Sognando un marocco a due ruote

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SOGNANDO UN MAROCCO A DUE RUOTE “Nelle gole profonde, nelle rughe della pelle del Marocco c’è un cielo grigio, nuvoloso che si riflette nella mia macchina fotografica, tra il rosso della terra e il verde delle palme”


SOGNANDO UN MAROCCO A DUE RUOTE “Nelle gole profonde, nelle rughe della pelle del Marocco c’è un cielo grigio, nuvoloso che si riflette nella mia macchina fotogr afica, tr a il rosso della terr a e il verde delle palme”

Fotogr afie e testi di Nedo Baglioni


“Nelle gole profonde, nelle rughe della pelle del Marocco c’è un cielo grigio, nuvoloso che si riflette nella mia macchina fotogr afica, tr a il rosso della terr a e il verde delle palme”


11 SETTEMBRE 2008

Introduzione: Il Marocco è quel pezzo di terra magnifica che ogni abitante e ogni visitatore lascia per sempre nel suo cuore, è colore, è suono, è vita e sorrisi, io tutto questo l’ho solo sfiorato, in poche settimane di fine estate, di una estate che non avrei mai giurato potesse regalarmi tante gioie, tante emozioni e tanti sapori. Questo racconto è il mio viaggio come l’ho vissuto io, in maniera egoistica, come un passante che guarda dal finestrino un paese che sta attraversando, con i muscoli tesi e il cuore che lacrima, io lo avrei voluto vivere in moto, ma non ho potuto, io sarei voluto rimanere li ancora un pò, ma non ho potuto, io mi sono perso davvero in quei colori, in quelle luci e in quei sapori in quella gente.

Copyright 2009 by the author of this book Nedo Baglioni. The book author retains sole copyright to his or her contributions to this book.

Mi ritrovo così, alle 21:30, in un hotel nel centro di Siviglia. Le pareti sono di un colore pastello e la finestra, dalla quale prosegue un piccolo balcone, spinge la mia vista su un quartiere in costruzione. Di sottofondo le grida di ragazzine che corrono e inseguono una serata ancora agli inizi. C’è odore di intonaco e paglia. Qui la vita è veloce, ma non frenetica, il ritmo è scandito dal linguaggio veloce, anch’esso, e ritmato, con cadenze precise e ben scandite. Io sono stanco. Dalle cinque del mattino di un paesaggio quasi lunare con luci soffuse dalla nebbia e con un silenzio feroce, che solo viene spezzato dal rumore delle moto, il passo è stato breve, istantaneo. Quell’atmosfera irreale mi ha quasi teletrasportato in Spagna e reso straniero in una terra più che ospitale. Il problema, però è la moto, quel rumore sordo del bicilindrico, l’odore della benzina e della gomma sull’asfalto, vederla difronte a te inclinarsi e girare le curve... provo a seguirla ma non ce la faccio. Non ce la faccio a sentire tutto ciò con un auto, sono uno straniero. Non c’è brivido, non c’è abbraccio col mezzo. “Noi Partiamo” mi hanno detto, “Vi seguo!” ho sospirato: “vengo con voi fino a Genova, vi guardo , vi saluto e poi volo a Siviglia dove prenderò il pullman per Algeciras e poi il traghetto per Tangeri. Sabato mattina, poi, sarò lì ad aspettarvi, consapevole che tanto, per un paio di settimane, io di ruote ne avrò 4, ma sicuro che, per me, sarà una sorta di inseguimento.



12 SETTEMBRE 2008 La mattinata di Siviglia ha il profumo dell’estate, delle corse in riva al mare e dei castelli di sabbia, non perché ci sia davvero il mare, ma perché il mare è forse dentro di questa città come lo sono i palazzi e come lo sono i giovani studenti che la vivono. Spetta a noi adesso andare verso il mare. La destinazione è Algericas, tra l’altro mui vicina al nostro caro Jerez dela frontera, il pullman parte alle 13.00 e noi abbiamo il tempo per prenderci ancora un, seppur breve, respiro di Siviglia. Durante il tragitto quello che colpisce sono le strade ordinate, pulite, con l’asfalto che piace a chi vive di emozioni, a chi lo ascolta mentre in piega ti druscia sulla scarpa. L’odore del viaggio probabilmente era un altro, forse di praterie, di tori, di mulini a vento, non lo so ma io l’ho vissuto come se quel mondo vivesse solo di asfalto, come se invece di un pullman a trasportarmi, fosse il vento. Partenza per Tangeri alle 16.30, nave deserta, solo 10 persone, mentre la luce forte del sole spagnolo entra dagli oblò e disegna le ombre dei pochi membri di questo strano equipaggio, la nave si sposta e comincia il mare, quello pieno fatto di sale, di brezza e di orizzonti sconfinati. Dall’alto la vista è migliore e non si sente l’odore acre delle spezie, bruciate dal caldo della “carlinga”, della moquette impregnata dai sapori forti del cibo del Marocco. ramadan, vestiti colorati, donne coperte e anch’ esse colorate, uomini intenti a fumare l’arghilè e a bere caffè fumando una dopo l’altra mille e una sigaretta.

All’arrivo è il ramadan ad accoglierci,con le sue leggi inviolabili, difficili per noi europei che ci piace fare sempre quello che vogliamo, manca il timbro sul passaporto e il capitano è andato a mangiare. Abdullah, invece è la prima persona che ho visto appena sbarcato sul suolo marocchino, non tanto alto, pochi capelli, un solo dente davanti, odore di spezie e una bella camicia bianca con scritto Emporio Armani, originale come la lingua che parla un misto di spagnolo, inglese, francese e italiano. Lui fa il tassista e ci ha trovato l’albergo, il cambio dei dinari e il noleggio dell’auto. Un giro per la notte di Tangeri non potevo perderlo. Frenetica davvero fino a tarda notte dopo il



13 SETTEMBRE La mattina dopo il ramadan è silenziosa, paziente, ha l’odore del riposo e dei postumi della festa, Abdullah con il quale avevamo fissato verso le 10.00 si è fatto attendere prima di unirsi a noi. Approfittiamo di lui per fare un giro di Tangeri. Ci mostra ogni angolo da cui si può vedere bene la città, quella città in cui lui vive da 40 anni e che conosce come le sue tasche, quella città che odora di spezie di pesce e di rispetto. La nostra mattinata scorre veloce verso il mare, verso l’atlantico e il mediterraneo, fra le grotte di ercole e i pinoli raccolti da un bambino e venduti lungo la strada. Gli altri, i motociclisti, devono arrivare verso le 16.00 ora marocchina. Noi già dalle 15.30 siamo li davanti e li attendiamo, trai bambini che corrono dietro ai tir, le “top moto” che vanno e vengono da dentro il porto una volta con il pesce, l’altra con nel loro cassone 2 o 3 persone, persone che vengono da chissà quale paese o che tornano dalle loro famiglie. Il porto sa di fumo, di smog, di bambini sporchi di terra. Escono alle 18.00, tutti in fila, uno dietro l’altro,con le loro moto, 3 bmw e 1 ducati, che cantano all’unisono, con i loro cuori che sorridono all’idea di affrontare questo viaggio. Io li seguo con la mia peugeot 207, per le strade di Tangeri verso Rabat e giù fino a Settat dove ci attende un caro amico marocchino, alla fine dell’autostrada che scorre diritta verso un sole ormai sceso al tramonto, coi colori del rame e dell’oro, con l’odore dell’asfalto, della benzina e della mia voglia di scendere e unirmi a quel gruppo di anime.

Akhbir, ci farà da guida e la sua cena di benvenuto odora di pesce fritto, di frutta e di cus cus, il suo te alla menta è speciale, così come il suo cuore, grande e accogliente. La notte anche per noi è lunga e alla fine mi ritrovo a scrivere queste poche righe che sono le 5 del mattino con gli altri che dormono con ancora indosso le tute da moto in un salone accucciati tutti in cerchio come in preghiera, rispettosi, anche noi, del loro forte e incorruttibile ramadan.





14 SETTEMBRE 2008 MARRAKESH – Marrakesh, la temperatura del liquido delle moto raggiunge i 130° C. Muoversi nella città trai bambini che corrono e i motorini senza freni è un impresa che richiede la massima concentrazione. I 40° C e I movimenti a bassa velocità rendono impossibile proseguire il percorso. Come nel resto della città la piazzetta brulica di gente, dagli incantatori di serpenti, ai tautatori, a chi offre ai passanti accaldati una spremuta fresca, a chi, straniero come me, rimane abbagliato dai mille colori della città. Nell’aria sferragliano I motorini, ovunque, di quelli vecchi che da noi non si trovano più, guidati da gente impazzita che fugge e sfiora gli altri per le vie di una “metropoli” troppo piccola per tutti. Qui ci siamo arrivati dopo la notte di veglia con l’amico marocchino, con il cuore bollente per il calore del sole e per le linee che le gomme continuavano a fare in quell’asfalto nero come il carbone. Ondeggianti nei lunghi curvoni, veloci nelle diritte, osteggiando una sicurezza che neppure il valoroso don Chisciotte aveva, deciso com’era ad affrontare I mulini a vento. Non perché questa impresa sia destinata a fallire, ma perché se si crede in un sogno è veramente impagabile quando questo si realizza. Marrakesh sa di te alla menta, di smog; suona di musica arabeggiante e canta con la voce della Moschea “Dio è grande” e ha per tutti il massimo rispetto.







15 SETTEMBRE 2008 Il te verde alla menta riempie le narici di profumi e lascia scaldare il cuore. Così anche la loro ospitalità. Questo popolo da e prende, vive e suona in un migliaio di colori, di rosso, di giallo, di verde. Sento il rombo dei motori, il calore delle marmitte, le luci abbaglianti la sera nel buio. Le vedo come il mare di Agadir che “ama il suo re perché è buono” Nella sabbia affondano i loro scarponi e passo dopo passo verso i loro cavalli sotto gli sguardi di una coppia di innamorati, sotto gli sguardi curiosi di mille occhi. Nelle gole rosse tra Marrakech e Agadir ci sono 175 uomini che costruiscono, creano autostrade per questo Marocco che cresce, cresce di gente, che vive di sguardi attenti, che sogna attraverso i bambini che girano intorno alle moto fumanti, ne respirano l’ odore, vogliono salirci sopra e le salutano quando sfrecciano per i paesi. Tiznit è una città povera, ricca di gente, di colori e di profumi. Noi l’abbiamo vista ormai riposata dopo il ramadan animarsi di luci, di donne, di uomini, di piccoli ninnoli d’argento per pochi dinari. Agadir odora di pesce, di mare, di vento freddo e pioggia. Tiznit ha l’odore del sorriso, dell’ospitalità che in Marocco si dice Te verde alla Menta.




16 SETTEMBRE 2008 TAFROUTE – TATA Odore di nebbia nella mattinata di Tiznit e dopo il rimbocco del carburante e dei nostri stomaci si riparte per una tappa di 300 km circa, tutte strade di montagna, curve e controcurve tra gole che ti tolgono il fiato e tornanti che ti spostano il cuore. La nebbia copre il cielo e a volte li vedo sparire nelle curve, nel nulla; come nel nulla vedo i cartelli che indicano le distanze. Tafroute sa di Tajin, di mandorle. Ha il rumore del silenzio dei bambini che si nascondono alla vista della mia fotocamera. Una foto ti ruba l’anima, l’ho sempre detto e pensato, ma ora mi accorgo che stavolta un pezzo di anima ce l’ho lasciato io; un pezzo nelle ombre, nei piedi e nel nascondersi di questi bambini; un pezzo nelle curve, quando l’asfalto faceva spazio alle moto e io le vedevo allontanarsi; un pezzo in quel luogo dove il tempo si è fermato; un pezzo nell’odore delle spezie. La strada per Tata ha portato via con se l’ultimo pezzo in un tramonto di diecimila colori, in un oceano di montagne e sassi, fra le gole di un canyon infinito e le curve che percorri, infinite anche loro verso un cielo rosa, rosso, giallo e blu. Quattro moto, un sogno e poi un auto e un altro sogno a metà. Col suono della musica di un flauto e l’odore acre del sole che scotta.










17 SETTEMBRE 2008 TATA – OUARZAZATE Oggi tutto ha il sapore della sabbia del deserto. Dalla caduta di uno del gruppo, fino alla pasta che abbiamo cucinato in una specie di oasi, all’incirca nel mezzo tra Tata e Ouarzazate. Anche l’albergo sa di sabbia, ma tutto ha l’odore del jazz, dell’avventura; forse solo l’odore perché del resto siamo gente comune, persone che un giorno hanno detto che quello doveva essere fatto e ci ha messo l’anima. Tra le curve della vita di tutti i giorni si è schiarita una diritta di asfalto nero da fare tutta una tirata senza mai voltarsi. Gente che ha lasciato dietro di se mogli, fidanzate e bambini che aspettano il giorno del ritorno per abbracciarci, baciarci. Siamo gente normale con la passione per le due ruote. Anche il livido nella caviglia del nostro torero sa di sabbia, ma non c’è musica oggi nel nostro sottofondo, c’è il rumore del vento e ci sono i pizzicotti che la sabbia ti da quando ti picchia addosso insieme col vento. Ha il rumore della doccia e degli screzi fra di noi. A pensarci bene ha il sapore di una gita del liceo. E vorrei stringere entrambe le mie due fidanzate: quella col cuore più grande che mi ama e mi sopporta, anche se al telefono mi dice di no; quella che invece ha il cuore più freddo, di acciaio e batte soltanto quando io sono sopra di lei e viaggiamo da soli su di un nastro di asfalto. Ouarzazate sa davvero di Buono stasera.








18 SETTEMBRE 2008 Oggi il mio Marocco ha l’odore della pioggia nell’asfalto, nelle dune, nel cupolino e nelle marmitte bollenti. Il te verde alla menta è persistente ancora nelle mie narici, nella mia gola: “Shi Banana”. Nelle gole profonde, nelle rughe della pelle del Marocco c’è un cielo grigio, nuvoloso che si riflette nella mia macchina fotografica, tra il rosso della terra e il verde delle palme. La pioggia piace alla gente di questa terra, porta gioia e non ci si ripara con l’ombrello da un dono di Dio. Il viaggio non è molto lungo, circa 150/180 Km. Ormai i nostri berbreri dai cammelli d’acciaio sono abituati a ben altre distanze; ma la pioggia li accompagna, bagna anche le loro tute, i loro stivali, le loro mani con le quali la tolgono dalle visiere gocciolanti. Bagna loro l’asfalto. Bagna a me il cuore e appena posso esco dalla macchina per cercare di toccarla con mano, di odorarla, perché davvero la pioggia ha un odore diverso se la prendi in viaggio. Con la moto sa di vita, sa di fresco, di asfalto scivoloso, sa di bagno nel mare. E’ il 90% del nostro corpo [l’ acqua] E’ il 90% della nostra anima [la pioggia]. Piove sulla pelle rossa del Marocco, sulle sue rughe, nella sua bocca. Sa di H2O oggi, il mio Marocco e la mia anima vorrebbe correre fuori su due ruote.






19 SETTEMBRE 2008 MERZOUGA La sabbia del deserto ti entra davvero nell’anima, come i ragazzi berberi che nelle tende dimostrano chi comanda a suon di pugni. “Boxe” mi hanno detto: “is good in the desert”. Certo è comunque che non avrei potuto essere qui con il mio monster, qui in una notte stellata a dormire con una branda in una tenda nel mezzo del deserto. Qui la moto ha quattro zampe, un collo lungo, si impenna, inchioda e derapa fra le dune. Ha l’odore del cammello, qui, la notte. In un deserto illuminato solo dalla luna e da una candela. La nostra cena sa di “whisky berbero” e Tajin. Ha l’odore delle spezie e del pollo la nostra notte e ci fa scordare il sole di oggi e la pioggia di ieri, ci fa scordare la sabbia che col vento mangia l’asfalto delle strade e il sole che col suo vapore lo lascia ricongiungersi al cielo. Quella stessa sabbia che ora graffia i fogli del mio diario mentre col polso druscio sulla carta, che fa stridere i denti e che ora ci accoglie come morbida coltre sotto un lenzuolo stellato. Sa di acqua la nostra notte e un po anche di sudore. Ha ancora il suono del vento e del silenzio. Ha il colore del cielo di notte: il nero, ma anche i colori delle mille stoffe che compongono la tenda, mentre all’interno bolle il pentolone di alluminio con dentro la nostra cena e la luna ci allarga un po il suo sorriso. Domani forse ci sarà il sole sul nostro Marocco.










20 SETTEMBRE 2008 Un’ altra tappa che la pioggia ha interrotto. Le gole di Todra sono coperte da un cielo nero piombo, presto pioverà. Facciamo tappa qui, dove il sole non batte e la gente ha il ritmo del mercato, il sapore della frutta e della verdura, dell’agnello e dei giornali. Sono le 16:00. Con la moto non si va nel deserto, almeno noi. Nel paese sommerso dalle voci degli abitanti cadono gocce di pioggia e scandiscono il ritmo dei nostri passi. La strada oggi era asfalto e rena, pista di terra battuta e strada. Per le moto sembrava un percorso tracciato da mani esperte; per me era la pula che usciva dalle ruote della moto che serviva per mordere, in qualche modo, quel pezzo di strada. Oggi sa di alba nel deserto. Sa di luce radente che accarezza le dune, sa ancora più forte di cammello. La colazione invece, aveva marmellata, pane azimo e caffè. Non c’è per me il te verde alla menta.





21 SETTEMBRE 2008 420 minuti circa, senza te alla menta, 420 km percorsi per visitare le gole di Todra, nella mattinata, con il sole che sembrava rassicurarci e promettere un giorno più bello. 420 km per dirigersi a Nord, scavalcare montagne di 2000 m, attraversare guadi, sentire la grandine sbattere: io contro il vetro, loro sul cupolino, sulle ginocchia, sulle mani. Sembrerò matto, ma ancora una volta li invidiavo, invidiavo loro il freddo, le loro tute h2out, il loro schizzare dalle parti quando l’acqua si faceva più invadente. Pensavo a un giorno in Italia, quando c’ero io sulla moto, con 2 compagni di viaggio e grandinava e pioveva, sopra Palazzolo. Era la mia prima volta sotto la pioggia cadente e il mio giubbotto se lo ricorda ancora. Era la mia prima volta sotto una grandine che colpiva e picchiava contro l’asfalto e contro di me, contro la mia moto. 420 km per arrivare a un hotel, con una zuppa di legumi calda e una fetta di rosbif. Oggi ha l’odore della birra che il cameriere non ci ha portata “impossible in ramadan”. Oggi sa di povertà e di quella gente che questa burrasca l’ha davvero sofferta, nelle case di stracci, mentre dalla parete di roccia smotta una coltre di fango. Questa notte saprà di riposo, avrà l’odore di biancheria pulita, di vestiti bagnati e di muscoli intorpiditi. Saprà di rispetto per chi in queste terre, in condizioni veramente disagiate, ci vive. Mano destra sul cuore.










22 SETTEMBRE 2008

23 SETTEMBRE 2008

FES – 1° giorno Fes ha negli occhi la storia, la bravura di migliaia di anni, di migliaia di persone uomini e donne. Negli occhi di Fes vedi gli artigiani della ceramica bianca, vedi i conciatori di pelli, le donne e le bambine che annodano i tappeti. Ma Fes ha anche i venditori, i compratori, il mercato per le vie della medina. Oggi per noi è un giorno senza moto perché gli 80 Km che ci separavano da Fes sono volati in un ora circa fra montagne e foschia, sole e asfalto, nelle tarde ore della mattinata. Fes sa di olio bruciato, sa di turismo, sa di mercanti; ha l’odore delle spezie, delle pelli, dei sandali e dei dolci tipici marocchini. Ha il rumore dei clacson e i colori del semaforo, ma ha anche il rumore dei telai vecchi che cigolano e fanno stoffe dai colori brillanti e molteplici. Ha il sapore dell’investimento, di arabi che comprano ettari e ettari di terreno: “sorgeranno palazzi, alberghi e centri commerciali” ci dice Abdullah [la nostra guida] mentre col semaforo rosso sfreccia negli incroci con il suo vito mercedes suonando il clacson e imprecando quei poveri motorini che gli si parano davanti. Fes è una grande città e non ha altro da offrire se non la sua grandezza, la sua confusione,la sua cultura, la sua esperienza e la sua ospitalità.

FES – 2° giorno Karima è la gentilissima direttrice del nostro hotel in Fes, parla molto bene il francese, ma del mio inglese proprio non ne vuole sapere. Per cena stasera ci ha preparato un cus cus degno delle migliori massaie africane, poi col suo sorriso ci ha dato la buona notte. Mora, non tanto alta, con una carnagione olivastra e dei denti bianchi che brillano forte a ogni suo sorriso, così fanno anche i suoi occhi neri come la mecca verso cui si inginocchia per pregare. Anche oggi le moto sono rimaste ferme, domani ripartiranno. Andiamo più a Nord e si avvicina la fine del nostro viaggio, ma i cuori, così come i motori rimangono caldi, in temperatura, eh si perché l’aria di Fes e il nostro vagabondare per due interi giorni ci ha cambiato, ma domani [anzi fra poche ore visto che adesso sono le una passate] la giostra riparte, si riaccendono i motori e l’umore cambia. Dalle vie della Medina fatte di sassi, terra e mattoni, si torna all’asfalto e allo sterrato. Dal rumore dei mercanti con le loro contrattazioni si torna al crepitio delle marmitte, all’odore della benzina, alle curve in sequenza, alla pula. Si torna a vivere! Io pure riparto con loro, con la voglia e lo spirito che hanno loro; alla ricerca di un brivido, di un’ emozione. Solo per Me oggi Fes sa di benzina, di motori, di curve e di asfalto, per gli altri forse sa ancora di mercato, di seta, di argento e di tappeti, di asini e polli, di uomini e donne.




24 SETTEMBRE 2008 CHEFCHAOUEN Qui in Marocco sono ospitali con i motociclisti, tutte le pattuglie di poliziotti alzano loro la mano in segno di saluto, un po come si fa da noi tra motociclisti, e poi non puntano mai contro il laser per vedere se vanno troppo veloci. E’ una sorta di alchimia e rispetto, forse perché le moto sono facilmente ricollegabili a quel turismo che tanti soldi fa entrare nelle casse del regno. Per le auto invece la musica è molto diversa, ad ogni città ci sono tre poliziotti che ti aspettano e appena la tua sagoma di automobilista sbuca all’orizzonte ti puntano per vedere se superi il limite. Il sole del Marocco invece è più imparziale. Riscalda i motociclisti come gli automobilisti e disegna in terra le ombre di entrambi. Le vedi, le ombre delle moto, disegnano sull’asfalto figure asimmetriche, allungandosi e restringendosi ora da una parte ora dall’altra. Le strade di montagna poi sono molto generose e non risparmiano quei curvoni impostati così belli e armonici che noi bikers amiamo davvero tanto, come anche quei nastri di asfalto dove puoi passare velocemente da una piega a destra a una a sinistra. Il Marocco ha una tale varietà di paesaggi che credo sia impossibile non trovare la strada adatta ai nostri gusti, quella che sa regalarci un emozione... ovviamente solo se hai una moto.

“Guarda la montagna” è un paese conficcato nella roccia, che si lascia baciare dal sole al mattino e accarezzare al tramonto. Le case sono bianche e celesti e le strade sono un saliscendi continuo di scale e gradini. Le fontane, che prendono acqua dalla stessa montagna , rinfrescano tutti gli angoli della medina. CHEFCHAOUEN sa di prugne essiccate, sa di cus cus, di turismo, di vita, di notte ma anche e purtroppo di droga.








25 SETTEMBRE 2008 CHEFCHAOUEN - TITUAN – TANGERI Sono all’hotel di quando sono arrivato in Marocco, con un sacco di fotografie in più, con un sacco di esperienza, con alle spalle un viaggio di più di 3000 km. Km percorsi dietro a un sogno, fra mari e pianure, montagne e vallate, fra odori e sapori, rumori e suoni. Tangeri ha la stessa aria di festa di quando sono arrivato, martedì prossimo dovrebbe finire il ramadan e allora comincerà la festa, quella vera, che inebria l’aria e gli occhi di questa gente che per un mese intero si è privata di acqua e cibo, di amore e vita fino al tramonto,e che ora già si prepara. Sinceramente mi mancano molte cose e adesso me ne rendo conto. Ho bisogno di alcune persone, delle mie cose, della mia fidanzata e della mia moto. Ho bisogno di un bel bicchiere di acqua fresca, degli odori e dei sapori della mia terra. Ma che cavolo di Rider sono: appiedato [su 4 anziché 2 ruote] triste e malinconico dopo un tour del Marocco! Dopo un avventura, seppur non ai limiti comunque particolare. Dopo aver collaborato alla realizzazione di un sogno, quello di 4 persone che amano la moto: Stefano, Gigi, Roberto e Moreno. Con al fianco un fiero scudiero, Massimo [che spero non me ne voglia per averlo definito tale] che ha dentro di se la voglia di sperimentare, di crescere e di andare oltre. Insomma è veramente finita. Avrò ancora 2 giorni di viaggio ma sarà solo un percorso per tornare a casa e del viaggio non avrà neppure il sapore...



STEFANO

MORENO

GIGI

ROBERTO


NEDO

MASSIMO

LA TERRA E IL MARE DEL MAROCCO


...Mi piace chiudere qui dove tutto è iniziato, da dove posso mandare un saluto a Abdullah [il primo], a Akbir che ci ha ospitato, a tutte quelle persone che ho incontrato, dalla dolce Karima alla zingara che mi ha imprecato per averle rifiutato l’elemosina. Sono soddisfatto, contento e felice per quello che ho fatto, ma ora vorrei domani svegliarmi nel mio letto, alzarmi, prendere la mia moto e correre dalla mia fidanzata.




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