Visioni dall’Apocalisse L’Olanda celebra i 500 anni dalla morte di Hieronymus Bosch con la più grande mostra mai dedicata al pittore fiammingo
testo di Giovanni Gazzaneo
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isionario, apocalittico, fantasmagorico… ma soprattutto realista. Sì, Hieronymus Bosch è uno dei più grandi realisti della storia dell’arte. Ha dato colore e forma alla sostanza stessa della realtà, non si è accontentato di offrircene la superficie, per quanto splendente. La disposizione di molteplici scene su più piani – che caratterizza gran parte delle sue opere – vuole cogliere l’essenza delle cose nel segno della multiformità, e mostrarci il dialogo quotidiano tra terra e cielo, tra creatura e Creatore. Perché se
quel che conta è invisibile agli occhi, Bosch quell’invisibile ha cercato, amato, intuito e raffigurato. L’invisibile è provvidenza operosa, amore, preghiera, libertà, ma è anche tentazione, caduta, infedeltà, follia… Le sue opere sono un gioco di sguardi, quello esteriore e quello interiore, che mai, ci dice il maestro, possiamo separare perché il prezzo sarebbe la cecità, quella che Gesù condanna nei farisei: la falsa visione di se stessi e del mondo… Il maestro fiammingo ha saputo raffigurare la menzogna, che al male sempre si accompagna, nelle sue innu-
merevoli declinazioni, attingendo alla sua fantasia che non conosceva limiti o inibizioni e ai bestiari medievali, con la loro lunga tradizione di figure mostruose che avevano solcato storie e geografie e le cui radici affondavano nell’antica Persia e nella Grecia classica. Come ha sottolineato Jurgis Baltrušaitis, Bosch forgia in visioni apocalittiche l’antico immaginario che abitava spazi marginali nei codici e nei capitelli romanici e gotici, e per primo lo pone al centro della scena. Il Giudizio Universale si dispone in una spazialità nuova, complessa e lontana dalla ver-
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ticalità atemporale degli affreschi medievali. L’artista fiammingo disegna l’altro Rinascimento, dove non troviamo costruzioni razionali e prospettive armoniose, ma le tensioni di un mondo imperfetto in cui il sonno della ragione e la mancanza di fede e di amore generano mostri. Le visioni apocalittiche non sono allora solo espressione dell’Ultimo Giorno, ma anche dei grandi orrori in agguato nella storia degli uomini: dagli echi delle catastrofi del passato (alluvioni e maremoti nei Paesi Bassi, la Guerra dei Cent’anni…) ai presagi di quelle future, a partire dalle guerre di religione che, a seguito della Riforma, devasteranno nuovamente l’Europa. Mai nessuno, fino al Novecento, ha saputo guardare faccia a faccia il male co-
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me Bosch è riuscito a fare. Né ha saputo coglierne la natura profondamente contraddittoria, allucinata e irrazionale: la bellezza luciferina e l’orrore demoniaco, il volto grottesco e sadico, ma anche la forza del desiderio e il suo potere annichilente e quell’irresistibile fascino dello stare sospesi sull’abisso, anche a rischio di cadere. Bosch pone al centro la questione del male e della morte, e lo fa da maestro. Mentre i suoi discepoli hanno prodotto opere – anche copie e falsi firmati Bosch – dove le “diavolerie” erano il soggetto principale, perché richieste dal mercato, il maestro fiammingo ha sempre avuto un fine eminentemente spirituale – a partire dalla sua prima opera, l’Adorazione dei Magi, 1470-1475 –, e un unico tema: la Salvezza (quindi, per
contro, anche la dannazione). Non ha timore di mostrare l’uomo per quello che è: figlio di Dio e schiavo del peccato. Nella sua profonda religiosità, ci ricorda che c’è un buco nero nella storia e un buco nero in ciascuno di noi, ed è questo abisso di male che ha inchiodato il figlio di Dio alla croce e, sul Golgota, l’ha abbandonato alla solitudine più totale, accompagnato fino al suo ultimo respiro solo dal pianto silenzioso di sua Madre e dell’apostolo Giovanni. La Salvezza, come la perdizione, sono presenti in ogni scena da lui raffigurata: folle di uomini colte nell’agitazione del vivere quotidiano; esseri ultramondani, angeli, diavoli o fantastiche creature, che inseriti in modo realistico in un contesto quotidiano, di paesaggio naturale o urbano, assumono
una plausibilità altrimenti impossibile. Infine ecco la visione più attesa e sperata: quel Paradiso che Bosch ci propone in modo essenziale ed evocativo, nel segno della luce e dell’armonia, senza la pretesa di raffigurazioni del “totalmente altro” che risulterebbero terrene e inadeguate. Il maestro fiammingo nasce intorno al 1450: Hieronymus è l’equivalente latino di Jeroen (Girolamo), mentre Bosch è lo pseudonimo che deriva dalla contrazione del nome della sua città natale, ’s-Hertogenbosch (Bois-le-Duc/Boscoducale). La città, oggi in Olanda, faceva parte del Ducato di Brabante, insieme con Bruxelles, Anversa e Lovanio, centri dell’economia e della rinascita culturale e artistica del Nord Europa. ’s-Hertogenbosch non era centro universitario né sede vescovile,
eppure era ricca di fermenti culturali e religiosi che trovarono espressione nella costruzione della grande cattedrale gotica di San Giovanni, iniziata nel XIV secolo e terminata dopo duecento anni di lavori. All’impresa collaborarono Anthonis e Jan van Aken, nonno e padre di Hieronymus, entrambi pittori. Bosch si forma nella bottega di famiglia – che poi sarà ereditata da uno dei suoi fratelli – e probabilmente frequenta anche lo studio di un maestro dell’arte della miniatura. Sposa Aleit van den Mervenne, di famiglia benestante. Non disponiamo di documentazione biografica, fatta eccezione per quella relativa ad alcune dispute legali sulle proprietà della consorte, e all’ammissione nel 1486 alla Confraternita di Nostra Signora, annessa alla cattedrale
A pagina 41, Adorazione dei Magi (1470-1475), olio su tavola, particolare. New York, Metropolitan Museum. Alle pagine precedenti, Visioni dell’Aldilà (1500-1503), olio su tavola, particolari. Venezia, Palazzo Grimani. In queste pagine, da sinistra, Giudizio Universale (1486), olio su tavola. Bruges, Groeningemuseum; Trittico di Santa Giuliana (1495-1505), olio su tavola. Venezia, Gallerie dell’Accademia.
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della città. Dalla Confraternita riceverà committenze di opere e verso di essa coltiverà un’attività di mecenate e benefattore. Tra il 1500 e il 1503, ma sulle date non abbiamo certezze, è in Italia. A Venezia lascia opere importanti come le Visioni dall’Aldilà e il Martirio di Santa Giuliana… Forse fa tappa anche a Milano: alcuni studiosi gli attribuiscono gli affreschi dell’Oratorio di San Bernardo, presso l’abbazia di Chiaravalle; mentre resta l’enigma dell’incontro tra il pittore fiammingo e Leonardo, e della reciproca influenza. A partire dagli inizi del Cinquecento Bosch diventa artista di fama, e i regnanti d’Europa, come Filippo il Bello e Margherita d’Austria, gli commissionano importanti opere. Pittore molto prolifico – ma sono tante le opere, di cui abbiamo documentazione, andate perdute – è stato accusato di rozzezza, di incapacità di rendere la terza dimensione dello spazio, di essere grande nel disegno ma di non avere la sapienza nelle tecniche pittoriche dei Van Eyck o di van der Weyden. L’eleganza della pittura è però l’ultimo dei problemi per chi ha raffigurato l’inferno che più infernale non si può, l’inferno interiore e quello della fiamma eterna. Qualcuno ha visto in lui un moralista e un fustigatore dei costumi dell’epoca, altri un anticipatore della Riforma o un eretico della setta degli Adamiti. In verità Bosch è stato cattolico fervente e devoto alla Vergine e ha saputo ricapitolare nella sua opera il repertorio del medioevo fantastico e il nuovo sguardo del Rinascimento, rifiutando però l’utopia di una bellezza priva di ferite e di contraddizioni. Scrive Erik Larsen: «Bosch è come un albero piantato all’incrocio di territori
confinanti, ma dissimili. Le sue radici affondano nel terreno per ricavarne le essenze più disparate: è fiammingo per lo schema cromatico; olandese per la caratterizzazione dei suoi modelli e per l’amore della natura; per l’aspetto satirico e straordinario della sua personalità l’ascendenza è tedesca». Per Roger-Henri Marijnissen: «I surrealisti stimavano molto Bosch. Grazie a lui Magritte ha imparato come si possono rendere illogiche le cose con logica ferrea... invertendo le proporzioni. Ma l’arte di Bosch non ha nulla da spartire con lo spirito del surrealismo. Cinque secoli ci separano dall’escatologia di Bosch. Ma la sua arte resta di una modernità commovente». I suoi funerali furono celebrati il 19 maggio 1516 nella cattedrale di San Giovanni. Quell’anno Erasmo da Rotterdam pubblicava la prima edizione del Nuovo Testamento in lingua greca e Tommaso Moro dava alle stampe Utopia. L’anno successivo Martin Lutero affiggerà le sue tesi alla porta della chiesa del castello di Wittenberg. Per l’anniversario dei cinquecento anni dalla morte, l’Olanda celebra Bosch con la più grande mostra a lui mai dedicata. Sono esposti venti dipinti e diciannove disegni originali del maestro fiammingo, oltre a un’ottantina di opere di autori che documentano il contesto storico dell’arte del XV e XVI secolo. Tra le più celebri opere in mostra, Il carro di fieno del Prado, La nave dei folli del Louvre, le Visioni dell’Aldilà di Palazzo Grimani a Venezia. “Hieronymus Bosch – Visioni di un genio”. ‘s-Hertogenbosch (Olanda), Noordbrabants Museum. Fino all’8 maggio. Info: hnbm.nl, info@bosch500.nl
In questa pagina, dall’alto, San Giovanni Battista (1489 circa), olio su tavola. Madrid, Museo Lazaro Galdiano; Allegoria dei piaceri (1494), olio su tavola, particolare. New Haven, Yale University Art Gallery.
In questa pagina, dall’alto, San Giovanni a Patmos (1500-1505), olio su tavola, particolare. Berlino, Staatlichen Museen; Salita al Calvario (1490-1510), olio su tavola, particolare. Vienna, Kunsthistorisches Museum.
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