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Il commiato di Fiamma Nicolodi (L. Prayer
IL COMMIATO DI
FIAMMA NICOLODI
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di Luisa Prayer
Nel rievocare tutti i passaggi e gli eventi legati al progetto “Casella interprete del suo tempo” non possiamo non esprimere la nostra profonda gratitudine a una immensa studiosa, il cui lavoro è imprescindibile per chiunque voglia, sulla base della vasta documentazione da lei rinvenuta, raccolta e commentata, affrontare lo studio di un’epoca drammatica e complessa come quella della prima metà del secolo scorso, e che ci ha sostenuto col suo illuminato consiglio nei sei anni del lavoro per Casella fatto all’Aquila: il nostro più sentito ringraziamento va alla insostituibile, ammirata amica Fiamma Nicolodi, scomparsa il 23 agosto di quest’anno dopo lunga malattia. Una malattia che aveva affrontato con lo spirito combattivo che la contraddistingueva, lavorando sino all’ultimo con noi e per noi, per la migliore riuscita del nostro progetto, che con la sua presenza ha indubitabilmente proiettato in una dimensione più alta. Un tempo prezioso, a noi donato con commovente generosità da lei, da almeno tre anni consapevole dello stato precario della propria salute, e che era quindi molto impegnata nel disporre il futuro di quella inestimabile eredità culturale, rappresentata dai fondi caselliani, di cui era stata imparziale studiosa, e che già da tempo aveva destinato alle più prestigiose istituzioni del nostro paese: alla Accademia di Santa Cecilia, alla Fondazione Cini, agli Uffizi di Firenze. Fiamma, il calore della cui amicizia, nomen omen, riscalderà per sempre il nostro ricordo di lei, sin dai primi contatti, presi in vista della sua prima visita all’Aquila nell’ottobre 2015, ci aveva sostenuto con il suo consiglio e il suo incoraggiamento, apprezzando poi nel tempo la sincerità del nostro impegno e il lavoro dei tanti che hanno dato il loro contributo di studiosi e musicisti. In particolare era felice del coinvolgimento di tanti giovani, indispensabile, a suo dire, per aggiornare, da parte di una generazione nuova, affrancata da legami di contiguità e quindi più libera da condizionamenti, il giudizio su un musicista che più di altri era stato relegato nel ghetto di quella “generazione negata”, una generazione sospesa dalla Storia e quindi anche dal presente. Molto si rammaricava delle scarse occasioni in cui sentire le grandi partiture caselliane, come tanta parte del suo repertorio solistico, cameristico, vocale. E ci riconosceva di aver potuto ascoltare per la prima volta dal vivo solo all’Aquila diversi brani composti dal nonno. Così come era rimasta molto soddisfatta delle novità presentate in alcuni interventi. “Abbiamo ascoltato qui molte cose che non avevamo mai pensato, intuito, letto, ascoltato”, aveva affermato nella tavola rotonda conclusiva delle giornate del 2019, in cui aveva espresso gioia e soddisfazione per gli esiti di quei lavori e per la prospettiva di ascoltare una orchestra di giovani eseguire la Scarlattiana e il rarissimo Concerto Romano. Altrettanto felice era stata dell’uscita del volume, alla cui presentazione online aveva partecipato, nonostante le fosse rimasto solo un filo di voce, ma non facendo mancare espressioni lusinghiere verso gli autori di quello che sentiva come un libro nuovo e importante per il rilancio del “tema Casella”. Nei nostri ultimissimi colloqui, in cui le chiedevo cosa pensava si potesse fare nel 2022, in cui ricorrono i 75 anni dalla morte del Maestro (i 25 e i 50 erano stati degnamente celebrati anche per iniziativa di illustri musicisti e musicologi che lo avevano conosciuto bene in vita), esprimeva allo stesso tempo speranza e timore, auspicava che potesse essere una occasione propizia, sapendo però quanto quel muro di cristallo fosse duro da abbattere. Perché in realtà, pur avendo lei stessa ricostruito con oggettività, attraverso i documenti, i rapporti tra i musicisti e il ventennio fascista, trattando con particolare severità (“su Casella nessuno sconto!”) il nonno che non aveva mai conosciuto, alla sua musica ci teneva, e moltissimo. E si doleva molto di quanto fosse progressivamente caduta nell’oblio. Dunque, c’è ancora molto lavoro da fare, e doverlo fare, parlo per me, ma non credo di essere la sola a pensarlo, senza la sua guida che – e qui riprendo un suo spiritoso inciso pronunciato quando in apertura della tavola rotonda aveva voluto dare per prima la parola a Benedetta Saglietti: “e facciamo un po’ di femminismo!”- ha illuminato per decenni come una scia luminosa il cielo di tante donne e di tanti uomini impegnati nella ricerca, sarà molto più difficile. Ci mancherà molto, col suo spirito irriducibile, la sua magnifica indipendenza, il suo affetto.