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AND THEN WE
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E WERE THREE
«E alla fine diventammo tre»: così, nel 1978, i Genesis intitolavano il disco che li vedeva per la prima volta ridotti a un trio. Lo stesso oggi capita a quello che da oltre 40 anni è considerato il quartetto del pop italiano per antonomasia: come tutti ormai sanno, Stefano D’Orazio ha detto basta e, alla vigilia del suo ultimo concerto da Pooh (il 30 settembre), spiega perché. Ma la storia di questa band vanta altri ex illustri: Valerio Negrini, ad esempio, che oggi molti vogliono in pole position per il posto vacante di batterista. Oppure Riccardo Fogli, che se ne andò nel 1973, per un «bisogno di libertà». 11
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REMASTER: NICO FIDENCO
Il panorama mozzafiato dello skyline di New York, visto dagli uffici della RCA americana. Ăˆ il 1961 e Nico Fidenco è arrivato nel posto che ogni cantante sogna perlomeno di vedere una volta nella vita. 28
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L’UOMO CHE VENDEVA TROPPO Esattamente 50 anni fa il giovane Domenico Colarossi presentava alla RCA Italiana un pugno di canzoni scritte per divertimento. Il destino gli sorrise, facendo di lui la prima superstar di una discografia ancora in fase di rodaggio. Ma non furono tutte rose e fiori: oggi, nel dare gli ultimi ritocchi a un box antologico che riassume la sua carriera, Nico Fidenco parla dei suoi anni d’oro e descrive una RCA matrigna e disumana verso i suoi artisti. Conversazione con Nico Fidenco | di Maurizio Becker Le hanno mai detto che la sua voce è molto simile a quella di Vincenzo Micocci?
Rossellini. Non ero preparato per niente, era una cosa totalmente improvvisata e per me inattesa.
Veramente no, è la prima volta. Guardi che è una cosa carina. Poi, detta da me, è quasi un complimento…
Cosa faceva in quel momento? Avevo appena terminato il liceo e stavo per iscrivermi all’università. La mia intenzione era studiare Medicina. Ma quel concorso cambiò i miei programmi.
Micocci è stato molto importante nella sua carriera… Enzo Micocci è stato il mio padre artistico e putativo. La mia carriera nella musica la devo tutta a lui.
Diceva che a esaminarla fu Rossellini… Ero terrorizzato. Però ebbi l’unico momento di spiritosaggine della mia vita e gli dissi: «Guardi dottore, io non ho studiato niente. Non mi chieda Vogliamo partire dall’inizio? del cinema del passato». Allora lui mi domandò: Io sono andato giù alla RCA per far sentire dei «E come mai è qui?». E io: «Vorrei fare regia, ma provini, perché volevo propormi come musicista. ritengo che per fare delle cose nuove non si Avevo delle piccole cose. L’ho fatto perché avevo debba mai attingere al passato, altrimenti si finiconosciuto Franco Migliacci ed Enrico Polito. sce col rimestare sempre le stesse idee. InChe immagino abbia conosciuto nel giro del somma, io vorrei partire vergine». Rossellini mi cinema. Lei frequentava il Centro Sperimenguardò e disse che l’idea non era del tutto sbatale di Cinematografia… gliata. Una settimana dopo mi arrivò il teleSì, avevo vinto il concorso, anche lì inaspettatagramma che mi comunicava l’ammissione. mente. Spedii la domanda, mi mandarono a chia- Ovviamente, io rimasi sbalordito. A quel punto, mare e fui esaminato nientemeno che da Roberto cambiai i miei piani e mi iscrissi a Giurispru29
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Italo Calvino
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e la canzone
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Appena cinque canzoni: fu breve ma intenso il rapporto fra Italo Calvino e la canzone. La scintilla si accese in un Primo Maggio di cinquantuno anni fa, mentre una manifestazione sindacale attraversava le strade di Torino sulle note di una canzone che denunciava le atrocità della guerra . Fu lì che iniziò tutto: Calvino divenne il più insospettabile dei cantautori e l’irripetibile esperienza di Cantacronache prese forma . di Alessio Lega , Un giorno nel mondo finita fu l’ultima guerra, il cupo cannone si tacque e più non sparò, e privo del tristo suo cibo dall’arida terra, un branco di neri avvoltoi si levò. Dove vola l’avvoltoio, avvoltoio vola via vola via dalla terra mia che è la terra dell’amor. o si sarebbe detto quasi un corteo no global, un corteo da centro sociale… non tanto per le tenute dei manifestanti, che sfilavano con tanto di giacca e cravatta, né per gli striscioni piuttosto smorti, quanto perché il corteo era accompagnato da un furgoncino, attrezzato con altoparlanti, che diffondeva musica. Come si dice ora, un sound system. Il primo di maggio del 1958 a Torino la manifestazione sindacale, partita dalla Camera del lavoro, giunge a piazza Castello sulle note di una nuova, nuovissima canzone. L’autore della melodia è un bravo compagno, militante comunista iscritto al partito, vulcanico musicista di formazione colta, ebreo che ha conosciuto il disonore delle leggi razziali e l’orgoglio della lotta di liberazione: il suo nome è Sergio Liberovici. A rendere però particolarmente notevole la colonna sonora di quella manifestazione è l’autore del testo, uno degli scrittori italiani più in voga, Italo Calvino. A lui, e a un manipolo d’intellettuali torinesi, si deve l’inizio della canzone d’autore italiana. Il nome di quella breve e straordinaria esperienza collettiva è Cantacronache.
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L’ORRORE DELLA GUERRA Il brano Dove vola l’avvoltoio – il primo registrato dai Cantacronache, e diffuso proprio quel primo di maggio del ’58 – è il prototipo della ballata antimilitarista d’autore. Il tema della denuncia dell’atrocità della guerra è già molto presente nel canzoniere popolare (O Gorizia tu sei maledetta), nei songs di Brecht (Legende vom Toten Soldaten) e nelle chansons di Prévert, Brassens o Vian (Barbara, La mauvaise reputation, Le deserteur), che erano fonti d’ispirazione per l’intero gruppo. Questo brano pacifista però costituirà il riferimento per tutto quello che seguirà, a partire dalla celeberrima La guerra di Piero di Fabrizio De André, che guarda caso ne cita l’incipit: L’avvoltoio andò dal fiume ed il fiume disse “No nella limpida corrente ora scendon carpe e trote non più i corpi dei soldati che la fanno insanguinar” (Calvino)
Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente. (De André) L’idea di creare Cantacronache era venuta nel ’57 a Liberovici e si può riassumere in poche parole: perché non fare anche in Italia canzoni con una musica originale e testi poeticamente e letterariamente validi? Liberovici ne aveva parlato al giovanissimo e inarrestabile Michele L. Straniero, talento multiforme (poeta, antropologo, filosofo, etnomusicologo) e dinamico organizzatore culturale, che aveva messo immediatamente la sua baldanza e i suoi contatti al servizio della causa(1). Ma poi Sergio stesso aveva estratto dal mazzo la sua carta migliore, chiedendo qualche testo a Italo Calvino, amico personale con cui aveva già collaborato per l’opera La panchina (andata in scena il 2 ottobre del ’56). «Preso da autentico entusiasmo» (sono parole di Straniero), in poco tempo Calvino sforna i 5 brani che lo faranno entrare nella storia della canzone. Il primo tema che affronta, come abbiamo visto, è il pacifismo. Lo fa rielaborando un proprio raccontino intitolato Dove va l’avvoltoio, uscito qualche anno prima (agosto del ’54) sulla rivista «Il contemporaneo» e mai più ripescato per le raccolte in volume: “Per un gran numero di anni, nel mondo c’erano state sempre guerre, una dopo l’altra. Un giorno, quella che c’era finì e il mondo si trovò senza guerre tutt’a un tratto. Gli avvoltoi che volavano nel cielo di quell’ultimo fronte…”. Liberovici, dal canto suo, cuce al testo una musica ritmata e drammatica, un ritornello dal vago sapore russo, quasi una reminiscenza da coro dell’Armata rossa, con l’accompagnamento scandito dalla melodia dei bassi del pianoforte. L’incipit e il finale parlati, l’orecchiabilità incalzante delle strofe costruite sul modulo popolare favolistico, con la medesima situazione (il volo d’avvoltoi in cerca di guerra – che si pone ai più diversi interlocutori: il fiume, il bosco, l’eco, i tedeschi, la madre, l’uranio) ne fanno un classico in cui i moduli popolari si compendiano perfettamente con una tessitura lessicale e musicale alta. Questa canzone sarà un punto fermo per i Cantacronache, che la considereranno il loro brano-simbolo, proponendola sia come pezzo d’apertura che di chiusura del loro primo concerto, il 3 maggio del ’58, e registrandola più e più volte. Calvino è uno dei più grandi artisti italiani, e anche come autore di canzoni non si smentisce. I suoi brani presentano il tratto di una novità assoluta, ma
appaiono anche il prodotto maturo di uno scrittore che conosce le formule proprie della poesia popolare. Il suo piccolo canzoniere, quelle cinque canzoni che possiamo ascoltare(2), tutte legate all’esperienza di Cantacronache, presentano una grande varietà.
L’AMORE In Canzone triste (musica di Sergio Liberovici) il tema sempiterno degli amanti separati è riproposto in chiave operaia e moderna: marito e moglie hanno due turni inconciliabili, lui lavora in fabbrica di notte, lei al mattino. Soltanto un bacio in fretta posso darti; bere un caffè tenendoti per mano. Il tuo cappotto è umido di nebbia. Il nostro letto serba il tuo tepor. Ancora dieci anni dopo in RAI si censurava la parola “letto” (inteso come participio passato del verbo leggere) perché poteva far pensare all’innominabile talamo, luogo dell’amore carnale. Figurarsi a che platea mai avrebbe potuto aspirare questa canzone, in cui tepore e umido suggeriscono un quadro di grande tenerezza e intimità. Tale novità formale però impallidisce a confronto dell’irruzione nel mondo astratto delle canzoni degli anni Cinquanta di due persone reali, due lavoratori. Il motivo dei due sposi separati dai turni è straordinariamente caro a Calvino: appena accennato nella citata opera La panchina, sarà ripreso e ampliato nel racconto L’avventura di due sposi (nella raccolta Gli amori difficili, 1958) e poi nei dialoghi dell’episodio Renzo e Luciana, girato da Monicelli per il film Boccaccio 70.
LA RESISTENZA Oltre il ponte (musica di Sergio Liberovici) è la rievocazione dell’esperienza fatta nella Resistenza. Vi si narra di una guerra eroica e povera, ma non idealizzata (Non è detto che fossimo santi / l’eroismo non è sovrumano), ma soprattutto si pone il problema della trasmissione della memoria e degli ideali che la agitano, a fronte del torpore indotto dal tempo che passa (Io spero che a narrarti riesca / la mia vita all’età che tu hai ora… ormai tutti han famiglia hanno figli / che non sanno la storia di ieri… e vorrei che quei nostri pensieri / quelle nostre speranze di allora / rivivessero in quel che tu speri). Lo scrittore s’accosta alla pagina più eroica e gloriosa della recente storia d’Italia, una pagina da lui vissuta in prima persona, tenendo in equilibrio inno, elegia e riflessione(3). 93