Nero su Bianco Aprile 2012

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Carissimi amici della Cappella Universitaria di Siena, eccomi tra le vostre mani con il mio secondo numero annuale. Per questa edizione la redazione che mi anima, in continuo turnover, ha ben pensato di ridarmi uno stile Lo

nuovo e contenuti vari e spero.. avvincenti!!!

sguardo di Dio fisso sopra di noi: sembra questo il filo conduttore di molte delle mie pagine…

Sguardo che la volontà dell’uomo può accogliere e fare proprio, come Don Roberto ci racconta citando Vladimir Solovev, evidenziando che è proprio attraverso la grazia e la volontà che gli uomini possono essere protagonisti della loro esistenza e attori di una storia che sanno orientare verso il suo fine, il Dio vivente. ...sguardo come quello che Suor Maria Teresa, Madre Generale delle nostre Suore Figlie della Chiesa, facendo un resoconto della sua visita canonica, ha visto rispecchiato all’interno della Comunità di San Vigilio nel bel clima di famiglia, nella gioia di stare insieme con il desiderio di crescere umanamente e spiritualmente.

sguardo che, come dice Maria Grazia, reduce dall’esperienza “sconvolgente” delle Quarant’ore, ti accarezza, ti travolge, ti ricolma di Pace e ti rende libero! Uno sguardo che, leggiamo con Marianna, consola ed educa a liberarci dai demoni del nostro tempo ma che con l’arma della parola evangelica vengono sconfitti lasciando il nostro animo davvero libero, libero felice e autenticamente guarito. guarito Uno sguardo ardente che illumina le notti di una missione meravigliosa raccontataci da France-

Uno

sco, Claudia, Federica e Francesca: quella che ha visto la Cappella Universitaria impegnata nell’esperienza dell’evangelizzazione

di strada, strada opportunità vera e concreta di gustare la bellezza del Suo Amore.

sguardo che insegna a riscoprire la bellezza dei valori più autentici, puri, fondamentali, fondamentali quale quello della castità come uno strumento in grado di rafforzare l’amore. Possiamo vedere quello stesso sguardo nel quadro di Salvador Dalì proposto da Chiara che può illuminare i lati più oscuri della nostra interiorità (osservate bene… e lo scoprirete!!)

E’ lo stesso

Numerosi saranno gli spunti di riflessione che troverete nelle mie pagine.. ce n’è per tutti

i gusti!!! gusti

dal “bene

comune”, a elementi di spiritualità, all’attualità... Ovviamente non potrà mancare la rubrica Ciak si gira di Eugenio su La vita è meravigliosa... con uno stile rinnovato! L’attendere la

Pasqua non sarà, come leggiamo con Isabella, un vano e sterile “attendere Godot”, ma

tempo propizio di preparazione all’incontro con l’unico Sguardo in grado di dare Salvezza. E uno sguardo particolare è necessario che porgiate, cari lettori, alla rubrica dei ei passatempi: qualcosa di nuovo si è aggiunto ad allietare il vostro tempo libero nelle vacanze pasquali!!

un

Auguri di una

Santa Pasqua e buona lettura! Vostro NsB B

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In questo numero vi augurano buona lettura...

L’angolo del Don Volontà e grazia: un’opposizione? di Don Roberto Bianchini

Riflettendo Pag. 4

Cappellania Una condivisione...feconda e arricchente di Suor Maria Teresa Sotgiù Pag. 5 Dal ricevere...al donare amore di Filippo Bardelli Festa di Carnevale di Elisa Belvisi Il deserto: orizzonte abitato da Dio di Katia Capozzoli Restate qui e vegliate con me di Maria Grazia Virone Educare con il cuore di Marianna Di Tizio

Il trionfo dell’amore gratuito di Alice Pappelli Economia di comunione di Lorenzo Sciuto

Pag. 16

L’arte del buon governo di Giuseppe Vazzana

Pag. 17

“In ogni cosa rendete grazie” di Fabio Fiorino

Pag. 18

La via del dono di Andrea Vicari

Pag. 19

Castità: amarsi senza possedersi di Claudia De Pasquale

Pag. 20

Una vita in sala d’attesa di Isabella Petrocelli

Pag. 21

50 anni da conciliare di Domenico Bova

Pag. 22

Sulla tragedia…”turismo di massa” di Roberta Macrì

Pag. 23

Pag. 6

Pag. 7

Pag. 7

Pag. 8

Pag. 9

Esperienze Evangelizzazione di strada di Francesco Paoli di Claudia De Pasquale di Federica e Francesca Camilletti

Oscar Luigi Scalfaro di Federica Maniscalco

Arte a parte Pagg. 10-11

L’Ultima Cena di Salvador Dalì di Chiara Maniscalco

Pag. 24

Ciak si gira Pag. 12

Pag. 13

Un classico è meraviglioso di Eugenio Alfonso Smurra

Pag. 25

Passatempo di Filippo Bardelli

Pagg. 26-27

Fotografando di Angelo Donzello

Pagg. 14-15

Bacheca

Pag. 27

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VOLONTÀ VOLONTÀ E GRAZIA: UN’OPPOSIZIONE? La fonte di tutti gli atti dell’uomo è la sua volontà. E così la barriera che lo separa dal bene esistente, cioè da Dio, è la volontà dell’uomo. Ma in virtù di questa stessa volontà, l’uomo può decidersi a non agire secondo se stesso o secondo il mondo, a non comportarsi secondo la sua volontà o la volontà del mondo. Questa rinuncia a se stesso, o conversione della volontà umana è il suo più grande trionfo. (Vladimir Solovev)

Parlare di volontà nel contesto post moderno conduce non di rado al fraintendimento. Anzi, questo termine pare oggi pressoché incomprensibile o comunque genera repulsione e fastidio. Da un lato si sottolinea fortemente l’elemento della libertà nell’uomo che lo esalta e ne realizza la volontà, ma dall’altro, questa stessa volontà assomiglia a qualcosa di irrazionale, che ha una vita propria e autonoma e dunque sfugge alla ragione. La volontà sembrerebbe sottrarsi al cammino della conversione. Il cristianesimo ha un rapporto inquieto con questo tema. Alcuni hanno ritenuto, da Pelagio in poi, che con l’esercizio della volontà l’uomo potesse salvarsi quasi senza la grazia, ma in tal modo l’uomo diventa autosufficiente - una specie di super-uomo - e si scorda di essere una creatura. La morale volontaristica che ha imperato fino alla prima metà del ‘900, tutta fatta di norme e divieti, ha reso insopportabile la stessa parola volontà. Oggi tuttavia dobbiamo urgentemente recuperare questa dimensione dell’agire cristiano. All’inizio del cammino di conversione dell’uomo c’è sempre e prioritariamente un invito di Dio, ma ad esso noi non potremmo rispondere adeguatamente senza la ragione e la volontà. Senza di essa sarebbe impossibile combattere il male: tutta l’ascesi cristiana consiste nella purificazione della volontà evitando la quale non potremmo riconoscere e scegliere il bene. Senza la volontà non potremmo infine neppure porre l’atto di fede. Nessuno può aprire il cuore a Dio che lo cerca se non lo vuole con tutto se stesso, né Dio potrebbe mai forzare la volontà dell’uomo fino ad imporgli di riconoscerlo. Gli uomini del nostro tempo sono sempre più fragili e instabili: se vogliono recuperare statura e stabilità devono affrontare la sfida di ricostruire la volontà per saper porre scelte ricche di senso e perseveranti che orientino a Dio. Devono riattivare questa sfera fondamentale con grande fiducia nella sua potenzialità: in un tempo in cui la seduzione del male è onnipervasiva si devono ricordare che “solo con la vo-

lontà l’uomo può rifiutarsi al male e solo con la volontà può riconoscere il Bene come essenza, cioè Dio” (V. Solovev). In ultimo è solo nel concorso tra la grazia e la volontà umana, che gli uomini possono essere davvero protagonisti della loro esistenza, attori di una storia personale e collettiva che non subiscono come una condanna ma che sanno orientare verso il suo fine che è il Dio vivente. ■

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frase

Per approfondire: Vladimir Solovev, I fondamenti spirituali della vita, vita, Roma, Lipa, 1998.


UNA CONDIVISIONE... FECONDA E ARRICCHENTE Lettera di Suor Maria Teresa Sotgiù, Madre Generale delle Suore Figlie della Chiesa, alla Comunità di San Vigilio

Siena ha avuto sempre per me un grande fascino: scrigno d’arte, di cultura, di tradizione, di santità… Questa volta però, venendo tra voi, cari giovani della Cappella Universitaria, ho scoperto che accanto al passato glorioso, in questa città c’è un presente pieno di promesse. La mia visita, lo sapete, aveva come prima destinazione la condivisione della vita della Comunità di Sorelle che presso la Chiesa di San Vigilio sono chiamate a dare testimonianza di preghiera adorante e di supporto nella Cappella stessa; una vicinanza a voi giovani che dura da vent’anni e che mi ha profondamente toccata, perché ho potuto constatare quanto sia feconda e arricchente la collaborazione tra le varie componenti ecclesiali: il Sacerdote, le Sorelle, tutti voi. La nostra piccola Famiglia religiosa ha ricevuto in dono e cerca di custodire e accrescere il carisma speciale di conoscere, amare e testimoniare la Chiesa come Madre; questa sua fondamentale vocazione di maternità continua non soltanto dando vita nuova ai Figli della Chiesa nati dal Battesimo, ma portandoli a piena maturità secondo il progetto che il Padre celeste ha su ciascuno. E’ stato molto bello, perciò, constatare che le mie Sorelle cercano di essere tra voi trasparenza di questa maternità speciale e vi accompagnano con dedizione e amore, ottenendo il vostro affettuoso ricambio. Non è un fatto da dare per scontato, quindi è ancora più prezioso. Ho visto che nella Cappella si è instaurato un bel clima di famiglia, che coltivate rapporti di amicizia spontanei e sereni, sebbene le vostre provenienze siano diverse, come pure le facoltà che frequentate e le tappe verso il traguardo della conclusione degli studi… E fa piacere vedere i già dottori e professionisti incipienti che non sanno rinunciare al calore di questo singolare “aeropago”. Ho goduto, incontrandovi, nel vedere la vostra gioia di stare insieme con il desiderio di crescere non soltanto culturalmente, ma anche umanamente e spiritualmente. Con Suor Maria, mia Vicaria, ci siamo sentite arricchite nel condividere la vostra esperienza, sia l’approfondimento della Parola di Dio domenicale, sia il canto del vostro bel coro che arricchisce le celebrazioni liturgiche, sia l’attenzione generosa verso i poveri attraverso l’Am.Bo.Mo. Unico rimpianto… complici gli esami… il tempo per stare con voi è stato troppo breve. Ci auguriamo di condividere ancora con voi momenti di scambio e di riflessione, nella gioiosa consapevolezza di saperci in profonda comunione! ■

Per approfondire e curiosare: http://www.figliedellachiesa.org

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DAL RICEVERE… AL DONARE AMORE Conoscere se stessi per una piena coscienza di sé e degli altri. La ricerca di un orientamento nelle nebbiose interpretazioni del nostro modo di essere è da sempre uno degli obiettivi primari della specie umana. Che molto spesso si interroga e indaga su comportamenti, attitudini e atteggiamenti, alla ricerca di spiegazioni difficili da decodificare. A questa sete di conoscenze interpersonali, la psicologia ha offerto tecniche e strumenti, che attraverso i più diversi stimoli invitano a rivelare la parte più profonda della personalità, del carattere e del temperamento. Proprio attraverso l’approfondimento di questi aspetti, tramite riflessioni, condivisione e momenti di gioco, il ciclo di incontri sui temi dello sviluppo dell’affettività, organizzato dalla Cappella Universitaria e dal Consultorio Giovani di Siena, ha offerto la possibilità di spendere del tempo per sviluppare una maggiore consapevolezza della gestione dei sentimenti e per rendere esplicita l’importanza delle relazioni, da quelle più intime e interiori, a quelle dinamiche e talvolta impegnative con gli altri. Attraverso i giochi, intesi come proiezioni in ambiente “protetto” delle più intime attitudini, sono emersi caratteri, bisogni, idee e conflitti che ogni partecipante porta con sé in modo più o meno consapevole, esplicitando gli aspetti fondamentali della propria personalità. Ciò che, probabilmente, è emerso in maniera più visibile è che in ciascun individuo coesistono spinte contrastanti. Nessuno è completamente istintivo o razionale, né introverso o estroverso; dipende dai contesti, dalla compagnia e, perché no, dal momento.

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In sostanza, ognuno possiede un mix di attitudini contrastanti tra loro, che, pur tendendo talvolta verso una specifica propensione, porta sempre a un determinato equilibrio, che è poi il nostro modo di essere. Quello che c’è di nuovo è che non sono solo gli altri a non conoscere certi nostri scrigni nascosti; siamo noi stessi, spesso, a non essere totalmente consapevoli di queste aree della nostra personalità. Soprattutto quando ci troviamo a confrontarci con “l’altro”, emergono diversità, da intendere come un arricchimento in termini di conoscenza, confronto e fiducia. Sentimenti e stati d’animo rappresentano alcuni degli strumenti per interagire con gli altri: siano essi i membri della nostra famiglia, oppure i componenti di un gruppo di conoscenti, fino alle amicizie più intime e alle relazioni di coppia, nel progressivo passaggio dalla situazione di ricevere amore, alla capacità di donarne. Il ciclo di incontri, articolato su cinque date, sta sempre più allargando l’intensità e la profondità dei rapporti, andando di pari passo con le fasi che ogni individuo si trova a percorrere nella propria crescita. Dal primo incontro incentrato su noi stessi e intitolato “Chi sono? Ti incontro…mi conosco!”, il percorso ha condotto a “Il gruppo: opportunità, crescita o ostacolo?”, per poi giungere, in maniera decisamente più sentita e impegnativa a “Ci vorrebbe un amico…”. Con gli ultimi due incontri si entra nettamente nella sfera dei sentimenti più profondi: “E poi fra tutti, uno” e “Dalla ginnastica dell’amore al dono di sé”. Alla fine del ciclo, ognuno potrà tirare le somme sul proprio comportamento, anche se, quando in ballo ci sono sentimenti e valori importanti, la somma delle parti non sempre costituisce il tutto. ■

Conoscere se stessi per una piena coscienza di sé e degli altri.


DALLA COMUNITÀ... COMUNITÀ... FESTA DI CARNEVALE

Il carnevale è una festa di origine antica, che viene celebrata anche in molti paesi che hanno una tradizione cattolica. Nella nostra comunità “cappellana” non potrebbe mancare il momento della festa di carnevale, quest’anno realizzata il 18 febbraio nei locali di San Vigilio trasformati in una grande sala da feste addobbata a dovere! Questa festa è un connubio di creatività e arte. Quale idea migliore se non cimentarsi nel dare vita a opere d’arte vere e proprie? Questo è stato il tema scelto per il nostro carnevale: opere d’arte! È stato davvero originale vedere i dipinti prendere vita… dai quadri classici, come “La Gioconda”, “Il bacio” di Hayez, “La ragazza con il turbante”, il ritratto di “Papa Innocenzo X”, “L’incontro di Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele”, “Il figlio dell’uomo” di René Magritte, “Le ballerine” di Degas e “I Girasoli” di Van Gogh con l’autore in persona, all’arte contemporanea con i Murales di Keith Haring. Questo appuntamento è una buona occasione per mettere in azione la nostra fantasia cimentandoci in “costumisti provetti”. Le caratteristiche principali della serata sono ogni anno l’attesa colma di curiosità e lo stupore nel vedere amici e conoscenti in panni nuovi ed eccentrici, fuori dagli schemi della routine quotidiana che troppo spesso ci appiattisce! Ci auguriamo che questa divertente tradizione non si perda, né tra i bambini, né tra gli adulti che vedono in questa festa un momento per tornare all’età della spensieratezza. ■

IL DESERTO: ORIZZONTE ABITATO DA DIO

La bellezza di avere una Comunità con cui condividere un percorso di vita spirituale assume tante forme e la maggior parte di queste sono volti e luoghi in cui rifugiarsi. Ciò accade quando si vive la possibilità di ritirarsi per qualche ora dalla quotidianità e darvi nuova forma e colore. Il ritiro spirituale, infatti, ha proprio la consistenza di un rifugio silenzioso in cui a parlare è semplicemente la parte più intima di ciascuno. Se poi a questa “isola di pace” si aggiunge il tratto dolce ed elegante del paesaggio toscano, il gioco è fatto! Un po’ questa è l’immagine, del tutto personale s’intende, del ritiro che studenti e amici di San Vigilio hanno fatto la terza domenica di quaresima presso il Convento di San Girolamo in Siena. Ad accompagnarli è stato don Alessandro, caro amico della Cappella, che con ironia semplice e impeccabile profondità ha schiuso le porte del “deserto”, protagonista e tema assoluto del giorno. Un deserto certamente spirituale, fatto di tanti significati e intense lotte: deserto quale luogo dell’Esodo; spazio interiore di solitudine e carenza; dimora di tenebre e tentazioni. Tuttavia è proprio il deserto che si rivela il punto di partenza per ritrovare la direzione del cuore e la forza per incominciare a lottare, ossia guardare a ciò che si è veramente, tenendo presente l’esempio di Colui che ha vinto la logica del male con lo scudo dell’immensa fiducia nel Padre. L’obbedienza dunque, forma per eccellenza di ascolto, assume una connotazione sublime quando diventa il veicolo per attraversare il deserto dell’anima e far sì che l’orizzonte diventi autentica occasione di rinascita. ■

Quale idea migliore se non cimentarsi nel dare vita a opere d’arte vere e proprie? ...è proprio il deserto che si rivela il punto di partenza per ritrovare la direzione del cuore e la forza per incominciare a lottare...

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RESTATE QUI E VEGLIATE CON ME Scrivere è sempre un’impresa ardua, soprattutto quando provi a raccontare un’esperienza che per te non è narrabile, che non ha parole capaci di rendere la grandezza di ciò che hai vissuto. L’Adorazione notturna è stata per me il primo incontro con Dio, in Gesù vivo, posto di fronte ai miei occhi in tutto il Suo ineffabile splendore. Varco la soglia della Chiesa in penombra, ed entro subito in una dimensione di Pace che veramente pervade l’anima. La luce del Santissimo Sacramento, raggiante, brilla ai nostri occhi, ma fa ancor più luce in un altro tipo di ombra, forse molto più scura: quella che ciascuno porta dentro di sé. Il silenzio spesso atterrisce e spaventa, perché costringe a meditare su tutti quegli aspetti che di solito preferiamo seppellire nel caos e nel rumore di parole vuote. Ma di fronte al Santissimo Sacramento, in quel momento di abbandono e silenzio, di vero “deserto” interiore, Gesù viene a parlarci ed ascoltarci. Sì, Lui ci salva proprio mentre pensiamo di precipitare, quando siamo messi di fronte al nostro essere nient’altro che creature in tutta la nostra umana fragilità. Tante volte mi sono chiesta dove fossero i “segni” di Dio, dove fosse la Sua guida nella nostra esistenza, ma ho capito che – come in ogni rapporto degno di questo nome – non si può avere una risposta o una consolazione, se non si è predisposti all’ascolto. Durante l’adorazione Gesù è lì di fronte a noi, con Corpo ed Anima, ed è in quel momento che, più di ogni altro, siamo pronti ad ascoltarlo, a lasciarci pervadere dal Suo Spirito. Lì rivolgiamo a Dio ogni nostro pensiero, Gli offriamo tutti i dolori più intimi, quelli che spesso la gente non sa capire o che ascolta con poco interesse. Io penso, infatti, che il dolore si possa comprendere solo attraverso il dolore, soprattutto se intendiamo una comprensione che sia piena, sentita, partecipata. E chi più di Cristo, che ha preso su di sé le nostre ferite e le nostre piaghe, può offrirci questa compassione? E’ strano, è piena notte, ma nessuno ha sonno qui di fronte al Santissimo Sacramento; la recita di un rosario infrange il silenzio, e così comprendo anche la vera profondità della preghiera, ben lontana da quelle un po’ distratte e “recitate” solamente con la bocca. Ogni volto, anche quello più segnato dalla sofferenza, si trasfigura al momento dell’incontro con Lui. Immersa nella realtà mondana che fa inebriare, ma che alla fine lascia una sensazione amara di vuoto, per la prima volta in adorazione io ho provato la sensazione della pienezza: un effluvio di Pace, un Amore rigenerante, la “carezza” di Dio che lentamente mi ha travolta e riscaldata. Ho capito che la solitudine di quel momento è un’esperienza straordinaria e paradossale, perché è in realtà il più alto momento di comunione con Lui: è vera preghiera, è vera compassione. Poco prima della sua passione, al Getsemani, Gesù chiese ai suoi discepoli di restare con lui e vegliare; in questa notte, Signore, noi siamo qui per Te, a rubare un’ora al sonno per meditare, invece, su qualcosa di infinitamente più prezioso. Adoriamo Gesù, rendiamolo centro dei nostri pensieri e della nostra meditazione; è il miracolo di un piccolissimo atto d’amore che però sarà fonte di vera Luce, nella notte della nostra vita. ■

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Ogni volto si trasfigura al momento dell’incontro con Lui


EDUCARE CON IL CUORE Gesù ci ama come sa amare il Figlio di Dio, ovvero donandoci la guarigione dai mali e offrendoci un pane capace di saziare la nostra fame di infinito. Il Vangelo di Marco si concentra sulla natura divina di Gesù per dimostrare la provenienza del Messia, l’assoluta mancanza di autoreferenzialità delle Sue opere. Il percorso diocesano di Lectio Divina proposto dalla Cappella Universitaria consente di accostarsi al racconto dell’evangelista Marco proprio per apprendere e conoscere l’amore incondizionato di Gesù verso il Padre e nei confronti di ogni persona. In particolare, in Mc 9, 14-29, Gesù compie un miracolo per allontanare uno spirito maligno che si è impadronito di un giovane. Il demonio sottopone il ragazzo a varie torture: cerca di impedirgli in ogni modo di vivere serenamente. Questa giovane creatura non riesce a stare in piedi: è una metafora che indica la condizione provocata dal peccato in ogni persona. Il male che alberga nell’anima non consente all’uomo di esprimere le proprie capacità: i talenti che ciascuno possiede non possono essere messi a frutto perché l’ego li riconduce alla soddisfazione personale. Oppure, rischiano di rimanere del tutto sepolti sotto uno strato di pigrizia determinato da un vuoto esistenziale. È interessante che il malato sia identificato con i termini “ragazzo” e “fanciullo”. L’evangelista intende soffermarsi sulla sua giovane età per sottolineare l’aspetto educativo della figura di Gesù che in questo passo insegna come comportarsi con i giovani. Spesso gli adolescenti sono osservati come esseri apatici: i loro interessi sono scevri di profondità o risultano fini a se stessi. Anche i giovani di oggi appaiono assorbiti da uno spirito maligno, dagli odierni demòni dell’apparenza e dell’accidia. Sembrano tali agli occhi di chi li giudica. Ma Gesù non giudica: preferisce accogliere. Quando il padre del ragazzo Gli chiede di guarire il figlio, Gesù si informa sulle origini della malattia: il Suo comportamento indica che desidera conoscere le persone che ha davanti. Vuole partecipare al loro dolore, assumere su di sé la loro sofferenza. A una figura educativa è richiesto lo stesso atteggiamento: accostarsi al ragazzo per prendere parte ai suoi dubbi e alle sue debolezze, per comunicare con il suo mondo e la sua realtà. Le scelte di Gesù invitano a costruire relazioni sincere, rapporti che rappresentano un riflesso dell’amore di Dio. È necessario considerare che i giovani sono creature a cui sono stati consegnati dei talenti che possono portare frutto solo se offerti al Signore. È questa, dunque, la missione dell’educatore: condurre i ragazzi da Gesù, che è il Maestro per eccellenza e il medico di ogni male. Solo in questa prospettiva i giudizi crollano, si sfaldano, per lasciare spazio alla fiducia nelle capacità dell’adolescente. In questo ambito persino gli apostoli cadono nell’errore: non riescono a guarire il fanciullo perché non fanno appello alla preghiera, convinti che siano sufficienti le loro forze per scacciare gli spiriti maligni. Ma il Signore indica, a loro come a noi, che l’unica via per guarire l’altro è quella che conduce al Padre: è la strada dell’umiltà e della docilità nei confronti di Dio, per vincere la tentazione dell’autoreferenzialità. ■

La missione dell’educatore:condurre i ragazzi da Gesù, che è il Maestro per eccellenza e il medico di ogni male.

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EVANGELIZZAZIONE... Per rievangelizzare l’Occidente ed i paesi a tradizionale cultura cristiana - ormai più propensi ad incensare le dee della Ragione e dell’Autodeterminazione piuttosto che il vero Dio - a più riprese durante i loro pontificati, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno lanciato un appello alla Nuova Evangelizzazione invitando tutti ad annunciare il (medesimo!) Vangelo con una novità di espressione, espressione ardore e di metodo. metodo Questa “chiamata” del Papa, unita all’intuizione che debbano essere i giovani i primi testimoni verso i propri coetanei, ha fatto da scintilla per un rinnovato slancio missionario: oggi, almeno in Italia, si possono infatti contare in diverse città iniziative volte a far pervenire il kerygma (l’annuncio di Cristo morto e risorto) a quante più persone possibile. Abbandonando una pastorale di quasi esclusiva “manutenzione”, sulla quale de facto come Chiesa ci siamo un po’ adagiati negli ultimi decenni, una delle modalità di evangelizzazione proposta consiste nel riportare il Vangelo proprio laddove è nato: per strada! strada Con l’intento di raggiungere tutti quei giovani che in Chiesa non ci metterebbero mai piede è nata da una decina di anni a questa parte l’esperienza de “La Luce nella Notte”: Notte” in mezzo alle tenebre del mondo, sola risplende la Luce di Cristo che illumina e dona vita ad ogni uomo. Si tratta in buona sostanza di allestire una Chiesa in cui invitare, fino a notte fonda, i giovani a fare un’esperienza cuore a Cuore con Gesù Eucaristia. Mentre in Chiesa qualcuno resta a pregare, altri - a due a due escono per avvicinare i giovani e proporgli un incontro con Gesù. Per preparare le persone a questo incontro viene proposto un piccolo percorso - figura di quello interiore - in cui scrivere una preghiera, accendere un lumino e pescare da un cestino, appositamente allestito sotto l’altare, un foglietto con su scritta una frase tratta dalla Sacra Scrittura. Le preghiere raccolte vengono poi consegnate a comunità monastiche che pregheranno per queste intenzioni. A disposizione ci sono dei sacerdoti per chi sentisse il bisogno di passare dal “salone di bellezza del cuore” (la confessione) a consegnare a Gesù il fardello dei propri peccati. Ecco, questa è l’esperienza, ma così raccontata non rende ragione di quanto lo Spirito Santo, vero agente dell’evangelizzazione, sia all’opera! Io stesso confesso di essere un “convertito” a questa modalità di evangelizzazione; ed anzi desidero ribadire come il primo beneficiario dell’annuncio sia proprio l’evangelizzatore perché la fede cresce quanto più la si dona; viceversa si spegne. Tuttavia dentro di me non ci ho creduto finché non ho fatto esperienza, non ho visto che il Signore davvero operava attraverso quel piccolo sì che mi era richiesto… E quel piccolo sì altro non era che fidarmi di Lui e gettare le reti sulla sua Parola... Non è la nostra volontà che ci fa compiere il primo passo, è Gesù che dolcemente ci ordina di andare in tutto il mondo e proclamare il Vangelo (Mc 16, 15). Obbedire è rispondere a questo Suo invito. E quanto più ci svuotiamo di noi stessi, per fare spazio a Lui, tanto più Egli è libero di agire ed amare il prossimo attraverso di noi. “Chi manderò e chi andrà per noi?” dice il Signore nel libro del profeta Isaia (6, 8). Rispondiamo con gioia “Eccomi, manda me!” ed allora saremo testimoni dei prodigi del Suo Amore. ■

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La fede cresce quanto più la si dona; viceversa si spegne!


...DI ...DI STRADA “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.” (Mc 16,15) Troppi sguardi assetati, troppe anime in cerca di pace, troppe vite spente. Non è tempo di stare a guardare: bisogna andare, bisogna fidarci di Lui che tutto può e tutto trasforma. Nel momento stesso in cui decidiamo di seguirLo, sarà Lui a venirci incontro armandoci di una tale forza e di un tale amore troppo grandi per essere tenuti solo per noi. Un cristiano che ha fatto esperienza dell’amore di Dio, che ha toccato con mano la Sua immensa misericordia, che ha assaporato anche in minima parte quella gioia piena che solo Lui può dare, non può non proclamare ciò che ha dentro al suo prossimo, chiunque esso sia. D’altronde, l’amore fine a se stesso è forse amore? L’amore non è per noi, non è per i “cristiani prediletti”, l’amore di Dio è per tutti, soprattutto per quelli che non lo hanno mai conosciuto. Questo vuol dire evangelizzare: andare per le strade proclamando il Vangelo a tutti i giovani, farci carico delle sofferenze degli altri, dimenticare noi stessi per ascoltare chi è più bisognoso di noi e accoglierlo con tutto il cuore, eliminare l’egoismo che è in noi, provare ad amare in modo gratuito aiutando chiunque a fare esperienza di quella gioia e di quella pace che Lui ci ha promesso. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Amare chiunque gratuitamente, per primi, senza chiedere nulla in cambio, per essere testimonianza vivente per coloro che vivono ancora nelle tenebre, perché tutti possano credere all’Amore di Dio, vivente in noi. Sperimenteremo come possiamo essere forti nella nostra misera debolezza e grandi nella nostra infinita piccolezza. E’ evangelizzando che evangelizzi te stesso, aiutando gli altri che guarirai te stesso, gioendo per gli altri che gusterai la gioia piena, amando il tuo prossimo che beneficerai di tutto il Suo amore. ■

L’evangelizzazione è una vocazione alla quale abbiamo voluto rispondere per amore di Cristo. Con essa ci è stata data l’opportunità di realizzare la volontà del Signore: “Cosi infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra” (At 13,47). Pur non essendo affatto convinte dei metodi e dell’efficacia di questa forma di testimonianza abbiamo provato ad essere docili, accogliendo un’idea diversa da quella che avevamo, ci siamo affidate: il Signore non ci ha deluso! Da subito abbiamo realizzato che noi non potevamo essere testimoni credibili, e pregando abbiamo chiesto con tutto il cuore a Cristo che ci svuotasse di noi stesse per riempirci del suo Santo Spirito, gli abbiamo offerto i nostri occhi, la nostra bocca, il nostro cuore, la nostra paura. Per la prima volta abbiamo desiderato ardentemente essere Suo strumento, abbiamo chiesto che Lui si servisse di noi per annunciare ai giovani di aver incontrato il suo amore, consapevoli di non essere degne di tutto questo. Il Signore ha esaudito le nostre preghiere. Incontrando i giovani in strada, pregando con loro davanti al Santissimo, vedendoli confessarsi ci siamo rese conto che il nostro Dio è veramente un Dio onnipotente che riesce a realizzare opere meravigliose attraverso tutti noi strumenti poverissimi. Pregando per persone che non conoscevamo e desiderando sinceramente la loro felicità ci siamo sentiti realmente tutti figli di uno stesso Padre. Quella sera a San Vigilio tutti noi, come i discepoli, eravamo “pieni di gioia e di Spirito Santo” (At 13,52). ■

...L’amore di Dio è per tutti, soprattutto per quelli che non lo hanno mai conosciuto. ...essere Suo strumento...che Lui si servisse di noi per annunciare ai giovani di aver incontrato il suo amore.

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IL TRIONFO DELL’AMORE GRATUITO Si sente spesso parlare di Lourdes e Unitalsi, di damine, barellieri, sezioni e sottosezioni… cosa significa e che cos’è l’UNITALSI? L’U Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati Lourdes e Santuari Internazionali nasce nel 1903, la sua storia è strettamente intrecciata al Santuario di Lourdes, al quale nel corso degli anni si sono aggiunti Loreto, la Terra Santa, Fatima, la Polonia, Banneaux. L’associazione è presente in tutte le regioni italiane con un’organizzazione organizzazione in sezioni e sottosezioni, è regolata in base a uno statuto e ha come missione vivere il Vangelo nella quotidianità, contribuire alla costituzione di una società dove ci sia spazio per servizi di carità vissuti in spirito di totale gratuità. Nel 1903 il giovanissimo Giovanni Battista Tomassi, affetto da una grave forma di artrite deformante irreversibile che lo constringeva nella sedia a rotelle, partecipò al suo primo pellegrinaggio a Lourdes. Il giovane, sofferente nel corpo e nello spirito per la sua ribellione a Dio e alla Chiesa, si procurò una rivoltella con questa intenzione: giungere davanti alla grotta e, se non avesse ottenuto la guarigione, togliersi la vita con un gesto eclatante. Ciò non accadde: venne colpito dalla presenza dei volontari e dal loro servizio amorevole osservando il conforto, la speranza e la serenità che la loro condivisione regalava ai sofferenti. La Madonna gli donò una nuova gioia di vivere e il desiderio di creare un’organizzazione per il trasporto di altri ammalati presso il santuario. Migliaia di volontari (chiamati damine le donne,

barellieri gli uomini) accompagnano ogni anno i malati e i sofferenti nel corpo e nello spirito ai vari pellegrinaggi che vengono organizzati. La nostra Comunità ha incontrato di recente il presidente dell’Unitalsi Sottosezione di Siena, il Signor Aldo Bernardi, che ha presentato la vita dell’Associazione e le sue attività nel territorio senese. Sentire parlare di luoghi, celebrazioni e appuntamenti vissuti riporta alla memoria con un pizzico di nostalgia volti incontrati e esperienze condivise ma anche e soprattutto l’atmosfera e il calore che hanno accompagnato quei momenti. Il contatto dei volontari con quelli che dalla società sono reputati gli ultimi e i più indifesi aiuta a relativizzare ogni aspetto della vita, a non dare per scontato nulla, neanche il semplice gesto di sollevare la forchetta per nutrirsi; è uno scambio reciprocamente fecondo e arricchente. Ricordo che alla vigilia del mio primo pellegrinaggio a Lourdes con l’Unitalsi ero un po’ scettica e preoccupata riguardo la mia capacità di svolgere bene il mio servizio. Ho preso come punto di riferimento il passo del Vangelo: Signore, quando mai ti

abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai eri straniero e ti abbiamo aiutato? O eri nudo e ti abbiamo dato degli abiti? E quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti? Ed il Re risponderà loro: “Quando lo avete fatto anche per l'ultimo di questi miei fratelli, lo avete fatto per me” (Mt 25,37-40). Vedere Gesù dietro ogni bocca da imboccare, ogni persona da lavare o pulire, ogni abbraccio o gesto d’affetto da donare: in questo consiste, infatti, a mio parere la chiave di volta che permette di vincere ogni blocco o impedimento. ■

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“Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” At 20,35 Per approfondire e conoscere di più: http://www.unitalsi.info


ECONOMIA DI COMUNIONE "Ho pensato che si potevano far nascere delle aziende, in modo da impegnare le capacità e le risorse di tutti per produrre insieme ricchezza a favore di chi si trovava nella necessità. La loro gestione doveva essere affidata a persone competenti, in grado di farle funzionare efficacemente e ricavarne degli utili. Questi dovevano liberamente essere messi in comune. E cioè, in parte essere usati per aiutare i poveri e dar loro da vivere finchè abbiano trovato un posto di lavoro. Un'altra parte per sviluppare strutture di formazione per Uomini Nuovi, cioè persone formate ed animate dall'amore, atte a quella che chiamiamo la Cultura del Dare. Un'ultima parte, certo, per incrementare l'Azienda." (Chiara Lubich - Laurea Honoris Causa in Economia - Piacenza 1999)

Nata nel Maggio del 1991 a San Paolo in Brasile da un’intuizione di Chiara Lubich, l’Economia di Comunione (EdC) conta ad oggi oltre 800 imprese dislocate nei cinque continenti. L’idea potrebbe sembrare di per sè un’utopia, specialmente se si pensa che, attualmente, il profitto è considerato il fine ultimo ed unico che spinge un imprenditore ad attivare un’azienda, lasciando solo all’economia no profit obiettivi di solidarietà. L’EdC propone invece una nuova concezione dell’agire economico, non più dedicato esclusivamente al profitto dei singoli, ma attento ad aiutare anche chi ne ha più bisogno. Lo scopo è quello di costruire e mostrare una società umana dove, ad imitazione della prima comunità di Gerusalemme, “nessuno tra loro è indigente” (At 4,34). Le imprese sono, ovviamente, l’asse portante del progetto. Queste si impegnano ad utilizzare i profitti secondo tre scopi di pari importanza: sostenere, sostenere attraverso progetti condivisi basati sulla reciprocità, la sussidiarietà, lo sviluppo di persone e di comunità che si trovano in situazioni di indigenza; diffondere la cultura del dare e della reciprocità, pre-condizione per uno sviluppo di una economia e di una società fraterne e solidali; sviluppare l'impresa, creando nuovi posti di lavoro e ricchezza nelle zone in cui essa prende vita. Un ruolo molto importante è, quindi, ricoperto anche da coloro che si trovano in difficoltà economica, i destinatari di una parte degli utili. Questi, infatti, non sono visti “semplicemente” come assistiti o beneficiari dell'impresa, ma diventano membri essenziali del progetto, all'interno del quale fanno dono agli altri delle loro necessità. A validare la solidità del progetto sono nati numerosi poli industriali come, nel 2006, il Polo Lionello Bonfanti di Incisa in Val d’Arno (FI). Il polo ha come modello ispiratore il progetto EdC e come fine la gestione e lo sviluppo delle aziende italiane che aderiscono a questa nuova cultura economica. Al suo interno sono presenti una trentina di realtà ormai consolidate di cui alcune a rilevanza nazionale quali Città Nuova, Banca Etica, Azur, etc. Un altro interessante caso di EdC è quello di Èspero, una realtà nata nel 1991 da una costola di Apple Computer ed oggi il più importante Apple Authorized Training Center in Italia. Per tutti questi imprenditori uno è stato l’elemento essenziale che li ha spinti a lanciarsi negli anni in questa nuova avventura: la Provvidenza. “Si sperimenta che dopo ogni scelta contro-

corrente, Dio non fa mancare quel Centuplo che Gesù ha promesso: un introito inatteso, un'opportunità insperata, l'offerta di una nuova collaborazione, l'idea di un nuovo prodotto di successo..." (Chiara). ■

Una nuova concezione dell’agire economico attento ad aiutare anche chi ne ha più bisogno.

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CARNEVALE 2012: OPERE D’ARTE

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LUCI NELLA NOTTE

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OSCAR LUIGI SCALFARO Più volte, nel corso del suo pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato la necessità per il cristiano posto al servizio del bene comune di assumersi un obbligo ulteriore rispetto agli altri: il mantenimento di una vita individuale e familiare esemplare, all’insegna della trasparenza. Raramente il panorama politico italiano ha offerto esempi rispondenti ad una tale levatura ed integrità morale, ma fortunatamente è possibile riscontrare qualche illustre eccezione. L’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, scomparso lo scorso 28 gennaio, ha saputo fondere in sé diverse componenti: una dedizione totale al compito che i vari incarichi istituzionali ricoperti comportavano, un forte senso delle istituzioni, un’incrollabile devozione all’organo supremo del Parlamento che, come egli stesso ha ricordato nelle numerose interviste rilasciate, è il legittimo depositario della sovranità popolare, un’incisiva presa di distanza da quegli scandali che nel corso del suo settennato al Quirinale hanno infangato la politica italiana. Ad esempio il fenomeno Tangentopoli dal quale prese le distanze col famoso discorso dell’ “Io non ci sto”. Un periodo di attività politica intenso e difficile, nel corso del quale per Scalfaro più forte si è manifestato il dovere di difendere in maniera categorica il dettato costituzionale contro chi mirava a manipolarlo per arrivismo e per il perseguimento del proprio interesse personale: “Su questa carta che mi è sempre vicina ho giurato fedeltà. Tanti la pagarono con la vita consentendo a noi di scriverla e di votarla: non dimentichiamolo mai”. Il fine ultimo che distingue ogni buon politico e ogni buona attività di governo è la persona umana intesa come il centro della democrazia e della libertà. Soltanto tenendo presente questo concetto è possibile ammettere degli eventuali ritocchi alla Costituzione, a condizione che ognuno di essi sia fatto nell’esclusivo interesse di tutti i cittadini italiani. Forte di queste convinzioni e vista l’urgenza di una risposta solida per chi insidiava l’unità e i valori della nostra nazione il Presidente aveva cominciato, nell’ultima fase della sua vita, un’attività politica dal nome “Salviamo la Costituzione” volta al coinvolgimento dei giovani che esortava a non arrendersi mai nella difesa di questi principi, nonostante la realtà politica contemporanea fosse sempre più desolante: “Oggi il Parlamento è una desolazione gravissima. Vorrei che a tutti giungesse il mio cuore, il cuore di chi è disposto a lottare per estinguere la marmaglia di coloro che mettono le mani sulla cosa pubblica nel proprio interesse personale”. A sostenerlo un’incrollabile fede e un senso di abbandono totale a Dio: “Dopo il vostro voto mi sono fermato a pregare per chiedere luce, forza e capacità di sacrificio a Dio in cui credo con tanta povertà di cuore; a chiedere protezione a Colei che umile, alta, più che creatura è Madre di Dio e dell’uomo”. Una fede riscontrabile nella speciale considerazione per l’11° articolo, “L’Italia ripudia la guerra”: “Mi emoziona molto per quello che dice al vicino e al lontano: il diritto delle persone a vivere nella pace; il grande dovere del popolo italiano a dire “no” alla guerra”. ■

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...il fine ultimo è la persona umana intesa come il centro della democrazia e della libertà.


L’ARTE DEL BUON GOVERNO Entrando nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena è possibile visitare una serie di affreschi realizzati da Ambrogio Lorenzetti nel 1338 e raffiguranti il Buono ed il Cattivo Governo. Nell’affresco del Buon Governo sono presenti le figure allegoriche rappresentanti la Sapienza Divina, la Giustizia, la Concordia, la Temperanza, la Fede e la Carità; nell’affresco del Cattivo Governo sono invece presenti le figure allegoriche della Tirannide, dell’Avarizia, della Crudeltà, della Frode, della Guerra e dell’Ingiustizia. Nel primo vi è una comunità di cittadini laboriosa e ben organizzata nelle sue strutture dove a prevalere sono la prosperità economica ed il senso di civiltà e di giustizia. Nel secondo invece è raffigurata una comunità cupa e avvolta dalla disonestà e dall’ingiustizia, dove i cittadini piuttosto che costruire sono intenti a distruggere e l’economia stessa non è per niente fiorente. Da quanto descritto è possibile notare le differenze tra i due modi di governare una comunità di persone che Ambrogio Lorenzetti già nel XIV secolo aveva saputo rappresentare in chiave allegorica. Saper governare una comunità di cittadini rappresenta in realtà una vera e propria forma d’arte, ed al pari di un pittore che sappia ben utilizzare i pennelli calibrando i colori attraverso un paesaggio che funga da fonte di ispirazione, allo stesso modo un vero governatore deve poter essere in grado di costruire un apparato di regole capace di realizzare un “capolavoro” fatto di benessere e di prosperità collettiva, divenendo per l’appunto un “artista del Buon Governo”. L’arte del Buon Governo è saper creare le dovute condizioni affinché tutti i cittadini possano vivere serenamente all’interno di un determinato paese, utilizzando e sfruttando al meglio i beni che il Buon Dio ci ha donato, ovvero fare in modo che ciò che è di tutti venga ulteriormente valorizzato e non venga distrutto o lasciato tra l’incuria e il degrado generale. Il vero bene comune si raggiunge attraverso la valorizzazione delle persone che vivono nel contesto locale o nazionale, rendendole responsabili nei confronti di se stesse e dell’intera società. I primi artisti del Buon Governo siamo tutti noi. Un vero cittadino che si rispetti deve saper mettere i propri governanti nelle condizioni di amministrare nel migliore dei modi la comunità attraverso il senso civico, il pagamento delle tasse, il rispetto delle regole del vivere comune e la scelta di validi rappresentati politici, contribuendo così in prima persona alla riuscita del “Buon Governo”. Non a caso quando al celebre scrittore tedesco Goethe venne chiesto quale fosse in assoluto la migliore forma di governo, egli, senza esitazione, rispose che il miglior governo è quello che ci insegna a governarci da soli. ■

Saper governare una comunità di cittadini rappresenta in realtà una vera e propria forma d’arte

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“IN OGNI COSA RENDETE GRAZIE” Le situazioni limite sono quelle che ci inducono una scarica esagerata di adrenalina, che coinvolgono in maniera estrema tutti i nostri sensi, le nostre sensazioni e le emozioni, sono quelle che ci fanno sudare freddo e ci toccano nel profondo. Pensate a un volo da incoscienti col deltaplano in montagna: sospinti dal vento, avete sotto di voi uno spettacolo straordinario con distese di alberi innevati intervallati da fiumiciattoli e tutt’attorno l’azzurro intenso del cielo... o anche all’esperienza che può significare il primo viaggio da soli negli USA in cui, dopo un volo di una ventina di ore e dopo aver rincorso aerei, vi trovate innanzi a distese di grattacieli mozzafiato e a tutto quello che avevate visto solo nei film... Una situazione limite superata, però, induce quasi necessariamente un respirone di sollievo, spesse volte un alzare gli occhi al cielo come non ci capita di fare in condizioni normali, e dire: Grazie, ce l’ho fatta!! Considerate anche cosa può significare condividere a inizio primavera con degli amici una gita fuori porta nelle stupende campagne toscane, magari in scooter.. o un inaspettato incontro con l’amico di infanzia, e di grosse marachelle, che non si vedeva da anni... o trovarsi a vedere in ospedale una vecchina davvero malconcia che si sforza di spingere la carrozzina che vincola gli spostamenti di suo marito.. Bene, in queste situazioni non c’è nessuna situazione limite che, come quelle descritte in precedenza, ci toglierebbe il respiro, ma pensate che sia meno bello e coinvolgente rendersi consapevoli di questi meravigliosi doni ed esserne riconoscenti? Certo che la vita ci mette continuamente davanti miriadi di esperienze, situazioni, incontri e volti (nessuno a caso!!) che spesse volte sfuggono alla nostra attenzione, più abituata a considerare lo “straordinario” rispetto all’ “ordinario”. E pensare che già nei Salmi l’uomo eleva il grazie al suo Creatore, Signore buono, per

aver creato i cieli con sapienza e aver stabilito la terra sulle acque, e per aver fatto i grandi luminari, il sole per regolare il giorno e la luna e le stelle per regolare la notte... perché eterna è la sua misericordia (Sal 136)! Cose che del resto a noi sembrano ovvie... “Grazie” è uno dei primi termini che si impara quando ci si immerge nella scoperta di una lingua nuova, probabilmente l’unico che si conosce di molte lingue strane… ed è anche una delle prime parole che abbiamo cercato di insegnare nella nostra carriera di inesperti fratelli maggiori, cugini o anche di zii a chi, piccino, impara a relazionarsi al mondo. Nella nostra vita spesse volte resta però una parola faticosa da pronunciare. Pensate anche che sapore delizioso avrebbe il ringraziare qualcuno per il semplice fatto di sentirsi oggetto di un sentimento vero, autentico e incondizionato! L’arte del ringraziare credo sia una delle espressioni più alte di libertà interiore che, nel profondo, racchiude la riconoscenza di una gratuità che ci disarma. Nel susseguirsi dei giorni siamo sempre consapevoli della grazia che pervade ogni nostro respiro? Spesso il silenzio, grande sconosciuto del nostro tempo, è l’arma vincente per orientare le nostre esistenze e renderci conto di ciò che le abita, è il motore che ci rende consapevoli della riconoscenza che dobbiamo per tutto quello che proprio non è scontato ci accada!

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“In ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.” (1Tess 5,18)


LA VIA DEL DONO Il mistero della Via Crucis è per definizione una cosa su cui essenzialmente tacere (mistero deriva dal latino mysterium, dal greco mysterion: cosa da tacere). Chiunque infatti soffermi il pensiero su di Essa, ne fa più o meno intensamente esperienza . Riflettere sulle condizioni che Gesù pone a chi decide di essere suo discepolo, ha come reazione prima un silenzio: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda sua croce e mi segua" (Lc 9,23). Silenzio… Il tacere di chi sta di fronte a quello che la ragione non può misurare, valutare, ma solo percepire, intuire e contemplare. Parole che esprimono la radicalità di una scelta che non ammette indugi e ripensamenti. E' un'esigenza dura, che ha impressionato gli stessi discepoli e nel corso dei secoli ha trattenuto molti uomini e donne dal seguire Cristo. Ma proprio questa radicalità ha anche prodotto frutti mirabili di santità e di martirio, che confortano nel tempo il cammino della Chiesa. Oggi ancora questa parola suona scandalo e follia. Eppure è con essa che ci si deve confrontare, perché la via tracciata da Dio per il suo Figlio è la stessa che deve percorrere il discepolo, deciso a porsi alla sua sequela. Non ci sono due strade, ma una soltanto: quella percorsa dal Maestro. Al discepolo non è consentito di inventarne un'altra. Gesù cammina davanti ai suoi e domanda a ciascuno di fare quanto Lui stesso ha fatto. Dice: “Io

non sono venuto per essere servito, ma per servire; così chi vuol essere come me sia servo di tutti”. La croce può ridursi ad oggetto decorativo, così "portare la croce" può diventare un modo di dire. Nell'insegnamento di Gesù quest'espressione non mette, però, in primo piano la mortificazione e la rinuncia. Non si riferisce primariamente al dovere di sopportare con pazienza le piccole o grandi tribolazioni quotidiane; né, ancor meno, intende essere un'esaltazione del dolore come mezzo per piacere a Dio. Il cristiano non ricerca la sofferenza per se stessa, ma l'amore. E la croce accolta diviene il segno dell'amore e del dono totale. Portarla dietro a Cristo vuol dire unirsi a Lui nell'offrire la prova massima dell'amore. Con la nostra vita possiamo portare al terzo millennio che si apre il segno della speranza. Se lasciamo operare in noi la grazia di Dio, se non verremo meno alla serietà del nostro impegno quotidiano, avremo portato, o almeno provato a percorrere con dignità di figli, la nostra Via Crucis. ■

“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Lc 9,23)

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CASTITÀ: AMARSI SENZA POSSEDERSI Parlare di castità nel 2012 sembra quasi una “roba da pazzi”. Ma saranno davvero pazze tutte quelle persone che credono ancora in un valore così prezioso o è solo l’estrema, direi eccessiva, evoluzione della mentalità odierna a farlo credere? Qualunque scusante sembra ricondurre questo tema a una sorta di archivio passato che ormai quasi più nessuno si azzarda ad aprire. I pensieri della Chiesa sono troppo antichi, i preti non sono aggiornati, se c’è amore in una coppia che senso avrebbe “trattenersi” per aspettare il matrimonio, il rapporto fisico è ciò che più unisce un uomo e una donna… ecco: questi non sono altro che i pilastri di pensiero su cui, ad oggi, si fonda quasi la totalità delle relazioni. Dov’è finito il modo di concepire il matrimonio come qualcosa di sacro e indissolubile? Dove sono le coppie che pongono realmente Dio al centro della loro relazione facendo la Sua e non la loro volontà? Dov’è finita quell’attesa che accresce la voglia di amarsi? L’amore, quello vero, viene ormai confuso con la passione, con l’approccio fisico del “più ti dai, più vivi l’amore”, ma dopo che tutto ciò finisce, dopo che i mesi dell’innamoramento passano, cosa resta di fondato? In particolar modo, noi che ci definiamo cristiani, siamo davvero portatori dell’amore vero, sentito, vissuto, indissolubile? Rappresentiamo l’esempio di amore divino più che umano? Prima di chiederci, però, il perché della castità, proviamo a domandarci cos’è, in definitiva, un rapporto casto. E’ vivere il fidanzamento nel modo che Dio ci indica. E’ sperimentare un linguaggio di anime più che di pa-

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role, un abbraccio di cuori più che di corpi, uno sguardo interiore più che esteriore. E’ scoprire la bellezza e l’unicità della contemplazione dell’altro; imparare a conoscersi senza possedersi e amarsi senza appartenersi; immergersi in quella dolcezza di gesti, di parole, di sguardi che esprimono soltanto un’unica sinfonia d’amore. Un rapporto casto così inteso altro non è che crescere insieme in un cammino parallelo di coppia e di fede; è darsi all’altro in una misura contenuta dal punto di vista fisico, ma totalmente aperta sotto tutti gli altri; è esercitarsi insieme “nell’arte della fedeltà” per arrivare al matrimonio e sentirsi veramente una cosa sola; è rendersi conto che amare vuol dire lottare, una lotta che, se compresa nel suo significato stretto, non può essere sostenuta con le sole forze dell’uomo, altrimenti si finirebbe per sottovalutare le troppe tentazioni che ogni giorno ci troviamo ad affrontare. E’ concepire la privazione di qualcosa non come elemento di divisione, ma come unione vera; è abbandonarsi completamente e fiduciosamente a Lui, che è l’Unico Maestro d’amore, l’Unico che conosce le profondità del nostro essere. Seguendo la nostra volontà e i nostri concetti potremmo quasi somigliare ad un’aquila, ma per volare insieme nella gioia della libertà vera non possiamo non seguire l’Artefice di tutte le meraviglie. Non ci ostiniamo ad essere delle fotocopie di improbabili modelli: Dio vede in noi il capolavoro unico che siamo.

“Se l’amore sarà forte, ogni destino vi farà sorridere. Ama la tua donna come il sole che invochi al mattino; rispettala come un fiore che attende la luce dell’aurora. Sii questo per lei e, poiché questo lei deve essere per te, ringraziate insieme Dio che vi ha concesso la grazia più luminosa della vita.” (Sant’Agostino). ■

Si consiglia: http://vimeo.com/19300953 “La castità: com’è e come si vive?” Testimonianza di Jason e Crystalina Evert


UNA VITA IN SALA D’ATTESA “Andiamocene. Non si può. Perché? Aspettiamo Godot. Ma non ha detto che verrà di sicuro. E se non viene? Torneremo domani, e magari dopodomani fin quando non verrà. Non resta che aspettare, ci siamo abituati.” (Aspettando Godot, Samuel Beckett)

Questa la frase epigrafica che campeggia immediatamente tra le prime pagine dell’opera “assurda” di Samuel Beckett e che sola basterebbe a racchiudere e concludere in sè stessa l’intero senso e l’intera trama dell’opera. Il copione di questa pièce supera le cento pagine ma restando sempre immobile e atemporale, uguale a sè stesso e fondato paradossalmente su un intreccio inesistente, senza sviluppi, senza colpi di scena, senza concedere al pubblico il minimo stimolo a voltare pagina. Non si tratta di una commedia spensierata o senza secondi fini, bensì una commedia che guarda criticamente sè stessa non contenta del proprio stato, declassata, che si sforza invano per due atti di risalire al rango perduto della tragedia. E il sipario si apre e cala circolarmente sui suoi protagonisti, Gogò e Didì che, immobili, attendono ancora l’annunciato Godot, ignari che non sarebbe mai arrivato a dare una svolta positiva alla loro vita. Il lettore potrà moltiplicare all’infinito le ipotesi chiamandolo col nome che preferisce a seconda della sua personale prospettiva ma ha poca importanza stabilire che forse in base ad un erroneo taglio etimologico dietro God-ot si nasconda Dio, la Felicità, un Sogno o altro. Dietro l’eroe beckettiano si cela semplicemente il fine dell’attesa cui tendono tutti gli uomini abituati a portare in tasca l’orologio e il calendario e ad ognuno di noi spetta il proprio Godot. L’unica certezza dell’opera diviene dunque l’amara presa di coscienza, comune all’autore e ai suoi personaggi, di trascorrere una vita in sala d’attesa, esaminando pascalianamente i propri pensieri e trovandoli sempre occupati tra uno sbiadito passato e un incerto avvenire ma mai dal nostro vivo presente. E se ci fermassimo un attimo a riflettere, potremmo renderci conto di quanto confusamente facciamo uso del nostro tempo, più simili di quanto pensiamo a bambini che ancora ignari del suo vero ordine si concedono la libertà di scambiare inconsapevolmente ieri, oggi e domani. Abbiamo inventato le ore e gli orologi, i giorni, i mesi, gli anni, le stagioni e fissiamo appuntamenti, annotiamo sull’agenda programmi, scadenze, progetti ed è proprio nel momento in cui iniziamo ad avere tempo che iniziano tutte le nostre attese ed iniziamo inevitabilmente a perderlo. Il più delle volte non siamo in grado di vivere l’oggi, ansiosi di costruire il domani o desiderosi di ritornare a ieri in preda ad un’insopportabile nostalgia. Del resto quello dell’attesa è uno stato connaturato in noi uomini, figli di quell’attesa così faticosamente bella che per nove mesi riesce a distrarci dal senso e dall’attesa della morte, donandoci una nuova speranza di vita che vale la pena aspettare. E così spesso la nostra irreversibile vita è andata consumandosi in una vita vissuta in negativo, non godendo di quelle piccole gioie quotidiane semplicemente perché incapaci di riconoscerle e di attribuirgli la giusta importanza e che sicuramente abbiamo lasciato scavalcare dalla nostra inspiegabile attesa. Ma a tutto ciò si può rimediare, facendo attenzione allo schermo del presente per non perdere il turno per cui abbiamo fatto la fila in questa vitale sala d’attesa.

Il più delle volte non siamo in grado di vivere l’oggi, ansiosi di costruire il domani o desiderosi di ritornare a ieri.

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50 ANNI DA CONCILIARE A cinquanta anni dall’apertura dei lavori del Concilio Vaticano II, la sua ispirazione come “nuova Pentecoste”, accolta nel cuore di Giovanni XXIII, resta una delle chiavi per rileggere i testi conciliari come bussola per il XXI secolo.

Iniziato nel 1962 per volontà di Giovanni XXIII, il Papa del discorso alla luna in piazza San Pietro, il "Papa buono" per intenderci. Roncalli veniva dalla diplomazia vaticana, sapeva usare bene le parole e non era certo un ingenuo. Il Concilio, alla sua morte, fu portato avanti in continuità, secondo molti, da Paolo VI. Il Concilio Vaticano II è stato un Concilio autenticamente ecumenico, perché i vescovi convocati a Roma da Pio IX provenienti da terre lontane erano spesso prelati occidentali. Nel 1869 molti vescovi africani non erano originari di quel continente e un vescovo è tale in quanto condivide con i propri fedeli la vita reale. In tanti si sono chiesti come sia venuto in mente a Giovanni XXIII di riunire l’episcopato mondiale, eppure è tipico della storia ecclesiastica il riunirsi per risolvere le questioni più gravi. Appena scritta la Pacem in terris, richiamando L’imitazione di Cristo, disse: “L’uomo pacifico fa più bene che il molto istruito”. In quell’enciclica sentiva vivo l’esempio che volle dare nel corso della sua esistenza. Non si arrogava titoli di maestro, di riformatore, di magico risolutore dei problemi sollevati dalla drammatica situazione del mondo. Si accontentava di assolvere il primo dovere: camminare accanto agli altri uomini. Amandoli e portando il Vangelo in mezzo a loro. Per dovere di cronaca è giusto ricordare che nella Chiesa si ebbero (e si hanno ancora oggi) diverse visioni del Concilio: i cosiddetti “lefebvriani” sostenitori della tesi del “Concilio traditore” della Chiesa e della fede. Un'altra visione secondo la quale il Concilio è stato un dono dello Spirito Santo, ma è stato “tradito”, mentre secondo altri il Concilio è stato ed è un dono dello Spirito Santo che va non solo commemorato, ma messo in pratica nel tempo, anche lungo, con il rispetto delle circostanze e della realtà. Al di là delle diverse visioni, sicuramente uno dei compiti del Concilio Vaticano II è stato quello di guardare con benevolenza al mondo, il ché non significa conformarsi al mondo; per questo l’operato del Concilio può essere considerato un tentativo profetico di soccorrere l’umanità nella sua situazione attuale. Il Concilio è stato una grazia che ha aiutato e aiuta la Chiesa ad orientarsi nelle situazioni molto difficili del mondo secolarizzato. Come disse Paolo VI alla chiusura del Concilio: «Qual è il valore religioso del nostro Concilio? […] L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto. L’antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso […]. La religione cattolica e la vita umana riaffermano così la loro alleanza, la loro convergenza in una sola umana realtà: la religione cattolica è per l’umanità». ■

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Il Concilio è stato una grazia che ha aiutato e aiuta la Chiesa ad orientarsi nelle situazioni molto difficili del mondo secolarizzato.


SULLA TRAGEDIA… “TURISMO DI MASSA” Il 13 gennaio 2012 la Costa Concordia, ammiraglia della compagnia Costa Crociere, dopo aver urtato uno scoglio, si arena nei pressi dell’Isola del Giglio. Cos’è successo mentre i passeggeri si apprestavano a cenare e a trascorrere una bella serata a bordo di un colosso della navigazione? L’inchino, il saluto agli abitanti dell’isola, ha spinto il comandante a modificare la rotta della crociera. Una manovra imprudente, fatta un sacco di volte ma in questo caso qualcosa è andato storto. Comportamenti, decisioni opinabili, circostanze poco chiare sono tutte al vaglio della Magistratura che dovrà ricostruire quanto accaduto e adottare gli opportuni provvedimenti. Subito dopo l’impatto la Concordia lentamente ma inesorabilmente si adagia su un fianco. La situazione appare o dovrebbe apparire chiara, la nave sta affondando e bisogna abbandonarla di corsa! Tra gente che dovrebbe coordinare l’evacuazione e il panico che dilaga, i passeggeri iniziano a scendere. Terra ferma finalmente, per quelli che riescono a raggiungerla: è l’Isola del Giglio, una terra che da spettatrice si trasforma in porto di salvezza per quasi 4.000 naufraghi. Ciò che ci si aspetta di ricevere in una situazione quasi surreale nella quale non rimane nulla è stato fatto. Gli abitanti dell’Isola hanno accolto, sostenuto, confortato persone sotto shock, hanno ospitato nelle loro case, aperto i loro negozi. La vicinanza e la solidarietà delle persone è fondamentale per chi si trova senza forze, stremato dal punto di vista fisico e psicologico, smarrito perché forse ha perso la propria ragione di vita! Ecco perché lascia sgomenti il fatto che sono ancora molti i giornalisti che sperano di riuscire a trovare uno scoop che spesso ha a che vedere con la spettacolarizzazione o il business legato alla tragedia. L’Isola del Giglio con il suo sfondo “cinematografico” si è trasformata in un palcoscenico mediatico da utilizzare per trasmissioni televisive, per il lancio di libri o film. E’ partita allora la patetica gara a chi riuscirà a guadagnare di più su questa vicenda. Il primo libro è uscito quando ancora i sommozzatori si aggiravano nei fondali e nel ventre della nave alla ricerca dei cadaveri. Davvero imbarazzante e difficile da commentare, così come sconcertante è l’idea di chi ha pensato bene di inserire nell’Android Market di alcuni cellulari l’applicazione “Vada a bordo...”. I commenti? Da “...5 stelle. Le merita tutte. Se fosse stata a pagamento l’avrei comprata” a “...non si tratta di essere moralisti o meno. Si tratta della necessità di avere un doveroso rispetto per una tragedia ancora in corso”. Una tragedia che dovrebbe turbare e far riflettere la coscienza dell’individuo medio si trasforma invece per alcuni in una opportunità di guadagno. L’immagine della Concordia ha consegnato alla storia, ancora una volta, l’idea di un’Italia che si dibatte tra coraggio e viltà, tra inefficienza e voglia di riscatto. Un’Italia debole nella prevenzione, ma generosa nei soccorsi. Fino alla commozione. Metafora di un’Italia che si dibatte, tra mille contraddizioni, per essere un Paese normale. Tra la spinta a violare le regole e l’altruismo generoso ed eroico. ■

Sono ancora molti i giornalisti che sperano di riuscire a trovare uno scoop che spesso ha a che vedere con la spettacolarizzazione o il business legato alla tragedia.

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L’ULTIMA CENA DI SALVADOR DALÌ Tra simbologia numerica e divine geometrie

L’Ultima cena di Salvador Dalì è uno dei più importanti dipinti della corrente surrealista realizzato nel 1955. In esso coincidono, in modo compatto ed omogeneo, figure geometriche e trascendentali. Il tema dell’Ultima cena è un classico della storia dell’arte e sicuramente Salvador Dalì, per questo suo straordinario dipinto, prese a modello una delle più belle raffigurazioni dell’arte rinascimentale: l’Ultima cena di Leonardo da Vinci. Il pittore surrealista immette, però, in quest’episodio, alcuni elementi di novità. I dodici apostoli, a differenza dell’opera di Leonardo, sono genuflessi con il volto abbassato; nessuno di essi è riconoscibile, neanche Giuda il traditore. La tavola, presentataci riccamente allestita da Leonardo, è ridotta a semplice desco vuoto e immenso su cui troviamo un bicchiere di vino, e non il classico calice, e un pane spezzato. Il tema, come si è detto, è un topos della storia dell’arte, ma Dalì, artista figlio del surrealismo, non rinuncia al desiderio di stravolgere l’iconografia tradizionale dando al volto di Cristo delle fattezze femminili. Alle spalle di Gesù si erge una figura a torso nudo, un evidente richiamo ad un altro soggetto famosissimo dell’arte sacra: la trasfigurazione. L’aspetto più surreale di tutto il dipinto consiste, però, principalmente nella singolare ambientazione della scena posta al centro di un dodecaedro: l’artista vuole così evidenziare i richiami simbolici presenti nell’opera nonché una “sublime paranoia del numero dodici” come ha commentato egli stesso. Niente è stato fatto a caso: il dodecaedro, secondo la filosofia platonica, è simbolo di perfezione assoluta e non è un caso che il poliedro che fa da sfondo alla scena abbia dodici facce: dodici come il numero degli apostoli. La grandezza di questo dipinto consiste proprio nella mescolanza di elementi sacri e profani, di materia umanizzata intrisa di spiritualità. Tutti elementi che credo non sminuiscano ma, anzi, esaltino l’importanza di quest’episodio in cui il Figlio di Dio si erge in tutta la sua perfezione umana e spirituale. ■

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Dalì, artista figlio del surrealismo, non rinuncia al desiderio di stravolgere l’iconografia tradizionale


UN CLASSICO È MERAVIGLIOSO “Ricorda, nessun uomo è un fallito finché ha degli amici”. (L’angelo custode al protagonista)

Immaginate una sera di gennaio in una cittadina universitaria semideserta: insieme ad alcuni amici, sparuti reduci dalle vacanze natalizie, decidete di vedere un film. Immaginate poi che, sapendovi appassionati di cinema e dandovi piena fiducia, chiedano a voi di scegliere il film. Immaginate infine che, uno dopo l’altro, i vostri cari amici (dandovi forse un po’ meno fiducia) inizino ad apporre una serie di condizioni: “Mi raccomando, non un film vecchio!”; “Non un film in bianco e nero!”; “Un bel film!”… Ebbene, in questi casi un appassionato cinefilo potrebbe permalosamente pensare proprio ad un film vecchio, in bianco e nero e ovviamente bello: i vostri amici, senza saperlo, vi hanno istigato a scegliere esattamente un classico. Come La vita è meravigliosa, capolavoro del 1946 del grande regista Frank Capra. L’incipit del film è la visione serale di tante finestre illuminate da cui si ascoltano le preghiere di tutte le persone che hanno attraversato la vita di George Bailey, la cui storia viene mostrata attraverso un lungo flashback. George è il bambino che subisce la sordità da un orecchio per salvare suo fratello dall’annegamento. George è il ragazzo che si prende un ceffone perché non consegna un veleno scambiato erroneamente per medicinale. George è il giovane idealista che vorrebbe “scrollarsi dalle scarpe la polvere di questa piccola cittadina e girare il mondo”, ma che il Destino costringe a rimandare e rimandare, fino a farlo rinunciare del tutto: la morte del padre, che lo obbliga a prenderne il posto nella società di famiglia; gli studi del fratello, per i quali dovrà rinunciare ai propri; infine, nel momento più inaspettato, l’amore: sposerà la donna che ama, ma rinuncerà persino al viaggio di nozze. George è insomma l’uomo altruista, determinato e generoso. È l’uomo a cui tutti devono qualcosa, ma è anche l’unico che non conosce la verità su se stesso. Prosegue con successo l'opera paterna, concedendo mutui e abitazioni anche a chi non avrebbe avuto alcuna speranza di ottenerli, combattendo il diabolico Potter, affarista senza cuore. Finché un triste giorno la società rischia la rovina. Sopraffatto, George crolla: è solo, su un ponte, con cattive intenzioni. Vorrebbe non essere mai nato. Ma tutti abbiamo un angelo custode e quello di George interviene esaudendo il suo desiderio, mostrandogli come sarebbe stato il mondo e cosa sarebbe accaduto a tutte le persone che ha aiutato negli anni se veramente non fosse mai nato. La concezione della vita messa in scena da Capra non è meramente fideistica: l’intervento divino non modifica la realtà ma induce l’uomo a ritrovare la speranza smarrita e a riconsiderare l’importanza della sua presenza terrena. Infatti l’altruismo spontaneo di George fa sì che, nel momento di maggiore difficoltà, qualcuno si ricordi altrettanto spontaneamente di lui. Il regista riesce a farci riflettere senza fastidiosa retorica né toni predicatori, anzi spesso con amabile umorismo: la vita non è meravigliosa tout court, ma lo diventa per chi ne riconosce il valore. Questa favola non ha vinto l’Oscar ma il premio più ambito per un regista che vuole raccontare agli altri la propria visione della vita: aver creato un’opera senza tempo e senza spazio. Un classico, appunto. I vostri amici si ricrederanno. Buona Visione. ■

...la vita non è meravigliosa tout court, ma lo diventa per chi ne riconosce il valore.

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ORIZZONTALI 1. Precede la Pasqua, 8. Il presidente della nostra Repubblica, 16. 16 MegaWatt, 18. 18 Il mandriano della Pampas, 19. 19 Apertura nelle mura di fortificazione, 20. 20 Fratelli dei genitori, 21. 21 Simulazione di buoni sentimenti, 22. 22 Assicurazione dell’auto, 23. 23 In musica elettronica è un campione che si ripete, 26. 26 Tutto bene, 27. 27 Il fattore che dà il + o il – al sangue, 28. 28 Quello di 105 è un programma radio, 29. 29 Lo lascia chi cerca lavoro, 30. 30 Il verbo “usare” in latino, 32. 32 Vocali in mare, 33. 33 Tour Operator Associati, 35. 35 Sigla per Spagna, 36. 36 Il puffo più robusto, 38. 38 Al massimo, 40. 40 Alessandria, 42. 42 Leone inglese, 43. 43 Grande meraviglia, 46. 46 Unisce due membri di una proposizione negativa, 47. 47 La prima istituzione italiana di distribuzione cinematografica, 49. 49 Il piccolo canguro di Winnie the Pooh, 50. 50 Ciò che è assolutamente proibito, 51. 51 Periodo di forte crescita, 54. 54 Prefisso per sangue, 55. 55 Un cittadino ex jugoslavo, 57. 57 In alcuni cognomi, 58. 58 Appena venuti alla luce, 60. 60 Antica religione indiana, 62. 62 Enterprise Resource Planning, 63. 63 I dodici scelti da Gesù, 66. 66 In cielo c’è maggiore e minore, 67. 67 Lo sportello dell’armadio, 69. 69 Università in breve, 70. 70 Due romano, 71. 71 Trinity International University, 72. 72 Costruì l’arca, 73. 73 Piccolo di insetto, 76. 76 L’inizio del cuore, 77. 77 Codice bancario, 78. 78 Lo ha chi sta per dormire, 79. 79 A lui è intitolata la cappella universitaria, 83. 83 Leggendaria medaglia d’oro olimpica italiana nei 200 metri, 85. 85 Quello greco misura 3,14, 86. 86 American College of Dentists, 87. 87 Capitale mariana ai piedi dei Pirenei, 89. 89 Alta pianta utilizzata come ornamento, 91. 91 L’organizzazione dei Salmi, 94. 94 Sono pari in litro, 95. 95 Il capoluogo del Piemonte, 97. 97 La prima moglie di Giacobbe, 98. 98 Abbreviazione…matematica, 100. 100 La città della Giostra del saracino, 101. 101 Capolavoro di Roberto Benigni, 105. 105 L’autore di Gomorra, 108. 108 Quelle di Orazio sono costituite da 103 poesie, 109. 109 Internet Data Solutions, 110. 110 A te, 111. 111 Risposta affermativa, 112. 112 La via dolorosa, 114. 114 Il tema del ciclo di catechesi in San Vigilio, 119. 119 Rinomata università con sede a Cambridge, 120. 120 Sono pari in sotto, 121. 121 Quella turchina è amica di Pinocchio, 122. 122 Il capoluogo dell’Emilia, 123. 123 Annus Domini, 124. 124 Il presidente USA. VERTICALI 1. 100 kg, 2. La piazza greca, 3. La figlia minore di Labano, 4. Quartiere romano, 5. Ama la neve, 6. il trigramma di Bernardino da Siena, 7. La Orfei del circo, 8. Il giornalino della Cappella, 9. Insieme alle frecce, 10. 10 Devota, 11. 11 Metà otto, 12. 12 Custodisce la Gioconda, 13. 13 Due…romani, 14. 14 Il più celebre…de’tali, 15. 15 Sport da piscina, 16. 16 Appartiene a me, 17. 17 L’enciclopedia della rete, 24. 24 Fuori, 25. 25 Il principe dei fiumi d’Italia, 28. 28 L’ultima dell’alfabeto, 29. 29 Lo è rispondere, 31. 31 Consonanti in rete, 34. 34 Così è il debito di gioco, 36. 36 Dario premio Nobel, 37. 37 Inghilterra, 39. 39 Acceso, 41. 41 I misteri del giovedì, 43. 43 Si fa prima di un incrocio, 44. 44 L’inizio…della pubblicità, 45. 45 Così è il posto fisso secondo Monti, 48. 48 Territorio feudale, 51. 51 Banca Europea per gli Investimenti, 52. 52 Tipo di farina, 53. 53 A lei, De André dedicò una canzone, 55. 55 In alto, 56. 56 Il libro con l’Ufficio Divino della Chiesa cattolica, 57. 57 Può essere di petto, 58. 58 Le consonanti del Nilo, 59. 59 Onda anomala, 61. 61 Indica la provenienza, 64. 64 Segno di addizione, 65. 65 Lago di Galilea, 67. 67 Il vecchio partito di Fini, 68. 68 In nessun tempo, 73. 73 Consonanti in love, 74. 74 Ragusa, 75. 75 Ruminanti dalle grandi corna, 78. 78 Le consonanti dell’asino, 80. 80 North American Arms, 81. 81 Personaggio emblematico, 82. 82 Le chiedeva Fra’ Galdino, 83. 83 Io…in alcuni casi, 84. 84 Amanti della bellezza, 85. 85 Pomeriggio in breve, 88. 88 Il rapper di Real Brothas, 90. 90 Area di vegetazione nel deserto, 91. 91 Su Windows dà avvio ai programmi, 92. 92 Non ha autorità ecclesiastica, 93. 93 Quello “d’union” congiunge situazioni diverse, 96. 96 Quello benedetto viene distribuito la Domenica delle Palme, 99. 99 Associazione Scouts Cattolici Italiani, 102. 102 Annus Domini, 103. 103 Negli indirizzi, 104. 104 Malattia…da spalti, 106. 106 La penultima lettera dell’alfabeto, 107. 107 Consonanti in ansia, 111. 111 Il classico zio d’America, 113. 113 La sesta nota, 115. 115 Abbreviazione di facebook, 116. 116 Turbo Diesel, 117. 117 In mezzo al cibo, 118. 118 La fine dell’unità.

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Soluzioni del numero precedente sul sito: http://www.capunisi.it


REBUS

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