalarini è un eroe della china, della carta, delle mille figure che popolano quel suo mondo stilizzato, così essenziale, decantato, ma incredibilmente autentico. Scalarini è la nostra Sindrome di Stendhal.

Cinzia Bibolotti

Franco A. Calotti

A destra: Il passaggio dallo stato di guerra a quello di pace, s.d.

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Il canone del coraggio................................................................................................................................................... pag.11 Fortuna critica dell’opera grafica di Giuseppe Scalarini di Paola Pallottino........................................................................................................................................................................... pag.15 Il primo Scalarini.................................................................................................................................................................. pag.24 L’Italietta dei politici...................................................................................................................................................... pag.29 Gli sporchi affari................................................................................................................................................................. pag.43 Scalarini e il suo tempo di Gianni Silei..................................................................................................................... pag.57 Guerrafondai........................................................................................................................................................................... pag.68 I derelitti.................................................................................................................................................................................. pag.93 Tra Fascismo e Monarchia............................................................................................................................................... pag.102 Scalarini ovvero: la caricatura politica di Gec (Enrico Gianeri)............................................................. pag.113 La censura, la stampa e le arti.................................................................................................................................. pag.123 Il clericalismo....................................................................................................................................................................... pag.143 Il dopoguerra......................................................................................................................................................................... pag.150 Le belve di Scalarini.......................................................................................................................................................... pag.161 Le marionette di Scalarini........................................................................................................................................... pag.171 Le macchine di Scalarini................................................................................................................................................. pag.179 Scalarini - MEMORIE............................................................................................................................................................. pag.187 Schede delle opere......................................................................................................................................... pag.198 Apparati.......................................................................................................................................................................................... pag.205

Giuseppe Scalarini 15


La Guerra, Avanti!, 7 agosto 1914


FORTUNA CRITICA DELL’OPERA GRAFICA DI GIUSEPPE SCALARINI di Paola Pallottino

Che cosa sono le tue armi, di fronte a questo foglio di carta? Giuseppe Scalarini, «Avanti!», 27 novembre 1921

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rtista di razza e di precoce impegno, già dal 1890 Scalarini si segnala per le sue opere: Abbiamo veduti due bellissimi quadri del diciassettenne Scalarini Giuseppe. Disegnatore nella direzione della ferrovia Bologna-Verona. A dir vero il comitato per la Mostra Arte e Lavoro, ne andiamo quasi sicuri, fermerà pur esso la propria attenzione sui due lavori, perchè eseguiti finemente a penna così che, è ciò che sorprende, a tutta prima si scambiano per due litografie. I disegni rappresentano: Dopo la vittoria, tolto da un quadro di Sedoff. Dopo la disfatta, scene delle battaglie fra Russi ed Arabi. Auguriamo al bravissimo giovane ottimo successo1. Si palesa qui, subito, un possibile collegamento fra l’emblematico contenuto dei titoli della mostra e delle due opere, e il fatto che, nel corso di oltre un secolo, la bibliografia di Scalarini sia stata affidata prevalentemente al giudizio storico-politico, piuttosto che a quello della storia dell’arte. In questa ottica, potrà forse risultare interessante un contributo destinato a evidenziare come la critica d’arte si sia andata pronunciando in merito all’opera grafica, verificandone la possibile evoluzione nel tempo. Tra i primi, Carlo Beniamino, autore del catalogo dell’Esposizione di Umorismo di Rivoli del 1911 il quale, davanti ai cartoni di Scalarini pieni di spirito mordace, ne intuisce immediatamente le doti giornalistiche definendolo un caricaturista specialissimo, di uno spirito caustico che fa di lui più che un disegnatore umorista, un temperamento di giornalista polemista2. Nove anni dopo, Emilio Zanzi, critico ideologicamente ben lontano dalle posizioni dell’artista, lo definirà comunque il più politico dei caricaturisti italiani e forse del mondo. Le sue vignette anarchiche, antiborghesi, anticristiane, antimilitaristiche rivelano, sempre, uno stilista. La sintesi è la base del suo pensiero e del suo disegno crudele. Pochi tipi, sempre eguali, il lavoratore tesserato, il povero vagabondo, la madre del soldato, il prete, Gesù corrucciato, il capitalista ladro: pochi simboli; la falce e il martello, il grimaldello, la sciabola, il rosario cattolico. È monotono. Ma nella monotonia truce della sua visione Scalarini trova la forza che condensa in piccoli spazi: non cerca ombre: bianco e nero, nero e bianco. Niente altro. La sua caricatura è veleno, è morte. Guardando queste grandi opere io mi spavento. Scalarini è un caricaturista che passerà alla storia3. Nell’introdurre la nozione di ‘monotonia’, Zanzi sembra conteggiare le costanti iconografiche senza evidenziarne la deliberata riproposizione in forma di temi e motivi desunti, più che dal dibattito politico corrente, da quelle tipizzazioni didascalicamente estreme, che l’artista impiegava per trasmettere il più incisivamente possibile il proprio pensiero. Lo rileverà molto bene Enrico Gianeri, in arte Gec, giornalista e storico della caricatura che dal 1940 al 1976 esalterà l’opera di Scalarini in oltre una dozzina di pubblicazioni. In questa che Zanzi definisce ‘monotonia’ risiede appunto la forza persuasiva, il ‘gutta cavat

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lapidem’ del disegno di Scalarini che, con termine di moda, si potrebbe definire ‘un persuasore occulto grafico’. Quell’insistere cioè sempre sui medesimi tipi per inciderli indelebilmente nella sensibilità, negli odi e negli amori dei suoi lettori, come un abile musicista insiste su una nota. Pochi tipi e sempre eguali e pochissime caricature personali poichè Scalarini non combatteva gli uomini ma le idee. Qualche pigmeico Vittorio Emanuele (un giorno incappato nei rigori della legge appunto per ciò, lo disegnò gigantesco Un’altra volta per non avere dispiaceri, il re lo disegnerò così. Avanti! 1913), qualche labbroso Giolitti, D’Annunzi floreali, effemminati, il generale Graziani antifumo trasformato in jena, pochi tonti Caneva, scarsi torvi Mussolini4 che lo affermeranno immediatamente un eccezionale creatore di tipi rendendosi intelligentemente conto che un caricaturista polemico può far presa sul pubblico soltanto grazie ai ‘tipi’5. Nel 1949 Giulio Trevisani, autore di commedie e riviste satiriche con lo pseudonimo di Giulio Da Napoli, ma soprattutto militante comunista e fondatore de «Il Calendario del Popolo», nel suo Mezzo secolo di storia nella caricatura di Scalarini, sottolinea la fermezza con la quale Scalarini aveva denunciato accanto a l’alta industria e il Vaticano... il nazionalismo, il dannunzianesimo, il colonialismo, la mentalità bellicista che fu la pedana di lancio dell’Italia nella prima guerra mondiale6 e, fondendo modi e contenuti, propone un esemplare confronto con l’opera di Gabriele Galantara. La denuncia anticlericale di Scalarini fu assai diversa da quella dell’Asino. Galantara puntò sulla caricatura fisica, sulla deformazione; colpiva i preti in una sconcezza corporea ed oscena. Scalarini vide il prete, squallido e nero, non come uomo ma come strumento e simbolo della politica vaticana. E’ in questo senso che egli lo vede in funzione dei suoi rapporti coi banchieri e coi mercanti di cannoni, nella sua spietatezza contro i poveri, nella secolare funzione reazionaria della Chiesa, concludendo con la pregnante osservazione che, mentre Galantara addita il prete alla nausea del prossimo, Scalarini spersonalizza la caricatura e la eleva a condanna storica7. Altrettanto lucido sarà il giudizio su tutta l’opera realizzata in periodo bellico: le vignette di Scalarini sulla guerra (che rappresentano il centro della vasta opera lasciataci), mentre ne mettono in evidenza l’orrore e ispirano una sconfinata pietà per le vittime, arrivano a collegare la guerra con le sue cause, e l’accusa delle responsabilità e delle complicità è costante e spietata8. A completare il confronto di Trevisani, va sottolineato come, a differenza di Galantara, il quale maggiore di appena otto anni informerà a un’ineludibile valenza estetica le sue smaglianti e corrosive tavole per «l’Asino», Scalarini non indulgerà mai alla ricerca di un ‘bello’ che non fosse esclusivamente funzionale all’immediata e inequivocabile trasmissione iconografica del proprio messaggio, così che anche la sua ‘estetica della funzionalità’, finirà per diventare irripetibile cifra espressiva. Sempre nel 1949, auspicando future ristampe del volume di Trevisani (magari con l’eliminazione dello zibaldone cronistorico e l’aggiunta di altre vignette), Arrigo Cajumi ricorda con commozione la figura e l’opera di Scalarini, il suo antimilitarismo, quei generaloni di cavalleria in sella a delle rozze scheletriche; il suo anticlericalismo, quei preti grassi e preti magri, secondo appartenevano all’alto o al basso clero; gl’industriali che proteggevano a cannonate i forzieri; i giornali groviglio di stilografiche serpentine; la maschera da clown di Enrico Ferri, il guerriero Gabriele D’Annunzio con la sciabola e l’ombrellino; lo stupendo Napoleone che avanza solo a cavallo sopra un interminabile ponte i cui parapetti son croci di legno; la piovra vaticana; la gigantesca cimice fascista che schiaccia il petto dell’operaio dormiente; la lunga Italia scheletrica che regge a fatica un grasso poppante negro: la Libia, quante immagini che restano negli occhi!9

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Nel 1962 sarà il massimo esegeta di Scalarini, lo storico e critico d’arte delle avanguardie Mario De Micheli, a effettuare la più vasta e generosa ricognizione, analizzando lucidamente i principali aspetti di un’opera, esaminata disegno per disegno, metafora per metafora. Dopo avere rilevato come il primo contributo al «Merlin Cocai», fosse affidato soprattutto al racconto caricaturale, ovvero a quella serie di vignette concatenate destinate a svolgere un tema e spiegare un argomento, che sono ancora caricature dal segno gracile, approssimativo, vincolato al gusto di un certo pupazzettismo che allora stava prendendo piede e di cui Gandolin era uno dei padri. Ciò che invece è già di Scalarini è la chiarezza espositiva, l’intento didascalico, la capacità di cogliere in un particolare, anche trascurabile, un elemento caratterizzante sia di un personaggio che di una situazione10; dopo il soggiorno in Germania dell’artista, evidenzierà una decisa evoluzione stilistica con l’apparizione di una serie di disegni in cui chiaramente si riconoscono alcuni degli elementi costitutivi del linguaggio figurativo che Scalarini adotterà pochi anni dopo; tra il 1903 e il 1904, infatti, il suo stile si rivela già in una fase di sicura formazione. Il segno si è fatto più duro e marcato, mentre le deformazioni caricaturali tendono maggiormente alla stilizzazione. Al tempo stesso compare il rigido tratteggio a reticolato e il gusto per le soluzioni geometriche11. Non a caso la caricatura tedesca lo avrebbe influenzato in direzione di una maggiore concisione, una brevità e rigore che, d’altra parte, coincidevano con una disposizione in lui già preesistente, quella disposizione per un disegno fermo, preciso, rigido, che gli veniva dall’esercizio del disegno tecnico, eseguito con righello e compasso12. Raffinato dallo studio dei maggiori disegnatori tedeschi, austriaci, francesi, inglesi, i cui lavori esaminava, nel suo peregrinare da esule, nei caffè e nei ristoranti, il suo disegno è diventato più scarno e più sintetico; si direbbe che riassuma la natura, ne dia l’essenziale; i suoi tipi si illuminano, precisano, caratterizzano. Da un anno, dal 1902 Olaf Gulbransson ha lanciato il verbo della nuova caricatura Lavorare più di gomma che di matita! Eliminare tutto il superfluo!13 Partito dalle posizioni tradizionali del grafismo in voga all’epoca e impiegando un segno giustamente definito alla Caran d’Ache per le vignette del «Merlin Cocai» e «La Terra», il 22 ottobre 1911 Scalarini inizia la tanto vagheggiata collaborazione all’«Avanti!», che si tradurrà in 3.700 disegni, ai quali, per misurare la vastità della sua produzione, vanno aggiunti tutti quelli realizzati per le altre testate italiane e straniere a partire dal 1896. Nasce così lo Scalarini maggiore. Sollecitato dai grandi temi politici nazionali e internazionali, con l’esplosione della guerra di Libia, il suo tono si alza, la sua visione comincia ad organizzarsi per sintesi: il suo disegno si fa più essenziale e definitorio. Ormai prosegue De Micheli non si tratta più di giudicare separatamente il suo segno dal contenuto del disegno. Ormai la spinta emotiva ed intellettuale che nutre l’ispirazione di Scalarini fa tutt’uno con la sua grafia e con l’invenzione dell’immagine. Ogni suo disegno diventa giudizio: un giudizio espresso in termini contratti, epigrammatici. Quel segno duro, rigido, definito, geometrico... trova ora la sua giusta funzione nella formulazione di un giudizio che deve essere altrettanto duro, rigido, definito, spietato anche14. Per lui il disegno politico tuttavia doveva essere anche qualche cosa di più di un colpo assestato all’avversario, doveva cioè essere anche un insegnamento per gli sfruttati. Egli credeva fermamente nel potere persuasivo e chiarificatore dell’immagine. Era cioè convinto che un’immagine, un disegno, può parlare all’uomo semplice con un’evidenza più diretta e convincente di un articolo di fondo. Ecco: proprio questo egli voleva che fossero le sue vignette: dei veri e propri articoli di fondo figurati. Dovevano affermare, chiarire, spiegare15.

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Ma lo stile letterario di Scalarini offre anche qualcosa di più, ci offre cioè una serie di indicazioni che servono ad individuare ancor meglio le qualità specifiche delle doti caricaturali [...] Il gusto dell’antitesi, del confronto immediato, lampante, tra errore e verità, tra bene e male, la passione per la nomenclatura, che lo portava a concentrare in un oggetto, metaforicamente, una serie di concetti, di giudizi, di definizioni, trovano in queste pagine una chiara riprova [...] Non per nulla una delle fonti principali della ispirazione scalariniana erano i vocabolari: ne era un lettore fanatico: Rigutini, Fanfani, Petrocchi, Melzi, Tommaseo. E non solo li leggeva, ma li annotava, ne riempiva fittamente i margini di commenti e comparazioni. Teneva anche dei quaderni e dei brogliacci su cui raccoglieva sinonimi, famiglie di verbi, di nomi e di aggettivi. Ma quel che più conta, tutto questo lavoro era in funzione non tanto dello scrivere quanto del disegnare: una parola si legava alla definizione del suo significato, il significato faceva scattare il meccanismo intellettuale di un’immagine, di un simbolo, sollecitava una rappresentazione, un paragone, e faceva nascere l’idea di un disegno per analogia o per metafora [...] Il vocabolario gli serviva insomma da ‘provocatore’ intellettuale16. Da quel 1911 al 1926, anno in cui fu ridotto al silenzio, quasi ogni giorno una o più sue vignette, talvolta un suo articolo, apparvero sull’«Avanti!». Mordaci, patetiche, sempre più complete, più perfette, più convincenti. Ormai era diventato l’avvocato dei derelitti, dei perseguitati, della povera gente e forse perciò disegnava sempre un Cristo Socialista, un Cristo dal manto rosso e dallo stilizzato sapore gulbranssoniano, con un senso evidente d’amore. In antitesi al grifagno prete politicante affarista. Ogni epoca ha avuto i suoi Giuffrè. E la raccolta dei suoi disegni potrebbe definirsi una Pauperum Bibbia17. Possedeva sviluppatissima l’essenziale dote giornalistica dell’interpretazione dell’avvenimento, della soluzione grafica rapida e sintetica con l’immagine disegnata di una polemica, di un fatto. Fertilissimo, era capace di portare in redazione sette od otto vignette variazioni sul medesimo soggetto e tutte convincentissime. Espresse con quella sua arte semplice chiara scarna, basata su elementi capaci di far presa immediata sul lettore comune, sulla folla a cui si rivolgeva e che amava sinceramente. Faceva campeggiare le figure, i protagonisti, che completava, di rado, con un paesaggio o un ambiente18. A questo proposito, sarà bene tener presente la tecnica di Scalarini, il quale non disegnava su carta da disegno, ma preferibilmente su carta lucida, retro di copertine di cataloghi, di pieghevoli, di circolari. E quasi mai disegnava la vignetta completa; ma la componeva, come un collage satirico, con elementi ricavati da altre sue precedenti vignette, da sfumini di suoi vecchi clichés. Cosichè i tipi risultassero invariabilmente uguali, e Gec, che ebbe modo di conoscerlo personalmente nel 1923, ricorda ancora che fu proprio alla redazione del torinese «Popolo Socialista» che Scalarini gli spiegò le ragioni di questa sua tecnica, precisando che non si trattava di ragioni di pigrizia, bensì ragioni di efficacia propagandistica e polemica. Di catechizzazione, si potrebbe dire19. E sempre a criteri squisitamente didattici è ispirato uno dei testi più felici della letteratura italiana per l’infanzia20: Le avventure di Miglio pubblicato nel 1933 presso Vallardi sotto il nome della primogenita Virginia Scalarini Chiabov quando, durante la libertà vigilata una pesante condanna vietava a Scalarini di firmare ‘qualunque suo lavoro e di qualsiasi genere’. Recensendone la ristampa (Bompiani, 1980)21, chi scrive ne rilevava la qualità di folgorante gioiello pedagogico che, in 178 pagine e 466 minuscoli disegni, come quelli già sperimentati sulle pagine pupazzettate de «l’Asino» o dell’«Avanti!», racconta il viaggio iniziatico alla scoperta del mondo di un bambino grande come un grano di miglio, nel quale la girandola di invenzioni, il disinvolto passaggio da

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citazioni filosofiche e storiche a quelle di leggi matematiche e linguistiche, il recupero dei temi popolari tratti dalle massime e dai proverbi, il largo uso di metafore, l’asciuttezza di una scrittura veloce e incalzante derivata dalla pratica giornalistica, la varietà multiforme e bizzarra degli argomenti trattati, in una sorta di surreale enciclopedia dello scibile, non si risolvono però mai in puro esercizio stilistico, in capriccio fantastico, ma guizzano e scoppiettano all’interno di un progetto rigorosamente coerente. E a questo fine, l’uso generosissimo delle vignette, vero romanzo nel romanzo e storia figurata che corre parallelamente al racconto, è assolutamente esemplare. L’osservazione minuziosa e partecipe del quotidiano, che coniuga il tradizionale apparato iconografico dei sillabari all’umorosa icasticità della vignettistica satirica, anticipa, nella modernità del registro espressivo e nella insopprimibile volontà didattica, le più felici soluzioni dell’illustrazione contemporanea per l’infanzia. Usati come segnaletica, istruzioni per l’uso, contrappunto figurativo in continua gara di invenzioni con il testo, i disegni sono una sorta di didascalia alle immagini letterarie, di più, si possono assumere come altrettante note o chiavi di lettura dotate, nell’inconfondibile autorevolezza del segno, di un’irresistibile autonomia in grado di rovesciare il ribaltamento appena proposto dalle parole, in un duplice salto mortale che, in un perenne colloquio con il testo e in continua complicità con il lettore, giuoca, amplifica e insinua ulteriori letture. Nonostante l’evidenza del fatto che sotto l’irresistibile umorismo delle situazioni, si palesi la sfiducia di Scalarini per le istituzioni, segnatamente quelle scolastiche, in una sorta di utopica inclinazione a intendere la natura come vera maestra di vita, la più pertinente e moderna proposta pedagogica che scaturisce dalla sua storia, è l’individuazione della creatività e della fantasia come momenti privilegiati. Nel 2003, infine, dominata dagli strepitosi: La ruota della fortuna del 1916, Il carro della Vittoria e Un braccio per dare, e cinquanta per prendere, entrambi del 1919, la selezione di disegni di Giuseppe Scalarini esposti nella mostra Seduzioni e miserie del potere, è introdotta dal saggio del critico e animatore culturale Giorgio Seveso, che individua il segreto della ‘durata’ di Scalarini nella natura di un’opera fondata sull’universalità di una critica morale, capace di travalicare gli anni e le fasi storiche, di raccontarci fatti e misfatti della sua epoca ma, anche, sorprendentemente, di richiamare parallelismi e somiglianze della nostra cronaca più attuale, più contemporanea e stringente22. Anche i soggetti maggiormente legati alla cronaca politica egli cerca di riscattarli con un’idea, con un contenuto che ne sorpassi i limiti e li renda esemplari, simbolici23. Certo oggi le forme del potere sono cambiate... Ma è davvero difficile non vedere come molti aspetti della caustica e bruciante moralità scalariniana potrebbero pari pari applicarsi, oggi, a molti dei nostri governanti, alle vicende tragicomiche legate alla loro disonestà e alla loro malafede [...] Anche la tragedia del ricorso alla guerra, dell’uso della violenza degli Stati contro i popoli, hanno dalle pagine di Scalarini una formidabile capacità di di collegarsi alle cose di oggi. Agghiaccianti e tremende, le verità raccontate dai suoi disegni circa le guerre imperialiste e le loro vere ragioni, hanno per l’oggi quasi un valore documentario, proprio in questa loro valenza di testimonianza che, all’orrore implicito nelle immagini, aggiungono il vivo sentimento della loro verità storica. Perchè, nonostante tutti gli anni passati, questi disegni hanno qualcosa in loro che, se ci soffermiamo un momento a considerarli in questa luce, suona come ancora più urgente delle vicende rappresentate [...] Per Scalarini tuttavia il disegno politico è stato anche lo sforzo, in qualche modo didattico e pedagogico secondo

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lo spirito del socialismo umanitario ottocentesco, di riuscire a insegnare in ogni occasione un altro modo di considerare la realtà. Di illustrare, nell’evidenza dell’immagine, la possibilità di un diverso modo di ragionare24. Proprio il particolare metodo di lavoro scalariniano, del resto, cioè la stessa confezione manuale del disegno che parte da un’idea, la sviluppa per molteplici spunti e torna poi a riassumerla in una secca sintesi, è parte determinante di questo caratteristico aspetto, minuzioso e descrittivo, del suo impianto. I fogli originali sono in questo senso assai eloquenti. Nel tenerli tra le mani ci si accorge di come essi siano fatti di brani ritagliati e incollati, vignette smembrate e ricomposte in diverso ordine, sovrapposizioni di elenchi, segni accavallati, cancellature, rimandi, didascalie puntigliose e indicazioni... E’ come se il foglio (di solito di piccole dimensioni e di carta leggera) fosse una sorta di lavagna mobile, sulla quale l’intenzionalità comunicativa dell’autore accumula e dispone una serie di tessere e di elementi disparati. Esistono, a questo proposito, una serie di illuminanti materiali conservati presso gli eredi. Si tratta di ciò che hanno chiamato le ‘miniature’ di Scalarini, ovvero una serie di fogli di quaderno sui quali lui stesso aveva racolto e incollato ritagli e piccoli schizzi, quasi un prontuario in forma di zibaldone per idee, spunti, annotazioni grafiche da usare in seguito o riutilizzare25. Proto accorto e paziente, Scalarini estrae, infatti, da una inesauribile cassa tipografica i suoi nitidi caratteri, in forma di pale e picconi, penne stilografiche e d’oca, sciabole e baionette, fucili e cannoni, croci e rosari, artigli e uncini, grimaldelli e tenaglie, cesoie e pugnali, forchette e forbici, medaglie e manganelli... in rabelaisiani elenchi, in specialissimi lemmi figurativi che vanno a comporre le sue pagine. Altrettanto allusivo il suo bestiario simbolico che amplifica le tradizionali qualità che, sin dall’antichità, caratterizzano la natura di lupi, agnelli, maiali, asini, piovre, conigli e pescecani. Maestro, va sottolineato, senza eredi, per l’ineludibile ossimoro di un’incalzante vis narrativa affidata a un segno portato a sintesi estreme, quali sono le principali suggestioni della cultura visiva di Scalarini? La sua linea secca, limpida e ascetica, guarda sicuramente agli esiti della xilografia rinascimentale e alla sua esigenza di compendiare la narrazione nel breve perimetro della tavoletta di pero o di sorbo, ma, i suoi ‘mostri’, sembrano guardare anche ai grandi trattati di teratologia, o alle infinite ‘danze della morte’ medievali, si veda, per tutti, la ruota di scheletri in La tragica rincorsa della fame e della guerra del 1916. E se L’albero di Natale innalzato dai soldati del Genio a Tripoli del 1911, cita l’albero degli impiccati delle incisioni di Jacques Callot per Les Misères et les Malheurs de la Guerre del 1633, la forbice di La Censura del 1915, ha la stessa maligna perentorietà di quella litografata da Honoré Daumier in La résurrection de la censure, su «La Caricature» del 1832, mentre nella testa dell’automa del suo Il pensiero complesso esplode, risuona l’eco sonora di Metropolis di Fritz Lang del 1927. Ma nell’opera di Scalarini si perpetua anche la memoria del Goya de Los Desastros de la Guerra, dei fiori avvelenati di Odilon Redon, dei teschi sghignazzanti delle calaveras di José Guadalupe Posada... Perfino i suoi sinistri robot meccanici, esseri ibridi e rumorosi costruiti con elementi eterogenei, evocano le strutture surreali e geometriche dei personaggi impossibili assemblati da Giovan Batti-

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sta Bracelli nelle sue Bizzarrie di varie figure del 1624. Laico come Honoré Daumier, che tuttavia nella famosa litografia Rue Trasnonain le 15 avril 1834, realizza una ‘deposizione’ civile di straordinario spessore religioso, Scalarini allude spesso all’iconografia sacra, mutuando la pratica di distinguere i santi attraverso una serie di attributi quali verghe, frecce, graticole, con quella di caratterizzare i suoi tipi con attributi che li rendano immediatamente riconoscibili. Bocchino con sigaretta fumante, anelli e orologio, rosario e mazzo di grimaldelli, emblema massonico, marsina e panciotto, per il grasso borghese sfruttatore; pala, piccone, calzoni rattoppati e maniche di camicia, per lo smunto lavoratore. Anche la rappresentazione frontale dei suoi personaggi, adottata nella prevalenza dei disegni, è funzionale alla più chiara descrizione di particolari e attributi. Arduo, pertanto, parlare di stile, ma certamente anche il segno di Scalarini risente della temperie artistica generale e, dalle primissime vignette caratterizzate da una ridondanza ancora legata ai canoni Art Nouveau, evolverà in una direzione sempre più fulminea ed espressiva, con esiti che consentono di parlare di vero e proprio Espressionismo, come in una delle più rappresentative e struggenti immagini-manifesto della sua opera: La guerra del 1914, con la nera madre-sposa riversa sul fusto di un cannone fumante. Attraverso un personalissimo cifrario segnico, Scalarini sviluppa, inoltre, la rabdomantica capacità di restituire lo strepito metallico degli ingranaggi, l’acuminata crudeltà di denti e artigli, l’umida e ributtante viscosità di tentacoli, in altrettanti disegni, siglati dalla caratteristica scaletta che precede le sillabe rini, in una moda geroglifica, replicata e condivisa da una serie di artisti. Dalla rosetta (un amore di gioventù) che racchiude la A e la T di Aleardo Terzi alle scarpette ‘animate’ di Filiberto Scarpelli, dall’eidetica spiga che sormonta il monogramma CD di Duilio Cambellotti ai calligrafici pomi con i quali si sarebbe firmato Mario Pompei. Italiano senza retorica, come lo definirà De Micheli a conclusione del suo saggio26, oggi si può valutare pienamente l’assoluta modernità dell’opera di Giuseppe Scalarini, ancora e sempre pronta a sfidare il tempo per quello spessore etico e quelle doti di sintesi e di invenzione che continuano a renderla immediatamente leggibile anche alle nuove generazioni.

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Due quadri, «La Provincia di Mantova: giornale della democrazia», Mantova, 31 aprile-1 maggio 1890. C. Beniamino, Umorismo e Umoristi. Frigidarium - Esposizione Internaz. di umorismo a Rivoli, Milano, SELGA, 1911, p. 32. 3 E. Zanzi, La caricatura (II), «Il Risorgimento grafico» n. 11, anno XVII, Milano, novembre 1920, pp. 431-32. 4 Gec (Enrico Gianeri), Scalarini ovvero la caricatura politica, in cat. 50 anni di caricatura politica nell’opera di Giuseppe Scalarini, Mantova, Ente Provinciale del Turismo, 1965, p. 46. 5 Ibidem, p. 33. 6 G. Trevisani, Mezzo secolo di storia nella caricatura di Scalarini, Milano, Cultura nuova, 1949, p. 67. 7 Ibidem, p. 55. 8 Ibidem, p. 76. 9 A. Cajumi, Caricaturisti, «La Stampa», Torino, 8 luglio 1949. 10 M. De Micheli, Scalarini, Milano, Ed. Avanti!, 1962, p.18. 11 Ibidem, p. 38. 12 Ibidem. 13 Gec, op. cit., p. 40. 14 M. De Micheli, op. cit., p. 44. 15 Ibidem, p. 46. 16 Ibidem, pp. 97-98. 17 Gec, op. cit., p. 48. 18 Ibidem, p. 44. 19 Ibidem, 46-48. 20 M. De Micheli, op. cit., p. 181. 21 P. Pallottino, Guardare le figure, «Pilot» n. 3, anno I, Roma, febbraio 1982, pp. 76-77. 22 G. Seveso, Scalarini e la passione del socialismo, in Seduzioni e miserie del potere. Visto da sinistra - Visto da destra. Galantara, Scalarini, Sironi, Guareschi, Altan, cat. a cura di G. Mazzotta, Milano, Mazzotta, 2003, p. 77. 23 Ibidem, p. 82. 24 Ibidem, pp. 78-81. 25 Ibidem, p. 81. E’ singolare come la verifica dei supporti, condotta da Seveso sull’Archivio Scalarini, sia in palese contraddizione con la descrizione datane da Gec, v. nota 17. 26 M. De Micheli, op. cit., p. 199. 1 2

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Proponiamo in questa sezione due esempi dei primi disegni pubblicati da Scalarini, unicamente per mostrare la diversità del segno grafico rispetto agli anni della maturità.

1 I sogni della notte del 26 Novembre 1895, 1895 Incubi e sogni notturni del giovane Scalarini, “primo caporale zappatore” e allievo dell’Accademia di Belle Arti a Venezia.

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IL PRIMO SCALARINI


ilScalarini Primo IL PRIMO SCALARINI

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Pro libertate supplemento alle “Sponde sul Mincio”, Mantova, 1898 (particolari)

I membri blasonati della banda Crispina non hanno mai potuto digerire l’amaro boccone che i collegi del Mantovano han fatto loro inghiottire nelle elezioni passate.

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Volete sapere che cos’è? Ecco: Quando hanno il sospetto che uno la pensi a modo suo, che sia, per esempio, un socialista, lo afferrano, lo portano in questura,

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La Gazzetta ha tentato ogni purgante, il fabbriciere è ricorso perfino alla contestazione per l’affare del sigillo, ma non c’è stato verso: il boccone non ha voluto andar giù.

Allora hanno pensato di vendicarsi coi collegi per questa difficilissima digestione ed hanno chiamato un certo Acampora Carollo perché li castigasse

Il Carollo non andò tanto per le lunghe; soppresse la libertà,

Ancora una libertà era rimasta: quella del pensiero, ma egli pensò di sopprimere anche questa, e, d’accordo col suo padrone, tirò fuori una certa macchina chiamata domicilio coatto.

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2 Mantova ride di tutte queste pagliacciate ed aspetta il giorno in cui al Signor Acampora potrà fare così. Poi ne aspetta un altro, infallibile in cui potrà adoperare il domicilio coatto contro i suoi persecutori, contro i birri, contro i malandrini della penna, contro i commendatori, e allora, oh come l’aria nostra, priva di tanti miasmi, sarà diventata più pura!

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3 Il Partito liberale e il Partito democratico si sono gettati nel listone e sono miseramente periti, s.d. Si definisce la lista che si presenterà alle elezioni del 1924. Con i fascisti si alleano anche i liberali e il partito democratico, eredi di una tradizione risorgimentale ormai superata dai tempi. Il “listone” con Mussolini, chiosa Scalarini, ne segnerà la scomparsa politica. 4 La barba di Cavour. Vano tentativo! E’ troppo grande per me!, 1915 Novembre 1915. Antonio Salandra è tra gli artefici dell’ingresso in guerra dell’Italia in nome del completamento dell’unità nazionale avviata dal conte di Cavour. Tuttavia, chiosa ironicamente Scalarini, Salandra non ne possiede affatto la levatura.

5 Il torrente scava ogni giorno più profondo l’abisso che ci separa, s.d. [ESTATE 1914?] I rapporti tra il governo Salandra e il PSI si fanno sempre più conflittuali. Un baratro ormai separa i liberali dai socialisti. 6

Un socialista falso, 1916 15 Maggio 1916. Mentre sul fronte trentino l’esercito deve contrastare la “Spedizione punitiva” degli austriaci, Scalarini ribadisce il suo pacifismo tracciando sull’Avanti! il ritratto del falso socialista, abbigliato come tale ma imbottito di giornali interventisti.

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7 Il socialista Bonomi contro il ministro Bonomi, 1921 Luglio 1921: si insedia il governo presieduto dal socialista riformista Ivanoe Bonomi. Il Bonomi socialista guarda pensoso il Bonomi neo ministro ritratto con alle spalle, da un lato, l’ingombrante presenza di Luigi Sturzo (leader del partito popolare) e, dall’altro, il ritratto rovesciato di Marx. Accanto alla scrivania un nodoso bastone che simboleggia le violenze fasciste ormai dilaganti nel paese.

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La scuola capovolta, s.d. Aprile 1923. Il filosofo Giovanni Gentile, ministro dell’Istruzione pubblica del governo Mussolini, vara una profonda riforma dell’insegnamento. La scuola è sottosopra

9 Il cervello di Bissolati, 1916 10 Il cadavere del socialista, 1916

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11 Vent’anni dopo. S.E. il ministro Bissolati davanti al feretro di Bissolati, il primo direttore dell’Avanti!, 1916 12 Congresso riformista. Il contraddittorio tra il compagno Bissolati e S.E. il ministro Bissolati, 1917

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La croce di Bissolati, 1917 1916-’17: alcuni ritratti di Leonida Bissolati, ex esponente del PSI e direttore dell’Avanti! e adesso leader del partito socialista riformista. Già favorevole alla guerra di Libia nel 1912, e per questo espulso dal partito, Bissolati fu poi fautore dell’intervento nella Grande Guerra, accettando anche l’incarico di ministro nel governo Boselli e poi in quello Orlando. L’aver abbandonato la sua antica fede politica gli attira gli strali del socialista (pacifista e neutralista) Scalarini.

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L’On. Sonnino a Parigi visita il Louvre, 1917 Un ritratto di Sidney Sonnino, ministro degli esteri del governo liberale e artefice dell’ingresso in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa, in occasione di una visita a Parigi. L’accostamento a Luigi XIV, il “Re sole”, ne sottolinea, causticamente, la personalità oltre che le posizioni politiche.

15 La via crucis del Pensiero,1923

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Povera riforma elettorale!, 1919 A pochi giorni dalla costituzione del governo Nitti, il Parlamento è chiamato a discutere della riforma della legge elettorale che introdurrà il sistema dello scrutinio di lista e la rappresentanza proporzionale e favorirà l’ascesa dei partiti di massa (socialisti e cattolici) e il declino dei liberali. Le titubanze di alcuni deputati, tra cui quelli socialisti riformisti (con in testa Bonomi) rischia di far naufragare il progetto.

17 I portafogli dei Ministri sono fatti di pelle… del proletariato, s.d. Il presidente del Consiglio Antonio Salandra prepara l’elenco dei suoi ministri… in tenuta da macellaio. L’allusione alla decisione di portare il paese in guerra è nemmeno troppo velata.


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18 Nel Museo Archeologico. Il custode del museo: “Che cosa cerca?” La Borghesia: “C’è la crisi, cerco dei ministri”, 1922 Febbraio 1922. Il regime liberale è ormai agonizzante. Caduto il governo Bonomi, dopo la più lunga crisi

di governo della storia del Regno, si insedia il governo presieduto da Luigi Facta, composto da popolari, giolittiani, socialisti riformisti, nittiani, demosociali e salandrini. La borghesia – chiosa Scalarini – ha esaurito i suoi ministri.

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19 I signori socialisti, prima di entrare, sono pregati di lasciare il socialismo alla porta, 1922 Estate 1922. Nel paese infuriano le spedizioni punitive fasciste. Il primo governo Facta consuma i suoi ultimi istanti di vita. Mentre ferve il dibattito sulla composizione del nuovo governo, Scalarini ironizza sui requisiti dei probabili ministri di trascorsa militanza socialista. 20

Ucciso il Diritto!, 1923 Novembre 1923. L’iter della nuova legge elettorale voluta da Mussolini per consolidare il suo potere è al suo epilogo. La legge, elaborata dal sottosegretario Giacomo Acerbo attribuisce un “premio” di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi alla lista che ottenga il maggior numero di voti. Il diritto elettorale è stato ucciso, a bastonate, dalle camicie nere.

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21 Le elezioni, con la violenza, con la libertà, 1923 22 La tomba del Diritto, 1923

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23 La riforma elettorale, 1923


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24 Il bastone della vecchiaia, s.d Campagna elettorale del 1924: anche i moderati appoggiano il fascismo. Giovanni Giolitti, vecchio leader dei liberali, si appoggia malfermo sul bastone delle camicie nere, ignaro di dirigersi verso il baratro. 25 I morti e i vivi, 1924 Novembre 1924: nel paese è ancora viva l’eco del delitto Matteotti dell’estate del 1924. Nonostante la gravità del momento il paese è ancora spaccato in due. Da un lato i morti, che siedono ciechi sui banchi del Parlamento, dall’altro i vivi, i partiti antifascisti che hanno scelto di non partecipare ai lavori della Camera in segno di protesta richiamandosi all’episodio della storia romana dell’Aventino. 26 Il vulcano, s.d La situazione sociale del paese è sempre più insostenibile. Il “carro dello Stato” liberale poggia ormai sulla bocca di un vulcano pronto ad esplodere per la pressione dei principali sindacati operai.

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La ruota della fortuna, 1916 Scalarini sintetizza con il ricorso ad una sua immagine classica, il grimaldello, l’essenza del nuovo ceto dei profittatori di guerra.

28 I delitti della mafia in Sicilia. Le mafie che deturpano questo bel quadro spariranno quando avranno levato la cassaforte che c’è sotto, 1920 Il primo dopoguerra ripropone, accresciuti, i tradizionali problemi del paese. La mafia, espressione della irrisolta “questione meridionale” imperversa nel mezzogiorno. Il quadro è desolante. E dietro di esso si nasconde un male più insidioso.

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29 La camera oscura. Essa riproduce le immagini capovolte, 1915 Dicembre 1915. Scalarini “fotografa” - è proprio il caso di dirlo – la situazione del paese appena sceso in guerra. L’Italia è un paese povero e derelitto ma dall’obiettivo fotografico, che Scalarini disegna come la bocca fumante di un cannone, emerge un soggetto diverso: quello del profittatore di guerra.

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Sfido io che nell’Italia non ci resta niente!, 1916 Dopo poco più di un anno di guerra, il paese è in crisi nera. Dal “colabrodo-Italia” escono premiati solo gli incettatori.

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Dopo la guerra. Mani d’oro e mani di legno, 1919 Il lascito della Prima Guerra mondiale: mani d’oro per i capitalisti arricchitisi con le commesse statali, mani di legno per i proletari che tornano mutilati dal fronte.


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Ricostruitela voi, che l’avete distrutta,1919 Agosto 1919. A guerra finita la crisi imperversa nel paese. Il proletariato ne fa le spese e punta il dito accusatore sul capitalista che, armato di piccone, sta distruggendo il paese, edificio comune costruito faticosamente nei decenni precedenti.

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La frazione, 1921 19 gennaio 1921. A Livorno si sta consumando la rottura interna al partito socialista che darà vità al partito comunista d’Italia. Riprendendo una immagine classica della satira politica sin dai tempi della Rivoluzione francese (le classi parassitarie che gravano sulle spalle del povero) Scalarini prende posizione sulle divisioni del movimento operaio in una serie di vignette. L’appello alle varie frazioni è quello di ritrovare l’unità per combattere i nemici comuni.

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La vittoria, 1920 I due volti della vittoria. A sinistra il profittatore di guerra. A destra il proletariato, affamato e con al braccio il segno del lutto.

35 Per rinsanguare le finanze del Paese bisogna che le sanguisughe restituiscano loro il sangue che hanno succhiato durante la guerra, 1920

Spremete le sanguisughe che hanno succhiato il sangue del Paese!, 1920 La soluzione di Scalarini per risolvere la crisi del dopoguerra: il proletariato, socialista, spremerà le sanguisughe ingrassatesi durante il conflitto.


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Le leggi sono come i ragnateli, che i moscerini ci restano, e i calabroni li sfondano, 1921 24 febbraio 1921. Il governo Giolitti, nonostante l’ostruzionismo dei socialisti, ha appena varato la legge che abolisce il prezzo politico del pane. Si tratta

dell’ennesima contraddizione dello Stato liberale (la vignetta cita altre misure di rigore promosse dallo stesso Giolitti) che, secondo Scalarini, tesse una tela dalle maglie troppo esili. Una tela che intrappola i deboli e lascia liberi i forti.

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La pace! Addio albero della cuccagna! 1911

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Chiude la Camera quando son fuggiti i buoi, 1921 Dopo lunghe discussioni, e proprio in concomitanza con lo scioglimento della Camera in vista di nuove elezioni, il governo Giolitti si accinge ad applicare il blando testo di legge sui profitti di guerra. Il provvedimento giunge però quando molti capitali sono già finiti in Svizzera. Si chiude la stalla – chiosa Scalarini – quando i buoi sono ormai scappati.

38 Il tempio dominatore, 1924 20 gennaio 1924. Mussolini si appresta a sciogliere la Camera in vista delle elezioni politiche. Il mondo produttivo italiano è intanto tutto proteso ad adorare una nuova divinità, quella della speculazione borsistica.

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La zanzara del capitalismo, s.d. Quante zanzare! Ma questa è la più feroce di tutte. In un paese in cui ancora si muore per le malattie endemiche, come la malaria, Scalarini propone l’immagine del proletariato “vampirizzato” dal capitalismo, parassita sostenuto sulle ali del patriottismo e della religione.

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Un altro ostacolo che sbarra la via alla Democrazia, s.d. L’Italia è appena uscita dalla tragedia della Seconda Guerra mondiale e del fascismo. Il paese è da ricostruire ma molti ostacoli si frappongono. Tra questi, uno apparentemente innocuo eppure insidioso: quello della burocrazia.

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Un braccio per dare, e cinquanta per prendere,1919 ca. Una delle tavole piÚ conosciute di Scalarini del primo dopoguerra. Il ritratto è quello piÚ volte utilizzato del ricco borghese arricchitosi in guerra: un braccio per dare e cinquanta per prendere.

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Crisi industriale? Ma se io non ho mai lavorato tanto come adesso!,1921 Dalla crisi del dopoguerra il movimento fascista, creato nel 1919, emerge ben presto come il difensore, a suon di bastonature, degli interessi congiunti di agrari ed industriali.

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Scalarini e il suo tempo di Gianni Silei

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La formazione i può nascere due volte? e gli esordi Giuseppe Scalarini, venne al mondo a Mantova il 29 gennaio 1873 ma, come egli stesse ebbe a ricordare in seguito con un certo orgoglio, sentì in qualche modo di «essere nato una seconda volta» quando, nell’ottobre 1911, l’Avanti! pubblicò la sua prima vignetta1. Questi doppi natali, uno per così dire “biologico” e uno artistico-ideale sintetizzano emblematicamente il percorso biografico di Scalarini, «la matita del socialismo italiano»2. Due nascite, ma un unico e lineare percorso di vita, dedicato a trasporre su carta, col disegno, idee e principi, a denunciare i vizi e a sottolineare le virtù della politica e della società del suo tempo. In qualche modo, i trentotto anni intercorsi tra queste due “nascite” costituirono una sorta di periodo preparatorio, di importante palestra che avrebbe consegnato alla satira del Novecento uno dei suoi esponenti più rilevanti. Appartenente alla prima generazione di socialisti, Scalarini riuscì sul piano artistico, politico e personale a fare da ponte tra l’Italia ottocentesca e risorgimentale e quella novecentesca. Il suo tratto asciutto ed essenziale, la ricerca di un messaggio nel contempo comprensibile e graffiante, privo di ogni leziosità anticipavano (assai più di un altro “grande” come Gabriele Galantara) gli stili e i modi comunicativi del Novecento. Il carattere, il modo con il quale visse e difese i suoi ideali politici, perfino alcune scelte di vita (certamente controcorrente per la società dell’epoca) venivano invece da lontano ed apparivano figli di quello spirito insieme libertario e intransigente tipico del mondo laico dell’Ottocento. Del resto, Roma era divenuta capitale del giovane Regno d’Italia da nemmeno due anni quando Scalarini vide la luce. La sua era una tipica famiglia piccolo-borghese3 che però aveva vissuto direttamente le vicende risorgimentali. Il padre, Rainero, impiegato alle Ferrovie, aveva infatti preso parte alle guerre d’Indipendenza e certamente contribuì a far conoscere al figlio, subito avviato agli studi tecnici per seguire le orme paterne, le idee garibaldine. Il disegno e la politica, intesa come costante attenzione ai temi della giustizia sociale, dell’umanitarismo, del riscatto dei ceti più deboli, erano destinati ben presto a diventare i due elementi caratterizzanti della personalità del giovane Giuseppe. La passione per l’arte emerse subito prepotente: dopo il suo primo riconoscimento «per profitto in disegno» vinto a dodici anni, nel 1890, ancora diciassettenne, tenne la sua prima mostra, ottenendo una certa eco sulla stampa democratica locale. Entrato in contatto con gli ambienti culturali mantovani, in particolare con quella Società Letteraria di cui faceva parte anche Ivanoe Bonomi, futuro leader del socialismo e Nino Mazzoni, futuro caporedattore dell’Avanti!, Scalarini iniziò anche ad avvicinarsi a quel mondo democratico e repubblicano che, sulla scia del dibattito interno e sull’esempio proveniente dal contesto europeo, stava progressivamente evolvendo verso posizioni socialiste. Nel 1891, l’anno in cui usciva il primo numero dell’Asino di Podrecca, il giovane Scalarini si trasferì a Firenze, assunto presso la direzione delle Ferrovie. Nel capoluogo toscano, esaurita la

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stagione degli internazionalisti fiorentini, si respirava comunque un’aria particolare, la stessa che aveva ad esempio trasformato molti degli studenti della scuola storica di Pasquale Villari – per usare un’espressione di Gaetano Salvemini – «da malve in rosolacci», cioè da moderati in socialisti4. La stessa che induceva proprio in questi anni «maestri e scolari» ad incontrarsi per combattere per il socialismo5. In questo clima Scalarini affinò la propria tecnica frequentando l’Istituto di Belle Arti e venne in contatto con il vivace mondo della stampa satirica, qui particolarmente attiva fin dal 1848. Convintosi poi della necessità di migliorare il suo stile «ancora greggio» - come gli fece sapere Gandolin (Luigi Vassallo) direttore del celebre foglio satirico di Roma Don Chisciotte dopo aver visionato alcuni suoi disegni6 - nel 1892 si recò per un breve periodo a Parigi e quindi, tornato in Toscana, trovò impiego come disegnatore a Borgo San Lorenzo. Tuttavia, la scelta in direzione del disegno satirico era praticamente compiuta. Da questo momento, e fino al 1896, buona parte delle energie di Scalarini furono indirizzate da un lato allo studio e dall’altro verso il difficile obiettivo di vedere pubblicate le sue tavole. Nel 1894, dopo un nuovo breve soggiorno in Francia e dopo essere tornato nella natìa Mantova, si trasferì a Venezia, dove il fratello gemello, Primo, prestava servizio militare. A Venezia, Giuseppe frequentò l’Accademia di Belle Arti e nel 1896 ottenne un posto di lavoro al catasto di Udine, dove rimase per qualche mese. A questo punto, l’attività di disegnatore e caricaturista cominciava a dare i primi frutti. Proprio nel 1896 riuscì a pubblicare le sue prime tavole in Italia (su Rassegna e su Scena Illustrata) ma anche all’estero (su Fliegende Blätter di Monaco di Baviera). L’Italia di questo ultimo scorcio dell’Ottocento forniva d’altro canto spunti di ogni sorta a chi, come Scalarini, puntava ormai a usare la matita come uno strumento di lotta politica. Gli anni della Sinistra storica di Depretis avevano ormai lasciato spazio ad una stagione politica nuova. Da un lato vi era il mondo liberale, con Crispi e con il primo Giolitti, a loro volta irriducibilmente avversari, dall’altro gli ambienti democratico-radicali dell’Estrema sinistra e il nascente movimento socialista, organizzatosi in partito con il Congresso Operaio Italiano tenutosi nella Sala Sivori di Genova nell’agosto del 1892. In mezzo, in una sorta di limbo, il mondo cattolico, ancora fuori dalla lotta politica parlamentare (dopo la presa di Roma e il non expedit di Pio IX) e tuttavia impegnato ed influente nell’ambito delle amministrazioni locali. Proprio i clericali e Crispi, l’ex garibaldino convertitosi alla monarchia, il censore del trasformismo, l’ammiratore del “cancelliere di ferro” Bismarck e il nemico dei socialisti e di tutti gli altri “sovversivi” non potevano non rappresentare i naturali bersagli per il mondo a cui Scalarini ormai apparteneva. Episodi come la repressione dei Fasci siciliani e dei moti in Lunigiana, lo scandalo della Banca Romana e ancor più il tragico epilogo dell’avventura coloniale in Abissinia, culminato nella disastrosa marcia notturna dei reparti italiani e nel massacro di Adua, fornirono ulteriori spunti. Il 1° novembre 1896, a pochi mesi dalla disfatta africana, usciva a Mantova il settimanale illustrato Merlin Cocai7 di cui Scalarini era il principale animatore. «I giornali che nascono» – si leggeva in apertura del primo numero - «fanno come i candidati per il greppione di Montecitorio, espongono il programma e… si guardano poi bene dal mantenerlo. Noi invece che ci presentiamo ora sullo smisurato palcoscenico della vita pubblica, ci dispensiamo dal calcare la falsariga degli altri, e facciamo una promessa: il nostro giornaletto settimanale seguirà sempre - tanto nel testo

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quanto nelle illustrazioni - una via sola, quella della più fiera indipendenza!»8. In realtà, il Merlin Cocai nasceva con l’obiettivo principale di contrastare sul piano politico, nell’imminenza delle elezioni comunali, i moderati mantovani e di favorire la locale lista radicalsocialista. Una linea che sarebbe stata esplicitata di lì a poco, nel marzo 1897, alla vigilia di un nuovo appuntamento elettorale, stavolta nazionale: La vittoria, la strepitosa vittoria, avuta nei nostri collegi sui candidati di quel partito-malfattore che, votando la fiducia al brigante Crispi, ci faceva scannare i fratelli in Africa, ci faceva arrestare, condannare, fucilare gli affamati della Sicilia e della Lunigiana, e che, mentre non permetteva condanna per i ladri del pubblico denaro, per i ladri nelle banche, per i ladri dei fondi di beneficenza, per i venditori di croci e di cordoni, istituiva i tribunali speciali per quei galantuomini che al popolo volgevano la loro parola onesta, ci à entusiasmati, e ci à trascinati apertamente nel campo elettorale di ballottaggio per accrescere il definitivo, irreparabile disastro della banda crispina di città e provincia9. Nato senza eccessive ambizioni, il foglio satirico mantovano ebbe invece un immediato successo di pubblico proprio grazie alle illustrazioni di Scalarini, che ormai siglava le sue tavole con quella che sarebbe divenuta la sua inconfondibile firma: una scaletta stilizzata seguita dalle sillabe rini. Impiegatosi presso la tipografia Wenk, Scalarini si era intanto trasferito a Bologna pur proseguendo il suo lavoro per il Merlin. Nel capoluogo emiliano, riunitosi con alcuni vecchi amici (Ivanoe Bonomi o Ugo Valeri) e in costante contatto con gli studenti socialisti, giunse a definitiva maturazione la sua adesione al socialismo. Il paese stava vivendo quella particolare fase conosciuta come «crisi di fine secolo». Sul piano politico, esauritasi la fase crispina, la monarchia sabauda, nel tentativo di difendersi dall’avanzata dei «rossi» (i socialisti) e dei «neri» (i cattolici), cercò di appoggiarsi ad esponenti del conservatorismo come il marchese di Rudinì. Alla crisi parlamentare si era poi aggiunta una crisi economica e sociale, determinata dall’aumento dei prezzi e in particolare di quello del pane a seguito della crisi cerealicola interna e dei riflessi del rincaro dei noli marittimi sulle importazioni di grano determinati dalla guerra ispano-americana. Alla fine di aprile del 1898 in tutta Italia scoppiarono tumulti popolari, che in parte furono, per usare le parole di Napoleone Colajanni una «protesta dello stomaco»10, ma che avevano anche delle chiare connotazioni politiche. Fu in questo clima che, il 1° maggio 1898, usciva il primo numero de La Terra, «giornale settimanale socialista mantovano». Tra gli animatori del foglio, oltre a Bonomi, Zibordi e altri, figurava anche Scalarini. Anzi, proprio dalla matita di Scalarini venivano gli attacchi più feroci al governo e alla sua incapacità di risolvere la “questione del pane”, «allegra pantomima tutta da piangere», come lui stesso la definì11. Lo stato d’assedio e l’uso dell’esercito contro i manifestanti, culminato nella tragica farsa dell’attacco a suon di cannonate contro le file di mendicanti in attesa di minestra al convento dei cappuccini di Porta Monforte a Milano ordinato dal generale Bava Beccaris furono l’epilogo di questa vicenda. La repressione sistematica dei «sovversivi», prevalentemente di sinistra ma anche cattolici, seguita a questi episodi colpì duramente personaggi di spicco (si pensi a Filippo Turati, a Bissolati, al direttore del Secolo Carlo Romussi, addirittura a don Davide Albertario) ma soprattutto le associazioni, i circoli, i giornali sparsi in tutta Italia. Sotto la scure del governo cadde anche Scalarini, che già si era proposto di sostituire Galantara (arrestato con tutta la redazione) sulle pagine

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dell’Avanti!, reo di aver pubblicato vignette antigovernative. Nonostante la difesa di Enrico Ferri subì la condanna del tribunale e, per evitare l’arresto, decise di riparare in Austria, a Windischgraz. Dall’Austria e poi da Berlino, dove si trasferì nell’estate del 1900, Scalarini collaborò con alcune riviste locali (Fliegende Blätter, giornale col quale già aveva collaborato e al quale avevano lavorato artisti del calibro di Wilhelm Busch e Adolf Oberlander, e Lustige Blätter) e, finché gli fu possibile, con la rivista bolognese Italia ride, guadagnandosi da vivere facendo l’illustratore. Nel 1901, segnalato dalla polizia italiana alle autorità tedesche, fu però arrestato e poi espulso. Fu quindi costretto ad una peregrinazione per l’Europa (Londra, il Belgio, Lussemburgo, Metz) finché, dopo un’amnistia, poté finalmente far rientro in patria. L’ennesimo impiego, a Grisignana, in Istria, gli consentì di riprendere i contatti interrotti durante l’esilio forzato. Qui, il disegnatore giramondo perennemente con la valigia e l’orario ferroviario sotto il braccio (come lui stesso ebbe a ritrarsi in questo periodo) conobbe quella che sarebbe divenuta la compagna della sua vita, Carolina Pozzi. Dal loro legame, fortissimo e indissolubile anche se non sancito dal matrimonio per una precisa scelta ideale12, sarebbero nate le figlie Virgina, Francesca, Rainera, Claudia e Giuseppina. Tornato a Mantova nel 1903, Scalarini riprese dunque le pubblicazioni del Merlin Cocai. Tuttavia, era ancora forte in lui il ricordo del soggiorno in Germania. Avuta la notizia della revoca del decreto di espulsione del governo tedesco, Scalarini decise di tornare a Berlino, dove presto venne raggiunto da Carolina. A Berlino, Scalarini riprese la collaborazione con Fliegende Blätter e altre testate, rimanendovi fino al giugno del 1907. Tornato in Italia, Scalarini aveva ormai intessuto una serie di contatti con riviste nazionali ed estere e non era più uno sconosciuto nel mondo della caricatura politica. Tuttavia, dal 1908 al 1911, pur pubblicando su svariati giornali, tra cui Il Pasquino, accettò un impiego presso le Ferrovie del Ticino. Gli anni dell’Avanti! (1911-1926) Il sogno di Scalarini fin dal 1898 era stato quello di pubblicare i suoi disegni sul foglio socialista per antonomasia: l’Avanti!. Fautore di un socialismo che rifiutava qualunque settarismo, incentrato sulla contrapposizione tra capitalismo e lavoratori, tra sfruttatori e sfruttati e sulla necessità di porre fine alle contraddizioni della società contemporanea attraverso la giustizia sociale e l’unità del movimento operaio, egli aveva intessuto amicizia e contatti con i principali esponenti del mondo socialista, aveva in qualche modo optato per la linea riformista senza tuttavia mai assumere posizioni di chiusura durante le innumerevoli dispute interne al socialismo. Del resto, quello del primo decennio del Novecento era uno PSI ben diverso rispetto a quello delle origini. Intanto il contesto politico era mutato: il drammatico omicidio di Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci aveva in qualche modo definitivamente chiuso la crisi di fine secolo. Il Novecento si apriva con il ministero Zanardelli-Giolitti e con l’avvio di una stagione politica nuova, quella giolittiana appunto, destinata a proiettare anche il partito socialista in una dimensione differente. Così com’era avvenuto in Francia, anche in Italia i socialisti furono ben presto posti di fronte al dilemma se partecipare o meno a governi di stampo liberale. Sempre più presenti in Parlamento, questi si erano però divisi tra «ministerialisti» e riformisti, tra intransigenti e rivoluzionari. Queste divisioni emersero ripetutamente in occasione degli appuntamenti congressuali del partito: a Imola nel 1902 (dove prevalsero i riformisti), a Bologna nel 1904 (dove viceversa si affermarono i rivoluzionari). Da questo aspro confronto tra le varie componenti del socialismo finì con l’emergere quella riformista di Filippo Turati, che di fatto acquistò la maggioranza interna

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al partito in parte nel 1906 (Congresso di Roma) e poi definitivamente, dopo l’uscita dal psi dei sindacalisti rivoluzionari nel 1907, dopo il Congresso di Firenze del 1908. Il 1911 fu un anno decisivo. In marzo, dopo la crisi del ministero Luzzatti e il conferimento dell’incarico a Giovanni Giolitti, per la prima volta un socialista, Bissolati, era salito al Quirinale dal re per le consultazioni. I fragili equilibri interni al psi (emersi con chiarezza già nel corso del Congresso di Milano del 1910) erano però destinati a rompersi pochi mesi dopo e non soltanto attorno alla questione del «ministerialismo» (cioè l’appoggio al governo) o del «ministeriabilismo» (la partecipazione diretta al governo). All’inizio di ottobre, dopo un’opera diplomatica preparatoria condotta nei mesi precedenti, Giolitti dava il via all’occupazione delle zone costiere della Libia. Era l’inizio della guerra contro l’Impero Ottomano. L’avvio del conflitto fu accolta con indignazione dai socialisti. Il Congresso del psi di Modena (15-18 ottobre 1911) votò un ordine del giorno contrario alla guerra mentre la stampa socialista, rilanciata proprio nel corso di questo stesso anno con la creazione della Società Editrice Avanti! si scagliava contro le velleità coloniali del giolittismo. Proprio in queste convulse giornate Scalarini, presentò al redattore capo del nuovo Avanti! diretto da Claudio Treves, l’amico Nino Mazzoni alcuni suoi disegni. Treves, che in realtà non attribuiva eccessiva importanza alle vignette satiriche, comunque accettò. Per Scalarini era, come detto, una sorta di “seconda nascita”, il coronamento di un sogno e nel contempo l’inizio di un sodalizio importante e felice destinato a produrre oltre 3.700 disegni. Dopo la prima tavola, apparsa in terza pagina il 13 ottobre, Scalarini “debuttava” sul foglio socialista con una vignetta sugli Effetti della guerra. Pacifista convinto, egli profuse tutte le sue energie nella denuncia, attraverso i suoi lavori, delle violenze e degli orrori della guerra, del militarismo, della retorica nazionalista e delle mire espansionistiche del capitalismo italiano arricchito dalle commesse militari. Il suo stile lineare e immediato gli valse immediatamente il successo, attirandogli nel contempo gli strali della censura e una nuova denuncia in tribunale. Non mancarono anche gli attacchi ai «socialtripolisti», ovvero ai riformisti di destra (guidati da Bissolati, dal suo antico amico Bonomi, da Angiolo Cabrini) che avevano manifestato il loro sostegno all’impresa libica e che sarebbero stati espulsi dal Congresso di Reggio Emilia del 1912. Proprio il Congresso del psi di Reggio Emilia, oltre a sancire l’espulsione dei riformisti di destra (che dettero vita ad una loro formazione politica autonoma), decretò anche il passaggio della maggioranza nella mani della componente rivoluzionaria. Il 1° dicembre 1912, la direzione dell’Avanti!, a cui Scalarini ormai collaborava in pianta stabile, passò dal riformista Treves a Benito Mussolini. Questi, pur capendo poco o nulla di satira, intuì che nell’incisività del tratto di Scalarini era possibile far passare più che in tanti articoli di fondo idee e concetti. Le vignette di Scalarini ebbero così un ulteriore risalto sulle colonne del foglio socialista. I toni salirono ulteriormente e culminarono nella clamorosa denuncia dei tragici fatti del 6 gennaio 1913 di Rocca Gorga, in Lazio, dove una dimostrazione culminò con l’uccisione di Carlo Falconi, un bimbo di appena cinque anni. Così lo stesso Scalarini rievocò quell’episodio: Nei primi giorni del 1913, un colpo di moschetto echeggiò in tutta Italia: un carabiniere, campione di tiro, aveva colpito il centro del bersaglio… questa volta al centro c’era il cuoricino di un bambino […]. Apparvero, il giorno dopo, sull’Avanti!, un tremendo articolo di Mussolini: L’assassinio di Stato, e una mia vignetta, dove l’assassinio, con la feluca e la livrea rabescata, brandiva,

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minaccioso, un coltello insanguinato. Poi ne apparve un’altra: La vittoria, dove si vedeva la bara del bambino trucidato, sulla quale sventolava, gloriosa, la bandiera tricolore. Cominciò in quei giorni, una furibonda campagna contro il militarismo. Eccolo, lordo di sangue, superbo, che calpesta l’Albania stesa a terra. La didascalia diceva: - Quando c’è un diritto da violare, una legge da vilipendere, una libertà da calpestare, un popolo da conculcare, un debole da opprimere, là c’è sempre il militarismo. Dopo una rivista militare, ci fu la premiazione degli eroi: - L’avete ammazzato voi quel bambino a Rocca Gorga? - Signor sì. - Bravo! Ecco la medaglia d’oro al valore militare13. Il connubio tra la violenza agitatoria di Mussolini e la riflessività graffiante di Scalarini lasciò più di un segno. Alcuni anche sgradevoli, come «l’immeritato diploma» di “amico di Mussolini”, che, ironia della sorte, gli verrà attribuito durante il ventennio al tempo delle condanne al confino impostegli proprio per il suo antifascismo14. La fiamma dell’antimilitarismo mussoliniano era però destinata a consumarsi rapidamente. Il conflitto libico era stato infatti solo un tragico prologo della Grande Guerra che incendiò l’Europa, dopo l’assassinio dell’arciduca d’Austra a Sarajevo nell’estate del 1914. Mentre Mussolini, nell’arco di pochi mesi, passava con un arditi esercizi dialettici, dal pacifismo più sfrenato al fronte interventista, abbandonando l’Avanti! e venendo espulso dal partito socialista, lo schivo e mite Scalarini fu durissimo nella sua denuncia del conflitto. Ancora una volta, il suo tratto riusciva a cogliere l’essenza delle cose, a fermare nitidamente in un istante il suo pensiero. La guerra diventava allora un grasso maiale cinto da una corona di alloro che sfila in parata su un cavallo scheletrico. E Mussolini, in una delle rare vignette ad personam di questo periodo, diventava Giuda, pugnalatore a tradimento (e per denaro) del Cristo socialista. Ben presto, però, la scelta neutralista compiuta dall’Italia nel 1914 era destinata a lasciare spazio, dopo una serie di convulse trattative segrete culminate nel Patto di Londra, ai fautori dell’ingresso in guerra. Per il socialismo italiano fu l’ennesimo colpo durissimo. Sul fronte internazionale, l’unità del movimento operaio si era spezzata davanti al patriottico sostegno dato dai vari partiti socialisti ai rispettivi governi scesi in guerra. Sul piano interno il partito socialista, pur rimanendo coerente al suo rifiuto del conflitto, si trovava adesso isolato, privo di qualunque spazio di manovra. L’attività di Scalarini di denuncia degli artefici e dei “pescecani” di guerra proseguì con rinnovato vigore sia con la matita, sia con alcuni scritti, ma in un clima in cui le forbici della censura colpivano duramente i giornali dell’opposizione. Egli stesso cadde più volte sotto la sua scure, subendo più di un processo. Avverso a qualunque forma di retorica, a guerra finita, proprio mentre l’euforia per la vittoria stava già lasciando spazio nell’opinione pubblica borghese al mito della “vittoria mutilata”, Scalarini tornò più volte sull’argomento, mettendo in evidenza gli assurdi costi umani, materiali e morali dell’avventura bellica. A guerra conclusa, il “mondo nuovo” a cui si era spesso fatto riferimento nei duri anni del confronto bellico lasciò ben presto spazio a nuove e più cocenti disillusioni. Sul piano politico interno, si apriva indubbiamente una stagione nuova: le elezioni del 1919, svoltesi con la nuova legge elettorale proporzionale, videro l’ascesa dei grandi partiti di massa: quello popolare e quello socialista. Paradossalmente, proprio questa svolta, unita al declino della classe dirigente liberale,

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mise ancora più a nudo i limiti dello Stato liberale. Lo stesso movimento operaio era diviso: gli echi della rivoluzione d’ottobre russa misero ancora più in evidenza le mille anime del partito socialista. Sul piano economico, la crisi legata alla riconversione dell’economia di guerra divideva il pensiero economico sulle soluzioni da adottare e accentuava le differenze tra i ceti sociali. Il clima di incertezze e di scontro sociale fornì inoltre alla graffiante matita dell’Avanti! più di un motivo di ispirazione e di denuncia dei nefasti connubi del “potere” (alta borghesia, mondo affaristico, grande industria ambienti agrari, massoneria) attorno alla questione chiave della gestione degli oneri del dopoguerra. Di fronte all’emergere del fascismo, Scalarini ne comprese immediatamente la valenza e i pericoli. Del resto, insieme ai redattori dell’Avanti! fu tra i primi a subire una delle prime “spedizioni punitive” delle camicie nere nell’aprile del 1919. Alla fine del 1920, quando ormai l’illusione rivoluzionaria del “biennio rosso” volgeva al termine, mentre il fenomeno dello squadrismo dilagava ormai in tutto il paese, Scalarini lo ritrasse in una delle sue vignette più famose ed azzeccate: Il figlio della guerra. Citando San Luca, disegnò uno squadrista in fasce, con fez e pugnale stretto in mano, amorevolmente coccolato da uno scheletro (la guerra) avvolto dal tricolore e pronto ad essere riposto in una confortevole mangiatoia (il capitalismo). Di fronte all’avanzata del fascismo, la sinistra si dimostrò incapace di fare un fronte comune. Al Congresso di Livorno del 1921 le componenti dell’Ordine Nuovo di Togliatti e Gramsci e quella di Bordiga uscivano dal psi di Serrati dando vita al partito comunista d’Italia. Poco dopo sarebbe stata la corrente dei riformisti di Turati a dare vita ad una formazione autonoma (il psu). Scalarini, che considerava l’unità del movimento operaio un elemento imprescindibile per l’affermazione dell’ideale del socialismo, restò nel psi e continuò a disegnare sull’Avanti!, ma con la crescente consapevolezza che gli spazi di manovra per evitare il disastro si stessero sempre più assottigliando. Scorrendo la sua produzione negli anni convulsi che precedettero la marcia su Roma, è possibile ricostruire con chiarezza il percorso compiuto dal fascismo durante la sua ascesa al potere. Il giudizio di Scalarini fu da subito durissimo e senza appello sia per il fascismo e il suo capo, rei di avere liberato la violenza bestiale che si nasconde nel cuore di ogni uomo, ma anche per coloro che, per tornaconto o cecità, nel fascismo vedevano uno strumento per assicurare stabilità e governabilità al fragile Stato liberale. Così si scagliò contro la monarchia, contro quella parte del partito popolare pronta ad inchinarsi ai voleri dei vertici ecclesiastici e contro la classe dirigente liberale. Emblematica, in tutta la sua amara verità, la tavola che ritraeva il vecchio statista, il protagonista indiscusso della politica primo novecento chiamato a curare l’agonizzante regime liberale, Giovanni Giolitti, avanzare barcollante appoggiandosi su un manganello (simboleggiante il fascismo) e dirigersi, ignaro, verso l’orlo di un precipizio. Che il fascismo fosse qualcosa di più del “bastone della vecchiaia” di Giolitti e in genere dello Stato liberale fu del resto chiaro nella fase che seguì alla nomina di Mussolini a presidente del Consiglio. Dopo l’ottobre del 1922 l’impegno di Scalarini sull’Avanti!, nonostante il crescente clima di intimidazione e le censure, si accrebbe ulteriormente. L’inesorabile scivolare del paese verso il regime fu documentato in una sorta di cronaca scritta in punta di matita. La censura, le violenze e le intimidazioni delle elezioni del 1924, il delitto Matteotti e il processo-farsa di Chieti contro gli autori materiali dell’uccisione del deputato socialista furono descritti con un tratto che si faceva ogni giorno più amaro. Oltre alle continue devastazioni materiali dell’Avanti!, il mite Scalarini dovette subire più volte le violenze fisiche delle squadracce fasciste. Costretto a bere olio di ricino

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o a subire, lui e la famiglia, continue intimidazioni, Scalarini si mantenne fermo nei suoi propositi, continuando con noncuranza a consegnare metodicamente i suoi disegni in redazione e collaborando nel contempo con il settimanale per ragazzi Cuore e con l’Asino. Finché giunsero le leggi contro la libertà di stampa e di associazione che misero definitivamente a tacere ogni tipo di opposizione. Scalarini, “l’amico di Mussolini” fu tra i primi a cadere sotto la scure repressiva del regime. Il 10 gennaio 1926 usciva sull’Avanti! la sua ultima vignetta. Le persecuzioni del fascismo Il giro di vite contro gli oppositori avviato con le cosiddette “leggi fascistissime” fu l’inizio della repressione contro gli antifascisti da parte del regime. Scalarini pagò un prezzo durissimo. Nel novembre del 1926, l’ennesima incursione da parte dei picchiatori fascisti nella sua abitazione milanese gli provocò gravi lesioni (frattura della mandibola e commozione cerebrale), costringendolo al ricovero e lasciandogli segni indelebili nel fisico. Era solo l’inizio. Il 1° dicembre di quello stesso anno, appena rientrato dall’ospedale, Scalarini venne arrestato e trasferito a San Vittore. Insieme ad altri antifascisti, subì la condanna al confino. La prima tappa del suo calvario, da lui stesso ricostruita nel libro autobiografico redatto nel 1943 (Le mie isole), fu l’isola di Lampedusa. Sempre in catene fu quindi trasferito qualche mese dopo nell’isola di Ustica, dove qualche tempo dopo riuscì a farsi raggiungere dalla moglie e dalle figlie Claudia e Giuseppina. In condizioni difficili e in precarie condizioni di salute, debilitato ulteriormente dalla febbre tifoide contratta per aver bevuto l’acqua contaminata di alcuni pozzi, Scalarini rimase a Ustica fino al 7 novembre 1929. Il rientro a Milano fu certamente una liberazione per lui e la sua famiglia ma non mise fine all’accanimento delle autorità fasciste nei suoi confronti. Il provvedimento di libertà vigilata emesso nei suoi confronti era seguito dall’espresso divieto di poter firmare «qualunque suo lavoro di qualsiasi genere». La sua arma principale, la matita, veniva quindi forzatamente spuntata dal regime. Nei dieci anni che separarono il suo ritorno nel capoluogo lombardo dallo scoppio della seconda guerra mondiale, e che segnarono il periodo di maggiore consenso interno del regime mussoliniano, Scalarini fu costretto ad alcune collaborazioni saltuarie e in ogni caso sotto altro nome. Si dedicò innanzitutto alla narrativa per l’infanzia, pubblicando nel 1933 (con la firma della figlia maggiore Virginia) per l’editore Vallardi Le avventure di Miglio e lavorando sporadicamente col Corriere dei piccoli e per la Domenica del Corriere. L’amicizia col cartellonista Dudovich gli consentì di preparare alcuni bozzetti di manifesti pubblicitari. Gli offrì una collaborazione anche Cirio per il quale coniò, tra l’altro, il famoso slogan «come natura crea Cirio conserva». L’ingresso in guerra dell’Italia a fianco dell’alleato nazista, annunciata da Mussolini il 10 giugno 1940, aprì un nuovo doloroso periodo per la vicenda personale di Scalarini. Anche se sessantasettenne, la “matita del socialismo” italiano era evidentemente considerata ancora un pericolo per il regime. Il 15 luglio venne nuovamente arrestato nella sua casa di Gavirate e trasferito, insieme ad altri antifascisti, a Istonio, in Abruzzo. Le sue condizioni di salute, però, peggiorarono: in ottobre, venne trasferito a Bucchianico, vicino Chieti e quindi, in dicembre, gli fu comunicato che poteva rientrare a Milano, anche se sempre in libertà vigilata. Le aspettative di Mussolini di sedersi da vincitore al tavolo della pace andarono ben presto deluse. Dopo le sconfitte dell’Asse sui fronti russo e africano, con lo sbarco alleato in Sicilia il conflitto arrivava in Italia, finendo ben presto col travolgere il fascismo e il suo duce. Tuttavia, l’allontana-

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mento di Mussolini ad opera del re dopo la seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 e le scene di giubilo che ne seguirono in tutto il paese furono solo un momentaneo intermezzo del dramma vissuto dal paese. L’armistizio dell’8 settembre, con lo sfaldamento dell’esercito, la fuga precipitosa dei Savoia verso Brindisi, e l’occupazione del Centro-Nord ad opera dell’esercito tedesco erano infatti destinati ad aprire nuovi e se possibile ancor più tragici scenari. Sebbene ormai anziano, Scalarini visse in prima persona, assieme alle figlie, alcuni momenti della guerra di Resistenza che si stava combattendo nell’Italia occupata. Proprio nel corso del 1943, dopo la liberazione di Mussolini da parte dei tedeschi e la costituzione della Repubblica Sociale, Scalarini scampò ad una ondata di arresti contro i vecchi oppositori del fascismo. La gioia seguita per la fine della guerra e la liberazione gli fu però resa amara dalla scomparsa della figlia Giuseppina e dell’adorata compagna di vita Carolina. Gli ultimi anni All’indomani della Liberazione, nel clima di fervente ripresa della vita politica del paese, Scalarini riallacciò i contatti con i vecchi compagni, e tornò al lavoro, riavviando ad esempio la collaborazione con l’Avanti!. Tuttavia, le vicende vissute negli ultimi anni, i recenti lutti familiari e problemi di salute legati all’età gli consentirono un’attività saltuaria. Anche se con una minore energia rispetto ai suoi anni migliori, e spesso attingendo a bozzetti già prodotti in precedenza, Scalarini sottolineò comunque con la consueta acutezza alcuni eventi-chiave della politica del tempo. Salutò la Libertà resuscitata, denunciò le responsabilità dei Savoia nel disastro della guerra e ancor prima nell’avvento al potere del fascismo. Bollò con uno dei suoi arguti giochi di parole (L’uovo qualunque anziché l’Uomo qualunque) lo schieramento del «si stava meglio quando si stava peggio» fondato da Guglielmo Giannini che nell’immediato dopoguerra ebbe una momentanea fortuna elettorale tra gli ambienti della ricca e media borghesia di centro e di destra. Fedele al suo umanitarismo socialista, ma di fiera matrice laica, attaccò il nuovo partito cattolico, la democrazia cristiana e, dopo il voto favorevole dei comunisti all’inserimento nell’articolo 7 della Costituzione dei Patti Lateranensi, disegnò, ispirandosi ad una precedente vignetta disegnata in occasione della Guerra di Libia, un “comunista democristianizzato” pieghevole, fatto a mo’ di compasso, ma con tanto di falce e martello, docile strumento nelle mani di un prelato. Dal suo ritiro di Gavirate, dove conduceva una vita semplice e riservata, pubblicò su alcuni numeri del giornale socialista i suoi ricordi e le sue riflessioni e coltivò il progetto di pubblicare una raccolta dei suoi disegni. Le sue energie, tuttavia, si andarono progressivamente affievolendo e nell’inverno del 1948 cadde ammalato. Si spense la mattina del 30. «Sono stanco, sono molto stanco», furono le ultime parole che Giuseppe Scalarini scrisse, per parafrasare il titolo di una vignetta disegnata qualche tempo prima, sul libro della sua vita.

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43 Il libro della vita, s.d. Cfr. M. De Micheli, Giuseppe Scalarini, Milano, Edizioni Avanti! 1962, p. 40. R. Di Nunzio, Giuseppe Scalarini, la matita del socialismo italiano, in Almanacco socialista. Le immagini del socialismo. Comunicazione politica e propaganda del PSI dalle origini agli anni Ottanta, Milano 1984, p. 266. 3 Oltre al padre Rainero Scalarini e alla madre Virginia Lonardi, Giuseppe aveva un fratello gemello, Primo, e due sorelle Francesca e Dina. 4 E. Garin, Socialismo e Università, in Il socialismo in Firenze e provincia (1871-1961), a cura di S. Caretti e M. Degl’Innocenti, NistriLischi, Pisa 1987. 5 Ibidem. 6 Ibidem, p. 267. 7 Il titolo della testata riprendeva uno degli pseudonimi usati da Teofilo Folengo (Mantova 1491-Campese 1544), esponente di spicco della poesia maccheronica-goliardica e autore dell’Opus maccaronicum o Maccaronee (pubblicata in più edizioni nel 1517, nel 1521, nel 1540 e postuma nel 1552) nelle quali il latino classico si fonde con espressioni italiane e dialettali. 8 La Direzione, Niente programma!…, in “Merlin Cocai”, 1° novembre 1896, p. 1. 9 Al pubblico, in “Merlin Cocai”, 24 marzo 1897, p. 1. 10 N. Colajanni, L’Italia nel 1898. Tumulti e reazione, Milano, Società editrice lombarda, 1898. 11 Era questo il titolo della copertina del secondo numero del settimanale illustrata proprio da Scalarini (cfr. La Terra, anno I, n. 2, 8 maggio 1898, p. 1) 12 Carolina e Giuseppe si sarebbero sposati con rito religioso solo nel 1945, dietro espresso desiderio di Carolina, ormai in punto di morte. 13 G. Scalarini, Al centro del bersaglio il cuore di un lavoratore, in “Avanti!”, Milano, 1° agosto 1948. 14 «Stemmo insieme [all’Avanti!] due anni» - avrebbe ricordato Scalarini dopo la fine del fascismo - «ma un’amicizia vera e propria non ci fu mai, un po’ per il mio carattere selvatico, e un po’ per il suo, non molto disposto alle amicizie, tant’è vero che Mussolini di amici non ne ebbe» (G. Scalarini, Immeritato diploma di “amico di Mussolini”, in “Avanti!”, Milano, 8 agosto 1948). 1

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Mercurio, Dio del commercio, 1911 È l’anno della guerra di Libia. Giolitti si converte al dio del commercio Mercurio e propone la guerra come strumento per l’espansione economica e coloniale. Scalarini propone un Mercurio “riveduto e corretto”, che della divinità classica conserva solo le caviglie e l’elmo alati e il bastone, mentre per il resto indossa una divisa e sfoggia una serie di decorazioni attribuitegli dai circoli politici e culturali guerrafondai.

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La guerra, 1914 Una delle vignette più belle e conosciute di Scalarini dell’ottobre 1914. L’iconografia è quella allegorica della danza macabra. Un maiale, che rappresenta i profittatori e i guerrafondai, con la testa coronata di alloro monta lo scheletro di un cavallo con la gualdrappa a lutto L’Italia, che segretamente sta già avviando trattative con l’Intesa, parteciperà presto a questa tragica parata.

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C’è della gente che vorrebbe gettarvi l’Italia!,1914 Novembre 1914. Inizia la campagna interventista, di cui è protagonista anche l’ex direttore dell’Avanti!, Benito Mussolini, che sarà espulso dal PSI pochi giorni dopo. Il paese è sull’orlo di un vulcano, anzi davanti alla bocca

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di un cannone pronto a sparare. E c’è chi vorrebbe gettarvi l’Italia, ammonisce Scalarini.

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La nascita del 1915, 1915 1° gennaio 1915. Scalarini inserisce il neonato, che simboleggia l’anno che nasce, dentro la bocca di un cannone. L’immagine è profetica: il 1915 sarà l’anno dell’ingresso in guerra dell’Italia.

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Lo stivale prima della guerra e dopo,1915 21 febbraio 1915. In concomitanza con le giornate di mobilitazione delle forze neutraliste, segnate da duri scontri tra polizia e dimostranti, Scalarini mostra quale potrebbe essere il destino dello “stivale” italico se prevalessero i fautori della guerra. Suola chiodata e un enorme sperone, ma pellame logoro e tacchi consumati.

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Quante bocche intorno alla bocca del cannone,1915 24 novembre 1915. L’Italia è scesa in guerra da sei mesi esatti. Mentre sull’Isonzo ruggiscono le bocche del cannone ed infuria la quarta grande offensiva voluta dallo Stato maggiore italiano, ben altre bocche tengono banco sul fronte interno.


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50 Oro, incenso e… mira, 1915 Epifania del 1915: i socialisti sono sempre più isolati nel panorama politico nazionale nel difendere la neutralità. L’oro degli industriali favorevoli alla guerra si fonde con l’incenso della stampa interventista, della quale fa parte Il Popolo d’Italia di Mussolini nel chiedere a gran voce la guerra. E nello sparare a zero contro i socialisti.

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L’albero della guerra, 1915 8 febbraio 1915. Nel paese si tengono manifestazioni di piazza a favore dell’intervento. Scalarini mostra le vere radici dell’albero della guerra (non a caso un cipresso), ai piedi del quale giace - ormai morto e sepolto - il diritto.


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54 52 Il Nemico, 1912 Scalarini dipinge un militarismo “straccione” a difesa del capitalismo pronto a lanciarsi al passo di carica (ma su un cavallo smunto e a rotelle) contro il proletariato in marcia. Il cannone fumante a tracolla rievoca anche i disordini di Milano del 1898, durante i quali il generale Bava-Beccaris ordinò alle sue truppe di sparare contro la folla. 53 Mentre si accorciano i limiti di statura,

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si allungano i tentacoli della piovra, 1913 Scalarini ironizza sulle normative sulla leva, tra cui quella che ha abbassato di 1 centimetro l’altezza minima per il servizio militare per adeguarla all’altezza (1 metro e 54) di Vittorio Emanuele III. Mentre si accorciano i limiti di statura – chiosa Scalarini – si allungano i tentacoli della piovra. La piovra (Polipus Militaris) è il militarismo.


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La pace – La guerra, 1914 Prosegue la campagna pacifista di Scalarini. L’economia di pace e quella di guerra a confronto: le ciminiere diventano cannoni.

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Che cosa diventa l’umanità,1914 La Prima Guerra mondiale è appena scoppiata e l’Italia ha dichiarato la propria neutralità. Scalarini, come già avvenuto in passato con il conflitto di Libia, tratteggia simbolicamente il ritratto dell’uomo trasformato in bestia dall’odio.

56 Le quattro operazioni dei fasci, 1915 Febbraio 1915. Si tengono le prime manifestazioni dei fasci d’azione a favore dell’entrata in guerra dell’Italia. Scalarini spiega ai suoi lettori le quattro “espressioni” che caratterizzano l’interventismo democratico. 57

In che modo la pace è assicurata dalla triplice: l’angelo pende, impiccato, dai tre fucili incrociati, 1912 Dicembre 1912. La guerra di Libia si è conclusa da poco e le diplomazie delle grandi potenze sono al lavoro. L’Italia, che dal 1882 è legata con Germania e Austria dalla Triplice Alleanza, ottiene il rinnovo anticipato del trattato (la scadenza era fissata nel 1914) e soprattutto il tacito riconoscimento di Berlino e Vienna della conquista di Tripolitania, Cirenaica e Dodecanneso. La pace è assicurata… sulla punta delle baionette.

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Le invenzioni di guerra. Il socialismo pieghevole, 1916 Si ironizza sulla decisione dei socialisti riformisti di entrare nel governo di unità nazionale formato nel giugno 1916 e affidato a Boselli con lo scopo di fronteggiare l’emergenza determinata dall’offensiva austriaca tra l’Adige e il Brenta (la Strafexpedition, la “spedizione punitiva”). La guerra, sottolinea caustico Scalarini, ha partorito l’ennesimo prodigio della tecnica: il socialista pieghevole. Il prototipo è Bissolati, il cui profilo appare riconoscibile nella vignetta, che ha ceduto alle lusinghe dei guerrafondai.

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Bocca del calibro 420. Il nazionalismo si accinge a mangiare il mondo,1916 3 agosto 1916. Mentre attorno a Gorizia, al San Michele e al Sabotino ci si accinge a lanciare la sesta battaglia dell’Isonzo, Scalarini dipinge la bocca del nazionalismo che, avidamente, si accinge a divorare il mondo stesso.


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60 I vitelli, 1919 Scalarini ricorre ad un altro suo tradizionale strumento di satira, quello della “storia animata” nel ripercorrere gli eventi del conflitto appena concluso. Usando il classico stile della favola e fondendo sapientemente testo ed immagini egli tratteggia l’amaro destino del proletariato, da sempre carne da macello.

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61 I nuovi confini d’Italia, 1919 Mentre in Italia tiene banco la questione del passaggio della città di Fiume all’Italia e dilaga il mito dannunziano della “vittoria mutilata”, Scalarini traccia i nuovi confini del Regno unendo le ipotetiche cime montuose dedicate alle varie voci del bilancio umano della guerra. Da notare le altimetrie, che riportano le impressionanti cifre di ciascuna voce e l’Adriatico, ribattezzato emblematicamente “Mare di sangue”. 62 La guerra. Alle madri le casse mortuarie, agli eroi le casseforti, 1921 63 Sulle rovine della guerra, 1921 Il lascito della guerra secondo Scalarini. 64 Il centenario dantesco,1921 Prendendo spunto dalla ricorrenza del sesto centenario dalla morte di Dante, Scalarini fornisce una sua personale interpretazione, in chiave contemporanea di Inferno, Purgatorio e Paradiso.

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Mentre tutti gridavano: uccidi, poi avrai la medaglia, 1921 Febbraio 1921. Il paese è attanagliato da una crisi i cui effetti ricadono principalmente sui ceti piÚ deboli. Le promesse del tempo di guerra restano sulla carta. Scalarini ricorda al proletariato le posizioni del partito socialista.

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66 I denari per gli impiegati non ci sono, ma per gettarli nei pozzi, sì!, 1921 Nel corso del 1921 la crisi economica si riacutizza. Mentre la CGdL chiede una serie di misure per fronteggiare l’emergenza, tra cui l’aumento del livello dei salari dei dipendenti dello Stato, Giolitti, ritratto con a fianco un manganello, si mostra poco propenso alle concessioni. Il grosso delle risorse finanziarie è destinato ad altre voci di spesa.

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L’Esercito succhia alla Nazione dissanguata tre miliardi e la Marina uno, 1921 Settembre 1921. Nonostante la crisi continui, le spese militari continuano a dissanguare un paese ridotto allo stremo e ad arricchire i capitalisti.

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Si gettino via le armi, si colmi con esse la frana, per modo che la Civiltà possa riprendere il suo cammino, s.d. Il cammino della Civiltà, interrotto dalla guerra, riprende con la messa al bando degli strumenti di morte.


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69 69 Hindenburg, presidente della Repubblica Tedesca, 1925 Dopo la morte del socialdemocratico Ebert, il feldmaresciallo Hindenburg, già comandante supremo dell’esercito tedesco durante la Prima Guerra mondiale, viene eletto nuovo presidente della fragile Repubblica di Weimar. Agrari e industriali preparano la strada ad un nuovo Reich.

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70 L’impero inglese, 1924 Aprile 1924. Si inaugura a Wembley la British Empire Exhibition. L’Inghilterra celebra il suo ruolo di grande potenza mondiale. Scalarini traccia causticamente il volto nascosto del British Commonwealth trasformando il simbolo della sterlina (e dunque dell’imperialismo) in una enorme piovra.


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La guerra davanti al tribunale della storia, 1920 Ritratti di due dei responsabili della guerra: il volto baffuto del kaiser tedesco Guglielmo II (in alto) e il cranio coronato e scimmiesco - ma con i caratteristici favoriti – di Francesco Giuseppe d’Austria-Ungheria.

72 Enrico Ferri, 1913 Enrico Ferri, esponente della corrente integralista del socialismo italiano e direttore dell’Avanti! all’inizio del Novecento. Nel marzo 1912, dopo avere votato a favore del decreto di annessione della Libia all’Italia, diede le dimissioni da deputato uscendo dal Partito socialista. Per questa sua scelta, Scalarini lo dipinge come lo scheletro di se stesso.


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Ma cosa hai fatto? Niente, mamma; abbiamo giocato alla conferenza della pace, ed io facevo la parte dell’Italia, s.d. La storia si ripete. L’Italia, nuovamente spogliata di ogni suo avere, dopo la Conferenza di Pace.

74 E adesso andiamo a proclamare l’indipendenza dell’Albania, s.d. 75 Il bolscevismo, s.d. Il volto della repressione nella Russia bolscevica. Sullo sfondo un mesto corteo di deportati in Siberia. 76

Gli Stati Uniti d’Europa spazzeranno via i confini, focolai di guerre, 1946 In un’Europa in cui si moltiplicano le frontiere (e le barriere) tra i popoli, Scalarini propone gli Stati Uniti d’Europa, nuova incarnazione dell’Internazionalismo socialista.

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77 Disuguali-uguali anche dopo la morte, 1916 Uguaglianze e diseguaglianze tra ricchi e poveri. In vita… e dopo la morte.

78 Le trattative, 1915 Mentre l’Europa è in guerra, l’Italia di Salandra cinicamente tratta con le potenze vicine (in questo

79 L’albero di Natale, 1922 Vigilia di Natale del 1922: in casa del ricco e in quella del povero.

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caso con il rappresentante tedesco von Bülow) il suo ingresso nel conflitto. Il tutto, chiosa Scalarini, sulla pelle del proletariato italiano.


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80 80 Si ricordi la Borghesia che è il proletariato che le fa battere il cuore, che la fa vivere e la può far morire, 1919 Ritratto del borghese-tipo. In testa il berretto dei Regi Carabinieri, alla cintola la sciabola, a tracolla il fucile e il cannone, le altre armi dei militaristi e un foglio della stampa moderata e benpensante. Dai calzoni penzola un rosario, mentre dai polsini con i gemelli la mano ingioiellata stringe il “classico” grimaldello. Nonostante questo armamentario, il cuore, cioè la linfa vitale, della classe borghese resta il lavoro oscuro dei proletari.

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L’eroismo del proletariato, 1915 Scalarini riproduce l’immagine classica del proletario (presente in larga parte dell’iconografia socialista di inizio secolo, e la correda con le mille ferite che ne trafiggono il costato. La vera guerra si combatte ogni giorno sul posto di lavoro.


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82 Il salario dei contadini, che salto! 1923 83

Lista bianca e borsa nera, s.d. Gli effetti della guerra. Mentre le masse sono costrette ad una dieta in bianco, nel paese dilaga la borsa… nera.

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Le liste, 1924 Marzo 1923. Mentre i fascisti e i suoi fiancheggiatori predispongono la lista per le elezioni del 1924, ben altre liste affliggono i ceti più deboli del paese.

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La morsa della fame, 1924 A pochi giorni dalle elezioni, svoltesi in un clima di violenze e intimidazioni, l’unico dato certo è rappresentato dalla morsa della crisi che attanaglia le case dei poveri.

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86 Come! Io devo pagare?, 1914 87

L’emigrante va in giro per il mondo, lasciando in ogni paese brandelli della sua povera carne, 1924 In concomitanza con l’inasprimento, per la legge Hughes, delle limitazioni all’immigrazione europea negli Stati Uniti, Scalarini denuncia la piaga dell’emigrazione, ultima risorsa per larghi strati del paese.

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88 Il processo Matteotti. La verità è in marcia,1924 Agosto 1924. Siamo in piena crisi Matteotti. Il deputato socialista rapito il 10 giugno da squadristi è quasi sicuramente stato ucciso, ma il suo corpo ancora non si trova. Dalle prime istruttorie emergono i legami tra i vertici del fascismo e gli esecutori del delitto. La luce della verità, tuttavia, avanza tra mille ostacoli. 89

Natale. Ed ella partorì il suo figliolo primogenito, e lo fasciò, e lo pose a giacer nella mangiatoia. S. Luca. 2.7.,1920 Natale 1920. Una delle vignette più conosciute di Scalarini. Citando il Vangelo, come nella migliore tradizione del socialismo, egli sintetizza in una immagine la genesi del fascismo, costituitosi ufficialmente nel marzo dell’anno prima.

90 La guerra, 1946 Il mostro della guerra, con le insegne della monarchia e del fascismo incombe nuovamente sull’esistenza dei lavoratori italiani.

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91 Attraverso questo bastone passerà la volontà del Paese, 1924 Gennaio 1924 ci si appresta a sciogliere la Camera in vista delle elezioni del 6 aprile. Il manganello fascista è un condotto, sorretto da pilastri che rappresentano i poteri forti che lo sostengono, attraverso il quale scorreranno le schede elettorali. L’esito del voto appare scontato. 92

Le urne, 1924 Il clima che precede il voto del 1924. Le ceneri della democrazia riposano accanto alle lapidi che rievocano le spedizioni punitive fasciste contro le sedi del movimento operaio e socialista.

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La cimice reale, 1924 25 ottobre 1924. Nello stesso giorno in cui don Luigi Sturzo, leader del partito popolare, dietro pressioni di Mussolini e su richiesta del cardinale Gasparri lascia l’Italia per l’esilio di Londra, Scalarini accusa duramente l’inerzia della monarchia sabauda. La “cimice” reale, grondante di sangue innocente, ha ormai scelto di appoggiare il fascismo e di calpestare le libertà statutarie.

94 Liberate mio padre!, 1923 95

- Ma non vede eccellenza, che la pasta le scappa da ogni parte? Bisognerebbe rimpastarla... - La parola rimpasto non esiste nel vocabolario del governo fascista, s.d. Il governo del cavalier Benito Mussolini in difficoltà. Il duce, ritratto in “ghette bianche e code”, cerca di mantenere la coesione con un rimpasto.

96 Mussolini, s.d. L’ultima mascherata del regime L’inconfondibile profilo scarnificato del duce del fascismo.

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La piovra sabauda ha strozzato tutte le libertà, 1946 Ritorna il tema della piovra. Il mostro tentacolare, colluso con il fascismo, è stavolta la monarchia sabauda.

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La corona reale, 1946 La corona dei Savoia, fatta di spine e intrisa del sangue degli italiani, in una vignetta dell’immediato secondo dopoguerra.

99 I delitti fascisti sono stati commessi all’ombra dello scudo sabaudo, s.d. Lo scudo sabaudo ha protetto le violenze fasciste (sullo sfondo, stilizzato, il delitto Matteotti) e incatenato la giustizia. Anche i Savoia devono abbandonare il potere. 100

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Non toccate questo tasto!, s.d. Delitto Matteotti. Si istruisce il processo- beffa di Chieti, che si concluderà con una mite condanna di tre dei cinque imputati. A Dumini, Volpi e Poveromo vengono riconosciute tutte le possibili attenuanti e addirittura la concausa della “debole costituzione fisica” del deputato socialista. Torneranno liberi dopo appena due mesi di carcere.


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La giustizia non ha mai potuto colpire i delinquenti, s.d. Un sicario fascista si fa scudo con il simbolo di casa Savoia dalla spada della giustizia. Torna il riferimento al delitto Matteotti, simbolo della lotta antifascista e l’accusa alla monarchia sabauda di compartecipazione ai crimini del regime.

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La commemorazione dello Statuto, 1923 Viene presentato il progetto di riforma elettorale Acerbo, studiata per dare la maggioranza dei seggi al fascismo e ai suoi alleati. Il settantacinquesimo anniversario della concessione dello Statuto Albertino si festeggia sulla tomba delle libertĂ fondamentali.


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103 Camera del Lavoro, 1911 104 Verso il Congresso di Firenze, 1921 105

Tu qui? Ho dovuto entrarvi per non morire di fame, ma la mia anima è rimasta con te, 1923 Novembre 1923. I lavoratori costretti ad aderire al sindacato fascista per mantenere il posto di lavoro. È il primo segnale dell’avvio della politica fascista di progressivo smantellamento delle organizzazioni di rappresentanza socialista che culminerà nel Patto di Palazzo Vidoni del 1925 - che sancirà il monopolio del sindacato fascista - e nella nuova legge sull’organizzazione sindacale dell’aprile del 1926.

106 Il pensiero compresso esplode, 1923 Secondo dopoguerra. Riprendendo il ritratto del ras fascista usato in una vignetta del 1924, Scalarini illustra gli effetti della repressione delle idee da parte del totalitarismo. Il pensiero, compresso in una sorta di caldaia senza valvola, esplode e si libera, spazzando via l’oppressore.

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Scalarini ovvero: la caricatura politica di Gec (Enrico Gianeri)

“...nella nostra professione il carcere, il bagno, il palo d’esecuzione sono tutte cose che riabilitano…” Jérôme Gauthier

Q

uel 1891, anno in cui il diciottenne travet-ferroviario e figlio di travet-ferroviario, Giuseppe Scalarini pigiò una camicia di ricambio, sei fazzoletti, quattro calzini in una scalcagnata valigia fintapelle per andare dalla nativa Mantova “a risciacquare manzonianamente la matita in Arno” fu un anno pieno di destino. Per la satira politica italiana e, di riflesso, per Scalarini. Erano tempi di ambizioni feroci e di utopie generose. In Sicilia, le Società Operaie si trasformarono nei dinamici “Fasci di Lavoro”; il braccio e la mente si allearono per dar vita al Partito dei Lavoratori dal cui germe, un anno dopo — il 16 agosto 1892 — scindendosi dagli Anarchici, nascerà il Partito Socialista Italiano, a Genova, nella sala della Società dei Carabinieri, in via della Pace. Due suggestivi ravvicinamenti. Fiorirono le Camere del Lavoro e i giornali; quell’“Avanti!” —Enrico Ferri, il macabro clown della feroce caricatura scalariniana avrebbe voluto intitolarlo “Italia Nuova”! — che, dal 1911, doveva diventare la disperata ridotta della mordace ed aggres­ siva satira del nostro più grande polemista grafico e che fu annunziato col famoso Centauro che scaglia la penna. Nel Mantovano e nel Cremonese scoppiavano le rivolte dei contadini; il primo maggio, che aveva appena due anni di vita, si tinse di vermiglio; Filippo Turati trasformò “Cuore e Critica” in “Critica Sociale”. Nel congresso di Capolago, il Socialismo Italiano cominciò a personalizzarsi. Un mondo nuovo ribolliva confusamente in un’Italia mal catalizzata, mentre la preoccupata e insicura di sé Borghesia si sforzava di stringere in mano le redini del potere. Erano gli anni delle romantiche barricate con vecchi pagliericci, botti vuote e tavoli dell’osteria accanto, gli anni in cui le folle si esal­tavano, e commovevano, ai versi dello “Chant des Ouvriers” di Pierre Du­pont “... mal vestiti, alloggiati in tane...”, o a quelli di “The Song of the Shirt” di Thomas Hood “...Work! Work! Work!”; anni in cui, da un lustro, si inebbriavano alle note esaltanti “Noi vivremo del Lavoro - O pugnando si morrà...”. Gli anni della penosa, faticosa e drammatica, trasformazione dell’ar­ tigianato in industria. Anni di fame di pane. Firenze era allora il centro motore della stampa satirica che vi era nata quasi spontanea per germogliazione rabbiosa contro il “Granduca Babbìo”. La gioventù italiana viveva in preda ad una febbre giornalistica polemica dialettica e i giornali nascevano e morivano, duravano o si trasformavano: il “Passatem­po”, “La Lente”, il “Momo”, la “Lanterna di Diogene”, il “Piovano Arlotto”, “Il Caffé”, la “Strega”, la “Zanzara”, la “Torre di Babele”, la “Chiacchiera”, e i due più importanti, il popolaresco “Arlecchino” e il collodiano “Lampione”. A Firenze, si erano scatenate la prima caricaturista spericolata italiana, Elvira Pochini, “Poch”, e quella incorreggibile malalin­ gua, più croce che delizia di Urbano Rattazzi, Marie de Solms la quale suscitò uno scandalo tra le fiorentine benebene col suo femminil veleno abilmente distillato nelle “Matinées Italiennes”. Sinallora, la satira risorgimentale italiana si era però rivelata piuttosto moderata; sia perché quasi improvvisata, sia a causa delle minacciose forbici delle molte censure. L’unico periodico

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che osò sfidare temerariamente, e spa­valdamente, le ire degli emorroici censori fu la genovese mazziniana “Strega”, nata nell’agosto 1849. Le caricature di Gabriello Castagnola mordevano a sangue monarchici reazionari e capitalisti e furono forse le prime in Italia a schierarsi in difesa del Popolo Lavoratore. Di quel popolo che, di sconfitta in sconfitta, vince, e che, un anno dopo, i due ex-goliardi Guido Podrecca e Ratalanga (Gabriele Galantara), reduci dalla semipolitica avventura di “Bononia Ridet”, dovevano causticamente definire sulla testata del loro “Asino”, “Utile pa­ziente e bastonato”. Paziente, sino a quando? Un vecchio proverbio francese ricorda “Il bue non ha coscienza della sua forza”. Il direttore de “La Strega” Nicola Dagnino dovette raccogliere diverse volte i suoi quattro stracci e andare in villeggiatura a Sant’Andrea. Curiosa coincidenza, si chiamava Sant’Andrea anche quella poetica passeggiata oltre Gavirate che Scalarini amava fare lentamente, centellinandosela, nei suoi ul­timi anni. A Sant’Andrea, Dagnino attizzò la sua ira come l’aveva attizzata Daumier nel carcere di Sainte Pélagie, condannato per il famoso “Gargantua”. “La Strega”, devastata dagli squadristi monarchici guidati dal conte d’Avet, fu co­stretta a mutar titolo, si ribattezzò “La Maga” e infine “La Vespa”. Casta­gnola riparò a Firenze dove prese a collaborare al “Lampione”. Incauti i go­verni che si illudono di domare i cervelli con le manette! Altro giornale gloriosamente di sinistra fu l’“Arlecchino” di Napoli — da non confondersi con l’omonimo popolaresco di Firenze —, fondato da Achille de Lauzières nel 1848. Vittima di persecuzioni processi sospensioni multe, il 15 maggio 1848, quando il Popolo Partenopeo insorse contro lo spergiuro Ferdinando, i suoi redattori barattarono la matita col fucile e si batterono coraggiosamente sulle barricate tra via Toledo e via Santa Brigida. I Borbo­nici saccheggiarono e diedero alle fiamme la redazione, degni antenati dei bor­bonici in camicia nera che devasteranno il 4 settembre 1922 l’“Avanti! ” e l’“Asino”. “Quelli erano tempi — commentava Francesco Redenti, primo caricatu­rista del “Fischietto ”, e caricaturista “clandestino” della Milano quarantot­tesca antiradetzky. Aveva combattuto sulle barricate di Porta Tosa — in cui si dovevano sostenere i propri princìpi con la matita e con lo schioppo…”. Infatti, passato al neonato satirico torinese, continuò la nobile battaglia e tra­sfuse nel cognato Virginio (Ippolito Virginio) la sua mordace vena polemica e il suo sconfinato amore per la Libertà e la Giustizia. La Caricatura è l’arma essenziale dei veri democratici in difesa della vera Libertà. Erano confezionati di questa pasta i caricaturisti “impegnati” dell’ultimo decennio dell’Ottocento che si catalizzavano intorno ai molti periodici satirici sforzandosi di raccogliere d’oltralpe le grida e gli incitamenti di Gillray e John Leech, di Daumier e André Gill, di tutti i grandi ribelli della matita che si erano spavaldamente spericolatamente temerariamente autoeletti voce delle mas­se che non osavano, o non potevano, parlare poiché non conoscevano ancora né la loro forza, né le loro debolezze. Di questa pasta era fatto il diciottenne Giu­seppe Scalarini che respirava l’aria nuova diffondentesi nel mondo, e s’esaltava alle idee seminate da fogli dai titoli strambi e battaglieri. Come tutti i caricaturisti, anche Scalarini era nato con la febbre della Ca­ricatura nel sangue. L’anno prima, 1890, si era rivelato con alcune tavole ad una esposizione umoristica a Mantova e i suoi lavori avevano raccolto gli elogi dei visitatori e una critica favorevole dalla democratica “Provincia di Man­tova”. Ma la cosa più importante fu l’amicizia preziosa ch’egli strinse, in quella mostra, con Ivanoe Bonomi, anche lui mantovano. Allora i moduli fer­roviari erano ancora il pane per il giovane disegnatore, il quale considerava però la Caricatura suo essenziale companatico.

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E’ stato scritto che nella maniera grafica di Scalarini si trova una evidente influenza dei caricaturisti tedeschi, da Busch a Heine, e particolarmente di quelli del “Fliegende Blätter” (non “Fliegenden”!), Fogli Volanti, di Kaspar Braun. Non ci pare. I disegnatori dei vari Blätter (Fliegende, Lustige, Meggen­dorfer) erano privi di spina dorsale. Anodini, sterilizzati, cincischiati caricaturi­ sti uso famiglia che nulla avrebbero potuto trasmettere ad un caricaturista intelligente. Th. Th. Heine, grande, polemico, coraggioso disegnatore sociale e socialista, scrisse del “Fliegende”: “E’ il giornale più ottuso del mondo, i cui direttori non hanno la minima preoccupazione artistica e non si interessano che di cani...”. La forza di Scalarini caricaturista risiede, a nostro avviso, so­prattutto nella sua prepotente personalità. Fu uno dei pochi, pochissimi, cari­caturisti coerenti sempre alla loro linea grafica. E alle loro idee. Il “bilancio comunale”, legato dietro al cocchio del clericalesimo trion­fante sul primo numero del “Merlin Cocai” (1896) è già inconfondibilmente Scalarini come è evidentemente una “composizione Scalarini” la jena — che preannunzia il generale Graziani — aggirantesi intorno alle tombe (1896) e le mani, carta di identità di ogni disegnatore, sono sin da allora mani Scala­rini. E in quel 1896 il disegnatore mantovano non si era recato ancora in Germania, né aveva poppato latte artistico teutonico in quanto, credo, non ac­quistasse i periodici di Monaco essendo la circolazione dei giornali stranieri ristrettissima in Italia. Non è esatto che egli abbia collaborato allora al “Fliegende”. In verità dapprima fornì al periodico tedesco soltanto alcune “ idee ” che furono pub­blicate, sì, ma interpretate sviluppate e firmate dagli abitudinari collaboratori tedeschi del settimanale di Monaco. Soltanto pochi disegni, autentici, di Sca­larini comparvero sul “Fliegende” in seguito. Si è parlato anche di influenza di Thomas Theodor Heine; però Heine, in quei giorni, tentava di sbarcare il difficile lunario disegnando i maledetti cagnolini per gli ottusi cinofili di­rettori del “Fliegende”. E cagnolini continuò a disegnare quasi sonnamboli­camente nei primi numeri del “Simplicissimus”, nato pochi mesi prima del “Merlin Cocai ”. E Olaf Gulbransson, da cui indubbiamente Scalarini ri­caverà la sua maniera ariosa e lineare sino all’esasperazione, quel suo intelli­gente disegnare soltanto l’essenziale, non comparve sul firmamento della Cari­catura che nel 1902. Prima di allora era un assolutamente ignorato disegnatore del “Kristiana Dagsavis”. A noi pare piuttosto che la maniera di Scalarini fosse il grafismo in voga nel suo tempo. Lo sbrigativo grafismo pupazzettaro che aveva introdotto Vamba, Luigi Bertelli, sull’“O di Giotto” (1890) e che fu quindi perfezionato dai tre moschettieri del pupazzetto: Gandolin, Luigi Arnaldo Vassallo, sul “Don Chisciotte” (1892); Yambo, Enrico Novelli, sul “Marciapiedi” (1892) e più tardi da Filiberto Scarpelli sul “Travaso” e altrove, grafismo che è legato al nome di Gandolin benchè Ratalanga, Gabriele Galantara, lo avesse adottato nel suo “Bononia Ridet” sin dal 1888. Un grafismo discendente piuttosto dal Caran d’Ache dello “Chat Noir” di Rudolphe Salis, e dei “Lundis du Figaro”, da Henry Somm (Henri Sommier), da Henri Avelot e altri. Confrontate “Le chien et la puce”, “De Madrid à Moscou”, ecc. ed avrete la chiave dello stile caricaturale a cavallo tra i due secoli. E tornato di moda oggi. Inoltre, le tavole di Galantara dei primi anni dell’“Asino” furono palesemente di ispi­razione carandachiana e cominciarono a diventar Galantara soltanto a nove­cento avanzato. Questa ipotesi è convalidata anche dal fatto che il giovane Scalarini era un ammiratore di Gandolin a cui scrisse - nel dicembre 1893 - offrendo la sua collaborazione tale era il suo desiderio di infilarsi comunque nel romantico e bohémien giornalismo di allora. Svincolatosi dagli “arrivipartenze” e dagli orari degli accelerati, aveva trovato un impiego di disegnatore presso la Ditta

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Cecchini di Borgo San Lorenzo (Firenze), più consono alle sue aspirazioni. Quanti mai impieghi, quante mai professioni non cambiò Scalarini che restò fedele soltanto al giornalismo e alla caricatura! Gandolin riconobbe le “attitudini straordinarie” del giovane mantovano e non è da escludersi che, nolente o volente, il giovane mantovano assimilasse la maniera del direttore del “Don Chisciotte”. I suoi Giolitti, anche quelli dopo il 1911, rivelano una discendenza diretta dal Palamidone gandoliniano come il suo pigmeo re Vittorio è figlio dello “Spiombi” di Vamba! In quegli anni, Scalarini cominciò a collaborare con vignette a diversi gior­nali — dalla “Scena illustrata” di Pilade Pollazzi alla “Rassegna” di Roma — ma la sua personalità, sotto l’aspetto grafico-politico, non si manifestò che coi mantovani “Merlin Cocai” dapprima, e con la più impegnata “Terra” poi. Il “Merlin Cocai ” nacque così come fiorivano allora in molte città periodici satirici politicoelettorali: quattro pagine col paginone centrale illustrato. Era la formula standard. Così erano nati “Fischietto”, “Lampione”, “Spirito Fol­letto”, “Strega”. E nacque nel novembre 1896. Molti giornali umoristici nascevano in novembre — come il “Fischietto”, l’“ Asino” — forse semplicemente per poter mettere sulla testata, dopo pochi numeri, un “Anno II” che dava prestigio. Nel titolo, già dal sapore scalariniano, appariva quella tal ranocchia che turba ancora i sonni dei mantovani e che, collodiana Mangiafuoco, tirava i fili di tre burattini, trista trinità, servidorame del Potere, a cui nell’aprile precedente il monacense “Simplicissimus” aveva dichiarato guer­ra: la magistratura asservita al regime, gli arroganti ufficiali, l’ottusa polizei. Scalarini però sostituì a quest’ultima il suo “cilindruto padrone”, grasso af­famatore. Personaggi che, un quarto di secolo dopo, definirà lapidariamente su una vignetta dell’“Avanti!” in occasione della conquista delle Otto Ore: padrone, prete, carabiniere, bottegaio. Scalarini cominciò subito ad affermarsi come un eccezionale creatore di tipi rendendosi intelligentemente conto che un caricaturista polemico può far presa sul pubblico soltanto grazie ai “tipi”. Daumier combatté ferocemente la Bor­ghesia vermoluta del suo tempo, frustata dall’imperativo di Guizot “Enri­chissez-vous!”, vizio sociale degli ambiziosi cifrati, col suo immortale Robert Macaire, cinico spregiudicato spietato avido; come Henry Monnier la renderà ridicola con gli enfatici sproloqui patriottardi del suo Joseph Prudhomme, e Gavarni con la filosofia spicciola di Thomas Vireloque. Ma con Scalarini che disegnava con bontà i poveri, quei poveri che non conoscono ferie, quei poveri per i quali le parole benessere, divertimenti, agi sono prive di significato, e che non muoiono mai di cancro, di infarto o di embolia, ma sempre e soltanto di miseria; e che disegnava con collera i loro “ge­lidi padroni”, la satira sociale venne ad assumere una forma nuova, più com­ battiva, più polemica, più moderna. Si precisano il suo “affamato macilento”, il suo “ricco enfio porcino lardoso”. La miseria che alimenta la sfacciata e cieca prosperità. Siamo già al Th. Heine del “Durchs dunkeste Deutschland” con i gretti giudici, servi servili del prussianesimo, i poliziotti beoti e brutali, nonni delle SS; i borghesi sfruttatori ottusi ed egoisti che educano i figli con la frusta, fornicano con la serva — o, meglio, con lo stalliere — e “non fanno politica”. Accettano, heil!, tutte le politiche purché li lascino accumular marchi franchi lire. Siamo già all’alba del Kolingen di Albert Engstrom, dello sparuto proletario di Albert Hahm, senior e junior, dei tragici “disperati” di Willibald Krain e di Karl Holz. Si preannunzia l’epopea di George Grosz. Il campo più adatto per combattere quella nobile battaglia non era certa­mente il “Merlin Cocai”; tuttavia, il settimanale che si dichiarò spavalda­mente “socialista” — e in chiave socialista

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erano le scalariniane vignette e i suoi articoli. E quasi presago, annunziò trionfalmente la nascita dell’“Avanti!” — gli procurò un primo processo, 1898, a causa di una caustica vignetta antimilitarista. Il giovane pupazzettaro fu assolto. Frattanto, si era trasferito a Bologna come disegnatore nella litografia Wenk e di lì continuava a colla­borare al “Merlin”. Con 4 vignette polemiche politiche e una caricatura di Carducci partecipò ad una mostra umoristica a fianco degli amici Nasica (Au­gusto Majani) e Ugo Valeri. Il 1 maggio 1898, fondò, col “compagno” Bonomi, che doveva poi cadere “vittima” della sua feroce matita, “La Terra”, il primo giornale dichiaratamente socialista mantovano. Erano i drammatici e sanguinosi giorni delle re­pressioni liberticide del forsennato Luigi Pelloux, dai “talloni rossi”, dal can­none e le manette facili, e del suo Sanciopanza Bava Beccaris. Proletari, associazioni, giornali furon perseguitati. Secondo un caustico commento dell’“Avan­ti”, nessuna pubblicazione era permessa... neppure le pubblicazioni di ma­trimonio! Il 13 maggio, la redazione romana dell’“Avanti! ”, disegnatore Galantara compreso, fu trasferita a Regina Coeli, e i locali vennero devastati. Enrico Ferri riuscì tuttavia ad improvvisare un nuovo gruppo redazionale perché il giornale non subisse interruzioni. Scalarini offri la sua matita per sostituire quella del compagno detenuto; ma la macchina della gelida reazione stava stritolando an­che lui. Accusato di reato contro lo Stato, formula vaga quanto quella dei “vilipendi”, fu condannato malgrado la difesa di Enrico Ferri e, per sfuggire al carcere, fu costretto ad espatriare nella scia del primo grande esodo politico dell’Italia. Si stabilì a Missling, in Austria, accolto da un gruppo di compagni che gli procurarono del lavoro. Quando, nel gennaio 1900, il tipografo e scrittore bo­lognese Amilcare Zamorani, Asper, pensò di dar vita ad una lussuosa rivista artistica che raccogliesse il fiore degli scrittori e degli artisti del momento, “Italia Ride” — visse esattamente 6 mesi, 26 numeri —, il suo direttore artistico Nasica invitò il lontano amico Scalarini a collaborarvi. Dal n. 4 infat­ti apparvero le tavole del disegnatore esule e il suo nome fu compreso nell’elen­co dei collaboratori ufficiali. Fu allora che Scalarini perfezionò la sua inconfondibile maniera penna e matita, quel suo raccontare illustrando, che aveva già preannunziato in alcuni paginoni del “Merlin Cocai”, quel volersi “far capire” ad ogni costo. La caricatura di Scalarini non si può considerare quasi mai soltanto una vignetta satirica; è piuttosto un articolo di fondo espresso a disegni e a parole, e più convincente di qualunque corsivo. Adattissimo alla nostra civiltà iconogra­fica. Un proverbio cinese dice: “Una illustrazione vale diecimila parole”. Tenne i contatti coi giornali italiani; ma nessun suo disegno apparve mai sulle pagine di “Simplicissimus”. Marcello Dudovich fu l’unico italiano che collaborò al battagliero settimanale di Albert Langen. Segnalato dalla rancorosa polizia italiana, Scalarini venne presto espulso dalla Germania dove si era recato; fece una breve comparsa in Inghilterra, in Belgio, in Francia, sinché, grazie all’amnistia concessa da re Vittorio alla sua ascesa al trono, poté tor­nare a Mantova dove — dopo una breve parentesi istriana illuminata dalla sua unione con la dolce Carolina Pozzi — ridiede vita, nel 1903, al vecchio “Merlin Cocai”. Il suo grafismo è migliorato, raffinato dallo studio dei mag­giori disegnatori tedeschi, austriaci, francesi, inglesi, i cui lavori esaminava, nel suo peregrinare da esule, nei caffè e nei ristoranti. Il suo disegno è diventato più scarno e più sintetico; si direbbe che riassuma la natura, ne dia l’essen­ziale; i suoi tipi si illuminano, precisano, caratterizzano. Da un anno, dal 1902, Olaf Gulbransson ha lanciato il verbo della nuova caricatura “Lavorare più di gomma che di matita! Eliminare tutto il superfluo!”. E in questo primo decennio del secolo, la caricatura diventa tutta, più o meno, gulbranssoniana. Il Guglielmo stilizzato a gatto

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(“Pasquino”, n. 3, 1911) è indubbiamente gulbranssoniano. Ma Scalarini teneva più al concetto che all’esecuzione; al risultato della vignetta, al suo compito sociale. Informato che alla fine del 1903 il governo tedesco aveva annullato il decr­eto di espulsione, pensò di tornare in Germania e vi si recò infatti nel marzo 1904. Frattanto era riuscito a stringere rapporti anche col torinese “Pasquino”, diretto allora da Caramba (Luigi Sapelli) e iniziò la sua collaborazione nel n. 15 del 1903. La riprenderà poi regolare nel 1907 e la manterrà sino a tutto il 1911, anche dopo essere stato assunto come caricaturista titolare dell’“Avan­ti!”. L’ultima sua tavola apparve il 5 novembre 1911; poi fu sostituito da Nullo Musini, il medico caricaturista. Nel 1907, inviava da Berlino, le sue tavole a colori vivaci, realizzate con segno inconfondibile che alternava talvolta coi suoi commenti pupazzettati all’avvenimento del giorno. Lo Scalarini del “Pasquino”, benché ospitato in un giornale conservatore di destra, era pur sempre lo Scalarini socialista e le sue vignette polemiche erano tutte in chiave antiborghese, antibellicista, antina­ zionalista. A dire il vero, la maggioranza dei caricaturisti italiani di allora, anche se collaboravano a giornali borghesi — a quali altri, d’altronde, avrebbero potuto collaborare? — non nascondevano le loro simpatie filosocialiste. Scarpelli, Sac­chetti, Ugo Valeri lavoravano all’“Avanti della Domenica” a fianco di Filippo Figari, Nasica e Galantara; come Bruno Angoletta, Senio (il napoletano Giu­ seppe Sciti), Ezio Castellucci lavoravano al podrecchiano “Asino” mentre l’irsuto e zazzeruto, come un beatle, Cesare Musacchio si aggirava pei Congressi dei Lavoratori schizzando profili di “compagni”. Scalarini non collaborò mai all’“Asino” di Podrecca e di Galantara. Un’uni­ca sua vignetta comparve sul n. 52 del 1914 quando Podrecca pendeva già verso l’interventismo, ed era una vignetta riprodotta dall’“Avanti!” e allusiva al processo dell’“Asino”. Raffigurava la magistratura italiana messa al passo dell’oca dall’ambasciata tedesca. Dal von Bulow del Villino delle Rose. Con molte spine. Quando, nel giugno 1911, si apri a Rivoli (Torino) la famosa Esposizione Internazionale Umoristica al “Frigidarium”, Scalarini vi partecipò con sette tavole (“Grand Hôtel d’Italie”, “Risotecnico Ambrosiano”, “Austria e Ita­lia”, “Moda Italiana”, “Università Italiana a Vienna”, “L’aeronauta ine­sperto” e “Frigidarium”) che vendette da un minimo di 60 lire ad un massimo di 150 lire l’una. In tale occasione, fu presentato a Giolitti, presidente della Mostra. Il critico Carlo Beniamino lo elogiò: “...Scalarini è un caricaturista specialissimo, di uno spirito caustico che fa di lui più che un disegnatore umorista, un temperamento di giornalista polemista…”. Era un veder, anzi un preveder, giusto! Un esaltare il grande merito di Scalarini: la personalità! Al Congresso Socialista di Modena, scoppiò la crisi tra “tripolisti” (Bisso­lati, Podrecca, de Felice, ecc.) e “antibellicisti” alla cui testa era Treves. L’“Avanti!” decise di trasferirsi da Roma a Milano e Scalarini fece ancora in tempo a pubblicare, il 1-10-1911, una caustica tavola, “La protesta del­ l’Avanti!”, in cui si vede Oddino Morgari che traina verso Milano il carretto delle sue cianfrusaglie — un busto di Marx rotola per terra —, borbottando: “Ingrata Roma, non avrai le mie ossa!”. Venticinque giorni dopo, appariva sull’“Avanti!” la prima delle circa 4 mila vignette che egli pubblicò sul quotidiano socialista, una vignetta dal chia­rissimo sapore scalariniano che preannunziava quella magnifica requisitoria che è “La Guerra nella Caricatura”, dalla suggestiva copertina col torvo lupo dagli occhi al neon, ghignante su un macabro tappeto di innocenti agnelli sgoz­zati. “I primi effetti della guerra”, fu il preludio della sublime battaglia an­tibellicista che condusse sino al suo ultimo tratto di matita, quando disegnò cioè la suite, paurosamente presaga, che ancor oggi — soprattutto oggi — andrebbe meditata, “Contro la Terza Guerra”. Poiché l’importanza

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di Scala­rini consiste nel fatto che egli non ha parlato soltanto agli uomini del suo tempo; ma si è rivolto agli uomini di tutti i tempi talmente sono perenni, di difficile annosa soluzione, i problemi dell’Umanità. Proprio perché traboccava di autentico amore per la Pace, negli anni insanguinati disegnò con un gusto dell’orrido oscillante tra il Goya di “Yo lo vi!” e il Daumier di “La Paix” o di “La rue Transnonain”, le atrocità della guerra: cadaveri, mutilati alluci­nanti, rovine, madri in lutto, orfani, fucilati per “l’esempio”. Queste sue con­siderazioni condensò nel suo “La Guerra davanti al Tribunale della Storia” (1920), rielaborazione del “Processo alla Guerra” (1913). Fu il redattore capo Nino Mazzoni, suo amico, a facilitargli l’ingresso all’“Avanti!”, realizzando il sogno sognato per oltre 13 anni, tantoché Scala­rini amava commentare felice, di esser nato due volte: il 29 gennaio 1873 e il 22 ottobre 1911. Quando cioè iniziò la dura generosa battaglia. Possedeva sviluppatissima l’essenziale dote giornalistica dell’interpretazione dell’avvenimento, della soluzione grafica rapida e sintetica con l’immagine dise­gnata di una polemica, di un fatto. Fertilissimo, era capace di portare in reda­zione sette od otto vignette variazioni sul medesimo soggetto e tutte convin­centissime. Espresse con quella sua arte semplice chiara scarna, basata su ele­menti capaci di far presa immediata sul lettore comune, sulla folla a cui si rivolgeva e che amava sinceramente. Faceva campeggiare le figure, i protagonisti, che completava, di rado, con un paesaggio o un ambiente. Era profondamente buono e dalla bontà nacque la sua collera. Poiché bisogna essere molto, profon­damente, buoni, come Daumier, come Scalarini, come il suo critico amico-nemico Emilio Zanzi, per indignarsi davanti ad una società insensibile egoista spietata gelida. Infatti, Emilio Zanzi, allora critico de “La Stampa”, ma proveniente dalle file del clericale “Momento” di Mauri, e profondamente cattolico e conservatore, scrisse nel n. 10-11 del milanese “Risorgimento Grafico”, parlando della Mostra di una selezione di polemiche vignette dell’“Avanti!”: “...Scalarini è il più politico dei caricaturisti italiani e forse del mondo. La sintesi è la base del suo pensiero e del suo disegno crudele. Pochi tipi, sempre eguali: il lavoratore tesserato, il capitalista ladro; pochi simboli: la falce, il martello, la sciabola, il rosario cattolico. E’ monotono. Ma nella monotonia truce della sua visione, Scalarini trova la forza che condensa in piccoli spazi: non cerca ombre: bianco e nero, nero e bianco. Niente altro. La sua caricatura è veleno, è morte. Guardando queste grandi opere, io mi spavento. Scalarini è un caricaturista che passerà alla Storia”. E alla Storia è passato, e la Storia di mezzo secolo egli ha scritto col suo mozzicone di matita. Poi, coincidenza suggestiva — chi lo avrebbe immaginato? — in questo dopoguerra, Zanzi, reduce dalle carceri fasciste, e Scalarini, reduce dal confino fascista, si incontrarono nella redazione del “Codino Rosso” di cui erano entrambi preziosi ed apprezzati collaboratori. In questa che Zanzi definisce “monotonia” risiede appunto la forza persuasiva, il “gutta cavat lapidem” del disegno di Scalarini che, con termine di moda, si potrebbe definire “un persuasore occulto grafico”. Quell’insistere cioè sempre sui medesimi tipi per inciderli indelebilmente nella sensibilità, negli odi e gli amori, dei suoi lettori, come un abile musicista insiste su una nota. Pochi tipi, sempre eguali e pochissime caricature personali poiché Scalarini non combatteva gli uomini, ma le idee. Qualche pigmeico Vittorio Emanuele (un giorno, incappato nei rigori della legge appunto per ciò, lo disegnò gigantesco “Un’altra volta, per non aver dispiaceri, il re lo disegnerò così”. “Avanti!”, 1913 ), qualche labbroso Giolitti, d’Annunzi floreali, effemminati, il generale Graziani antifumo trasformato in jena, pochi tonti Caneva, scarsi torvi Mussolini. A questo proposito, sarà bene tener presente la tecnica di Scalarini, il quale non disegnava su

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carta da disegno, ma preferibilimente su carta lucida, retro di copertine di cataloghi, di pieghevoli, di circolari. E quasi mai disegnava la vignetta completa; ma la componeva, come un collage satirico, con elementi ricavati da altre sue precedenti vignette, da sfumini di suoi vecchi clichés. Cosiché i tipi risultassero invariabilmente eguali. Lo conobbi, nel 1923, nella redazione del torinese “Popolo Socialista” — collaborazione questa non ricordata da alcun biografo — nello studio dell’altro disegnatore socialista Marco Caboni, ingiustamente dimenticato, e fu lì che mi spiegò le ragioni di questa sua tecnica: non ragioni di pigrizia, bensì ragioni di efficacia propagandistica e polemica. Di catechizzazione, si potrebbe dire. Da quel 1911 al 1926, anno in cui fu ridotto al silenzio, quasi ogni giorno una o più sue vignette, talvolta un suo articolo, apparvero sull’“Avanti!”. Mordaci, patetiche, sempre più complete, più perfette, più convincenti. Ormai era diven­tato l’avvocato dei derelitti, dei perseguitati, della povera gente e forse perciò disegnava sempre un Cristo Socialista, un Cristo dal manto rosso e dallo stiliz­zato sapore gulbranssoniano, con un senso evidente d’amore. In antitesi al gri­fagno prete politicante affarista. Ogni epoca ha avuto i suoi Giuffré. E la rac­colta dei suoi disegni potrebbe definirsi una “Pauperum Bibbia”. Scoppiata la Guerra Libica, i bersagli della sua amara satira si moltiplicarono. Si scagliò feroce contro il caramelluto nazionalismo, contro la bolsa retorica dannunziana, il giornalismo roboante patriottardo, progenitori, forse che sì forse che no ignari, del mostro fascista. I suoi disegni assunsero neri e macabri toni da black humour con grappoli di arabi impiccati, piramidi di cadaveri insepolti, scheletri ghignanti da danse macabre, l’Africa stilizzata a teschio e la morte che conduce il tragico ballo carnevalesco. Frutto di questa sua “ira” fu la suite di vignette, oggi rara, “La Guerra nella Caricatura” (1912) una cui tavola, allusiva alla sconfitta crispina di Adua, gli procurò un ennesimo processo. Nel 1912, collaborò assiduamente, in tutti i numeri, anche all’“Avanti della Dome­nica”, una specie di “Domenica del Corriere” socialista — attività anche que­sta, chissà mai perché, completamente ignorata dai suoi biografi come sono ignorati i suoi popolari francobolli chiudilettera caricaturali —. Vi disegnava suggestive tavole a colori quasi epinaleschi a fianco di Galantara, Aroldo Bon­zagni, Bruno Angoletta; e vi iniziò una rubrica di vignette settimanali di com­mento agli avvenimenti, sul genere di quelle che Henriot (Henri Maigrot) disegnava da anni per l’“Illustration” e Biagio (Giovanni Biadene) per l’“Illu­strazione Italiana”, ma assai più polemiche e più aggressive e tutte ferocemente antibelliciste. Per le Destre, Scalarini era ormai “l’uomo da abbattere”, ma tutte le cam­pagne denigratorie contro di lui, tutte le persecuzioni, poliziesche e giudiziarie, tutte le beote parodie dei suoi disegni, non facevano che ingigantirne la personalità, che esaltarlo nel cuore dei perseguitati. Il giorno dell’Epifania del 1913, accadde l’atroce episodio di Rocca Gorga, un paesetto del Lazio. Durante una dimostrazione di affamati, i carabinieri co­mandati dal tenente Gregori spararono: 5 morti e 40 feriti. Tra i morti un bambino di 5 anni colpito al cuore. Questa strage di innocenti suscitò l’indigna­zione del Paese e ispirò a Scalarini alcune violente vignette antimilitariste, di cui era protagonista anche il famoso cane che leccò il sangue dei caduti. Risul­tato: processo in assise per “vilipendio” all’esercito e clamorosa assoluzione. I tempi cominciavano a diventar difficili e le prime nubi del conflitto mondiale si addensavano minacciose all’orizzonte. Coerentemente e istintivamente Scalarini si schierò contro la guerra, gli interventisti, i guerrafondai, i profitta­tori, gli speculatori per cui ebbe un primo scontro col suo direttore di allora, Benito Mussolini. Quando il futuro “duce” fu espulso dal Partito e fondò il “Popolo d’Italia”, Scalarini disegnò per l’“Avanti!” (23-11-1914) una vignetta feroce: “Giuda” in cui si vedeva un torvo Mussolini che cercava di pu-

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gnalare alle spalle il Cristo. Il sacchetto con i 30 danari (franchi Barrère) che il Giuda fascista stringeva nella sinistra fu caritatevolmente cancellato all’ultimo momento. La direzione del giornale venne assunta da Menotti Serrati il quale diede ordini che il transfuga non venisse più nominato su l’“Avanti!” e fosse consi­derato come morto. Magari! Con una sequenza di vignette, una più virulenta dell’altra, polverizzò la jena Graziani, il bieco generale che aveva fatto fucilare un poveraccio il quale, in sua presenza, non si era tolto di bocca abbastanza in fretta una cicca di to­scano. Altri processi nel 1918, 1919, 1922. Poi, calò sull’Italia il fascismo. Nel dicembre 1921, era risorto “L’Asino”, stavolta veramente socialista, con Scalarini e il fedele Galantara come colonne principali. A causa delle sue mordenti a sangue vignette, Scalarini diventò il Nemico N. 1 della reazione agrario-fascista. I loschi squadristi lo aggredirono a Gavirate, poi a Travedona, dove si illudeva di essere al sicuro, e infine a casa sua, a Milano, ferendolo gravemente. Nel settembre 1922 “Asino” e “Avanti!” arsero in un unico fraterno rogo dalle cui ceneri risorsero più combattivi che mai. Nel dicembre 1926, Scalarini fu spedito alle “isole” del Nerone con le ghette. Lampedusa, Ustica e quindi il campo di concentramento di Istonio negli Abbruzzi. Alla Liberazione, rimpugnò il mozzicone di lapis, unica arma — ma arma micidiale — che avesse mai impugnato, con la convinzione che la battaglia non era ancora conclusa e riprese il suo posto, essenziale insostituibile prezioso, nei ranghi dei difensori della Libertà. Di tutte le Libertà. Riprese a disegnare per il “Codino Rosso ” e quindi per il “Sempre Avanti!” con giovanile spirito polemico. Si spense il 30 dicembre 1948, mormorando “Sono stanco!”. Stanco e povero. Poiché l’amico impareggiabile dei poveri aveva vissuto sempre povero e con l’orgoglio di non aver mai, mai, disegnato alcunché che potesse riuscire utile ai nemici dei Poveri.

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Tratto dal catalogo 50 anni di caricatura politica nell’opera di Giuseppe Scalarini, Mantova, Casa del Mantegna, Ente Provinciale del Turismo, 4-30 settembre 1965, pp. 13-51).

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107 Censura, 1915 Novembre 1915. Le forbici della censura infieriscono sull’organo di informazione del partito socialista. 108

A noi, quello che leggiamo sui giornali borghesi, ci entra da un orecchio e ci va fuori dall’altro, 1916 Le notizie della stampa liberale, influenzate dalla propaganda di guerra, presentano un quadro irrealistico del conflitto e vengono ormai accolte con indifferenza dai lettori.

109 Il giornalista sovversivo durante l’anno di grazia 1916, 1916 I “tagli” del censore infieriscono sul giornale… e sul giornalista socialista. 110 Il macellaio, 1915 Ottobre 1915. L’Italia è in guerra. La stampa socialista, neutralista e pacifista, tagliata a pezzi dal coltello da macellaio della censura. 111

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La gonfiatura della stampa, 1916 I meccanismi della propaganda di guerra. Mentre i giornali socialisti sono imbiancati dalla censura, la stampa interventista manipola le notizie.


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112 La breccia, 1916 Settembre 1916. Il mondo degli affari usa le proprie armi, quelle del denaro, per fare breccia nel mondo dell’informazione.

113 La stampa, 1916 La stampa si piega agli interessi del mondo degli affari.

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114 La minaccia, 1924 115

La censura perseguita le colombe e perdona ai corvi, 1917 Il carattere iniquo della censura di guerra. Parafrasando Giovenale, Scalarini sintetizza amaramente: si perseguitano le colombe dei pacifisti, mentre si lascia spazio ai corvi.

116 Il pericolo bianco, 1924 Le forbici-chele della censura. Si gioca, a contrario, con il “pericolo rosso” che attanaglia gli ambienti moderati e borghesi e sui larghi spazi vuoti che compaiono con maggiore frequenza sulla stampa dell’opposizione. 117 I serbatoi della penna stilografica, 1924 Gli effetti del giro di vite contro la libertà di stampa: l’inchiostro della stampa è rifornito dai circoli vicini al governo. 118

La guerra sottomarina, 1917 Febbraio 1917. Mentre sugli oceani i sommergibili tedeschi inaspriscono la guerra sottomarina (trascinando di lì a poco gli Stati Uniti in guerra), la fragile navicella della stampa socialista, simboleggiata dall’Avanti!, è insidiata da pericolosi siluri.

119 Il Manifesto, 1917

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120 L’occhio del prefetto, 1924 La satira lavora sotto l’occhiuto sguardo del prefetto-censore.

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121 Vogliono oscurare il sole, 1917 Gennaio 1917. La censura militare infierisce sulle idee socialiste. Si cerca di oscurare il sole dell’avvenire.


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L’alta finanza detta e la stampa scrive, 1923 Estate 1923: anche Il Secolo, foglio moderato che in un primo momento aveva accolto con una certa freddezza l’avvento al potere di Mussolini, si allinea alle posizioni del fascismo. Dietro questa trasformazione, ironizza Scalarini, c’è la grande finanza.

123 Il sequestro dell’Asino, 1914 La nuova legge sulla libertà di stampa dà i suoi primi frutti. A farne le spese la stampa di opposizione, tra cui il foglio satirico L’Asino… convocato in carne ed ossa davanti al prefetto. 124 Il giudice a Scalarini. – Siete incensurato? – Nossignore; condannato a tre anni di censura, 1918 Scalarini e il giudice. Siamo nel febbraio del 1918: da tre anni, ormai, a causa della censura di guerra, fare satira in Italia è ormai praticamente impossibile. 125 L’Asino, 1921 Una delle “storie animate” di Scalarini. Scritta nella fase di maggiore contrapposizione tra il fascismo e i partiti della sinistra, la storia traccia, con i toni della fiaba, un corrosivo panorama della situazione interna del paese.

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129 126 Il pensiero carcerato, 1921 Febbraio 1921. Nel clima incandescente del dopoguerra, caratterizzato dall’emergere del “pericolo rosso”, ovvero della diffusione del bolscevismo, la repressione contro le organizzazioni del movimento operaio si accentua. Di nuovo, il sole dell’avvenire risplende dietro le sbarre di una cella. 127 I misfatti della censura. Il censore ha tagliato via il fronte e il reticolato di spine, perché costituivano propagazione di segreti militari, s.d. Scalarini si scaglia contro gli eccessi della censura. Nella sua ottusità, il censore ha cancellato persino la corona di spine del Cristo. 128

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Gli occhiali del Signor Prefetto. Per la stampa governativa. Vede tutto color di rosa. Per la stampa di opposizione. Vede tutto nero, 1924 Scalarini ironizza sul particolare metro di giudizio utilizzato dai prefetti, controllati dal governo fascista, nell’esercitare i poteri della nuova normativa sulla libertà di stampa.

129 La censura, s.d. Gli effetti della censura sulla stampa antifascista.

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Le penne lustrascarpe, 1923 Mentre la repressione fascista sulla stampa di sinistra colpisce duramente, il mondo della cultura e del giornalismo blandisce il governo Mussolini (rappresentato dalla scarpa con le ghette e lo sperone). Tra coloro che si piegano Scalarini inserisce Ada Negri, Luigi Pirandello, Sem Benelli, Salvator Gotta e Antonio Beltramelli. Tra le poche “penne dritte” quella di Roberto Bracco, giornalista, scrittore e commediografo napoletano, acerrimo avversario di D’Annunzio e Pirandello ed antifascista.

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La riforma del regolamento della Camera, 1924 Il fascismo prepara la svolta autoritaria: si comincia dall’organizzazione dei lavori della nuova Camera eletta dopo il voto del 6 aprile 1924. Si mette il bavaglio al diritto.

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L’ingranamento, 1924 Fine luglio 1924: la macchina perversa rappresentata dal decreto sulla stampa entra in azione. I suoi ingranaggi stritolano la libertà di pensiero.


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Si può star sicuri che la nuova tassa sullo spirito non li colpisce, s.d. La differenza tra la vera e la falsa satira. Quella falsa, paragonata ad una rapa, è talmente insulsa che non incorre certo nella scure del censore.

134 L’Asino non sono riusciti ad ammaestrarlo, 1924 Penne ammaestrate e penne libere: mentre la stampa allineata compie il salto nel cerchio, L’Asino, come gli altri fogli indipendenti, resta al suo posto. 135 Il Padre, la Madre, il Figliuolo e lo Spirito di …rapa, 1912 Ritratto di famiglia della stampa borghese durante la guerra di Libia. Assieme alle testate favorevoli all’intervento, a passo di marcia, il simbolo del militarismo: il generale Bava Beccaris, protagonista, nel 1898, della sanguinosa repressione dei fatti di Milano.

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136 Il signor censore ha dormito bene, il signor censore ha dormito male, s.d. I meccanismi della censura. La cancellazione o meno di un articolo o di una vignetta, spesso, dipende da fattori… opinabili.


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137 Viene troppa luce da questa finestra. Chiudiamola, 1924 Luglio 1924. Il governo Mussolini, nella bufera per il delitto Matteotti, vara una serie di misure che inaspriscono le restrizioni all’esercizio della libertà di stampa. Si va incontro ad anni di buio. 138 Il sen. Albertini, vale a dire il Corriere della Sera, si avvia alla Conferenza per il disarmo, 1921 Scalarini denuncia gli interessi che si celano dietro agli articoli del Corriere della Sera di Luigi Albertini: fascismo, militarismo, autoritarismo, profittatori di guerra. 139 Ecce homo!, s.d. Gli effetti della censura del regime sulla stampa dell’opposizione. Il socialista è alla sbarra ed imbavagliato.

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140 Senza titolo, s.d. La stampa italiana messa in riga. 141 Il cagnolino che mi abbaia alle calcagna, s.d. Una caustica vignetta di Scalarini che ironizza sugli attacchi che il suo ex direttore dell’Avanti!, Benito Mussolini, gli rivolge dalle colonne del suo nuovo giornale Il Popolo d’Italia. 142 Il domicilio di un giornalista, e il domicilio coatto di un altro, s.d. I diversi destini dei giornalisti fiancheggiatori del regime e di quelli antifascisti. Ai primi spettano agi ed onori, ai secondi povertà e confino.

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Congresso nazionale degli artisti,1924 Due tipologie di artista: a sinistra quello asservito al governo fascista. A destra, quello non allineato al volere del nascente regime.

144 L’arte, s.d. Ciò che accade all’arte quando è asservita al potere.

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Il Clericalismo Il Clericalismo IL CLERICALISMO 145


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145 Il clericalismo ha allungato un tentacolo anche nella scuola,1923 Dicembre 1923. Mentre nel partito popolare si svolge la lotta tra i clerico moderati e la destra filofascista, la riforma Gentile, che introduce l’esame di Stato, più volte richiesto dai cattolici per parificare le scuole confessionali, entra a pieno regime. Il clericalismo, chiosa Scalarini, allunga le mani anche sull’insegnamento. 146 La libertà di stampa, come la intendono i preti, s.d. 147 L’articolo 7 della Costituzione ha disseppellito la Questione romana, 1946 ca. 148 Cristo e il suo vicario, 1922 Da pochi giorni è scomparso Papa Benedetto XV. Scalarini ne approfitta per puntare il dito sul contrasto tra gli sfarzi vaticani e la lettera del messaggio evangelico.

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149 I preti quando c’era il fascismo, s.d. Duro atto d’accusa di Scalarini alla Chiesa cattolica sotto il regime fascista. Il sacerdote, dalla cui tonaca spunta una copia dell’Osservatore romano, è inginocchiato di fronte al manganello. 150 Don Abbondio (il clero) fra il cardinale Federigo, che gli dice una cosa, e Fra Cristoforo, che gliene dice un’altra, 1917 Maggio 1917. L’atteggiamento ambiguo e tentennante della Chiesa cattolica, paragonata al don Abbondio manzoniano, divisa tra le posizioni della stampa cattolica conservatrice e progressista. 151

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La scuola fra le zanne dello “scorpio clericalis”, 1922 Il Partito Popolare, braccio secolare del Vaticano, pone la questione del rispetto della “coscienza cristiana” nell’ambito dell’insegnamento.

152 Il nuovo santo, 1916


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153 153 Il comunista democristianizzato, s.d. Secondo dopoguerra. All’assemblea costituente si discute dell’inserimento o meno nel testo costituzionale dei Patti Lateranensi siglati tra Mussolini e il Papa nel 1929. È la questione dell’articolo 7 della Costituzione che vede divisi i socialisti (contrari) e i comunisti (favorevoli). Ripescando il tema del “fiancheggiatore tascabile” (usato per i socialisti favorevoli all’intervento in guerra), Scalarini ironizza sulla strana alleanza DC-PCI.

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154 Il Ministero Papalino, s.d. L’influenza del Vaticano sulla coalizione centrista di De Gasperi: lo scudo crociato e il simbolo del papato sono un tutt’uno.


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155 Il popolo la giustizia la fa così!, s.d. 28-29 aprile 1945. Benito Mussolini, Claretta Petacci e alcuni gerarchi rimastigli fedeli, sorpresi in fuga verso la Svizzera, vengono fucilati e i loro corpi sono esposti alla popolazione milanese a Piazzale Loreto, nello stesso luogo dove un anno prima erano stati impiccati dei partigiani. La giustizia popolare ha funzionato meglio – chiosa Scalarini – della giustizia fascista usata in occasione del processo- beffa contro gli assassini di Matteotti. 156 Vittorio cede il trono al figlio, 1946 9 maggio 1946. Vittorio Emanuele III, accetta solo alla vigilia del referendum istituzionale il consiglio di abdicare a favore del figlio Umberto. La decisione si rivelerà però tardiva. Il trono dei Savoia, infatti, poggia ormai sulla bocca di un vulcano che sta per eruttare. 157 Ho perduto la corona! Oggi a me, domani a te, caro Vittorio!, 1946 1945. In Belgio scoppia la “questione reale”. I partiti di sinistra e i liberali belgi si oppongono al ritorno in patria di re Leopoldo, che nel 1940 si era arreso ai tedeschi ed stato dichiarato dal Parlamento “incapace di regnare”. Vittorio Emanuele III osserva perplesso gli eventi, temendo per il futuro della monarchia sabauda. 158

L’ora dell’espiazione è giunta!, s.d. Scalarini e il referendum monarchia-repubblica del 2 giugno 1946: il re, a lungo sostenutosi con il bastone del fascismo, è chiamato a rendere conto del suo operato dalle migliaia di morti da lui provocati.

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- Voi qui? Qui si sono riuniti i demolitori della monarchia. - E chi l’ha demolita più di me?, 1946 Nonostante i tentativi di sganciarsi dal fascismo Casa Savoia è ormai compromessa con il regime: Vittorio Emanuele III, il “piccolo re”, è riuscito da solo a demolire la monarchia più degli stessi repubblicani.

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La libertà resuscitata, 1947 Dopo la caduta del fascismo: la Libertà risorge dal sepolcro dove l’aveva seppellita il regime di Mussolini.

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La marea repubblicana sale, s.d. La marea repubblicana sale. La Seconda Guerra mondiale ha spazzato via alcune monarchie europee. Anche casa Savoia, che ha appoggiato il fascismo e abbandonato il paese al suo destino con l’8 settembre 1943, ha l’acqua alla gola.

162 Bisogna ricostruire, non soltanto le case, ma anche i cuori, devastati dalla guerra e dal fascismo!, s.d.


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Manca la farina? Coraggio, che in giugno grideremo; grani in alto!, s.d. La nuova Repubblica armata di falce fa pulizia delle erbe cattive che hanno infestato il paese.

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Lo scudo democomunista, 1947 Ancora una vignetta sull’accordo tra DC e PCI attorno alla questione dei Patti Lateranensi. Nasce un nuovo simbolo: lo scudo democomunista.

165 Il granchio DC stritola l’Italia, s.d. La democrazia cristiana, diventando il primo partito del paese, mette le mani, anzi le chele, sulla penisola.

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166 Portafogli democristiano, s.d. Lo scudo crociato, simbolo della DC, il primo partito del paese, “rivisitato” da Scalarini.


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167 I fratelli siamesi, s.d. Scalarini denuncia la strana convergenza tra democristiani e comunisti sull’articolo 7 della Costituzione. 168 Dall’urna funeraria all’urna elettorale, 1946 Dopo il ventennio fascista il paese risorge dalle sue ceneri e torna a votare liberamente per l’Assemblea costituente e per il referendum monarchia-repubblica. 169 I persecutori del Pensiero, s.d. Scalarini contro l’accordo DC-PCI riguardante l’inserimento del Concordato nella Carta costituzionale: ancora una volta si attenta al libero pensiero.

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170 Il doppio gioco dell’ulivo e della bomba atomica al convegno di Mosca, s.d. Prime avvisaglie di guerra fredda. La doppia faccia della mosca sovietica: da una parte la spiga di grano, dall’altra la bomba atomica. 171

L’uovo qualunque, s.d. Tra il 1945 e il 1946, i settori conservatori del paese sostengono elettoralmente una nuova compagine politica: l’Uomo Qualunque. Fondato dal commediografo Guglielmo Giannini, il movimento – che ha per simbolo l’uomo qualunque schiacciato dal torchio della classe politica - si distingue per i suoi attacchi demogogici ai nuovi partiti. Dietro il “si stava meglio quando si stava peggio” del qualunquismo, tuttavia, si cela – ammonisce Scalarini – il germe del neofascismo.

172 Il vulcano C.L.N. espelle il nazismo ed il fascismo, s.d. Il Comitato di Liberazione Nazionale, costituitosi nel settembre del 1943 a seguito dell’unione di tutti i partiti antifascisti, spazza via monarchia e fascismo.

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Umberto II sale al trono, 1946 Maggio 1946. Umberto II sale al trono. Il suo incedere è tuttavia frenato da due ceppi assai pesanti: Vittorio Emanuele III, cioè la monarchia collusa con il regime, e Benito Mussolini, il fascismo.

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174 La distribuzione dei portafogli - Che bocche! Come faccio ad accontentarle?, 1922 Si costituisce il governo presieduto da Luigi Facta. Il dilemma del primo ministro è quello di saziare gli appetiti voraci della eterogenea coalizione che lo sostiene. 175 La guerra trasforma gli uomini in bruti, 1911 Il vero volto della guerra: il dio Marte, che strappa i cuori e ottenebra i cervelli e i combattenti trasformati in bruti. La vignetta condanna la Guerra di Libia del 1911-12. 176 Il protezionismo, 1916 Luglio 1916: l’Italia combatte la Prima Guerra mondiale. Per saziare gli appetiti del “mostro” capitalismo si decide una politica protezionistica.

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177 Il tedesco (porcus felis), s.d. Il volto bestiale del militarismo tedesco: l’elmo chiodato (il pickelhaube) e il monocolo sono rimasti gli stessi della Grande guerra. Gli speroni hanno però assunto le forme della svastica nazista. 178 I contrassegni dei lupi che hanno scannato l’agnello, 1919 Novembre 1919: vigilia delle elezioni che faranno del PSI il primo partito del paese con oltre il 32% dei voti. Scalarini usa l’immagine del lupo famelico per descrivere le liste dei partiti che, in passato, hanno sostenuto l’ingresso in guerra.

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Molte bocche e fronte unico, 1916 Fine settembre 1916. Le fauci spalancate delle varie anime dei fautori dell’intervento.

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Badate lavoratori, che vuole divorarvi!, 1921 Elezioni del 1921 il “Blocco nazionale”, costituito dall’alleanza tra liberali, nazionalisti, agrari, democratici, socialriformisti e fascisti si presenta alle elezioni. Prevarrà, conquistando 265 deputati, di cui 35 fascisti.

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Un pescecane visto coi raggi X, 1921 Radiografia di una categoria particolare di capitalista: il “pescecane di guerra”, appellativo con il quale si indicavano coloro che si erano arricchiti con le commesse statali in tempo di guerra.

182 La tigre imperiale, s.d. L’imperialismo tedesco visto da Scalarini. 183

La guerra e il fascismo hanno scatenato il lupo che sonnecchiava nell’uomo, 1921 Torna il tema dell’uomo trasformato in belva dalla guerra. Il profilo del proletario si è trasformato nella silhouette di un ardito, in procinto di lanciare una bomba a mano. I bassi istinti, dapprima incatenati dalla ragione e dal socialismo, si sono liberati.

184 Il nuovo anno è nato in una gabbia di besti feroci, 1924 Finisce il 1923. Il nuovo anno si apre in una Europa divisa che è appena uscita dalla grave crisi della Germania, culminata con l’occupazione militare della Ruhr. Le prospettive sono tutt’altro che rosee.

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185 Le banche - Far lire - Fallire, 1922 La crisi del dopoguerra mette a nudo le contraddizioni del sistema creditizio italiano. Le banche, arricchitesi durante il conflitto, sono cresciute a dismisura. Il riferimento è alla crisi della Banca di Sconto e del Banco di Roma, che obbligherà il governo ad intervenire con provvedimenti ad hoc. 186 La carta della Germania, s.d. Il Reich tedesco: enormi fauci spalancate sull’Europa dell’Est.

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187 187 Altri 5 miliardi ai pescicani siderurgici, 1920 Le fauci spalancate del mondo politico-affaristico si nutrono di miliardi mentre il paese vive la crisi del primo dopoguerra.

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Le Marionette di Scalarini

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188 Il dittatore, s.d. Il cavalier Benito Mussolini in ghette bianche, code e cilindro mosso dagli ambienti dell’alta finanza. 189

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Gli operai ammaestrati, 1917 L’Italia combatte la Prima Guerra mondiale: sul fronte interno si chiedono sacrifici alla popolazione. Nasce una nuova figura: quella dell’“operaio ammaestrato”, docile marionetta nelle mani dei capitalisti.


190 Il nuovo partito cattolico Unione Nazionale, 1923 Scalarini ricorre al gioco delle marionette per mostrare chi regga realmente i fili della nuova compagine politica del cattolicesimo conservatore: il Vaticano controlla il Banco di Roma, che a sua volta finanzia – e dunque controlla – l’Unione Nazionale. 191 I burattini, 1920 Siamo in pieno biennio rosso: il movimento dell’occupazione delle fabbriche è alle porte. Scalarini spiega alla base socialista “chi manovra chi” negli ambienti di governo: i gesuiti controllano Raffaele Merry del Val, segretario di Stato del Papa, il quale controlla lo stesso Papa Pio X, il quale tira i fili del conte Gentiloni, capo delle organizzazioni cattoliche, che a sua volta muove Giolitti, che controlla l’esponente dei liberal-conservatori Salandra.

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Compagnia comica della Citta di Tripoli, s.d. L’Italia combatte la guerra di Libia. È una tragedia che tuttavia viene recitata da una compagnia comica, composta dagli ambienti che hanno appoggiato il conflitto, di cui Scalarini traccia un ritratto di gruppo.

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Sonnino, s.d. Un impietoso ritratto di Sidney Sonnino, ministro degli Esteri del governo Salandra, notoriamente anglofilo (la madre era britannica) ed artefice del Patto di Londra, dipinto come una marionetta… Made in England

194 L’automa, 1913 195 Il burattino. Introdotta la moneta, ti carica... alla baionetta e poi ti tira, s.d. Una marionetta frutto della politica imperialistica di inizio Novecento. Il burattino ha le fattezze del sindaco di Tripoli, Hassuna Pascià, le cui posizioni ondeggiano ora per la causa ottomana ora per quella italiana a seconda della provenienza dei finanziamenti. Dai pantaloni penzola un vistoso cappio, simbolo della politica repressiva attuata dai capi locali (e poi dai colonizzatori italiani dopo la conquista della Libia) verso le popolazioni civili.

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196 Le marionette. Il Capitalismo tira la Banca, la Banca tira la Speculazione, la Speculazione tira il Bottegaio, il Bottegaio tira il Consumatore e il Consumatore… tira la cinghia, s.d. Le dinamiche della crisi del carovita del dopoguerra sintetizzate con il gioco delle marionette. 197

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Ministero Salandra, s.d. Nel marzo 1914, dopo il ministero Giolitti che ha deciso la guerra di Libia, si forma il governo Salandra, esponente della destra liberale. Tuttavia, il cambio alla guida del governo è solo frutto del calcolo dello stesso Giolitti, che, ancora una volta, è il “grande manovratore” della politica italiana. Salandra è una sorta di specchietto per le allodole nelle mani dello statista di Dronero.

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Nei partiti totalitari, il socialista della base è un fantoccio mosso dal socialista del vertice, s.d. Scalarini sintetizza in una immagine geometrica la degenerazione totalitaria del socialismo.

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199 Il carro della Vittoria, 1919 L’Italia celebra il suo trionfo nella Grande Guerra. Ma il prezzo pagato, chiosa Scalarini, è drammaticamente alto. 200 La stampa italiana, è quasi tutta favorevole alla guerra, perché la guerra, come si vede, è in ragion diretta colla tiratura, 1912 La guerra aumenta la tiratura dei giornali. Mentre al fronte si combatte, le principali testate interventiste, il Secolo, il Corriere della Sera e l’Idea Nazionale fanno affari d’oro. 201 Schizzo schematico della questione adriatica. I due paesi l’un contro l’altro armati. I nazionalisti che li stuzzicano con la bandiera, per far cascare le palanche nelle casse dei siderurgici, 1920 Il presidente del Consiglio Giolitti ha appena firmato, a Rapallo, un trattato con la Jugoslavia che risolve in parte la questione dei rispettivi confini, facendo tra l’altro di Fiume una città autonoma. Tuttavia, i rispettivi movimenti nazionalisti non si dichiarano soddisfatti e si fronteggiano armati. Sotto la superficie, tuttavia, i rispettivi gruppi industriali fanno affari d’oro. 202

La guerra è una macchina per allargare le corone, 1914 Scalarini ironizza amaramente sull’unione sacra della nazione attorno alla monarchia che viene evocata all’inizio di ogni guerra. La guerra di Libia si è da poco conclusa e tra breve scoppierà il primo conflitto mondiale. Il consenso per casa Savoia si allarga con il sangue dei soldati italiani, mentre le idee repubblicane ed egualitarie di Mazzini, Quadrio e Cattaneo giacciono dimenticate in un angolo.

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Lo scorpione, 1920 Dicembre 1920: nel paese dilagano le prime violenze fasciste contro il movimento operaio. Il movimento di Mussolini, tuttavia, è solo il pungiglione avvelenato di uno scorpione ben più temibile.

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204 I padroni del cielo, s.d. Il volto del colonialismo italiano in Libia: impiccagioni e repressione.

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Lo sport, 1921 Maggio 1921: prende il via la IX edizione del Giro d’Italia (poi vinta da Brunero). Il ciclismo è già uno sport seguitissimo, che muove interessi economici considerevoli.

206 Bicicletta da neve, s.d. 207 Il sarto che cuce a 40 chilometri all’ora, s.d. La bicicletta, simbolo della modernità celebrato dal movimento futurista. La febbre del ciclismo contagia il paese… trovando le applicazioni le più disparate. 208 Le applicazioni domestiche dello sport. Il marito, a 40 chilometri all’ora, asciuga la biancheria in casa, s.d. 209

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Le macchine rotative di qualche giornale che invoca il bavaglio per noi, 1915 Ottobre 1915. Scalarini attacca la stampa finanziata dalla grande industria e legata agli ambienti massonici d’Oltralpe e dell’interventismo democratico in generale, che sostiene la guerra e chiede una rigida censura sui giornali “disfattisti” e pacifisti.

210 Il dio della guerra, s.d.


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G. Scalarini, 1911 ca.

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G. Scalarini all’Accademia di Belle Arti di Venezia, 1896

G. Scalarini con la famiglia, 1920

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Don Chisciotte di Roma 21 – Via Uffizi del Vicario – 21 Roma, 2 dicembre 1893 Egregio Signor Scalarini – Ella ha certamente delle attitudini straordinarie, ma ancora allo stato greggio. Il giornalismo esige un lungo tirocinio: e poi, quando si è arrivati – per quanto possano parere lusinghiere le apparenze – si è sempre sull’incerto. Da ventidue anni che lavoro, economicamente mi trovo (se non peggio) come il primo giorno che sono entrato in giornalismo. Si sente lei di lavorare tre anni senza guadagnar quasi nulla, rischiando tutto, anche la pelle? E dopo i tre anni, affannarsi per cercare un posto, sempre contrastato e precario? Succede di noi come degli artisti drammatici che, visti dalla platea, sembrano gli esseri più fortunati del mondo. Eh, bisogna vivere tra le quinte! Se Lei crede di fare degli esperimenti, conservando il segreto, si valga pure di me: ma non saprei incoraggiarlo. Se dovessi ricominciare la mia carriera, vorrei diventare… un casellante delle ferrovie. A ogni modo, tanti auguri dal Suo Luigi Arnaldo Vassallo

Lettera di L. A. Vassallo (Gandolin) a Scalarini, 1893

SCALARINI - MEMORIE 191


Cartoline di Ivanoe Bonomi a Scalarini, 1893 e 1896

Parma, 13 marzo 1896

Amatissimo Giuseppe, Ho ricevuto la tua cartolina ieri all’Università, ed appena avrò terminato gli esami, cioè dopo il 20 ti prometto un letterone pieno di notizie mie, alle quali risponderai con un altro letterone. Che diamine, i colossali formati delle nostre lettere antiche che siano passati di moda? Non credo, tanto più che l’affetto mio per te, è ancora vivo e fresco e sincero come una volta. Rinnoviamoci e ritempriamoci nelle comuni memorie: se forse non ci sarà più dato godere come allora, il rivivere spiritualmente in quei giorni sarà prolungarne la dolce letizia. Addio, addio. Gli esami vicini rompono questo caro ragionar del passato, a più tranquilla ora lo scriverti a lungo. Un bacio Ivanoe Dopo il 20 sarò a Mantova Via Dario Tassoni 27

Carissimo, Non farmi il broncio se dopo tanto silenzio mi decido a scriverti per chiederti qualche cosa. Se tu me ne dovessi rimproverare, non saprei, lo confesso, come trovare qualche difesa, se non forse queste molte, troppe, varie occupazioni fra cui vivo. Dunque per venire all’argomento ti dirò che un mio collega di studio avendo bisogno di far disegnare con precisione alcune conchiglie fossili mi ha chiesto a che disegnatore poteva rivolgersi. Mi pareva mancare di stima e di affetto verso di te, se non davo subito il tuo nome. Vieni tu a Mantova per le Feste pasquali? E potresti in quei giorni occuparti del lavoro che ti verrebbe, s’intende, pagato? Rispondimi qualcosa qui all’Università di Parma. Tanto per dimostrarti la reclame che ti vo facendo, sappi che il mio Professore mi ha chiesto se tu potessi venire un paio di settimane qui a Parma a compiere dei disegni scientifici. Certo so bene che tu non potrai accettare: ma ho voluto che lo sapessi per testimoniarti l’affetto del tuo Ivanoe Bonomi.

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Le Miniature, s.d. La ripetitività delle immagini-simbolo usate da Scalarini nelle sue grandi opere era supportata da una vera banca dati ante-litteram. Ancora oggi esiste una vastissima raccolta di miniature di caratteri, situazioni, tipi, studi e schizzi che servivano all’autore per aiutarlo nel suo lavoro. Erano quaderni costruiti con pazienza negli anni che ripercorrono straordinariamente per icone l’intera opera scalariniana. Sopra, tre fogli di questa raccolta di miniature nelle quali è facile rintracciare, ad esempio, alcuni disegni presenti in questo volume

Nel 1933 Scalarini pubblica “Le avventure di Miglio”, libro per bambini, scritto e illustrato. Il volume risulta in apparenza opera della figlia maggiore, Virginia Scalarini Chiabov, a causa del divieto per Scalarini di firmare “qualunque suo lavoro di qualsiasi genere”.

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Due autocaricature di Scalarini, s.d.

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L’umanitario, s.d.


Due cartoline autografe di Scalarini alla fidanzata Carolina Pozzi, 1902

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Tessera di collaboratore della rivista “Scena Illustrata”, 1897 Informativa della R. Questura di Milano sul “sovversivo” Scalarini, 1936

Carta di permanenza per i confinati rilasciata dalla P.S. di Ustica. Da notare il decalogo degli obblighi da confinato e il disegno del faro di Ustica sulla terza di copertina, 1927

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Certificato di miserabilità rilasciato dalla Regia Questura del Circondario di Milano, 1921. Il clima di intimidazione, culminato nell’incendio della redazione de L’Avanti!, provoca seri problemi economici a Scalarini, costretto a chiedere un certificato attestante la sua condizione.


Nullaosta per la visita delle figlie Virginia e Rainera al padre, confinato a Ustica, 1927 G. Scalarini a Istonio (oggi Vasto), 1940

G. Scalarini e altri confinati a Ustica, 1927-1928

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G. Scalarini (a destra) con alcuni amici a Mantova, fine ‘800

Scalarini a Berlino, 1903

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Scalarini con alcuni redattori del “Merlin Cocai”, ca. 1903

G. Scalarini a Gavirate (Varese), ca. 1946


Telegramma di Ivanoe Bonomi, un tempo caro amico di Scalarini, 1949

I funerali di G. Scalarini, Milano 1 gennaio 1949

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Schede delle opere

Pag.13. Il passaggio dallo stato di guerra a quello di pace. s.d. China su carta, 12,5x24 Inv. n. 6184 Coll. Ferdinando Levi, Milano

10. Il cadavere del socialista Avanti!, 4 Luglio 1916 China su carta 15,1x8,1 Inv. n. 1463bis Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG)

19. I signori socialisti, prima di entrare, sono pregati di lasciare il socialismo alla porta. Avanti!, 14 Luglio 1922 China su carta, 16,2x13,5 Inv. n. 3312 bis Coll. Ferdinando Levi, Milano

1. I sogni della notte del 26 Novembre Reale Accademia di Belle Arti, Venezia, 1895 Litografia 30x42,7 Inv. n. 5555 Coll. Bianca Chiabov, Milano

11. Vent’anni dopo. S.E. il ministro Bissolati davanti al feretro di Bissolati, il primo direttore dell’Avanti! Avanti!, 25 Dicembre 1916 China su carta 16,2x14 Inv. n. 1597 Coll. Anna Chiabov, Milano

20. Ucciso il diritto! Avanti!, 11 Novembre 1923 China su carta 11,5x12,5 Inv. n. 3443/a Coll. Nerina Porta, Milano

2. Pro Libertate - Supplemento a “Le sponde sul Mincio”, 14 Febbraio, 1898 Litografia 50x70 Inv. n. 5561 Coll. Nerina Porta, Milano 3. Il Partito liberale e il Partito democratico si sono gettati nel listone e sono miseramente periti s.d. China su carta 23,2x17,2 Inv. n. 5095 Coll. Nerina Porta, Milano 4. La barba di Cavour. Vano tentativo! E’ troppo grande per me! Avanti!, 26 Novembre 1915 China su carta 16,3x12,3 Inv. n. 1312 Coll. Nerina Porta, Milano 5. Il torrente scava ogni giorno più profondo l’abisso che ci separa s.d. China su carta 21,3x13 Inv. n. 5666 Coll. Nerina Porta, Milano

12. Congresso riformista. Il contraddittorio tra il compagno Bissolati e S.E. il ministro Bissolati Avanti!, 16 Aprile 1917 China su carta 12x12 Inv. n. 1681 Coll. Bianca Chiabov, Milano 13. La croce di Bissolati Avanti!, 22 Febbraio 1917 China su carta 16,5x12,3 Inv. n. 1641 Coll. Anna Chiabov, Milano 14. L’On. Sonnino a Parigi visita il Louvre Avanti!, 27 Luglio 1917 China su carta 16,2x11,8 Inv. n. 1751 Coll. Nerina Porta, Milano 15. La via crucis del pensiero 28 Dicembre 1923 China su carta 17,5x12,5 Inv. n. 3462 Coll. Dora Chiabov, Milano

6. Un socialista falso Avanti!, 15 Maggio 1916 China su carta 16,5x10 Inv. n. 1426 Coll. Nerina Porta, Milano

16. Povera riforma elettorale! 27 Luglio 1919 China su carta 12x9.30 Inv. n. 2267 Coll. Dora Chiabov, Milano

7. Il socialista Bonomi contro il ministro Bonomi Avanti!, 27 Luglio 1921 China su carta, 8,8x13,7 Inv. n. 3062 Coll. Ferdinando Levi, Milano

17. I portafogli dei Ministri sono fatti di pelle… del proletariato s. d. China su carta 9x11,5 Inv. n. 5225

8. La scuola capovolta s.d. China su carta 9,5x12,5 Inv. n. 5681 Coll. Anna Chiabov, Milano

18. Nel Museo Archeologico. Il custode del museo: “Che cosa cerca?” La Borghesia: “C’è la crisi, cerco dei ministri”. Avanti!, 15 Febbraio 1922 China su carta 17,5x14,7 Inv. n. 3233 Coll. Nerina Porta, Milano

9. Il cervello di Bissolati Avanti!, 2 Novembre 1916 China su carta, 14,4x8,6 Inv. n. 1558 Coll. Ferdinando Levi, Milano

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21. Le elezioni, con la violenza, con la libertà. 9 Dicembre 1923 China su carta 14,9x13,3 Inv. n. 3443/b Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 22. La tomba del diritto Avanti!, 11 Novembre 1923 China su carta 11,5x12,5 Inv. n. 3443/e Coll. Nerina Porta, Milano 23. La riforma elettorale 15 Novembre 1911 China su carta 12,5x9,5 Inv. n. 3443/c Coll. Bianca Chiabov, Milano 24. Il bastone della vecchiaia s.d. China su carta 16,8x13,3 Inv. n. 5048 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 25. I morti e i vivi Avanti!, 4 Novembre 1924 China su carta 21,5x15,5 Inv. n. 3652 Coll. Nerina Porta, Milano 26. Il vulcano s.d. China su carta 24x16,5 Inv. n. 5640 Coll. Bianca Chiabov, Milano 27. La ruota della fortuna Avanti!, 22 Ottobre 1916 China su carta, 20x14,7 Inv. n. 1548 Coll. Ferdinando Levi, Milano 28. I delitti della mafia in Sicilia. Le mafie che deturpano questo bel quadro spariranno quando avranno levato la cassaforte che c’è sotto. Avanti!, 21 Novembre 1920 China su carta 12,5x17,7 Inv. n. 2806 Coll. Bianca Chiabov, Milano 29. La camera oscura. Essa riproduce le


immagini capovolte. Avanti!, 15 Dicembre 1915 China su carta 10,5x17,3 Inv. n. 1321 Coll. Nerina Porta, Milano 30. Sfido io che nell’Italia non ci resta niente! Avanti!, 13 Settembre 1916 China su carta 14,6x11,8 Inv. n. 1515 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 31. Dopo la guerra. Mani d’oro e mani di legno. Avanti!, 11 Giugno 1919 China su carta 16x12,5 Inv. n. 2223 Coll. Bianca Chiabov, Milano 32. Ricostruitela voi, che l’avete distrutta. Avanti!, 3 Agosto 1919 China su carta, 8x12,2 Inv. n. 2283 Coll. Ferdinando Levi, Milano 33. La frazione Avanti!, 19 Gennaio 1921 China su carta 11x13,5 Inv. n. 2866 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 34. La vittoria Avanti!, 4 Novembre 1920 China su carta, 15x12,5 Inv. n. 2790 Coll. Ferdinando Levi, Milano 35. Per rinsanguare le finanze del Paese bisogna che le sanguisughe restituiscano loro il sangue che hanno succhiato durante la guerra. Spremete le sanguisughe che hanno succhiato il sangue del Paese! Avanti!, 22 Dicembre 1920 China su carta 17,2x11,6 Inv. n. 2838 Coll. Nerina Porta, Milano 36. Le leggi sono come i ragnateli, che i moscerini ci restano, e i calabroni li sfondano. Avanti!, 24 febbraio 1921 China su carta, 12,5x12,8 Inv. n. 2897 bis Coll. Ferdinando Levi, Milano 37. La pace! Addio albero della cuccagna! Avanti!, 26 Novembre 1911 China su carta 19,7x16 Inv. n. 5584 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 37bis. Chiude la Camera quando son fuggiti i buoi. 7 Aprile 1921 China su carta 12x13 Inv. n. 2936bis Coll. Dora Chiabov, Milano 38. Il tempio dominatore Avanti!, 20 Gennaio 1924 China su carta 16,5x13,8

Inv. n. 3496 Coll. Nerina Porta, Milano 39. La zanzara del capitalismo. s.d. China su carta 12,4x12,5 Inv. n. 5486 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 40. Un altro ostacolo che sbarra la via alla Democrazia s.d. China su carta 14,3x14,3 Inv. n. 6087 Coll. Nerina Porta, Milano 41. Un braccio per dare, e cinquanta per prendere. 1919 ca. China su carta, 11,5x12,8 Inv. n. 5175 Coll. Ferdinando Levi, Milano 42. Crisi industriale? Ma se io non ho mai lavorato tanto come adesso! 21 Giugno 1921 China su carta 17,5x12,5 Inv. n. 3022 Coll. Dora Chiabov, Milano 43. Il libro della vita s.d. China su carta 12x13,5 Inv. n. 5032 Coll. Anna Chiabov, Milano 44. Mercurio, Dio del commercio. Avanti!, 14 Novembre 1911 China su carta, 32,5x23 Inv. n. 0008bis Coll. Ferdinando Levi, Milano 45. La guerra Avanti!, 11 Ottobre 1914 China su carta 15,7x17 Inv. n. 1023 Coll. Nerina Porta, Milano 46. C’è della gente che vorrebbe gettarvi l’Italia! 16 Novembre 1914 China su carta 19x16 Inv. n. 1059 Coll. Dora Chiabov, Milano 47. La nascita del 1915 Avanti!, 1 Gennaio 1915 China su carta 18,5x16,5 Inv. n. 1107 Coll. Bianca Chiabov, Milano 48. Lo stivale prima della guerra e dopo 21 Febbraio 1915 China su carta 16,5x16,5 Inv. n. 1157 Coll. Dora Chiabov, Milano 49. Quante bocche intorno alla bocca del cannone Avanti!, 24 Novembre 1915 China su carta

17,9x15,4 Inv. n. 1311 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 50. Oro, incenso e… mira Avanti!, 6 Gennaio 1915 China su carta, 18x15 Inv. n. 1113 Coll. Ferdinando Levi, Milano 51. L’albero della guerra Avanti!, 8 Febbraio 1915 China su carta 23,6x13,6 Inv. n. 1144 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 52. Il Nemico 12 Maggio 1912 China su carta 21,5x17,5 Inv. n. 0167 Coll. Dora Chiabov, Milano 53. Mentre si accorciano i limiti di statura, si allungano i tentacoli della piovra. Avanti!, 5 Aprile 1913 China su carta 13x16,5 Inv. n. 0546 Coll. Bianca Chiabov, Milano 54. La pace – La guerra Avanti!, 8 Settembre 1914 China su carta 11x16,3 Inv. n. 1000 Coll. Bianca Chiabov, Milano 55. Che cosa diventa l’umanità 7 Settembre 1914 China su carta 7x7,5 Inv. n. 0999bis Coll. Dora Chiabov, Milano 56. Le quattro operazioni dei fasci 3 Febbraio 1915 4 disegni a china incollati su unico supporto cartaceo 19x12 Addizione 5,5x5,3 Sottrazione 4x5,5 Moltiplicazione 6x3 Divisione 5,5x6 Inv. n. 1137 Coll. Dora Chiabov, Milano 57. In che modo la pace è assicurata dalla triplice: l’angelo pende, impiccato, dai tre fucili incrociati. Avanti!, 11 Dicembre 1912 China su carta 19,3x15 Inv. n. 0406 Coll. Nerina Porta, Milano 58. Le invenzioni di guerra. Il socialismo pieghevole. Avanti!, 18 Settembre 1916 China su carta 12,3x11,7 Inv. n. 1520 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 59. Bocca del calibro 420. Il nazionalismo si accinge a mangiare il mondo. 3 Agosto 1916 China su carta 12x14

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Inv. n. 1488 Coll. Dora Chiabov, Milano 60. I vitelli Avanti!, 5 Giugno 1919 China su carta (due fogli) 22x17 Inv. n. 2216 Coll. Nerina Porta, Milano 61. I nuovi confini d’Italia Avanti!, 30 Luglio 1919 China su carta, 12,5x13,5 Inv. n. 2271 Coll. Ferdinando Levi, Milano 62. La guerra. Alle madri le casse mortuarie, agli eroi le casseforti. Avanti!, 9 Gennaio 1921 China su carta 16x13 Inv. n. 2856 Coll. Bianca Chiabov, Milano 63. Sulle rovine della guerra Avanti!, 15 Febbraio 1921 China su carta 11,7x7,9 Inv. n. 2890 Coll. Anna Chiabov, Milano 64. Il centenario dantesco 8 Maggio 1921 China su carta 13,5x8,5 Inv. n. 2970 Coll. Dora Chiabov, Milano 65. Mentre tutti gridavano: uccidi, poi avrai la medaglia. Avanti!, 25 Febbraio 1921 China su carta 9,3x12,4 Inv. n. 2898 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 66. I denari per gli impiegati non ci sono, ma per gettarli nei pozzi, sì! Avanti!, 2 Giugno 1921 China su carta 13,5x14 Inv. n. 2998 Coll. Bianca Chiabov, Milano 67. L’Esercito succhia alla Nazione dissanguata tre miliardi e la Marina uno. Avanti!, 10 Settembre 1921 China su carta 14,5x13 Inv. n. 3092 Coll. Nerina Porta, Milano 68. Si gettino via le armi, si colmi con esse la frana, per modo che la Civiltà possa riprendere il suo cammino. s.d. China su carta 21x17,3 Inv. n. 5182 Coll. Nerina Porta, Milano 69. Hindenburg, presidente della Repubblica Tedesca. Avanti!, 13 Maggio 1925 China su carta 15,5x14 Inv. n. 3727 Coll. Bianca Chiabov, Milano 70. L’impero inglese Avanti!, 24 Aprile 1924 China su carta

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18,5x15 Inv. n. 3561 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 71. La guerra davanti al tribunale della storia. 1920 China su carta 24,3x9,7 Inv. n. 5139 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 72. Enrico Ferri 1913 China su carta, 12,7x7,2 Inv. n. 5172 Coll. Ferdinando Levi, Milano 73. Ma cosa hai fatto? Niente, mamma; abbiamo giocato alla conferenza della pace, ed io facevo la parte dell’Italia. s.d. China su carta 13,5x11 Inv. n. 6116 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 74. E adesso andiamo a proclamare l’indipendenza dell’Albania. s.d. China su carta, 23,5x17 Inv. n. 5702 Coll. Ferdinando Levi, Milano 75. Il bolscevismo s.d. China su carta 15,5x12,9 Inv. n. 5735 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 76. Gli Stati Uniti d’Europa spazzeranno via i confini, focolai di guerre. Sempre Avanti, 19 ottobre 1946 China su carta 21,5x14 Inv. n. 6057 Coll. Nerina Porta, Milano 77. Disuguali – Uguali anche dopo la morte 2 Novembre 1916 China su carta 11x17,5 Inv. n. 1556 Coll. Dora Chiabov, Milano 78. Le trattative Avanti!, 15 Maggio 1915 China su carta 16x13 Inv. n. 1237 Coll. Nerina Porta, Milano 79. L’albero di Natale Avanti!, 24 Dicembre 1922 China su carta 23,5x17,5 Inv. n. 3341 Coll. Nerina Porta, Milano 80. Si ricordi la Borghesia che è il proletariato che le fa battere il cuore, che la fa vivere e la può far morire. Avanti!, 24 Luglio 1919 China su carta 14,4x12,4 Inv. n. 2261 Coll. Nerina Porta, Milano 81. L’eroismo del proletariato 2 Gennaio 1915 China su carta 14x23 Inv. n. 1109

Coll. Dora Chiabov, Milano 82. Il salario dei contadini, che salto! Avanti!, 18 Novembre 1923 China su carta, 20,5x17,5 Inv. n. 3446 Coll. Ferdinando Levi, Milano 83. Lista bianca e borsa nera s.d. China su carta 19,2x11 Inv. n. 5570 Coll. Anna Chiabov, Milano 84. Le liste Avanti!, 2 Marzo 1924 China su carta 17x15 Inv. n. 3521 Coll. Nerina Porta, Milano 85. La morsa della fame Avanti!, 26 Aprile 1924 China su carta 18,4x14 Inv. n. 3559 Coll. Nerina Porta, Milano 86. Come! Io devo pagare? Avanti!, 22 Giugno 1914 China su carta 16,5x16,8 Inv. n. 0935 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 87. L’emigrante va in giro per il mondo, lasciando in ogni paese brandelli della sua povera carne. Avanti!, 18 Maggio 1924 China su carta 21,8x17,5 Inv. n. 3575 Coll. Nerina Porta, Milano 88. Il processo Matteotti. La verità è in marcia. Avanti!, 9 Agosto 1924 China su carta 21x17,5 Inv. n. 3600 Coll. Bianca Chiabov, Milano 89. Natale. Ed ella partorì il suo figliolo promogenito, e lo fasciò, e lo pose a giacer nella mangiatoia. S.Luca. 2.7. 24 Dicembre 1920 China su carta 12,5x18 Inv. n. 2841 Coll. Dora Chiabov, Milano 90. La guerra Sempre Avanti, 21 aprile 1946 China su carta 33,5x22,5 Inv. n. 6161 Coll. Nerina Porta, Milano 91. Attraverso questo bastone passerà la volontà del Paese. Avanti!, 12 Gennaio 1924 China su carta, 16,5x15 Inv. n. 3492 Coll. Ferdinando Levi, Milano 92. Le urne Avanti!, 13 Gennaio 1924 China su carta, 18x17 Inv. n. 3493 Coll. Ferdinando Levi, Milano


93. La cimice reale. Avanti!, 25 Ottobre 1924 China su carta 30,3x26,2 Inv. n. 3646 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 94. Liberate mio padre! Avanti!, 5 Giugno 1923 China su carta 13,4x11,7 Inv. n. 3396 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 95. -Ma non vede eccellenza, che la pasta le scappa da ogni parte? Bisognerebbe rimpastarla… -La parola rimpasto non esiste nel vocabolario del governo fascista. s.d. China su carta 17,5x12,2 Inv. n. 5595 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 96. Mussolini s.d. China su carta 19,5x11,5 Inv. n. 5589 Coll. Nerina Porta, Milano 97. La piovra sabauda ha strozzato tutte le libertà. Sempre Avanti, 24 aprile 1946 China su carta 23x21 Inv. n. 6052 Coll. Nerina Porta, Milano 98. La corona reale Sempre Avanti, 25 maggio 1946 China su carta 14,5x18 Inv. n. 6294 Coll. Bianca Chiabov, Milano 99. I delitti fascisti sono stati commessi all’ombra dello scudo sabaudo. s.d. China su carta 27,7x20,5 Inv. n. 6082 Coll. Nerina Porta, Milano 100. Non toccate questo tasto! s.d. China su carta 19,2x15,7 Inv. n. 5159 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 101. La giustizia non ha mai potuto colpire i delinquenti. s.d. China su carta 17,9x16,2 Inv. n. 6143 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 102. La commemorazione dello Statuto Avanti!, 3 Giugno 1923 China su carta 15x12,5 Inv. n. 3395 Coll. Bianca Chiabov, Milano 103. Camera del Lavoro Avanti!, 24 Maggio 1911 China su carta 16,4x14 Inv. n. 2988 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG)

104. Verso il Congresso di Firenze Avanti!, 9 Ottobre 1921 China su carta 17,8x17,8 Inv. n. 3119 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 105. Tu qui? Ho dovuto entrarvi per non morire di fame, ma la mia anima è rimasta con te. Avanti!, 25 Novembre 1923 China su carta, 17,5x12,7 Inv. n. 3451 Coll. Ferdinando Levi, Milano 106. Il pensiero compresso esplode. 15 Settembre 1923 China su carta 28,5x23 Inv. n. 6296 Coll. Anna Chiabov, Milano 107. Censura 3 Novembre 1915 China su carta 10,5x16 Inv. n. 1300 Coll. Dora Chiabov, Milano 108. A noi, quello che leggiamo sui giornali borghesi, ci entra da un orecchio e ci va fuori dall’altro. Avanti!, 11 Dicembre 1916 China su carta 16x12,5 Inv. n. 1586 Coll. Bianca Chiabov, Milano 109. Il giornalista sovversivo durante l’anno di grazia 1916. Avanti!, 25 Gennaio 1916 China su carta 14,3x13,2 Inv. n. 1355 Coll. Nerina Porta, Milano 110. Il macellaio Avanti!, 10 Ottobre 1915 China su carta 15,2x14,4 Inv. n. 1287 Coll. Anna Chiabov, Milano 111. La gonfiatura della stampa Avanti!, 15 Settembre 1916 China su carta 16,2x11,5 Inv. n. 1517 Coll. Nerina Porta, Milano 112. La breccia Avanti!, 20 Settembre 1916 China su carta 19x15 Inv. n. 1522 Coll. Bianca Chiabov, Milano 113. La stampa Avanti!, 6 Novembre 1916 China su carta 14x12,5 Inv. n. 1562 Coll. Anna Chiabov, Milano 114. La minaccia Avanti!, 7 Maggio 1924 China su carta, 19x7 Inv. n. 3570 Coll. Ferdinando Levi, Milano

115. La censura perseguita le colombe e perdona ai corvi. Avanti!, 7 Gennaio 1917 China su carta, 16,5x11,5 Inv. n. 1611 Coll. Ferdinando Levi, Milano 116. Il pericolo bianco Avanti!, 11 Maggio 1924 China su carta 17,6x14,6 Inv. n. 3573 Coll. Anna Chiabov, Milano 117. I serbatoi della penna stilografica Avanti!, 24 Ottobre 1924 China su carta 21x16,2 Inv. n. 3645 Coll. Anna Chiabov, Milano 118. La guerra sottomarina Avanti!, 7 Dicembre 1917 China su carta 16,5x12,3 Inv. n. 1629 Coll. Anna Chiabov, Milano 119. Il Manifesto Avanti!, 11 Maggio 1917 China su carta 16,5x12,5 Inv. n. 1705 Coll. Nerina Porta, Milano 120. L’occhio del prefetto Avanti!, 13 Agosto1924 China su carta 9x13 Inv. n. 3603 Coll. Nerina Porta, Milano 121. Vogliono oscurare il sole. Avanti!, 21 Gennaio 1917 China su carta 15x12,5 Inv. n. 1620 Coll. Nerina Porta, Milano 122. L’alta finanza detta e la stampa scrive. Avanti!, 19 Luglio 1923 China su carta 13,5x12,5 Inv. n. 3407 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 123. Il sequestro dell’Asino Avanti!, 30 Agosto 1914 China su carta 12x13,2 Inv. n. 3618 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 124. Il giudice a Scalarini. – Siete incensurato? – Nossignore; condannato a tre anni di censura. Avanti!, 14 Febbraio 1918 China su carta 12,5x8 Inv. n. 1848 Coll. Anna Chiabov, Milano 125. L’Asino Avanti!, 4 Settembre 1921 China su carta 32x20 Inv. n. 3088 Coll. Nerina Porta, Milano

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126. Il pensiero carcerato Avanti!, 6 Febbraio 1921 China su carta 16x14 Inv. n. 2883 Coll. Nerina Porta, Milano 127. I misfatti della censura. Il censore ha tagliato via il fronte e il reticolato di spine, perché costituivano propagazione di segreti militari. s.d. China su carta 16,2x12,6 Inv. n. 5015 Coll. Anna Chiabov, Milano 128. Gli occhiali del Signor Prefetto. Per la stampa governativa. Vede tutto color di rosa. Per la stampa di opposizione. Vede tutto nero. Avanti!, 10 Agosto 1924 China su carta, 9x10,5 Inv. n. 3602 Coll. Ferdinando Levi, Milano 129. La censura s.d. China su carta 20,3x16,5 Inv. n. 5779 Coll. Bianca Chiabov, Milano 130. Le penne lustrascarpe Avanti!, 30 Dicembre 1923 China su carta 23x17,3 Inv. n. 3476 Coll. Nerina Porta, Milano 131. La riforma del regolamento della Camera Avanti!, 10 Maggio 1924 China su carta 21x17,2 Inv. n. 3571 Coll. Anna Chiabov, Milano 132. L’ingranamento Avanti!, 28 Luglio 1924 China su carta, 18,5x14,6 Inv. n. 3591 Coll. Ferdinando Levi, Milano 133. Si può star sicuri che la nuova tassa sullo spirito non li colpisce. s.d. China su carta, 19x16,2 Inv. n. 5074 Coll. Ferdinando Levi, Milano 134. L’Asino non sono riusciti ad ammaestrarlo. L’Asino, 1 Marzo 1924 China su carta 10x9,5 Inv. n. 5004 Coll. Bianca Chiabov, Milano 135. Il Padre, la Madre, il Figliuolo e lo Spirito di… rapa. Avanti!, 2 Dicembre 1912 China su carta, 8x12 Inv. n. 0395 Coll. Ferdinando Levi, Milano 136. Il signor censore ha dormito bene, il signor censore ha dormito male. s.d. China su carta, 11,6x15,5 Inv. n. 5047 Coll. Ferdinando Levi, Milano 137. Viene troppa luce da questa finestra. Chiudiamola.

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Avanti!, 20 luglio 1924 China su carta 15x12,5 Inv. n. 3590 bis Coll. Bianca Chiabov, Milano

148. Cristo e il suo vicario Avanti!, 26 Gennaio 1922 China su carta, 16,5x12,7 Inv. n. 3219 Coll. Ferdinando Levi, Milano

138. Il sen. Albertini, vale a dire il Corriere della Sera, si avvia alla Conferenza per il disarmo. Avanti!, 27 Ottobre 1921 China su carta 14,7x12 Inv. n. 3134 Coll. Nerina Porta, Milano

149. I preti quando c’era il fascismo s.d. China su carta 13,7x9,7 Inv. n. 6175 Coll. Anna Chiabov, Milano

139. Ecce homo! s.d. China su carta 16,6x9,5 Inv. n. 5354 Coll. Nerina Porta, Milano 140. Senza titolo s.d. China su carta 16x13,8 Inv. n. 5232 Coll. Bianca Chiabov, Milano 141. Il cagnolino che mi abbaia alle calcagna. s.d. China su carta 23,4x15,5 Inv. n. 5583 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 142. Il domicilio di un giornalista, e il domicilio coatto di un altro s.d. China su carta 10x14 Inv. n. 5814 Coll. Nerina Porta, Milano 143. Congresso nazionale degli artisti. Avanti!, 25 Maggio 1924 China su carta 11x9 Inv. n. 3580 Coll. Nerina Porta, Milano 144. L’arte s.d. China su carta 11,8x12,5 Inv. n. 5112 Coll. Bianca Chiabov, Milano 145. Il clericalismo ha allungato un tentacolo anche nella scuola. 1 Dicembre 1923 China su carta 21,5x17,5 Inv. n. 3459 Coll. Dora Chiabov, Milano 146. La libertà di stampa, come la intendono i preti. s.d. China su carta 22,5x13,9 Inv. n. 6088 Coll. Nerina Porta, Milano 147. L’articolo 7 della Costituzione ha disseppellito la Questione romana. 1946 ca. China su carta 12x11,5 Inv. n. 3117 Coll. Nerina Porta, Milano

150. Don Abbondio (il clero) fra il cardinale Federigo, che gli dice una cosa, e Fra Cristoforo, che gliene dice un’altra. Avanti!, 18 Maggio 1917 China su carta 16,2x12,1 Inv. n. 1707 Coll. Anna Chiabov, Milano 151. La scuola fra le zanne dello “scorpio clericalis” Avanti!, 2 Marzo 1922 China su carta 16x14 Inv. n. 3243 Coll. Anna Chiabov, Milano 152. Il nuovo santo Avanti!, 20 Agosto 1916 China su carta 24,5x17,1 Inv. n. 1500 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 153. Il comunista democristianizzato s.d. China su carta, 23,5x15 Inv. n. 6108 Coll. Ferdinando Levi, Milano 154. Il Ministero Papalino. s.d. China su carta 20,5x14,9 Inv. n. 6298 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 155. Il popolo la giustizia la fa così! s.d. China su carta 14x11 Inv. n. 6025 Coll. Bianca Chiabov, Milano 156. Vittorio cede il trono al figlio Sempre Avanti, 11 maggio 1946 China su carta 14,3x11,5 Inv. n. 6040 Coll. Bianca Chiabov, Milano 157. Ho perduto la corona! Oggi a me, domani a te, caro Vittorio! Sempre Avanti, 18 marzo 1946 China su carta 20x10,3 Inv. n. 6030 Coll. Anna Chiabov, Milano 158. L’ora dell’espiazione è giunta! s.d. China su carta 12,5x16,5 Inv. n. 6020 Coll. Anna Chiabov, Milano 159. Voi qui? Qui si sono riuniti i demolitori


della monarchia. E chi l’ha demolita più di me? Sempre Avanti, 17 febbraio 1946 China su carta 20,5x14 Inv. n. 6018 Coll. Anna Chiabov, Milano 160. La libertà resuscitata Umanità, 25 Aprile 1947 China su carta 20,3x15 Inv. n. 5133 Coll. Bianca Chiabov, Milano 161. La marea repubblicana sale s.d. China su carta 16,6x13,5 Inv. n. 6080 Coll. Nerina Porta, Milano 162. Bisogna ricostruire, non soltanto le case, ma anche i cuori, devastati dalla guerra e dal fascismo! s.d. China su carta 17,5x13,1 Inv. n. 6130 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 163. Manca la farina? Coraggio, che in giugno grideremo; grani in alto! s.d. China su carta, 20,2x13,6 Inv. n. 5154 Coll. Ferdinando Levi, Milano 164. Lo scudo democomunista. Umanità, 28 marzo 1947 China su carta 14,8x10,5 Inv. n. 6226 Coll. Nerina Porta, Milano 165. Il granchio DC stritola l’Italia. s.d. China su carta 13,5x12,5 Inv. n. 6146 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 166. Portafogli democristiano s.d. China su carta 12,5x12 Inv. n. 6039 Coll. Anna Chiabov, Milano 167. I fratelli siamesi s.d. China su carta 11,2x9,5 Inv. n. 6216 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 168. Dall’urna funeraria all’urna elettorale 1946 China su carta 12,3x14 Inv. n. 6056 Coll. Nerina Porta, Milano 169. I persecutori del Pensiero s.d. China su carta 17,5x14 Inv. n. 5120 Coll. Bianca Chiabov, Milano 170. Il doppio gioco dell’ulivo e della bomba atomica al convegno di Mosca.

s.d. China su carta 12x9,4 Inv. n. 6297 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 171. L’uovo qualunque s.d. China su carta 16,5x12,5 Inv. n. 6158 Coll. Nerina Porta, Milano 172. Il vulcano C.L.N. espelle il nazismo ed il fascismo. s.d. China su carta 23x16 Inv. n. 6121 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 173. Umberto II sale al trono. Sempre Avanti, 21 aprile 1946 China su carta 22x14 Inv. n. 6160 Coll. Nerina Porta, Milano 174. La distribuzione dei portafogli - Che bocche! Come faccio ad accontentarle? Avanti!, 2 Marzo 1922 China su carta 17,2x10,9 Inv. n. 3244 Coll. Nerina Porta, Milano 175. La guerra trasforma gli uomini in bruti. Avanti!, 20 Dicembre 1911 China su carta 20,2x17 Inv. n. 0038 Coll. Nerina Porta, Milano 176. Il protezionismo Avanti!, 5 Ottobre 1916 China su carta 22,3x15,3 Inv. n. 1480 Coll. Nerina Porta, Milano 177. Il tedesco (porcus felis) s.d. China su carta 16,2x13 Inv. n. 6051 Coll. Nerina Porta, Milano 178. I contrassegni dei lupi che hanno scannato l’agnello. Avanti!, 10 Novembre 1919 China su carta 12,2x22,5 Inv. n. 2381 Coll. Nerina Porta, Milano 179. Molte bocche e fronte unico. Avanti!, 25 Settembre 1916 China su carta 20,5x16 Inv. n. 1526 Coll. Nerina Porta, Milano 180. Badate lavoratori, che vuole divorarvi! Avanti!, 13 Maggio 1921 China su carta 15x12 Inv. n. 2976 Coll. Nerina Porta, Milano 181. Un pescecane visto coi raggi X Avanti!, 26 Ottobre 1921 China su carta

17,7x12,8 Inv. n. 3132 Coll. Nerina Porta, Milano 182. La tigre imperiale 1914/1915 China su carta, 11,5x7 Inv. n. 5173 Coll. Ferdinando Levi, Milano 183. La guerra e il fascismo hanno scatenato il lupo che sonnecchiava nell’uomo. Avanti!, 28 Gennaio 1921 China su carta 15x16,5 Inv. n. 2875 Coll. Nerina Porta, Milano 184. Il nuovo anno è nato in una gabbia di bestie feroci Avanti!, 1 Gennaio 1924 China su carta 15,4x15,7 Inv. n. 3478 Coll. Nerina Porta, Milano 185. Le banche - Far lire - Fallire 12 Gennaio 1922 China su carta 14,5x14 Inv. n. 3208 Coll. Dora Chiabov, Milano 186. La carta della Germania s.d. China su carta, 14x17,7 Inv. n. 5146 Coll. Ferdinando Levi, Milano 187. Altri 5 miliardi ai pescicani siderurgici Dicembre 1920 China su carta 18x20 Inv. n. 2823 Coll. Dora Chiabov, Milano 188. Il dittatore s.d. China su carta 16,9x12,3 Inv. n. 5116 Coll. Anna Chiabov, Milano 189. Gli operai ammaestrati Avanti!, 13 Maggio 1917 China su carta 19x10 Inv. n. 1706 Coll. Anna Chiabov, Milano 190. Il nuovo partito cattolico Unione Nazionale. Avanti!, 27 Maggio 1923 China su carta 14x12 Inv. n. 3387 Coll. Nerina Porta, Milano 191. I burattini 29 Agosto 1920 China su carta 14,30x20 Inv. n. 2706bis Coll. Dora Chiabov, Milano 192. Compagnia comica della Città di Tripoli s.d. China su carta, 14x10,8 Inv. n. 5147 Coll. Ferdinando Levi, Milano

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193. Sonnino s.d. China su carta 11,2x7,9 Inv. n. 5672 Coll. Nerina Porta, Milano 194. L’automa Avanti!, 11 Agosto 1913 China su carta 23,5x17,3 Inv. n. 0631 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 195. Il burattino. Introdotta la moneta, ti carica… alla baionetta e poi ti tira. s.d. (1911-1912?) China su carta 25x16,5 Inv. n. 5741 Coll. Bianca Chiabov, Milano 196. Le marionette. Il Capitalismo tira la Banca, la Banca tira la Speculazione, la Speculazione tira il Bottegaio, il Bottegaio tira il Consumatore e il Consumatore tira la cinghia. s.d. China su carta 19,4x22,5 Inv. n. 6283 Coll. Anna Chiabov, Milano

16,5x12,6 Inv. n. 0627 Coll. Anna Chiabov, Milano 203. Lo scorpione Avanti!, 19 Dicembre 1920 China su carta 17,5x13,2 Inv. n. 2833 Coll. Nerina Porta, Milano 204. I padroni del cielo s.d. (1911?) China su carta 29,5x17 Inv. n. 5140 Coll. Bianca Chiabov, Milano 205. Lo sport Avanti!, 29 Maggio 1921 China su carta 12,4x11,4 Inv. n. 2993 Coll. Anna Chiabov, Milano 206. Bicicletta da neve s.d. China su carta 22,5x28 Inv. n. 5559 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG)

197. Ministero Salandra s.d. China su carta, 19,5x11 Inv. n. 5658 Coll. Ferdinando Levi, Milano

207. Il sarto che cuce a 40 chilometri all’ora s.d. China su carta 9x9 Inv. n. 5272 Coll. Anna Chiabov, Milano

198. Nei partiti totalitari, il socialista della base è un fantoccio mosso dal socialista del vertice. s.d. China su carta 16,3x14 Inv. n. 6223 Coll. Nerina Porta, Milano

208. Le applicazioni domestiche dello sport. Il marito, a 40 chilometri all’ora, asciuga la biancheria in casa. s.d. China su carta 12x15 Inv. n. 5373 Coll. Nerina Porta, Milano

199. Il carro della Vittoria Avanti!, 1 Agosto 1919 China su carta, 12,2x12,5 Inv. n. 2275 Coll. Ferdinando Levi, Milano

209. Le macchine rotative di qualche giornale che invoca il bavaglio per noi Avanti!, 16 Ottobre 1915 China su carta 13x16,7 Inv. n. 1290 Coll. Nerina Porta, Milano

200. La stampa italiana, è quasi tutta favorevole alla guerra, perché la guerra, come si vede, è in ragion diretta colla tiratura. Avanti!, 3 Novembre 1912 China su carta 21,5x16 Inv. n. 0357 Coll. Nerina Porta, Milano 201. Schizzo schematico della questione adriatica. I due paesi l’un contro l’altro armati. I nazionalisti che li stuzzicano con la bandiera, per far cascare le palanche nelle casse dei siderurgici. Avanti!, 13 Novembre 1920 China su carta 14,9x17,7 Inv. n. 2798 Coll. Nerina Porta, Milano 202. La guerra è una macchina per allargare le corone. Avanti!, 7 Gennaio 1914 China su carta

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210. Il dio della guerra. s.d. China su carta 18,2x14,5 Inv. n. 6185 Coll. Carlo Levi, Solfagnano (PG) 211. Senza titolo s.d. China su carta 8x9,5 Inv. n. 6292 Coll. Bianca Chiabov, Milano

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Apparati

Libri di Giuseppe Scalarini

«L’Umanità», Milano e Roma, 1947.

La Guerra nella caricatura. Disegni di Scalarini, Milano, Società Editrice Avanti!, ottobre 1911-febbraio 1912. Il Processo alla guerra, Milano, Società Anonima Editrice Avanti!, 1913. La guerra davanti al tribunale della storia, Società Editrice Avanti!, Milano, 1920. Le avventure di Miglio, firmato per la censura dalla figlia maggiore, Virginia Scalarini Chiabov, Milano, Vallardi, 1933; poi a firma di Giuseppe Scalarini, Milano, Bompiani, 1980. Le mie isole, a cura di Mario De Micheli, Milano, Franco Angeli, 1992.

Riguardo alle collaborazioni di Scalarini ai vari periodici abbiamo citato sia quelle verificate e accertate sia quelle desunte dai vari saggisti.

A partire dalla seconda metà del ‘900, i disegni di Scalarini sono stati frequentemente riutilizzati per copertine e illustrazioni di testi scolastici e storici. Collaborazioni a periodici «Sior Tonin Bonagrazia», Venezia; (risulterebbero collaborazioni alla fine del XIX secolo ma non firmate e non riconoscibili) «Merlin Cocai», Mantova, 1896-97, 1903-1904; «Rassegna», Roma, 1896; «Scena illustrata», Firenze, 1896; «La Provincia di Mantova», Mantova, 1896-1908; «Fliegende Blätter», Monaco, 1910-1911; «Sulle sponde del Mincio», Mantova, 1898; «La Terra», Mantova, 1898; «Italia ride», Bologna, 1900; «Lustige Blätter», Berlino, 1900, 1908; «Simplicissimus», Monaco; (collaborazione citata da De Micheli e negata da Gec) «Pasquino», Torino, 1903-1908, 1910-1911; «Il Socialista», Mantova, 1905; «Avanti!», Milano, 1911-1926; «Avanti della Domenica», 1912; «La tor del sucar», numero unico, Milano, 1913; «Il proletariato», Milano, 1913-1914; «La nuova terra», Mantova, 1913-1914; «La battaglia socialista», Milano, 1914-1923; «Il Supplemento illustrato», Milano, 1915; «Il tranviere», Milano, 1915-1916; «Almanacco socialista», Milano, 1917-1924; «Compagni per la propaganda socialista», Milano, 1919-1920; «l’Asino», Roma, 1921-1925; «Il lavoratore Comasco», Como, 1919-1925; «Cuore», Milano, 1921-1923; «Gioventù socialista», Milano, 1921-1925; «Popolo Socialista», Torino, 1923; (citato da Gec) «Lo sport fascista», Milano, 1931; (collaborazioni non firmate ma riconoscibili) «Corriere dei Piccoli», Milano, 1932-1944; (collaborazioni con firme di fantasia o di familiari ma riconoscibili) «La Domenica del Corriere», Milano, 1934-1944; (idem) «Il giornale dei giochi», Milano, 1936-1939; (collaborazioni non firmate ma riconoscibili) «Il giornale dei piccoli», Milano, 1945; «La Domenica degli Italiani», Milano, 1945-1946; «Corriere d’informazione», Milano, 1946; «Codino rosso», Torino, 1946; «Sempre avanti!», Torino, 1946-1947; «Mondo nuovo», Torino, 1947;

Bibliografia Due quadri, «La Provincia di Mantova», Mantova, 30 aprile-1 maggio 1890. C. Beniamino, Umorismo e Umoristi, catalogo dell’Esposizione Internazionale di Umorismo al Frigidarium di Rivoli, Milano, SELGA, 1911, p. 32. V. N., La Guerra nella caricatura, «Avanti!», Milano, 3 ottobre 1912. M. Ramperti, Scalarini, «Avanti!», Milano, 14 dicembre 1913. N. Salvaneschi, La guerra nella caricatura, «Emporium» n. 242, vol. XLI, Bergamo, febbraio 1915, p. 139. E. Zanzi, La Caricatura (II), « Risorgimento grafico», Milano, n. 11, anno XVII, novembre 1920, pp. 431-32. G. Fumagalli, Chi l’ha detto?, Milano, Hoepli, 1934, p. 619. Gec (Enrico Gianeri), La vita è dura ma è comica. 1890-1915, un quarto di secolo di caricatura mondiale, Milano, Garzanti, 1940, pp. 172, 175. V. Buttis, Memorie di vita e di tempeste sociali, Chicago (Illinois), 1940, pp. 103-107. Gec (Enrico Gianeri), D’Annunzio nella caricatura mondiale, Milano, Garzanti, 1941, p. 68 passim. Gec (Enrico Gianeri), Il Cesare di cartapesta. Mussolini nella caricatura, Torino, Vega, 1941, p. 1 passim. Gec (Enrico Gianeri), Il piccolo re. Vittorio Emanuele nella caricatura mondiale, Torino, Fiorini, 1946, p. 46 passim. M. Borsa, La morte di Scalarini, «La Stampa», Torino, n. 163, 8 luglio 1949. R. Carli-Ballola, Storia in bianco e nero, «Avanti!», Milano, 21 marzo 1948. A. Morigi, Attualità di Scalarini, «Avanti!», Milano, 18 giugno 1949. G. Tittarosa, Mezzo secolo in bianco e nero, «Milano sera», Milano, 21 giugno 1949. A. Cajumi, Caricaturisti, «La Stampa», Torino, 8 luglio 1949. G. Trevisani, Mezzo secolo di storia nella caricatura di Scalarini, Milano, Cultura nuova, 1949. R. De Grada, Scalarini, «Radio Italiana», Milano, 1° febbraio 1949. RDG (Raffaele De Grada), I disegni di Scalarini, «l’Unità», Milano, 24 giugno 1949. R. Renzoni, Dalla matita di Giuseppe Scalarini cinquant’anni di lotte socialiste, «Avanti!», Milano, 8 gennaio 1950. A. Rossi, Le vignette di Scalarini, «La Stampa», Torino, 8 novembre 1950. F. C., Un grande caricaturista mantovano, «Terra Nostra», Mantova, 14 settembre 1952. C. A. Petrucci, La caricatura italiana dell’Ottocento, Roma, De Luca, 1954, pp. 57-58 passim. Duilio Susmel (a cura di), Carteggio Arnaldo-Benito Mussolini, Firenze, La Fenice, 1954, pp. 61, 297. G. Arfè, Storia dell’Avanti!, Milano-Roma, Edizioni Avanti!, 1956, passim. AA.VV., Il crepuscolo del colonialismo, «Rinascita», Roma, n. 11-12, novembre-dicembre 1958, pp. 847-871 (8 disegni per illustrare diversi articoli). G. Trevisani, Piccola enciclopedia del socialismo e del comunismo, Milano, Società Editrice del Calendario del Popolo, 1958. I. Toscani, Omaggio a Giuseppe Scalarini, «La parola del popolo» n. 37, Chicago (Illinois), 1958-59, pp. 61-62.

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M. Staglieno, Arnaldo e Benito. Due Fratelli, Milano, Mondadori Editore, 2003, pp. 339-340 M. Caserta, Quando la villeggiatura era il confino, «Lettera», Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica, anno VI, n. 15-16, dicembre 2003-aprile 2004, pp. 8-14. Giuseppe Scalarini: il disegno come articolo di fondo, cat. mostra a cura di G. Germani, Gradisca d’Isonzo (Go), dicembre 2003-gennaio 2004. C. S. Capogreco, I campi del duce, Torino, Einaudi, 2004, passim. F. Damerini, La matita come il pugnale. Giuseppe Scalarini, un italiano ‘contro’, «Charta», Verona, n. 68, anno XIII, gennaio-febbraio 2004, pp. 68-70. A. Del Boca, Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2005, p. 112. La Grande Guerra degli artisti. Propaganda e iconografia bellica in Italia negli anni della prima guerra mondiale, cat. mostra a cura di N. Marchioni, Firenze, Polistampa, 2005, pp. 91-100 e 213-218. G. Galli, Giueppe Scalarini, disegnatore politico, «Broletto» n. 83, inverno 2005-2006, Como, Editoriale Lombarda, 2006, pp. 30-32.

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Giuseppe

Scalarini

Š Museo della Satira e della Caricatura - Forte dei Marmi, 2006 Per i disegni di Scalarini Š Eredi Scalarini Il copyright delle opere in catalogo appartiene agli aventi diritto. Dette opere sono qui riprodotte al solo fine di illustrare la mostra organizzata dal Museo della Satira e della Caricatura nel periodo riferito. Ăˆ vietata ogni riproduzione anche parziale. Graphic design: Gabriele Moriconi Impaginazione: Editografica, Versilia Web design: Luca Martinelli, Claudia Neri Stampa: Pacini Editore, Pisa www.museosatira.it/scalarini

Finito di stampare nel mese di luglio 2006 presso la Tipografia Pacini Editore di Pisa



DIGITAL EDITION Realizzazione Franco A. Calotti


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