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Schermo bianco, sottofondo ritmico appena percettibile. Rettangolo in alto a sinistra. Scritta virgolettata: «Quanta gente esiste da queste parti che parla tanto e non dice niente: o quasi niente». Un po’ qualunquistico, magari, ma efficace. Purché le tagliole editoriali lo lascino passare. Tutto dipende da chi la canta. Anche una canzonetta ha bisogno di credibilità. Altro spazio bianco. Compare un viso da “jazzista”. Di quelli che sanno tutto sulla musica. Primissimo piano delle labbra. Il jazzista parla: «Sì, va bene, ma l’inizio è uguale all’inizio di Night and day… “Like the beat beat beat of the tom-tom, when the jungle shadows fall…”. Carlo Pes interviene: «Fa’ un po’ sentire come fa esattamente… Dove l’hai trovata? Gajarda!…». Forse l’aggettivo non è del tutto pertinente, ma rende l’idea. Fa parte di un pacchetto di motivi che comprende La ragazza di Ipanema e Menina flor. Inserto a destra. Grande scrivania alla quale è seduto l’editore. L’editore medita per qualche secondo. Poi, con una certa reticenza, come se temesse di offendere la sensibilità altrui o di passare per un editore chiuso alle proposte “di rottura”, sentenzia: «Certo. Capisco l’entusiasmo… Ma a chi vuoi che interessi questo tipo di musica?». Inserto di corde di chitarra.
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Fuori campo la voce di un cantante sta cantando: «Questa è bossa nova… Questo è molto naturale…». Forse, qualcuno c’è. I vari frammenti d’immagini si muovono rapidamente come i quadratini del gioco del “quindici”. L’immagine conclusiva non si forma ancora. Coro: “Ca…te…-ri…-na. Oh oh oh oh…”. Ma come no? Bisognava pensarci subito! Con Caterina (Valente, e chi sennò?) abbiamo passato giorni di galaverna che faceva brillare le piante del giardino dello studio della Teldec di Berlino, mentre lei registrava un album di canzoni di Luis Bonfà, quello di Orfeu Negro, con le quali contrapponevamo al gelo idee di sabbia calda e dorata che nascevano insieme alla musica in quello che è stato, credo, il suo primo disco tutto brasiliano… E adesso arriva quest’altra proposta: Samba di una nota. Caterina, con un grande sorriso, domanda: «Davvero, vorresti che la cantassi io?». Ride e aggiunge: «Prima Bonfà, adesso Jobim. Finirò per specializzarmi. Fammela provare un momento…». Prende la chitarra e comincia: «Per un samba piccolino, una nota basterà…». E va fino in fondo senza problemi. Naturalmente. Se un abito ti va bene, indossalo, dice un proverbio. E non c’è stata nessuna modifica da fare.
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SAMBA DI UNA NOTA STORY Samba di una nota, o meglio Samba de uma nota so, è una delle canzoni simbolo della bossa nova, insieme a Desafinado, Ragazza di Ipanema, Chega de saudade e poche altre. Scritta da Newton Mendonça su musica di Antonio Carlos Jobim, è stata lanciata da Joao Gilberto su un extended play della Odeon Brasil nel 1959 e successivamente inserita anche nel suo secondo album O AMOR, O SORRISO E A FLOR del 1960. All’epoca del suo lancio, ebbe successo solo in Brasile. Esplose in tutto il mondo solo nel 1962, quando la bossa nova fu popolarizzata negli Stati Uniti prima da Stan Getz & Charlie Byrd con l’album JAZZ SAMBA, quindi da Tom Jobim (col nome tradotto in inglese) in un famoso concerto alla Carnegie Hall di New York. Da allora è considerata un “evergreen”: nei Paesi di lingua inglese è conosciuta come One note samba, con parole tradotte dallo stesso Jobim, ed è stata incisa fra gli altri da Frank Sinatra, Eydie Gorme, Earl Grant, Sergio Mendes, Astrud Gilberto e Quincy Jones. La versione italiana porta invece la firma di Giorgio Calabrese (“Per un samba piccolino / una nota basterà / altre note troverò / ma la base è tutta qua”) ed è stata lanciata da Caterina Valente nel 1962 (su un 45 giri Decca 45-C-16576, retro: Corcovado). Altre interpretazioni: Carlo Pes (1962, Ricordi), Rocco Balsamo (1962, General Record), Ivana Cosetta (1962, flexy NET), Nicola Di Bari (nell’album UN ALTRO SUD, RCA, 1973). A dispetto della sua fama, Samba di una nota è apparsa di rado su disco, mentre è stata spesso cantata dal vivo in trasmissioni televisive. Tra le prime la più interessante è senza dubbio quella di Mia Martini, pubblicata postuma nel 1996 (nella raccolta MIMÌ BERTÉ, OnSale Music, mentre
di Guido Racca
la meno nota è probabilmente quella dell’attore-cantantecabarettista Enzo Guarini (in SORRIDETE, PREGO del 1970). È stata incisa anche da Sandie Shaw (CD: Sandie Shaw Supplement, EMI, 2005). Più recente, del 2006, è la versione del duo Montefiori Cocktail (nell’album Montefiori appetizer vol.1, EMI). Tra le esecuzioni televisive segnaliamo quella che ne fecero Johnny Dorelli e Ornella Vanoni in Gran Varietà (1974) e quella cantata da Raffaella Carrà in Fantastico 3 (1982). Di queste ultime due versioni non esiste però traccia discografica. Infine, un’occhiata alla performance di classifica: stranamente questo brano non compare mai nelle liste di «Musica & Dischi» o di altre riviste italiane del periodo. L’unica apparizione è quella documentata dalla rivista mensile «Musica nel mondo» nel numero di maggio 1962, quando la Samba di una nota di Caterina Valente entra al 21° posto in classifica e vi rimane solo per un mese. Decisamente più fortunata la versione originale del brano: l’album O AMOR, O SORRISO E A FLOR di Joao Gilberto (che contiene Samba de uma nota so) entrò infatti al 2° posto nella classifica degli album del mensile «Tuttamusica» nel dicembre 1962 (da notare che al primo posto c’era un altro disco di Joao Gilberto, il leggendario CHEGA DE SAUDADE). Nel mese successivo scalerà di due posizioni, rimanendovi poi anche nei mesi di febbraio e marzo 1963. Nelle classifiche americane il pezzo ha goduto di un successo ancora più grande: nel 1962, infatti, l’album JAZZ SAMBA del duo americano Stan Getz & Charlie Byrd (contenente fra l’altro One note samba) si piazzò addirittura al numero uno.
Antonio Carlos Jobim, il compositore di Samba de uma nota so.
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MASTER TAPE: Franco Battiato Al momento il tuo ultimo lavoro che, per comodità, possiamo definire non di musica leggera è CAMPI MAGNETICI del 2000. Come giudichi quel disco oggi? Sette o otto anni fa, in India, presi parte a un festival di musica sacra organizzato dal Dalai Lama. Ero l’unico artista occidentale ed eseguii alcuni brani tratti da CAMPI MAGNETICI, quelli più ipnotici e musicalmente meno duri. A parte il fatto che già durante le prove vidi avvicinarsi una trentina di monaci tibetani interessatissimi a quello che stavano ascoltando, alla fine del concerto si formò una fila di indiani che volevano acquistare i pezzi che avevano appena sentito. Credo, insomma, che quel disco, nato originariamente come musica per balletto, sia un lavoro riuscito. Detto ciò, è molto difficile che un episodio come quello che ho appena raccontato possa accadere in Italia. L’aspetto positivo del pubblico italiano è che ogni tanto può spiazzarti, accogliendo una certa canzone in una maniera che non avevi previsto, però gli manca quasi completamente la capacità di seguire un artista anche su piani diversi dal consueto. Gli italiani, tendenzialmente, non amano le scommesse, preferiscono ascoltare sempre la stessa canzone piuttosto che avventurarsi su un terreno di novità.
di Farinelli, durante il quale, in virtù del suo enorme valore, riuscì a fare ombra anche a un fuoriclasse come Händel. Tra l’altro è una leggenda quella che afferma che i castrati non potessero avere rapporti sessuali. Potevano averli, invece, anche se ovviamente erano sterili. E anzi, proprio per queste loro caratteristiche, accadeva spesso che divenissero amanti delle dame di corte.
È un progetto che nasce dal desiderio di dare maggiore visibilità a pezzi che, per un motivo o per l’altro, ne hanno ricevuta meno di quanta a
Ma come farai a trovare qualcuno che interpreti in maniera credibile un castrato, specie per quello che riguarda la voce? Sono in pochi a saperlo, ma i castrati esistono ancora oggi. Generalmente li si classifica come controtenori o sopranisti, io ne ho già selezionati una ventina: due o tre francesi, quattro o cinque dell’Europa dell’Est, alcuni americani e qualche giapponese. Sono richiestissimi e hanno delle voci inimmaginabili: dopo che li hai sentiti cantare l’ascolto di un normale soprano ti risulta insopportabile. Nel tuo nuovo disco recuperi con nuovi arrangiamenti alcune canzoni, diciamo così, minori del tuo repertorio.
Da questo punto di vista, però, non ti puoi lamentare. Tu sei uno dei pochissimi che siano riusciti a mantenere sempre un vasto seguito pur non compiacendo mai più di tanto i propri estimatori. Sì, hai ragione, difatti sono molto grato al mio pubblico. Negli ultimi tempi, in particolare, ho riscontrato durante i miei concerti una qualità di ascolto davvero elevata: si stenta a credere di trovarsi in Italia. Cambiando argomento, so che nel nuovo film che hai intenzione di dirigere ti occuperai di alcune eccellenze musicali del Settecento. Sì, la pellicola (che sarà piuttosto costosa e per la quale non ho ancora trovato tutti i finanziamenti) tratterà della vita di Friedrich Händel e di alcuni musicisti italiani, tra cui Alessandro e Domenico Scarlatti. Nel Settecento le opere venivano composte dovunque in italiano e l’Europa intera cantava nella nostra lingua. Mi occuperò inoltre di compositori italiani oggi poco conosciuti ma di immenso talento, come Antonio Caldara e Giovanni Bononcini. E poi parlerò di Carlo Broschi detto Farinelli, il più grande cantante del XVIII secolo. Il famoso castrato… Negli anni Novanta gli è anche stato dedicato un pessimo film di produzione italo-francese che, sul piano storico, non ha reso alcuna giustizia al personaggio. Io mi concentrerò sul periodo inglese Franco Battiato nel celebre scatto di Gianni Sassi utilizzato per una campagna pubblicitaria dei divani Busnelli del 1971.
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mio avviso ne meritassero. Penso a brani come Stage Door o L’incantesimo, entrambi i quali sono stati appunto ripresi nel nuovo disco, brani che negli anni Novanta avevo inserito all’interno di CD singoli a limitatissima circolazione. Si tratta, per come la vedo io, di canzoni molto superiori ad altre che hanno riscosso un successo di gran lunga maggiore.
Hai citato Stage Door: ho notato che durante le ultime esecuzioni live di questo brano hai eliminato l’invettiva, quella che inizia con i versi “Perché noi siamo liberi di fare quello che vogliamo, di uccidere, stuprare, rapinare…”. Nel disco invece c’è, anche se ho tagliato l’ultimo verso. «Parlare e dire solo sempre inutili cazzate»? Quello.
È un’autocensura che ricorda quella che praticasti sui “peli del Papa” di Magic Shop… Esattamente, ogni tanto si taglia! Quali altri pezzi significativi contiene il disco? Più o meno sono quelli che ho eseguito durante l’ultimo tour, come No Time No Space e Un’altra vita. Poi ci sono due singoli inediti. Il primo è un pezzo molto triste, in siciliano, una sorta di litania in rima, cantata sia da me sia da Sgalambro. Il testo è a quattro mani, per metà mio e per metà di Manlio. L’altro brano, invece, è molto violento e mi è stato ispirato dall’attuale situazione politica italiana: s’intitola Inneres Auge, che in tedesco significa “occhio interiore”. Se, nel mio piccolo, posso offrire un contributo affinché muti lo stato delle cose, lo faccio volentieri, anche se ciò mi obbliga a costringere la musica nella sfera del sociale, operazione che notoriamente amo poco.
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Si chiama Santa Tecla ed è il tempio milanese del jazz. Poi però le mode passano e la sala si svuota. È l’ora di cambiare e dopo un’iniziale diffidenza lo scarso pubblico rimasto si lascia coinvolgere da cinque scatenati sconosciuti che hanno scelto di chiamarsi Camaleonti. Il loro successo è strepitoso e traccia una linea di confine tra il vecchio e il nuovo. Intanto il Santa Tecla si ripopola. educi da vari gruppi dell’area milanese (i Beatnicks, i Demoniaci di Teo Teocoli, i Marines, Le Ombre), Livio Macchia, Paolo De Ceglie e Gerardo (Gerry) Manzoli si uniscono all’amico-cantante Riky Maiocchi, che per conto suo ha già inciso due 45 giri. È il 1964 e il loro intento è dar vita a una linea d’avanguardia e a un sound esplosivo, sull’onda della spinta inglese e ameri-
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cana. Quando dai Trappers arriva anche il giovanissimo tastierista Tonino Cripezzi (fresco diplomato di conservatorio) i Camaleonti sono pronti a decollare. La band si fa le ossa nei night-club, nelle balere e nei dancing e, pur di avere una strumentazione “ad hoc”, s’indebita per una cifra astronomica per l’epoca: cinque milioni di lire. Temeraria e convinta d’avere le carte in regola per sfondare, scorrazza con un furgone Volkswagen rosso e bianco e si fa conoscere nei migliori locali
milanesi, riempiendoli. È in una di queste serate che li vede Miki Del Prete, che punta forte su di loro e li porta alla Kansas, etichetta satellite del Clan di Celentano che gestisce insieme a Domenico Serengay. Anche perché (e non è leggenda) il pubblico più giovane si reca nei negozi di dischi e chiede Sha La La La La e Portami tante rose, pezzi che i Camaleonti stanno eseguendo con successo dal vivo ma che di fatto non
I Camaleonti posano in costume da bagno sulla spiaggia di Sestri Levante: da sinistra, Paolo De Ceglie, Jerry Manzoli, Tonino Cripezzi e Livio Macchia. Riki Maiocchi è appena uscito dal gruppo.
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Alessandro Colombini
Renato Marengo
Mariano Rapetti
di Maurizio Becker
di Melisanda Massei Autunnali
di Christian Calabrese
Milanese del ’36, Alessandro Colombini sembrerebbe destinato ad entrare nell’azienda di famiglia. Ma il ragazzo bazzica le cantine del jazz e al Santa Tecla conosce il discografico Walter Gürtler, che resta colpito dalla sua comunicativa e gli offre un posto alla Jolly come venditore. Le prime medagliette da produttore le ottiene alla Fonit Cetra, dove registra CANZONI DA CORTILE e CANTI DELLA LIBERTÀ di Milva, poi c’è l’esperienza al Clan di Celentano. Quando nel 1967 firma per la Ricordi, Milva lo pretende come produttore: inizialmente scettica, la casa discografica deve ricredersi di fronte alle vendite record di Little Man. Promosso direttore artistico, Colombini infila Se stasera sono qui, Non c’è più niente da fare, 29 settembre e Balla Linda. Nel 1969 segue Mogol alla Numero Uno, dove registra il primo exploit di classifica dell’etichetta (Questo folle sentimento), mette sotto contratto la PFM (di cui poi produrrà SUONARE SUONARE e ULISSE) e segue Bruno Lauzi. L’armonia però s’incrina e Colombini sceglie la libertà. Come freelance produce i primi 3 dischi del Banco, poi assiste Edoardo Bennato da NON FARTI CADERE LE BRACCIA a SONO SOLO CANZONETTE, dando vita a una collaborazione intensa quanto conflittuale, come dimostrano gli ironici versi che il cantautore napoletano gli dedicò in Rinnegato. Intanto nel 1975 fonda la Spaghetti, che pubblica Ron, i Decibel di Enrico Ruggeri e Marco Ferradini (la fortunata Teorema). Nel 1977 Lucio Dalla lo chiama per il suo esordio da cantautore: ne viene fuori COME È PROFONDO IL MARE. Ma Colombini non ha perso la vocazione del talent-scout e nel 1983 produce il primo di due dischi di un atipico songwriter di Mestre, Lucio Quarantotto: DI MATTINA MOLTO PRESTO e EHI LÀ finiranno nel dimenticatoio, ma Quarantotto esploderà come autore per Andrea Bocelli (il “million seller” Con te partirò) – segno che ci aveva preso anche stavolta. Intanto nel 1982 è uscita la sua prima produzione per Antonello Venditti, SOTTO LA PIOGGIA, che segna il ritorno del romano dopo 4 anni di silenzio discografico. Da allora i due non si sono più separati. Del resto, Alessandro predilige le relazioni a lungo termine: con Michele Zarrillo, ad esempio, ha fatto 8 album tra il 1990 e il 2000.
Renato Marengo nasce a Napoli il 5 febbraio 1943. Grazie a suo padre, prima viola nell’orchestra del Teatro San Carlo, si avvicina precocemente alla musica, elaborando un background classico aperto anche alle esperienze contemporanee di compositori come Cage e Stockhausen. Contemporaneamente coltiva con passione il rock, il jazz, il folk e l’elettronica. L’esperienza di critico musicale si allarga dall’ambito classico a una moltitudine di generi e non di rado va di pari passo con quella di autore di testi di canzoni, in particolare per gli Showmen e Umberto Bindi. In ambito giornalistico collabora con testate come «TV Sorrisi e Canzoni» e «Ciao 2001». Nei primi anni 70 ha intanto inizio la sua vicenda di produttore, dapprima per La Nuova Compagnia di Canto Popolare, Eugenio Bennato e il gruppo Musicanova, più avanti per Edoardo Bennato, per il quale Marengo svolge soprattutto un’intensa attività promozionale. Ormai sulla cresta dell’onda, Marengo lavora anche con Lina Sastri, Concetta Barra, Roberto De Simone ed altri ancora. È il momento d’oro del cosiddetto “Neapolitan Power”: in questo stesso solco si muove anche il percussionista Toni Esposito, di cui Marengo realizza i primi cinque LP. Contemporanee sono le collaborazioni con la Cramps (Roberto Ciotti, Schoenberg Kabarett, Mario Schiano) di Gianni Sassi, che poi nel 1979 lo coinvolgerà nell’organizzazione del memorabile concerto per Demetrio Stratos all’Arena di Milano. Alla seconda metà del decennio risale il sodalizio con Teresa De Sio, che Marengo dirotta dalla recitazione verso il canto con la complicità di Eugenio Bennato nell’ambito dei Musicanova: risultato di quest’esperienza è il disco folk VILLANELLE POPOLARESCHE DEL ’500, edito nel 1979. A partire dagli anni Ottanta l’attività di produttore cede il posto a quella di giornalista, autore e conduttore radio-televisivo (Facimmo ’o jazz, Garofano d’ammore, Tandem, Sereno variabile, Big, Mio capitano). Attualmente Renato Marengo conduce su Radio Uno il programma Demo: suo partner in quest’ennesima avventura è l’amico storico Michael Pergolani, con il quale nascono anche libri come Song ’e Napule (1998) e Enciclopedia del pop-rock napoletano (2003).
Mariano Rapetti nasce a Milano il 7 gennaio del 1911. Si diploma al Conservatorio Giuseppe Verdi e subito s’impone come pianista e compositore di notevole gusto e capacità. La sua produzione come autore di canzoni cammina parallelamente alla sua carriera di dirigente discografico ed editoriale: da funzionario della Ricordi Radio Record, nel 1958 Rapetti passa infatti alla direzione del neonato ramo “musica leggera” del Gruppo Ricordi. È l’epoca della scuola genovese/milanese e autori come Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli, Giorgio Calabrese, i fratelli Reverberi, Maria Monti, Umberto Simonetta e altri ancora trovano in lui un approdo sicuro e un prezioso trampolino di lancio. Come autore, intanto, Rapetti utilizza lo pseudonimo di Calibi per firmare canzoni come Fumo negli occhi (versione italiana di Smoke Gets In Your Eyes), che avrà successo grazie a Meme Bianchi, Natalino Otto e tantissimi altri esecutori nel corso degli anni. A Sanremo si fa valere con Vecchio scarpone (Gino Latilla e Giorgio Consolini, terza classificata al Festival del 1953) e Le colline sono in fiore (eseguito in doppia versione da Wilma Goich e The New Christy Minstrels nell’edizione del 1965). Per ragioni meramente editoriali (autori non ancora iscritti alla SIAE) il suo nome figura poi nei crediti di Benzina e cerini, Le strade di notte e Quei capelli spettinati di Gaber, nonché di I tuoi vent’anni, Chiedi al tuo cuore e La brava gente di Endrigo. Ma la lista di canzoni legate a lui e degne di menzione è lunghissima e comprende molte cover illustri: Magic Moments, Alone (titolo italiano Buondì, cantata da Betty Curtis), Quel treno per Yuma, I’ll Never Fall In Love Again (L’estate tornerà con te) e Scandalo al sole, lanciata tra gli altri da Carla Boni e Lia Scutari. Nel 1969 decide di mettersi in proprio e fonda la Numero Uno assieme al figlio Giulio (Mogol), Alessandro Colombini, Franco Daldello e Lucio Battisti. Il suo posto in Ricordi passa a Federico Monti Arduini (Il Guardiano Del Faro, ndr), suo collaboratore da pochi mesi. Refrattario alle cosiddette “luci della ribalta”, Rapetti preferisce rimanere nell’ombra fino alla sua scomparsa (avvenuta all’inizio degli anni 90), così come si addice a un professionista.
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