Nero su Bianco Marzo 2013

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In questo numero vi augurano buona lettura...

Editoriale Una croce d’amore di Claudia De Pasquale

Musical Pag. 3

L’angolo del Don Seguire Dio dovunque Egli voglia di Don Roberto Bianchini

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Personaggio

Parole Benedette Fede: affidarsi come bambini di Fabio Fiorino

Pag. 5

Verso la cresima di Chiara Savella di Michele Pellegrini

Pag. 6

Pag. 7

Esperienze Fare bene il bene di Matteo Molinari “Qui sotto batte un cuore clown” di Ana Manso Il silenzio eloquente delle lacrime di Alessandra Cocco Destinazione assoluto di Alice Pappelli e Fabio Fiorino

Pag. 8

Pag. 9

Pag. 10

Pag. 17

“Siate come i bambini” di Mari Maltese

Pag. 18

Quando la pazienza è forza di Roberta Briamonte

Pag. 19

Ci salverà la solidarietà?! di Giuseppe Vazzana

Pag. 20

Ciak si gira Quando il cinema era un paradiso di Eugenio Alfonso Smurra

Pag. 21

Consigli di lettura Un Papa in borghese di Marianna Di Tizio

Pag. 22

UniVersi Pag. 11

Conferenze Generare la vita vince la crisi!? di Alice Pappelli

“Se ognuno fa qualcosa…” di Fabrizio Buscemi

Riflettendo

Cappellania Le Dieci Parole di Roberta Pipitone

di Claudia De Pasquale e Elisa Belvisi di Marta Marini Pag. 13 di Angelo Donzello Pagg. 14-15 di Fabio Fiorino di Elena Romito di Federica e Francesca Camilletti Pag. 16

Da Sophie a Maria: cronistoria di canti spirituali di Alfonso Napoli Pag. 23

Arte a parte Pag. 12

La Chiesa di San Vigilio: un tesoro da scoprire di Vincenzo Di Gennaro Pag. 24 La porta che “porta” al cielo di Chiara Maniscalco

Pag. 25

Passatempo

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Cruciverba di Filippo Bardelli

Pag. 26

Bacheca

Pag. 27


UNA CROCE D’AMORE Davanti un crocifisso, mi fermo. Lo fisso. Cerco di ascoltare il silenzio.

La domanda sorge spontanea: quanto dolore c’è dietro quella croce? Quanto amore nell’accettarla? Nessun uomo, penso, potrà mai capire fino in fondo questo grande mistero d’amore di un Dio che ci ha amati fino al punto di dare la Sua vita per noi. Mi risuonano le parole di San Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo, non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Da queste parole San Paolo ci fa capire che se vogliamo davvero essere una cosa sola con Cristo, tanto da farlo dimorare costantemente dentro di noi, dobbiamo prima immergerci nel mistero della croce. Il tempo della Quaresima è il tempo del cristiano per riflettere su quanto importante e fondamentale sia la via della croce, ripercorrendo il cammino stesso di Gesù. Maltrattato, umiliato, flagellato, deriso e infine crocifisso. Cosa mai saranno le nostre misere sofferenze, più o meno gravi, messe a confronto col Suo calvario? Ma il mistero è ancora più grande: Gesù si è fatto obbediente fino alla morte caricandosi il dolore dei nostri peccati e accettando la più alta forma di sofferenza, per rendersi simile a noi, alla nostre povertà. Ma non è forse questa la rivelazione più grande? Se ha sopportato tutto questo per noi, per dimostrarci il Suo amore, è abbastanza per avere la certezza che Lui è con noi sempre. E se Dio, l’Onniponte, è con noi, di quale croce dobbiamo temere? Ogni sofferenza vista alla luce della fede è una grazia grande che ci permette di essere più vicini a Gesù, il Solo capace di rendere ogni nostro carico leggero (Mt 11,30). Certo, chiunque davanti alla sofferenza ha paura - anche Gesù ne ha avuta ma se ci affidiamo e se crediamo con tutto noi stessi in questo Padre buono che ci sostiene, allora tutto prende una luce nuova. Oggi la tentazione più grande è legata al potere, alla superbia, alla gloria dell’esser qualcuno, quel qualcuno auto-sufficiente in tutto, che non si affida a nient’altro che alle sue forze. In questa mentalità mondana risulta difficile entrare in un atteggiamento di abbandono: riconoscerci piccoli e bisognosi della Sua forza comporta un gesto di grande umiltà. Ma Gesù ci dice “ Vegliate e pregate per non cadere in tentazione” (Mt 26,41): ecco il fulcro di tutto. La pace interiore, la serenità, la grazia di accettare ogni cosa derivano tutte dalla preghiera: con essa tutto è possibile! Se facciamo della preghiera la fonte primaria di vita entreremo sempre di più in quel mistero di dolore-amore racchiuso in Dio dove ogni cosa - casa, lavoro, studio, riposo – diventa preghiera. Allora potremo davvero sentire la presenza di Cristo Risorto dentro di noi, sperimentando che è bello riconoscersi piccoli e deboli per accogliere quell’abbraccio di vita che ci viene donato ogni volta che glieLo chiediamo. Lo stesso Cristo morto e risorto per noi duemila anni fa è alle porte del nostro cuore, pronto a donarci la gioia e la pienezza di vita per le quali siamo stati creati. La Quaresima è un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale. Rallegriamoci, è Pasqua ogni volta che risorgiamo in Dio. In Lui il buio è speranza, la sofferenza è gioia, la morte è vita, la croce è UNA CROCE D’AMORE! "Chi vuole schivare la sofferenza, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza.

Non c’è amore senza sofferenza. Là, dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore" (Benedetto XVI). ■

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SEGUIRE DIO DOVUNQUE EGLI VOGLIA Tutta la vita del cristiano trascorre nella tensione tra libertà e volontà di Dio. L’uomo è creato da Dio come essere libero e in tal modo il creatore accetta un rischio drammatico. La sua creatura può orientare a Lui la sua libertà ed usarla per corrispondergli, oppure può allontanarsi da Lui, fino al rifiuto del suo amore e la negazione della sua stessa esistenza. La capacità di intercettare la volontà del Signore sulla propria vita e la determinazione a realizzarla sono al centro dell’avventura cristiana di ogni uomo in ogni tempo e situazione. Questi temi sono riproposti alla riflessione della Chiesa e del mondo intero dalla vicenda della rinunzia del Papa Benedetto XVI al ministero petrino. Al di là dello stupore per l’inedito atto con cui Papa Ratzinger ha voluto porre termine al suo servizio pontificale, resta la provocazione che la sua scelta pone a tutti noi. Essa è innanzitutto una scelta di libertà estrema. Ci dice che se l’uomo prende sul serio l’esercizio della libertà deve poi seguire ciò che essa gli detta ed avventurarsi in sentieri inediti e talvolta fraintendibili. Ma la libertà di cui stiamo parlando non è assoluta capacità di autodeterminarsi, quanto capacità, affinata nella preghiera, di intercettare la volontà di Dio e liberamente aderirvi con tutto se stessi. L’uomo è davvero libero quando cerca Dio con tutto il cuore e pone nella realizzazione della Sua volontà lo stesso senso della sua vita. Allora non è libero di, ma libero per; non libero di fare ciò che vuole, realizzando i suoi desideri, ma libero per mettere se stesso a disposizione di Dio, pronto a seguirlo dove Egli lo conduce. La convinzione certa che ha mosso il Papa a formulare la sua rinunzia è che Dio stesso, come lo ha condotto all’ascesa al sommo pontificato, ora, per il bene della Chiesa, lo chiama a scendere da quell’altezza e occupare un posto inedito, ma la cui caratteristica centrale sarà il nascondimento nella preghiera. In ciò non possiamo non leggere anche una libertà

da. In questo caso da ogni lusinga che possa far scambiare l’esercizio di un servizio con l’affermazione di un potere personale. In un mondo in cui chi detiene qualsiasi forma di potere ne resta sovente schiavizzato e non se ne sa allontanare, il Papa ha mostrato con umiltà che il senso della vita è donarla per i fratelli e questo nel modo che Dio indica, anche cioè, rinunciando al potere. La scelta di Benedetto XVI dice anche libertà

da ogni condizionamento esterno. Un gesto come il suo è facilmente fraintendibile; la mentalità del mondo non ne comprende la logica di distacco; all’interno della Chiesa stessa c’è chi lo legge come una fuga dalla croce; agli occhi di molti resterà un gesto di natura opposta a quello eroico di Giovanni Paolo II di rimanere sul trono di Pietro fino all’ultimo respiro. Ma quando si è certi interiormente che la volontà del Padre conduce in una direzione, la libertà si deve orientare a quella scelta senza considerare altro: è piacendo a Dio solo che si può fare della propria vita un sacrificio che sale al Padre e favorisce la crescita del Regno. Volesse Dio che ogni discepolo di Gesù potesse essere capace di esercitare la libertà di seguire il Signore in un grado così eroico come ha mostrato di saper fare Benedetto XVI. ■

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Quando si è certi interiormente che la volontà del Padre conduce in una direzione, la libertà si deve orientare a quella scelta senza considerare altro


FEDE: AFFIDARSI COME BAMBINI Papa Benedetto XVI ci lascia in eredità una testimonianza sublime di fede e l’invito ad abbandonarsi, come bambini, nelle braccia di Dio, Padre buono: è questa la condizione indispensabile per procedere nel cammino della vita, fatta anche di scelte difficili e sofferte.

“Convertirsi” significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della

vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio. Convertirsi significa non chiudersi nella ricerca del proprio successo, del proprio prestigio, della propria posizione, ma far sì che ogni giorno, nelle piccole cose, la verità, la fede in Dio e l’amore diventino la cosa più importante. (Udienza generale, 13 feb 2013)

In questo Anno della fede la Quaresima è un tempo favorevole per riscoprire la fede in Dio come criteriobase della nostra vita e della vita della Chiesa. Ciò comporta sempre una lotta, un combattimento spirituale, perché lo spirito del male naturalmente si oppone alla nostra santificazione e cerca di farci deviare dalla via di Dio. Nei momenti decisivi della vita, ma, a ben vedere, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che realmente è bene? Non abbiamo dunque paura di affrontare anche noi il combattimento contro lo spirito del male: l’importante è che lo facciamo con Lui, con Cristo, il Vincitore. (Angelus, 17 feb 2013)

Siamo nell’Anno della fede. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come

bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo! (Udienza generale, 27 feb 2013)

In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho

chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi. Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie! ■

Testi completi agli indirizzi: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2013/index_it.htm http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2013/index_it.htm

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LE DIECI PAROLE Dallo scorso ottobre presso la Cappella Universitaria è proposta un’esperienza di catechesi nell’Anno della Fede sulla meditazione delle Dieci Parole, segno dell’amore di Dio Padre.

Quante volte sentiamo dire o ripetiamo noi stessi: “Dio parla, parla attraverso le opere del-

la sua creazione, parla attraverso le opere buone che riceviamo dai nostri fratelli, parla attraverso i miracoli” tralasciando ogni tanto che Lui ci parla prima di tutto attraverso le sue Parole, le sue dieci Parole. Il percorso sulle dieci Parole proposto da Don Fabio Rosini ci serve da monito a rispolverare quelli che possono esser diventati semplici ricordi immagazzinati nella nostra memoria dai tempi del catechismo, ci accompagna alla riscoperta, una per una, delle Parole che Dio dice nel Suo tentativo di entrare in comunicazione con l’uomo, di mostrargli la via da seguire al fine di portare a compimento la sua unica volontà per tutti noi: essere santi! Il segreto è suggellato in queste Parole, che risuonano all’orecchio dell’uomo oggi come allora, quando Dio consegnò a Mosè sul monte Sinai le tavole della Legge, suscitando nel cuore quella sapienza antica che si rinnova ad ogni tappa del cammino. La prima Parola è per ricordare all’uomo chi è il Signore e ciò che Egli ha fatto per lui: “Io sono il Signore

tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto dalla condizione servile” (Dt 5,6); questa Parola apre tra l’uomo

e il suo Salvatore una relazione di fiducia, in ricordo di quella liberazione che Egli ha operato per amore. Nel rievocare l’esperienza della schiavitù, determinata dalla sottomissione agli idoli, Dio ci mostra il suo volto di Padre che nella premura ci suggerisce, attraverso le altre Parole, come fare, come agire per evitare di ricadere in quella condizione. E’ la storia di Giobbe a testimoniarci questo rapporto di estrema fiducia: al suo urlo di dolore Dio non resta in silenzio. Le Sue parole raggiungono il cuore di Giobbe e, come un fiume di benedizione, lo conducono a comprendere nell’esperienza della privazione quella del dono, nel buio della morte la luce della vita, nella lacerazione che porta con sé il dolore il sollievo connaturato alla gioia. E’ quindi nella piena libertà che Giobbe scopre la fonte della vera gioia: conoscere Dio e stare alla Sua presenza! Ad esprimere ancora la relazione di affidamento sono la storia di Saul e quella di Davide: due uomini che riconoscono nel loro peccato le loro debolezze e in questa stessa consapevolezza la potenza del Padre. Queste, insieme a molte altre testimonianze di vita, ci fanno meditare su come solo gli uomini che attingono a questa Legge possano risanare le radici della loro storia per accogliere nuovi frutti; frutti che nascono al tempo opportuno, frutti che proprio per la loro consonanza al ritmo divino ci portano ad entrare in sintonia e armonia con la Vita. Per gli uomini la Legge di Dio è proprio questo tempo: un uomo che ascolta la parola del Signore è come un “albero piantato lungo corsi d’acqua che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere” (Sal 1,3). ■

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frase

“Beato l'uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti” (Sal 111,1)


VERSO LA CRESIMA LA MIA RINASCITA SPIRITUALE

L'impronta di Dio nella nostra vita é vivace, presente e costante. Questo é quello in cui

credo fermamente, questa é la consapevolezza acquisita durante il mio percorso di catechesi alla preparazione della cresima. L’aver imparato a riconoscere la mia fragilità innazi al Signore mi ha salvato da un’esistenza piena di dubbi, rancore e rabbia, ed ho imparato a chiedere aiuto e perdono. Ho avuto una grande guida spirituale, la cara suor Rita, che grazie al suo affetto e alla sua pazienza mi ha aiutata a rinascere, a ricredere in ciò che già faceva parte di me ma che per troppo tempo avevo messo da parte. La perdita di un affetto importante, mio padre, mi ha allontanata dalla fede, continuavo a pregare, praticavo poco, e tutto mi sembrava un susseguirsi di abiutdini asettiche prive di un significato profondo. Non molto tempo fa l’occasione del battesimo del mio nipotino mi ha portata a cercare Dio e a preparami alla confermazione. Ho iniziato questo percorso come un dovere crisitano, ma col passare del tempo qualcosa in me iniziava a cambiare e sentivo sempre di più la consapevolezza di affidarmi totalmente a “Qualcuno” di immensamente misericordioso e longamine come solo il Signore può essere. L’approccio allo studio dei doni dello Spirito Santo ha fatto sì che la mia anima si potesse arricchire, ed ecco la mia nuova rinascita che mi sta portando a vivere la mia vita con maggiore serenità e degna di essere vissuta. ■

RISCOPRIRE L'APPARTENENZA A CRISTO

Arriva per tutti prima o poi il momento in cui si avverte, quasi d’un tratto, che dalle espe-

rienze della giovinezza si sta approdando a una stagione nuova della vita; è un po’ la vita stessa che chiama allora a una crescita, a una maturità nuova, anche nella propria esperienza cristiana. La cosa nasce magari da quella che viene avvertita quasi come un’esigenza burocratica: “devo fare la cresima”… Per molti nell’immediato c’è la scelta del matrimonio; per altri è la nascita d’un figlio, o anche solo la richiesta di accompagnare, come padrino o madrina, la crescita d’un bambino o d’un ragazzo di amici o parenti. Le occasioni possono essere tante, ma sullo sfondo c’è quasi sempre anche un’esigenza più profonda: ognuno a suo modo avverte che quell’occasione rimette in causa la sua scelta di fede, e spinge a riprenderne in esame le ragioni. Ogni storia è diversa, e non per tutti – per motivi pratici o per sensibilità personale – è possibile inserirsi in un cammino di gruppo. Proprio per questo da qualche settimana Io, Fabio ed Elisa ci siamo resi disponibili per avviare qui in Cappella una nuova esperienza di catechesi, rivolta proprio a quanti si presentano spontaneamente chiedendo di essere accompagnati in un percorso che li porti a riattivare la fede del loro battesimo; una fede che ci si è portati dentro, magari solo come un caro ricordo di quando s’era più piccoli. Volta per volta uno di noi affianca uno di loro, e condivide con lui un itinerario breve ma significativo, che ricalca, con qualche adattamento, quello che già nei primi secoli veniva proposto ai giovani o agli adulti che volevano farsi cristiani: dieci incontri nei quali, attraverso alcune pagine del Vangelo, si riscopre l’incontro con Gesù, il significato vero che la sua presenza ha nella nostra vita. E da questo percorso fatto insieme riparte anche la riscoperta dell’appartenenza alla Chiesa di Cristo, che passa anche attraverso la presenza discreta del sacerdote e l’accoglienza della comunità orante che celebra l’Eucarestia domenicale. ■

“Sentivo la consapevolezza di affidarmi totalmente a Qualcuno” “Quell’occasione rimette in causa la scelta di fede”

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FARE BENE IL BENE “In questi tempi di indifferenza siamo chiamati a riscoprire l’essenziale, a discernere ciò

che è irrinunciabile per la fede. È nell’oggi della storia che possiamo manifestare la differenza cristiana con la pratica dell’urgente carità”. In queste frasi Luciano Manicardi sintetizza nel volontariato l’essenza del cristianesimo. Essere cristiani vuol dire “amare il prossimo tuo come te stesso” in qualsiasi momento, anzi soprattutto nelle situazioni di disagio fisico, economico e spirituale. Ogni giorno si presentano sotto i nostri occhi svariate occasioni di carità: dal collega di università che richiede un supporto psicologico o un aiuto tangibile nello studio, al mendicante che chiede qualche centesimo per sopravvivere, al ragazzo con la sedia a rotelle che fa fatica a spostarsi, all’anziano del condominio che non riesce a salire le scale. Molto spesso si rimane impassibili di fronte a ciò come se il problema non ci riguardasse minimamente, credendo che il nostro aiuto serva a poco; invece, come insegna Madre Teresa di Calcutta, “quello che noi facciamo è solo una goccia nell'oceano, ma se non lo facessimo l'oceano avrebbe una goccia in meno”. Proprio nei piccoli gesti quotidiani si percepisce che “la felicità più grande è essere utile agli altri” e che offrire il proprio tempo e la propria disponibilità, in forma gratuita, per il bene del prossimo è la più nobile qualità che può esprimere un essere umano. Trascorrere un’ora alla settimana in una casa di riposo facendo sorridere gli anziani, ascoltare i carcerati, far divertire i diversamente abili, insegnare a leggere e a scrivere ai bambini svantaggiati significa donare un po’ del nostro tempo per qualcosa di necessario ed edificante. Naturalmente ciò che conta non è la quantità ma la qualità del tempo dedicato agli altri: “non importa quanto si dà, ma quanto amore si mette nel dare”. Come direbbe Manzoni “si dovrebbe pensare più a far bene che a stare bene: e così si finirebbe anche a star meglio”. Infatti, ciò che un volontario matura nella sua attività è la consapevolezza di essere fortunato e grato a Dio per il dono più grande in assoluto: la vita. Paradossalmente si scopre come “la carità fa più bene a chi la fa che a chi la riceve” (don Carlo Gnocchi), perché proprio quando si gioca con un coetaneo diversamente abile o si dialoga con un anziano si nota che un piccolo gesto o una minima attenzione ricevuta li rende immensamente felici nonostante le loro sofferenze. Ci si accorge quindi come i nostri “problemi”, come l’esame da sostenere, un voto desiderato ma non ottenuto, un’influenza di tre giorni, i litigi con un amico sono in realtà solo sciocchezze. L’aspirazione a fare il bene e l’immensa soddisfazione che ne deriva spingono il volontario a continuare progressivamente nella sua operosità in modo totalmente disinteressato. Per questo motivo il volontariato deve essere un'attività svolta con il cuore e non deve essere sentita come un obbligo o un impegno, ma come uno stimolo interiore a donarsi. Questo è il bene! ■

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“Si dovrebbe pensare più a far bene che a star bene: e così si finirebbe a star meglio” (Alessandro Manzoni)


“QUI SOTTO BATTE UN CUORE CLOWN” Dicono

che il naso rosso sia la

maschera più piccola del mondo, quella che lascia vedere il cuore. Vi posso raccontate delle tante esperienze di clown-terapia vissute in casa di riposo e in ospedale: reparti di geriatria, ortopedia, oncologia generale, pediatria, neurochirurgia pediatrica, neuropsichiatria infantile, ematologia pediatrica, persino ai prelievi di sangue dei bambini e al pronto soccorso. Però come faccio a spiegarvi quello che sento? Ad esempio, quando decido di svegliarmi presto presto (eppure quanto mi piace dormire!) e fare servizio prima di andare a lavoro e come questo mi carica di energia per tutta la giornata (e per tutta la vita!). Quando ho accettato di far parte del meraviglioso progetto “Domiciliamoci”, che consiste nell’andare a trovare a casa bambini con malattie a lungo corso, e aiutare loro e la loro famiglia a superare la sofferenza attraverso l’allegria di un sorriso. Quando troviamo bambini che piangono per il dolore e che pian piano lo dimenticano e iniziano a sorridere e quasi sempre alla fine anche a ridere, con quel riso che esce dal cuore e si vede negli occhi. Quando le famiglie ci guardano con le lacrime agli occhi e ci sorridono dicendo soltanto”grazie”. Quando i nonnini ci aspettano, ci chiamano, ci danno la mano e, entrando nel nostro mondo di fantasia, per alcuni minuti si ricordano come è buono essere sempre bambini e come in quei momenti tutto sembra piu leggero. Quando gli adulti con malattie a lunga degenza ci ricevono e riempiono il loro e il nostro cuore di gioia dimenticandosi momentaneamente dei loro guai. In un mon-

do abituato a che tutto abbia un prezzo, spesso ci chiedono: vi possiamo pagare? La risposta è sempre la stessa: MAI. Un vero volontario e di conseguenza un vero clown di corsia risponde sempre così a questa domanda. Tutto quello che vogliamo è un sorriso dell’anima. La gioia che la gratuità dell’amore donato in ogni servizio porta alle nostre vite è qualcosa che assolutamente niente al mondo può pagare. Essere clown è allenarsi in uno stile di vita che io trovo molto simile a quello cristiano genuino e che quindi è entrato nella mia vita in perfetta sintonia. É mettersi in gioco. É spogliarsi di preconcetti per donarsi agli altri. È imparare a ridere di noi stessi. È coltivare l’umiltà. È alimentarsi della bellezza della vita per poi cambiare quello che ce la priva. É trasformare una lacrima in un sorriso. É tornare a sentire la gioia e l’innocenza di essere bambino. É credere ancora di più nei sogni. È, amando la vita in ogni suo momento, non avere paura della morte e imparare anche a sorriderle. È credere ostinatamente nel potere dell’amore, perché lo guardiamo in faccia, negli occhi di chi si ama anche nella sofferenza più profonda e scopriamo come esso stesso che guarisce davvero, succeda ciò che succeda. È tornare a casa sempre con un sorriso immenso nel cuore, ma a volte è anche arrivare a casa e non riuscire più a trattenere le lacrime... e perché? Perche amare gli altri è anche sentire con loro, è - oltre portare sempre una distrazione e un sorriso – soprattutto avere consapevolezza della grandezza delle loro vittorie ma anche delle loro sofferenze, è... sentirsi vivo, accogliendo la vita, a cuore aperto, in tutte le sue dimensioni. ■

Per curiosità: http://www.vipsiena.com/ http://www.vipitalia.org/

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IL SILENZIO ELOQUENTE DELLE LACRIME Lungo i secoli della storia Maria è apparsa varie volte ai figli che gli furono affidati da Ge-

sù sulla Croce. Le apparizioni più conosciute e riconosciute dalla Chiesa, sono quelle di La Salette nel settembre 1846, quella di Lourdes nel 1858, quella di Fatima nel 1917. E man mano in tempi più vicini e in attesa della conferma ufficiale della Chiesa, a Medjugorje dal 1981. Fra tutte queste apparizioni e manifestazioni prodigiose, spesso non è nemmeno conosciuta dagli stessi italiani la lacrimazione della Madonna a Siracusa, avvenuta nel 1953. Eppure questa mariofania è così significativa, preziosa e soprattutto vicina a noi che credo sia importante conoscerne la storia e cercare di comprendere il perché la Madre del nostro Signore ci ha voluto parlare, anche se con il silenzio eloquente delle lacrime. A Siracusa la mattina del 29 agosto 1953 un quadretto di gesso raffigurante il Cuore Immacolato di Maria, posto sul capezzale di una giovane e umile coppia di sposi, Angelo e Antonietta Iannuso, inizia a lacrimare; per ben quattro giorni, fino al primo settembre, il quadretto continuerà a piangere sotto gli occhi stupiti e pieni di gioia di migliaia di fedeli che in pochi giorni accorrono per assistere al prodigioso evento. Il miracolo è l’unico di cui ci è giunta anche una testimonianza filmata. In quei giorni molte persone malate ricevettero delle grazie e una commissione scientifica analizzò il quadretto e le lacrime che furono prelevate il primo settembre. Nel 1950 Pio XII proclamò il dogma dell'Assunta e tre anni dopo a Siracusa Maria Assunta (così come era già avvenuto a Lourdes per il dogma dell’Immacolata Concezione) si manifestò con il segno “corporeo” delle lacrime. Lo stesso Pio XII il 17 ottobre del 1954 in un radiomessaggio ai fedeli spiegò che se è vero che Maria è beata in cielo, ella non smette di essere Madre, di prendersi cura dei fratelli del suo Gesù e si commuove fino alle lacrime. Tra le interpretazioni più significative di questo prodigioso evento va ricordata soprattutto quella di Giovanni Paolo II: “Le lacrime di Maria […] testimoniano la presenza della Madre nella Chiesa e nel mondo. So-

no lacrime di dolore per quanti rifiutano l'amore di Dio, per le famiglie disgregate o in difficoltà, per la gioventù insidiata dalla civiltà dei consumi e spesso disorientata. […] Sono lacrime di preghiera: preghiera della Madre che dà forza ad ogni altra preghiera, e si leva supplice anche per quanti non pregano perché distratti da mille altri interessi, o perché ostinatamente chiusi al richiamo di Dio. Sono lacrime di speranza, che sciolgono la durezza dei cuori e li aprono all'incontro con Cristo Redentore”. Con questo breve articolo non si può spiegare a fondo un prodigio come quello della lacrimazione, ma attraverso il sito ufficiale del santuario della Madonna delle Lacrime e tanti altri siti a lei dedicati potrete approfondire meglio la storia del miracolo e le sue interpretazioni. Le apparizioni di Maria e le lacrime versate da quel quadretto a Siracusa sono un dono che Dio ci fa per consolare il nostro dolore e per richiamarci sulla giusta strada nella vita, quella che conduce a Lui. ■

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Per approfondire: http://www.youtube.com/watch?v=CXk1t4DOH84 http://www.youtube.com/watch?v=fGh62oRMtbU


DESTINAZIONE ASSOLUTO Caminante, no hay camino se hace camino al andar viandante, non c’è un cammino si fa il cammino camminando (A. MACHADO, Cantares)

Don Sandro Lusini è un prete maremmano che da molti anni fa il parroco a Porto Santo Stefano, sul litora-

le toscano detto dell’Argentario. E’ un sacerdote colto che si dedica anche all’insegnamento e questo lo si può comprendere conversando con lui o ascoltandolo predicare. Ciò che invece è più difficile da indovinare è la sua doppia natura di caminante, cioè di pellegrino. Non è uno sportivo amante del trekking, né un post hippie itinerante per l’Europa, ma un pellegrino dell’anima e questa sua natura lo ha portato spessissimo – quasi a cadenza annuale – sulle vie che partendo da varie parti d’Europa conducono alla splendida capitale Gallega: Santiago De Compostela. Il suo primo pellegrinaggio fu nell’ormai lontano 1989, quando Giovanni Paolo II volle che proprio intorno alla tomba dell’apostolo Giacomo si celebrasse la Giornata Mondiale della Gioventù. Da allora in tutto il mondo cattolico e anche al di fuori di esso riprese quel fenomeno che nel medioevo era stato tanto significativo per la civiltà cristiana e che poi si era affievolito fin quasi a scomparire nei secoli della modernità. Don Sandro si è inserito –non senza distinguo – in questo fenomeno contemporaneo lasciandosi plasmare dal pellegrinaggio nella sua identità di cristiano e di sacerdote. Nel libro che ha dedicato al Cammino nel 2012 (Destinazione Santiago) si presenta anzitutto come un cristiano che nella sfida e nella fatica del camminare realizza la dimensione della ricerca di Dio in una maniera simbolicamente efficace. Tutti i veri pellegrini sono pellegrini dell’assoluto, viandanti della Ricerca, portatori del desiderio e cercatori di umanità. Nell’esperienza del cammino queste due linee convergono e quasi si fondono: ricerca di Dio e scoperta di sé. E così si comprende anche il distinguo a cui si accennava sopra: oggi il camino per molti si riduce a una sfida verso se stesso, ad un mettersi alla prova facendo qualcosa di alternativo e la dimensione della ricerca quasi scompare. I francescani che officiano la chiesetta di O Cebreiro – uno dei luoghi più poetici di tutto il percorso – riferiscono non senza una punta di sgomento che sono pochissimi i pellegrini che si fermano a pregare con loro la sera o che cercano la Confessione. Per molti Santiago è diventato uno dei tanti riti di formazione della gioventù europea. Tutt’altra esperienza vive chi coglie la valenza metaforica del camino come icona dell’umano peregrinare ed accetta la vera sfida che Santiago –e tutti gli altri pellegrinaggi – propone. La fatica che segna i milioni di passi che separano il passo di Roncisvalle e il portico della Gloria che immette nella cattedrale compostellana sono l’icona dell’avventura umana. Accettare quella fatica vuol dire accogliere la vita così com’è, senza escludere nulla, ma cercando di capire il senso di tutto e facendo anche quello che non si comprende subito fino in fondo, ma che si presentisce liberante e purificante. In fondo il senso del Cammino non si svela all’arrivo sulla piazza dell’Obradoiro e nemmeno forse la seconda o la terza volta che si raggiunge la punta di Finisterre: il senso ultimo dell’esistenza si apre all’uomo nel momento della morte quando Dio dona la visione di tutta la vita e il suo segreto si apre davanti allo sguardo dell’anima. Dunque: adelante, la via Lactea ci aspetta! ■

Per approfondire: Sandro Lusini, Destinazione Santiago, Grosseto, Moroni Editore, 2012

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GENERARE LA VITA VINCE LA CRISI!? Questa

è stata la domanda e l’affermazione slogan dell’incontro svoltosi in febbraio

nell’auditorium Santo Stefano alla Lizza nell’ambito delle iniziative per celebrare la trentacinquesima Giornata per la Vita 2013. Sono intervenuti al dibattito il vicepresidente del Movimento Per la Vita Italiano Pino Morandini e il Prof. Luciano Cillerai, direttore del Dipartimento di Studi Aziendali e Sociali dell’Università di Siena. Il punto di partenza è stato la contrapposizione netta tra realismo e speranza: la realtà è critica e buia, come ci conferma l’analisi dei dati statistici dell’ISTAT relativi all’anno 2011. Da essi emerge che il 50% dei ragazzi italiani tra i 25 e i 34 anni vive ancora in casa dei e con i genitori e che quasi una donna su quattro, dopo aver messo al mondo un figlio, perde il lavoro; più della metà di quelle che lo mantengono prendono poi in considerazione l’idea di lasciarlo. La domanda che si presenta a questo punto è: è possibile la speranza? È proprio vero che “generare la vita vince la crisi” in un’Europa dove avviene un aborto ogni 12 secondi? Viviamo in una società che sembra aver paura della crisi, a differenza del passato quando in momenti di crisi ancora peggiore di questa la vita non faceva paura. Crisi non solo economica, ma anche e soprattutto valoriale e culturale; di fronte a questi dati realistici due sono le possibilità: chiudersi in se stessi o aprirsi all’altro, all’Amore. Quest’ultima la via che il Dott. Morandini ci ha voluto indicare come maestra: considerare i figli come risorsa; difendere la vita annunciando con parole e opere la speranza insita in essa; far capire la centralità della questione antropologica; porre alla base della società non l’economia ma la persona umana e la famiglia. Queste ultime dovrebbero essere inserite dallo Stato come valori fondativi della società: dalla crisi si esce infatti con la riscoperta dei valori. In che modo? Una delle soluzioni illustrataci dal Prof. Cillerai consiste nell’adozione di un progetto che trascende la filantropia: l’Economia di Comunione (EdC). Si tratta di un nuovo modo di pensare e fare impresa basato sul Vangelo, una nuova cultura del dare, che non costituisce un’alternativa all’economia di mercato ma si propone di trasformare dall’interno le strutture dell’impresa attraverso tre punti cardine: aiuto agli indigenti, rispetto dell’economia sociale e tensione verso il capitale umano. L’EdC promuove una cultura del dare gratuitamente e generosamente che si contrappone a quella dell’avere e si pone come fine quello di suscitare la reciprocità. Questa realtà conta nel mondo 861 aziende, concentrate soprattutto nel settore dei servizi; imprenditori, dirigenti, collaboratori decidono di reinvestire gli utili allo scopo di autofinanziarsi, formare una nuova cultura e promuovere progetti a favore dei ceti più poveri. E’ possibile dunque la speranza; è possibile un futuro migliore in cui l’economia diventerà bioeconomia, la politica biopolitica e “modo esigente di vivere la carità” (Giorgio La Pira). Segnaliamo ancora l’iniziativa cittadina europea “Uno di noi”, promossa dal Movimento Per la Vita italiano, estremamente significativa e meritevole di ogni sostegno (per conoscerla meglio visita il sito www.mpv.org).■

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“Basterebbe un giorno senza nessun aborto e Dio concederebbe la pace al mondo fino al termine dei giorni” (San Pio da Pietrelcina - risposta ad una domanda del Dott. Lotti)


IL NOSTRO/VOSTRO MUSICAL Tornando indietro di sei mesi, mai avremmo pensato di poter scrivere qual-

cosa sulla riuscita di questo recital o addirittura di parlarne, dopo ben tre repliche. Il progetto inizia nel novembre del 2011. Tutto è nato dalla voglia di fare qualcosa tutti insieme, qualcosa di nuovo. Così, unendo i gruppi (consolidati da tempo) che operano all’interno della cappella e accogliendo i nuovi abbiamo deciso di buttarci in questa sfida. Inizia il lancio di idee e la scelta cade, senza esitazione, su “State buoni se potete”, recital sulla storia di San Filippo Neri, tratto dal film con Johnny Dorelli. Il film e la storia hanno toccato tutti al momento della visione, e le musiche di Branduardi ci hanno affascinato. La presenza di Marta (musicista, da anni direttrice del coro della cappella) è stata sicuramente un punto di forza in questa “missione”, che ha curato la parte musicale. Per quanto riguarda la parte recitata, hanno nominato “registe” proprio le sottoscritte, entrambe con poca esperienza ma tanta voglia di farcela e di essere all’altezza. Il progetto prende la sua forma. Si parte! Un totale di trentasei teste tra musicisti, percussionisti, coristi e attori: impresa ardua, ma non impossibile. Non sono mancati i momenti di sconforto, di tensione, di stanchezza ma la voglia di arrivare in fondo, di provare noi stessi, di metterci in gioco fino alla fine, di crederci nonostante tutto, ormai erano le linee guida che accomunavano tutti! Finalmente, il tanto atteso primo debutto arriva a dicembre: non poteva andar meglio! Ricordiamo ancora gli sguardi di tutti, che dopo tanti sacrifici, erano lì, sul palco, a godersi gli applausi di gioia (alcuni anche di stupore) del pubblico. Sono poi seguite altre due repliche, anch’esse conclusesi splendidamente! Sicuramente è stato il progetto più grande e impegnativo in cui la Cappella si sia mai cimentata, anche quello in cui ci si è “scoperti” di più, nel bene e nel male. Alla fine di tutto nessuno si è risparmiato, tutti ne sono usciti arricchiti da un punto di vista professionale, spirituale, ma soprattutto umano. State buoni se potete, ma non a lungo… pronti per rimettervi in gioco? ■

“A

uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo la capacità di ognu-

no” (Mt 25,15). Riflettendo su questa frase del Vangelo e su quanto sia importante che ogni persona scopra i talenti che il Signore le ha donato, ho pensato alla realizzazione di un recital. Ciò che stupisce è che la stessa idea è venuta contemporaneamente anche a varie persone durante una gita lo scorso anno e abbiamo interpretato questo fatto come un segno della provvidenza iniziando così questa specie di “avventura”. Ho arrangiato le canzoni in modo da sfruttare gli strumenti (anche vocali) che avevamo a disposizione e ci siamo messi subito sotto con le prove. E' stato bello veder crescere nella fatica ma anche nel divertimento questo spettacolo che, nonostante momenti di scoraggiamento e di incomprensioni umane, ha preso lentamente forma. Vorrei ringraziare uno ad uno musicisti ed attori, ognuno per aver dato il suo prezioso apporto umano ed artistico. Saremo felici, quindi, di mettere in scena le prossime repliche, vivendo questa bellissima esperienza con tutto il calore possibile nella speranza magari di trasmetterlo! ■

“The best of”: http://www.youtube.com/watch?v=onB3xKlP6RQ

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STATE BUONI...

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… SE POTETE!

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UN PROGETTO DIVENTATO REALTA’ Mai avrei immaginato di ritornare su un palco... tantomeno dopo averlo fatto l’ultima volta circa venti anni prima quando mi ritrovai a essere protagonista del saggio di fine anno organizzato da una scuola di ballo in cui ero stato “intrappolato” per accompagnare mia cugina, che del resto poi si ritirò e di cui dicono fossi particolarmente invaghito! In quel gruppo ero l’unico bambino circondato da ragazzine adolescenti che si cimentavano in non so quale forma strana di ballo… per me un trauma!! Immaginate quindi la mia reazione alla proposta di rappresentare San Filippo Neri, secondo patrono del mio paese, canonizzato dal papa mio concittadino! Questa volta non più adolescenti sconosciute e balli idioti, ma giovani amici desiderosi di mettersi in gioco e portare avanti un progetto davvero grande e originale! Non vi nascondo che son stati i miei “colleghi” di palcoscenico e la grinta delle registe amiche Claudia e Elisa a darmi forza, di volta in volta, per personificare don Filì, apparentemente prete “ignorante e bugiardo”, ma realmente uomo innamorato di Dio, custode geloso dei suoi “bastardelli di casa Proietti, anime abbandonate bisognose di tutto”. Mesi di lavoro in cui ci siamo davvero esposti, moderando il nostro (a volte fremente) temperamento, occasione specialissima per divertirsi tanto con poco, sorridere e ridere a crepapelle, ma anche, e soprattutto, per conoscersi! Ahh, paradiso paradiso!! ■

Il sipario è chiuso, non si può vedere che succede, ma il vociferare ce lo fa intuire: il teatro è pieno e c’è impazienza. E’ ora, ma noi, lì dietro, ci concediamo ancora un attimo per un abbraccio collettivo. Adesso però non c’è più tempo, ognuno ai propri posti: attori sù e musicisti giù tra il pubblico. Siamo di fronte al palco, ognuno armato del proprio strumento di cui fino a qualche mese fa non conosceva neanche il nome. Basta uno sguardo e, grazie alla complicità che è stata frutto del lungo periodo di prove, capiamo di essere tutti pronti. Si inizia: il violino c’è, attacca insieme al timpano, in perfetta sincronia, e poi, a seguire, tutti gli altri. Le scene si susseguono e noi, dalla platea, percepiamo che i pezzi di un grande puzzle, fino a ieri apparentemente inconciliabili si stanno ricomponendo, scoprendo un’immagine di una bellezza superiore alle nostre stresse aspettative. Tra un pensiero e l’altro arriva la fine, e noi siamo di nuovo tutti sul palco, ancora una volta uniti in un abbraccio e allora alzo gli occhi e mi dico: “come ho fatto non lo so a pensare di partire da solo”. ■

Vedere uno spettacolo teatrale è di solito piacevole. Quando è fatto da persone che conosci diventa anche più interessante. Se magari ti capita di assistere alle prove e riuscire a farti una vaga idea del lavoro che ci è dietro, allora diventa superlativo. Per noi lo è stato a tal punto da tornare tre volte a vedere Fabio, che pensavamo fosse più uno spettacolo d’uomo che un uomo di spettacolo, ed invece si è rivelato un bravissimo attore; Ivan che con la sua voce ben impostata e la sua disinvoltura sembrava non aver fatto altro nella vita; lo sguardo innamorato di Arianna; l’espressione severa e solenne di Angelo; la capacita d’improvvisare di Gianmarco; la comicità di Mickey e Filippo; la disponibilità a mettersi in gioco di Marina e Paolo; Giuseppe così a suo agio nei panni del papa; la voce incantevole di Elisa; l’effervescenza di Claudia e delle sue collaboratrici e la straordinaria competenza del coro e dei musicisti. Ringraziamo tutti perché siamo uscite da ogni spettacolo un po’ più felici e leggere… A quando il prossimo? ■

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Foto disponibili all’indirizzo: http://www.capunisi.it/index.php/foto-e-video


“SE OGNUNO FA QUALCOSA…” Lo chiamavano 3P: era il parroco

della chiesa di San Gaetano, a Brancaccio, quartiere dov’era anche nato. Vi troverà la morte il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno: era divenuto scomodo perché offriva nuove prospettive, annunciava che nuove vie sono possibili. Non si rassegnava di fronte alla barbarie che con tentacolare pervasività ghermisce coloro che per fame, per ignoranza di possibilità altre, vi si abbandonano. Formava le coscienza Padre Pino Puglisi in una terra per cui aveva compreso fosse necessario dare la vita: e proprio per questo accolse col sorriso il sacrificio estremo. Aveva intuito che per strappare terreno a Cosa Nostra era necessario arrivare prima di lei, impedire che si prendesse i più piccoli, coloro che era ancora possibile salvare offrendo loro vie nuove. Era convinto bisognasse dare ai ragazzi del suo quartiere la possibilità della scelta tra culture antitetiche, tra vita e morte. Aveva compreso che il disegno di Dio sulla sua vita era di presentare ai ragazzi del suo quartiere un modello valoriale e comportamentale che facesse della carità evangelica il suo punto focale. Dava loro la possibilità di aprirsi ad una cultura che, profondamente cristiana, vedeva nell’amore al prossimo, nel rispetto fraterno e della vita umana baluardi insostituibili. Era una vera e propria guerra, combattuta con la Cosa Nostra dei fratelli Graviano, mandanti del suo omicidio, sul terreno delle scelte etiche, della dimensione educativa: eppure 3P era un guerriero mite (questo il tratto che più riecheggia nelle descrizioni delle persone

che lo hanno conosciuto) che, consapevole della necessità di agire, lo faceva con una pacatezza dai tratti rivoluzionari. È proprio per la sua consapevolezza del fatto che Mafia e Cristianesimo rappresentano antitetici riferimenti etico-culturali, come ha anche sostenuto proprio a Palermo Benedetto XVI nel suo discorso ai giovani siciliani del 3 ottobre 2010, che Don Puglisi sarà beatificato il 25 maggio prossimo, nonché dichiarato martire in odium fidei. Il suo assassinio è stato considerato gesto dovuto alla sua adesione al messaggio vivifico del Vangelo e compiuto da uomini che, in sfregio ad esso, hanno anteposto la morte alla vita, l’esaltazione dell’amor proprio alla dimensione collettiva. Padre Puglisi ha, dunque, reso viva la buona novella, divenendone testimone luminoso ed incarnando il dettato evangelico per cui non vi è amore più grande dell’esser pronti a

“dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Ha dimostrato

che la forza di un Dio che è Amore sta proprio nella possibilità di trasformare la morte in vita, il sacrificio in momento di creazione: la sua morte è un dare la vita, non un perderla. La figura di 3P, la sua testimonianza, il suo agire e la sua morte si pongono come modello ineludibile per chiunque abbia a cuore le sorti della esistenza umana: egli diviene pungolo delle coscienze, il suo messaggio non può lasciare indifferenti non soltanto la Chiesa, divina comunità di cui lui faceva parte, ma l’intero corpo civile del Paese. A noi, dunque, raccoglierne l’eredità spirituale ed etica nella consapevolezza che l’unica via per essere credibili è divenire non maestri ma testimoni del messaggio evangelico. D’altronde poi, come 3P diceva, se “ognuno fa qualcosa…”. ■

“La cultura sottesa alla mafia è la svendita del valore della dignità umana”

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“SIATE COME I BAMBINI” A volte succede che le azioni che

portiamo avanti siano motivate da una sorta di sentimento di sfida nei confronti della vita, dovuto fondamentalmente al fatto che non accettiamo il nostro limite, anzi lo odiamo. E allora apparentemente siamo delle “brave persone”, il mondo che ci circonda continua ad elogiarci per i ripetuti successi, cavalchiamo la cresta dell’onda, ma, in fondo, sentiamo di non meritarci tutto questo: qualcosa dentro di noi urla di fermarci, di smettere di combattere. L’esperienza di vita e il pensiero di una teologa del nostro tempo venuta a mancare nel 2010 può forse aiutarci a deporre le armi. Sto parlando di Adriana Zarri e il testo da cui parto per la mia riflessione è “Teologia del quotidiano” edito da Einaudi nella collana “Vele”, Torino, 2012. Si tratta di una serie di scritti che la teologa ha raccolto da quando ha intrapreso la scelta di una vita monastica laica di tipo eremitico, in una cascina del piemontese. Tanti sono gli argomenti che la Zarri tratta, tra cui la possibilità di vivere ogni giorno il miracolo cristiano a partire dall’amicizia e dalla interazione con le piccole cose. Trapela l’immagine di una fede attiva e contemplativa allo stesso tempo ove l’Eucaristia è il fulcro di una vita vissuta nel continuo “scontro” con il limite, nel continuo doversi accorgere della propria miseria e della miseria di ogni oggetto del creato; una miseria che però non svilisce il cuore dell’uomo dedito al duro lavoro terreno, ma che è un sacrificio che spera nell’eterna mi-

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sericordia di Dio. Il testo della Zarri ci trasmette che ciò che a volte, per i “principianti” della fede, è messo in atto in modo quasi meccanico, può essere compiuto come reale slancio d’amore, dalla raccolta dei frutti di stagione alla mungitura di una mucca. Ogni azione umana può essere paragonabile a quella di Abramo che offre al Signore il suo amato figlio Isacco e riceve la grazia, la restituzione del dono. Ma ciò che la scrittrice definisce la sua “felice ossessione” è l’indagine contemplativa sulla Santissima Trinità: partendo da una suddivisione dell’intera realtà per triadi, la pensatrice dimostra come le tre parti siano un segno della presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in ogni cosa, del Dio trino di cui, grazie all’incarnazione del Figlio, l’uomo diventa partecipe in un vincolo d’amore che non è mai statico. E’ interessante che in questa luce il comando evangelico “Siate come i bambini” non consista in una regressione infantile, ove del bambino risalterebbero solamente la capricciosità e il piagnisteo ancestrali (primo stadio). Al contrario si tratta di un “tornare in avanti” come lo definisce l’autrice, di un “diventare” bambini (terzo stadio), acquisendo la capacità di stupirsi delle piccole cose con cuore semplice dopo aver sperimentato la crisi dell’indifferenza dell’età adulta (secondo stadio). E’ un processo che si conclude con l’acquisizione di una condizione di innocenza originaria così come, in sede trinitaria, lo Spirito Santo “conclude” l’amore che intercorre tra Padre e Figlio. In entrambi i casi a permettere la conclusione è la capacità di lasciarsi amare. ■

“Il Cristianesimo vissuto è un arrendersi non per stanchezza, ma per sapienza e grazia, nella scoperta che il lontano è vicino”


QUANDO LA PAZIENZA E' FORZA La pazienza è la virtù dei forti –

modo di trasformare le difficoltà in opportunità. In

recita un detto popolare. Chissà

are a percorrere la propria strada nonostante tutto.

quante volte, invece, ne abbiamo persa ancora di più nel sentirci dire queste parole, perché ci suonavano come una magra consolazione, senza svelarci alcunché sui nostri sacrifici. Eppure queste semplici parole nascondono profonde verità. Ogni giorno la nostra pazienza viene messa alla prova, quando siamo in auto bloccati nel traffico o in coda alla posta, nel tollerare certe stranezze del nostro coinquilino o

questo senso la pazienza è perseveranza, è continuÈ resistere quando tutto sembra suggerirci di mollare. È costanza, quella persistenza che ci occorre per rimettere insieme, pezzo dopo pezzo, ogni volta che crolla, tutto ciò che con fatica abbiamo costruito. La pazienza è indulgenza di fronte al tradimento di un'amica. È ritardare il momento in cui le ferite che la vita ci lascia bruceranno con tutta la loro potenza, facendoci perdere la ragione. Molto più spesso identifichiamo la pazienza con l'attesa. Quando ero bambi-

nell'accettare

na, mio nonno mi

quelli che ci sembrano

dei

fece piantare una

torti.

piccola pianta. Mi-

Per tutto ciò ab-

si i semi nella ter-

biamo bisogno di

ra, periodicamente

una pazienza del

ci aggiungevo l'ac-

quotidiano, ovvero di

quella

qua e piano piano

calma

crebbe il fusto, poi

necessaria per una

le foglie e infine

convivenza pacifi-

dei bellissimi fiori.

ca con gli altri, di

Ecco, così è la pa-

quello sforzo che

zienza:

facciamo per evi-

che progetti e af-

tare un esaurimento

nervoso.

aspettare

fetti

Ma

sboccino,

prendendocene

c'è, poi, una pa-

cura nel frattem-

zienza più spiritua-

le, che è quella virtù che ci serve nel non abbandonare i nostri sogni, nel saper aspettare quel giorno in cui vedremo i frutti dei nostri sacrifici. Quante volte, infatti, ci siamo detti “non ce la faccio più” di fronte a una delusione, a una sconfitta o a un rifiuto? Ed è proprio in questi momenti di sconforto che il Signore ci rende più forti, grazie alla pazienza, facendoci accettare la vita con le sue sbavature e le sue assurdità. Ma questa accettazione non è passiva rassegnazione. È, anzi, un duro lavoro su se stessi, sulla propria visione del mondo, per trovare il

po, e non avere troppa fretta, perché, per usare parole di Benedetto XVI, “il tempo non scorre invano”. Aspettare è molto difficile e spesso, più tempo passa, più le nostre aspettative diminuiscono. Ma la pazienza è anche speranza, quella speranza che ci dona Dio per farci vedere, ogni giorno, i nostri piccoli miracoli, e poi coglierli. Pazienza è fiducia, in Dio e nella vita che ci ha dato, grazie alla quale possiamo vivere pienamente e i nostri sforzi non saranno affatto sforzi, ma atti pieni d 'amore. E allora la pazienza sarà amore per la vita. ■

La pazienza è anche speranza

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CI SALVERA’ LA SOLIDARIETA’ ?! L’evento chiave che ha segnato gli ultimi tre anni della nostra società italiana è sicuramen-

te quello relativo alla così detta “crisi economica globale”. Su questo tema sono stati versati fiumi e fiumi di inchiostro ed al tempo stesso esperti e politici di ogni schieramento hanno fatto il possibile per cercare di risolvere questo angoscioso problema sociale che direttamente ha colpito le nostre famiglie. In realtà la soluzione al problema era alla portata di mano di ognuno di noi, bastava solamente allungare la mano e prendere da qualsiasi biblioteca un testo noto a tutti con il nome di “Bibbia” e andare a cercare al suo interno il Vangelo di Luca e più precisamente Lc 10,25-37. Qui troviamo la parabola del “Buon Samaritano” in cui si racconta la storia di un uomo che provenendo da Gerusalemme e recandosi verso Gerico fu aggredito da briganti che lo derubarono di tutto ciò che aveva e lo ferirono gravemente, ma la cosa ancora più grave è che mentre l’uomo giaceva per terra in fin di vita passarono alcune persone che lo ignorarono, fino a quando giunse un samaritano che si prodigò a prestare soccorso al pover’uomo portandolo a proprie spese in una locanda affinchè questi ricevesse il dovuto ristoro ed ulteriori cure. La parabola del “Buon Samaritano” non deve essere per tutti noi una semplice storiella da raccontare ai bambini prima di andare a letto; essa dovrebbe piuttosto rappresentare per la società un punto di riferimento per superare tutte le difficoltà che spesso derivano dalle differenze economiche tra ceti differenti. Dalla parabola emerge chiaramente l’elemento della solidarietà, ovvero la presenza della benevolenza, della comprensione e dell’aiuto reciproco che dovrebbero manifestarsi nei momenti di difficoltà. La solidarietà in questo momento così grigio della nostra società deve poter essere per tutti noi lo strumento ideale con cui ridisegnare il nostro rapporto con il prossimo. Se solo chi ha di più iniziasse a donare qualcosa a chi ha di meno sono convinto che nel giro di pochi giorni la crisi economica verrebbe a risolversi. Il Premio Nobel per la Pace 1980, l’argentino Adolfo Maria Pérez Esquivel, in un suo romanzo scrisse: “la grande ricchezza dell'umanità sta nella solidarietà”. Riflettendo su queste parole ci accorgiamo che la vera ricchezza non consiste nel possedere i molti beni terreni. Al contrario, l’unica e vera ricchezza è quella che risiede nel cuore di ognuno di noi. In fondo, come scrisse Salomone nei suoi Proverbi, “chi dona al povero non sarà mai nel bisogno” (Pv 28,27). ■

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La solidarietà in questo momento così grigio della nostra società deve poter essere per tutti noi lo strumento ideale su cui ridisegnare il nostro rapporto con il prossimo.


QUANDO IL CINEMA ERA UN PARADISO Salvatore

è un vivace ragazzino

che vive in un povero paese della campagna siciliana: finita la seconda guerra mondiale, in un periodo di miseria e ricostruzione, le uniche distrazioni sono le proiezioni al “Cinema Paradiso”, la sala cinematografica parrocchiale. Il piccolo Totò si diverte a spiare di nascosto i film mostrati in anteprima al parroco per l’inesorabile censura e a recitare a memoria le battute guardando in controluce i fotogrammi che ruba quotidianamente. Affascinato dal lavoro del proiezionista Alfredo (che diventerà per lui una figura paterna insostituibile), cresce insieme ai film, le cui immagini istruiranno indirettamente anche i rumorosi e ignoranti paesani, parafrasando così l’importanza e la forza del Cinema come mezzo educativo. Così Salvatore andrà verso una nuova vita, più grande del suo paesino, spinto proprio da Alfredo che lo salverà convincendolo a partire per seguire i suoi sogni e a non fare mai più ritorno. Noi però lo vedremo tornare, ormai uomo e affermato regista, per i funerali dell’amico. Gli anni sono passati, il paese è cambiato ed il vecchio “nuovo” cinema sta per essere demolito… Premio Oscar e Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 1989, Nuovo Cinema Paradiso è un vero capolavoro diretto nel 1988 da Giuseppe Tornatore: un film capace di farsi amare sia da chi semplicemente ne segue la storia, sia da chi è legato all’Arte del cinema, sia da chi è legato persino alla pellicola, al materiale supporto cinematografico. Il nome della sala, lo stesso del film, è senza dubbio evocativo: il cinema è il Paradiso per gli abitanti del

paese ed è altro rispetto alla vita quotidiana; è al contempo uno spettacolo magico e un momento collettivo. Una rappresentazione del cinema in netta contrapposizione con quella attuale, in cui la visione cinematografica diventa sempre più un’esperienza individuale: il VHS prima, il DVD poi, ora addirittura il download e lo streaming. Nel “Cinema Paradiso", invece, il cinema acquista una dimensione di empatica fruizione, in cui il pubblico interagisce con il film: gli spettatori fanno il verso degli indiani davanti ad Ombre rosse di John Ford; dormono, mangiano, bevono, fumano, schiamazzano, applaudono a scena aperta, si innamorano e soprattutto sognano. Non esiste più una differenza tra la piazza - il luogo classico della socializzazione - e la sala: gli abitanti del paese diventano un tutt'uno con i divi di Hollywood, storpiano i loro nomi facendoli propri e si impossessano delle loro figure per farle diventare più vicine, poterle toccare e interpretare a loro volta. Tornatore mette in scena una celebrazione della Settima Arte: attraverso i grandi film, i kolossal americani, ma anche quelli più intimi e nazional-popolari che davano speranza nel difficile dopoguerra, il regista esalta il mito del Cinema. Nuovo Cinema Paradiso è un film sul passato, sul ritorno, ma soprattutto è un’appassionata favola metacinematografica. Sorprendendoci a piangere appena dopo aver sorriso, Nuovo Cinema Paradiso vive di questo slancio viscerale grazie anche all’indimenticabile composizione musicale di Ennio Morricone che crea una rara vicinanza tra il linguaggio del cinema e quello della musica: ogni tanto provate a chiudere gli occhi. Buona Visione. ■

"Il segreto del successo di Nuovo Cinema Paradiso è dovuto al fatto che generazioni di persone in tutto il mondo ritengono la sala cinematografica un luogo di educazione" (Giuseppe Tornatore).

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UN PAPA IN BORGHESE Nel

racconto “L’ultimo Natale”,

Valerio Massimo Manfredi immagina una Città del Vaticano parallela a quella attuale per ambientare un evento epocale per l’Occidente: il crollo della Chiesa cattolica. Nella finzione narrativa, il terzo millennio diventa il contesto storico in cui la corruzione morale e la diffusione della religione islamica concorrono a provocare la sconfitta del cattolicesimo. Il pontefice, quindi, si vede costretto ad abbandonare definitivamente i palazzi vaticani: con solenne umiltà depone l’abito bianco, lo zucchetto, le scarpe in cuoio rosso e si sfila l’anello in ametista per indossare vestiti che lo rendono un cittadino comune della capitale. L’autore lo descrive mentre si immerge tra la folla di curiosi e giornalisti, lo segue quando affronta il delirio metropolitano fino a raggiungere uno dei quartieri più miseri della periferia romana. Durante il percorso che compie, il protagonista del racconto pronuncia delle parole dalle quali trapela una fede salda che rischia di tramutarsi in resa passiva agli eventi. La fiducia nell’onnipotenza del Signore si accosta all’accettazione dello stato a cui la società ha condannato se stessa: di fronte alla decadenza spirituale e morale a cui assiste, il pontefice si mostra tanto rispettoso quanto impotente. Continua a credere che la volontà di Dio opera attraverso la Storia, ma non riesce a capire in che modo possa verificarsi la salvezza di un’umanità che procede volontariamente verso la propria distruzione. Si affida, dunque, a una rassegnazione serena, finché gli even-

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ti non giungono a sconvolgerlo quando una situazione imbarazzante gli rivela Dio nell’innocenza di un bambino indifeso. Similmente a quanto è accaduto più di duemila anni fa, Dio si manifesta nelle membra delicate di un neonato. Tuttavia, questa volta, la creatura che porta speranza alla Chiesa non è il Figlio di Dio, non è stata generata per opera dello Spirito Santo e non è avvolta dalle braccia amorevoli della Vergine. Il bambino del racconto nasce tra l’immondizia e i calcinacci di una dimenticata comunità di recupero per prostitute, fuoriesce dal ventre di una donna che non può occuparsi di lui perché deve tornare al posto che le è stato assegnato sulla strada, non ha un padre e sembra essere privo persino d’identità poiché la madre non ha scelto per lui un nome. Un figlio abbandonato, un essere qualunque, concepito per sbaglio e sopravvissuto per caso, indica al pontefice la misericordia e l’umiltà di un Dio che non smette di mostrarsi agli uomini, e per farlo sceglie un corpicino apparentemente insignificante, dimostrando che ai Propri occhi nessuna esistenza è priva di senso. Una particolare inventiva e lo stile asciutto ed essenziale consentono a Manfredi di condurci lungo questa catabasi urbana. L’inizio in medias res e la rivelazione graduale di informazioni che permettono di ricostruire l’antefatto rendono coinvolgente una trama ricca di fascino poiché biblicamente inaccettabile ma storicamente possibile. Evitando i patetismi e prediligendo eventi e dialoghi, l’autore ci porta a scoprire insieme al protagonista che la vita è degna di essere accolta in ogni circostanza, anche quando sembra divorata dalle macerie materiali e spirituali dell’umanità. ■

Il racconto è tratto dalla raccolta “Misteri di Natale”, a cura di Nino Ravenna, Edizioni San Paolo, 2004.


DA SOPHIE A MARIA: CRONISTORIA DI CANTI SPIRITUALI Ti vedo raffigurata amabilmente,

Da allora so che il tumulto del mondo

Maria, in infinite immagini,

si è dileguato per me come un sogno,

ma nessuna può mai raffigurarti

e un cielo di dolcezza ineffabile

quale t’immagina l’anima mia.

mi sta per sempre nell’anima.

Con un inno a Maria si chiudono i

Canti spirituali, raccolta di quindici

componimenti elaborati tra l’autunno del 1799 e l’agostosettembre del 1800 dal poeta tedesco Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, meglio conosciuto come Novalis, voce di spicco nel panorama del Romanticismo tedesco. L’intimo incontro dell’anima poetante coi contenuti simbolico-allegorici del Cristianesimo proietta i dogmi della Fede all’interno di una “religione poetica”, che poggia - superandola però sulla tradizione tedesca dei canti luterani. Nella Vergine, in Cristo e nel mistero della resurrezione, Novalis contempla con sguardo estetico, potenziato da slanci mistici, il più alto grado d’intreccio tra la trama di sensibilità e finito e l’ordito di sovrasensibilità e infinito. La resurrezione di Cristo e la redenzione dell’umanità, ontologicamente superiori nell’universo dei valori del poeta tedesco alla creazione, sono già temi che pervadono i versi dei più celebri Inni alla notte, composti negli anni immediatamente precedenti ai Canti. Scrive così nell’inno V: La pietra è

sollevata/ l’umanità è risorta/ noi tutti siamo tuoi,/ non sentiamo più vincoli./ Fugge ogni pena amara/ davanti all’aurea coppa,/ se nell’ultima Cena/ terra e vita dileguano . Nei Canti la prefigurazione della Passione di Cristo diventa un enigma per tutti i sensi terreni; solo chi conosce l’amore (pochi) non avverte fame insaziabile e sete eterna. Dalla consapevolezza, tuttavia, che mai è completa nella dimensione terrena la congiunzione con l’amato in un’unica sostanza, deriva che: Non ha mai fine la cena soave/ non è mai sazio l’amore/ […] Da sempre più tenere labbra/ mutato, diviene il possesso/ più intimo e vicino./ Voluttà più ardente/ percorre con brividi l’anima./ Più assetato e affamato/ diviene il cuore:/ e così dura il godimento d’amore/ di eternità in eternità./ Se una volta chi è digiuno/ lo avesse gustato,/ lascerebbe ogni cosa/ per sedere con noi/ alla mensa della nostalgia/ che non è mai scarsa./ Saprebbe l’infinita/ pienezza dell’amore/ e loderebbe il cibo/ di carne e di sangue . La dimensione eucaristica, nella figura di Cristo come “mediatore monoteista”, si apre al panteismo cosmico, ampiamente sviluppato negli Inni, in cui la partecipazione del divino è insita nell’essere stesso della natura. Soltanto alla luce di ciò, allora, appare comprensibile, se non giustificabile, l’ardita identificazione, all’interno del mistero dell’amore, tra Cristo e Sophie, fidanzata del poeta, la cui prematura morte secondo molti pose le basi alla stesura dei Canti spirituali. Insomma, storie di donne ovvero cronistoria di un’opera decisiva per la riabilitazione del Medio Evo cristiano all’interno del panorama culturale europeo. ■

Per approfondire: http://www.readme.it/libri/Filosofia/Canti%20spirituali.shtml

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LA CHIESA DI SAN VIGILIO: UN TESORO DA SCOPRIRE Il

passante distratto non prova

alcun interesse per l’austera facciata di S. Vigilio, fatta di mattoni e semplici cornici di calcare. Eppure, metafora del cristiano che riconosce la vera ricchezza nell’anima, la chiesa che oggi ospita la Cappella Universitaria custodisce al suo interno un meraviglioso tesoro d’arte, che pochi altri luoghi della ‘Siena da cartolina’ raggiungono. La lunga presenza gesuita (1561-1775) ha plasmato gli spazi di S. Vigilio, adattandoli alle esigenze di un ordine dedito all’evangelizzazione dentro e fuori i confini europei. La scansione simmetrica degli spazi, intorno alla grande aula rettangolare, ha guidato la decorazione della chiesa, e l’arte del Sei e Settecento, che ne ricopre le pareti, si è adattata felicemente a trasmettere in maniera semplice e diretta il messaggio religioso. Il grande pulpito, sull’asse mediano della sala, e gli otto confessionali, lungo le pareti, testimoniano l’impegno profuso dall’ordine nel formare coscienze cristiane, mentre lo sforzo compiuto contro le teorie eterodosse è vivacemente espresso nella tela dell’altar maggiore. La Glo-

ria di Sant’Ignazio di Loyola, dipinta dal celebre Mat-

tia Preti nel 1681, simboleggia la vittoria dei Gesuiti sull’Eresia, rappresentata dalla ripugnante figura in basso a destra dell’osservatore. Una raffinata orchestrazione della decorazione artistica unisce in modo armonioso l’esaltazione della vera fede, e dei suoi divulgatori, alla stimolazione della preghiera e della meditazione. Gli angeloni in stucco dell’altar maggiore (G.A. Mazzuoli) accompagnano l’ascesa al

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Paradiso di Ignazio, mentre i candidi busti di Pietro e Giulia De’Vecchi (G. Mazzuoli, 1672 ca.) guidano con pose e sguardi il fedele nella contemplazione del Crocefisso, all’interno dell’omonima cappella. Gli strumenti della Passione, ostentati sulla piccola volta, e il valore simbolico del nero e del rosso, presenti tra i marmi dell’altare, partecipano coerentemente allo ‘spettacolo del sacro’. Senza dubbio, il grado emotivo più forte viene raggiunto dalle quindici tele raffiguranti il Giudizio Universale poste sul soffitto (R. Vanni 1635 ca.). L’attento inserimento dell’ordine gesuita nel tessuto religioso della città è dimostrato dalla cappella del Taja, oggi usata dal coro universitario. Ai lati del trigramma (JHS) ideato da San Bernardino da Siena si collocano il beato senese Giovanni Colombini, fondatore dei Gesuati, e Sant’Ignazio per i Gesuiti: tutti uniti nel Nome di Gesù! Tra le famiglie nobili che concorsero all’abbellimento della chiesa svolsero un ruolo preminente i Biringucci, committenti dell’altar maggiore e del monumento, vicino alla sagrestia, dedicato a Marcello (B. Mazzuoli 1745), patrocinatore di borse di studio per i giovani dediti all’arte. La memoria funebre speculare a questa ci ricorda l’attenzione rivolta verso S. Vigilio da parte di alti rappresentanti della gerarchia ecclesiastica: il committente della tomba di Antonio Rospigliosi (G.A. Mazzuoli 1658 ca.) fu il cardinale Giulio, poi Papa Clemente IX. Un altro Papa sostenne questa chiesa, il senese Alessandro VII Chigi, che da porporato aveva diretto a distanza la decorazione della cappella di famiglia (sull’altare Educazione della Vergine, G.F. Romanelli, 1639 ca.). Ecco in sintesi il tesoro di S. Vigilio. ■

Per saperne di più: http://www.capunisi.it/index.php/san-vigilio


LA PORTA CHE “PORTA” AL CIELO Il complesso architettonico della facciata del Duomo di Siena, tutto in marmo bianco con

qualche decorazione in rosso di Siena è divisibile in due metà: inferiore e superiore. La parte inferiore fu realizzata da Giovanni Pisano tra il 1284 e il 1297. A questa fase appartengono i tre portali e i due torrioni laterali. L’intera Cattedrale di Siena è una vera e propria trasposizione architettonica del libro dell’Apocalisse e la facciata, in particolare, costituisce il “frontespizio” per l’intero “testo” costituito dalle immagini che troviamo dentro e fuori di essa, dando all’intera chiesa l’aspetto del misterioso “rotolo scritto sul lato interno ed esterno” (Ap 5,1). Apocalisse significa rivelazione e il Duomo di Siena, come ogni altro tempio cristiano, si pone come segno rivelatore di cose ultime, di verità escatologiche; i marmi colorati, le dorature così come le tinte accese dei dipinti e delle vetrate all’interno evocano le mura di quella città futura “costruite con diaspro” e le sue fondamenta “adorne di ogni specie di pietre preziose” (Ap 21,28). Giovanni Pisano curò anche la decorazione scultorea della Cattedrale e corredò la facciata di numerose statue gotiche: Profeti, Patriarchi, Filosofi pagani e Profetesse. Tutte figure accomunate da un unico programma iconografico: l’annuncio della venuta di Cristo. Infatti la base concettuale della facciata è costituita dall’associazione tra il Tempio ed il corpo del Salvatore, con un’importante differenza rispetto ad altre grandi Cattedrali: rispetto ad altre facciate teofaniche, a Siena il Cristo non è rappresentato in modo esplicito, ma attraverso alcune figure allusive. Figure che comunicano corporeità e drammaticità umana. Tra questi personaggi, due risultano essere particolarmente importanti: Davide e Salomone posti all’ingresso principale. Accanto a figure esemplari come i re sopracitati, troviamo altri personaggi allusivi del tutto inaspettati, rappresentanti di linee storiche, culturali e teologali apparentemente in contrasto con tutto il resto. E’ il caso di Balaam, indovino delle sponde dell’Eufrate il quale, mosso dallo Spirito, annunciò la futura venuta del Salvatore: il Nuovo Testamento citerà Balaam come esempio di profezia “involontaria”. Annunciatori “involontari” di Cristo sono Platone e Aristotele, posti tra i profeti d’Israele. Tutto ciò non deve stupire in quanto simboleggia la definitiva armonizzazione del pensiero pagano con la fede cristiana. Importanza simbolica assume la facciata intesa come “porta” d’ingresso. La porta fu elevata a una nuova dignità dal Cristo: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvo” (Gv 10,9). Se Cristo è la vera porta, “porta del cielo” è sua madre, alla quale il Duomo è dedicato. Tra le immagini mariane osserviamo i rilievi dell’architrave che raccontano la natività e l’infanzia della Vergine. Spostandoci nella parte alta della chiesa, realizzata da Caimanino di Crescentino, troviamo le tre bellissime cuspidi ottocentesche nei cui mosaici sono rappresentante l’Incoronazione, la Presentazione al tempio e la Natività della Vergine. Attraverso Maria, prima porta in assoluto, umano e Divino s’intrecciano e chi entra nel Tempio entra “per Maria” dalla cui carne venne la carne di Cristo, nuova via verso il cielo. ■

Per approfondire: http://www.operaduomo.siena.it/

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ORIZZONTALI 1. La catechesi del lunedì sera, 11. Il bellissimo giovane della cultura greca, 16. L’imposta sugli acquisti, 19. Si contrappone alle altre, 20. Bagna Firenze, 21. Uno…inglese, 22. Discordare dal coro, 23. Capolavoro di Steven Spielberg, 24. Il successore di Giovanni Paolo II, 28. Corpo dei Carabinieri, 29. Il numero perfetto, 30. Si respira, 32. Sondrio, 33. Può essere nero o rosso, 34. Ispida, 35. Patriarca nipote di Abramo, 37. Acceso, 38. Una cifra indicativa, 39. Lo pronunciano gli sposi, 41. Prefisso per sette, 43. Bari, 44. Il re della foresta, 46. Andati in latino, 47. Associazione nata nella Cappella Universitaria, 49. Istituto Tecnico Commerciale, 50. Furono moltiplicati insieme ai pani, 51. Identifica la Colombia, 52. Contrada senese verde, bianca e rossa, 53. Rieti, 55. Indiana University Press Online, 57. Cagliari, 58. Un ego della psicologia, 60. Frutto estivo, 63. Quella pubblica cura la salute della popolazione, 66. Metà…gara, 67. Una delle più note opere di Verdi, 68. Identifica la terza coniugazione, 69. Ha musicato “State buoni se potete”, 72. L’Holiday degli alberghi, 73. L’amata di Cirifischio, 75. A noi, 76. Taranto, 77. In questo momento, 79. Sono dispari nelle dita, 80. Le facce del dado, 81. Il centro dell’anta, 82. Indica abbondanza, 84. Uno dei veggenti di Medjugorje, 85. Il Generale a cui fu attribuito l’omicidio dei fratelli Rosselli, 87. Effetto acustico, 90. Grosso serpente, 91. Capolavoro di De André, 94. Non è solido né liquido, 96. Dispari in nero, 98. Sono inseguiti dai gatti, 101. Le vocali del Milan, 102. Tipo di farina, 103. Giorno, 104. Il glorioso film con Leonardo Di Caprio e Kate Winslet, 108. Errore, 110. Associazione Sportiva, 112. Cagliari, 114. Il compianto Massimo della TV, 115. Le suore di San Vigilio, 122. Le vocali sulla carta, 123. Quelli di zucca hanno grande valore nutritivo, 124. Diritto allo Studio Universitario, 125. Le hanno gli uccelli, 126. L’investigatore di Agatha Christie, 128. Trento, 129. Si celebra nella prima domenica di febbraio, 130. Un Cesare della TV. VERTICALI 1. Lo è la donna che cambia spesso umore, 2. Enna, 3. Chi li ha dorme sonni poco tranquilli, 4. European Article Number, 5. Un sacramento, 6. Una “Cina” del sud est asiatico, 7. L’Edgar Allan della poesia, 8. Quella sacra può annullare il matrimonio, 9. Quello delle armi si concede agli avversari, 10. L’antica legge, 11. Asti, 12. Il curato di Renzo e Lucia, 13. Si contrappone a Off, 14. Cloruro di sodio, 15. Sudò sette camicie, 17. La Lario ex moglie di Berlusconi, 18. La capitale greca, 22. Provincia siciliana, 25. Le vocali della sera, 26. Sono pari negli atomi, 27. Monica attrice, 31. Verso sud…per i Negrita, 36. Fa parte del cappello, 39. Così è la Sindone, 40. Quartiere di Napoli, 42. Quello greco misura 3.14, 45. All’inizio dell’occhio, 48. Metallo prezioso, 50. Il più classico tubero, 52. Oxford English Dictionary, 54. Dentro, 56. Ventre, 59. Colorazione dei capelli, 60. Né tuoi né suoi, 61. Il John dei Beatles, 62. Ente Bilaterale del Turismo, 64. Le vocali in più, 65. Altare, 66. L’apostolo prediletto, 70. Pregiato tessuto, 71. Le celebri nozze narrate nel Vangelo, 73. Fausto della canzone, 74. Abitante di Catania, 78. Ravenna, 80. Stare…in prima persona, 83. Marca automobilistica, 84. Prima persona, 85. Quella internet è la più nota, 86. Motore a iniezione diretta, 87. La…fine del mese, 88. Cantarono per primi “Vivo per lei”, 89. In mezzo alla virata, 92. Cagliari, 93. Siena, 95. Strumento a corde simile alla chitarra, 97. Si fanno quando ci si diverte, 99. Il più famoso circo, 100. Non è preceduto da nessuno, 103. L’antica Romania, 105. Terni, 106. Capoluogo del nord Italia, 107. Il Galeazzo che sposò la figlia di Mussolini, 109. Articolo maschile, 110. Decisiva battaglia nella guerra di Abissinia, 111. Ipotizza, 112. Chiamare…in inglese, 113. Tenda conica resa famosa dai nativi americani, 116. Metà…girata, 117. Monte sacro della mitologia greca, 118. Punto cardinale dell’oriente, 119. Cratere meteoritico di Marte, 120. Electro Optics Technology, 121. Raddoppiata significa “così come”, 123. Identifica Singapore, 127. In mezzo alle noci.

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frase

Le soluzioni del numero precedente sono disponibili all’indirizzo: http://www.capunisi.it/index.php/nero-su-bianco


MEMORANDUM

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