Foodgrafando tutorial di fotografia Food

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Tutto quello che vedete, lo devo agli spaghetti. Sophia Loren Beh per me non è proprio così, o meglio, non solo agli spaghetti, ma anche alla “pappa al pomodoro”, alla “ribollita” alla “nana in porchetta” e insomma a tutta quella cucina tipica toscana che ogni giorno per 6 anni ho visto, assaggiato e imparato a cucinare mentre lavoravo al ristorante per pagarmi l’università. Adesso che non faccio più il cameriere e che non sono nemmeno avvocato, mi diverto a fotografare il cibo, “in tutte le salse”. La fotografia per me è una passione, ma è anche vita, perchè di questo vivo. Il food mi è rimasto nel cuore. Intro: Adoro immortalare i piatti degli chef, da loro puoi capire ogni singolo gesto, puoi notare tutta la loro arte, ed è a queste cose che io dedico la mia attenzione. Lo scatto inizia prima dello shooting vero e proprio, occorre capire bene cosa valorizzare, cosa per lo chef è il tocco di classe del suo piatto. Come lui sceglie gli ingredienti e gli accostamenti, così devo fare io, dosare la mia ricetta sulla sua. La luce, la scelta dell’obiettivo, della focale e del diaframma, devono valorizzare quegli aspetti che per lui sono fondamentali. Mi spiego meglio: l’untuosità della carne ad esempio, il colore della pasta all’uovo, la trasparenza del basilico, sono solo alcuni degli aspetti di cui tengo volutamente conto, così come la disposizione, la “verticalità” o l’”orizzontalità” della pietanza, la scelta del piatto giusto e delle porzioni. Tutto questo accade ancora prima della fase di scatto. Preparazione: Una volta chiarito tutto mi concentro su quali strumenti mi servono per enfatizzare gli aspetti che lo chef mi ha elencato, ed è allora che inizia la fase fotografica. Il food richiede una buona conoscenza della luce, della differenza fra una diffusa e una spot, e degli effetti che esse creano, appunto sul nostro “prodotto”.


Luce: La luce diffusa è più grande rispetto al soggetto che vogliamo fotografare, proietta su di esso morbidi riflessi e ombre soffici e vuote [non nere piene, ma grigie per essere chiaro] e l’effetto è proporzionale alla grandezza [più grande la fonte di luce, più morbidi i riflessi e vuote le ombre]. La luce spot invece proietta riflessi forti e ombre nette, ben definite e con neri intensi, è più piccola o della medesima grandezza circa del vostro soggetto e se fotografate a diaframma chiuso vi regala un effetto a stella dove si riflette con più forza. [Obbligatorio, un pannellino riflettente che fa rimbalzare la luce e la riflette, appunto, verso il soggetto per “riempire” le ombre. Il pannellino può essere anche un semplice polistirolo bianco] Personalmente non amo il light box perchè mi appiattisce l’immagine essendo in grado solo di darmi una luce diffusa, in quanto esso stesso funge da enorme diffusore. Perchè devo scegliere la qualità della luce? Quante luci devo usare? Dove le posiziono? Dipende dalla pietanza: in genere io uso al massimo 2 luci sul soggetto e 1 sullo sfondo se necessario, non fotografo mai con la luce del sole o di una finestra perché è difficilmente controllabile e riproducibile: la terra si muove e il sole cambia angolo di incidenza sul piatto e se devo fotografare 10 piatti non ne ho uno uguale all’ altro. ATTENZIONE: questa non è una regola, dipende da voi e dalla storia che dovete raccontare. La luce può aiutarvi anche a far capire il trascorrere del tempo. [colazione pranzo e cena...]. Se il piatto è fresco e colorato, la luce dovrà rispecchiare questo aspetto, una luce radente potrebbe accentuare i colori e le trasparenze, ad es dell’insalata rendendo sull’immagine sfumature di colore interessanti, ma la luce non dovrà essere troppo spot altrimenti avrete un effetto di “bucatura” in alcuni punti e non riuscirete a vedere il colore ma solo la luce bianca. Se la caratteristica peculiare del vostro piatto è l’”untuosità” dovrete valorizzarla ma senza esagerare, un po di olio rende il piatto più invitante in quanto lo fa percepire come morbido e appetitoso, troppo olio lo rende “immangiabile agli occhi”, qui potete scegliere se avere un leggero riflesso sull’olio, come una velatura, ottenibile con una luce diffusa, o un effetto brillante, tipo riflesso del sole che tramonta sul mare, con una luce spot in leggero controluce.


Luce frontale, laterale e controluce. Eccoci, meglio approfondire. Iniziate con una fonte di luce, lampada fissa o flash non fa nessuna differenza, ma se avete la possibilità di capire dove e come il vostro soggetto è illuminato, prima ancora di aver fatto uno scatto ne trarrete beneficio in termini di tempo. Questo aspetto [tempo] è fondamentale, la pietanza uscita dalla cucina mantiene per pochi istanti le caratteristiche che la rendono meravigliosa, per cui dovete essere pronti, idee chiare in testa e location preparata con tutto quello che serve. Fate un po di esperienza prima, magari posizionando il piatto vuoto e sistemando il tutto intorno. Come accennato la posizione della luce dipende dalla pietanza e dal vostro gusto, cercate sempre di dare tridimensionalità ai vostri piatti con luci ed ombre, valorizzatene la forma, oltre che il contenuto. Se fotografate qualcosa di tondo magari una luce laterale vi darà la tridimensionalità che cercate. ATTENZIONE: La luce frontale, quella che proviene dalla stessa direzione della fotocamera in genere penalizza questo aspetto, rendendo bidimensionale la vostra immagine. La fotografia è di per sé bidimensionale, ma la nostra visione no, per cui avvicinarci a quello che l’occhio vede ci aiuterà a rendere più veritiera la pietanza e di conseguenza farà sentire chi vede la foto più a suo agio. Molto spesso 2 luci sono più che sufficienti; come schema di base suggerirei una luce frontale-laterale, all’incirca a 45 gradi rispetto al soggetto, valutate voi l’altezza della fonte in base alla pietanza e una in leggero controluce dalla parte opposta, pannello riflettente a dosare le ombre prodotte dalla luce frontale-laterale. A voi spetta scegliere la qualità di queste luci, se diffusa o spot. ATTENZIONE: Fate attenzione al controluce, se troppo spinto rischiate di avere “bucature” specie se si tratta di zuppe, minestre o cibi oleosi [gli chef non gradiscono].


Obiettivi: Lo scopo della fotografia di food è far venire l’acquolina in bocca a chi guarda, raccontare gli ingredienti che ci sono nel piatto e rendere giustizia al lavoro fatto dallo chef… facile? Assolutamente no. Come posso ottenere questo risultato? Per rispondere a questa domanda credo che dovremo decidere quale obiettivo usare. Io prediligo 2 tipi di obiettivi:

1.Macro 2.Teleobiettivi i macro perchè mi permettono di rendere ogni microscopico particolare degli ingredienti e fornire allo spettatore una visione “confortevole” ma allo stesso tempo molto ravvicinata, le lenti macro restituiscono all’immagine tutta una serie di dettagli e se provate vi renderete conto di come possa essere meravigliosa una cipolla tagliata, o il granello di pepe o la panatura di una frittura, etc… i teleobiettivi li adopero con minore frequenza sopratutto sono utili per piatti che hanno una certa complessità, questo mi permette di isolare quello che voglio adoperando la “schiacciatura” dei piani che il teleobiettivo offre e la ridotta profondità di campo se abbinato ad un diaframma relativamente aperto. In alcuni casi adopero anche il mio inseparabile Canon ts-e 90 mm, obiettivo che molte volte mi ha salvato la vita [fotograficamente intendo], questo mi permette di seguire con la messa a fuoco le forme della pietanza e avere intorno uno sfuocato particolare grazie al basculaggio.


Il punto di vista: Cercate di scegliere il punto di vista giusto per ogni pietanza in accordo con quanto detto finora, verticalità del piatto, location,accompagnamento o meno con un contorno, a seconda anche che vogliate dare una visione confortevole o stravolgente del vostro piatto. Il vostro scopo è valorizzarlo, per cui se la pietanza è verticale cercate di farlo percepire ma non esasperatelo, a meno che questo non vi sia stato chiesto dallo chef. Se fotografate una minestra ponetevi a 45 gradi rispetto ad essa, questo vi farà avere una visione anche dello spessore del piatto. ATTENZIONE: Questo punto di vista è quello che si ha quando sediamo a tavola, per cui fa sentire bene chi guarda ed è familiare, usatelo per trasmettere questa sensazione. Diaframma: wow siamo quasi alla fine… l’ultima scelta è il diaframma perché cambia la profondità di campo a seconda dell’inquadratura che facciamo e dell’angolo di ripresa della fotocamera rispetto al soggetto, ma in genere uso diaframmi aperti tipo 5,6 – 11 per avere una messa a fuoco selettiva su una zona della foto. ATTENZIONE: La messa a fuoco è di fondamentale importanza che sia in un punto di interesse per chi guarda: la cima della montagna di pasta, il rametto di ramerino, insomma l’attenzione deve cadere su qcs di inerente e esplicativo del piatto. Profilo: Ultimo ma non ultimo, scegliete sulla fotocamera il profilo adatto: se avete Canon scegliete standard o neutro. ATTENZIONE: non adoperate profili che saturano molto i colori perchè questi vi stravolgono la foto e trasmettete una sensazione di artefatto che non si sposa col cibo e con la genuinità che cerchiamo come caratteristica peculiare. I colori della carne e delle verdure sono il nostro riferimento riguardo alla genuinità. Buona Luce! Adesso anche voi tutto quello che sapete lo dovete agli spaghetti.


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