storie di artisti, dischi e canzoni
#10 • aprile 2010 • € 7,00
NEW TROLLS
PIERO CIAMPI
La leggenda continua
Il poeta innamorato
NICOLA DI BARI
NANNI RICORDI
La voce di sabbia
IVAN GRAZIANI
La discografia integrale
Edoardo Bennato Forever young
La nascita dei cantautori
I BRUTOS
Da Carosello all’Olympia
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REMASTER NICOLA DI BARI
LO SBRANATO DALLA VOCE DI SABBIA “Es lo ùltimo romantico”, “el artista italiano más querido en América”: i suoi manifesti tappezzano i viali di Buenos Aires e di mezza America Latina. Un tour appena concluso e un disco in spagnolo in arrivo, dedicato ai cantautori e alle canzoni che ha sempre amato. L’artista dalla voce “tamburosa” e “sabbiosa” compirà 70 anni in questo 2010 e per festeggiare ha deciso di raccontarsi. Per la prima volta. Conversazione con Nicola Di Bari | di Timisoara Pinto Per cominciare, Nicola o Michele? Gli amici mi chiamano Nicola, il mondo mi chiama Nicola, ma in famiglia sono sempre stato Michele. E Timi da dove viene? Da Timi Yuro? Solo a te poteva venire in mente Timi Yuro! No, non è per questo… Tu, piuttosto: Di Bari, come Peppino scelse Di Capri? Di Bari come il santo: San Nicola di Bari. La città non c’entra nulla. Io sono di Zapponeta, nel golfo di Manfredonia, provincia di Foggia. Mio padre era un devotissimo di San Nicola e io fin da bambino ho ereditato la passione per questo Santo. Chi decise che dovevi trovare un nome d’arte? Walter Gürtler, il mio primo discografico. Ho cominciato con la Jolly, l’etichetta della Saar dove sono nati Celentano, Peppino Gagliardi, Remo Germani, Fausto Leali e altri. Ai ragazzini di allora piacque molto la mia voce roca, una voce sabbiosa che sa di sale, forse la prima del genere in Italia, tanto che un mio collega che cantava in tutt’altra maniera fece dei numeri incredibili per inventarsi un timbro come il mio. 18
Di chi parli? Be’, di Fausto Leali. Oggi il grande interprete che tutti conosciamo, ci mancherebbe altro, ma all’inizio rimase molto impressionato dal mio modo di cantare. Per me dentro c’era il miraggio dei miei primi amori musicali, il gusto romantico-latino di Frank Sinatra e la grinta, la rabbia di Ray Charles. La stampa, invece, mi fu subito contro: qualcuno scrisse che nella patria di Giuseppe Verdi era una vergogna presentarsi davanti al pubblico con una voce del genere. E chi lo scrisse? Non me lo ricordo. Era successo che nel dicembre del ’63 la mia casa discografica decise di presentarmi a Tv7, la trasmissione condotta da Gianni Bisiach. Cantai Amore ritorna a casa, il pezzo con cui nel ’64 avrei partecipato al mio primo Cantagiro. Mi videro in molti, perché era un programma di grande ascolto e anche perché in quella puntata si parlava per la prima volta in Italia del fenomeno Beatles. Hai vinto due Festival di Sanremo consecutivi. Tre.
Come tre? I giorni dell’arcobaleno nel 1972, Il cuore è uno zingaro nel 1971 e l’anno prima ancora anche La prima cosa bella, che vinse Sanremo ma poi, per ragioni che non sto a spiegare, arrivò seconda, dopo la coppia Mori-Celentano. Come quando un cantante partecipa al Festival solo se ha la garanzia di arrivare primo? Mah, io so per certo che i voti per La prima cosa bella furono una valanga, 1000 contro, che so, i 40 di Chi non lavora non fa l’amore. All’ultimo momento, però, i dirigenti dissero che aveva vinto Adriano… Insomma, la cosa certa è che in pochi giorni il mio disco arrivò a 1.800.000 copie vendute. Come mai, secondo te, il regista Paolo Virzì ha scelto La prima cosa bella per raccontare il suo ultimo film? Un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: «Non hai la minima idea di quanto Virzì voglia bene a Nicola Di Bari». Paolo è nato nel ’64 e questo film è ispirato alla sua infanzia, segnata dall’assenza del padre, e ai suoi ricordi personali. La prima cosa bella era una canzone che i bambini di allora amavano molto e anche lui la can-
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Nel mio modo di cantare c’era il miraggio dei miei primi amori musicali, il gusto romanticolatino di Frank Sinatra e la grinta, la rabbia di Ray Charles. La stampa, invece, mi fu subito contro: qualcuno scrisse che nella patria di Giuseppe Verdi era una vergogna presentarsi davanti al pubblico con una voce del genere
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L’inizio di questo 2010 ha regalato un brivido agli amanti del vecchio rock progressivo italiano: i New Trolls sono tornati in pista nella formazione originale, per una serie di concerti e perfino per un nuovo Concerto Grosso con Luis Bacalov. Storia della band che è rinata infinite volte dalle proprie ceneri e che oggi non può utilizzare il proprio nome. Conversazione con Vittorio De Scalzi | di Vito Vita C’è una leggenda metropolitana secondo cui un giornalista di Genova aveva scritto un elenco dei musicisti migliori della città all’epoca e che da lì è nato il gruppo… È carina, è bella da raccontare come storia, ma non è vera. Ormai gira da molti anni ma la smentisco ufficialmente, non è andata così… E allora com’è la vera storia della nascita dei New Trolls? Inizia con me che mi vado a cercare i personaggi che musicalmente mi piacciono. A Genova c’erano quattro gruppi principali: i Bats, cioè i Pipistrelli, in cui c’era Nico Di Palo; i Terremoti, con Giorgio D’Adamo; i Jet, dove suonava Belleno, e infine i Trolls, dove suonavo io. In pratica ho rovinato quattro gruppi, togliendogli l’elemento migliore e facendone uno nuovo di zecca e fortissimo, i New Trolls. Ma i Jet sono gli stessi in cui suonavano Angelo Gatti e Franco Sotgiu dei Ricchi e Poveri? Certo, ma da lì sono venuti fuori anche i Matia Bazar. I Jet hanno dato origine ai Ricchi e Poveri e ai Matia Bazar. All’epoca c’era anche Mauro Chiarugi alle tastiere… Mauro è rimasto pochissimo, due
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anni. Fino al 1969. Era un amico comune. Quindi iniziate a suonare, come tanti ragazzi all’epoca… Ma come arrivate alla Fonit-Cetra? Lì è stato tutto merito di mio padre, Gianni, che è stato il nostro mentore. Mio padre non lavorava nel mondo musicale, ma aveva dei ristoranti, era un mio fan e mi ha aiutato. Ha visto che avevo del talento e mi ha assecondato, e io lo devo ringraziare per questo. Ci ha comprato gli strumenti e il primo impianto di amplificazione, poi ci ha trovato l’ingaggio per aprire i concerti dei Rolling Stones durante la tournée italiana e i primi contatti con la Fonit-Cetra. Questo successe perché il direttore artistico della Fonit-Cetra, Arduino, era un genovese, e veniva a mangiare molto volentieri da mio padre, che aveva uno dei ristoranti più rinomati di Genova. Mio padre se l’è lavorato molto bene, tanto da farci arrivare alla Fonit-Cetra. Intendiamoci, non è che siamo arrivati alla Fonit-Cetra solo per, diciamo così, spinte “politiche”… All’epoca non era come oggi,
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che fai le tue cose, le metti in rete e dici «Ho fatto questo, vi interessa?». Allora non era così, dovevi metterti in contatto con le case discografiche e non era semplice… Insomma, nel 1968 esce il primo 45 giri, Sensazioni. Devo correggerti, Sensazioni esce prima, nell’ottobre del 1967… Ne sei proprio sicuro? Sì, nel 1968 escono altri 45 giri, Visioni e Cristalli fragili. Se lo dici tu sarà così… Comunque si tratta tutti di pezzi nostri, in un periodo in cui i gruppi italiani facevano invece quasi tutte cover. La Fonit-Cetra aveva degli uffici a Torino, e gli studi di registrazione in via Bertola 34: avete registrato lì all’epoca? No, registrato no, ma eravamo spesso a Torino, proprio per gli uffici. Quando si veniva a Torino era sempre per firmare contratti, insomma per concludere qualche affare, perché la sede burocratica era lì. Dormivamo in una pensione lì vicino, in via Pietro Micca… Invece le registrazioni le facevamo alla Fonit-Cetra di Milano, in via Meda. A Torino gli affari, a Milano il lavoro. In quelle prime incisioni si sente l’influenza di Jimi Hendrix, nelle chitarre. Nico suonava la chitarra con i denti, nelle esibizioni dal vivo… Direi di sì, c’era un suono nell’aria… Al-
A sinistra: in alto, Nico Di Palo; in basso, Gianni Belleno. A destra: in alto, Vittorio De Scalzi; in basso, Giorgio D’Adamo. 43
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I Brutos: da sinistra, Dante Cleri, Elio Piatti, Gianni Zullo, Ettore Gerry Bruno. Nella pagina seguente, Jack Guerrini.
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Chi è cresciuto con la tv in bianco e nero non li ha dimenticati: pensate al famoso Carosello della cera Grey, con quei ceffoni a raffica che facevano impazzire tutti i bambini. Ma i Brutos sono stati molto di più che un gruppo di simpatici caratteristi: hanno girato il mondo, sono stati applauditi dalle principali star internazionali, hanno trionfato nei templi dello spettacolo, a partire dall'Olympia. E hanno fatto tanti dischi, senza però mai realizzare un album. Adesso «Musica Leggera» racconta la loro storia, piena di litigi, divorzi, incontrollabili intemperanze,occasioni perse e aule di tribunale. Conversazione con Gerry Bruno | di Vito Vita Gerry, come è iniziata la carriera dei Brutos? Da ragazzo andavo a scuola di linotipista mentre lavoravo alla Reale Tipografia Sociale Torinese, sai, quella delle enciclopedie… Ero vicino di casa di Jack Guerrini e insieme avevamo messo su una coppia comica sul modello di Dean Martin e Jerry Lewis, dove io facevo la parte di quest’ultimo un po’ perché gli assomigliavo, un po’ perché lo imitavo. E così da Ettore sono diventato per tutti Gerry: Jerry Lewis era uno dei miei idoli, insieme a Bill Haley e Joe Di Maggio. Poi ci ha notati Aldo Zanfrognini, un impresario che gestiva il Teatro Alcione di corso Regina, e che aveva già messo sotto contratto Aldo Maccione, Gianni Zullo ed Elio Piatti, tutti con varie esperienze precedenti. Così abbiamo iniziato a esibirci insieme, ma non ancora come gruppo, come singoli attori. La data esatta del primo spettacolo è il 29 dicembre 1958. Quando nacquero i Brutos veri e propri? Solo alcuni mesi dopo: spronati da Zanfrognini, ci inventammo un numero insieme, un po’ per caso, un po’ per necessità, e lì nacque il nome “Brutos”. Ce lo ispirò la donna delle pulizie dell’Alcione che, presentandosi alle dieci del mattino per adempiere al suo lavoro ci incontrò tutti stravolti, dopo una nottata in bianco, e
sbottò in dialetto piemontese: «Ai sève tant simpatic ma ai sève anca tant brutt», che significa “siete molto simpatici, ma siete anche tanto brutti”. Cosa facevate in queste prime esibizioni? Essenzialmente numeri comici, battute... Poi una sera Zanfrognini ebbe l’idea di far cantare un brano romantico al “bello” del gruppo, Giacomo Guerrini, mentre noi facevamo smorfie e cantavamo i cori, storpiando il testo originale della canzone… Lì abbiamo iniziato a caratterizzarci: Zullo è diventato quello che prendeva gli schiaffoni e piangeva, io mi sono “ricreato” la dentatura, con un solo incisivo davanti, colorando di nero gli altri con il rimmel o mettendoci del nastro adesivo nero sopra, Jack come ho detto è diventato “il bello dei Brutos”. E visto il successo iniziammo a crearci un repertorio con cover come Blue Moon, Summertime, Little Darling e molte altre degli Everly Brothers, dei Diamonds, di Paul Anka e in generale di tutti i gruppi e i solisti che andavano per la maggiore. Brani che però non avete inciso, mi pare… Noi nasciamo principalmente come gruppo di spettacolo dal vivo. I dischi sono venuti dopo, sono stati una conseguenza, e non rappresentano tutto il nostro repertorio. Prima abbiamo raggiunto il successo dal vivo, già nell’estate del 1959 ci esibivamo praticamente in tutta
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Il 19 gennaio di trent’anni fa se ne andava Piero Ciampi, autore unico nel panorama della nostra canzone: ingestibile, ostico, tormentato, geniale, ancora oggi oggetto di un culto forse ristretto ma appassionato. Mentre un emozionante libro del suo produttore Gianni Marchetti ne ripercorre la tragica parabola umana e artistica, Miranda Martino ce ne parla nel suo accogliente salotto, lo stesso nel quale Ciampi passava giornate intere a bere, cantare, litigare e innamorarsi. E traccia un parallelo con un altro suo grande amico scomparso, Luigi Tenco. Conversazione con Miranda Martino | di Maurizio Becker
Come hai fatto la conoscenza di Piero Ciampi? Attraverso un comune amico che si chiama Marcello Micci, che aveva un ristorante in via Andrea Doria, a due passi da piazzale degli Eroi. Erano gli anni romani di Piero, quando era sotto contratto con la RCA. Lo avevo già incrociato nei corridoi dello stabilimento di via Tiburtina. Ma non fu lì che lo conobbi. Ne avevi già sentito parlare? Lo conoscevo come Piero Litaliano. Sapevo solo che era un poeta un po’ maledetto. Poi però diventaste molto amici… Sì, Piero veniva a trovarmi spesso qui a casa, a volte accompagnato dalla sua cricca, Pino Pavone, Massimo Bizzarri e naturalmente Marcello. Si facevano delle grandi feste, si andava a suonare su, nel superattico. Lui si sedeva al pianoforte, o imbracciava la chitarra, e cantava. In quei momenti era felice, si sentiva protetto. Poi quando gli altri se ne andavano, restava su a dormire. Di solito si svegliava alle tre o alle quattro di notte, mi veniva a svegliare all’improvviso e mi chiedeva di prestargli mille lire per un tassì. Non sempre era così tranquillo… È vero. Piero era sempre sopra le righe, sempre fuori di testa, perdeva il controllo con estrema facilità. Spesso veniva anche con suo fratello: litigavano sempre, lui urlava, aveva degli scatti d’ira molto violenti. Però con me mostrava sempre una tenerezza incredibi-
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le: «Tu sei buona, mi diceva, sono felice che esisti. Tu esisti per stare con me». Era molto affettuoso. Solo una volta avemmo un piccolo screzio, quando lui disse una frase antipaticissima a mia sorella Marcella: «Tu stai zitta, che con quegli occhi che hai non devi neanche parlare!». Allora io lo presi da parte: «Senti Piero, guarda che mia sorella ha avuto il morbo di Basedow, ecco perché ha questi occhi così sporgenti». Lui ci rimase così male, era mortificato, poverino, e andò di corsa a chiederle scusa. Stavate sempre a casa tua? Oppure si andava a mangiare al ristorante di Marcello. Ma lui non toccava cibo, dovevamo costringerlo a buttar giù due fili di spaghetti. Voleva solo il suo vino. Amavi la sua musica? Quando ascoltavo i suoi dischi, le lacrime non si contavano: Il vino, 40 soldati 40 sorelle, Il merlo, in cui chiedeva al merlo di dargli l’ispirazione, un’idea geniale. E poi un’altra bellissima, In un palazzo di giustizia, che dice: “Io ti sparo, tu mi spari, io ti sparo, tu mi spari, tu ti alzi all’improvviso, non sei più quella di prima”. In Te lo faccio vedere io chi sono io invece diceva: “Ci ficchiamo a letto e te lo faccio vedere chi sono io: ti sganghero!”. E soprattutto Tu no, una canzone che ci ha legato moltissimo: io e il mio compagno l’ascoltavamo insieme e piangevamo, perché era così struggente, nelle parole e nella maniera in cui lui la cantava: “Tu no, tu no, tu no, tu non puoi andare via, tu non devi an-
dare via, ti ricordi via Macrobio, qualche volta eri felice”. Ti parlava mai di quello che faceva in RCA? Mi diceva che c’era questo rapporto conflittuale. Da un lato, sapeva che Ennio Melis lo amava e lo proteggeva, poi però non sopportava che quando andava a cantare in un night Melis puntualmente gli mandasse un po’ di claque per applaudirlo. In quei casi impazziva, sentiva che partiva un applauso a sproposito e capiva che era un applauso finto, comandato, e allora esplodeva e gliene diceva di tutti i colori: «Vattene via, mi stai rompendo i coglioni!». Cose così. Noi amici eravamo veramente imbarazzati. Proprio non ci stava con la testa. Quando stava qui era sereno, se no parlava un po’ a sproposito. Non vi è mai venuta l’idea di una collaborazione artistica? Lui me l’aveva chiesto. Poi, dopo qualche tempo che non ci frequentavamo, seppi che Melis gli aveva proposto di fare il disco con Nada. E a dire la verità ci rimasi un po’ male, perché pensavo che prima o poi avremmo collaborato. Ma forse all’epoca Melis ritenne che io ero troppo famosa e che legare il mio nome a quello di un personaggio strano come Piero fosse troppo rischioso per la mia immagine. Comunque mi è bastato averlo avuto come amico. Alcune sue canzoni però le hai cantate… Al Premio Ciampi sono stata invitata
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«Piero era sempre sopra le righe, sempre fuori di testa, perdeva il controllo con estrema facilità. Spesso veniva anche con suo fratello: litigavano sempre, lui urlava, aveva degli scatti d’ira molto violenti. Però con me mostrava sempre una tenerezza incredibile: tu sei buona, mi diceva, sono felice che esisti» 57