Rapporto Aifos 2009
Sommario
Presentazione, Maurizio Sacconi……………………………………….……….7 Introduzione, Michele Lepore…………….…………...……………….………11 Caratteristiche della ricerca……………….………….………………………..15 Capitolo 1 LA RICERCA ED I LAVORATORI 1. Il campione dei lavoratori intervenuti nella ricerca………….……………17 2. Le classi di età.............................................................................................17 3. Le esperienze lavorative.………………………………………………….18 4. Il rapporto di lavoro..……………………………….……………………..19 5. Il livello di istruzione…………………………………………………...…19 6. Tipologia delle aziende……………………………………………………20 6.1. Rappresentanti del Lavoratori e tipologia aziendale...……………..…20 6.2. Lavoratori e tipologia aziendale…………….………………………...21 7. Il luogo di lavoro……………………………………………………….….21 Capitolo 2 PRIMO APPROCCIO DELLA FORMAZIONE PER IL LAVORO 1. I settori di attività lavorativa……………………………………………....23 2. Come ha imparato a svolgere il proprio lavoro…………………………...23 3. Ilavoratori che hanno seguito corsi di formazione……………………..…24 4. Quante ore di formazione sono state svolte…………………………….…25 5. La formazione ricevuta è stata utile……………………………………….25 6. Chi ha promosso la formazione…………………………………………...26 Capitolo 3 COSA PENSANO I LAVORATORI DELLA FORMAZIONE 1. L’importanza della formazione………………………………………...…27 2. Perché è importante la formazione………………………………………..27 2.1. La sicurezza sul lavoro…………………………………………...….28 2.2. Migliorare lo svolgimento dei propri compiti e le relazioni………...29 2.3. Maggiore autonomia nel lavoro……………………………………..30 2.4. La formazione e la carriera………………………………….………30 3
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Quali tipologie per la formazione………………………………………...31 3.1. Gli opuscoli ed i libretti illustrati……………………………………32 3.2. Formazione in auto apprendimento…………………………….…....33 3.3. La formazione in azienda……………………………………………34 3.4. La formazione in aula………………………………..………………34 3.5. La FAD e la formazione on line……………………………………..35
Capitolo 4 LA SICUREZZA NELLA AZIENDA DOVE SI LAVORA 1. Giudizio dei lavoratori sulle proprie conoscenze…………...……………..37 2. Comportamenti di sicurezza…………………………………………….…38 3. Un esempio di conoscenza…………………………………………….…..39 Capitolo 5 CONOSCENZA DELLA SICUREZZA PER IL PROPRIO LAVORO 1. Presa di coscienza e di responsabilità……………………….…………….41 2. Difficoltà nello svolgimento della mansione…………………………..….42 3. Conoscenze teoriche da approfondire……………………………….…….42 3.1. Migliorare le conoscenze nell’ambiente di lavoro…………….……...43 3.2. Gli aspetti normativi e le responsabilità……………………...………43 3.3. Un esempio di intervento specifico: le emergenze……………….…..44 3.4. Le sanzioni e la vigilanza………………………………………….….45 3.5. Lo stress………………………………………………………………45 4. Gli infortuni nella propria azienda………………………………………..46 Capitolo 6 I RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI E L’ORGANIZZAZIONE DELLA SICUREZZA 1. La squadra della sicurezza in azienda…………………………..…………49 2. La valutazione dei rischi……………………………………………….….51 2.1. La conoscenza del Documento della Valutazione dei Rischi………...51 2.2. La struttura del D.V.R…………………………………………..…….52 3. La Riunione Periodica……………………………………………….…….54 4. l Rappresentante dei Lavoratori 4.1. La formazione del R.L.S…………………..…………………………..55 4.2. I rapporti tra i soggetti…………………………………..……………56 4.3. R.L.S. e sindacato………………………………………………….….57
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Capitolo 7 LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI 1. Le relazioni tra il Rappresentante ed i lavoratori………….………………59 1.1. Come interviene……………………………………………………....60 1.2. Situazioni complesse………………………………………………….60 1.3. Decisioni………………………………………………………..…….60 1.4. Negoziazione……………………………………………………...…..61 1.5. Comunicazione…………………………………………………..……61 2. Collaborazione e consultazione……………………………………………62 3. Il Coinvolgimento dei lavoratori……………………….………………….63 3.1. Lavoro e sicurezza…………………………………………..………..63 3.2. Adempimenti sostanziali…………………………………………..…63 3.3. Esperienze lavorative…………………………………………………64 3.4. Formazione sostanziale……………………………………………….64 3.5. Formazione e comportamenti…………………………………………65 3.6. Consigli per migliorare………………………………………...……..65 3.7. Premio economico…………………………………………………….65 4. Una riflessione sul coinvolgimento dei lavoratori……………………..…66 5. Confronto con l’Europa……………………………………………..……66 Capitolo 8 I LAVORATORI ED IL FENOMENO INFORTUNISTICO Marco Fabio Sartori Commissario Straordinario Inail………………………………………………71 Capitolo 9 COMMENTI E ANALISI ALLA RICERCA 1. ALBERTO ANDREANI Coordinatore Scientifico di OLYMPUS - Osservatorio Giuridico Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”…………………………..…79 2. FRANCO BETTONI Presidente ANMIL Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro……………….....82 3. GIULIANO CAZZOLA Vice Presidente Commissione Lavoro della Camera dei Deputati……..…85 4. PIER SERGIO CALTABIANO e ALESSANDRO CAFIERO Presidente Nazionale AIF Responsabile Settore AIF Formazione e Sicurezza……...…………..……88 5
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5. LORENZO FANTINI Dirigente Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali……...…….…93 6. LUDOVICO FERRONE Coordinatore nazionale area salute e sicurezza C.G.I.L………………..…96 7. CINZIA FRASCHERI Responsabile nazionale C.I.S.L. per la Salute e Sicurezza sul Lavoro…..101 8. GABRIELLA GALLI Responsabile nazionale Ufficio salute e sicurezza sul lavoro U.I.L…….107 9. SAMY GATTEGNO Presidente Comitato tecnico salute e sicurezza di Confindustria……...…111 10. ANNA GUARDAVILLA Autrice “Codice Salute e Sicurezza sul Lavoro”…………………...……115 11. MARCO MASI Coordinatore del Comitato Tecnico Interregionale della Conferenza delle Regioni………………………………………………………….….119 12. NAZZARENO MOLLICONE Segretario Confederale U.G.L. ………………………………………...122 13. RINO PAVANELLO Presidente CIIP Consulta Italiana Interassociativa della Prevenzione. Segretario Generale Associazione Ambiente e Lavoro …………………125 14. MICHELE TIRABOSCHI Vice Presidente Fondazione Marco Biagi …………………………….131
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PRESENTAZIONE
Maurizio Sacconi 1 Il tema della salute e sicurezza sul lavoro è assolutamente centrale nelle politiche del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Infatti, per quanto da un punto di vista strettamente statistico continui il calo degli infortuni sul lavoro già in atto da diversi anni, il fenomeno costituisce per l’Italia una grave criticità, solo tenendo conto che il relativo costo sociale è stato stimato – con riferimento all’anno 2005, ultimo dato INAIL disponibile – in 45 miliardi di euro, pari al 3,21% del Prodotto Interno Lordo e considerando, soprattutto, che dietro tale ordine di grandezza si nascondono i drammi umani dei lavoratori vittime degli infortuni sul lavoro e delle loro famiglie. A tale scopo il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha innanzitutto completato, con il decreto legislativo n. 106 del 3 agosto 2009, la complessiva rivisitazione e ammodernamento delle regole della sicurezza, iniziata con la legge 123 del 3 agosto 2007 e proseguita con il decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, anche conosciuto come “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro, al fine di costruire un modello legale in grado di prevenire, meglio di quanto fino ad oggi accaduto, il rischio di infortuni in ambiente di lavoro. All’esito, Italia può contare su un complesso di regole in materia di salute e sicurezza frutto di ampio confronto, quando non di vera e propria condivisione, tra Amministrazioni e parti sociali e comunque pienamente in linea con le migliori regolamentazioni europee e internazionali; regole che occorre completare attraverso la emanazione dei provvedimenti di attuazione, alcuni dei quali di particolare rilevanza (si pensi, per tutti, all’accordo in Conferenza Stato-Regioni in materia di formazione di cui all’articolo 37 del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro). In tale contesto complessivo, facendo seguito ad una richiesta unanime delle Amministrazioni centrali e regionali e delle parti sociali, il ruolo della formazione risulta fortemente valorizzato, nella consapevolezza che l’innalzamento 1
Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali
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dei livelli di tutela negli ambienti di lavoro pubblici e privati passa necessariamente attraverso la realizzazione effettiva ed efficace di attività formative utili ad accrescere le conoscenze di tutti gli attori - dai datori di lavoro ai lavoratori sui temi della salute e sicurezza sul lavoro e, per tale strada, ad abbattere i rischi da lavoro, con particolare riferimento a quelli “comportamentali”, responsabili della parte più consistente degli infortuni sul lavoro. Diffondere la cultura della sicurezza è, infatti, il presupposto per rafforzare l’abitudine alla prevenzione. In quest’ottica, e nella piena consapevolezza della necessità di accompagnare tale riforma ad attività promozionali che costituiscano il “volano” della rinnovata legislazione, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati al fine di rendere più efficaci tali azioni, con l’obiettivo di migliorare in concreto i livelli di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro. Solo a titolo di esempio, si consideri come le somme da riservare ad attività di promozione della salute e sicurezza di cui all’articolo 11, comma 7, del “testo unico” – pari a 50 milioni di euro – sono state destinate, dall’Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 novembre 2008, oltre che ad una campagna straordinaria di comunicazione (per l’importo complessivo di 20 milioni di euro), ad attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro). Inoltre, con riferimento alle attività promozionali in materia di salute e sicurezza per l’anno 2009 (articolo 11, comma 2, d.lgs. n. 81/2008), è stata predisposta e presentata alla Conferenza Stato-Regioni una bozza di decreto di ripartizione che prevede il finanziamento di attività formative per oltre 28 milioni di euro, sia a livello nazionale che nelle singole Regioni. Dunque, sia che si guardi alla Legge che alle azioni promozionali, la formazione è pilastro fondante per il superamento di un approccio meramente burocratico al tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, a favore di un approccio per obiettivi che implichi una maggiore attenzione ai profili sostanziali piuttosto che a quelli formali. In tale contesto, il Rapporto AIFOS 2009 rappresenta un importante strumento conoscitivo, con particolare riguardo ai temi della formazione e alla percezione che di tali temi e delle relative attività hanno i lavoratori. Esso va apprezzato soprattutto per la finalità che ha ispirato le attività illustrate nel Rapporto, che mi pare essere quella di porre le basi per una valutazione della formazione in termini di efficacia, vale a dire in una ottica tipicamente sostanziale e non solo finalizzata al conseguimento di un attestato formativo, che rappresenterebbe un adempimento meramente formale all’obbligo di legge.
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I risultati che il Rapporto dell’AIFOS contiene sono ampi e rilevanti, difficili da ricondurre al limitato spazio di questa prefazione; mi limito a sottolineare che i lavoratori coinvolti nella ricerca hanno evidenziato di ritenere la formazione strumento fondamentale per la tutela della propria salute e sicurezza ma, al contempo, come sia emersa la percezione da parte dei medesimi della scarsa efficacia degli attuali metodi formativi. Ancora, i lavoratori dimostrano di conoscere i rischi da lavoro e rivendicano una formazione seria, se possibile svolta in azienda e che, comunque, tenga conto della realtà aziendale e delle esperienze professionali di ognuno. Si tratta di elementi informativi che da un lato confermano la bontà delle scelte operate nel “testo unico” di salute e sicurezza (come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009) e dall’altro evidenziano la necessità che le attività di formazione abbiano una loro effettività e non si traducano, come ancora troppo spesso accade – e come chiaramente evidenziato nel Rapporto AIFOS – solo nella consegna di opuscoli informativi di contenuto del tutto generico, nella mera proiezione di slide che ripropongono il testo di legge o nel perseguimento del rispetto puramente formale delle previsioni normative; quel rispetto che di certo non aiuta il Paese nella lotta agli infortuni sul lavoro.
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INTRODUZIONE
Michele Lepore 2 L’Aifos è l’associazione italiana dei formatori della sicurezza che ha il merito di aver svolto una indagine sulla formazione coinvolgendo i lavoratori. E non poteva essere altrimenti in quanto lo scopo principale di un buon formatore e quello di intervenire sulle persone per modificarne i comportamenti. Quale occasione migliore, quindi, per i formatori indagare, sapere, valutare e conoscere il parere diretto dei lavoratori sul tema della sicurezza sul lavoro. Una ricerca, dopo molti anni di assenza di inchiesta sul campo, che coinvolge direttamente i lavoratori in quanto testimoni ed autori delle risposte e delle indicazioni emerse nel corso della somministrazione dei questionari. La ricerca si è svolta nei mesi antecedenti alla promulgazione del Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106 e quindi in regime di D.Lgs. 81/2008. Uno dei dati principali, emersi nella ricerca, è rappresentato dal costante interesse dei lavoratori verso una formazione più concreta e aderente alle proprie mansioni. I lavoratori esprimono sostanzialmente un giudizio molto positivo verso la formazione svolte nell’ambito aziendale e che tenga conto delle esperienze di lavoro svolte. Di fatto, le indicazioni dei lavoratori hanno confermato e preceduto quanto, successivamente, è stato introdotto nel testo legislativo che attribuisce nuova valenza alla formazione ed all’addestramento che favorisce la formazione in azienda. Ripercorrendo la recente storia della sicurezza sul lavoro il D. Lgs. 626/94 ha portato a quella che è stata definita una “rivoluzione copernicana in materia di sicurezza”, il D.Lgs n. 81/2008, vuole portare ad una vera e propria “rivoluzione culturale”che con le recenti modifiche ed integrazioni del D.Lgs. 106/09 segna un passo fondamentale nella direzione di una attuazione concreta delle disposizioni di cui all’art. 30, comma 3 e all’art. 28, comma 2, lett. d) che segna il passaggio dall’adempimento meramente burocratico e cartaceo della elaborazione fine a se stessa del documento di valutazione dei rischi, all’adozione e all’attuazione di modelli di organizzazione e di gestione, nei quali il documento di valutazione dei rischi costituisce il principale strumento per lo svolgimento
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Docente di Diritto della sicurezza sul lavoro, Facoltà di Ingegneria, Università “Sapienza” di Roma; Presidente del Comitato Scientifico dell’Aifos
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del lavoro in sicurezza e per la responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti, a vario titolo, nelle attività di lavoro. Vale la pena ricordare come la finalità generale del D.Lgs. n. 106/2009 è quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, dando seguito a quel processo di razionalizzazione e di aggiornamento della normativa antinfortunistica, iniziato con la legge delega n. 123/2007. Con l’emanazione del decreto correttivo, infatti, il legislatore - pur proseguendo sulla scia tracciata dal D.Lgs. n. 626/94 - ha aperto una nuova fase, che possiamo definire di “miglioramento” e di “perfezionamento” del modello introdotto nel sistema previgente, finalizzata a completare un assetto normativo globale, che permetterà l’integrazione virtuosa tra la “prevenzione tecnologica” che era a fondamento dei decreti degli anni ‘50, la “prevenzione comportamentale” che era alla base del D.Lgs. n. 626/94 e, da ultimo, la “prevenzione organizzativa”, introdotta dal D.Lgs. n. 81/2008. Gli obiettivi specifici perseguiti dal nuovo decreto correttivo sono due: • Primo - di carattere formale - è quello volto a correggere i molti errori materiali e tecnici presenti nella attuale disciplina; • Secondo - di carattere sostanziale - è quello volto a superare le difficoltà operative, le criticità e le lacune evidenziate dai primi mesi di applicazione delle nuove regole, tenendo conto delle indicazioni contenute nell’«avviso comune» in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Si rileva, altresì, che le disposizioni del recente decreto sono state elaborate, in base all’ articolo 1, comma 6, della legge n.123/2007, nel pieno rispetto dei criteri di delega, al fine di completare il processo di attuazione di tali criteri. Questo processo di miglioramento continuo, del resto, ben si colloca all’interno del quadro della strategia comunitaria Gli stessi dati emersi nel Rapporto Aifos consentono la conoscenza diretta del parere dei lavoratori che dovranno trovare applicazione nella prassi della sicurezza ricordando come il quadro di riferimento, non sia soltanto contenuto nelle norme nazionali ma vale la pena ricordare come nel febbraio 2007, la Commissione Europea ha presentato una Comunicazione con cui ha delineato una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul lavoro per i prossimi cinque anni (2007-2012). La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro rappresenta, infatti, uno dei temi più importanti e avanzati della politica dell’Unione Europea, relativa nell’occupazione e agli affari sociali.
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Nel corso degli ultimi decenni, l’adozione di un vasto corpus normativo comunitario ha permesso di migliorare le condizioni di lavoro negli Stati membri e di compiere notevoli progressi per quanto riguarda la riduzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Ulteriori passi avanti si sono registrati negli ultimi 5 anni, con la strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul lavoro che ha coperto il periodo 2002-2006: dal 2002 al 2004 la frequenza degli infortuni mortali si è ridotto del 17% nell'UE-15, mentre la frequenza degli infortuni che hanno comportato un'assenza lavorativa superiore ai 3 giorni si è ridotta del 20%. Nel quadro della Strategia di Lisbona, gli Stati membri hanno riconosciuto, inoltre, che la garanzia della qualità e della produttività sul luogo di lavoro può contribuire in maniera rilevante alla crescita economica. L’assenteismo derivante da infortuni sul lavoro e malattie professionali e i conseguenti ingenti costi economici ad essi correlati incidono, infatti, negativamente sia sull'economia sia sulla competitività delle imprese nell’UE. La nuova strategia 2007-2012 si propone di proseguire ed intensificare gli sforzi per promuovere la sicurezza sul luogo di lavoro con l’obiettivo di ridurre ulteriormente e in maniera omogenea gli infortuni. La Commissione UE ritiene che, entro il 2012 e nell’EU-27, si dovrebbe conseguire una riduzione del 25% del tasso complessivo d'incidenza degli infortuni sul lavoro, fornendo in tal modo un contributo essenziale al successo della Strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione. Per raggiungere questo obiettivo, la strategia propone una serie di interventi, a livello europeo e nazionale, che si sostanziano in: - migliorare e semplificare la legislazione vigente, adattandola all’evoluzione del mondo del lavoro, e rafforzare la sua concreta applicazione mediante strumenti non vincolanti (scambi di buone pratiche, campagne di sensibilizzazione, miglioramento dell’informazione e della formazione); - definire e attuare strategie nazionali adattate alla situazione specifica di ciascuno Stato membro, rivolte ai settori e alle imprese più direttamente coinvolti e finalizzate a obiettivi nazionali di riduzione degli infortuni e delle malattie professionali; - promuovere un mutamento dei comportamenti dei lavoratori, nonché approcci orientati alla salute presso i datori di lavoro; - integrare le tematiche relative alla salute e alla sicurezza sul lavoro nelle altre politiche europee (istruzione, sanità pubblica…) promuovendo nuove sinergie; - mettere a punto metodi per l’individuazione e la valutazione di nuovi rischi potenziali mediante il rafforzamento della ricerca, lo scambio di conoscenze, l’applicazione pratica di risultati.
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Le indicazioni strategiche emanate dalla Commissione Europea rappresentano un modello di azione per una maggiore sicurezza sul lavoro. L’impressione, però è che, nonostante qualche significativo passo in avanti, non sia ancora maturata nel nostro Paese quella nuova cultura della prevenzione di cui pure da tanto tempo si parla. La vera battaglia per ambienti di lavoro più sicuri e decenti non possa essere relegata a risposte formalistiche appaganti solo sulla carta, ma passi piuttosto dalla porta della modernizzazione dei contesti organizzativi e dei modelli gestionali del lavoro e, dunque, modernizzazione del mercato del lavoro. Sono vincoli obsoleti e norme inesigibili, lontane dalla realtà del mondo del lavoro, che spingono inevitabilmente nella direzione degli abusi e della improvvisazione che sono alcune delle principali cause delle tante tragedie sul lavoro. Uno degli scopi del Rapporto Aifos, diretto a tutti gli operatori del settore, pubblici e privati consiste nell’aver messo a disposizione una serie di dati e di considerazioni derivanti dalla percezione diretta dei lavoratori sui temi della propria salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro. A ciascun livello e per i propri compiti e responsabilità rappresenta un contributo da non sottovalutare anche perché il fine ultimo delle leggi e delle norme sono quelle di diminuire il numero degli infortuni, degli incidenti e dei morti sul lavoro. Particolarmente interessante sarà l’applicazione che ne faranno i formatori anche alla luce della elaborazione dei criteri della figura del formatore cui è chiamata ad esprimersi la Consulta consultiva permanete di cui all’art. 8, comma m-bis del D.Lgs. 81/08. Al formatore sono demandati compiti importanti nel quadro della cultura della prevenzione e di una effettiva azione volta alla sicurezza dei lavoratori. La conoscenza della realtà sia del mondo del lavoro sia delle indicazioni e dei pareri dei lavoratori costituiscono un utile strumento di analisi e di conoscenza sulla base dei quali, apprendere per migliorare, si costruiscono modelli di sviluppo e di intervento di serie ed utili attività formative.
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Le caratteristiche della ricerca promossa dall’Aifos L’indagine contenuta nel Rapporto Aifos 2009 ha raccolto i dati da un campione di lavoratori e dei loro rappresentanti della sicurezza (R.L.S.) che hanno fornito il proprio contributo attraverso la compilazione di un questionario somministrato loro, con il metodo dell’intervista, da docenti o formatori al termine di corsi di formazione sulla sicurezza del lavoro svoltisi nel corso dell’anno nei Centri di Formazione del network dell’Associazione. Nelle intenzioni dell’Aifos, l’Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro, più che una indagine si tratta di una vera propria “inchiesta”. Da tempo i sondaggi e le grandi ricerche hanno messo in sordina il sistema dell’inchiesta che invece è alla base di questo Rapporto. L’inchiesta non è stata la semplice somministrazione-ricevimento di un questionario con poche, semplici e sintetiche domande: i formatori dell’Aifos hanno individuato uno per uno i lavoratori cui hanno consegnato il questionario, li hanno assistiti nella compilazione e ne hanno ricevuto la copia direttamente dalle mani degli stessi lavoratori. Si è trattato, quindi, di una vera e propria inchiesta che, oltre ai dati emersi e qui pubblicati ed analizzati, ha rappresentato un momento di incontro e di rapporto tra i formatori della sicurezza ed i lavoratori. L’inchiesta si è svolta nei mesi di ed ha coinvolto un campione rappresentativo di 1000 lavoratori e rappresentanti dei lavoratori della sicurezza che sono stati intervistati. La peculiarità della ricerca è, in primo luogo rappresentata dalla dagli stessi lavoratori intervistati che hanno partecipato alla ricerca. Il questionario, redatto con domande e risposte da scegliere tra le numerose proposte, si compone di 123 domande che sono state poste ai rappresentanti dei lavoratori e tra queste 86 sono state poste ai lavoratori. Sono state così analizzate con la medesima domanda sia le risposte dei lavoratori sia quelle dei loro rappresentanti il cui confronto presenta utili indicazioni di comportamenti e di azioni da sviluppare. Nel contesto della ricerca sia i lavoratori sia i loro Rappresentanti sono sempre, o quasi sempre, considerati allo stesso livello: ovvero sono state poste le medesime domande ed analizzate le risposte con un dato generale. 15
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In alcuni casi significativi, invece, le domande sono state poste ed analizzate per le due differenti tipologie quali lavoratori o R.L.S. con dati a confronto Il Rapporto, con tutti i limiti propri di ogni ricerca, non vuole e non può dare soluzioni per risolvere i problemi ma rappresenta un contributo serio ed impegnativo da parte dell’Aifos. Il campione dei lavoratori e dei loro rappresentanti intervistati non sono state semplici persone cui è stato somministrato il questionario ma hanno preso parte alla ricerca in modo partecipativo. Complessivamente hanno risposto ad un questionario di 115 domande ed in molti casi ad ogni domanda vi erano quattro opzioni. Si è trattato quindi di una indagine che ha cercato di scavare nel profondo e di conoscere il più possibile le idee, i pareri, le opinioni e la percezione dei lavoratori. Pertanto in alcuni casi, ed in alcune regioni, il campione non sempre è stato rappresentativo ma è comunque una testimonianza di impegno e di partecipazione dei lavoratori a cui va il nostro ringraziamento. Rocco Vitale, presidente Francesco Naviglio, segretario generale
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Capitolo 1
LA RICERCA ED I LAVORATORI
1. Il campione dei lavoratori intervenuti nella ricerca Gli uomini intervistati sono stati il 65% mentre le donne hanno rappresentato il 35%. Dell’intero campione il 72 % sono i lavoratori ed il 28% i Rappresentanti dei Lavoratori. (R.L.S.) All’interno delle due categorie si verifica una situazione omogenea: il 65% sono uomini ed il 35% donne, che conferma la presenza femminile in termini certamente significativi, considerando sia il mercato del lavoro sia la rappresentanza del sindacato. La ripartizione geografica dei lavoratori che hanno risposto al questionario vede il nord con il 54%, il centro Italia con il 30% ed il sud con le isole al 16% . Una domanda specifica riguarda la nazionalità dei lavoratori che risulta al 93% di origine italiana. Del resto non poteva essere altrimenti in quanto da più parti si sottolinea la criticità rappresentata dallo scarso coinvolgimento dei lavoratori di lingua straniera nei corsi di formazione sulla sicurezza del lavoro. Tra i lavoratori stranieri il 3% è rappresentato da quelli provenienti dall’area indiana ed il 2% dai paesi dell’Europa dell’est seguiti dai paesi arabi. Per quanto riguarda i R.L.S. la percentuale degli italiani è del 96% (+ 3% a confronto del totale dei lavoratori) ma anche in questo caso si ha un data significativo del 2% di R.L.S. originari dell’est Europa. 2.
Le classi di età
Per quanto riguarda le classi di età degli intervistati il 32% è rappresentata da coloro che hanno dai 36 ai 45 anni. Seguono con il 23% coloro che hanno tra i 46 ed i 55 anni: complessivamente la classe di età media da 36 a 45 anni rap17
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presentano poco più della metà degli intervistati. Tra i R.L.S. il 34% appartengono alla classe di età che va dai 36 ai 45 anni ed il 32% va dai 26 ai 35 anni. Complessivamente i R.L.S. tra i 26 ed i 45 anni sono il 66% mentre coloro di età compresa tra i 46 ed i 65 anni sono il 20%. Non mancano i giovani R.L.S., dai 18 ai 25 anni, che rappresentano il 14% . Una prima riflessione conferma che la grande maggioranza dei R.L.S. hanno un’età media mentre sono relativamente pochi i lavoratori di età avanzata ed i giovani, pur presenti, sono ancora una piccola minoranza. 3.
Le esperienze lavorative
Per meglio comprendere le successive risposte all’indagine era necessario conoscere l’esperienza lavorativa degli intervistati. Infatti le risposte, soprattutto in relazione alla formazione, devono essere lette ed analizzate in base all’esperienza lavorativa. Il 31% di tutti gli intervistati ha un’esperienza lavorativa che va dai 15 ai 20 anni seguito dal 28% di coloro che hanno dai 6 ai 15 anni di lavoro. Coloro che hanno un’esperienza che va dai 20 ai 30 anni ed oltre sono il 26% mentre i neo assunti sono circa il 4% ed il 10% coloro che lavorano da meno di 6 anni. Nella fascia dei lavoratori che hanno un’esperienza di lavoro tra i 15 e 20 anni (31%) i R.L.S. sono il 40% mentre nella fascia di lavoro tra i 20 e 30 anni (13%) i R.L.S. rappresentano il 30%. Tra coloro che lavorano da 1 a 15 anni (38%) i R.L.S. sono il 20%; mentre tra i lavoratori che hanno una breve esperienza lavorativa da 1 a 6 anni (10%) sono presenti solo il 3% di R.L.S. Una prima osservazione ci consente di definire come i R.L.S. sono in larga maggioranza, oltre il 70%, lavoratori che hanno una esperienza lavorativa tra i 18
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15 ed i 30 anni mentre solo il 10% dei R.L.S. lavora da oltre 30 anni. Solo il 3% coloro che hanno una esperienza lavorativa da 1 a 6 anni. Si tratta pertanto di lavoratori che conoscono gli ambienti di lavoro, che certamente hanno le capacità di sapere e conoscere ma che, spesso, si vedono ridotto e non considerato il proprio ruolo e la propria esperienza. 4.
Il rapporto di lavoro
La tipologia del contratto dei lavoratori rappresenta uno strumento, anche di natura psicologia, del sistema di approccio all’intervista. L’82% degli intervistati ha un contratto di lavoro a tempo determinato mentre quelli a tempo indeterminato sono il 10%. I contratti a progetto o precari rappresentano l’8%. Dell’insieme dei lavoratori a tempo indeterminato (82%) i R.L.S. sono il 90%, il 4% con contratto a progetto ed il 6% con contratti a tempo indeterminato. Nella stragrande maggioranza i R.L.S. sono assunti a tempo indeterminato e quindi costituiscono un solido punto di riferimento sia da parte dell’azienda che dei lavoratori. L’inquadramento dei lavoratori intervistato presenta la seguente situazione: oltre l’88% sono impiegati od operai suddivisi in parte uguale. Dirigenti e quadri sono circa il 12%.
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Il livello di istruzione
Relativamente al livello d’istruzione, circa il 45% degli intervistati possiede un diploma di scuola media superiore, i laureati sono il 14% e coloro con diploma di scuola media il 27%. Complessivamente oltre la metà degli intervistati ha un titolo di studio medio alto. 19
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Nello specifico tra i R.L.S. il 14% è laureato ed il 57% possiede un diploma medio superiore o professionale. Solo il 25% ha la licenza media ed un 3% la licenza elementare. La principale considerazione tra R.L.S. e titolo di studio consente di affermare come l’alto livello scolastico deve essere una occasione di maggiore partecipazione nel sistema di sicurezza aziendale. La professionalità dei R.L.S. unita all’esperienza lavorativa ed al livello di istruzione indicano come la bilateralità possa raggiungere ampi livelli di partecipazione e di sviluppo di sistemi di eccellenza e di qualità nella analisi dei rischi e nella prevenzione per la salute e la sicurezza dei lavoratori negli ambienti di lavoro.
6. Tipologia delle aziende I dati del campione preso a base dell’indagine è stato costantemente letto ed analizzato in relazione al proprio ruolo ed alla dimensione dell’azienda dove svolge il proprio lavoro. Nel caso della tipologia aziendale abbiamo raccolto le risposte degli intervistati suddividendole tra i Lavoratori ed i loro Rappresentanti. Ciò consente di meglio poter comprendere i dati e le successive risposte collegando il ruolo alla dimensione aziendale ed ai lavoratori coinvolti. Non deve trarre in inganno la differente tipologia aziendale, in termini percentuali, dell’azienda di riferimento. Risulta evidente che il R.L.S. è una figura che, come prevede la stessa norma, è presente nella misura di una unità nelle aziende fino a 200 lavoratori, due oltre i 200 e 3 oltre i 200 lavoratori. Si hanno, pertanto, proporzionalmente più R.L.S. provenienti dalle piccole e piccolissime aziende e meno Rappresentanti dalle aziende medie e grandi. 6.1. Rappresentanti del Lavoratori e tipologia aziendale La maggior parte dei R.L.S. intervistati, infatti, presta la propria attività in aziende di piccolissime dimensioni, da 1 a 5 dipendenti. Si tratta di un dato significativo ed interessante poiché spesso, si trascura questo dato considerando il livello di sindacalizzazione, scarso nelle piccolissime aziende, con la mancanza del Rappresentante dei lavoratori. Ci troviamo, invece, di fronte a un dato interessante e meritevole di attenta analisi e riflessione. L’assenza di forme di organizzazione sindacale nelle piccolissime imprese viene sopperita dal Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza che dovrebbe essere meglio intercettato e coinvolto nel dibattito sul suo ruolo, e sulle prospettive circa l’aggiornamento e la professionalizzazione della funzione.
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Non mancano, naturalmente, i R.L.S. delle aziende medio e piccole e di grandi dimensioni. Il campione degli intervistati è certamente rappresentativo della situazione italiana con il 41% di imprese che vanno da 6 a 50 dipendenti, il 7% di aziende con meno di 200 dipendenti ed il 6,8% di aziende di grandi dimensioni. 6.2. Lavoratori e tipologia aziendale I lavoratori coinvolti nella ricerca presentano una appartenenza a tipologie aziendali in parte differente da quella vista per i R.L.S. Si invertono alcuni parametri, e non poteva essere altrimenti, in quanto il campione più ampio (quasi il triplo di Lavoratori in rapporto ai RLS) è certamente più presente nelle grandi aziende. Il campione dei lavoratori intervistati è distribuito in modo abbastanza omogeneo tra la piccola e media azienda con una percentuale media attorno al 20%. La tipologia da 100 a 200 dipendenti per azienda ne vede una rappresentatività ridotta che viene ad essere colmata con le aziende superiori a 200 dipendenti che complessivamente presentano un campione di circa il 13%.
7. Il luogo di lavoro La scelta del mezzo di trasporto per raggiungere il posto di lavoro è naturalmente influenzata dalla localizzazione dell’azienda e dalla distribuzione sul territorio delle opportunità di utilizzo del trasporto pubblico. L’utilizzo del mezzo di trasporto rappresenta uno dei fattori principali di analisi del rapporto esistente tra il lavoratore e l’azienda. Non a caso una buona parte, statisticamente forse la maggiore, di infortuni mortali sul lavoro si verificano “in itinere” per usare la definizione dell’INAIL in quando avvengono durante il tragitto abitazione-lavoro e viceversa. E’ noto come sia ormai la strada con i suoi incidenti mortali, a fianco dei morti sul lavoro, a fornire un tragico bilancio quotidiano di vite spezzate. 21
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Indubbiamente l’automobile è il mezzo principale con cui i lavoratori raggiungono l’azienda cui aggiungendo l’altro mezzo rappresentato dalla motocicletta si ricava che il 75,5% utilizza il mezzo privato. Si tratta di una percentuale altissima a fronte del 10% dei lavoratori che usano i mezzi pubblici. Non mancano i casi, dovuti alla vicinanza, laddove il luogo di lavoro viene raggiunto a piedi o in bicicletta. Questi dati raccolti nella fase conclusiva dell’indagine hanno lo scopo di collocare il lavoratore nel contesto della sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro e di verificare il suo rapporto con quello che ormai rappresenta, sicuramente, un nuovo elemento su cui indagare e riflettere costituito dagli spazi e dai tempi del lavoro.
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Capitolo 2
PRIMO APPROCCIO DELLA FORMAZIONE PER IL LAVORO
1.
I settori di attività lavorativa
Il campione intervistato appartiene a tutti i macrosettori economici. In base alla classificazione ATECO gli intervistati sono stati lo 0% nel settore della pesca ed il 22% nell’industria: seguono il settore delle costruzioni (16%) ed il lavoro in uffici e servizi (13%). Nell’ordine seguono il 17% nel commercio, il 10% nella pubblica amministrazione e nell’istruzione, l’8% nella sanità e nei servizi sociali, il 5% nella scuola ed il 2% nell’agricoltura. Il campione e le relative risposte alle domande poste dall’indagine presentano quindi un grado di rappresentatività coerente con il sistema economico del Paese. 2.
Come ha imparato a svolgere il proprio lavoro
Una informazione preliminare, alla formazione, riguarda le modalità di apprendimento del lavoro per cui è stato chiesto agli intervistati di indicare una risposta tra le seguenti: 1. Affiancamento sul posto di lavoro 2. Esperienza maturata direttamente, da solo, sul posto di lavoro 3. Frequenza a corsi di formazione professionali 4. Contatti ed esperienze sviluppate attraverso i compagni di lavoro 5. Altri aspetti. La risposta dei lavoratori è stata nella stragrande maggioranza (78%) nell’esperienza diretta. Solo il 10% ha iniziato l’attività in affiancamento, il 4% 23
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ha imparato dai suggerimenti dei colleghi e solo il 6% ha svolto veri e propri corsi professionalizzanti. Per quanto riguarda i R.L.S. non vi sono differenze tranne un modesto 1% in più nell’esperienza dell’affiancamento. E’ certamente preoccupante il fatto che il 78% dei lavoratori non abbia mai ricevuto nessuna formazione al lavoro in azienda. Il sistema dell’apprendimento sviluppato direttamente sul posto di lavoro che riduce l’affiancamento al solo 10% è tipico della totale estraneità della formazione al lavoro. L’affiancamento unito alla formazione, al contrario, avrebbe dovuto costituire uno degli aspetti fondamentali delle politiche attive del lavoro sicuro. Da qui ne deriva anche un approccio alla formazione, spesso, formale e di mero assolvimento all’obbligo normativo e non tanto al reale rapporto con il proprio lavoro e la mansione. 3.
Quanti lavoratori hanno seguito corsi di formazione nell’ultimo biennio
Il 61% dichiara di aver partecipato a corsi di formazione a fronte di un 39% che non ha mai frequentato alcun corso. Il fatto che circa il 40% dei lavoratori non abbia svolto corsi nell’ultimo biennio presenta un quadro problematico del sistema formazione-sicurezza. Anche tra i R.L.S. abbiamo un 41% che non ha seguito corsi di formazione: ciò non significa che non ha svolto corsi ma, piuttosto, che li ha fatti negli anni passati e non ha fatto nulla nell’ultimo biennio. A questo proposito il giudizio è preoccupante per il fatto che nell’ultimo biennio è stato pubblicato il testo unico della sicurezza con il noto Decreto Legislativo 3 aprile 2009, n. 81 che ha totalmente modificato il decreto 626 del 1994.
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Tutti coloro che si erano formati sulla base del D.Lgs. 626 avrebbero dovuto partecipare a corsi di aggiornamento o, almeno, di conoscenza della nuova legge. Solamente il 60% del R.L.S. ha partecipato a corsi ed il quadro è certamente da non sottovalutare in quanto circa la metà di costoro non conoscono il nuovo testo unico della sicurezza sul lavoro. A tutto ciò si deve aggiungere che nell’agosto dell’anno 2009 il decreto 81/2008 è stato modificato dal D. Lgs. 106/09 e, anche in questo caso, risulta utile, necessaria ed obbligatoria la formazione relativa all’aggiornamento. 4.
Quante ore di formazione sono state svolte
Al 61% dei lavoratori che hanno svolto corsi di formazione o aggiornamento è stato chiesto di quantificare il numero delle ore della formazione svolta. In termini puramente statistici il 46% ha risposto di aver svolto corsi superiori alle 8 ore, il 21% corsi varianti tra le 2 e le 4 ore, il 18% corsi di 8 ore ed il 10% corsi di 6 ore. Una prima lettura dimostra come la formazione ricevuta sia stata, per oltre la metà dei lavoratori, di lungo periodo. Si tratta di un dato cui fare molta attenzione in quanto all’interno del 61% dei lavoratori il 73% era costituito da R.L.S. e, quindi, soggetti che hanno svolto un corso di formazione di 32 ore. Appaiono molto più significativi due dati quasi identici che presentano una forte tendenza a sviluppare corsi tra le 2 e 4 ore (26%) o corsi di circa 8 ore (28%). Sono due ambiti temporali che raggiungono il 54% delle risposte dei lavoratori e che ne costituiscono modelli attuati e partecipati cui deve essere dedicata attenzione. 5.
La formazione ricevuta è stata utile
A fronte della formazione ricevuta è stato chiesto in quale misura questa formazione sia stata utile ai lavoratori. In termini generali le risposte dei lavoratori sono percentualmente suddivise a metà tra giudizi positivi e negativi. Il 21% dei lavoratori e dei R.L.S. giudicano che la formazione svolta sia stata “moltissimo” utile. A ciò si deve aggiungere il 34% che la ritiene “molto” 25
Rapporto Aifos 2009
utile ed un complessivo 42% che ne da un giudizio scarso. Nello specifico il 31% ritiene la formazione svolta “abbastanza” utile e l’11% “poco” utile. Questo, quasi, equilibrio del giudizio dei lavoratori apre una prospettiva interessante, per successive analisi, sull’utilità concreta della formazione e della sua percezione da parte dei lavoratori. Sarà di grande ausilio, in questo caso, poter analizzare e confrontare i dati che ogni ente di formazione possiede ma non divulga circa i risultati dei test di gradimento e di valutazione dell’efficacia che vengono, di norma, effettuati alla conclusione di ogni corso da parte dei partecipanti. Una analisi nel dettaglio potrà dare risposte più precise e convincenti a questa domanda che, nel presente Rapporto, vuole aprire una finestra di riflessione e di successiva analisi. 6.
Chi ha promosso la formazione
Il 75% delle iniziative formative sono state promosse dall’Azienda e solo il 25% è frutto di iniziativa personale dei singoli lavoratori. Il dato presenta però una grande particolarità di lettura. L’impegno dell’azienda verso la formazione, che raggiunge ampi livelli di iniziativa, è certamente anche il risultato dell’obbligatorietà della formazione e delle conseguenti sanzioni in caso di inadempimento. Allo stesso tempo il 25% dovuto all’iniziativa individuale dei lavoratori concorre allo sviluppo delle attività di formazione. Per quanto riguarda i R.L.S. si evidenzia come l’iniziativa personale, che è pari al 25%, vede al suo interno come la componente sindacale ne rappresenti da sola il 76%: ciò a significare la grande attenzione dei singoli R.L.S. verso la formazione che per lo più è realizzata a seguito di una iniziativa e sollecitazione personale.
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Capitolo 3
COSA PENSANO I LAVORATORI DELLA FORMAZIONE
1.
L’importanza della formazione
Ai lavoratori, al termine di questo percorso, è stato chiesto quale sia il grado di interesse verso le iniziative di formazione o di aggiornamento. L’interesse dei lavoratori verso la formazione (che hanno risposto “molto” o “moltissimo”) è pari al 64% mentre il 30% ha “abbastanza” interesse, evidentemente esprime un certo grado di indecisione, e solamente il 6% è scettico rivelando un interesse negativo. Tralasciando gli estremi (“poco” interesse il 6% e “moltissimo” interesse il 21% che specificamente rappresentano una negatività il primo ed un certo eccesso di fiducia il secondo, anche se si tratta di un dato interessante) si determina che il 73% dei lavoratori ,con un giudizio che ritiene “abbastanza” o “molto”, ha un grado di interesse rilevante verso la formazione e l’aggiornamento sui temi della salute e sicurezza sul lavoro. 2.
Perché è importante la formazione
E’ stato chiesto ai lavoratori quale sia la loro percezione del sistema “formazione” attraverso una batterie di domande che ne costituiscono uno stimolo per meglio comprendere quale sia la formazione utile e le aspettative che essa suscita. E’ stato chiesto se la formazione è importante per favorire l’organizzazione. I lavoratori sono divisi quasi a metà nel giudizio. Quasi il 27
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44% ne da un giudizioso che va dal “poco” e “abbastanza”. Solo il 42% ne da un giudizio “molto” ed il 14% addirittura “moltissimo”. Vi è quindi la convinzione che la formazione possa contribuire a favorire l’organizzazione aziendale in quanto vi è una richiesta, più che consapevolezza, che formare significhi anche organizzare.
La grande maggioranza dei lavoratori (34% abbastanza e 39% molto) esprimono un giudizio positivo in quanto vi è la convinzione che la formazione, con i suoi livelli di informazione, formazione, apprendimento, consente di possedere nuovi elementi che siano utili alla risoluzione dei problemi lavorativi. 2.1. La sicurezza sul lavoro E’ importante per conoscere i problemi della sicurezza sul lavoro poco
abbastanza
molto
moltissimo
3,0%
17,4%
48,5%
31,2%
La formazione è importante per conoscere i problemi della sicurezza sul lavoro per il 31% dei lavoratori (moltissimo). Solo il 3% ritiene che la formazione sia poco importante mentre il 17% la considera abbastanza importante per la sicurezza sul lavoro. Il 48%, infine, ritiene che la formazione sia “molto” importante. Complessivamente poco meno dell’80% dei lavoratori collega la formazione alla sicurezza sul lavoro dimostrando una forte consapevolezza sull’importanza che la formazione ha rivestito, negli ultimi anni, nel migliorare il livello di sicurezza sul lavoro.
2.2. Migliorare lo svolgimento dei propri compiti e le relazioni 28
Rapporto Aifos 2009
Viene chiesto ai lavoratori la percezione dell’importanza della formazione in relazione ad altri aspetti della vita lavorativa e personale. Il 45% dei lavoratori ritiene che una buona formazione è utile a migliorare lo svolgimento dei compiti di lavoro mentre solo il 5% ne è poco convinta. Il 29% ritiene la formazione “abbastanza” utile ed il 20% indica la risposta “moltissimo” .
Il 18% dei lavoratori pensa che la formazione sia poco utile per migliorare i rapporti con i clienti mentre tra l’abbastanza ed il molto ci sono circa il 66%. Si tratta della percezione che i lavoratori hanno della formazione nei confronti degli elementi esterni al lavoro ovvero di come la formazione può favorire le relazioni ed i comportamenti tra i lavoratori e l’ambiente esterno. Questi aspetti trovano maggiori approfondimento ed utili indicazioni da parte delle aziende che hanno intrapreso il percorso della Responsabilità Sociale dell’Impresa che vede questo fenomeno come determinante per la realizzazione del modello di gestione. E’ importante per migliorare le relazioni interne tra colleghi e superiori poco
abbastanza
molto
moltissimo
19,6%
34,3%
32,6%
13,6%
Poco meno del 20% dei lavoratori è abbastanza scettico e crede poco che la formazione possa migliorare le relazioni interne. Significativo il dato del 40% che invece giudica positivamente questa prospettiva, anche dovuta al fatto che ha frequentato e partecipato a più azioni formative che nel loro insieme, almeno nel momento partecipativo, tendono ad uniformare la platea dei partecipanti annullando anche le classiche divisioni con i capi ed i superiori.
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Rapporto Aifos 2009
2.3. Maggiore autonomia nel lavoro Il dato rilevante è rappresentato dall’insieme di circa il 62% delle risposte che ritiene importante la formazione in quanto consente di acquisire maggiore autonomia nel proprio lavoro. Ne deriva che l’aspettativa del lavoratore verso la formazione è alta e si aspetta “qualcosa di più” in quanto vuole conoscere, sapere, apprendere elementi che gli consentano di svolgere bene e meglio il proprio lavoro. La formazione viene quindi attesa e vissuta come strettamente collegata al proprio lavoro, non vaga e generica ma, strettamente connessa e fondata con gli aspetti lavorativi e che consentano di acquisire una maggiore sicurezza e competenza nello svolgimento delle mansioni e dei ruoli che ricopre in azienda. 2.4. La formazione e la carriera La domanda chiedeva quale importanza attribuisce a questa affermazione ed i lavoratori hanno espresso, nelle diverse valutazioni, sia un giudizio e sia una convinzione. Appare evidente come circa il 40% dei lavoratori crede o vorrebbe che la formazione incidesse positivamente sulle progressioni di carriera. Si tratta del resto di una constatazione semplice ed immediata: se imparo di più è giusto che possa andare avanti nei confronti di colui che non si aggiorna. Però le prime due risposte al quesito ci fanno tornare alla realtà percepita dai lavoratori che per il 60% sono molto scettici su questa affermazione. Il 29% ritiene che la formazione è “poco” utile per fare carriera, ovvero lo esclude a priori mentre solo un 30% crede abbastanza che possa essere utile. Una generale analisi dei dati complessivi contenuti in questa domanda ed alle sue numerose risposte evidenziano come i lavoratori, e di ciò non ve ne era dubbio, percepiscono positivamente le azioni formative. Allo stesso tempo, però, all’interno dell’azienda non viene data alla formazione l’importanza determinante per attuare il cambiamento. Infatti la percezione del sistema
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formativo viene vissuta come una cosa abbastanza estranea al proprio lavoro e, spesso, non in grado di incidere sui comportamenti e sulle azioni proprie del lavoro. Da altre ricerche si è appreso come i lavoratori “in formazione” spesso e molte volte “si annoiano” e la considerano una perdita di tempo. Parimenti i datori di lavoro la considerano un esborso di danaro ed una mancata produzione a fronte di nessun risultato tangibile a favore dell’azienda. Vale la pena ricordare, alcune esperienze straniere, laddove i premi annuali di risultato sono destinati ai lavoratori non solo in base agli obiettivi raggiunti ma anche computando le ore ed i corsi di formazione frequentati. Le successive risposte fanno sempre più emergere questo problema in quanto, nel senso più comune che ne danno i lavoratori, la formazione non viene vissuta come un momento di crescita personale ma spesso come un aspetto tecnico collegato al lavoro ed alla mansione. Sintetizzando si nota molta confusione tra addestramento e formazione: da un lato si vorrebbe un addestramento che fosse formazione mentre la formazione, così come viene svolta, non assolve ai compiti dell’addestramento. 3. Quali tipologie per la formazione La formazione sulla sicurezza sul lavoro prevista dal D.Lgs. 81/08 indica tre aspetti generali definendoli informazione, formazione ed addestramento. Ai lavoratori è stato chiesto quale tipologie di formazione preferisce oppure ritiene più utile per un migliore apprendimento. Era importante avere le opinioni dei lavoratori in ordine agli strumenti adottati per lo svolgimento della formazione. Proprio le risposte alle domande precedenti inducevano di soffermarsi sullo strumento che è rivelatore della percezione e di quanto si aspettano i lavoratori. 3.1. Gli opuscoli ed i libretti illustrati Deve far riflettere come quasi il 70% dei lavoratori ritiene insoddisfacente l’utilità dei libretti illustrati per svolgere la formazione sulla sicurezza. Il 23% li considera molto utili e moltissimo solo il 7,5%. Questo giudizio, essenzialmente negativo, è il risultato di quindici anni di errato utilizzo dei questi strumenti che, di per se, sono un buon prodotto ed un momento semplice di comunicazione.
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Durante il primo decennio di applicazione del D.Lgs. 626/94 era invalsa, ed in molti casi ancora in vigore, una prassi di consegnare ai lavoratoti un libretto con una pagina da staccare, firmare e consegnare al datore di lavoro quale documento dell’apprendimento e della ricevuta formazione. Ci sono voluti anni di battaglie, condotte in primis dal procuratore di Torino dott. Raffaele Guariniello che ne contestava tale sistema opponendogli “effettività della formazione” e non questo adempimento cartaceo che non vale nulla. Ma tant’è molti ancora proseguono su questa strada e, da ciò, il corretto e negativo giudizio dei lavoratori che ben sanno della inutilità di tali azioni. Gli opuscoli, invece, hanno il loro giusto e corretto modello applicativo dopo, al termine, di una azione formativa quale sintetico testo di consultazione, successiva al corso stesso. 3.2. Formazione in auto apprendimento Circa il 35% dei lavoratori giudicano positivamente l’auto apprendimento che in linea di massima significa leggere, studiare, partecipare a convegni e riunioni: in una parola tenersi aggiornati da soli. Questo giudizio conferma, soprattutto da parte dei R.L.S., una maggiore presa di coscienza dell’importanza della cultura della sicurezza e nella capacità dei lavoratori di occuparsi della sicurezza sul lavoro. A questo auspicio vi è però una realtà lavorativa del 65% che non crede utile il sistema dell’auto apprendimento: nel fare da soli. Sono lavoratori che, forse hanno anche fatto esperienze negative di formazione. Basti un esempio per tutti: che senso ha mettere alcuni lavoratori davanti ad un televisore, vedere un filmato e poi considerare la visione del film, chiamato videocorso, quale frequenza ad un corso di formazione ? Il film può essere ed è un ottimo sussidio didattico per integrare i corsi in aula ma, la sua semplice visione non deve essere confusa ne con l’informazione ne, tantomeno, con la formazione. 32
Rapporto Aifos 2009
Di queste operazioni che aggirano la legge e si basano sul presupposto dell’adempimento formale, di fatto, hanno creato e creano un sostanziale senso di sfiducia verso il sistema dell’auto apprendimento che invece dovrebbe essere analizzato e sperimentato utilizzando l’innovazione tecnologia in modo positivo e non quale assolvimento cartaceo e burocratico. 3.3. La formazione in azienda
Le tre domande sull’utilità della formazione in azienda, coordinate tra loro, dimostrano come circa l’80% dei lavoratori ritengono molto utile il suo svolgimento in azienda. Si tratta di un giudizio netto e sicuro sul modello formativo preferito ed allo stesso tempo una critica pesante e ferma di un decennio di formazione, e di risorse spese, che poco hanno inciso sul reale cambiamento nella sicurezza sul lavoro. Affiancamento sul posto di lavoro e presenza di esperti sono ritenuti utili in quanto i lavoratori, meglio di altri, hanno le idee chiare di cosa sia la formazione in azienda. Diciamo subito cosa non è, o non dovrebbe essere, la formazione in azienda. Sulla base delle esperienze e delle situazioni conosciute si è assistito, nel migliore dei casi, a corsi svolti nella sala mensa o in una bella sala riunioni messa a disposizione dalla direzione, i lavoratori – di aree non omogenee e di differenti mansioni – tutti assieme seduti ad ascoltare un docente che parla per 2, 3, 4 ore e svolge il corso di formazione. 33
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I lavoratori non si sono spostati dall’azienda, hanno perso meno tempo, ma la noia e la considerazione di “inutilità” della formazione rimane in quanto non è sufficiente cambiare aula e location se non si cambiamo metodi e sistemi formativi. Del resto la norma nazionale ed alcuni Accordi definiti in sede di Conferenza stato regioni definiscono, nei particolari, materie ed ore di svolgimento avendo come parametro della formazione la classica lezione da svolgersi in aula. E’ vero che viene auspicato un modello di formazione attiva ed interattiva, con discussioni e simulazioni ma sempre pensando alla logica della classe, del numero degli allievi e delle ore di lezioni suddivisi per argomento. La formazione, così definita, sconta l’errore fondamentale di avere quale modelli di riferimento la vecchia formazione professionale degli enti convenzionati e delle regioni fondati sul costo ora docenti. Spesso, per fare un esempio, è più costoso lo studio del progetto formativo e l’analisi del bisogno che non la semplice erogazione del corso da parte dei docenti. I lavoratori, invece, hanno le idee molto chiare e nel ritenere molto utile l’affiancamento ed il ricorso ad esperti pensano che la formazione possa avvenire sul posto di lavoro e, dove possibile, vicino alla macchina discutendo tra e con i due tre compagni coinvolti. Si tratta di una indicazione chiara e precisa per la quale non esistono modelli collaudati e sperimentati di formazione in azienda (che non sia addestramento o informazione all’uso della macchina) . Molte occasioni saltuarie o dovute alla buona volontà di docenti e formatori devono essere meglio conosciute e sperimentate tali da crearne modelli condivisi ed applicabili nelle differenti realtà del lavoro. 3.4. La formazione in aula La formazione in aula è sempre valida ed utile come ben si esprime circa il 40% dei lavoratoti con un altro 13% che la ritiene molto utile. Mediamente oltre il 50% lo ritiene un sistema utile. Solo il 14 % la considera poco utile e ne da un giudizio sufficiente il 33%. La platea dei lavoratori esprime un giudizio equidistante (metà a favore e metà contrari) alla formazione in aula. A tali dati non sono estranee le domande precedenti cui si sollecitava una risposta, precisa e nel dettaglio, sulla formazione in azienda. Risulta quindi ovvio che la grande maggioranza dei lavoratori che si è espressa a favore della formazione in azienda abbia, successivamente, espresso un giudizio 34
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conseguente per i quali la formazione in aula sia poco o utile a sufficienza. 3.5. La FAD e la formazione on line Lo strumento della formazione a distanza e dei corsi on line viene decisamente ritenuto non utile da circa l’80% dei lavoratori. Precisamente poco utile per il 50% e abbastanza utile per il 29%. Solo il 21 % ne da un giudizio positivo. Una immediata risposta a questo dato è quella che “ i lavoratori non usano il computer” cui è facile osservare come si tratta di una semplicistica osservazione in quanto moltissimi lavoratori usano il pc e navigano su internet La domanda pone un problema significativo su cui riflettere, tanto più che buona parte del campione è costituito da lavoratori che operano in ufficio e, quindi, da utilizzatori di computer. Una prima osservazione di merito riguarda lo strumento e sulla sua percezione e l’uso (o l’abuso) fatto negli ultimi anni. Come si diceva precedentemente, le esperienze, susseguitesi negli anni più recenti, di corsi svolti mediante supporti multimediali sono state per lo più iniziative commerciali, orientate alla vendita di prodotti informatici, piuttosto che sviluppo di percorsi formativi interattivi finalizzati alla reale diffusione di una cultura della sicurezza sul lavoro. In altra sede dovrà essere ampliato questo argomento che per la sua importanza e modernità, e soprattutto per nuove prospettive e potenzialità, costituisce uno strumento innovativo del percorso formativo. Bisogna però essere chiari fin dall’inizio laddove la formazione a distanza non deve essere una scorciatoia per ottenere un attestato o l’adempimento formale della norma. Una seria formazione on line deve, oltre agli strumenti tecnologici che ne identifichino tracciamento, riconoscimento dell’utente ed i test di verifica e di apprendimento, deve essere sempre e comunque supportata da tutor. Del resto nello stesso Accordo Stato regioni del 26 gennaio 2006 in relazione alle modalità di svolgimento per i corsi per RSPP viene precisato che per i Moduli A, B e C non è prevista la formazione on line mentre, la stessa, è ammissibile per lo svolgimento dell’aggiornamento. Ciò risponde ad una sistema logico che vuole prevede la formazione di base interattiva ed i successivi aggiornamenti possono avvenire on line. 35
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A questo modello potrebbero ispirarsi nuovi corsi per i differenti soggetti, per i quali, dopo la formazione iniziale il loro aggiornamento possa essere svolto con la formazione on line. Allo stesso tempo la Fad non potrà avere strumenti e metodologie generiche e uguali per tutti. In base ai settori di lavoro ed ai soggetti destinatari della formazione dovrà essere calibrata e misurata anche e soprattutto con iniziative integrate con gli altri strumenti della formazione quali l’aula, la video conferenza fino all’uso semplice di skype e delle semplici mail. In sintesi è indispensabile, sempre e comunque, il rapporto diretto con il docente-formatore che in questo caso è rappresentato dal tutor del corso a diretto contatto con l’utente finale.
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Capitolo 4
LA SICUREZZA NELLA AZIENDA DOVE SI LAVORA
1.
Giudizio dei lavoratori sulle proprie conoscenze
Queste risposte confermano i dati della domanda precedente in quando si chiede, ai lavoratori, se conoscono i rischi connessi al proprio lavoro. Ed è naturale che l’esperienza accumulata negli anni, ricordiamo che il nostro campione ha una anzianità lavorativa che per il 30% va dai 15 ai 20 anni, li porti a rispondere sulla base della propria esperienza. L’82% conosce abbastanza o molto i propri rischi lavorativi ed il 10% li conosce addirittura benissimo. L’osservazione di questi dati, in rapporto alle domande successive, indicano come nella formazione non si è mai tenuto conto, nella maniera debita ed appropriata, dell’esperienzalità dei lavoratori. Una seria e concreta formazione, che non vuole essere informativa o addestrativa si deve fondare sul riconoscimento e sulla valorizzazione dell’esperienza dei lavoratori e pertanto progetti e programmi dovranno partire dall’analisi delle conoscenze e dei bisogni dei soggetti e non tanto dall’osservanza delle materie e delle ore indicate nella norma. 37
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Dovrà piuttosto essere basata sugli argomenti che si ritengano concretamente utili per il cambiamento dei livelli di sicurezza degli ambienti lavorativi. 2.
Comportamenti di sicurezza
In relazione ad alcuni rischi sul lavoro nella propria azienda gli intervistati hanno ricevuto informazioni precise e in tal caso saprebbero: Come comportarsi in caso di incendio poco
abbastanza
molto
moltissimo
18,7% 35,8% 34,1% 11,5% Cosa fare se un compagno di lavoro viene colpito da un malore poco
abbastanza
molto
moltissimo
27,1% 37,7% 25,9% 9,4% A chi si deve rivolgere in caso di mal di schiena permanente poco
abbastanza
molto
moltissimo
19,5% 34,7% 32,2% 13,7% A chi chiedere una visita medica durante l’orario di lavoro poco
abbastanza
molto
moltissimo
20,9% 34,1% 32,1% 13,0% Conosce quali diritti e doveri hanno i lavoratori poco
abbastanza
molto
moltissimo
12,4% 39,1% 36,2% 12,4% Conosce i sistemi di allerta per le emergenze poco
10,5%
abbastanza
31,3%
molto
39,4%
moltissimo
18,9%
Si sono poste domande di semplice conoscenza che riguardano alcuni rischi tipici presenti in azienda ed alcuni concetti di base relativi alla sicurezza. Il giudizio complessivo di tali conoscenze dividono quali a metà i pareri espressi. Indicativamente poco più del 10% afferma di conoscere molto bene cosa deve fare: ciò risponde alla tipologia del campione laddove la presenza di lavoratori che hanno svolto il corso di 32 ore per R.L.S. hanno sicuramente inciso alla formazione su questi temi specifici. Assistiamo parimenti ad una percentuale più alta che dice chiaramente di conoscere poco tali argomenti. Alcune risposte sollevano il tema dell’informazione generale in quanto dimostrano che non è stata effettuata. 38
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La circostanza che il 20% del campione non conosce a chi chiedere la visita medica significa che non ha capito e percepito il ruolo che deve svolgere e che lo lega al Medico competente. In effetti tale risposta è la conseguenza, con identiche percentuali, della precedente dove si chiede a chi si deve rivolgere il lavoratore in caso di mal di schiena. Le due problematiche fanno emergere le carenze e le difficoltà, ancora presenti, in ordine al ruolo ed all’effettività dei compiti del medico competente all’interno dell’azienda che non devono essere limitati alle semplici visite ma che devono prevedere il suo coinvolgimento nel sistema della sicurezza aziendale. Risulta abbastanza preoccupante la risposta del 19% dei lavoratori che non sanno come comportarsi in caso di incendio. Si tratta di una percentuale alta, considerando il fatto che la legge preveda che tutti i lavoratori debbano ricevere una prima informazione su come comportarsi nel corso di tali emergenze . E’ un campanello di allarme che evidenzia come, spesso, l’informazione minima dei lavoratori non viene effettuata in maniera efficace o, meglio, non vi è effettività della formazione ma solamente un adempimento formale. Del resto la situazione che emerge dalla ricerca sulla diffusione degli opuscoletti, della formazione con i CD, ecc. dimostra che questi strumento non sono ne seri ne efficaci ai fini della formazione. I lavoratori che rispondono “abbastanza” tendono a dimostrare la propria consapevolezza che, però, non significa piena comprensione e capacità attuative. Complessivamente tra il “poco” e l’”abbastanza” delle risposte ricevute si ha un quadro medio laddove circa la metà dei lavoratori non ha ricevuto una formazione mirata ed efficace e che ha molte problemi di applicabilità. Ciò dimostra, inoltre, lo scarso e mediocre giudizio che ne viene data alla formazione considerata anche “tempo perso” o della sua inutilità di intervento al fine di favorire nuovi comportamenti. 3.
Un esempio di conoscenza
Sono stati sottoposti in visione ai lavoratori 3 cartelli cui è stato chiesto se il cartello indica un Divieto un Pericolo o un Obbligo Cartello
Divieto
Pericolo
Obbligo
1,6 %
96,0 %
2,4 %
39
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96,2 %
2,2 %
1,60 %
4,10 %
2,90 %
93%
Si tratta di una domanda semplice in cui si è voluti evidenziare l’immagine per verificare le conoscenze immediate da parte dei lavoratori. Risulta normale che il 90% conosca il significato di questi segnali. Dei primi due cartelli solo il 4% ne ha indicato in modo erroneo il significato mentre il terzo cartello presenta il 7% di risposte errate. Data la semplicità della rappresentazione è grave che il 7% dei lavoratori non ne conoscano il significato. Il terzo cartello che prescrive un “obbligo” nella misura in cui viene ignorato significa che il lavoratore non esegua l’obbligo di indossare i guanti e, pertanto, può provocare un infortunio al lavoratore stesso. La segnaletica, spesso trascurata ed ignorata, dovrà trovare maggiore attenzione ed importanza nello sviluppo e nella formazione della sicurezza.
40
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Capitolo 5
CONOSCENZA DELLA SICUREZZA PER IL PROPRIO LAVORO
1
Presa di coscienza e di responsabilità
Si è chiesto ai lavoratori Come è venuto a conoscenza dell’importanza della sicurezza sul lavoro e di una maggiore presa di coscienza e di responsabilità Sono riportate le risposte alle medesime domande date dai lavoratori ed dai Rappresentanti dei lavoratori: Quesito Sul posto di lavoro Corsi di formazione In famiglia/tra amici Programmi radio TV Dai giornali Ne ero già cosciente Altro
Lavoratori 93,5 % 2,9 % 2,2 % 0,7 % 0,7 % 0,0 % 0,0 %
R.L.S. 27,1 % 52,1 % 5,7 % 5,0 % 3,6 % 4,6 % 1,8 %
Totale 74,9 % 16,7 % 3,2 % 1,9 % 1,5 % 1,3 % 0,5 %
La misurazione dell’impatto dei media è un elemento importante per la presa di coscienza della sicurezza sul lavoro. Campagne promozionali ed informative hanno sicuramente un grande impatto sulla popolazione. Da parte dei lavoratori le risposte date alle domande presentano una situazione che merita una seria analisi. Il posto di lavoro rappresenta per oltre il 93% dei lavoratori il momento principale della conoscenza di quanto sia importante il tema della salute e della sicurezza. La stessa domanda posta ai RLS vede solo il 27% dare la medesima risposta dei lavoratori. E non poteva essere altrimenti dato che i R.L.S. debbano frequentare un corso di 32 ore ed è in quella sede che hanno meglio appreso temi e problematiche, normativi, legislativi e tecnici, della sicurezza sul lavoro. Gli stessi R.L.S. si esprimono per il 51% positivamente nei confronti della formazione (riferendosi a quella da loro svolta) mentre solo poco meno del 3% sono venuti a conoscenza delle problematiche della sicurezza attraverso la formazione. 41
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Altri strumenti come giornali, radio, Tv incidono abbastanza poco o nulla sul livello di conoscenza della sicurezza. Sono i R.L.S. che ne danno un giudizio migliore. Ciò è, senza dubbio, dovuto al fatto che gli R.L.S. leggono di più, sono informati sul proprio ruolo, hanno i rapporti con il sindacato: in poche parole, in modo più profondo rispetto ai lavoratori, sono inseriti nel circuito della formazione continua e nello svolgimento del proprio ruolo sono attenti all’informazione ed alle campagne ed ai messaggi dei media. Allo stesso tempo queste risposte inducono a pensare all’inefficacia dei media nel trasmettere messaggi idonei ed atti a sviluppare una maggiore cultura della sicurezza. In effetti le principali notizie sono rappresentate dall’evidenziazione degli infortuni e degli incidenti mortali. Manca l’inchiesta, la ricerca, l’indicazione degli strumenti che avrebbero evitato l’infortunio: in poche parole assistiamo ad una spettacolarizzazione dell’evento e delle problematiche della sicurezza solo in presenza di morti e incidenti gravi. Passato il fatto cala il silenzio in attesa della prossima vittima del lavoro da mettere in prima pagina 2. Difficoltà nello svolgimento della mansione La metà dei lavoratori denuncia difficoltà (44,3%) nello svolgimento delle proprie mansioni e solamente il 55,7% dichiara che non ha avuto problemi. Questa semplice domanda rappresenta la conclusione della prima parte della ricerca che testimonia l’importanza della formazione e come la sua mancanza incida fortemente sulle difficoltà lamentate dai lavoratori. Una altrettanto utile osservazione dimostra come il lavoratore è consapevole e sicuro di come svolgere la propria mansione. Ciò ne denota l’importanza che attribuisce al proprio lavoro ed alla propria capacità di svolgerlo al meglio. La risposta di difficoltà sta invece nella richiesta di maggiore formazione che si collega alle capacità nel senso che maggiore formazione significa migliore svolgimento del proprio lavoro. 3.
Conoscenze teoriche da approfondire
Sono state poste ai lavoratori una serie di domande specifiche su una serie di conoscenze teoriche che ritiene siano utili approfondire per migliorare le proprie conoscenze in tema di sicurezza sul lavoro. 42
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3.1. Migliorare le conoscenze nell’ambiente di lavoro Il primo blocco di domande risponde alle mansioni ed all’ambiente di lavoro laddove si evidenzia che i lavoratori, tra le risposte “abbastanza” e “molto” ritengono utile che la formazione debba approfondire i seguenti aspetti: • I rischi della mansione effettivamente svolta • Gli ambienti di lavoro • La sorveglianza sanitaria • L’uso delle attrezzature di lavoro
3.2. Gli aspetti normativi e le responsabilità Una grande attenzione è data dai lavoratori alla conoscenza, ovvero alla formazione degli aspetti normativi, dei diritti e doveri dei lavoratori (20% moltissimo e 41% molto). Solo il 7% ritiene poco utile approfondire gli aspetti legislativi.
43
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La domanda si completa, confermando gli stessi indici percentuali quando viene posto l’accenno ai dirigenti ed ai preposti. I lavoratori ritengono che si debba conoscere meglio il ruolo, compiti, responsabilità effettive dei dirigenti e dei preposti nelle attività aziendali in ordine alla salute ed alla sicurezza. 3.3. Un esempio di intervento specifico: le emergenze Abbiamo già visto come nei confronti le emergenze rappresentino una fase importante e delicata del processo formativo e come i lavoratori diano un giudizio importante di consapevolezza ed allo stesso tempo denuncino la scarsità di formazione ed informazione su questo argomento. Questa domanda conferma la situazione. I lavoratori si rendono conto che la conoscenza, ovvero la formazione, sui temi dell’emergenze è importante (71% complessivamente) ed allo stesso tempo denunciano la non applicazione della norma che prevede come la prima informazione ai lavoratori debba comprendere le misure di emergenza. Anche molti corsi relativi all’antincendio sono troppo teorici sulle problematiche dell’incendio (quasi a voler fare – ci ha detto un lavoratore – tanti “piccoli pompieri” e non spiegare bene cosa fare nei casi di emergenza e soprattutto formare le persone sui comportamenti da tenere).
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3.4. Le sanzioni e la vigilanza Il tema, riscuote interesse, ma non è al primo posto della graduatoria delle necessità. Si nutre il legittimo interesse a conoscere quali sono le sanzioni che la legge prevede per coloro che non osservano le disposizioni ma quasi il 50% dei lavoratori giudica poco o abbastanza utile che tali argomenti debbano essere approfonditi e sviluppati con maggiore formazione o conoscenza informative. Le medesime osservazioni valgono per gli organismi di vigilanza. Il giudizio complessivo che se ne ricava da queste risposte indica come i lavoratori non ritengono questione prioritaria le sanzioni e la vigilanza ai fini della sicurezza sul lavoro. I dati emersi che vedono su questi temi una percentuale quasi identica di favorevoli e meno favorevoli dimostra che la strada delle sanzioni e delle ispezioni non è la sola percorribile per una vera sicurezza sul lavoro. La risposta di non approfondimento di questi temi da un lato e di altri che, invece, ne chiedono un aumento di informazioni risponde alla figura concreta che il lavoratore si è fatto all’interno della propria azienda. Molti lavoratori che prestano la propria attività in aziende piccole e piccolissime sanno bene che le ispezioni non saranno mai in grado di essere estese a tutte le aziende ed allo stesso tempo che non saranno le sanzioni a far diminuire infortuni ed incidenti sul lavoro. 3.5. Lo stress Uno dei temi del recente dibattito riguarda lo stress da lavoro correlato alla mansione effettivamente svolta. I lavoratori, nelle loro risposte, hanno dimostrato grande equilibrio e responsabilità. Si sono sviluppate negli ultimi tempi, a seguito dell’introduzione nella legislazione dell’obbligo di valutazione del rischi da stress da lavoro correlato, una serie di iniziative non sempre corrette e lineari in tale direzione. 45
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Senza norme chiare e precise in molte aziende sono state svolte analisi sottoponendo tutti i lavoratori a rilevazione tramite questionari, sviluppo e vendita di software che – introducendo alcuni dati – ne danno la situazione dello stress lavorativo. Tutti tentativi, anche a seguito dei dati di questa ricerca, semplicistici che non hanno inciso sulla conoscenza dell’argomento ma piuttosto hanno contribuito a creare allarmismo e “nuova carta” da allegare ai Documenti di Valutazione dei Rischi cui non corrisponde una effettività di misurazione e di soluzione nei casi in cui si evidenzia il rischio sopra descritto. Le risposte dei lavoratori indicano chiaramente che la problematica esiste e che oltre il 50% ritiene che sia utile ed importante approfondire le conoscenze sull’argomento. Nella sostanza si richiede formazione su questo fenomeno, approfondimento e solo l’11% ritiene la cosa poco interessante. Il restante 30% dei lavoratori che ritiene “abbastanza” utile approfondire la conoscenza teorica del problema legato allo stress da lavoro riconoscono che è più utile la formazione e non lo svolgimento dell’azione diretta in azienda senza una dovuta preparazione. Si conferma nella sostanza la necessità di avere linee guida chiare e precise sulla valutazione del fenomeno, senza falsi allarmi del tipo “siamo tutti stressati” ma, consapevolmente collegare lo stress al proprio lavoro ed alla mansione che, detto per inciso, coinvolge l’organizzazione aziendale e l’ergonomia e molto più il medico competente. Allo stesso tempo conoscere tali problematiche è utile è propedeutico alla cultura della sicurezza sul lavoro ed al successivo coinvolgimento dei lavoratori analisi dei rischi derivanti da tale fenomeno e dalle conseguenti misure di sicurezza da adottare in azienda. 4. Gli infortuni nella propria azienda Chiedere ai lavoratori di indicare se nella propria azienda sono avvenuti degli infortuni sembra una domanda semplice. Invece è molto complessa poiché si richiama alla mente un avvenimento funesto che, spesso, coinvolge lo stesso lavoratore e pertanto non facile da rivivere, ricordare o analizzare. Con molta attenzione sono state poste alcune domande chiedendo prima di tutto se ricorda incidenti od infortuni, avvenuti nella propri azienda negli ultimi tre anni. Domanda
Ha memoria di qualche incidente avvenuto negli ultimi 3 anni
46
Si
No
30,9%
69,1%
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Il dato degli infortuni avvenuti, pari al 30%, indica come - tralasciando gli infortuni mortali - nelle aziende tanti, troppi piccoli e medi infortuni sul lavoro coinvolgono, ancora, una grande percentuale di lavoratori. Seguono alcune domande di approfondimento per verificare cosa è successo dopo l’infortunio. Domanda Ne avete parlato tra voi lavoratori I dirigenti dell’azienda ne hanno parlato in qualche modo I responsabili della sicurezza ne hanno discusso con i lavoratori E’ stato fatto qualche sciopero o qualche altra forma di protesta
E’ intervenuto qualcuno dall’esterno per discutere, verificare, chiedere?
Si 45,8 %
No 54,2%
45,8%
54,2%
47 %
53%
10,9%
89,1%
26,7%
73,3%
Come si nota dalle risposte circa la metà degli intervistati dichiara che dell’infortunio se ne è parlato e discusso. Sia tra i lavoratori sia con i responsabili. Il dato che nella metà dei casi non si sia discusso è sintomatico del clima di silenzio che si tende a fare in questi casi, spesso con il concorso di tutti i soggetti coinvolti. La classica espressione “non parliamone, tanto non serve a niente poiché quanto è accaduto non risolve il problema dell’infortunato” denota una totale assenza di conoscenza del processo formativo che si basa sull’esperienzialità e sul cosiddetto “albero delle cause”. Nei casi gravi si tende a demandare il tutto all’inchiesta delle ASL ed alla magistratura e nei casi lievi non se ne discute quasi consolandosi con il classico “è andata bene, poteva andare peggio.” Vale la pena sottolineare come le direttive europee hanno tanto e spesso insistito sull’analisi dell’evento, ricostruendo l’albero delle cause, che deve rappresentare un modello formativo e conoscitivo che, in molti casi, viene costruito direttamente dai lavoratori. La costruzione di questo modello è conosciuto ed illustrato da pochi formatori ed ancor meno sono coloro che lo sanno applicare sul serio nel contesto aziendale con la partecipazione dei lavoratori. La discussione e l’analisi sull’albero delle cause rappresenta un ideale modello di esperienzalità che costituisce uno dei fondamenti sia della formazione continua sia della gestione della sicurezza.
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Le successive risposte che chiedono se vi sia stata qualche forma di protesta è da mettere in correlazione alla presenza sindacale in azienda ed alla gravità od al ripetersi degli infortuni mentre si nota un certo interesse (26,7%) di interventi esterni, presumibilmente, dei sindacati dei lavoratori a livello territoriale che sono intervenuti nella discussione e nell’approfondimento della tematica della sicurezza in azienda. Questa area di domande merita senza dubbio un maggiore approfondimento con indagini e ricerche mirate che, allo stato attuale denotano grande interesse ed importante e che possono costituire esempi e modelli di intervento per lo sviluppo della formazione in azienda.
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Capitolo 6
I RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI E L’ORGANIZZAZIONE DELLA SICUREZZA
1. La squadra della sicurezza in azienda A queste domande hanno risposto i Rappresentanti dei Lavoratori. L’insieme delle domande e delle risposte sono da considerarsi nel quadro del sistema di organizzazione della sicurezza in azienda. Il R.S.P.P. Conosce il nome del R.S.P.P. Ha il numero di telefono del R.S.P.P.
Si 91.8% 81,1%
No 8,2% 18,9%
I Rappresentati dei Lavoratori conoscono, quasi per il 92%, chi è il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ma poco meno del 20% di loro non ne conoscono il numero di telefono. Risulta evidente il rapporto instaurato tra R.L.S. e R.S.P.P. dovuto essenzialmente al fatto che il Responsabile nel corso delle visite e dei sopralluoghi dialoghi con il Rappresentante dei lavoratori. La non conoscenza del numero telefonico dimostra che i rapporti avvengono quasi esclusivamente in azienda e, per questa percentuale di risposte, non vi siano rapporti al di fuori delle normali presenze del R.S.P.P. in azienda e che, di norma, non viene quasi mai consultato quale consulente o per l’insorgere di problematiche specifiche. Il Medico Competente Conosce il nome del Medico Competente Ha il numero di telefono del Medico
Si 66,8% 48,6%
No 33,2% 51,4%
I R.L.S. conoscono (66,8%) il nominativo del medico competente ed il 48,6% ne possiedono anche il numero di telefono. Complessivamente si tratta di quasi la metà degli intervistati che dimostrano di conoscere ed avere rapporti e, se necessario, intervenire e chiedere informazioni al medico competente. E’ certamente preoccupante il fatto che il 33% degli R.L.S. non conoscano il nominativo del medico e, naturalmente una area maggiore (51,4%) non ne possieda il numero di telefono. 49
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Ciò non significa, come già posto in evidenza, che non esiste la figura del medico competente come ruolo aziendale ma, piuttosto, che la figura del medico competente viene percepito, e spesso lo è, con quello a cui assegnare delle semplici “visite” programmate che, spesso, vengono eseguite ed organizzate da agenzie che si limitano a fornire un servizio di visite mediche periodiche senza un vero rapporto funzionale e collaborativo tra l’azienda e il Medico e quest’ultimo ed i lavoratori. Questi dati rilevano la scarsa attenzione che, da parte sua, anche il Medico competente attribuisce al proprio ruolo in azienda e come un terzo di loro non ha nessun rapporto con il Rappresentante dei Lavoratori. La richiesta di conoscere il numero di telefono del medico era dettata dalla necessità di conoscere se, oltre ai momenti di presenza in azienda, il medico possa essere consultato ed interpellato direttamente. Le emergenze Conosce gli Incaricati Antincendio Conosce gli Incaricati al Primo Soccorso
Si 77,5% 78,6%
No 22,5% 21,4%
Gli incaricati alle emergenze ed alla prevenzione incendi costituiscono la squadra dell’emergenza e sono uno degli strumenti indispensabili per la prevenzione tecnica all’interno dell’azienda. I dati emersi dalla ricerca testimoniano come oltre il 20% dei R.L.S. non ne conoscono i nominativi e ciò può avere due motivazioni. La prima risiede nel fatto che gli Incaricati non sono stati designati tra i lavoratori e pertanto non ne sono noti i nominativi. La seconda negatività consiste nell’aver nominato un dipendente solo per l’assolvimento previsto dalla legge il cui ruolo è ignorato dal Rappresentante dei Lavoratori. I preposti Conosce i nominativi dei preposti
Si 61,1%
No 39,8%
La risposta alla domanda sui preposti non significa, a prima vista, che quasi il 40% dei Rappresentanti dei Lavoratori non conosca i nomi dei preposti. Ciò non sarebbe logico in quanto i R.L.S. aziendali conoscono bene i propri compagni e colleghi di lavoro. Tale risposta negativa, sulla quale riflettere, indica piuttosto una situazione di mancata organizzazione aziendale all’interno della quale non sono stati definiti i preposti. Nel 60% dei casi intervistati sono chiari il ruolo ed il nome del “capo”, quale preposto, in quanto l’azienda è strutturata a livello organizzativo.
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2. La valutazione dei rischi La valutazione dei rischi rappresenta il momento principale della prevenzione per la salute e la sicurezza. La valutazione trova la sua espressione nella redazione del Documento della Valutazione dei Rischi e nelle azioni conseguenti. Abbiamo posto alcune domande che non riguardano la valutazione, oggetto di altre e successive ricerche ma, il contesto nel quale si opera con il DVR. Innanzitutto si chiede se è stato coinvolto nella valutazione dei rischi:
Coinvolgimento nella valutazione dei rischi Quale R.L.S. è stato coinvolto nella valutazione dei rischi ed all’elaborazione del Documento di Valutazione?
Si
No
51,8%
48,2%
Oltre la metà dei R.L.S. dichiarano di essere stati coinvolti nella valutazione dei rischi. Ciò evidenzia da un lato una maggiore consapevolezza del ruolo da svolgere, però la risposta ha anche evidenziato come il coinvolgimento sia strettamente correlato alla firma del documento e non alla sua precisa ed analitica valutazione di tutti i rischi aziendali. Il 48 % dei R.L.S. dichiara infatti di non essere coinvolto. Dato che la norma prevede la firma del Rappresentante dei lavoratori sul documento se ne deduce che non vi sia pieno coinvolgimento nell’analisi ma solo nella lettura finale dell’analisi e nella trasposizione della valutazione nel Documento. 2.1. La conoscenza del Documento della Valutazione dei Rischi Assumendo quale dato certo che l’azienda abbia effettuato la valutazione dei rischi e ne abbia redatto il documento si sono poste ai Rappresentanti dei Lavoratori una serie di domande sulla loro conoscenza del documento e dei suoi contenuti. In relazione al DVR Documento della Valutazione dei Rischi della sua Azienda
Il DVR gli è stato solo mostrato Gli è stata data copia del DVR Lo ha letto Lo ha solo sfogliato superficialmente Lo ha letto e poi firmato Lo ha firmato solo “per conoscenza”
Si
No
39,6% 35,0% 51,4% 26,4% 46,1% 17,9%
60,4% 65,0% 48,6% 73,6% 53,9% 82,1%
51
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La prima domanda è emblematica della considerazione che se ne ha del DVR in quanto circa il 40% dei R.L.S. lo ha solo visto e appare evidente che non ne conosce i contenuti. Risponde quindi alle domande successive il 60% dei R.L.S. i quali hanno avuto una copia del DVR solo nella misura del 35% mentre il restante 65% lo ha soltanto consultato assieme ad altri soggetti. Questo passaggio, relativo alla consegna di una copia del DVR rappresenta l’evoluzione della legge e testimonia come siamo ancora lontani dal suo adempimento concreto. Si ricorderà come il primo D. Lgs. 626/94 non prevedeva che il R.L.S. ricevesse copia del Documento ma lo potesse solo consultare. Successivamente il D.Lgs. 81/08 ha ampliato tale facoltà attribuendo al Rappresentante la possibilità di richiedere al datore di lavoro copia del DVR. Il dato statistico ci presenta una situazione in base alla quale il 60% dei R.L.S. non hanno fatto richiesta di averne copia presentando quindi una situazione di scarsa analisi e conoscenza del sistema della sicurezza che si fonda, appunto, sulla valutazione dei rischi. Proseguendo le risposte si ha infatti un dato che vede solo la metà dei R.L.S. che dichiara di aver letto il Documento mentre un 26% lo ha solamente sfogliato superficialmente. Una domanda specifica è stata posta ai R.L.S. che devono firmare il DVR. Circa la metà (46 %) ha svolto correttamente il proprio ruolo avendolo prima letto e poi firmato mentre quasi il 54% dichiara semplicemente di averlo firmato senza leggerlo. Alla domanda specifica se lo ha firmato solo “per conoscenza” l’82% dei R.L.S. dichiara di essere convinto di quello che ha firmato mentre il restante 18% risponde onestamente di averlo firmato perché gli è stato mostrato e non ne conosce i contenuti. La formula “per conoscenza” resta una ambiguità ancora presente in quanto non significa ne conoscenza ne assunzione di responsabilità indicandone una vaghezza che non consente di attuare un serio sistema di gestione della sicurezza. Del resto la legge non prevede questa formula ma obbliga il R.L.S. alla sottoscrizione piena e totale del Documento e quindi della valutazione dei rischi e delle misure di sicurezza da adottare 2.2. La struttura del D.V.R. Una delle principali modifiche, indicazioni, presente nel nuovo testo unico della sicurezza integrato con il D.Lgs. 106/09 è intervenuto sulla sostanza del Documento della Valutazione dei rischi dandone anche indicazioni di forma. La legge prevede che la scelta dei criteri di redazione del documento sia lasciata al 52
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datore di lavoro che vi deve provvedere con criteri di semplicità. Brevità e comprensibilità in modo che il DVR sia di fatto uno strumento operativo. La norma si è resa necessaria in quanto, dopo la pubblicazione del D. Lgs. 626/94, la redazione del Documento è stata opera più dei software che delle persone. Bastava introdurre una serie di dati e la “macchina” elabora il rischio e ne definisce il documento. Si sono così moltiplicati centinaia di fogli di carta, di norme e formule, di descrizioni ed indicazioni generl generiche, totalizzanti ed onnicomprensive di tutto e di più che di fatto ne hanno dato al DVR un ammasso di carta illeggibile e sicuramente non applicabile e tantomeno uno strumento operativo. Le risposte date dai R.L.S. dimostrano, a questo proposito, che si è intrapreso un corretto cammino ma siano di fronte ad un fenomeno che ancora è lungi dall’essere risolto ed adempiuto con efficacia. Il Documento della Valutazione dei Rischi della sua Azienda
E’ composto da 50-100 pagine E’ composto da 100-300 pagine Supera le 300 pagine Viene aggiornato spesso Viene consultato spesso Le hanno parlato del Sistema di Gestione della Sicurezza
Si
No
49,6% 42,1% 25,0% 52,1% 46,4%
50,4% 57,9% 75,0% 47,9% 53,6%
60,0%
40,0%
La metà dei RLS dichiara che il DVR è composto da 50-100 pagine ed il 42% afferma che va oltre le 100-300 pagine. Sono dati che dimostrano come ancora lontana sia la via della semplificazione e della concezione del DVR quale strumento operativo immediato e di semplice consultazione. Per questi motivi il DVR viene consultato poco o quasi mai, come dimostra il 53,6% dei RLS. Si tratta di una nota estremamente negativa, sulla quale riflettere, in quanto la non consultazione significa che non si presta attenzione e non si attua lo strumento elaborato che dovrebbe essere di guida a tutte le azioni della sicurezza in azienda. Del resto, allorquando la stessa metà dei R.L.S. dichiara che il DVR non viene aggiornato significa che si è affidato all’esterno la redazione del Documento ai fini dell’assolvimento formale della norma ma lo stesso non costituisce e non è percepito e, pertanto inutilizzato, quale strumento operativo. Giudizio positivo invece viene dato dal 60% dei R.L.S. che conoscono, o ne hanno sentito parlare, del Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro, come ad esempio le Linee Guida UNI-INAIL. 53
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Indubbiamente lo sviluppo dei Sistemi di Gestione può trovare terreno fertile già nel 60% dei R.L.S. che ne hanno sentito parlare e pertanto sono disposti ad applicarlo mentre per coloro (40%) che non ne conosce l’esistenza indica un terreno sul quale bisogna lavorare ed insistere con azioni ed interventi mirati. 3. La Riunione Periodica La Riunione Periodica è uno strumento normativo che deve essere utilizzato dai soggetti che costituiscono il sistema della sicurezza all’interno dell’Azienda. La sua applicazione e la sua corretta applicazione costituisce il momento di discussione, valutazione, revisione, programmazione ed attuazione del Documento della Valutazione dei Rischi.
Partecipazione, gestione ed attuazione della Riunione Periodica Ha partecipato a qualche Riunione Ha ricevuto la lettera di convocazione con l’ordine del giorno Ha fatto mettere a verbale quale dichiarazione o proposta Ha firmato i verbali della Riunione Il Medico era presente alla Riunione Il datore di lavoro o suo delegato era presente
Si
No
48,9%
51,1%
25,7%
74,3%
25,4%
74,6%
40,0 % 36,4%
60,0 % 63,6%
53,9%
46,1%
La prima domanda, essenziale, per comprendere nel suo contesto il significato della riunione periodica dimostra come la metà (51%) dei R.L.S. non abbia mai partecipato ad una riunione. Solo la metà ne conoscono il sistema. La non attuazione di questo importante strumento pone tutta la problematica su un piano debole in quanto la mancata attuazione di tali riunioni, di fatto, non consentono la gestione della sicurezza in quanto non attuano la discussione, la revisione della valutazione dei rischi e l’adozione delle misure di sicurezza. La legge, proprio quale strumento normativo la cui attuazione è affidata al datore di lavoro, prevede che la riunione discuta e deliberi su precisi argomenti e a tale proposito si chiede se la sua convocazione sia stata fatta sulla base di una lettera ufficiale di convocazione. Il 74% dichiara che non ha mai ricevuto tale convocazione ufficiale e ciò dimostra la superficialità con cui viene gestito lo strumento. Le riunioni si svolgono, convocandole a voce o per telefono, in modo affrettato più per adempimento formale che per atto sostanziale di attuazione della sicurezza in azienda. 54
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A conferma di tale impostazione vale l’affermazione del 74,6% dei R.L.S. che non ha mai fatto mettere a verbale nessuna dichiarazione o proposte. Questo dato conferma la superficialità dell’adempimento, rituale e non sostanziale, tanto è vero che non si redige la lettera di convocazione e, di pari passo, non vi è un verbale o traccia reale delle decisioni prese o delle misure di sicurezza da effettuare. La non verbalizzazione viene confermata dal 60% dei RLS che non firmano nessun verbale confermando così la superficialità con cui vengono svolte le riunioni periodiche. Questo stato di inefficienza e di trascuratezza si conferma dalla mancata partecipazione del Medico competente che non è presente (63,6%) e non partecipa alle riunioni periodiche. Questa assenza della partecipazione del Medico, che abbiamo anche visto nel sistema organizzativo della sicurezza aziendale, dimostra – ancora una volta – l’importanza del ruolo del Medico competente ed allo stesso tempo rappresenta una denuncia al mancato assolvimento di tale ruolo. Il datore di lavoro partecipa nella misura del 54% alle riunioni mentre l’altra metà non vi partecipa e, sicuramente, delega altri soggetti. 4. Il Rappresentante dei Lavoratori La ricerca ha voluto conoscere, per sommi capi, alcuni aspetti sia della formazione sia del sistema relazionale dei Rappresentanti dei Lavoratori con gli altri soggetti della sicurezza. 4.1. La formazione del R.L.S. La formazione è uno degli aspetti della politica della sicurezza sul lavoro che il R.L.S. conosce bene nei suoi differenti aspetti. Naturalmente quasi il 90% degli intervistati risponde chiaramente che ha svolto il corso di 32 ore, in quanto quello previsto dalla norma per poter svolgere il ruolo di R.L.S.
La formazione del R.L.S. Ha svolto il corso di formazione di 32 ore E’ al corrente che deve frequentare dei corsi di aggiornamento Dopo il D.Lgs. 626/94 ha svolto qualche corso di aggiornamento sul nuovo Testo Unico 81/2008 Ha svolto il corso di informazione uguale a quello di tutti i lavoratori in azienda Fruisce dei permessi e delle ore necessarie per l’aggiornamento e per lo svolgimento del proprio ruolo
Si 88,9%
No 11,1%
83,6%
16,4%
54,6%
45,4%
46%
54%
63,6%
36,4% 55
Rapporto Aifos 2009
Il fatto che una percentuale dell’11% dichiari di non aver svolto nessun corso è da mettere in relazione con le piccole realtà lavorative laddove il datore di lavoro o il R.S.P.P. si sono fatti parte attiva nel convincere i lavoratori a nominare un proprio rappresentante senza poi concludere l’iter con lo svolgimento del corso. Infatti la sola elezione o designazione di coloro che sono stati identificati quali R.L.S. se non frequentano il corso non possono esercitare il proprio ruolo. In questi casi neppure l’adempimento formale è stato rispettato in quanto alla nomina non è seguita la frequenza al corso obbligatorio. Coloro che invece svolgono sul serio il ruolo assegnato al R.L.S. e ne conoscono i compiti sanno che devono partecipare a corsi di aggiornamento e ben il 54,6% dichiara di aver partecipato a corsi dopo la pubblicazione del Testo Unico 81/2008. In relazione all’informazione obbligatoria per i lavoratori è stato chiesto se come loro rappresentante ha frequentato anche il medesimo corso. La risposta positiva del 54,6% dimostra l’interesse dei R.L.S. ha partecipare alla vita ed all’organizzazione della sicurezza in azienda. Il restante 45,5%, ovviamente non essendo obbligato a svolgere detti corsi in quanto aveva già svolto quello per R.L.S., dichiara di non avervi partecipato. Con questa domanda si evidenza non tanto l’obbligo ma, piuttosto la consapevolezza dello svolgimento del proprio ruolo che, in questo ambito, si ottiene anche con un semplice gesto di presenza e partecipazione ai corsi di carattere informativo cui sono chiamati tutti lavoratori. La presenza del R.L.S. e, auspichiamo, la sua partecipazione attiva, con interventi nel corso della lezione, sono auspicabili ed utili ai fini dello sviluppo della costruzione del sistema sicurezza in azienda. Il R.L.S. conscio del proprio ruolo e dei propri compiti deve poter disporre del tempo necessario utilizzando ore e permessi nell’ambito dell’orario lavorativo. Oltre il 60% del campione dichiara di disporre di queste possibilità. Però il 36% dei Rappresentanti, non dispone del tempo necessario. Si evidenzia come il R.L.S. cui non è permesso di disporre del tempo e sviluppare la formazione continua non è in grado di seguire lo sviluppo delle nuove norme e applicarle con capacità. 4.2. I rapporti tra i soggetti del sistema di sicurezza Appare evidente come lo sviluppo della sicurezza sia strettamente connessa al lavoro di squadra ed ai rapporti che devono esserci tra i diversi soggetti. E’ stato chiesto, semplicemente, di indicare quali sono i rapporti di collaborazione con i due soggetti principali del sistema della sicurezza in azienda: il Responsabile del Servizio ed il Medico Competente. 56
Rapporto Aifos 2009
Come collabora con il R.S.P.P. e con il Medico Competente Ha rapporti di collaborazione fissi e stabili con il R.S.P.P. Ha rapporti di collaborazione fissi con il Medico competente
Si
No
73,2%
26,8%
36,1%
63,9%
Con il R.S.P.P. i rapporti di collaborazione risultano fissi e stabili per il 73% degli intervistati mentre la percentuale cala al 36% nei riguardi del Medico competente. Viene così confermata la tendenza che vede in azienda una collaborazione attiva tra R.L.S. e R.S.P.P. mentre, parimenti, risulta difficile e scarsa la collaborazione con il Medico Competente. Cosa del resto che abbiamo già visto precedentemente. Certamente l’adozione di un Sistema di Gestione della Salute e della Sicurezza, del resto individuato dall’art. 30 del D. Lgs. 81/08, confermato ed integrato dal D. Lgs. 106/2009, rappresenta il modello operativo sia della collaborazione tra i diversi soggetti sia la classica risposta “chi fa che cosa” da applicare concretamente, in maniera semplice e di immediata visibilità. 4.3. R.L.S. e sindacato Come noto la legge prevede due possibilità per il R.L.S. che può essere eletto direttamente dai lavoratori o designato dalle Rappresentanze Sindacali. Come è stato eletto il R.L.S. E’ stato eletto dai lavoratori E’ stato designato dalle Rappresentanze Sindacali Aziendali Ha rapporti con il sindacato dei lavoratori a livello territoriale o provinciale
Si 71,1%
No 28,9%
15,4%
84,6%
13,2%
86,8%
La preferenza dimostrata dai dati si esprime con il 71% a favore dell’elezione diretta dei lavoratori. Fa riscontro il dato che solo il 15% viene designato dalle Rappresentanze sindacali interne. Ciò influisce sicuramente anche sui rapporti con le organizzazioni sindacali dei lavoratori. Infatti solo il 13,2% dichiara di avere tali rapporti mentre circa l’87% dei R.L.S. intervistati dichiara di non aver nessun rapporto con una sigla sindacale. Si tratta, certamente, di un segnale già noto alle Organizzazioni sindacali che soffrono di uno scarso livello di penetrazione nel tessuto aziendale della 57
Rapporto Aifos 2009
piccola e micro impresa e che, per contro, contano una forte presenza nella media e grande azienda. Dalla ricerca emerge che, pur in assenza di rappresentanza sindacale organizzata da parte delle Organizzazioni dei lavoratori piÚ rappresentative i Rappresentanti dei Lavoratori seguono con attenzione gli orientamenti e le indicazioni del Sindacato. L’azione sindacale a livello nazionale e territoriale rappresenta quindi un punto di riferimento e di attenzione da parte dei RLS anche, qualora, non ne siano direttamente collegati alla struttura o all’organizzazione sindacale.
58
Rapporto Aifos 2009
Capitolo 7
LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI
1. Le relazioni tra il Rappresentante ed i lavoratori Risulta di estremo interesse conoscere il sistema di relazioni tra il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza ed i lavoratori stessi, sia nei casi in cui sia stato eletto sia laddove sia stato designato. Domanda I lavoratori si rivolgono prevalentemente al R.L.S. quando riscontrano problemi inerenti alla loro sicurezza
Si
No
63,6%
36,4%
Il dato positivo, costituito da oltre il 63% delle risposte, in base alla quale i lavoratori si rivolgono al proprio R.L.S. dimostra l’importanza del ruolo che assume questa figura nell’ambito della sicurezza aziendale. Resta però alta (36%) la percentuale dei lavoratori che non fanno ricorso e non parlino con il R.L.S. dei temi attinenti proprio alla loro sicurezza. Si è chiesto ai R.L.S. quali sono le proprie capacità di relazionarsi a livello generale con gli altri soggetti, ovvero con il Responsabile del Servizio, il Medico competente, il Datore di lavoro ed i preposti in ordine al verificarsi di specifici problemi o per affrontare temi e problematiche. Il quadro generale che ne emerge evidenzia l’importanza non solo di una maggiore richiesta di formazione da parte dei R.L.S. ma anche, e soprattutto, la necessità di una formazione sinergica con i differenti soggetti. Attualmente ciascun soggetto persegue propri corsi ed azioni formative e raramente allo stesso corso partecipano più soggetti. La differenziazione dei ruoli e delle responsabilità favoriscono una formazione specifica al ruolo ma non assolvono il problema generale della formazione di linea coerente e definita che deve iniziare dalla valutazione dei rischi e la loro gestione.
59
Rapporto Aifos 2009
1.1. Capacità di intervento Capacità di intervento e risoluzione dei problemi poco
abbastanza
molto
moltissimo
10,0%
47,9%
30,4%
11,8%
Il 40% dei R.L.S. dichiara che è in grado di relazionarsi con i diversi soggetti sia nei casi di intervento sia per la risoluzione dei problemi. Un 10% dichiara di non possedere tali capacità ed il 48% si dichiara abbastanza capace di tali azioni. Complessivamente poco meno del 60% dei R.L.S. dichiara di avere scarsa capacità di intervento. Si apre una questione che riguarda l’aggiornamento continuo dei R.L.S. e molto probabilmente la necessità di azioni sinergiche con gli altri soggetti. 1.2. Situazioni complesse Capacità di gestire situazioni complesse poco
abbastanza
molto
moltissimo
18,2%
38,6%
30,7%
12,5%
Qualora si presentano situazioni di complessa gestione i R.L.S. con poca capacità di gestione sono il 18% (+8% rispetto ai casi ordinari). Complessivamente poco meno del 60% dichiara la scarsa capacità di intervento. Solo il 43 % si dichiara idoneo ad intervenire nelle situazioni complesse. Si tratta, in questi casi, di R.L.S. che svolgono compiti di manutenzione o addestrati a specifiche mansioni che traggono le capacità, essenzialmente, dalla propria esperienza lavorativa e non da azioni formative. 1.3. Decisioni Capacità di decisioni poco
abbastanza
molto
moltissimo
15,7%
40,7%
32,9%
10,7%
I R.L.S. dichiarano (56%) di non avere le capacità di prendere decisioni. Solo il 10% se ne dichiara molto capace ed un 33% molto capace. Si tratta da un lato dell’ammissione del R.L.S. di aver poca voce in capitolo sui temi della sicurezza a causa della loro marginalizzazione nel sistema produttivo decisionale aziendale. I R.L.S. che, invece, si dichiarano capaci di decisioni sono quelli più sindacalizzati o che svolgono in azienda funzioni di responsabilità con capacità adeguate e riconosciute. 60
Rapporto Aifos 2009
1.4. Negoziazione Capacità negoziali poco
abbastanza
molto
moltissimo
8,2%
41,8%
35,4%
14,6%
Quasi la metà dei R.L.S. dichiarano che le proprie capacità negoziali sono scarse. Abbiamo di riflesso un 14,6% che si dichiara capace ed un 35,4% che fanno affidamento sulle proprie capacità negoziali. Si evidenzia come i R.L.S. che rispondono affermativamente sono da ricercarsi tra coloro che hanno partecipato a trattative sindacali e ne conoscono tecniche e sistemi di negoziazione tra le parti. L’altra metà di R.L.S. necessitano, invero, di una specifica azione formativa alla negoziazione che, sebbene facente parte delle materie di formazione nell’ambito del corso obbligatorio di 32 ore, ne sentono una necessità in quanto le poche ore dedicate all’interno del corso non sono sicuramente sufficienti per una formazione completa trattandosi, il più delle volte, di una semplice attività di informazione. 1.5. Comunicazione Capacità di comunicazione poco
abbastanza
molto
moltissimo
16,43%
41,43%
30,36%
11,79%
Il quadro relativo alle capacità di relazione dei R.L.S. si conclude con una domanda classica relativa alle proprie capacità di comunicazione. Quasi il 58% dichiara una scarsa capacità di comunicazione. Tra il 12% che dichiarano di avere ottime capacità ed il 31% che hanno molta capacità devono essere inclusi sia coloro che conoscono le regole della comunicazione a seguito della frequenza ad appositi corsi sia coloro che si ritengono, individualmente dotati, di capacità comunicative. In questo caso confondono le proprie capacità, indubbie, personali con la conoscenza della comunicazione nei suoi differenti aspetti teorici e pratici. Se ne evidenzia, complessivamente, la necessità e l’importanza che i R.L.S. attribuiscono alla comunicazione che rappresenta la base per stabilire un buon sistema di relazioni all’interno dell’azienda.
61
Rapporto Aifos 2009
2. Collaborazione e consultazione Si è chiesto ai lavoratori ed ai loro Rappresentanti quale sia il livello di collaborazione e consultazione all’interno dell’azienda in ordine ai temi della salute e sicurezza sul lavoro. Domanda Le è mai stato chiesto un parere in merito alla sicurezza sul lavoro Ha mai pensato di applicare modifiche sul lavoro per garantire la sicurezza Ha l’occasione per discutere e parlarne con qualcuno E’ stato informato di provvedimenti presi dall’azienda sulla sicurezza
Si
No
49,7%
50,3%
59,3%
40,7%
76,2%
23,8%
77,1%
22,9%
Le risposte alle domande dimostrano l’interesse e la volontà dei lavoratori di essere soggetti attivi nel processo di sicurezza all’interno dell’azienda. Quando i lavoratori rispondono (per il 60%) che hanno più volte pensato di applicare modifiche e proposte sull’organizzazione del lavoro ai fini della sicurezza significa che la loro attività viene strettamente connessa al sistema generale della sicurezza della salute. A questa disponibilità e capacità del lavoratore fa riscontro il 50% dei casi in cui lo stesso datore di lavoro, o altri soggetti, hanno chiesto al lavoratore stesso pareri ed indicazioni. La percentuale della collaborazione aumenta e raggiunge valori del 76% quando si chiede se ne hanno parlato con qualcuno. Vuol dire che i temi della sicurezza in azienda sono argomenti di dibattito e di confronto con una propensione del lavoratore a parlare, intervenire e dialogare. Allo stesso tempo viene informato nel 77% dei casi sulle adozioni da parte dell’azienda sui provvedimenti presi in relazione alla sicurezza. Se ne desume un lavoratore che, soprattutto nelle piccole e medie realtà, è interessato alla collaborazione ed al dialogo sui temi che lo riguardano direttamente e che nella maggior parte dei casi viene coinvolto.
62
Rapporto Aifos 2009
3. Il Coinvolgimento dei lavoratori Sono riportate le risposte ad una serie di medesime domande fatte sia ai lavoratori sia ai loro Rappresentanti. Il giudizio pressocchè similare presenta però delle sfumature, ed in alcuni casi, delle discordanze dovute certamente al grado di consapevolezza del ruolo rivestito e nella novità della domanda che tende a far intervenire direttamente i lavoratori nel processo della sicurezza basato sulla loro esperienza lavorativa. 3.1. Lavoro e sicurezza Si è chiesto, ai lavoratori ed ai loro Rappresentanti quale sia il grado di convinzione che la sicurezza sul lavoro deve rientrare nel normale processo lavorativo e non deve essere una cosa estranea Soggetti R.L.S. Lavoratori
poco
abbastanza
molto
moltissimo
5,7% 2,6%
20,0% 18,9%
40,4% 43,6%
33,9% 35,0%
Le risposte dei due differenti soggetti presentano differenti risposte. La convinzione dei R.L.S. è poca per il 5,7% mentre i lavoratori sulla medesima questione sono il 2,6%. Si tratta di una domanda basilare e, complessivamente, circa il 74% dei R.L.S. ed il 78% dei lavoratori la ritengono, giustamente, cosa importante e determinante. I giudizi che la questione sia abbastanza o molto importante è identica confermando il dato di base che la questione non solo merita un approfondimento ma che deve trovare strumenti idonei per la sua attuazione pratica. 3.2. Adempimenti sostanziali Si chiede ai lavoratori ed ai loro Rappresentanti se il Datore di lavoro deve attuare la sicurezza sul serio e non solamente per adempiere alla norma al solo scopo di evitare le sanzioni. Soggetti R.L.S. Lavoratori
poco
abbastanza
molto
moltissimo
2,9% 2,4%
13,9% 12,1%
41,4% 39,3%
41,8% 46,3%
Le risposte concordano e quasi l’80% degli intervistati ritiene che sia importante la sicurezza effettiva e non solo per essere a posto con le carte al fine di evitare le sanzioni.
63
Rapporto Aifos 2009
3.3. Esperienze lavorative Si chiede ai lavoratori ed ai loro Rappresentanti quale sia il loro giudizio ai fini dell’utilizzo delle esperienze dei lavoratori per fare della sicurezza un elemento naturale e non imposto dall’osservanza normativa. Soggetti R.L.S. Lavoratori
poco
abbastanza
molto
moltissimo
5,0% 3,2%
17,9% 14,0%
41,1% 44,2%
36,1% 38,3%
Circa il 17% dei lavoratori sono poco convinti mentre i R.L.S. per il 23% ritengono scarso il valore dell’esperienza lavorativa ai fini della sicurezza. A fronte di ciò, però il 77% dei Rappresentanti l’82% dei lavoratori la ritengano una questione prioritaria e molto importante. Complessivamente il valore delle esperienze raccoglie una ampia adesione a su questo terreno dovranno sicuramente essere impostati nuovi modelli di formazione che vadano in direzione del superamento della classica lezione teorica in aula. 3.4. Formazione sostanziale Si chiede, quindi, sia ai lavoratori che ai loro Rappresentanti se la formazione svolta nella propria azienda sia stata reale oppure si sia limitata all’assolvimento formale ai soli fini di evitare le sanzioni. Soggetti R.L.S. Lavoratori
poco
abbastanza
molto
moltissimo
7,5% 9,4%
31,4% 28,6%
43,6% 40,8%
17,5% 21,2%
Considerando che i lavoratori ed i R.L.S. intervistati sono soggetti che partecipano a corsi di formazione emerge un elemento di chiarezza nel considerare complessivamente scarso il reale valore della formazione ricevuta. Circa il 38% dei lavoratori e dei loro Rappresentanti danno il medesimo giudizio affermando che la formazione ricevuta sia stata solo effettuata per l’assolvimento formale della legge. Si tratta di una percentuale alta di condivisione. Certamente molta della formazione svolta è stata effettuata seriamente e non manca la conferma nell’affermazione positiva che ne danno la restante percentuale del campione.
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Rapporto Aifos 2009
3.5. Formazione e comportamenti Si chiede ai lavoratori ed ai loro Rappresentanti se credono che la formazione in azienda incida realmente sui comportamenti e sui cambiamenti dei lavoratori. Soggetti R.L.S. Lavoratori
poco
abbastanza
molto
moltissimo
11,1% 8,32%
27,9% 31,90%
43,6% 40,50%
17,5% 19,28%
Le risposte positive sono circa il 60% e coinvolgono sia i lavoratori sia i loro Rappresentanti che pensano realmente che la formazione sia utile per il cambiamento. Realisticamente, forse a fronte delle esperienze formative svolte, il 39% degli intervistati non credono molto a questa affermazione che la considerano una specie di desiderio ma non una reale possibilitĂ . 3.6. Consigli per migliorare Sempre sul tema delle esperienze viene chiesto ai soggetti se in base alla propria esperienza siano in grado di dare utili consigli per migliorare la sicurezza sul lavoro. Soggetti R.L.S. Lavoratori
poco
abbastanza
molto
moltissimo
6,4% 6,9%
33,6% 26,5%
37,5% 46,7%
22,5% 19,8%
I Rappresentanti dei lavoratori, nella misura del 58% rispondono affermativamente mentre i lavoratori ne condividono questa risposta al 66 %. Si afferma una maggiore consapevolezza da parte dei lavoratori mentre i R.L.S. credono che l’esperienza del lavoro non sia abbastanza sufficiente al fine di dare utili consigli. Infatti il 40% dei R.L.S. giudica scarso l’apporto di tali esperienze e gli stessi lavoratori, per il 33% si ritengono non sufficientemente preparati a dare contributi diretti basati sulla propria esperienza. 3.7. Premio economico Si è chiesto ai soggetti se i lavoratori che danno consigli utili ai fini di migliorare la sicurezza sul lavoro debbano, o meno, ricevere un premio di carattere economico.
65
Rapporto Aifos 2009
Soggetti R.L.S. Lavoratori
poco
abbastanza
molto
moltissimo
39,6% 40,6%
24,3% 26,2%
23,6% 20,8%
12,5% 12,3%
I lavoratori con una percentuale del 67% ed i R.L.S., con il 64%, non la ritengono una questione fondamentale e solo il 33% dei lavoratori ed il 36% dei R.L.S. credono sia importante dare un riconoscimento economico. 4. Una riflessione sul coinvolgimento dei lavoratori Il complesso delle domande sul coinvolgimento dei lavoratori che in base alla propria esperienza lavorativa possano concretamente dare un contributo attivo alla sicurezza sul lavoro merita molta attenzione e deve, sicuramente, essere oggetto di ulteriori approfondimenti. Complessivamente se ne trae un giudizio mediocre. Gli stessi lavoratori non credono nelle possibilità di utilizzare le proprie esperienze ai fini della sicurezza e tale stato di rinuncia è visibile nelle risposte che ne danno a fonte del non interesse ad incentivi di carattere economico. Tali dati, però, non devono far prevalere un giudizio di rassegnazione da parte dei lavoratori ma, piuttosto, la considerazione reale che tali argomenti siano più accademici che reali. La realtà del mondo del lavoro e le modalità con cui, in questi anni, sono stati affrontati i temi della sicurezza ed il livello di formazione più teorico che reale inducono i lavoratori alla constatazione reale del loro stato.
5. Sicurezza in Italia ed in Europa Nel medesimo periodo in cui si svolgeva la ricerca dell’Aifos, nel maggio – giugno 2009, l’Agenzia Europea della Salute e la Sicurezza di Bilbao conduceva un sondaggio d’opinione a livello europeo sul tema della percezione della sicurezza dei lavoratori. Il sondaggio europeo, è stato condotto con il metodo delle interviste telefoniche. In Italia il campione è stato di poco meno di 1000 interviste, analogo al campione dell’Aifos, con domande semplici ed immediate. Si tratta di un metodo differente e le due ricerche non possono essere minimamente raffrontate tra loro. Si ritiene ,però utile ed interessante, conoscere i risultati di tale sondaggio che rappresentano un dato utile alla comprensione del fenomeno della sicurezza.
66
Rapporto Aifos 2009
Agli intervistati telefonicamente sono state poste quattro domande. 1. In generale in che misura ritiene che la cattiva salute sia causata dal lavoro che le persone svolgono:
Media italiana
Media europea
28
47
15
6
Il sondaggio svolto presso i lavoratori italiani presenta un quadro complessivo delle risposte in linea di massima in linea con quelle degli altri lavoratori europei. Si denota però come solo l’11% considerano poco influente il lavoro collegato alla propria sicurezza, contro una media europea del 21%. Infatti l’87% degli italiani considera invece che la mancata salute e sicurezza sia proprio dovuta alle condizioni di lavoro mentre in Europa tale percentuale di lavoratori è del 75%. Possiamo affermare che in Italia vi sia un 12% di lavoratori, in più della media europea, che considera tali fattori molto più importanti.
67
Rapporto Aifos 2009
2. Ritiene che negli ultimi 5 anni sicurezza e salute sul lavoro in Italia siano:
Media italiana
Media europea
9
48
26
6
La seconda domanda, a confronto con la prima, conferma che i lavoratori ritengono che le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro siano peggiorate per il 45% mentre in Europa sono il 32%. La differenza del 13% conferma che solo il 42% ha visto un miglioramento nella sicurezza sul lavoro a fronte del 57% in Europa. I dati della ricerca Aifos confermano questo dato in quanto vi è la percezione che, pur avendo svolgo azioni formative su ampia scala tutto ciò non è ritenuto sufficiente nel considerare migliorata la situazione complessiva della sicurezza e della salute sul lavoro. Significa che in Europa gli interventi sono maggiori e percepiti dai lavoratori in termini di progressivo incremento delle politiche della salute e della sicurezza sul lavoro.
68
Rapporto Aifos 2009
3. Si aspetta che le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro in Italia possano peggiorare a causa della crisi economica
Media italiana
Media europea
21
40
23
11
La percezione della sicurezza in relazione alla crisi economica in atto è percepita in termini diversi dai lavoratori italiani. Il 28% dei lavoratori ritiene che la crisi economica non sia causa determinante delle condizioni di sicurezza sul lavoro, a fronte del 34% dei lavoratori europei. Allo stesso tempo il 69% degli italiani pensa che la situazione possa peggiorare cosÏ come lo pensa il 61% dei lavoratori europei. Indubbiamente, queste pur modeste differenziazioni, rappresentano un quadro differente di percezione della crisi che vede un 6% di lavoratori italiani che non collega la crisi ad un eventuale aumento dei rischio per la sicurezza sul lavoro. E’, invece, quasi identica la percentuale italiana ed europea di preoccupazione dovuta alla crisi economica che tende a peggiorare la situazione.
69
Rapporto Aifos 2009
4. Il relazione al livello di informazione, per quanto riguarda i rischi collegati alla salute ed alla sicurezza sul lavoro, Lei si considera:
Media italiana
Media europea
20
46
22
6
Sul fronte dell’informazione si assiste ad un fenomeno abbastanza significativo. Mentre in Europa il 20% dei lavoratori dichiara di essere ben informato sui temi della salute e sicurezza sul lavoro da noi lo sono solo il 14% dei lavoratori. Però è significativo che gli italiani si dichiarino per il 55% abbastanza bene informati a fronte dei loro colleghi europei (46%) rappresentando così un 10% di lavoratori italiani meglio informati.. La scarsa informazione è un tema comune a tutti i lavoratori. Sia i lavoratori italiani (29%) sia quelli europei (28%) si dichiarano, infatti, poco informati. Sono dati che collegati alla ricerca Aifos evidenziano la necessità e l’importanza della formazione e presentano una area ancora vasta e numerosa di quasi il 30% di lavoratori che dichiara la poca informazione ricevuta sulla salute e sicurezza sul lavoro.
70
Rapporto Aifos 2009
Capitolo 8 I LAVORATORI ED IL FENOMENO INFORTUNISTICO 3 Marco Fabio Sartori 4
1. L’andamento infortunistico in Italia Gli infortuni sul lavoro rappresentano prima di tutto un dramma umano e familiare, ma anche una grave perdita per la collettività, sia dal punto di vista sociale e civile che economico. L’ILO (l’Organizzazione Internazionale del Lavoro) stima che annualmente nel mondo si verificano circa 268 milioni di incidenti sul lavoro e oltre 351.000 decessi. Il costo per la società è quantificato, da parte dello stesso ILO, in circa il 4% del PIL mondiale assorbito dai costi sia diretti che indiretti. Per quanto attiene al Infortuni in complesso nostro Paese, ma questo vale in varia misura an1.200.000 che per altri Paesi ad e1.000.000 conomia avanzata, il fe800.000 nomeno si presenta con un trend tendenzialmente 600.000 e costantemente decre400.000 scente. 200.000 Nel 2001 gli infortuni 0 sul lavoro in Italia supe2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 ravano ancora il milione In occasione di lavoro In itinere di casi denunciati. Sette anni dopo il bilancio infortunistico si è chiuso con circa 875.000 denunce di infortuni avvenuti nel corso del 2008, 150.000 casi in meno. Una contrazione complessiva del 14,5% ancora più significativa se si pensa che nello stesso periodo l’ISTAT ha registrato un aumento occupazionale (e quindi degli esposti al rischio infortunistico) pari all’8,3%. Un ulteriore segnale incoraggiante viene dall’analisi del fenomeno per modalità di evento. La diminuzione degli infortuni è ancora più accentuata per quelli avvenuti nell’effettivo esercizio dell’attività lavorativa (-19,4%) scesi da 965.000 del 2001 a 778.000 nel 2008. Invece, gli infortuni “in itinere” (gli infortuni occorsi nel percorso casa-lavoro-casa, per lo più a causa di circolazione 3
Fonte: Rapporto Annuale INAIL 2008. Dati rilevati dagli archivi della Banca Dati Statistica aggiornata al 30 aprile 2009. 4
Presicente – Commissario Straordinario dell’Inail
71
Rapporto Aifos 2009
stradale) che, come noto, non sono strettamente correlati al rischio della specifica attività, sono aumentati sensibilmente nel periodo, passando dai circa 58 mila del 2001 ai 97 mila del 2008: l’incremento dei primi anni è attribuibile soprattutto all’entrata in vigore dell’art. 12 del Decreto Legislativo 38/2000 che aveva regolamentato, ampliandola, l’indennizzabilità e successivamente alla costante evoluzione legislativa ed a una più ampia interpretazione data da numerose sentenze della Suprema Corta di Cassazione. D’altronde il riconoscimento degli infortuni in itinere (vale la pena ricordare che non in tutti i Paesi europei sono assicurati) rappresenta un elemento indispensabile nell’ideale “tutela integrale del lavoratore”, coprendolo da quando esce di casa a quando vi rientra. Le morti sul lavoro, un triste capitolo la cui drammaticità continua a scuotere l’opinione pubblica e le istituzioni con i suoi bollettini quotidiani (mediamente 3 decessi al giorno), sono anch’esse in costante diminuzione. Le rilevazioni indicano che dalle 1.546 denunce nel 2001 si è riusciti ad arginare ulteriormente il fenomeno (erano addirittura 4.664 nel 1963, anno del boom economico italiano), abbattendo il muro dei 1.200 casi registrato nel 2007 , con un valore 2008 che si attesta sulle 1.120 unità. Valori sempre inaccettabili, il cui trend, decrescente nel tempo (a parte una lieve ripresa nel 2006), incoraggia nel perseguire la politica di Casi mortali prevenzione e formazione/informazione da tempo 1.800 1.600 avviata dalla normativa in 1.400 materia di tutela assicura1.200 tiva e dall’Istituto. I Decre1.000 ti Legislativi n. 81 del 800 2008 e n. 106 del 2009 ri600 badiscono l’importanza 400 della promozione della cul200 tura della sicurezza a parti0 re dal mondo della scuola 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 ed assegnano all’INAIL – In occasione di lavoro In itinere “organismo di formazione pubblico” - un ruolo istituzionale essenziale nel sistema sullo specifico versante, impegnandolo in un quadro di miglioramento continuo dell’azione prevenzionale e nella ricerca di forme, modalità e strumenti di formazione ed orientamento professionale. Il calo degli infortuni mortali del 27,6% negli otto anni esaminati è la sintesi degli andamenti delle morti “in occasione di lavoro” e di quelle “in itinere”.
Qui il distinguo è ancora più rilevante: mentre negli infortuni in generale quelli “in itinere” rappresentano mediamente il 10% dei casi, nei casi mortali 72
Rapporto Aifos 2009
hanno rappresentato nell’ultimo biennio ben il 25%, 1 caso mortale su 4 è avvenuto nel tragitto da casa al lavoro o viceversa. Così, mentre i decessi in ambiente lavorativo sono calati dal 2001 al 2008 da 1.250 a 844 (-32,5%), la flessione di quelli “in itinere” è stata più contenuta, 20 morti in meno nel 2008 (276 denunce) rispetto al 2001 (296 denunce) rappresentanti un -6,8%. 2. Le caratteristiche demografiche degli infortunati Popolazione italiana per sesso al 31/12/2008
Infortuni per sesso (2008)
Femmine 29%
Maschi 49% Femmine 51% Maschi 71%
Dei 60 milioni residenti in Italia al 31 dicembre 2008, circa 31 milioni erano Casi mortali per sesso (2008) donne, oltre la metà quindi. Tra gli ocFemmine cupati le lavoratrici rappresentano il 8% 40% del totale. Negli infortuni sul lavoro, la quota femminile scende al 29% (250mila casi nel 2008) ed è limitata all’8% per i casi mortali (85 le donne decedute). Queste sintetiche cifre riveMaschi 92% lano come le donne siano soggette a un minor rischio lavorativo rispetto ai colleghi maschi in quanto risultano prevalentemente occupate nelle attività economiche meno pericolose del terziario e dei servizi oppure, qualora impiegate in settori più “caldi” come Metallurgia e Costruzioni, ricoprano mansioni quasi esclusivamente di natura amministrativa o manageriale.
73
Rapporto Aifos 2009
La ripartizione degli infortuni per classe d’età, vede svantaggiati (seppur coerentemente alla quota rappresentata tra gli occupati) i lavoratori under-50: l’80% tra gli infortunati nel 2008 (circa 690mila casi); il restante 19% è a carico della classe più matura 50-64 anni con un residuo 1% per gli ultra 64-enni. Per i decessi sul lavoro si rileva tuttavia un aumento dell’incidenza sul fenomeno per le età più avanzate, triplicata addirittura nel caso degli over-64 (3% dei casi letali). Infortuni per età (2008)
50-64 19%
65 e oltre 1% fino a 34 anni 37%
35-49 43%
Casi mortali per età (2008)
65 e oltre 3% 50-64 26%
35-49 42%
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fino a 34 anni 29%
Rapporto Aifos 2009
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3. Il quadro settoriale In termini assoluti il ramo di attività più colpito è quello dei Servizi (dove d'altronde trova occupazione il 66% dei lavoratori) che concentra oltre il 50% delle denunce di infortunio; penalizzati in particolare i settori del Commercio e dei Trasporti. Nell’Industria i valori più elevati si registrano nelle Costruzioni (il settore con più infortuni in generale, 90.000 casi nel 2008) e nell’Industria Metalmeccanica. In Agricoltura gli oltre 53mila infortuni del 2008 rappresentano il 6% del totale. Situazione analoga per i casi mortali, con le Costruzioni al 1° posto (circa 250 decessi nel 2008) seguita dai Trasporti (145) e dall’Agricoltura (121). Le cifre in valore assoluto Infortuni - I settori di attività economica più colpiti però, pur quantificando le 100.000 dimensioni del fenomeno 90.000 80.000 infortunistico, non rispec70.000 chiano la reale rischiosità 60.000 50.000 insita nelle lavorazioni 40.000 30.000 dei singoli settori, com20.000 10.000 promettendone la con0 frontabilità in termini di pericolosità per il lavoratore. E’ in termini relativi che bisogna quindi ragionare, ovvero rapportando il numero degli infortuni agli esposti al rischio per depurare i valori assoluti dalle “dimensioni” dei settori in termini di forza lavoro impiegata. Ed a tal fine l’INAIL elabora specifici indicatori strutturali di rischio per determinare la frequenza infortunistica. I settori con indice di freCasi mortali - I settori di attività economica più colpiti quenza nettamente più 250 elevato sono la Lavora200 zione dei Metalli (side150 rurgia, metallurgia) con 100 un indice pari al 55,92 50 infortuni indennizzati 0 ogni mille addetti, la Lavorazione dei Minerali non metalliferi (materiale per edilizia, vetro, ceramica) 53,27, la Lavorazione del Legno (51,78) e le Costruzioni (49,09). Sono d’altronde attività ove è particolarmente presente l’intervento manuale del lavoratore nel processo produttivo e dove frequente è il contatto tra lavoratore e fattori di rischio quali macchinari, stru75
Rapporto Aifos 2009
menti, polveri, schegge ecc. Contribuisce ai suddetti risultati negativi anche la significativa presenza di lavoratori stranieri nelle attività a carattere prevalentemente manuale (edilizia, industria pesante): disposti a svolgere turni di lavoro più lunghi e stancanti e con una formazione professionale spesso carente, hanno un rischio di infortunarsi più elevato dei loro colleghi italiani. Per gli infortuni mortali, a fronte di un valore generale di 0,07 decessi ogni mille lavoratori, il settore con più elevata frequenza è l’Estrazione di Minerali, caratterizzato da un valore molto alto (0,42), seguito per livello di rischiosità dalle Costruzioni (0,20) e dai Trasporti (0,19). Un discorso a parte merita l’Agricoltura che presenta ancora un rischio molto elevato: è il secondo settore più rischioso, con un indice di frequenza generale (54,68) ben superiore a quello medio dell’Industria e Servizi (29,52) ed un indice per i casi letali doppio (0,14 contro 0,07).
4. Il quadro territoriale Una sintetica analisi per territorio rivela che oltre il 60% degli infortuni sul lavoro è avvenuto nell’industrializzato Nord (in particolare nel Nord-Est complice un modello economico fondato su piccole imprese, distretti industriali specializzati e largo uso di manodopera straniera) con un’equa ripartizione del restante 40% tra Centro e Mezzogiorno. Disaggregando per regione, in termini assoluti, quelle con maggior numero di infortuni sono la Lombardia (150mila casi), l’Emilia-Romagna (124mila) e il Veneto (104mila): insieme assommano il 43% degli infortuni denunciati nel Paese. Una situazione analoga si riscontra per i casi mortali. Ma questa graduatoria risente naturalmente della diversa dimensione abitativa ed occupazionale delle regioni. Una corretta interpretazione dei dati richiede anche qui il confronto con la forza lavoro impegnata ovvero con gli esposti al rischio. Procedendo anche in questo caso all’elaborazione di specifici indici di frequenza infortunistica (n° infortuni indennizzati ogni 1.000 addetti), si scopre allora che la regione più rischiosa per i lavoratori è l’Umbria, seguita dall’Emilia-Romagna e dal Friuli Venezia Giulia. Naturalmente per una corretta valutazione del fenomeno a livello territoriale, qui necessariamente sintetica, andrebbero approfonditi i diversi fattori connessi alle distinte condizioni socioeconomiche che caratterizzano aree geografiche disomogenee, con specifico riferimento alla struttura occupazionale delle singole regioni e al diverso peso dei singoli settori di attività economica.
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Rapporto Aifos 2009
A titolo esemplificativo, si può schematicamente rilevare come in Umbria siano presenti imprese perlopiù di piccole dimensioni e artigianali, con vocazione ai settori delle Costruzioni edili e delle lavorazioni di materiale per l’edilizia, nonché acciaierie; in Emilia-Romagna sono presenti importanti distretti industriali ed in Friuli Venezia Giulia, oltre a un’elevata presenza di manodopera straniera, anche una certa concentrazione di industrie della Lavorazione dei Metalli e del Legno (tra le più rischiose del comparto manifatturiero). Frequenze infortunistiche per Regione (n. infortuni indennizzati x 1.000 addetti)
50,00 45,00 40,00 35,00 30,00 25,00 20,00 15,00 10,00 5,00 Em Um Fr ili a R o bri a iu li V m ag en Bo ezi n a lza a G no iu – lia Bo ze L ig n ur ia Pu gl i Ab a ru zz o Tr en t o M ar ch Ve e ne To to sc Ba a na s Va ilic lle at a d 'A os t M a o Sa li se rd eg na It a C a li a la b P i ri a em o Lo n m te ba rd ia Si C a cilia m pa ni a La zi o
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Nell’ambito delle iniziative contenute nel Piano di settore per la prevenzione 2008/2010 una particolare caratura è stata posta sull’attività di formazione, ritenuta un “sostegno” centrale del sistema prevenzionale per elevare i livelli qualitativi della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro e di tutela dei lavoratori. In tale prospettiva si colloca l’azione di sviluppo verso l’impostazione di una Scuola INAIL di formazione in prevenzione che, insieme al miglioramento continuo di prodotti e servizi formativi già consolidati, conduca alla realizzazione di un sistema formativo INAIL accreditato anche attraverso collaborazioni e relazioni sistematiche con la rete degli Organismi certificatori specificatamente qualificati nel campo della formazione specialistica di settore per un verso e con il mondo accademico dall’altro.
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Rapporto Aifos 2009
L’attuale offerta formativa nazionale è orientata su due direttrici: - la prima indirizzata a favorire il processo formativo indicato dal legislatore per i soggetti attori dell’applicazione della normativa in materia di sicurezza e salute (Responsabili e Addetti dei Servizi di prevenzione e protezione aziendali) e in sviluppo verso la formazione continua degli stessi in relazione alle evoluzioni normative e tecnologiche; - la seconda finalizzata a “costruire” figure specialistiche nelle logiche dell’impostazione e del consolidamento nelle aziende di sistemi di gestione della sicurezza sul lavoro (SGSL) in particolare per progettisti e consulenti dei sistemi stessi.
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Rapporto Aifos 2009
Capitolo 9
COMMENTI ED ANALISI ALLA RICERCA
1.
ALBERTO ANDREANI Coordinatore Scientifico di OLYMPUS - Osservatorio Giuridico Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
È un onore, oltre che un piacere essere chiamato ad esprimere un parere sull’indagine che AIFOS ha effettuata, raccogliendo per la prima volta dopo il monitoraggio 626, una serie di dati significativi e fondamentali per capire quanto la previsione delle normative di derivazione comunitarie abbiano raggiunto il proprio obiettivo di portare al centro del “sistema sicurezza” l’uomo piuttosto che le macchine. Che la partecipazione dei lavoratori fosse uno dei capisaldi, assieme alla valutazione dei rischi, alla organizzazione del servizio di prevenzione e protezione e alla formazione, per una corretta attuazione di tale normativa è cosa nota da sempre, ma non altrettanto noto è se tale risultato sia stato, non dico raggiunto, ma sia almeno in fase di realizzazione. Non farò, lasciando a chi è più esperto di me tale compito, un’analisi sulla bontà del campione -del quale peraltro non dubito - o sulla utilizzabilità concreta dei risultati ottenuti , ma mi limiterò ad esprimere alcune riflessioni sui due temi che più mi stanno a cuore: quello giuridico e quello organizzativo. Il 78% degli intervistati ha dichiarato di avere imparato a svolgere il proprio lavoro mediante l’esperienza maturata direttamente, da solo, sul posto di lavoro! Credo che non fosse altro che per la raccolta di questo dato l’indagine sia meritevole di essere stata effettuata: non c’è dubbio che tale risposta purtroppo però avvalori le più pessimistiche affermazioni di chi ritiene che la formazione fino ad ora erogata sia stata prevalentemente formale e poco adatta a rendere i lavoratori davvero competenti a svolgere la propria attività in sicurezza. È inevitabile allora chiedersi a chi giovi una formazione di tal fatta: non certo al lavoratore, ma neppure al datore di lavoro che difficilmente potrà utilizzarla a propria discolpa in caso di rinvio a giudizio in caso di infortunio e tanto 79
Rapporto Aifos 2009
meno giova alla organizzazione complessiva e sistemica della sicurezza sul lavoro. In sintonia con la negatività emersa dalla domanda precedente è quella che cercava di capire quanti lavoratori avessero seguito corsi di formazione nell’ultimo biennio: il 39 % dei lavoratori non l’ha fatto! Inutile sottolineare che negli ultimi due anni “le regole del gioco” sono profondamente cambiate ed è particolarmente grave quindi che proprio in questo biennio sia mancata un’attenta ed intensa attività formativa. Sarebbe estremamente importante capire quanti di questi lavoratori fossero anche “preposti” o “dirigenti”, proprio per analizzare il grado di soddisfazione del nuovo dettato del d.lgs. n. 81/2008 che ora pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di impartire anche ai dirigenti e ai preposti un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro. I lavoratori sono poi divisi quasi a metà, rispetto allo stato di percezione dell’utilità della formazione ricevuta: sarà molto utile approfondire tale tema, anche alla luce del compito affidato dal d.lgs. n. 109/2009 alla Commissione Consultiva permanete di elaborare i criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, anche tenendo conto delle peculiarità dei settori di riferimento. Soprattutto perché il giudizio parzialmente critico sulla formazione fino ad oggi ricevuta non dipende da uno scarso interesse verso di essa, visto che ben il 73% dei lavoratori si dichiara abbastanza o molto interessato alla formazione e al costante aggiornamento sui temi della salute e sicurezza sul lavoro. Interessante anche la risposta data alla domanda posta per capire se i lavoratori ritengano la formazione utile per favorire l’organizzazione: pur in presenza di una scarsa, anzi direi scarsissima, diffusione dei sistemi di gestione per la sicurezza, ciononostante solo l’8,4 % dei lavoratori ha risposto che la formazione non sia utile. Se ne deve dedurre che esiste tra i lavoratori, una diffusa, anche se direi istintiva e quasi inconscia consapevolezza di dover aumentare la quantità, ma soprattutto probabilmente la qualità della formazione, ritenuta importante, addirittura da circa l’80% degli intervistati per conoscere i problemi legati alla sicurezza. Terminerò queste brevissime riflessioni con l’analisi delle risposte date alla collaborazione e consultazione: ad oltre il 50% dei lavoratori non è mai stato chiesto un parere in merito alla sicurezza sul lavoro! È lecito chiedersi come sia stato possibile, in quelle aziende rispettare l’obbligo giuridico, ma prima ancora la necessità pratica, di consultare i lavoratori ed in particolare i loro rappresentanti, in merito, quantomeno, alla valutazione dei rischi e ai programmi di formazione da erogare. Ma non è possibile sottacere neppure un altro dato importante e purtroppo anch’esso negativo che emerge in merito al coinvolgimento dei lavoratori: quello dell’analisi degli incidenti. 80
Rapporto Aifos 2009
Emerge che oltre il 50% degli eventi accidentali, ed anche in questo caso sarebbe utile capire si tratti di incidenti con conseguenze o meno per la salute delle persone, non sono stati oggetto di coinvolgimento dei lavoratori. Concludendo, c’è da augurarsi che il nuovo e già citato obbligo formativo per dirigenti e preposti e l’innalzamento della professionalità dei formatori, possano essere strumenti utili per invertire la tendenza, ancora troppo diffusa, di considerare la formazione un obbligo giuridico da rispettare, piuttosto che un’opportunità da non perdere per l’innalzamento della qualità della salute e sicurezza dei lavoratori, inscindibilmente legata anche alla qualità della produzione.
81
Rapporto Aifos 2009
2.
FRANCO BETTONI Presidente ANMIL Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro
Il ruolo centrale della formazione dei lavoratori nella battaglia continua per l’abbattimento del numero degli incidenti sul lavoro nel nostro Paese è un punto fermo, dato ormai acquisito e imprescindibile per un approccio al problema concreto e fattivo. Importanza recepita anche a livello legislativo con il Testo Unico in materia di sicurezza varato nel 2008, il quale include espressamente informazione e formazione tra gli obblighi del datore nei confronti dei lavoratori; una scelta, quella di puntare sulla conoscenza, sulla formazione e sul protagonismo dei due attori in azienda, il datore di lavoro e il lavoratore, che ha trovato infine prioritaria collocazione nei recenti correttivi al Testo Unico. Un sistema di obblighi puntuali e specifici, quindi, finalizzato alla diffusione di una cultura della sicurezza che i lavoratori per primi, come beneficiari diretti dell’apparato di norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, sono chiamati a conoscere. Ciò premesso sono di indubbio interesse i risultati di un’indagine, come quella egregiamente svolta dall’AiFos, che mirino a verificare in che modo i lavoratori stessi siano stati coinvolti in progetti di formazione e come questi ultimi siano da loro percepiti, nella convinzione che i contenuti di merito delle disposizioni legislative debbano sempre trovare un riscontro in quanto, sulla loro base, si concretizza nella realtà. E appunto salta subito agli occhi uno dei primissimi dati riportati nel Rapporto, in base al quale risulta che quasi l’80% del campione di lavoratori intervistati ha avuto come unica fonte di apprendimento e formazione l’esperienza diretta sul luogo di lavoro. Dato ulteriormente aggravato dalla rilevazione che il 39% degli intervistati non ha frequentato corsi di formazione e aggiornamento negli ultimi due anni, proprio in un periodo di importanti riforme legislative, quelle del citato decreto 81/2008 e successivi correttivi, che tanto profondamente hanno innovato la normativa in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. È appunto su questo che l’ANMIL costantemente focalizza la sua attenzione, con l’obiettivo di evidenziare che proprio il decreto 81 ha fissato e ribadito un principio fondamentale in tema di prevenzione degli incidenti sul lavoro, elevandolo a obbligo giuridico per le imprese: quello per cui il datore di lavoro è chiamato a porre il miglioramento dei livelli di sicurezza come vero e proprio target aziendale, per raggiungere il quale ha notevole peso anche la formazione dei lavoratori. Il concetto di sicurezza che si vuole affermare affida dunque al datore di lavoro il ruolo primario di dare attuazione continua, in prima persona e 82
Rapporto Aifos 2009
con le proprie scelte organizzative, al complesso sistema di sicurezza imposto dalla legge. Un ruolo fortemente attivo, che contrasta con quello che ancora oggi è un atteggiamento assai diffuso nelle imprese rispetto alla sicurezza sul lavoro, ossia la ricezione passiva e forzata di norme avvertite come troppo severe, anche e soprattutto economicamente, sulla spinta unica di schivare le connesse sanzioni. E di conseguenza, come evidenziato chiaramente nel Rapporto, anche l’approccio alla formazione diventa formalistico, legato all’adempimento di un onere e non al suo fine ultimo. Il punto infatti è da sempre quello di far maturare nel mondo imprenditoriale la solida consapevolezza che una valida politica di prevenzione, l’interiorizzazione della cultura della sicurezza, non penalizzano l’impresa sul mercato, anzi, possono costituire elemento determinante di affermazione. Senza dubbio un’impresa che gestisce passivamente la prevenzione, che subisce solo imposizioni, che non è attenta all’importanza economica e umana di una corretta applicazione delle leggi che tutelano la salute e la sicurezza dei lavoratori è destinata a non poter reggere il confronto in mercati ampi: l’attenzione all’evolversi della politica della prevenzione consente ad un’azienda di percepirne i mutamenti, anche anticipandoli, di preservare i propri processi e di migliorare la produttività. Ma questa consapevolezza, anche se deve essere favorita, non può essere imposta da nessun legislatore; per questo è fondamentale che l’impegno di tutti coloro che operano nel mondo della prevenzione si focalizzi sulla diffusione di una vera e propria cultura, che oggi ancora in gran parte dei casi non è stata assimilata. Solo questa cultura può portare un’azienda ad assumersi delle responsabilità al di là delle imposizioni di legge; solo così potrà farsi volontariamente carico dei problemi derivanti dalla sua attività, dando conto degli effetti che di essa si riverberano sui lavoratori. Alle imprese oggi si chiede di integrare volontariamente queste considerazioni nella propria politica, al di là delle prescrizioni legali e degli obblighi contrattuali, perché la riuscita economica può essere perseguita anche assieme al rispetto dei principi sociali, le esigenze del mercato possono essere soddisfatte anche senza il sacrificio di quelle dei lavoratori. Insomma, l’azienda stessa può trarne vantaggi. Innanzitutto un’azienda ottiene sempre beneficio da una reputazione positiva, sia sul mercato, nel confronto con altre imprese, sia al suo interno, nel rapporto con quanti vi lavorano. Oggi l’assetto multinazionale di molte imprese e la globalizzazione rendono la competizione sul mercato più dura e la riduzione del costo del lavoro sembra essere, specialmente per le piccole imprese, la strada più semplice per sopravvivere, a discapito dei diritti dei lavoratori.
83
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Invece è chiaro che un’efficace politica nella gestione della salute e sicurezza è strumento stesso di competitività: un’impostazione globale del benessere sul luogo di lavoro, che prenda in considerazione le trasformazioni e l’insorgere di nuovi rischi, porta per ciò solo ad un miglioramento della qualità del lavoro . Al contrario la mancanza di una strategia ha, a lungo andare, dei costi inevitabili e impedisce la permanenza nel mercato. È dimostrato poi che la percezione della sicurezza da parte dei lavoratori e delle loro famiglie è essenziale; dimostrando integrità e trasparenza il dialogo con l’azienda sarà più facile, risulterà rafforzato il senso di appartenenza alla realtà aziendale e ne trarrà beneficio la produttività. Per tornare ai dati del Rapporto, è chiaro anche che quando le iniziative formative funzionano ed operano validamente, i lavoratori ne riconoscono l’utilità sotto molteplici aspetti, in quanto consentono di conoscere meglio l’ambiente di lavoro in cui si è inseriti e i rischi connessi alle proprie mansioni, forniscono strumenti per risolvere eventuali problemi e arricchiscono la persona di un bagaglio di conoscenze che consentono di svolgere meglio il proprio lavoro. Ed è significativo che quasi l’80% dei lavoratori intervistati colleghi la formazione alla sicurezza sul lavoro, riconoscendo quindi che difficilmente la realizzazione di ambienti di lavoro sicuri può prescindere dalla preparazione di quanti in esso operano. Credo però che tutto questo possa avvenire solo con una chiara presa di coscienza del ruolo e dell’importanza della formazione: se questa è programmata e presentata dal datore di lavoro come una parentesi obbligata, un’interruzione dovuta solo a una norma che la impone, è probabile che anche la partecipazione dei lavoratori sia solo “formale”, che questi non siano predisposti a recepirne il fine, trincerati dietro comuni atteggiamenti di fiducia nelle proprie capacità di evitare il pericolo e spesso non disposti a mettere in discussione le proprie abitudini e il proprio modo di lavorare.
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3.
GIULIANO CAZZOLA Vice Presidente Commissione Lavoro della Camera dei Deputati
La ricerca sui lavoratori e la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro curata dall’Aifos presenta parecchi aspetti meritevoli di interesse. Innanzi tutto viene subito in evidenza la composizione degli intervistati. Il campione presenta talune irregolarità che fanno pensare, perché sembra essere scarsamente rappresentativo del mercato del lavoro. Mentre è ben calibrata la rappresentanza delle diverse aree geografiche, è troppo bassa la percentuale di lavoratori stranieri e troppo elevata quella di italiani intervistati. Non si comprendono poi le ragioni per cui ben l’82% degli intervistati abbia un contratto a tempo indeterminato a fronte di un 10% provvisti di un contratto a tempo indeterminato e un 8% con contratti a progetto o precari. Non è questa la realtà del mondo del lavoro, soprattutto nell’industria che ha fornito il 22% del campione. Al contrario nella stragrande maggioranza i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) – peraltro dotati di un buon livello d’istruzione - sono assunti a tempo indeterminato e quindi “costituiscono un solido punto di riferimento sia da parte dei lavoratori sia delle aziende”. Quanto all’attività di formazione e aggiornamento emergono non solo una adeguata consapevolezza sulla sua centralità, ma anche un ricco ventaglio di esperienze e una effettiva conoscenza dei presidi che in azienda sono preposti alla sicurezza. Eppure, le risposte ad altre domande prendono di sorpresa perché denotano un contesto che sembra contraddire il quadro sufficientemente positivo prima delineato. Il 69% dei lavoratori non ricorda incidenti accaduti negli ultimi tre anni; il 54% non ne ha parlato con altri lavoratori; il 53% afferma che nemmeno i delegati alla sicurezza ne hanno parlato con i lavoratori; l’89% non ha effettuato nessuno sciopero o forma di protesta; il 73% dichiara che nessuno è venuto dall’esterno per discuterne. E’ abbastanza singolare allora che le attività di formazione non si interroghino sugli incidenti che si sono verificati con lo scopo di evitarli in futuro. Emerge altresì un certo distacco tra i RLS, che risultano sufficientemente impegnati, e quelle organizzazioni sindacali di cui i RLS dovrebbero essere espressione. Risulta tuttavia che il ruolo dei sindacati nella formazione è abbastanza importante in quanto rappresenta la parte più consistente della formazione definita di carattere personale. Inoltre, il rapporto mette bene in evidenza che i riferimenti normativi su cui si sono formati i RLS sono quelli previsti dal dlgs n.626, mentre è molto ridotta la conoscenza del dlgs n.81 del 2008 e tanto meno delle correzioni apportate nel decreto correttivo n.106 del 2009. 85
Rapporto Aifos 2009
Il 73% dei lavoratori manifesta grande interesse verso la formazione e l’aggiornamento, cogliendo appieno in questo modo il senso e l’obiettivo del decreto correttivo predisposto e varato dal ministro Sacconi. Quel provvedimento è stato un atto non solo previsto, ma dovuto. Come sempre accade quando si regolano materie complesse mediante leggi di delega, anche il legislatore del 2007 si era riservata la facoltà di adottare “disposizioni integrative e correttive” nel “rispetto dei principi e criteri direttivi” fissati dalla stessa legge delega tra cui, in particolare, ”il rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia”. Il comma 6 dell’articolo 1 della legge n.123 del 2007 aveva posto il termine di 12 mesi dall’entrata in vigore del dlgs n.81 per esercitare in senso integrativo e correttivo la delega. Ciò premesso il nuovo decreto non ha assunto un carattere particolarmente innovativo, ma si è limitato a correggere e ad integrare, nei termini previsti, un provvedimento complesso ed importante come il dlgs n.81, varato sicuramente con sollecitudine, a Camere ormai sciolte nella passata legislatura e accompagnato da forti riserve espresse da tutte le associazioni imprenditoriali. Che vi fossero da correggere degli errori materiali e tecnici è riconosciuto da tutti. La principale finalità delle misure contenute nel decreto correttivo riguarda, però, quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro mediante una linea di azione volta al superamento di un approccio prevalentemente sanzionatorio e repressivo e alla promozione della prevenzione e della sicurezza attraverso la formazione e l’informazione, l’adozione e la certificazione dei modelli di organizzazione e di gestione, la qualificazione del sistema delle imprese, l’esigibilità delle norme e la semplificazione degli adempimenti. Il Governo non ha valuto “fare da sé” nell’individuare degli aspetti correttivi, ma ha sollecitato – in coerenza con i criteri direttivi della legge delega – le parti sociali ad esercitarsi per la definizione di un avviso comune che, se sottoscritto, sarebbe stato integralmente assunto all’interno dello schema. Anche se il confronto tra le parti non è giunto ad alcun approdo formale, il Governo ha voluto ugualmente inserire nel testo le norme condivise dalle parti in sede tecnica, riguardanti aspetti riconducibili alla semplificazione (data del documento di valutazione del rischio, modalità per la redazione del documento di valutazione dei rischi da interferenza delle lavorazioni, eliminazione della notifica di costruzione di nuovo edificio all’organo di vigilanza quando si sono già fornite alla pubblica amministrazione informazioni analoghe). Tra le principali novità dello schema in esame vi è la rivisitazione dell’apparato sanzionatorio. A tale revisione il Governo è arrivato sulla base di precisi indirizzi che non contraddicono con i principi e i criteri direttivi della delega.
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Le sanzioni penali ed amministrative vengono rimodulate complessivamente sia con riferimento alla tipologia della pena (sia essa detentiva o pecuniaria) sia con riguardo alla entità delle sanzioni allo scopo di garantire una proporzionalità ed una progressività delle stesse (è questa la funzione del diritto penale). Al riguardo il provvedimento punisce più severamente gli inadempimenti commessi in contesti lavorativi caratterizzati da un particolare livello di pericolo, allo scopo di stabilire un legame coerente e proporzionato (perciò equo) tra sanzioni e rischio d’impresa. E’ rimasto confermato l’aumento automatico delle sanzioni in ipotesi di rischio immanente, mentre sono previste sanzioni solo amministrative in caso di inadempienza di obblighi meramente formali (trasmissione della documentazione, notifiche, ecc.). E’ stato mantenuto l’arresto per l’omessa “valutazione del rischio” nelle aziende a rischio di incidente rilevante, in quanto condotta gravemente pericolosa per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Quanto alla prescrizione essa è stata estesa ai reati puniti con la sola ammenda mentre un istituto analogo è stato introdotto per le violazioni punite con sanzione pecuniaria amministrativa con la finalità di puntare all’effettività della reazione punitiva previo ripristino delle condizioni di legalità. Inoltre, nella stesura definitiva sono state superate alcune delle modifiche contenute nello schema di decreto che avevano sollevato alcune polemiche non sempre giustificate. Oggi quel provvedimento è più utile e rafforzato proprio perché è divenuto più condiviso anche da parte di quelle forze sociali le cui istanze erano state ignorate dal precedente Governo.
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Rapporto Aifos 2009
4.
PIER SERGIO CALTABIANO Presidente Nazionale AIF ALESSANDRO CAFIERO Responsabile Settore AIF Formazione e Sicurezza
CONSIDERAZIONI SULLA METODOLOGIA DI INDAGINE L’indagine del Rapporto AIFOS 2009 ha ottenuto i propri dati attraverso il coinvolgimento di un significativo campione rappresentativo di 1000 soggetti fra lavoratori e loro Rappresentanti della Sicurezza (RLS) attraverso la compilazione di un questionario somministrato con il metodo dell’intervista, da parte di docenti o formatori che avevano già offerto la loro assistenza e consulenza dove è stata effettuata la scelta. Di conseguenza, tale modalità non è il risultato della semplice distribuzione-ricezione di un questionario con le domande a cui rispondere, ma rappresenta il processo in cui sono stati gli stessi formatori AIFOS ad individuare singolarmente il lavoratore cui consegnare il questionario, assistendolo nella sua compilazione e supportandolo in caso di bisogno. Pertanto, i dati che emergono sono: ⇒ il risultato indicativo di un’analisi delle stesse domande con risposte di lavoratori e loro rappresentanti, il cui raffronto presenta utili indicazioni su eventuali comportamenti e azioni da intraprendere, ⇒ l’esito di un positivo momento di incontro e di rapporto tra i formatori della sicurezza, lavoratori e loro RLS. Questo approccio metodologico dimostra, in relazione ai risultati quantitativi complessivi conseguiti sia del campione di riferimento (Cap. 1 “I lavoratori e il fenomeno infortunistico” - Cap. 2 “Lo stato dei lavoratori” - Cap. 5 “La sicurezza nell’azienda dove si lavora”), che in termini qualitativi (Cap. 3 “Primo approccio della formazione per il lavoro” - Cap. 4 “Cosa pensano i lavoratori della formazione” - Cap. 6 “Conoscenza della sicurezza”), come la professionalità dei formatori associata ad un’esperienza lavorativa ben contestualizzata con lavoratori e loro RLS, sia in grado di conseguire non solo un ampio livello di partecipazione, ma anche una prospettiva attendibile e condivisa nella restituzione dell’informazione relativa al quadro delle condizioni di sicurezza e salute dei lavoratori negli ambienti di lavoro. Considerazioni sui dati complessivi della ricerca La riflessione non prenderà in esame i dati quantitativi che appaiono nei primi capitoli della ricerca (Cap. 1 “I lavoratori e il fenomeno infortunistico” Cap. 2 “Lo stato dei lavoratori” - Cap. 5 “La sicurezza nell’azienda dove si lavora”) nei quali viene semplicemente delineata una fotografia del campione se88
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lezionato in termini di rappresentatività di settore, genere, età, sesso, contesto di appartenenza, ecc…. Più in particolare le considerazioni generali riguarderanno il Cap. 3 “Primo approccio della formazione per il lavoro” in termini di modalità di apprendimento del lavoro, formazione ricevuta, sua utilità e impulso al suo sviluppo, il Cap. 4 “Cosa pensano i lavoratori della formazione” in termini di valore e approccio metodologico e, infine, il Cap. 6 “Conoscenza della sicurezza” in termini di consapevolezza della sicurezza e delle modalità di acquisizione di nuove competenze in tema di sicurezza. Primo approccio della formazione per il lavoro. L’esperienza diretta (78%), la bassa percentuale relativa all’attività in affiancamento (10%) ma soprattutto quel 6% che ha svolto veri e propri corsi professionalizzanti è una fotografia piuttosto preoccupante sul livello della formazione attuale ricevuto in azienda e della complessiva estraneità della formazione al lavoro. Il quadro che ne risulta è un approccio alla formazione, frequentemente, formale e unicamente mirato ad adempiere all’obbligo normativo. La bassa partecipazione ad attività formative nell’ultimo biennio (61%) conferma il quadro problematico del sistema formazione-sicurezza soprattutto in relazione ai RLS di cui il 41% non ha seguito corsi di formazione in una situazione di notevoli modifiche normative (TU 81/08 e D.Lgs 106/09) dove sarebbe stata necessaria e obbligatoria la formazione e l’aggiornamento sulla conoscenza e applicazione delle nuove leggi. La durata della formazione è un altro elemento critico. Per il lavoratore, infatti, un monte ore tra le 2 e le 8 ore può coprire aspetti solo informativi e conoscitivi di base, incidendo limitatamente su consapevolezza e comportamenti connessi. Tale tendenza va modificata anche per i RLS la cui formazione (32 ore) dimostra essere erogata secondo i parametri minimi previsti. Si tratta di un dato verso cui fare molta attenzione in quanto questa figura dovrebbe costituire un modello di rappresentatività con competenze molto più interattive,consapevoli e partecipative. Le risposte dei lavoratori sull’utilità della formazione ricevuta e dove nel complesso i giudizi sono abbastanza equilibrati (55% positivi e 42% scarsi), vanno anche esaminate non solo in relazione all’utilità in sé della formazione, ma anche su come incidono sulla valutazione durata e metodologie utilizzate durante l’attività. Cosa pensano i lavoratori della formazione Nel complesso, le risposte dei lavoratori sul generale grado di importanza della formazione (o aggiornamento) sui temi della salute e sicurezza sul lavoro esprimono un risultato abbastanza prevedibile in termini.
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Più interessante è la parte in cui si chiede ai lavoratori quale sia la loro percezione sul sistema “formazione” per comprendere meglio quale siano le maggiori aspettative per una “formazione utile”. In tale quadro emergono alcune posizioni sulla formazione nell'insieme positive: contribuisce a favorire l’organizzazione aziendale in quanto vi è una visione che “formare significhi anche organizzare”, attraverso i saperi e la loro acquisizione, consente di possedere nuovi fattori utili alla soluzione dei problemi, in questi ultimi anni è sempre più spesso collegata alla sicurezza sul lavoro, se “fatta bene” è utile a migliorare lo svolgimento dei compiti di lavoro e consente di acquisire maggiore autonomia nel proprio lavoro, può favorire le relazioni ed i comportamenti tra i lavoratori e l’ambiente esterno. L’aspettativa del lavoratore verso la formazione è alta e si aspetta “qualcosa di più” in quanto vuole conoscere, sapere, apprendere elementi che gli consentano di svolgere bene e meglio il proprio lavoro. Essa, quindi, viene attesa e vissuta in rapporto con il proprio lavoro, possibilmente non generica e con fattori assegnati agli aspetti lavorativi che sviluppino una maggiore sicurezza nell’azione lavorativa per i ruoli e le mansioni che egli ricopre in azienda. Lo sviluppo della “persona” in quanto generatrice di competenze acquisibili e/o spendibili in contesti diversi da quello lavorativo sembra sia una rappresentazione piuttosto lontana. La sfiducia che i lavoratori esprimono sull’incidenza della formazione nelle progressioni di carriera è, ovviamente, una constatazione immediata (miglior preparazione/maggiori possibilità nei confronti di chi non si aggiorna) e, confrontata con i risultati precedenti, è altrettanto ovviamente allineata con il background complessivo degli intervistati. I risultati relativi alle metodologie formative risentono della “cultura formativa” più orientata sull’aggiornamento e la formazione tecnica, quindi con una preferenza su metodi teorico/pratici immediatamente spendibili. Conoscenza della sicurezza Analizzare i risultati emersi per ogni domanda sarebbe, ovviamente, molto lungo sia per la quantità delle questioni da rilevare che per i diversi punti di vista che emergono . Se, invece, diamo un significato al complessivo dato collegato alle risposte dei lavoratori si può dedurre come l’importanza e il livello di consapevolezza e responsabilità della sicurezza sul lavoro sia percepita: come una questione prevalentemente “aziendale”, - le cui conoscenze si apprendono solo in azienda e tramite attività formativa, - in cui l’aggiornamento deve, comunque, essere continuo, 90
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- dove deve essere presente un maggior coinvolgimento di tutti i lavoratori, - dove la figura del RSPP è un importate sostegno, - dove le politiche aziendali (e le conseguenti attività formative che ne derivano) vanno il più possibile condivise con i lavoratori, al di là degli esclusivi aspetti formali stabiliti dagli obblighi di legge. Conclusioni I dati sulla sicurezza dei luoghi di lavoro sono, purtroppo, sempre allarmanti. L’osservatorio infortuni dell’INAIL ci conferma come vi siano circa 1200 morti (quasi 3 morti al giorno) e 3000 infortuni all’anno ogni centomila occupati. Inoltre, il Testo Unico sulla Sicurezza (D.lgs. 81/08) ha stabilito l’enorme rilevanza di due aspetti fondamentali per il miglioramento delle condizioni di sicurezza: - l’organizzazione aziendale, - la formazione con aggiornamento continuo; dove la mancanza di formazione è raffigurata come una delle gravi violazioni previste, con la corrispondente minaccia di chiusura dell’attività imprenditoriale. È necessario, quindi, impostare e avviare prassi formative (e i risultati della ricerca AIFOS lo confermano) che vadano ben oltre gli “obblighi di legge”, rivolgendosi ad un processo formativo vero e proprio che muova dall’individuazione dei veri bisogni formativi e si concluda con una coerente fase di valutazione dell’efficacia delle azioni. Oggi le difficoltà di agire in tal senso sono prevalentemente di tipo culturale. La formazione alla sicurezza è vista da molti, infatti, come un “corso da propinare” in modo occasionale per rispondere al “dovere normativo” e non come un azione sistematica che va integrata nella gestione di tutti i processi di una struttura organizzativa. Del resto la formazione che nasce da queste premesse difficilmente può veicolare messaggi che facilitino un cambiamento culturale e generativo. Il ruolo dei formatori è, quindi, decisivo nel favorire la possibilità di generare un tale cambiamento culturale all’interno delle organizzazioni, nei gruppi di lavoro e nei singoli individui. AIF, consapevole di questi presupposti, orienta la sua azione culturale soprattutto su due priorità: 1. La condizione propedeutica dell’attività formativa. Oggi un percorso di motivazione efficace dei lavoratori alla partecipazione di percorsi formativi con spirito costruttivo e positivo è raro; le persone frequentano questi corsi perché sono obbligate a farlo. Pertanto va ampliata la consapevolezza verso l’accurata verifica dei bisogni formativi, in coerenza con le diverse 91
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tipologie di lavoratori e collegata ad una trasparente interpretazione degli obiettivi formativi. 2. I contenuti e il metodo della formazione. Molto spesso, nell’apprezzabile proposito di fornire a tutti l’adeguato set di conoscenze e competenze di base, ci si disperde su troppi argomenti. L’approccio didattico viene sbilanciato verso la lezione frontale anziché verso altre metodologie più efficaci. Ciò può esporre al mancato riscontro di quelle priorità e questioni ritenute urgenti o importanti nel proprio contesto aziendale, privando l’organizzazione delle competenze indispensabili per gestire la sicurezza. In seguito, questa parzialità nell’affrontare i rischi e i problemi influisce sui comportamenti da seguire, che non sempre hanno la necessaria e vincolante incisività.
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5.
LORENZO FANTINI Dirigente Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro, Mi5 nistero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali
1. Il completamento della riforma delle regole della salute e sicurezza sul lavoro. 2. La valorizzazione della formazione nel “testo unico”. 3. La rilevanza del Rapporto AIFOS nel rinnovato quadro normativo. 1. Il completamento della riforma delle regole della salute e sicurezza sul lavoro Negli ultimi tre anni – anche sulla spinta di una particolare e positiva attenzione da parte della politica e dei media per un tema “tradizionalmente” non al centro dell’interesse generale – si è realizzata in Italia la riforma, da lungo tempo attesa e sollecitata, della disciplina in materia di salute e sicurezza. Tale riforma ha perseguito lo scopo, innanzitutto, di collocare le regole in materia in un unico frame work seguendo una ottica di sistema, in modo che esse possano rispondere a principi e logiche comuni. Il Decreto legislativo n. 81 del 2008 realizza in concreto l’aggiornamento delle regole della salute e sicurezza sul lavoro, anticipato dalla entrata in vigore (avvenuta in data 25 agosto 2007) delle disposizioni di cui agli articoli da 2 a 11 della legge 3 agosto 2007, n. 123, attuando i criteri di delega di cui all’articolo 1, comma 2, della medesima legge. Si compie, in tal modo, una operazione di riorganizzazione della normativa di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ma anche di rivisitazione della medesima materia attraverso l’armonizzazione di tutte le leggi vigenti in una logica unitaria, nel pieno rispetto delle previsioni dell’articolo 117 della Costituzione, il cui terzo comma attribuisce alla competenza ripartita di Stato e Regioni la materia della “tutela e sicurezza del lavoro”. Tale riforma viene, infine, completata dalla emanazione del decreto legislativo n. 106 del 2009 con il quale, nel più rigoroso rispetto della procedura di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo 1 della legge 3 n. 123 del 2007, che tale adempimento impone, il Governo ha proceduto alla elaborazione di “disposizioni integrative e correttive” al decreto legislativo n. 81 del 2008. Il risultato finale di tale complesso processo legislativo è un corpus iuris imponente, costituito da 306 articoli e relativi allegati, il quale risulta dal punto di vista logico ispirato ai principi di gestione della salute e sicurezza di matrice comunitaria (se non, addirittura, alle Convenzioni OIL in materia di salute e sicurezza sul lavoro) – che 5
Il presente contributo ha carattere personale e non è in alcun modo impegnativo per la Amministrazione di provenienza.
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attribuiscono una rilevanza peculiare ai temi della formazione – evidenziando una ampia continuità rispetto al decreto legislativo n. 626 del 1994 dal punto di vista della organizzazione sistematica delle proprie disposizioni. 2. La valorizzazione della formazione nel “testo unico”. Nel rinnovato quadro giuridico di riferimento alla formazione viene riservato un ruolo fondamentale, quale strumento privilegiato di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di miglioramento della effettività delle tutele sul lavoro. Così il “testo unico”, inteso come l’insieme (appena richiamato) delle disposizioni di riforma della materia degli ultimi tre anni, della salute e sicurezza sul lavoro riserva alla formazione – sin dalla sua definizione come: “processo educativo” (articolo 2, comma 1, lettera aa), d.lgs. n. 81/2008, e s.m.i.) – una serie di previsioni, ad esempio ribadendo che la formazione è, come già in passato, obbligatoria per i lavoratori ma anche, e questo è un elemento di assoluta novità, per i dirigenti e i preposti (articolo 37, comma 7). Ancora, il “testo unico” valorizza il ruolo degli organismi paritetici, quali strumenti di ausilio alle imprese e ai lavoratori per il corretto adempimento degli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro e per l’innalzamento dei livelli di tutela considerandoli come realtà con le quali il datore di lavoro deve collaborare – ove esistenti e operanti nel contesto di riferimento – per ottenere una formazione quanto più possibile efficace (articolo 37, comma 12). Quindi, sempre a titolo di esempio, si consideri la rilevanza della formazione nell’ambito della qualificazione delle imprese di cui all’articolo 27del “testo unico”; ciò in quanto si specifica che la costruzione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, che tenga conto della esperienza o delle competenze e conoscenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, deve essere realizzata attraverso “percorsi formativi mirati”. Anche dal punto di vista dei provvedimenti di promozione della salute e sicurezza emanati o in preparazione, appare evidente la centralità del tema della formazione. Si consideri, al riguardo, la definizione, con Accordo in Conferenza Stato Regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l’attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all’articolo 11, comma 7, del “testo unico”, da destinare per attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per l’importo complessivo di 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro e per attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro). Tali somme sono state regolarmente impegnate e sono a disposizione per le relative attività. Con riferimento alle risorse stanziate per l’anno 2009, è stata predisposta la prima bozza del decreto interministeriale (articolo 11, citato, comma 2) con il quale verranno ripartiti i finanziamenti per attività promozionali in materia di 94
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salute e sicurezza sul lavoro e che riserva alla formazione una somma superiore ai 28 milioni di euro. Il relativo documento è stato oggetto di discussione con Regioni e parti sociali nell’ambito della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro nelle riunioni di giugno e luglio 2009 ed ha ottenuto formalmente il parere favorevole da parte dei Ministeri dell’Economia e delle Finanze e della Pubblica istruzione; pertanto, è stato inviato alla Conferenza Stato-Regioni per il prescritto parere. 3. La rilevanza del Rapporto AIFOS nel rinnovato quadro normativo. L’efficacia di una riforma e l’effettiva realizzazione dei suoi obiettivi passano attraverso l’analisi di elementi informativi atti a verificare che quanto sia stato previsto in termini astratti e generali abbia avuto effetti positivi in concreto. Dunque, come ovvio, non basta prevedere che la formazione in materia di salute e sicurezza sia necessaria nei confronti di tutti coloro che operino, a diverso titolo, nei luoghi di lavoro perché essa abbia davvero ovunque il ruolo che la legge attribuisce alla medesima ma occorre capire come essa venga vista in azienda e dai lavoratori. Questa semplice considerazione è sufficiente a rimarcare il principale merito del Rapporto AIFOS 2009, che consiste nell’avere contestualizzato – peraltro avendo riguardo a un novero assai ampio di lavoratori – le previsioni di legge per comprendere se esse siano correttamente intese nei luoghi di lavoro e, di conseguenza, fornire una base informativa di notevole importanza ai fini delle valutazioni che vanno fatte (in termini di indirizzo dell’azione amministrativa ma anche in termini di utilizzo di risorse disponibili) sul tema della formazione. A tale merito di ordine generale, va aggiunto un plauso per i risultati della ricerca, che reputo in alcuni casi particolarmente interessanti; senza voler entrare nel dettaglio (come, per ovvie ragioni di sintesi non è possibile fare) dei singoli temi, interessante mi pare il dato che diversifica la percentuale degli interessati ai corsi di formazione da quella di chi reputa quei medesimi corsi non solo interessanti ma anche utili (cfr. Capitolo 3, paragrafi 1 e 2), che potrebbe esprimere un giudizio di valore negativo sulle modalità con le quali la formazione viene oggi erogata. Allo stesso modo, corretta è la scelta di riservare un ruolo fondamentale alle opinioni dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, soggetti che sono in grado meglio di chiunque altro di rappresentare un punto di vista “privilegiato” – in quanto davvero “interno” al mondo del lavoro – dei problemi della salute e sicurezza sul lavoro. Dunque, non posso che auspicare che il percorso iniziato con questo Rapporto prosegua allo stesso modo negli anni a venire, in modo che i Rapporti abbiano un ruolo di rilievo nella costruzione di un sistema pubblico-privato davvero in grado di abbattere i drammi umani e sociali che i dati infortunistici esemplificano tramite il freddo dato statistico. 95
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LUDOVICO FERRONE Coordinatore nazionale area salute e sicurezza C.G.I.L.
Il valore del Rapporto Aifos 2009 sulla formazione consiste in primo luogo nell’apertura di una riflessione quanto mai opportuna sulla formazione in materia di salute e sicurezza. Una riflessione, sia detto per inciso, cui le forze sociali e le istituzioni dovrebbero prestare una attenzione sicuramente maggiore . Si può condividere in primo luogo il punto di partenza del Rapporto che guarda al “cosa ne pensano i lavoratori”. Ciò consente una riflessione non scontata sulla “domanda” reale di formazione che emerge dai luoghi di lavoro e dunque una necessaria ricalibratura dei modelli di analisi dei fabbisogni formativi troppo spesso decisi, puramente e semplicemente, dalla struttura formalizzata dell’offerta. Allo stesso modo si può condividere, se non travisiamo le intenzioni degli autori, la conclusione generale del Rapporto che postula un ruolo diverso e maggiormente incisivo della formazione (diremmo sia in termini di efficienza che di efficacia) in materia di salute e sicurezza. Una formazione, se possiamo precisare, “interna” ai luoghi ed ai processi reali del lavoro e della produzione, a ridosso dei nodi che vuole affrontare, capace di mettere in campo le competenze realmente necessarie e che sia infine concepita fin dalla progettazione come una funzione derivata dai mutamenti organizzativi che si intende realizzare per il miglioramento e la qualità del lavoro. Una formazione che, se si vuole essere coerenti con l’assunto, deve incidere su una molteplicità di questioni a partire dalle competenze (organizzativistiche ancor più che giuridiche, ergonomiche ancor più che psicologiche) da mettere in campo sulla base della qualità professionale richiamata in esplicito dalla norma. Tanto più in una situazione nella quale sono profondamente mutati ed in continua evoluzione modelli di impresa (e di sistemi di imprese), figure professionali e contrattuali, organizzazioni del lavoro. A 15 anni dalla emanazione del D.Lgs 626 ed a 14 dalla sottoscrizione del primo Accordo Interconfederale CGIL-CISL-UIL e Confindustria (e dei successivi Confapi ed Aran) questi mutamenti hanno determinato, oltre a quelli tradizionalmente riconosciuti, nuovi rischi e dunque nuove domande che attendono anche (ma non soltanto) dalla formazione risposte adeguate. Tra questi, per fare un solo esempio, quelli derivanti dallo Stress lavorocorrelato specificamente richiamato dal D.Lgs. 81/08. Anche in questo caso del resto il Rapporto conferma pienamente (oltre la particolare attenzione dei lavoratori su questo tema - oltre il 90% delle risposte) la consapevolezza di dover “collegare lo stress al proprio lavoro ed alla mansione che, sia detto per inciso, coinvolge l’organizzazione aziendale e l’ergonomia molto più che il medico competente” Nel corso degli stessi anni la formazione ha progressivamente assunto una rilevanza strategica sempre maggiore, talora anche di supplenza impropria ri96
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spetto alle mancanze e/o inadeguatezze di altre e più specifiche funzioni a partire dalla normazione, dalle politiche, dalla regolazione e dalla contrattazione. La nascita e le crescenti dotazioni finanziarie dei 14 Fondi interprofessionali, nonché l’intervento pubblico a vario titolo prodotto in materia, rappresentano una testimonianza significativa di questa importanza strategica assegnata alla formazione. E occorre pur tuttavia riconoscere che l’insieme di questo sforzo organizzativo e finanziario, che è significativamente implementato dal D. Lgs. 81/08,6 non ha finora prodotto tutti i risultati attesi e che la formazione sia pubblica che privata non ha assolto, se non parzialmente , i compiti che le erano stati assegnati. Anzi è proprio sui nuovi rischi (ancora ad esempio sullo stress) si manifestano quasi esemplarmente antichi limiti della formazione che “piuttosto hanno contribuito a creare allarmismo e “nuova carta” da allegare ai Documenti di Valutazione dei rischi cui non corrisponde una effettività di misurazione e di soluzione nei casi in cui si evidenzia il rischio sopra descritto” (Rapporto pagina 39). Permangono in tal modo nel campo della formazione problemi seri di efficacia ed efficienza e non sempre le risorse consistenti utilizzate si traducono in risultati certi e verificabili per i soggetti individuali e collettivi cui erano destinate. A questo stato di cose si è cercato di ovviare nel tempo attraverso una molteplicità di strumenti e procedure tutte interne alla produzione di formazione (accreditamenti, strutturazioni di punteggi a base dei bandi di gara, qualificazione tecnico-logistico delle società di progettazione e gestione etc.). Da ultimo va rilevato il perdurante fallimento del tentativo di introdurre criteri e procedure di valutazione ex post dell’evento formativo sostanzialmente autoreferenti e scarsamente incisivi od anche di ovviare a tale situazione attraverso la reiterata ed ormai pletorica produzione di linee-guida per lo più assolutamente ininfluenti sulle pratiche del mercato. Oggi una particolare preoccupazione è determinata dall’allargamento progressivo di questo mercato nel quale la regolazione è resa sempre più spuria da evidenti elementi di commistione tra regolati e regolamentati, dalla debolezza di una domanda qualificata, dalla sostanziale autoreferenzialità dell’offerta e, da ultimo, dell’ingresso di nuovi soggetti e di nuove figure con una scarsa attitudine alla qualità del servizio effettivamente reso. 6. Non a caso, su proposta delle OOSS il Decreto prevedeva l’avvio di una campagna straordinaria di formazione ed informazione, che avrebbe dovuto essere condivisa dalle istituzioni e dalle parti sociali, dotata di una significativa dotazione finanziaria. Al momento in cui scriviamo rimane ancora tutta da discutere l’impostazione della Campagna nazionale, fortemente criticata da tutte le parti sociali presenti nella Commissione consultiva, per la quale il Ministero del Lavoro ha riservato ben 20 mln di euro (a fronte dei 30 riservati alle Regioni).
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Per questi motivi, rinunciando per brevità a soffermarmi sui tanti spunti che offre la lettura del Rapporto, vorrei limitarmi ad evidenziare alcuni nodi e formulare alcune proposte su quelli che appaiono nodi essenziali per un proficuo e realmente condiviso impegno nell’immediato futuro. Gli elementi di criticità dell’attuale sistema della formazione erano state del resto poste chiaramente in evidenza nel “Rapporto conclusivo del progetto di monitoraggio e controllo dell’applicazione del Dlgs 626/94” promosso dal Coordinamento delle Regioni che aveva riguardato 8.900 imprese ed oltre 740.000 lavoratori. “Sono poco utilizzati – si legge nel Rapporto – metodi di verifica dell’apprendimento e modalità dedicata per nuovi assunti o per esposti a rischi gravi e immediati…” “Anche questo aspetto ribadisce come le aziende si muovono per rispondere al mero adempimento formale alle norme invece di realizzare un processo informativo e formativo dei lavoratori che incide sui loro comportamento e li rende partecipi del sistema di prevenzione aziendale” (pag. 99). Ed ancora “l’evidenza empirica del profilo di una formazione separata dalle competenze e dall’abilità dell’operare quotidiano nell’azienda ed affidato a figure a prevalenza tecnica e spesso estranee alla vita aziendale quotidiana quali consulenti esterni” (pag. 98). “… In sostanza la formazione – concludeva il Rapporto - non sembra essere percepita come un elemento della qualità totale” (ibidem). Nel corso di questi ultimi anni, anche in assenza di ricerche specifiche, si può comunque rilevare un relativo miglioramento della qualità della formazione ed una più diffusa presenza di casi di eccellenza. Questo però è il frutto di azioni positive di singole esperienze piuttosto che di un condiviso disegno di innovazione prodotto dalle parti sociali e dalle istituzioni. Sotto questo profilo mi sentirei di proporre in primo luogo, cogliendo appieno gli spunti offerti dal Rapporto Aifos, la riproposizione di un monitoraggio su larga scala sulla qualità, sull’efficienza e sulla efficacia della spesa di formazione che faccia seguito a quello operato dalla Conferenza delle Regioni nel 2004. L’attenzione della ricerca dovrebbe riguardare analiticamente l’articolazione settoriale e di comparto della formazione assumendo come criterio regolatore il dettato dell’articolo 37 del Decreto che prevede esplicitamente per i Rls una formazione (per almeno 12 ore delle 32 obbligatorie) “sui rischi specifici” dell’impresa, del settore e del comparto lavorativo. Sotto questo profilo è evidente ad esempio la difficoltà dello stesso Rapporto Aifos a cogliere oltre un certo limite la molteplicità che si manifesta nell’insieme delle situazioni lavorative. Qui infatti, nei settori e nei comparti produttivi, si manifesta con particolare chiarezza la qualità articolata della domanda di formazione espressa dai lavoratori e registrata con spunti anche suggestivi dal Rapporto. 98
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Nel capitolo 3.1 ad esempio (Migliorare le conoscenze nell’ambiente di lavoro) il Rapporto registra positivamente in via generale come i lavoratori ritengano utile che la formazione debba approfondire i seguenti aspetti: i rischi della mansione effettivamente svolta (59 % tra molto e moltissimo), la sicurezza e la salubrità ambienti di lavoro (69,70 %), la protezione sanitaria (64,40 %) e l’uso delle attrezzature individuali (64,10%).7 Dati di questa natura del resto sono corroborati da recenti indagini settoriali anche di grandi dimensioni come quella effettuata appena nel 2008 dalla Fiom nel settore metalmeccanico che ha riguardato circa 100.000 lavoratori e lavoratrici.8 In questa indagine il significato delle priorità registrato dal Rapporto tende ad articolarsi ulteriormente in base alle specifiche condizioni lavorative: le lavoratrici ed i lavoratori intervistati percepivano una esposizione per buona parte del loro tempo di lavoro (da sempre a tre quarti del tempo) a: rumori molto forti (43% dei casi e 43 % se operai in genere e 60% se operai di terzo livello), vibrazioni (38%, 50,3 %, e 56%), vapori, fumi, polveri e sostanze chimiche (33,2%, 43,3% se operai) etc. Anche questi dati confermano, ai fini del nostro ragionamento, due punti essenziali. a) La formazione ai lavoratori ed ai Rls va svolta nei luoghi di lavoro, sui rischi specifici delle prestazioni lavorative e sulla base di una domanda esplicitata di formazione. Nel caso richiamato ad esempio i “fumi, polveri e sostanze chimiche” significano una domanda di formazione adeguata (è poca e spesso fatta anche male) sulle Schede di sicurezza) normate dall'articolo 227 del D.Lgs 81.9 b) La qualificazione del formatore va ridiscussa dalla Commissione consultiva soprattutto “tenendo conto delle peculiarità dei settori di riferimento” e dunque ridefinendo le effettive tipologie (tecniche ed organizzative) delle competenze richieste. Proprio per questi motivi, anche qui cogliendo i principali spunti del Rapporto, mi sentirei di ri-proporre l’apertura immediata di un confronto (nell’ambito della Commissione consultiva) ai fini della rapida definizione dei provvedimenti attuativi del Decreto 81 (formazione Rls, libretto formativo etc), la contestuale ri-definizione degli Accordi interconfederali in materia di SSL ed anche (se ne discute troppo poco nonostante alcune sollecitazioni dello stesso 7 Queste percentuali salgono tutte sopra il 90 % ove si computi la quota dei lavoratori che indicano in “abbastanza” l’importanza di questi temi ai fini delle attività di formazione. 8 Sintesi dei risultati dell’inchiesta nazionale sulla condizione delle metalmeccaniche e dei metalmeccanici in Italia “La voce di 100.000 lavoratori e lavoratrici” Fiom maggio 2008. 9 Oggi, a seguito dell'emanazione del Decreto Legislativo 133/09 (settembre) la mancata osservanza di questo obbligo è punita con sanzioni amministrative pecuniarie molto pesanti determinate dalla pericolosità dell'oggetto (malattie professionali) in questione.
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Ministro) una profonda riflessione del ruolo che possono e debbono assumere i Fondi Interprofessionali.10 La formazione promossa dai Fondi ad esempio dovrebbe promuovere efficacemente l'innovazione organizzativa e tecnologica delle imprese (anche in sinergia con l’adozione di opportuni sistemi premiali Inail di cui stiamo discutendo in questi giorni) l’adozione nelle imprese di sistemi di gestione certificati (Uni, Ohsas 18001) favorendo l'introduzione di sistemi di gestione integrati, con particolare attenzione a quelli che prevedono (EMAS) procedure formalizzate di partecipazione dei lavoratori e di confronto preventivo con le rappresentanze od anche di modelli semplificati, ma esaustivi, di SGS per le PMI. In questo stesso quadro di promozione potrebbe (ed anzi dovrebbe) rientrare la promozione, soprattutto per le medie e grandi imprese, della sottoscrizione di Accordi Volontari di modello europeo basati sulla reale effettività, verificabilità e controllo degli impegni liberamente assunti dalle parti firmatarie. Una particolare attenzione infine dovrebbe rivolgersi alla individuazione qualitativa delle migliori prassi di formazione che si sono determinate sui territori e nei settori, di quelle che hanno in buona sostanza anticipato alcuni elementi della riforma operata dal Decreto 81/08 od anche di quelle che, in attuazione delle innovazioni normative, hanno prodotto modelli condivisi dalle parti sociali. E’ il caso, anche qui per fare un solo esempio significativo, dell’accordo sottoscritto nel marzo di quest’anno da Cgil, Cisl, Uil, Confindustria Verona ed Api Verona. Il percorso formativo adottato in particolare prevede che una parte venga svolta in azienda (quella sui rischi specifici), con il coinvolgimento delle figure aziendali (Datore di Lavoro, RSPP, Dirigenti e/o preposti aziendali e Medico Competente). Tale parte deve essere certificata attraverso la compilazione di un Verbale dell’attività svolta. Il RLS corsista, durante la realizzazione del corso, in aula ed extra aula deve compilare, in collaborazione con le figure aziendali, una check list di valutazione del sistema di gestione aziendale e una check list sugli aspetti tecnico/igienistici della sicurezza al fine di individuare i rischi aziendali e le relative misure di prevenzione e protezione adottate oltre agli aspetti gestionali. Questo modello, ritengo, costituisce non solo una buona prassi ma anche un accordo suscettibile di “valorizzazione anche mediante rinvio legislativo” (art. 1 comma 5 lett. L)). Su tutto però, come sempre, prevale la volontà politica, il riconoscimento esplicito dei punti di vista e la disponibilità all’ascolto. 10 il budget complessivo 2008 dei fondi interprofessionali sul capitolo formazione su SSL è valutabile in oltre 40 mln/€. Va sottolineato altresì che il tema di salute e sicurezza viene sviluppato in quantità importanti anche in certo numero di progetti nei bandi di carattere. Sarebbe importante operare una valutazione sistematica e comparativa della qualità degli interventi dei vari Fondi valutandone ad un tempo gli esiti organizzativi oltre che formativi.
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7.
CINZIA FRASCHERI Responsabile nazionale Cisl per la Salute e Sicurezza sul Lavoro
A pochi mesi dal varo ufficiale dell'articolato conclusivo del percorso di riforma della disciplina generale in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro11, iniziato con la promulgazione della legge delega n.123 del 2007, e conclusosi con l'emanazione del decreto legislativo “integrativo e correttivo” n.106 del 200912, avere a disposizione un insieme di dati raccolti su di un campione significativo della popolazione lavorativa13, alla luce delle nuove disposizioni legislative vigenti, raccolte nell'«unico testo normativo»14, (il d.lgs.81 del 2008 s.m.15), non può che rappresentare un grande contributo alla riflessione sul tema e alla pianificazione e programmazione degli interventi sul livello nazionale, a partire dall'elaborazione di specifiche politiche di Il progetto di riordino trova le sue origini nella legge 833 del 1978, che nell'ampio intervento di riforma sanitaria da questa introdotto, prevedeva, all'art.24, una delega specifica al Governo con l'obiettivo di riordinare «la disciplina generale del lavoro e della produzione al fine della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, nonché in materia di omologazioni, unificando e innovando la legislazione vigente tenendo conto delle caratteristiche della produzione al fine di garantire la salute e l'integrità fisica dei lavoratori, secondo i principi generali indicati nella presente legge». Falliti negli anni gli svariati tentativi di attuare il mandato, dopo trent'anni, con il d.lgs. 81 del 2008, si è giunti a coronare il progetto di riassetto e riforma. I criteri direttivi, previsti nel 1978, ai quali il testo legislativo avrebbe dovuto uniformarsi, è interessante riscontrare che si ritrovano quasi interamente riproposti nella legge delega 123 del 2007. 12 Cfr. d.lgs.106, del 3 agosto 2009, pubblicato in G.U. n.180, del 5 agosto 2009, S.O. n.142/L. 13 Il Rapporto AIFOS 2009 si basa su di un campione composto da 3000 lavoratori e da 1000 RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza), rappresentativi per fasce di età, genere, rapporto contrattuale, dimensionalità aziendale e settore produttivo. 14 Riportiamo per fedeltà al testo e per correttezza giuridica, la dicitura che puntualmente utilizza il legislatore all'art.1, comma 1, primo periodo, del d.lgs.81 del 2008, confermando indirettamente – come se fosse necessario – che il provvedimento legislativo non è un Testo Unico (essendo un decreto legislativo) e che pertanto, non dovrebbe mai essere così identificato, anche utilizzando forme lessicali non giuridicamente accettabili come «c.d. “testo unico”». 15 Dovendo considerare oggi il d.lgs.81 del 2008 un testo “definito” e interamente vigente, per potervi fare riferimento, considerando l'articolato anche alla luce delle modifiche apportate dal d.lgs.106 del 2009, la dicitura che deve essere utilizzata non può che prevedere la precisazione, dopo il numero e l'anno, dell'acronimo <s.m.> che significando <successive modifiche>, sottolinea la composizione del testo originario, integrato e modificato con i provvedimenti varati nell'agosto del 2009. 11
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prevenzione e protezione16. Dovendo riscontrare che la ricerca condotta da Aifos è stata svolta nei mesi primaverili di quest'anno e che il d.lgs.106 del 2009 ha visto la pubblicazione nel mese di agosto u.s., i risultati a disposizione, pur rappresentando lo scenario precedente all'ultimo atto di riforma, vanno senz'altro considerati quanto mai indicativi ed interessanti, tenuto conto che i temi maggiormente indagati dalle domande poste agli intervistati, non hanno subito rilevanti modifiche da parte del decreto correttivo. Una riflessione diversa invece (che non può essere trascurata nell'analizzare i dati della ricerca e che ne rafforza il valore dei risultati) deve porre in evidenza la circostanza che al momento della raccolta delle risposte dei lavoratori e dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (di seguito, RLS) già 12 mesi erano trascorsi di vigenza delle disposizioni previste dal d.lgs.81 del 2008 (attivo dal 15 maggio 2008) e che pertanto le prescrizioni introdotte non godevano più di alcuna riserva dettata dalla novità. Molti sarebbero gli spunti di riflessione sull'intero pacchetto di informazioni che dai dati emergono, ma volendo rispettare l'equilibrio dei diversi contributi di analisi che il Rapporto raccoglie, diviene utile concentrare il ragionamento su due assi tematici di diretta e specifica competenza sindacale: la rappresentanza e lo svolgimento del ruolo da parte del RLS. Una prima riflessione deve essere rivolta ai dati che emergono in relazione alla figura del RLS. Nelle aziende che occupano fino a 15 lavoratori (nella ricerca, divise in due fasce dimensionali: da 1 a 5 lavoratori e da 6 a 15 lavoratori) dai dati in percentuale risulta che vengono a concentrarsi il più alto numero di RLS di tutto il pacchetto di aziende indagato (precisamente pari al 74%, frazionandosi invece, in percentuali minime, per le altre fasce dimensionali – item 122). Il risultato, non certo scontato ed atteso, richiama l'attenzione non solo per la novità che rappresenta, tenuto conto che dai risultati a disposizione da parte del grande (ultimo) monitoraggio svolto dalle Regioni sotto la vigenza del d.lgs.626 del 199417, nelle realtà lavorative di più piccola dimensione la figura del RLS era molto spesso assente (o sostituita dalla figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale – di seguito RSLT), ma anche alla luce del collegamento che si deve fare con l'altro dato che emerge dal Rapporto In questo senso, ecco che la speranza che la “cabina di regia” nazionale (precisamente, il Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ex art.5) possa al più presto avviare formalmente i lavori, essendo già stata costituita, e possa iniziare a svolgere il suo compito basando le proprie azioni sui dati provenienti, in particolare, dal SINP (ex art.8). 17 Cfr. Sintesi del rapporto conclusivo sul progetto “Monitoraggio e controllo sull’applicazione del D.Lgs.626/94 nei luoghi di lavoro”, Regioni e Province Autonome, 2003. 16
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e che indica nel 71% dei casi l'individuazione del rappresentante mediante elezione diretta da parte dei lavoratori (item 103). Se da un lato, il dato che si registra è quanto mai coerente (vista la scarsa presenza delle componenti sindacali nelle realtà aziendali di micro o piccola dimensione), dall'altro, tale risultato pone un grande interrogativo sul capire l'informazione sui propri diritti di rappresentanza, in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, queste piccole popolazioni lavorative dove possono averle attinte e, al contempo, di quale ampia libertà di espressione e votazione possano godere, al punto di decidere di eleggere un rappresentante interno, anziché territoriale, a fronte in un numero minimo di addetti in azienda, considerando anche la non ampia disponibilità di tempo per ciascun lavoratore in una piccola realtà lavorativa e pertanto la scarsa possibilità di godere a pieno delle agibilità previste per la figura del RLS interno, a partire anche solo dalla frequenza al corso di formazione (che ricordiamo essere di, almeno, 32 ore). Con il varo del d.lgs.81 del 2008 s.m., avendo superato il modello previgente, mediante il quale la ripartizione della rappresentanza avveniva sulla base della dimensionalità della realtà lavorativa (sotto e sopra i 15 dipendenti), la presenza del RLS oggi è legata esclusivamente alla scelta da parte dei lavoratori che, in caso di mancata elezione/designazione del proprio rappresentante interno, vengono ad essere automaticamente garantiti nel loro diritto di rappresentanza dall'attribuzione di un RLST, per il quale il datore di lavoro dovrà versare, in un Fondo dedicato18, una quota per il sostegno dello svolgimento del ruolo. Quindi, alla luce dei dati che l'indagine presenta sembrerebbe proprio che, con l'avvento del d.lgs. 81 del 2008 s.m. i lavoratori, “da un giorno all'altro” abbiano non solo conosciuto approfonditamente le nuove regole sulla rappresentanza introdotte dalla riforma, ma anche che le abbiano immediatamente poste in essere, a partire dalle più piccole realtà aziendali. Di certo non è facile interpretare le risposte fornite in un intervista o al contempo cogliere nel profondo le ragioni che stanno alla base di risultati frutto di percentuali ottenute dall'insieme di contributi diversi, ma al contempo, senza forzare la veridicità del risultato, una riflessione non può non essere fatta ponendo a confronto il dato registrato dall'inchiesta, in relazione alla cospicua presenza di RLS nelle micro e piccole imprese, alla luce del fenomeno verificatosi nei mesi immediatamente successivi all'entrata in vigore dell'obbligo per i datori di lavoro di comunicare all'Inail (pena il pagamento di una sanzione in caso di mancata comunicazione) del nominativo degli RLS aziendali eletti nelle proprie realtà lavorative. Tale disposizione, nuova e forse 18 Il riferimento è alla disposizione prevista dal d.lgs.81 del 2008 s.m., all'art.52, nel quale è prevista l'istituzione del <Fondo di sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla pariteticità>.
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non del tutto chiara nella descrizione da parte del dettato normativo e in base alle indicazioni operative divulgate dall'Inail, ha prodotto in breve tempo confusione e allarme (favorito dai consulenti del lavoro dei piccoli imprenditori), spingendo i datori di lavoro, con la paura di dover pagare la sanzione, a favorire l'elezione degli RLS interni in tutte quelle realtà lavorative nelle quali i lavoratori non avevano assolto al loro diritto/dovere e per il quale, fino al quel momento, il datore di lavoro non si era certo premurato di favorirne il procedimento elettivo o di informare i lavoratori del loro diritto correlato alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. A fronte del dato che dall'indagine Aifos emerge, a questo punto sembra proprio che il fenomeno qui descritto abbia in breve tempo coinvolto molte più realtà lavorative di quanto si potesse immaginare, facendo così lievitare il numero di RLS “di comodo” nei contesti lavorativi di minore dimensione e/o in assenza di presidio sindacale. Tale affermazione, non corredata di certezza, pone senz'altro però la necessità di una riflessione profonda sul fenomeno che, dal combinato disposto dei dati riferiti all'aumento esponenziale delle presenza di RLS aziendali nelle più piccole realtà lavorative, si afferma con significativa rilevanza, correlandosi temporalmente con l'avvio delle novità legislative apportate dalla riforma. Rimanendo in tema di rappresentanza, dall'analisi di alcuni altri dati, se un plauso va rivolto indiscutibilmente ai ricercatori Aifos per la scelta del metodo di indagine attraverso il quale è stata svolta la ricerca, accompagnando l'erogazione dei questionari con un'intervista personale a ciascun soggetto, supportando in questo modo i lavoratori (e gli RLS) verso una giusta comprensione dei quesiti ed una puntuale compilazione, il margine di rispondenza delle affermazioni date con la realtà vissuta, tenendo conto del contesto al quale le domande si riferiscono (quello lavorativo) e del naturale condizionamento che ne deriva alla libertà nel fornire le risposte da parte dei lavoratori su domande relative alle condizioni di lavoro, si deve necessariamente tener conto di un margine più o meno ampio di distanza dalla verità delle affermazioni fornite, senza per questo non coglierne l'apporto rilevante e significativo del quadro generale che risulta e che con il Rapporto Aifos viene offerto. Sul piano delle relazioni interne aziendali, in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, confrontando i dati che convergono sul rapporto tra l'RLS e la figura del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (di seguito, RSPP), ad una prima analisi sembrerebbe delinearsi un rapporto a somma più che positiva, tenuto conto che non solo sul piano della mera conoscenza i risultati sono entusiasmanti (il 92% degli RLS afferma di sapere chi è l'RSPP e l'82% di avere anche il telefono – items 72 e 73), ma la conferma maggiore giunge dal piano della collaborazione tra le due figure, tenuto conto che gli RLS affermano (con una percentuale del 73%) di avere rapporti di collaborazione <fissi e costanti> con i propri RSPP (item 101), 104
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determinando in questo senso non solo la (buona) frequenza di un rapporto, ma anche la (rilevante) qualità di questo, sulla base di una certezza e metodicità di incontri. A tale quadro incoraggiante, però, si frappongono altri dati provenienti dall'indagine che sembrano non confermare, se non contraddire, ma di certo innescare alcuni dubbi di coerenza tra le risposte fornite e il quadro generale che si delinea. Quel RSPP che risultava essere così assiduo nel confronto con l'RLS, si scopre (analizzando altri dati) che nella quasi metà dei casi (il 57% per esattezza) è un ruolo che viene svolto dallo stesso datore di lavoro e che nel restante 22% dei casi è una figura esterna all'impresa (item 71). Confrontato con il panorama delle aziende di appartenenza degli intervistati, il dato relativo alla figura del RSPP, se di certo è coerente, tenuto conto del numero significativo di realtà lavorative di micro e piccola impresa (come precedentemente affermato e commentato), rapportato ad uno stile di collaborazione basato su di un rapporto costante e continuo con l'RLS (come abbiamo visto confermato dai dati), risulta essere un'informazione alquanto straordinaria, sia valutando i tanti impegni di un datore di lavoro di una piccola realtà lavorativa, chiamato ad occuparsi di tutte le questioni relative all'azienda, sia considerando, nel caso di RSPP esterno, i tanti contesti lavorativi che si trova a seguire, ancor più se impegnato con svariate piccole realtà aziendali dislocate sul territorio locale. Stessi dubbi sorgono nell'analizzare i dati relativi al documento di valutazione dei rischi (di seguito, DVR). Difatti, una buona qualità del rapporto tra RLS e RSPP, lascerebbe pensare a delle percentuali alte di consultazione sul DVR e ad una consegna copiosa del documento, e invece i dati sembrano smentire tale ipotesi, registrando un solo 35% di risposte affermative in relazione all'avvenuta consegna del DVR (item 80) ed un 40% di conferme riferite ad un'azione di mera “visione” del DVR da parte degli RLS (item 79). Controversi, per finire, anche i dati relativi alla preparazione degli RLS. A fronte di un risultato più che soddisfacente riferito al dato sullo svolgimento del corso di formazione base (l'89% afferma di averlo frequentato - item 97), lascia quanto mai perplessi la percentuale del 41% di RLS che afferma di non aver frequentato alcun corso di formazione nell'ultimo biennio, trovando una trasversale sconfessione nel registrare che, un ampio 84% di RLS dichiara di sapere che dovrà frequentare almeno un corso di aggiornamento (informazione che, essendo legata alle novità apportate dal d.lgs.81 del 2008 s.m., si immagina non possa che essere stata appresa nei mesi scorsi in occasione di qualche evento formativo) e che il 54% degli RLS intervistati ammette di aver già svolto qualche momento di formazione riferito alla nuova legislazione di riforma (item 100) negando pertanto l'altro dato fornito, sull'assenza di proposte formative negli ultimi due anni sul tema. Sarebbe di certo ingeneroso e non corretto attribuire le incoerenze di risultato delle singole risposte alla qualità di una ricerca così ampia, interessante ed attuale come quella svolta dall'Aifos, ma altrettanto non giusto sarebbe 105
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sottovalutare e non cogliere i segnali che dal quadro di inseme dei risultati emergono con forza e rilevanza. Tralasciando le considerazioni che dovrebbero essere fatte sul tema della formazione e con essa dell'addestramento ed informazione, argomenti ampiamente indagate dalla ricerca, e concentrandosi sul tema in parola di questa breve riflessione, si può affermare che il cammino verso la conferma di un'azione di tutela costante e radicata della salute e sicurezza sul lavoro, in tutti i contesti lavorativi, è ancora lungo e che la pratica di un modello di relazioni interne basato sulla partecipazione è un obiettivo al quale tendere, ma che ancora oggi risulta essere lontano da realizzare. Le difformità di risposta che giungono dagli RLS, ci fanno capire come non solo i valori della chiarezza, conoscenza e competenza sono distanti da ritenersi patrimonio di tutti, ma che il clima di libertà nel poter denunciare situazioni di mancata osservanza delle regole, di carente rispetto dei precetti normativi e di rinnegata salvaguardia delle regole fondamentali relative ai diritti dei lavoratori/trici nei posti di lavoro, è diffusamente minacciato, crescendo di intensità in modo inversamente proporzionale alla dimensione dell'azienda. Per poter favorire un reale salto culturale verso un'affermazione concreta e profonda dei principi della tutela della salute e sicurezza sul lavoro non solo occorrerà spingere sulla crescita culturale di ogni singolo lavoratore/trice (la conoscenza rende sicuri e liberi), ma anche sul supporto e sostegno da garantire alle realtà aziendali, a partire da quelle più piccole, da parte di interventi esterni, in grado di promuovere modelli paritetici adeguati, competenti ed interessati unicamente al bene dell'impresa, considerata nella sua accezione più ampia, quale mix costante e mutevole tra dimensione del lavoro e dimensione umana tra quel“capitale e lavoro” posto alla base del processo produttivo di sempre, che oggi reclama con forza la messa al centro della donna e dell'uomo, nel più ampio e complesso sistema lavoro.
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8.
GABRIELLA GALLI Responsabile nazionale Ufficio salute e sicurezza sul lavoro Uil Dipartimento Sviluppo sostenibile
La nostra valutazione dei dati resi disponibili dall’inchiesta Aifos tiene conto delle caratteristiche del campione dei lavoratori/Rls intervistati con riferimento in particolare al territorio (53,85% Nord Italia) e alla tipologia delle aziende di appartenenza. La maggior parte degli Rls (73,5%) e dei lavoratori (60%) intervistati opera infatti in aziende di piccolissime dimensioni (fino a 15 dipendenti), una prima osservazione riguarda quindi, per quanto riguarda gli Rls, l’eccezionalità della presenza della figura di rappresentanza in materia di salute e sicurezza a livello aziendale nella dimensione d’impresa 1-15 dipendenti. Non disponendo di una banca dati nazionale dei Rls non è possibile confermare con dei dati quello che la conoscenza basata sull’esperienza ci permette di affermare, ovvero che nella maggior parte delle aziende con meno di 15 dipendenti gli Rls aziendali non sono presenti. Né è possibile fare, in mancanza dei dati generali, un riferimento al territorio. Pensiamo quindi di poter avanzare in conclusione due ipotesi: Prima ipotesi: - le aziende di appartenenza dei Rls intervistati sono, nel contesto della microimpresa, aziende particolarmente virtuose, di un livello di cultura in materia di salute e sicurezza piuttosto elevato se i lavoratori hanno avuto la possibilità di individuare un Rls aziendale Seconda ipotesi - indubbiamente meno positiva, fa riferimento alla attuale fase storica e all’entrata in vigore dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 18 comma 1 lettera aa) del D.Lgs. 81/2008; tale obbligo (inclusa la relativa sanzione) e il timore di dover contribuire al Fondo di cui all’Art.52 (dovendo quindi fare riferimento nei prossimi mesi ad un Rls territoriale), ha indotto molto datori di lavoro di microimprese a mettere da parte resistenze alla individuazione di Rls aziendali e a sollecitare la loro elezione da parte dei propri dipendenti. A sostegno di questa ipotesi citiamo quel dato del 41% di Rls che dichiara di non aver “seguito corsi di formazione” nell’ultimo biennio (potendo tuttavia ipotizzare anche un lasso di tempo più lungo).
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Dato sicuramente negativo in sé ma che potrebbe essere più comprensibile se partiamo dall’assunto che può trattarsi di Rls appena individuati sull’onda degli obblighi di comunicazione previsti dal decreto 81. Altri dati confermano questi aspetti di criticità in coerenza con la seconda ipotesi se si considera che la stragrande maggioranza dei lavoratori (78%) dichiara che ha imparato a svolgere il proprio lavoro per esperienza diretta maturata da solo sul posto di lavoro e che non ha ricevuto nessuna formazione al lavoro in azienda, mentre solo il 10% ha iniziato l’attività in affiancamento. Fa riflettere invece, anche se di difficile interpretazione come dato generale, senza poterne conoscere le motivazione, quel dividersi quasi a metà tra gli Rls che si dichiarano soddisfatti della formazione ricevuta (55%) e quelli che non lo sono (42%). Altrettanto interessante è il diffuso interesse dei lavoratori (73%), confermato dall’esperienza, alla formazione sui temi di salute e sicurezza per migliorare l’organizzazione del lavoro ed essere in grado di partecipare alla soluzione dei problemi, così come interessante è il giudizio positivo relativo alla maggior autonomia conseguita attraverso la formazione e lo scetticismo che si rivela a proposito delle possibilità di carriera. Anche tutto questo è confermato dall’esperienza e descrive un quadro che sottolinea come la attenzione/interesse alla formazione sia ancora un valore più individuale che aziendale. Evidenziamo inoltre - per inquadrare meglio il rapporto tra formazione erogata e utenti - la necessità di acquisire ulteriori informazioni/dati in merito alle metodologie utilizzate in azienda per far sì che la formazione sia efficace e che i lavoratori siano motivati a partecipare alle iniziative, pertanto sarebbe stato interessante conoscere anche tramite una specifica domanda rivolta a lavoratori e Rls: - con quali metodi si rilevano i bisogni formativi in azienda; - se e come si discute nell’ambito della riunione periodica il piano formativo aziendale in materia di salute e sicurezza; - se l’azienda utilizza i Fondi interprofessionali per il finanziamento di piani formativi aziendali o territoriali e come il Rls ha contribuito alla eventuale definizione ed approvazione di tali piani.
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Consideriamo d’altronde assolutamente condivisibile l’opinione positiva (manifestata dalle Organizzazioni sindacali in più contesti) espressa dalla stragrande maggioranza dei lavoratori (80%) in merito alla formazione in azienda fatta in affiancamento e con la presenza di un esperto, quindi sul posto di lavoro e “vicino alla macchina discutendo con uno o più compagni di lavoro”. Il giudizio equamente suddiviso tra positivo e negativo rispetto alla formazione d’aula e alla Formazione a Distanza (FaD) riflette, oltre all’aver vissuto possibili particolari esperienze critiche, una visione non coordinata (perché questa integrazione non è per lo più praticata) dell’utilizzo di più momenti formativi caratterizzati da diverse modalità. Articolazione Coordinamento che potrebbe prevedere, in presenza di un costante monitoraggio e della registrazione dei fabbisogni: -
la formazione nell’ambito di momenti di confronto e discussione a livello di reparto e il rinvio all’aula o alla Fad dove possibile, cosi come all’intervento di un tecnico in affiancamento solo in un momento successivo se ritenuto necessario.
Insistiamo quindi sulla necessità di sviluppare ulteriori indagini per disporre di maggiori conoscenze che ci permettano di intervenire sulla assenza nelle aziende, non solo nelle piccole ma spesso anche in quelle medio grandi, di una procedura di rilevazione e gestione dei fabbisogni formativi. Procedura che ovviamente ha un nesso stretto con l’analisi degli errori, dei mancati infortuni e degli infortuni e dell’utilizzo di corretti modelli di analisi delle modalità di accadimento degli stessi: particolarmente interessante, perché condiviso da Regioni Inail Ispesl, il Modello Sbagliando si impara utilizzato nell’ambito del Sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e applicato già nelle imprese. Modello la cui efficacia, come Uil, abbiamo direttamente sperimentato e intendiamo continuare a farlo, anche nella formazione aggiuntiva degli Rsl gestita dal sindacato. Un ulteriore elemento, su cui sarebbe utile indagare (per poter intervenire con progetti e modalità formative coerenti) è rappresentato, in particolare nelle piccole imprese, dalla necessità di promuovere percorsi o momenti formativi che prevedano il coinvolgimento ( perché no anche simultaneo) di tutte le altre figure aziendali, datore di lavoro in primo luogo e proposti, considerando l’importanza del fattore coerenza tra obiettivi del progetto formativo e prassi aziendali.
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Va sottolineato inoltre che i comportamenti errati di lavoratori e lavoratrici (che secondo il Sistema di sorveglianza contribuiscono, insieme ad altri fattori determinanti, per il 38,5% allâ&#x20AC;&#x2122;accadimento di infortuni mortali) sono per lo piĂš noti, tollerati e condivisi nelle microimprese dallo stesso datore di lavoro e dai preposti.
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SAMY GATTEGNO Presidente Comitato Tecnico Salute e Sicurezza di Confindustria
Il Rapporto AIFOS 2009 fornisce un utile contributo alla costruzione di efficaci strategie di intervento in tema di formazione per la prevenzione dei rischi lavorativi ed è, per questo, espressione significativa di quell’impegno che tutti dobbiamo dedicare alla affermazione del valore etico, sociale e civile della salvaguardia della vita umana nei luoghi di lavoro. La sicurezza nei luoghi di lavoro è e rimane una priorità e non devono farci abbassare la guardia né la tendenziale riduzione del fenomeno infortunistico, né la crisi economica che stiamo attraversando. In questo senso, condividiamo il richiamo del Presidente della Repubblica a non attenuare ed anzi rafforzare, pur nelle attuali difficoltà, l’impegno delle imprese per la salvaguardia della salute e della sicurezza dei lavoratori. Proprio in coerenza con questo richiamo, le strategie da mettere in campo devono muovere anzitutto da una lotta senza quartiere al lavoro nero e all’economia sommersa, che restano la prima emergenza in quanto cause principali, quando non uniche, di povertà, precarietà, sfruttamento e morte. Altrettanto necessario, per abbattere lo “zoccolo duro” degli infortuni sul lavoro che purtroppo continuano ad accadere - sia pure in un quadro di progressiva contrazione del fenomeno - è rafforzare l’ interazione tra cultura d’impresa - intesa come cultura dell’innovazione e della ricerca - e cultura della sicurezza. Confindustria è impegnata su entrambi questi fronti. Ogni anno le imprese italiane spendono in media intorno a 29 miliardi di euro per innovazioni che aumentano la sicurezza attiva e passiva del ciclo produttivo (fonte Istat) e, per quanto ci riguarda, stiamo puntando ad una ulteriore sensibilizzazione e mobilitazione delle nostre imprese sui temi della crescita e dell’innovazione (progetto “Imprese x Innovazione”, avviato nel 2005 e tuttora in corso). Non basta però. Occorre intervenire anche sulla cultura della sicurezza. Su questo versante la nostra azione muove da una premessa: gli infortuni sul lavoro non si possono affrontare solo con leggi, norme, obblighi e sanzioni. La repressione è certo importante ma interviene dopo l’incidente e, dunque, non serve ad evitarlo. Da una rilevazione Censis del 2004 (“Il valore della sicurezza in Italia”) e dalle statistiche dell’Inail emerge che in Italia la maggiore parte degli infortuni avviene a causa di comportamenti individuali errati e che, ai fini della sicurezza, è determinante l’adozione di comportamenti corretti e responsabili da parte di ciascuno degli attori coinvolti: dal datore di lavoro a tutti i collaboratori dell’impresa. Per raggiungere questo risultato occorre in primo luogo che il processo di adattamento tecnologico dei mezzi di produzione avanzi di pari passo con l’arricchimento professionale dei lavoratori, ai quali sempre più vengono richiesti apporti qualificati e consapevoli. 111
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Attraverso il Fondo per la formazione continua (Fondimpresa), Confindustria, Cgil, Cisl e Uil finanziano la realizzazione di piani formativi finalizzati anche al miglioramento della cultura prevenzionale dei lavoratori, a tutela della loro salute e sicurezza sul posto di lavoro. Solo nel biennio 2008/2009, Fondimpresa ha erogato per la formazione in materia di sicurezza sul lavoro 39 milioni di euro. Inoltre ammontano a circa 38 milioni di euro le risorse spese per corsi di formazione sulla sicurezza, nell’ambito di piani formativi di portata più generale. Ulteriori 4 milioni di euro sono stati infine spesi per la diffusione della cultura della sicurezza. Servono tuttavia sforzi ulteriori ed un salto di qualità. In questo senso, è di rilevante interesse quanto emerge dal Rapporto AIFOS riguardo sia alle modalità di intervento utili a favorire una più efficace formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti (RLS), sia alla creazione nelle aziende di team di lavoro più dialoganti e ruoli organizzativi maggiormente sinergici. Una importante sollecitazione che si può cogliere nel Rapporto rimanda alla necessità di un approccio formativo più coinvolgente per tutto il personale e fondato su alcuni punti fermi, tra i quali meritano qui di essere richiamati: l’assunzione della formazione per la sicurezza quale fattore di cambiamento organizzativo, di miglioramento delle relazioni interne e di maggiore autonomia nel lavoro; la preferenza da accordare alla formazione aziendale in affiancamento (on the job), in luogo del minor interesse suscitato dalla formazione in aula, on line e mediante esclusiva distribuzione di materiale informativo documentale; la valorizzazione dell’esperienza individuale dei lavoratori e della analisi dei fabbisogni per la determinazione degli interventi formativi; l’esigenza di incrementare la formazione sulle emergenze; la necessità di accrescere la competenza e la consapevolezza informativa attraverso una comunicazione mirata, rispetto alla scarsa efficacia della comunicazione sui media; fornire adeguata risposta alla richiesta di maggiore formazione su sicurezza e salubrità dell’ambiente, sull’uso delle attrezzature, sulla protezione sanitaria, sulle specifiche mansioni svolte; l’implementazione della formazione “esperenziale”, mirata ad evitare il ripetersi degli infortuni attraverso l’esperienza degli eventi accaduti, ricostruita con il metodo del c.d. ”albero delle cause”; il miglioramento della comunicazione diretta tra i soggetti della sicurezza in azienda (RSPP, RLS, medico competente, incaricati delle emergenze, preposti);
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una gestione più efficiente degli adempimenti connessi alla valutazione dei rischi ed alla riunione periodica.
In questa stessa logica innovativa si colloca la scelta della Presidente Emma Marcegaglia, di istituire un apposito organismo statutario, il Comitato Tecnico Salute e Sicurezza, la cui missione principale è accrescere e diffondere tra gli imprenditori e i lavoratori la cultura della sicurezza, intesa come intima condivisione del valore etico, sociale ed economico della prudenza, della cautela e della eliminazione o riduzione del rischio in tutte le manifestazioni e gli ambienti di vita e di lavoro. Lungo questa direttrice, il Comitato si è articolato in Gruppi ristretti ed ha affidato a ciascuno di questi l’approfondimento di temi di grande rilevanza come la cultura della sicurezza nei giovani, la formazione alla sicurezza degli imprenditori, i sistemi di gestione aziendale della sicurezza, la comunicazione, l’analisi dei mancati infortuni, la sicurezza negli appalti, la sicurezza antincendi, la sicurezza nelle strade, la semplificazione, le procedure di sicurezza standardizzate, i prodotti per la sicurezza, la comparazione dei sistemi di sicurezza in Europa, le buone prassi nel sistema Confindustria. Il lavoro che è stato avviato e che sta già producendo i primi risultati ci consentirà di disporre di una base di riflessione estremamente utile alla elaborazione di possibili linee ed obiettivi per l’azione di Confindustria. Il filo rosso che lega tra loro molti di questi temi si può riassumere in un concetto: la sicurezza deve mettere radici nel patrimonio “culturale” degli individui (cittadini, prima ancora che lavoratori o imprenditori) e la prudenza, la diligenza, la cautela, il rispetto delle regole devono diventare un’abitudine, un riflesso automatico per tutti. A questo scopo occorre attivare adeguati strumenti educativi nei confronti dei giovani perché assimilino gradualmente stili di comportamento istintivamente sicuri per poterli praticare stabilmente nel loro futuro di adulti. Come Confindustria, vogliamo dare il nostro contributo in questa direzione, condividendo con l’Inail il progetto “Produciamo la Sicurezza”, con il quale dal prossimo mese di gennaio trasmetteremo ai bambini ed alle famiglie dei dipendenti delle nostre aziende i concetti di “sicurezza” e di “cultura d’impresa” attraverso una mostra itinerante di attività ludico didattiche nelle principali città italiane (a partire da Milano, Roma e Napoli). Si tratta naturalmente di processi di apprendimento graduali, che possono produrre risultati solo nel lungo periodo. Servono quindi anche interventi ad effetto più immediato.
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In questo senso abbiamo cominciato da noi stessi, mettendoci in gioco attraverso il progetto “Sviluppo Imprese in Sicurezza”. Un ciclo di incontri sul territorio, giunto tre giorni fa alla sua quinta tappa (Roma), organizzati insieme all’Inail e a Fondirigenti ed in stretto coordinamento con le nostre Associazioni. L’obiettivo è trasmettere ai vertici delle nostre imprese, specie le medie e piccole, un messaggio incentrato sulla “convenienza” della sicurezza quale fonte generatrice di valori sul piano delle relazioni e di valore sul piano economico. Con questa iniziativa puntiamo a rafforzare e sviluppare nelle aziende la stabile inclusione della sicurezza sul lavoro nelle strategie manageriali sia come imperativo etico e di legalità sia quale fattore organizzativo e competitivo. La salvaguardia contro gli infortuni e le malattie professionali deve diventare sempre di più elemento cardine attraverso il quale esprimere una buona gestione aziendale sotto il profilo dell’organizzazione del processo produttivo, degli investimenti in innovazione e manutenzione, dei correlati costi diretti e indiretti e del vantaggio competitivo che essi generano, dell’organizzazione aziendale del lavoro, del personale e delle sue figure rappresentative. Questa iniziativa persegue poi anche un altro obiettivo: in linea con una specifica previsione della Strategia Europea per la salute e sicurezza 2007-2012, mettere in luce, valorizzare e diffondere le esperienze positive poste in essere dalle aziende ed associazioni industriali per il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro. Disporre di una banca dati di buone prassi può risultare infatti di grande ausilio per l’efficace attuazione delle norme, poiché significa mettere a fattor comune soluzioni organizzative, procedurali, tecniche e tecnologiche già sperimentate con successo, a beneficio dei lavoratori e delle imprese. Un accenno infine al quadro legislativo riordinato dal decreto n. 81/2008 e modificato dal recente decreto n. 106/2009. Da sempre insistiamo per avere una normativa che consenta alle imprese di avere la certezza di aver correttamente adempiuto a tutte le norme. Norme certe, chiare e semplici favoriscono infatti una cultura della sicurezza svincolata dai formalismi e orientata al superamento del mero adempimento dei requisiti minimi imposti per legge. L’attuazione del provvedimento “correttivo” rappresenta una occasione importante da non perdere per puntare ad un sistema normativo orientato alla conoscenza, alla formazione ed alla consulenza, lasciando alle sanzioni una funzione certo necessaria ma residuale.
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10. ANNA GUARDAVILLA Autrice “Codice Salute e Sicurezza sul Lavoro” Questa inchiesta merita certamente un plauso se si considera che è condotta in un settore, quale quello della salute e sicurezza sul lavoro, nel quale l’effettività della tutela - e quindi la verifica della stessa - assume un ruolo determinante assurgendo a principio generale dell’ordinamento prevenzionistico sia a livello normativo che giurisprudenziale, in omaggio ad una logica sostanzialistica e non formalistica dei rapporti giuridici. E’ noto come, in particolare, il criterio di effettività conosca una sua specifica applicazione in materia di formazione (oltre che di informazione), parlandosi quindi di “principio di effettività della formazione”, in virtù anzitutto del dato normativo (così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità) che inquadra l’obbligo del datore di lavoro e del dirigente di erogare la formazione ai lavoratori come una obbligazione di risultato, allorché prevede, in una logica di continuità con quanto era già previsto dall’ormai abrogato decreto 626, che il datore di lavoro “assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche” sugli oggetti indicati nel seguito della disposizione (art.. 37 comma 1 in comb. disp. art. 18 c. 1 lett. l) D.Lgs. 81/08). Da una attenta lettura di tale norma ed in particolare del verbo “ricevere” che viene in essa utilizzato, si deduce che l’obbligo del datore di lavoro (e del dirigente) non è limitato all’erogazione dei corsi di formazione destinati ai lavoratori, bensì si sostanzia nell’obbligo di far sì (in termini di “provvedere”, “assicurare”) che il lavoratore “riceva” e quindi recepisca, assimili i contenuti e i messaggi trasmessi mediante il canale della formazione divenendo così in grado di applicarli e tradurli in prassi virtuose nella sua realtà lavorativa e quindi nello svolgimento delle mansioni che gli sono state affidate. Se ciò che viene richiesto al datore di lavoro è dunque il raggiungimento di un obiettivo concreto, legato all’apprendimento da parte del lavoratore e quindi ad un risultato verificabile nella pratica, lo strumento per il raggiungimento di tale risultato e quindi l’adempimento dell’obbligazione sottostante non può che essere inquadrato in termini fattuali, sostanzialistici e di reale raggiungimento dello scopo, e non certo in termini burocratici, formalistici ed astratti. Tale approccio “di fatto” alla materia della formazione e dell’informazione, che pone - come ci ricorda la Cassazione - la “necessità che l’istruzione sui rischi sia stata realmente recepita dai lavoratori”19 ed impone al datore di lavoro l’“adozione di misure concrete in grado di assicurare l’effettiva conoscenza del-
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Cass. Pen., Sent. del 20 gennaio 2006.
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le normative”20 antinfortunistiche e di igiene del lavoro, è stato a più riprese applicato dalla giurisprudenza di legittimità. La Suprema Corte, “interpretando il testo fondamentale in tema di norme antinfortunistiche - il D.P.R. n. 547/1955 - ha costantemente affermato che il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta “la sicurezza del lavoro” - che sono coloro che debbono, “ex lege”, garantire la incolumità psicofisica del lavoratore - è un compito molteplice, articolato, che va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e sulla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e, quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. In altri termini, il datore di lavoro o il “direttore della sicurezza del lavoro” debbono avere la cultura, la “forma mentis” del garante di un bene prezioso qual è certamente l’integrità del lavoratore; ed è da questa doverosa cultura che deve scaturire il dovere di educare il lavoratore a far uso degli strumenti di protezione e il distinto dovere di controllare assiduamente, a costo di essere pedanti che il lavoratore abbia appreso la lezione e abbia imparato a seguirla”21. Dalle parole della Cassazione si configura una funzione che si potrebbe definire quasi “pedagogica” del datore di lavoro, cui è attribuito un compito in primis educativo e poi di controllo assiduo, costante, fino alla pedanteria, sull’assimilazione delle istruzioni ricevute da parte del lavoratore. E la Suprema Corte prosegue: “questa cultura, a ben vedere, è imposta, richiesta, dalla Carta costituzionale, la quale, se nell’articolo 32 vede nella salute, nella integrità dell’individuo, un bene costituzionalmente rilevante in quanto interesse, sì, del singolo, ma anche interesse della collettività, negli articoli 2 e 3 pone le premesse teoriche, culturali appunto, di questa rilevanza assegnata al diritto alla salute, alla integrità, dicendo, nell’articolo 2, che “la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo [...] e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale, oltre che politica ed economica, e nell’articolo 3 aggiunge che “è compito della Repubblica [...] assicurare lo sviluppo della persona umana”. Nella concreta fattispecie, è incorso in colpa penale il datore di lavoro che “non ha fatto nulla di tutto ciò, non ha mostrato di avere quella cultura o “forma mentis”, che tutto il suo adoperarsi non è andato aldilà del mettere tra le
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Cass. Pen., Sent. del 27 ottobre 2005.
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Cass. Pen. sez. IV, 3 giugno 1995, n. 6486, Grassi.
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mani degli operai un “manuale con le istruzioni”, che gli operai, per nulla educati e stimolati, hanno distrattamente sfogliato”. La Cassazione ha poi avuto modo di ribadire a più riprese ed in maniera costante tale orientamento, con una serie di pronunce che sottolineano l’importanza della funzione educativa del datore di lavoro da svolgere soprattutto mediante la formazione, l’informazione e l’addestramento nonché la centralità dell’attività di controllo sull’assimilazione dei contenuti trasmessi e delle prassi veicolate attraverso tali strumenti, ormai specificamente definiti dall’art. 2 D.Lgs. 81/08. In tal senso è stato recentemente affermato dalla Suprema Corte che “gli obblighi che gravano sul datore di lavoro, e ciò vale anche in tema informazione e formazione, non sono limitati ad un rispetto meramente formale, come può essere quello derivante dalla predisposizione di opuscoli e lettere informative e dalla apposizione di cartelli, ma esigono che vi sia una positiva azione del datore di lavoro volta ad assicurarsi che le regole in questione vengano assimilate dai lavoratori e vengano rispettate nella ordinaria prassi di lavoro”22. E ancora, “in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro è articolato, comprendendo, tra l’altro, non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinati lavori, la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, la predisposizione di queste, ma anche il controllo continuo, congruo ed effettivo, nel sorvegliare e quindi accertare che quelle misure vengano, in concreto, osservate, non pretermesse per contraria prassi disapplicativa, e, in tale contesto, che vengano concretamente utilizzati gli strumenti adeguati, in termini di sicurezza, al lavoro da svolgere, controllando anche le modalità concrete del processo di lavorazione. Il datore di lavoro, quindi, non esaurisce il proprio compito nell’approntare i mezzi occorrenti all’attuazione delle misure di sicurezza e nel disporre che vengano usati, ma su di lui incombe anche l’obbligo di accertarsi che quelle misure vengano osservate e che quegli strumenti vengano utilizzati.”23 In Cass. Pen. 6 febbraio 2004 n. 4870 (causa Bixio), poi, la Cassazione ha affermato da un lato che l’obbligo di formazione sui rischi specifici non implica che il datore di lavoro possa disinteressarsi dell'ordinario svolgimento del lavoro ed esimersi dal formare il lavoratore altresì sui rischi comuni, e dall’altro ha negato valore ad una modalità di adempimento di tale obbligo basata su criteri formalistici e che non contempli procedure di controllo sull’effettività della prevenzione.
22
Cass. Pen. Sez. IV n. 18638 del 22 aprile 2004.
23
Cassazione Penale, Sentenza n. 13251 del 3 febbraio 2005.
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Alla luce di tale premessa, non può dunque non essere meritevole di attenzione qualunque iniziativa che, come questa, sia rivolta a verificare - a qualunque livello - l’effettività della formazione, così come sopra sinteticamente ricostruita (in termini di sufficienza rispetto alla mansione svolta, adeguatezza, idoneità, efficacia, valore che ad essa viene ricondotto dai lavoratori etc..), interpellando il lavoratore stesso quale parte attiva poi chiamata a mettere concretamente in pratica ciò che gli è stato trasmesso. Passando al merito degli esiti dell’inchiesta, vorrei qui sottolineare brevemente alcuni punti che ritengo meritevoli di attenzione anche alla luce di quanto su richiamato. Da un lato la criticità rappresentata dal fatto che dall’inchiesta emerge con chiarezza che la modalità di apprendimento del lavoro da parte del lavoratore è ormai per lo più rappresentata da quella che è qualificata nel rapporto in commento come l’“esperienza maturata direttamente, da solo, sul posto di lavoro” e solo in piccolissima parte dall’affiancamento. Altrettanto critica è la circostanza (evidenziata dall’inchiesta) che i lavoratori (così come gli RLS) abbiano ricevuto una scarsa formazione nell’ultimo biennio, e che quindi sia a seguito dell’emanazione del D.Lgs. 81/08 che del decreto 106 correttivo ed integrativo dello stesso - norme che in vari aspetti hanno modificato obblighi, diritti e prerogative dei lavoratori e degli RLS che essi dovrebbero essere messi in condizione, mediante la formazione, di conoscere - la formazione sia stata scarsamente ripetuta. Si riscontra positivamente il fatto che alla formazione, allorché svolta, venga riconosciuta da parte dei lavoratori una “utilità concreta” e la circostanza che, in virtù dell’obbligatorietà ex lege della formazione (come sottolineato dall’inchiesta stessa) vi siano ampi livelli di iniziativa delle aziende verso l’organizzazione dei corsi di formazione. In ultimo, è interessante il fatto che la formazione venga “attesa e vissuta [da parte dei lavoratori] come strettamente collegata al proprio lavoro, non vaga e generica”, in linea con l’esigenza normativa che vuole che la formazione sia specifica e che rappresenti un “processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi” (art. 2 c. 1 lett. aa) D.Lgs. 81/08).
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11. MARCO MASI Coordinatore del Comitato Tecnico Interregionale della Conferenza delle Regioni Chi vuole far qualcosa per gli altri deve prima preoccuparsi di quello che gli altri vogliono (Robert F. Mager) L’AIFOS, Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro, nel Rapporto 2009, ha presentato i dati raccolti tra i lavoratori e i loro rappresentanti nel corso delle attività di formazione. Dall’indagine, condotta su un campione di 1000 lavoratori e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, attraverso la somministrazione di un questionario-intervista, sono emersi dati significativi. Il 61% degli intervistati dichiara di aver partecipato a corsi di formazione e di questi il 42% ne dà un giudizio scarso. In primo luogo, il fatto che circa il 40% dei lavoratori non abbia fatto formazione negli ultimi anni non è rassicurante e pone seri interrogativi sul funzionamento del sistema formazione-sicurezza. Il dato non è però una novità, già il Rapporto conclusivo del Progetto di monitoraggio e controllo sull’applicazione del d.lgs. 626/94, promosso dal Coordinamento delle Regioni e Province Autonome e presentato nel novembre 2003, aveva evidenziato che solo il 38% delle aziende monitorate aveva attuato un programma di formazione ed informazione dei propri dipendenti, il 14% solo in parte mentre ben il 48% non aveva realizzato alcuna iniziativa di formazione. Eppure il Consiglio Europeo di Lisbona nel marzo 2000 aveva individuato l’ambizioso obiettivo strategico di far diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Alla base di una tale scelta vi era e vi è la convinzione che le risorse umane rappresentino la principale ricchezza dell’Unione, sulla quale bisogna investire più che sul capitale e sulle attrezzature. Anche nel nostro Paese, l’importanza strategica della formazione ha ispirato il legislatore che, nel riordino della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ha affidato alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza la definizione, in coerenza con gli indirizzi individuati dal Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive ex art. 5, la definizione delle attività promozionali con particolare riguardo al finanziamento, da parte dell’INAIL e delle Regioni, di progetti formativi diretti ai lavoratori e alle piccole, medie e micro imprese. 119
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Alla realizzazione ed allo sviluppo delle iniziative possono concorrere le Parti Sociali, anche mediante i fondi interprofessionali. In questo contesto è certamente positiva l’innovazione introdotta nell’ultimo Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro delle costruzioni, firmato il 18 giugno 2008, ovvero le 16 ore di formazione pratica che costituisce la base per accedere in maniera consapevole al lavoro edile ed è collocata prima dell’inizio del rapporto di lavoro e, pertanto, non grava né economicamente, né organizzativamente sull’impresa. D’altra parte, i continui mutamenti degli equilibri finanziari, tecnologici, organizzativi e politici e, in particolare, rapporti di lavoro nuovi rispetto al canonico lavoro a tempo indeterminato, hanno imposto elevati livelli di complessità organizzativa, che possono essere affrontati soltanto con la disponibilità di risorse umane consapevoli, dotate di attitudini coerenti e competenze aggiornate. Molte aziende hanno percepito chiaramente quanto, in un’ottica evolutiva, lo strumento formativo sia indispensabile. Acclarata quindi l’indispensabilità della formazione, il Rapporto AIFOS 2009 ha l’indiscutibile merito di aver raccolto direttamente il giudizio dei lavoratori sulla formazione erogata, giudizio dal quale bisogna necessariamente partire per migliorare la qualità del processo formativo. L’interesse dei lavoratori verso la formazione è pari al 64%, mentre il 30% dimostra “abbastanza interesse” e solamente il 6% è scettico, rivelando un interesse negativo. È molto interessante il fatto che la metà dei lavoratori intervistati è convinto che la formazione possa contribuire a favorire l’organizzazione aziendale. È innegabile però che il miglioramento della qualità di una organizzazione debba essere supportato non solo dalla formazione delle proprie risorse umane, ma da una formazione continuamente migliorata non solo nella quantità ma, soprattutto, nella qualità. È sulla base di queste considerazioni che il Comitato interregionale di coordinamento delle Regioni e Province autonome, ha intrapreso il cammino verso la messa a punto di modelli e strumenti per la verifica della qualità dell’attività formativa in tutte le fasi, dall’analisi dei bisogni formativi alla stima della fattibilità, dalla progettazione alle valutazioni di efficacia. In particolare, la fase finale del processo formativo permette di confrontare i bisogni formativi individuati all’inizio del percorso ed i risultati ottenuti, consentendo di rimodulare il percorso per rispondere a quei bisogni non pienamente soddisfatti.
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Sempre nell’ottica della qualificazione della formazione, si ricorda che, tra i compiti della Commissione consultiva permanente, il decreto correttivo 106/09 ha inserito anche l’elaborazione di criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro. In presenza di una più diffusa e avvertita sensibilità per la qualità della vita, ci si interroga sempre più frequentemente sulle condizioni fisiche e di benessere della propria esperienza lavorativa e si avverte con maggior consapevolezza il diritto ad una vita e a un ambiente qualitativamente migliori. Una linea di azione strategica, grazie alla collaborazione con le Istituzioni scolastiche ed Universitarie del nostro Paese, è rappresentata dall’introduzione nei cicli scolastici della materia della salute e sicurezza prevista dal d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, nell’ottica di estendere l’attenzione anche alla percezione del rischio nella collettività (sicurezza negli ambienti di vita, sicurezza sulle strade, ecc.). l’obiettivo è di attuare in maniera concreta un percorso di sviluppo e crescita culturale non episodico ma profondamente radicato nell’evoluzione dell’individuo, cercando di superare il semplice concetto di formazione in favore del concetto di “educazione alla sicurezza”. Aumentare le opportunità di formazione e consolidare le competenze delle lavoratrici e dei lavoratori è, in questa fase critica dell'economia, più che mai indispensabile per creare le condizioni per un rilancio basato su innovazione e qualità ma nella piena garanzia del diritto alla salute.
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12. NAZZARENO MOLLICONE Segretario Confederale U.G.L.
I dati della ricerca svolta dall’Aifos, associazione italiana dei formatori della sicurezza, in particolare le domande rivolte ai Rappresentanti dei Lavoratori, sono molto interessanti perché danno la possibilità di esprimere una prima, anche se parziale e sommaria, valutazione sulla situazione della prevenzione della sicurezza sul lavoro dopo l’entrata in vigore del Testo Unico n. 81/2008, vista dai rappresentanti dei lavoratori. Il primo dato che si evince è che l’applicazione delle normative in materia di prevenzione della sicurezza sul lavoro è trattata prevalentemente all’interno dell’azienda, visto che i lavoratori non hanno avuto bisogno, per la maggior parte dei casi, di consulenze esterne e lo stesso dicasi per il datore di lavoro. Ciò se da un lato è positivo perché indica – almeno teoricamente – un elevato grado di consapevolezza della questione e di collaborazione tra le parti interessate, dall’altro suscita qualche perplessità in quanto, trattandosi di materia anche tecnicamente complessa, forse l’ausilio di un consulente esperto esterno sarebbe stato utile. Perché altrimenti si corre il rischio di valutazioni frettolose, semplicistiche e meramente formali da parte del datore di lavoro e di analisi superficiali da parte dei lavoratori coinvolti, fattori entrambi dannosi per la qualità della prevenzione. A questo riguardo, facciamo presente che il Sindacato, nel corso degli incontri per l’elaborazione del Testo Unico, aveva sollevato proprio la questione della possibilità per i rappresentanti dei lavoratori a ricorrere a consulenti esterni di fiducia. Per quanto concerne invece il responsabile dei servizi di prevenzione e di protezione in azienda, dal questionario risulta che i lavoratori conoscono, in misura largamente sufficiente e quindi tranquillizzante da questo punto di vista, i nominativi del RSPP e del Medico Competente, ed i relativi recapiti; come pure conoscono chi siano gli incaricati antincendio, del pronto soccorso ed i preposti. Queste informazioni sono la base minima per essere tutelati; il che però non vuol dire che gli incaricati della prevenzione e della protezione siano sempre presenti e che possano intervenire tempestivamente in caso di necessità.
La parte del questionario relativo al documento di valutazione dei rischi è quello che, come il Sindacato aveva previsto e fatto presente nel corso dei nu122
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merosi incontri con il Governo, il Parlamento e le Associazioni Datoriali in occasione dell’elaborazione del Testo Unico sulla Sicurezza sul lavoro, evidenzia delle problematiche interessanti e qualificanti. Risulta infatti che in misura consistente, anche se minoritaria rispetto al complesso, il Documento sia stato solo mostrato ai rappresentanti dei lavoratori o non ne sia stata consegnata copia. Ciò indubbiamente è conforme a quanto prevede il comma 4 dell’art. 50 del Decreto n. 81 del 2008 che stabilisce come il DVR sia consegnato al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza solo “su sua richiesta”. Ciò evidentemente è una limitazione, oltre che un assurdo giuridico, perché non sempre, per condizioni ambientali, la richiesta è formulata od eseguita. D’altra parte, il rappresentante dei lavoratori non può neanche farsi assistere – per esaminare e valutare il documento - da un consulente tecnico esterno (come già abbiamo fatto presente) ed anche questa è una limitazione del potere di controllo e di valutazione congiunta dei rischi. Infatti, se e’ vero che dal questionario emerge che il DVR sia stato letto dalla maggioranza degli interpellati, è altrettanto vero che quella maggioranza è assai minima mentre una quota consistente (un quarto) lo ha solo sfogliato superficialmente. Tutto ciò dimostra sostanzialmente una grande fiducia attribuita (o subita, per ragioni ambientali ed a volte psicologiche) al lavoro effettuato dal datore di lavoro nell’elaborazione del DVR. In altri termini, la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza all’elaborazione e conoscenza del DVR appare ancora molto scarsa. Ricordiamo però che lo strumento fondamentale per la prevenzione della sicurezza sul lavoro è proprio il documento, che dovrebbe essere elaborato insieme e basato più sugli aspetti tecnici che sugli adempimenti formali, come spesso invece accade, ed una predisposizione superficiale e non confrontata può comportare l’insorgere di rischi. Queste considerazioni sono confermate anche dal fatto che la maggioranza – sia pur lieve – degli intervistati afferma che il DVR è inferiore alle 50/100 pagine: il che confermerebbe che in molte aziende, soprattutto quelle minori (ma a volte con maggiori rischi, ad esempio l’edilizia), il documento sia un documento molto semplice e piuttosto superficiale.
In linea generale, però, fatte queste osservazioni, dal questionario appare comunque evidente che la questione della sicurezza sul lavoro riceve sufficiente 123
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attenzione nelle aziende, sia da parte dei datori di lavoro che da parte dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Il che è anche un effetto dell’intensa attività informativa che negli ultimi anni è stata fatta sul grave problema sociale delle “morti bianche” e degli infortuni sul lavoro, la quale ha suscitato, in tutti coloro che vi sono coinvolti, consapevolezza sulla gravità del problema e necessità di adempiere alle nuove regole recentemente stabilite. Regole che presentano certamente qualche margine di ambiguità e di genericità, ma che stabiliscono comunque un quadro generale di certezze, impegni e limiti.
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13. RINO PAVANELLO Presidente CIIP Consulta Italiana Interassociativa della Prevenzione. Segretario Generale Associazione Ambiente e Lavoro I principali infortuni sul lavoro e gli incidenti industriali più gravi (basti pensare, ormai a livello storico, ai casi emblematici accaduti dall’Icmesa di Seveso del 1976 fino alla Thyssen, alla Sarroch, alle costanti cadute dall’alto nei cantieri e alle morti per attività in luoghi a scarso ricambio d’aria) sono quasi sempre stati causa e responsabilità di: mancato utilizzo delle più elementari misure di prevenzione e di protezione; insufficiente informazione, formazione e addestramento degli addetti, comportamenti errati. In tema di salute e sicurezza la “formazione” deve essere strettamente correlata alla “informazione”, “istruzione” ed “equipaggiamento”. Questo complesso che possiamo definire “In-Formazione” costituisce l’attività primaria è propedeutica allo svolgimento di ogni tipo di lavoro, comprese le attività di lavoro considerate “meno pericolose” e perciò generalmente sottovalutate in termini di analisi e valutazione dei rischi, delle conseguenti misure di prevenzione compresi i comportamenti da adottare o evitare. Non a caso, il D. Lgs. 81/208, in una revisione completa dei precedenti decreti, ha: introdotto le definizioni dei temi di “formazione”, “informazione” e “addestramento”; precisato i compiti dei vari soggetti obbligati nelle aziende sia pubbliche sia private; indicato i soggetti depositari dei diritti di “In-Formazione”, che vanno dai lavoratori ai preposti, dirigenti, dalle figure che operano in azienda ai visitatori occasionali; indicato altri soggetti impegnati nelle attività formative e consulenziali che vanno dalla P.A. (Ministeri, Enti, Regioni, ASL,..) sia delle parti sociali (Comitati paritetici, enti bilaterali) sia misti (Commissione consultiva permanente e comitati regionali di coordinamento). Purtroppo, però, la “In-Formazione” rimane ancora un obbligo/diritto largamente eluso in molte realtà, anche se non in tutte.
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Merito di questa ricerca dell’Aifos, l’Associazione dei formatori della sicurezza sul lavoro, è stato quello di indagare e conoscere il livello di formazione al fine di trarne utili indicazioni per i formatori che sono, per l’appunto, i soggetti più importanti del processo di apprendimento formativo. Dal complesso dei dati, che andranno letti ed analizzati con particolare attenzione, poiché a molte risposte date dai lavoratori si aprono nuovi scenari di indagine e di ricerca, si evidenzia come i lavoratori credono che la formazione sia una cosa utile ma che lo stato della sua applicazione spesso un assolvimento formale della legge. Uno dei dati ricorrenti rilevato tra i lavoratori è stato quello della necessità della formazione in azienda ed alla specificità del proprio lavoro. In questa direzione la CIIP 24 (Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione) che rappresenta 14 Associazioni tra le più rappresentative a livello nazionale aveva posto all’attenzione della Commissione d’Indagine del Senato sul fenomeno degli infortuni sul lavoro, presieduta dal Sen. Oreste Tofani, alcune proposte concrete e di merito fattibili nei tempi più brevi possibili, che si ritiene rappresentino atti dovuti. In alcuni casi si evidenziano, anzi, inconcepibili ritardi della Pubblica Amministrazione su provvedimenti anche ove risultano a volte intese informali in sede di Conferenza Stato-Regioni. L’adozione di tali provvedimenti, alcuni del resto già previsti dal D.Lgs. 81/08, e prima dal D.Lgs. 195/2006 e prima ancora dallo stesso D.Lgs. 626/94, e abbondantemente scaduti nei loro termini temporali, avrebbero un indubbio 24
La CIIP e i Presidenti delle 14 Associazioni costituenti:
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Associazione Ambiente e Lavoro, Rino Pavanello,
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AIAS, Associazione Professionale Italiana Ambiente e Sicurezza, Gian Carlo Bianchi, AIE, Associazione Italiana Epidemiologia, Adele Seniori Costantini
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AiFOS, Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro, Rocco Vitale AIRESPSA, Associazione Italiana Responsabili S.S.P. in Ambiente Sanitario, Franco Pugliese
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AIRM, Associazione Italiana Radioprotezione Medica, Giorgio Trenta
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AIRP, Associazione Italiana Radioprotezione, Viviana Klamert
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AiTEP,Associazione Italiana Tecnici della Prevenzione, Vincenzo Di Nucci ANIS, Associazione Nazionale Ingegneria della Sicurezza, Antonio Leonardi ANMA, Associazione Nazionale Medici d’Azienda, Giuseppe Briatico
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ANMeLP, Associazione Nazionale Medici del Lavoro Pubblici, Patrizia De Matteis ANPEQ, Associazione Nazionale Professionale Esperti Qualificati, Giorgio Cucchi
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SIE, Società Italiana di Ergonomia, Oronzo Parlangeli SNOP, Società Nazionale Operatori della Prevenzione, Giorgio Di Leone e Domenico Taddeo
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Organismi CIIP: Rino Pavanello, Presidente, Gian Carlo Bianchi, vice Presidente, Laura Bodini, Vice Presidente, Giuseppe Nano, Franco Ottenga, Enrico Cigada, Luisa Biazzi, Franco Pugliese (Ufficio di Presidenza)
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beneficio economico per le aziende e di straordinaria importanza per la professionalità degli addetti. Tutto ciò deve essere in grado di coniugare i percorsi scolastici con la futura attività lavorativa. Alle esigenze e realtà che i lavoratori evidenziano costantemente e giornalmente si ricorda come il D.Lgs. 81/08 imponeva l’emanazione di numerosi D.M. o intese di Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni o accordi di contrattazione collettiva o di Commissione Consultiva circa la precisa indicazione, durata e modalità di erogazione della formazione. La constatazione è quella che si è modificato il D.Lgs. 81/08 con il recente D. Lgs. 106/09 ma non è ancora stato approvato alcun provvedimento operativo. Complessivamente è sempre più importante stimolare la “cultura della prevenzione” e, in particolare, la “effettività della In-formazione” , che sono gli aspetti fondamentali e discriminanti di una “reale prevenzione” da sempre richiesta da tutte le Commissioni d’indagine dal 1989 ad oggi (“Lama”, “Smuraglia” e “Tofani”). Il D.Lgs. 81/2008 impone, in specifico agli artt. 36 e 37 e nei Titoli da II a XI (come già il D. Lgs. 626/94) che “formazione” e “informazione” siano riferiti a ciascun lavoratore, quali diritto individuale doi ogni lavoratore. Anche il recente D. Lgs. 106/2009 prevede un ampliamento della formazione e addestramento di tutti i soggetti che hanno compiti sulla prevenzione, nonché alla valutazione dei rischi collegati al genere e alle attività relative ai flussi informativi del SINP, ad una prima ipotesi di “patente a punti” e sistema di qualificazione imprese e lavoratori autonomi, ecc. La dizione “ciascun lavoratore” innovò significativamente le pur importanti (per i tempi) disposizioni contenute nei DPR 547/55 e 303/56 che prevedevano l’obbligo di “rendere edotti i lavoratori” consolidando quanto affermato sia dalla Direttiva Europea 89/391 sia dalla consolidata giurisprudenza. Di conseguenza “formazione” e “informazione” previste dalla legge NON possono essere configurate solo come una “obbligazione di mezzi”, la quale qualora in questo caso sussistesse – obbligherebbe il datore di lavoro semplicemente allo svolgimento di una certa attività (la erogazione della formazione e della informazione, indipendentemente dalla verifica in merito all’assimilazione da parte del lavoratore) bensì vanno inquadrate come una “obbligazione di risultato”, laddove quest’ultimo è rappresentato dalla effettiva assimilazione dei concetti e dei contenuti ad opera dei destinatari della formazione e della informazione.
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Occorre anche ricordare - come anche la ricerca evidenzia – che nel caso della sicurezza sul lavoro la formazione è rivolta a un pubblico adulto e, spesso, operante da anni in quel determinato contesto lavorativo, quindi le modalità didattiche devono obbligatoriamente tenere conto di questa specificità. Vi sono quindi alcune priorità che consentono di dare, non solo attuazione normativa alla legge quale atto dovuto, risposte concrete alle esigenze che anche la ricerca dell’Aifos mette al primo posto quale una reale e vera formazione dei lavoratori quale strumento di prevenzione per la salute e la sicurezza sul lavoro. A tal fine si indica: 1. Approvazione dei decreti, dei provvedimenti e degli Accordi Stato regioni collegati alla formazione previsti dal D. Lgs. 81/08. 2. Favorire la professionalità di tutti gli operatori che si occupano di prevenzione, sia pubblici sia privati. La CIIP ricorda come vi è una insufficiente valorizzazione da parte della PA dei soggetti che operano nei servizi pubblici e di altre delle quali non si discute quali mai quali: ergonomo, psicologo del lavoro, formatore alla sicurezza, ecc., mentre esistono figure di cui di discute da tempo e fanno parte di un sistema consolidato di relazioni (RSPP/ASPP, Medico competente, RLS, Preposto, ecc.). 3. Definire, anche in forma sperimentale, il “libretto formativo” nella versione utile per i lavoratori e le figure della prevenzione, elemento fondamentale per verificare l’effettività della formazione e nella versione per le aziende quale strumento di verifica immediata per evitare costi ed inutili ripetizioni degli stessi argomenti nei casi di cambio di azienda o mansioni. La mancata approvazione del “libretto formativo” rappresenta una incomprensibile “opera incompiuta”, a fronte dei poteri delle Regioni sulla formazione e le stesse disposizioni di legge che vanno dal D.Lgs. 195 del 1994 al D.Lgs. 106 del 2009 ed il alcuni casi anche sanzionate penalmente. 4. Aggiornare e ridefinire l’intesa Stato-Regioni del 16/01/2006 sulla formazione per RSPP/ASPP, che avrebbe dovuto essere aggiornata entro il 14 febbraio 2008 e rimane tutt’ora incomprensibilmente non aggiornata. Su questo tema la CIIP ha avanzato le seguenti proposte: a) Introdurre un “elenco” dei RSPP/ASPP formati o qualificati, come già previsto per i medici competenti e i RLS. L’elenco, stante le differenziazioni regionali, potrebbe inizialmente essere definito e gestito dall’Inail nell’ambito del SINP il Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione salvo poi essere aggiornato a livello regionale. b) Introdurre il cosiddetto “Modulo B.0” integrativo/sostitutivo dell’intero Modulo “A” e della parte ripetitiva dei Moduli “B” per tutti i nuovi RSPP/ASPP, a fronte del fatto che tutti i nuovi soggetti non potranno più usufruire della precedente sanatoria per crediti dovuti a pregressi incarichi. 128
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c) Decidere per tutti i RSPP/ASSPP l’obbligo di frequenza ad almeno il 60% del monte ore di aggiornamento quinquennale entro il 14 febbraio 2010 (a tre anni dall’obbligo primario dell’aggiornamento) e stante il fatto che la maggior parte dei soggetti non ha frequentato alcun corso di aggiornamento dopo il 14 febbraio 2008, anche alla luce del D.Lgs. 81/08 recentemente integrato e modificato dal D. Lgs. 106/09. Proporre l’aggiornamento in modalità annuale nell’ambito della formazione continua. d) Rivedere i criteri dei soggetti RSPP/ASPP esentati dagli obblighi iniziali dei Moduli “A” e “B” in funzione di determinate classi di laurea prevedendo l’obbligo minimo di aggiornamento (es. 50 o 60% del monte ore quinquennale) prima della nomina e dopo lo svolgimento del Modulo “C”. Le materie di formazione riguardano soprattutto il sistema della valutazione dei rischi che è notevolmente mutata con l’entrata in vigore del testo unico coordinato 81/08 e 106/09. e) Prevedere l’”esonero” dai Moduli “A” e “B” oltre a coloro che sono in possesso dei titoli di laurea previsti dalla legge anche per coloro che hanno operato per almeno cinque anni quale dipendente di una struttura pubblica con incarichi di vigilanza sulla salute e la sicurezza sul lavoro. f) Vigilare sui Corsi di formazione e di aggiornamento e monitorare i risultati della “effettività” dei loro risultati anche al fine di intervenire su situazioni anomale g) Definire i criteri per l’utilizzazione della Formazione a Distanza, oggi totalmente inesistenti. 5. Aggiornare l’Accordo Stato Regioni del 26/01/2006 in riferimento ai codici ATECO, che sono variati rispetto al 2006, ancorandoli per le loro modifiche ed aggiornamenti non più a norme o decreti ma al sistema di rilevazione camerale e Istat. 6. L’aggiornamento dei RLS deve prevedere una definizione del numero delle ore secondo i macrosettori Ateco e non essere di carattere generale uguale per tutti. 7. L’aggiornamento dei Datori di Lavoro che svolgono il compito di RSPP, Dirigenti, Preposti deve prevedere una definizione del numero delle ore secondo i macrosettori Ateco e non essere di carattere generale uguale per tutti. 8. Prevedere Linee di indirizzo sulla formazione e l’aggiornamento dei Dirigenti e dei Preposti. 9. Alla commissione consultiva che deve elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato si sottolinea di collegare tali rischi al genere, all’età ed alle diverse provenienze geografiche ed in genere all’organizzazione del lavoro. 129
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10. Piena e rapida attuazione all’inserimento nel sistema scolastico di percorsi interdisciplinari volti a favorire la conoscenza delle tematiche della salute e sicurezza (art. 11, D.Lgs. 81/08) Nell’ambito generale dell’attuazione delle norme e degli strumenti atti a promuovere una seria e diffusa cultura della salute e della sicurezza sul lavoro si ritiene che debbano essere rivisti alcuni criteri relativi ai soggetti formatori di assistenza operanti ope-legis, tra i quali andrebbe, oggettivamente, inserita la CIIP e le associazioni che rappresenta. Allo stesso tempo la CIIP, tramite le associazioni che rappresenta in termini di attività, esperienza, scientificità, dovrebbe essere consultata e partecipare quale consulente della Commissione per le parti scientifiche e tecniche di competenza.
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14. MICHELE TIRABOSCHI Vice Presidente Fondazione Marco Biagi Il tema della tutela della salute e sicurezza sul lavoro ha conosciuto, negli ultimi anni, un imponente processo di riforma legislativa a cui, non sempre, ha fatto seguito quel cambiamento culturale (da tutti auspicato ma) ancora lontano da realizzarsi nella realtà quotidiana degli ambienti di lavoro e dei processi di produzione. Nella direzione di un cambiamento di paradigma rileva, senza dubbio, la recente – e corposa – modifica al decreto legislativo n. 81 del 2008 (il c.d. Testo Unico di sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro) che certo può agevolare, nella rinnovata attenzione ai profili organizzativi e ai sistemi di qualificazione delle imprese, una maggiore attenzione ai profili sostanziali della sicurezza rispetto alle mere regoli formali imposte dalla legge (25). Decisiva rimane, tuttavia, la sfida della formazione, a partire dalle scuole e dalle Università e in ogni caso rivolta a tutti i gruppi di lavoratori, compresi gli atipici e i temporanei, e i lavoratori delle piccole imprese. Significativa, in questa prospettiva, è la novella contemplata dal decreto legislativo n. 106 del 2009, all’interno del quale una delle più rilevanti novità è senza dubbio costituita dall’obbligo, fissato in capo al datore di lavoro, di effettuare la valutazione del rischio anche tenendo conto della specifica tipologia contrattuale con cui il lavoratore è stato assunto. Le ricerche empiriche (26) e una copiosa letteratura (27) hanno da tempo dimostrato una particolare interrelazione tra il lavoro atipico e non standard, specie se reso in piccoli contesti produttivi, e la maggiore incidenza dell’evento infortunistico, anche a causa della minore formazione e informazione e del più ridotto bagaglio di esperienza dei lavoratori coinvolti in brevi o intermittenti parentesi lavorative ovvero inseriti in contesti lavoratori destrutturati o informali. (25) Si veda, per tutti, Maurizio Sacconi, Prefazione al volume curato da M. Tiraboschi, L. Fantini, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n. 106/2009) – Commentario al decreto legislativo n. 81 del 2008 come modificato e integrato dal decreto legislativo n. 106 del 2009, Giuffrè, Milano, 2009. (26) Si leggano al riguardo, in chiave nazionale, i rapporti INAIL nazionali e regionali relativi all’andamento infortunistico negli anni 2007 e 2008, nonché per un inquadramento fenomenologico generale, i numerosi studi condotti dall’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza nei luoghi di lavori, cfr. tra gli altri EUROPEAN AGENCY FOR SAFETY AND HEALTH AT WORK, The changing world of work: trends and implications for occupational safety and health in the European Union, Bilbao, 2002, n. 5, nonché EUROPEAN AGENCY FOR SAFETY AND HEALTH AT WORK, New trends in accident prevention due to the changing world of work, Bilbao, 2002, n. 5. (27) Tra i tanti si vedano E. Tompa, H. Scott-Marshall, R. Dolinschi, S. Trevithick, S. Bhattacharyya, Precarious employment experiences and their health consequences: towards a theoretical framework, Institute for Work & Health, Toronto in www.adapt.it, indice A-Z, voce Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (studi e inchieste sulla).
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Nella stessa prospettiva si muovono le modifiche normative che hanno riguardato, nel complesso, la formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, il rilancio della bilateralità e quelle misure peculiari che il decreto legislativo n. 81 del 2008 ha previsto in tema di interventi formativi a favore degli immigrati, per i quali il gap linguistico e culturale rappresenta una indubbia fonte di vulnerabilità. Il decreto legislativo n. 106 del 2009 non solo ha allargato l’obbligo formativo anche ai dirigenti, che svolgono un ruolo chiave nel processo gestionale ed organizzativo, ma ha altresì stabilito che la formazione dei lavoratori non debba essere svolta necessariamente in azienda. Infatti il nuovo comma 7-bis dell’articolo 37, destinato proprio a disciplinare la formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, prevede che la formazione possa essere svolta anche presso gli organismi paritetici o presso le scuole edili, ove esistenti, mentre il successivo comma 12 prevede che la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti debba avvenire in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro e non possa in ogni caso comportare oneri economici a carico dei lavoratori. Nella medesima ottica si inscrivono, poi, la previsione di apposite forme di registrazione delle competenze acquisite e le disposizioni di riassetto del quadro istituzionale che dedicano particolare attenzione al tema della formazione, del riparto delle competenze pubbliche in materia, e degli investimenti. In questo contesto concettuale e normativo di riferimento particolare interesse assume ora il Rapporto AIFOS poiché consente di confermare la centralità del tema della formazione e anche la persistente scollatura tra il mero adempimento formale degli obblighi di legge e l’effettività delle tutele a cui dovrebbe ispirarsi una moderna cultura della sicurezza e del lavoro in generale. Invero una preliminare valutazione attiene proprio alla intrinseca importanza dei dati contenuti nel Rapporto relativi alla percezione soggettiva dei lavoratori. Attraverso le risposte dirette dei lavoratori, è possibile mettere in luce alcune criticità degli interventi formativi, necessariamente da affrontare e risolvere, a livello organizzativo e di gestione aziendale in una ottica di effettività. Infatti, il Rapporto rivela – dato per la verità assai preoccupante – che il 42% dei lavoratori intervistati definisce non utile l’intervento formativo svolto. Inoltre ben il 44% dei lavoratori intervistati ritiene che gli interventi formativi si siano limitati ad assolvere la legge per evitare le sanzioni. Un elemento che appare senza dubbio essenziale per il monitoraggio delle informazioni è l’analisi incrociata dei dati che ciascun ente di formazione ricava, al termine dei corsi di formazione, dai test di valutazione e gradimento, dati che di norma l’ente possiede, e che difficilmente divulga.
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Passando a una valutazione più di dettaglio delle singole sezioni del Rapporto, altro dato di rilievo – forse di maggiore importanza nell’assetto complessivo della indagine – emerge dalle risposte relative alle modalità di apprendimento del lavoro e quindi alla cosiddetta “formazione in ingresso”. A fronte di un 10% degli intervistati che ha iniziato l’attività in affiancamento ad altri lavoratori e di una più bassa percentuale (pari al 6%) di lavoratori che ha svolto veri e propri corsi professionalizzanti, la stragrande maggioranza dei lavoratori ha dichiarato che l’apprendimento del lavoro è avvenuto mediante esperienza maturata direttamente sul luogo di lavoro. Il fatto che nella fase di assimilazione della mansione assegnata soltanto il 10% dei lavoratori sia stato affiancato implica, anzitutto, che in molti casi la formazione continua a essere percepita come mero assolvimento di un obbligo di legge. Il dato è più allarmante con riferimento ai giovani, i quali necessitano più degli altri di affiancamento a persone più esperte per acquisire maggiore consapevolezza dei rischi, oltre che per i lavoratori atipici e non standard i quali, proprio a seguito della loro permanenza transitoria e instabile nel luogo di lavoro, sviluppano con più difficoltà la cosiddetta “percezione gruppale del rischio”. Tutti questi lavoratori vulnerabili, come già accennato, incorrono più facilmente in infortuni, a causa di negligenze ricollegabili alla inesperienza ed alla scarsa familiarità con l’ambiente di lavoro circostante. L’affiancamento, del resto, consentirebbe allo stesso datore di lavoro di ridurre i costi indirettamente ricollegabili agli infortuni. Occorre ricordare, a tal proposito, che anche la giurisprudenza, in numerosi casi, ha interpretato in maniera assai estensiva la responsabilità datoriale per la formazione dei giovani (28). La necessità dell’affiancamento del lavoratore da parte del datore di lavoro o di un tutor è confermata dalla stessa percezione dei lavoratori, i quali, come conferma il Rapporto, ritengono tale pratica, in uno con l’organizzazione dei corsi di formazione in azienda, un elemento di assoluta importanza nel generale assetto della formazione sulla sicurezza. Il dato per la verità rivela anche la tipologia di approccio gestionale alla sicurezza del nostro Paese che, come altri di area continentale e mediterranea, fa scarso ricorso al lavoro in gruppo. Tale pratica, di gran lunga più diffusa nel Nord Europa, proprio per la sua complementarietà alla formazione, si è rivelata, nel contesto delle indagini sulla organizzazione del lavoro in Europa (29), assai (28)P. De Vita, M. Tiraboschi, I contratti a contenuto formativo e i tirocini formativi e di orientamento, in Tiraboschi, L. Fantini, Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n. 106/2009) – Commentario al decreto legislativo n. 81 del 2008 come modificato e integrato dal decreto legislativo n. 106 del 2009, Giuffrè, Milano, 2009. (29) Cfr. A. Valeyre, E. Lorenz, D. Cartron, P. Csizmadia, M. Gollac, M. Illéssy, C. Makó , Working conditions in the European Union: Work Organisation, EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF LIVING AND WORKING CONDITIONS.
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funzionale all’incremento del benessere, della sicurezza e della produttività dei lavoratori. Del resto sono gli stessi lavoratori (più del 50%) a ritenere molto utile l’affiancamento sul posto di lavoro e altrettanto utili i momenti di affiancamento svolti direttamente in azienda. Diversamente una pari percentuale ritiene la formazione svolta a distanza poco influente per la crescita del lavoratore (si vedano le domande relative alle tipologie per la formazione). Da rilevare poi che il 40% dei lavoratori dichiara di non aver svolto corsi di formazione nell’ultimo biennio. Questo dato, in uno con l’analoga rilevazione quantitativa per gli RLS, dà la misura della ineffettività della formazione e del dettato normativo, in tutta la sua gravità. Vale la pena ricordare, a tal proposito, che il decreto legislativo n. 81 del 2008 – sul punto non modificato dal decreto legislativo n. 106 del 2009 – stabilisce con chiarezza un preciso obbligo ben preciso di quattro ore annue di aggiornamento. Risulta difficile immaginare poi come in tale contesto gli RLS possano concretamente svolgere un ruolo trainante nei confronti degli altri lavoratori e creare costruttivi momenti di dialogo con i vertici aziendali, non avendo oggettivi contenuti su cui discutere. Qualche ulteriore riflessione può essere fatta sulla durata dei corsi di formazione. Il Rapporto mette in evidenza che la durata dei corsi di formazione dei lavoratori è variabile, in molti casi, da due e quattro ore, fino ad otto ore. Può ritenersi che corsi di durata compresa tra le due e le quattro ore siano insufficienti rispetto alla importanza del tema e alla necessità di formare una vera e propria cultura della sicurezza. Da questo punto di vista si deve ricordare che il Legislatore assegna alla contrattazione collettiva il compito di stabilire la durata dell’intervento formativo e che in alcuni settori, in particolare nella edilizia, in tempi recenti le parti sociali hanno mostrato maggiore consapevolezza circa l’importanza del tema, prevedendo un superiore e più congruo numero di ore di formazione. Il dato risulta ancor più incisivo se si considera che il 73% dei lavoratori dichiara di nutrire rilevante interesse verso i temi della formazione sulla sicurezza. Tutti i dati paiono univocamente diretti a testimoniare la percezione della importanza e della utilità del processo formativo per la risoluzione di problemi, il miglioramento nello svolgimento del lavoro e nei rapporti con i clienti, l’acquisizione di maggiore autonomia (nel complesso esprime un giudizio positivo il 60% dei lavoratori), nonché della sua funzione socialmente aggregante. Il 40% dei lavoratori ha sottolineato l’importanza della organizzazione di interventi formativi anche in considerazione del fatto che tali iniziative tendono a uniformare la platea dei partecipanti, annullando le divisioni gerarchiche tra capi e lavoratori e tra colleghi stessi.
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Si consideri poi come, da questo punto di vista, il momento formativo possa consentire una migliore integrazione dei lavoratori immigrati e dei lavoratori atipici, notoriamente meno sindacalizzati e più esposti alla emarginazione da parte dei colleghi ovvero a forme di autoesclusione dalla vita aziendale, a causa delle labili prospettive di persistenza nel contesto organizzativo. Molto corposa e del tutto coerente col quadro sopra delineato, la sezione dedicata alla informazione e formazione sui rischi specifici, rispetto ai quali pochi lavoratori dichiarano di conoscere compiutamente i comportamenti da tenere normalmente e le specifiche modalità di intervento a fronte di vere e proprie emergenze. Il dato appare tra l’altro in controtendenza con l’obbligo datoriale, di cui all’art. 28 del Testo Unico, di valutare – e conseguentemente di adottare idonee misure – i rischi specifici e i cosiddetti rischi particolari. Tant’è che, proprio in relazione alle informazioni teoriche utili da approfondire per migliorare le conoscenze in tema di sicurezza sul lavoro, le maggiori preferenze dei lavoratori si concentrano non solo sull’utilizzo delle attrezzature di lavoro e sulla gestione delle emergenze, ma anche sui rischi collegati alle specifiche mansioni e allo stress lavoro-correlato. Molto significativi e forse più allarmanti – in quanto sintomatici di problematiche che vanno oltre la stretta organizzazione del processo formativo – sono infine i dati relativi alla scarsa comunicazione sugli eventi infortunistici all’interno della azienda ai vari livelli (lavoratori, dirigenti, RSPP), e ai meccanismi di consultazione e collaborazione. Il 51% degli intervistati dichiara di non avere ricevuto la lettera di convocazione alla riunione periodica, il 70% di non avere fatto mettere a verbale qualche proposta e il 60% di non avere firmato i verbali della riunione. Al tempo stesso le premesse del rapporto rivelano come gli RLS, per classi di età, siano scarsamente composti da giovani tra i 18 ed i 25 anni. Le rilevazioni forniscono la misura della ancora insoddisfacente rispondenza tra l’incentivazione normativa alla gestione partecipata della sicurezza – molto spiccata nelle norme del Testo Unico rispetto al previgente decreto legislativo n. 626 del 1994 – e le dinamiche aziendali reali. I dati forniti dal rapporto consentono di stimare in termini numerici, e dalla particolare prospettiva della formazione, il grado di ineffettività delle tutele per la salute e sicurezza dei lavoratori, invero ben noto agli addetti ai lavori e allo stesso Legislatore. E consentono tuttavia di evidenziare una sicuramente maggiore consapevolezza della importanza della formazione nella organizzazione del lavoro e nella gestione della sicurezza. Solo in una ottica di miglioramento globale dei processi produttivi e organizzativi del lavoro si potrà diffondere una vera cultura della prevenzione e, con essa, garantire una maggiore effettività del dato legale.
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Ma ciò, come conferma il Rapporto, solo grazie a un aggiornamento costante della valutazione dei rischi, a una maggiore e migliore formazione e informazione, all’addestramento sui rischi specifici e particolari, all’affinamento dei protocolli di sorveglianza sanitaria e alla implementazione della dinamica della consultazione e partecipazione dei lavoratori. E’ proprio in questa ottica che assume un peso determinate la progettazione e la corretta erogazione della formazione con anche percorsi di affiancamento sul luogo di lavoro e procedure ad hoc per i soggetti più vulnerabili. Non è da trascurarsi, inoltre, la complementarietà della formazione in FAD per gli immigrati, per i giovani ovvero per i lavoratori più anziani ove la stessa consenta di essere più vicina alle esigenze di queste categorie di lavoratori. Come pure importante sarebbe, da un lato, incentivare i formatori a progettare interventi di monitoraggio ed auditing sulla formazione svolta, affinché essa sia meglio rapportata allo specifico contesto aziendale, e, dall’altro lato, codificare a monte processi di certificazione di qualità delle competenze dei formatori, come già positivamente sperimentato in altre realtà nazionali (30).
(30) Cfr. Allen & Clarke Policy and Regulatory Specialists, Occupational health and safety in New Zealand, Technical Report prepared for the National Occupational Health and Safety Advisory Committee, 4 April 2006.
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Ringraziamenti Questa ricerca promossa dal Comitato Scientifico dell’Aifos è stata resa possibile ed è stata realizzata con il contributo determinante dei Centri di Formazione Aifos presenti ed operanti sul territorio nazionale. I C.F.A. ed i formatori dell’Aifos hanno assicurato non solo la somministrazione dei questionari ma ne hanno guidato l’inchiesta coinvolgendo i lavoratori ed i Rappresentanti del Lavoratori della Sicurezza con una azione di assistenza e consulenza. Hanno partecipato e collaborato alla ricerca i seguenti C.F.A. delle aziende convenzionate nonché alcuni soci formatori: -
AGEFORM ABRUZZO, Roberta Di Giovanni Alessandro Orefice ALFA AMBIENTE CONSULTING SRL, Geremia Fusco ALTES CONSULTING SAS, Alessandro Gamba ANTINFORTUNISTICA N F A, Lanzini Luciano APPLIKA SRL, Pietro Aloisio, Aurelio Alberto Gorlini BOSOL INGEGNERIA, Michele Gnech BRIXIA BUSINESS SOLUTIONS, Francesco Tortora Cammarota Vittorio CENTRO ANTINFORTUNISTICO SRL, Alberto Andreani Stefano Cloza Pietro Coradeschi CSL PUGLIA, Tiziano Antonio Rossetto CVA CONSULENTI VALORE AGGIUNTO EG CONSULTING SRL, Giancarlo Cantagallo ENISUS & CO SRL, Marco Masselli E.N.P.A.L.S., Valter Marcocci ESSEENNE, Pierpaolo Neggia FIREST SRL, Fulvio De Grassi ITALIA CONSULENZE, Diego Griffon e Giancarlo Restivo LAVORO IN SICUREZZA SRL, Alessandro Sette MA CI SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE DAI RISCHI E CONSULENZA INDUSTRIALE MEGA ITALIA SRL, Matteo Meroni MP SERVIZI TORINO, Matteo Alfredo Pala Nicola Nuti Luigi Ormando PI ESSE DI SCAGLIA & C SAS, Paolo Sivieri PRIMA TRAINING & CONSULTING, Massimo Servadio e Priscilla Dusi QUALITY CONSULTING ITALIA 137
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RDS STUDIO TECNICO ASSOCIATO, Vincenzo Ricca REGIONE CALABRIA AZIENDA SANITARIA N.3 Riano Bruno Russo Biagio RZ - PROGETTO 626, Giuseppe Rosato Sergio Sapia SECUR GEST SRL, Luigi Erba SEDIIN SPA, Ovidio Francesconi SEI SOCIETA ESPLOSIVI INDUSTRIALI SPA SEIDUESEI.ORG SRL, Ornella Lucia Salvetti SICURING SRL, Alice Bettini Alessandro Sirtori Benito F. Suliani STUDIO CHIMICO, Raffaele Prencipe STUDIO LEVONI CONSULENTI DEL LAVORO, Fabrizio Levoni STUDIO MICCOLO, Francesco Miccolo STUDIO PAP, Paolo Parrello STUDIORAMA SRL, Lorenzo Rago STYLE ITALIA SRL Turrin Vladi Giovanni Zanin Enzo ZINCHERIA SECA SPA ZINCO SERVICE, Emanuela Ghisi
Un ringraziamento particolare a Ovidio Francesconi e alla SEDIIN SpA di Roma, che ha elaborato a livello informatico tutti i questionari ed i dati, contribuendo alla realizzazione ed allâ&#x20AC;&#x2122;analisi della ricerca.
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