In questo numero vi augurano buona lettura...
Editoriale Solo l’amore libera di Claudia De Pasquale
Personaggio Pag. 3
Pag. 4
Parole Benedette Habemus Papam: Franciscum di Fabio Fiorino
Pag. 5
Cappellania Weekend monastici di Domenico Bova e di Ana Manso
Pag. 6
Il primo incontro con Papa Francesco di Adriana Tarantini, di Daniela Mongelli e di Tonia Spagnuolo Pag. 7 Più Km o più Ko? di Federica e Francesca Camilletti San Vivaldo stiamo arrivando… ? di Giada Licata
Pag. 8
Tu chiamale se vuoi... emozioni di Mari Maltese Un quaderno pieno di sorrisi di Federica Maniscalco Volontari per la cultura di Valentina Manganaro
Fotografando
di Angelo Donzello
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Aprire al coraggio o alla paura? di Roberta Briamonte
Pag. 17
Il giusto esempio da seguire di Giuseppe Vazzana
Pag. 18
Vento d’estate di Marianna Di Tizio
Pag. 19
L’altro da me, un altro me di Alessandra Cocco di Fabrizio Buscemi
Pag. 20
Viaggi
Vacanze...tra cultura e cool di Alfonso Napoli di Federica e Francesca Camilletti
Pag. 21
Consigli di lettura Pag. 9
Esperienze Volontaria...mente di Roberta Pipitone
Pag. 16
Riflettendo
L’angolo del Don Tutto è grazia di Don Roberto Bianchini
Madre Maria Oliva Bonaldo di Suor Pina Audasso
Pag. 10
Pag. 11
Pag. 12
Letture a confronto di Federica Maniscalco di Alice Pappelli
Pag. 22 Pag. 22
UniVersi Itaca: partenze e ritorno di Alfonso Napoli
Pag. 23
Ciak si gira Una giornata particolare di Eugenio Alfonso Smurra
Pag. 24
Arte a parte Pag. 13
Pagg. 14-15
Non solo dei “nove”… ma avvocata nostra di Chiara Maniscalco Pag. 25
Passatempo Cruciverba di Filippo Bardelli
Pag. 26
Bacheca
Pag. 27
SOLO L’AMORE LIBERA “Amare Dio e il prossimo non è qualcosa di astratto, ma di profondamente concreto: vuol dire vedere in ogni persona il volto del Signore da servire, e servirlo concretamente".
AMARE CONCRETAMENTE, ecco quanto Papa Francesco vuole insegnarci. Per poter amare non con le parole ma nel concreto vi è una condizione: farlo SEMPRE. Ma per poter amare sempre, ad ogni costo, in ogni luogo e qualunque fratello, vi è una seconda condizione: APRIRE IL CUORE A CRISTO. Se abbiamo Dio nel cuore allora saremo in grado di amare concretamente, poiché iniziamo a guardare il nostro fratello non più con gli occhi di chi giudica, ma con gli occhi di Dio, iniziamo a servirlo non più per placare la voce della nostra coscienza ma per desiderare la gioia dell’altro più della nostra, iniziamo ad amarlo non più per soddisfare il nostro egoismo ma per essere pronti a dare la vita per lui. “Se vogliamo davvero seguire Gesù, dobbiamo vivere la vita come un dono da dare agli altri, non come un te-
soro da conservare. L’egoismo non porta da nessuna parte. L’amore invece libera.”
Parole semplici ma dirette quelle di Papa Francesco che nel suo pontificato sta spendendo tutte le sue forze per farci comprendere che la vita è sempre un dare, è sempre un desiderare la felicità del nostro prossimo, è vivere da veri fratelli in Cristo nella condivisione e nella comunione vera. Sfogliando le pagine dei giornali o ascoltando le interviste televisive, ciò che la gente continua tutt’oggi a dire è “questo papa ha rapito i nostri cuori”. Eppure Papa Francesco non ha fatto apparentemente nulla di “grande” o di “speciale”, ma c’è un aspetto che lo ha caratterizzato fin dall’inizio e che ha riempito i cuori della gente: il suo amare in modo speciale. Non ha annunciato l’amore per i poveri, per i disagiati, per gli ultimi dall’alto della cupola di san Pietro, ma è sceso lì, in mezzo a loro, a toccarli, baciarli, abbracciarli, amarli. Ha pronunciato il suo SI per noi e con noi e non passa attimo in cui lui non ci dimostri il suo esserci, il suo farsi carico dei nostri problemi personali e comunitari, il suo ascoltare i bisogni e le necessità di tutto il popolo. Sta cercando di farci conoscere quel Gesù vivo in mezzo a noi, che ci ama per primo, che ci abbraccia per primo, che ci ascolta per primo; quel Gesù che non si stanca mai di perdonarci, che ci attende per colmarci della Sua misericordia anche quando pensiamo di non meritarla. Non possiamo non notare, inoltre, il rapporto meraviglioso che Papa Francesco vive con la Madonna, definita da lui come la “Signora che va in fretta”, che corre verso i Suoi figli ogni volta che la invocano, che non si stanca mai di tenerci tra le Sue braccia e di proteggerci. La bellezza della nostra anima è il riflesso del rapporto che abbiamo con Dio e da questo dipende il nostro rapporto con gli altri. Impariamo ad essere solidali, ma ad esserlo per come Gesù lo è con noi, in ogni istante e ad ogni costo. E allora, sull’esempio di Papa Francesco, non stanchiamoci mai di chiedere a Maria il dono dell’umiltà, della purezza di cuore, dell’amore gratuito e affidiamoci allo Spirito Santo, la nostra unica vera guida verso Dio.
"La vita è sempre un dare ed è costoso prendersi cura della vita. Oh quanto costa! Costa lacrime. Ma come è bella la cura per la vita, permettere che la vita cresca, dare la vita come Gesù, e dare in abbondanza, per non permettere che anche uno solo di questi fratelli più piccoli vada perso". Papa Francesco ■
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TUTTO E’ GRAZIA Sono passati dieci anni da quando in un afosissimo vespro della solennità dei SS. Pietro e
Paolo venivo ordinato sacerdote nell’Abbazia di S. Antimo. Ero lontano dalla mia terra da lunghi anni e la scelta di quel luogo mi pareva rimetter insieme tanti pezzi del mosaico della mia vita. Durante la solenne liturgia il mio antico parroco, colui che mi aveva battezzato e che per cinquant’anni aveva atteso pregando un prete a cui passare il testimone, mi aveva rivestito della casula sacerdotale: un altro pezzo della mia esistenza, le radici di Semproniano, il solitario paese dell’alta valle dell’Albegna da cui proviene la mia famiglia, ormai in buona parte sepolta nel cimitero da cui si scorge il profilo della pieve del mio battesimo. Iniziava un’altra parabola di vita con grande timore e con altrettanto grande desiderio. L’età matura mi suggeriva con chiarezza che il giogo del sacerdozio di cui il Signore mi aveva rivestito non sarebbe stato sempre leggero da portare; la conoscenza di sé mi attestava che il mio temperamento non mi avrebbe granché aiutato: andava ancora duramente domato, ma come? La prima chiesa di cui vengo incaricato è dedicata alla Madonna: mi sembra un auspicio favorevole, ed infatti Maria entra finalmente nella mia vita interiore: l’avevo fino ad allora tenuta ai margini. Conosco Lourdes e più tardi Medjugorie e il colore della mia vita spirituale decisamente muta: più luce, più affetti, meno timore. I primi passi da sacerdote li compio in una parrocchia di vecchi: orgogliosa e identitaria. Quella gente mi piace perché è come me: nonostante la diversità ci comprendiamo. Accompagno anziani all’incontro con la morte percorrendo più che altro la via verso il cimitero. Ma c’è un’altra chiesa dedicata a Maria: la pieve ad Lamulas che segna definitivamente la mia relazione con la Madre di tutti i credenti. Nella penombra di questa chiesa comincio ad accompagnare qualcuno nel cammino di fede: sono spesso timoroso, mi sembra di non aver nulla da insegnare. Abituato a percepirmi sempre dall’altra parte non mi vedo ancora nel ruolo. Così sbaglio spesso, ma comprendo che non devo in effetti essere un maestro, quanto un fratello. Con questo si apre la fase ulteriore della mia vita, quella legata alla cappella universitaria: da sette anni sono il cappellano di una comunità che non merito, per cui in fondo ho fatto ben poco, ma che mi ha dato tantissimo. Dovunque mi condurrà il mio ministero so che questi anni resteranno i miei “anni d’oro”, e non tanto a motivo dei successi – pochi davvero – quanto della comunità che mi ha accolto e voluto bene. Mi avvicino alla mezza età ma non è questa la tonalità che mi esprime: la vita mi appassiona più di prima, la assaporo più intensamente, la curiosità mi anima ed inquieta come a vent’anni. La ricerca di Dio, per fortuna è solo all’inizio e perciò non conosce cali di desiderio. L’Amico degli uomini mi è sempre davanti: lo voglio conoscere meglio ed amare di più. I fratelli mi sono sempre più cari, anche quelli che non sono riuscito a servire come avrei dovuto, quelli che non ho compatito, che si sono sentiti respinti da me. Anzi proprio costoro sono i più cari compagni di viaggio: sono la mia “spina nella carne”, sempre presenti a ricordarmi di quanto deve crescere ancora in me l’amore per tutti. ■
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L’Amico degli uomini mi è sempre davanti: lo voglio conoscere meglio e amare di più...
HABEMUS PAPAM: FRANCISCUM Francesco: un Papa preso quasi “alla fine del mondo” che edifica e incoraggia, giorno per giorno, la Chiesa con la sua parola, semplice ed efficace.
Non si è cristiani “a tempo”, soltanto in alcuni momenti, in alcune circostanze, in alcune scelte. Non si può essere cristiani così, si è cristiani in ogni momento! Totalmente! La verità di Cristo, che lo Spirito Santo ci insegna e ci dona, interessa per sempre e totalmente la nostra vita quotidiana. Invochiamolo più spesso, perché ci guidi sulla strada dei discepoli di Cristo. Invochiamolo tutti i giorni. (Udienza, 15 maggio 2013)
ell’arte di camminare, quello che importa non è di Riconosciamo che Dio non è qualcosa di vago, il “N non cadere, ma di non rimanere caduti. Alzarsi prenostro Dio non è un Dio “spray”, è concreto, non è un astratto, ma ha un nome: «Dio è amore». Non è un amore sentimentale, emotivo. Pensare che Dio è amore ci insegna ad amare, a donarci agli altri come Gesù si è donato a noi, e cammina con noi. Gesù cammina con noi nella strada della vita. (Angelus, 26 maggio 2013)
Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci rice-
ve nel suo amore di perdono e di misericordia. (Udienza 29 maggio 2013)
sto, subito, e continuare ad andare. E questo è bello. (Omelia, 7 giugno 2013) Il cristiano è un uomo spirituale, e questo non significa che sia una persona che vive “nelle nuvole”, fuori della realtà, come se fosse un fantasma. No! Il cristiano è una persona che pensa e agisce nella vita quotidiana secondo Dio, una persona che lascia che la sua vita sia animata, nutrita dallo Spirito Santo perché sia piena, da veri figli. E questo significa realismo e fecondità. (Omelia, 16 giugno 2013)
Quanto è bello amarci gli uni con gli altri come fratelli
veri. Facciamo una cosa oggi. Forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie; forse tanti di noi sono un po' arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore io sono arrabbiato con questo o con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell'amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi! Attorno a noi vediamo che la presenza del male c’è, il Diavolo agisce. Ma vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? E sapete perché? Perché Lui è il Signore, l'unico Signore. E vorrei aggiungere che la realtà a volte buia, segnata dal male, può cambiare, se noi per primi vi portiamo la luce del Vangelo soprattutto con la nostra vita. Se in uno stadio, pensiamo qui a Roma all’Olimpico, o a quello di San Lorenzo a Buenos Aires, in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli oltre settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina. Facciamo che la nostra vita sia una luce di Cristo; insieme porteremo la luce del Vangelo all’intera realtà. (Udienza, 12 giugno 2013) ■
Trovate i testi in versione integrale su: http://www.vatican.va/holy_father/francesco/index_it.htm http://www.news.va/it
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WEEKEND MONASTICI LE STELLE CHE BRILLANO AL BUIO
Come prima di ogni partenza seppur non ai livelli del Furio di Bianco, Rosso e Verdone), mi
preparo cercando di leggere qualcosa per conoscere il monastero e la famiglia monastica che ci ospiterà. Mi imbatto così nella vita del giovane Benedetto che scappando dalla frivolezza di un mondo si "nasconde" da esso per cambiarlo totalmente, fino a diventare il Santo Patrono d'Europa. Ma chi vuole contribuire a migliorare il mondo perché lo dovrebbe fuggire? Nel sacro speco, la grotta dove Benedetto visse per tre anni da eremita trovo una prima risposta: “Se vai in cerca della luce Benedetto perché hai scelto gli antri? Nessuna caverna racchiude la luce che cerchi. Ma tu continua a cercare i raggi nelle tenebre perché solo al buio le stelle brillano”. Ecco una prima risposta, un po’ enigmatica ma di facile comprensione: in fondo, non sempre l’assenza di luce è buio. Credo che nelle nostre vite così frenetiche e chiassose, sarebbero veramente necessari luoghi di silenzio. Luoghi in cui ritrovarsi e riconoscersi. Non è una critica alla nostra società (anche se mi piacerebbe farlo, ma non è questo il luogo) ma un dato piuttosto oggettivo del nostro modo di vivere oggi. Ho il sospetto che le “luci” nascoste che giungono da questi luoghi siano ancora capaci, dopo millenni, di offrire un solido orientamento. Si ha davvero l'impressione che qui s'impari come cambiare il mondo. I ritmi del monastero ci insegnano che è possibile vivere nel mondo prendendone nel frattempo le giuste distanze. ■
UN INNAMORAMENTO DIVERSO
Anche
quest’anno un gruppetto di ragazze
della Cappella Universitaria ha vissuto l’esperienza del weekend in monastero, che consiste nel prendere contatto con la realtà della vita monastica. Per me è stata la prima esperienza del genere e mi sono trovata in uno dei luoghi più belli dove mai sia stata: l’isola di San Giulio, sul Lago d’Orta, dove sorge l’Abbazia benedettina Mater Ecclesiae. Sono sincera: io non ho mai capito la vita o la vocazione di clausura, avendo quel preconcetto di “va bene, saranno persone diverse dal normale, un po’… strane, perché... cosa fanno nella vita?!” Invece le monache che abbiamo conosciuto lì si sono rivelate persone assolutamente uguali a noi, tanto “normali” quanto ciascuno di noi. La differenza è che hanno sentito un innamoramento particolare che permette loro di vivere in libertà tanto o più di noi. Ho visto gioia vera, ho visto luminosità. Nel parlare di alcune di loro ho sentito indubbiamente la voce dello Spirito Santo. Non capisco ancora bene questa forma di vita ma penso che le scelte più radicali sono difficili da capire se non le sentiamo e viviamo in noi. Il mio preconcetto, però, è chiaramente caduto e oggi il mio rispetto e ammirazione per queste donne è enorme. Il riconoscimento della loro importanza nel corpo della Chiesa – che siamo tutti noi – è innegabile. La bellezza, l’intensità e la tenerezza delle loro preghiere e del loro lavoro ci colpiscono e capiamo che sì, anche questo sostiene e cambia il mondo (e quanto!). Come cattolici fare questo tipo di esperienza è essenziale per conoscere tutti i lati della Chiesa della quale facciamo parte, per sentirci “più parte”. Ci fa rimettere al centro Colui che sempre deve essere al centro. In ogni forma. In ogni vocazione. In ognuna delle nostre vite. ■
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frase
“Il principale contrassegno dell’umiltà è l’obbedienza senza indugio” (San Benedetto) “Il monaco sa che è uomo e che nulla di ciò che è umano gli è estraneo” (A. M. Canopi )
IL PRIMO INCONTRO CON PAPA FRANCESCO Ore 4:45: drriin drriin, la sveglia! Pronte per questa intensa
giornata? Sì! Via, direzione piazza Gramsci e si parte alla volta della capitale, per intraprendere un pellegrinaggio nell’anno della fede, spinti anche dalla curiosità nell’assistere ad uno dei primi Angelus del nuovo Sommo Pontefice. Questa è per noi la prima esperienza come parte di questa gioiosa comunità che fino ad ora avevamo osservato ed ammirato solo da lontano. Diverse le domande che ci poniamo in merito a ciò che questa giornata potrà riservarci ma, arrivate a Roma, fin da subito l’atmosfera è quella di una grande famiglia che si muove festosa in cammino verso il Padre, con il cuore aperto e fiducioso di essere arricchito. Prima dell’arrivo a Città del Vaticano c’è il tempo per scoprire, grazie al Don, dettagli meno noti della città eterna nonché, per noi, di scambiare una parola, uno sguardo di intesa, di condividere una sensazione con chi già si conosce o con chi si è appena incontrato. Fino ad arrivare poi a destinazione in una piazza gremita di gente, tutta con lo sguardo rivolto in alto in un connubio perfetto tra l’attesa del Santo Padre e il protendersi verso il Padre celeste. Ed eccolo, quel minuscolo puntino bianco che a mezzogiorno appare dalla sua finestra pronto ad infondere a tutti noi fiducia, carica e forza. In una piazza ammutolita riecheggiano nitide le riflessioni che Papa Francesco ci propone sulla Fede viva degli apostoli capaci di sopportare le persecuzioni pur di predicare nel nome del Signore. L’emozione è tanta e quelle parole restano impresse come spunto di un’analisi sulla nostra Fede e su come la vera esperienza di Cristo nella propria vita porti inevitabilmente al desiderio di voler condividere e comunicare questa esperienza. Ed è proprio questa la sensazione che abbiamo nel proseguire la giornata: quella di una condivisione piena e totale, senza timori o vergogne che così spesso insidiano il nostro cammino cristiano. Sensazione che ha trovato la sua massima espressione nella celebrazione della Santa Messa, tenutasi in San Pietro alla presenza di tutta la diocesi senese alla quale, oltre che come fedeli, abbiamo partecipato collaborando al servizio liturgico e al coro. Il resto della giornata trascorre in fretta ed arriva il momento del rientro a Siena; inevitabili e spontanee sono le riflessioni e le sensazioni che ci uniscono nel tirare le somme su questa esperienza appena vissuta. Chi ringraziare? Sicuramente il Don, suor Lilia e tutti i ragazzi che hanno contribuito a rendere per noi speciale questa domenica, ma in primis lo Spirito Santo che ci ha fatto dire “SI” a questo invito, sicure che ci avrebbe arricchito e fatto crescere. Perché è proprio partendo da queste esperienze comunitarie che si vive davvero il messaggio di Gesù, un messaggio di amore e fraternità che si concretizza giorno per giorno aprendosi a nuove conoscenze che possono sempre darci qualcosa di positivo. Sì, perché ognuno di noi ha del buono da dare agli altri: è sufficiente essere disposti ad accoglierlo e lasciarsi guidare dal fratello! ■
...quel minuscolo puntino bianco che a mezzogiorno appare alla finestra pronto a infondere a tutti noi fiducia, carica e forza...
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PIU’ KM O PIU’ KO? Elemento caratterizzante di ogni pellegrinaggio è senza dubbio la fatica,
esperienza che oggi si cerca di evitare a tutti i costi e che conoscono bene i diciannove ragazzi che hanno partecipato al pellegrinaggio on foot, appuntamento fisso della Cappella Universitaria. Effettivamente il tratto della via Francigena che da Monteriggioni porta a San Vivaldo non è poi così dolce come il paesaggio che si ha modo di ammirare lungo il cammino. Passano i chilometri e lo zaino diventa sempre più pesante, il caldo sempre più insopportabile, le scarpe sempre più strette! Per fortuna siamo in tanti e tra una battuta e una riflessione un po’ più seria trascorre il tempo e la meta si avvicina. Dopo una giornata di cammino, quando tutti credono che il peggio sia passato, ecco che si erge impietosa un’interminabile e soprattutto imprevista salita. Lo sguardo iracondo di noi pellegrini si rivolge allora verso gli organizzatori che si mostrano inconcepibilmente sorpresi. Purtroppo non ci sono alternative: l’ostacolo va superato! Ognuno adotta la sua strategia: c’è chi per non farsi scoraggiare cammina a testa bassa, chi fa delle piccole soste, chi raccogliendo le sue ultime forze la prende di petto e chi, incurante della sua età, inizia a corre per dimostrare che alla fine è tutta una questione di volontà! Ci piacerebbe ora scrivere che dopo ogni salita c’è sempre una discesa, ma per noi purtroppo non è stato cosi, però possiamo assicurarvi che le sorprese non finiscono mai: infatti ad attenderci in cima c’era un’altra salita non dissimile della prima. Sono momenti difficili, cediamo allo scoraggiamento ma subito ci vengono in mente le tante persone che pagherebbero per provare la nostra fatica e non potranno mai farlo, così benediciamo il Signore e andiamo avanti. Dobbiamo riconoscere che la vista da quelle salite era mozzafiato, peccato per quelli che hanno scelto la strategia della testa bassa. Finalmente ecco all’orizzonte le maestose torri di San Gimignano, tappa intermedia del nostro pellegrinaggio. Non sappiamo spiegarvi come è stato possibile ma più noi camminavamo più il paese si allontanava. Dopo una doccia rigenerante e una cena ottima e abbondante gentilmente offertaci da don Mauro, godiamo del meritato riposo. Alle sette siamo di nuovo in piedi, colazione e si riparte. Stavolta la strada è quasi tutta pianeggiante ma ad ostacolarci arriva la pioggia, che coglie alcuni impreparati e ci costringe ad arrivare a San Vivaldo su quattro ruote anziché su due piedi. ■
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Per curiosare: www.viefrancigene.org
SAN VIVALDO STIAMO ARRIVANDO… ? Il pellegrinaggio on foot dei nostri
eroi lungo la via Francigena inizia di buon mattino, con partenza da Siena per raggiungere in bus Monteriggioni e da lì proseguire, on foot, fino a San Gimignano per trascorrere la notte e poi ancora proseguire verso San Vivaldo, nel comune di Montaione. A partire sono in diciannove, ma non si avrà lo stesso numero al ritorno. Sin da subito, la strada non appare tanto spianata come ci si aspettava e, a causa di ciò, la fatica miete le prime “vittime” che dopo alcune peripezie riescono a ritornare alla base. Il viaggio prosegue sotto il sole che mostra la campagna toscana in tutto il suo splendore e un paesaggio che si presenta sempre più basso man mano che si sale lungo irti pendii. Non mancano le tappe: per pregare, per avere un po’ di ristoro o semplicemente per rallegrare, col suono della chitarra, un bambino entusiasta del suo nuovo incontro. Ma il cammino è ancora lungo e, anche se con qualche difficoltà deambulatoria e un considerevole ritardo sulla tabella di marcia prevista, i nostri pellegrini riescono a raggiungere, finalmente, San Gimignano. La città appare in festa, con un allegro via vai di gente che approfittando della piacevole serata di primavera si concede due passi per le vie del centro. Finalmente l’arrivo al monastero delle monache benedettine, luogo designato per il pernotto, e dopo una rapida rinfrescata di corsa a cena, attesissima! Anche se la parola “corsa” forse non è proprio indicata dato lo stato generale dei partecipanti… “E fu sera e fu mattina” ed ecco
arrivare il secondo e ultimo giorno. Il pellegrinaggio prosegue, ma questa volta ciò che rallenta non sono le salite, bensì la pioggia! Non un diluvio universale, ma equipaggiamento incompleto di alcuni, nonostante le raccomandazioni del nostro buon Don e degli organizzatori, spinge i nostri eroi a trovare un tetto provvisorio con il gentile, e soprattutto inconsapevole, permesso dei proprietari. Sorella pioggia prosegue a singhiozzo e nonostante l’aver fatto un po’ di chilometri si decide di fermare la marcia per aspettare i rinforzi e quindi raggiungere motorizzati la tappa finale: San Vivaldo. Questo è tutto ciò che i miei occhi hanno visto, tutto ciò che ha attivamente vissuto un pellegrino. Ogni attimo passato assieme con gli altri compagni di viaggio ci ha reso senza dubbio più uniti. Nonostante il lungo cammino non abbiamo perso la volontà di andare avanti, incitandoci a vicenda e aspettando coloro rimasti indietro. E’ attraverso le difficoltà e il bisogno che si testa la reciproca disponibilità. Ognuno di noi ha messo del suo per allietare il cammino dell’altro porgendo una mano di aiuto, scherzando o semplicemente donando un sorriso. Il non aver raggiunto la destinazione finale prefissata non significa essere perdenti, ma il vero traguardo è il raggiungimento della consapevolezza dei nostri limiti! Ogni giorno che passa è un giorno che arricchisce questa grande famiglia di San Vigilio con nuove persone ed esperienze. “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Il pellegrinaggio fisico per quest’anno è finito, ma non si cessa mai di essere pellegrini nello Spirito… buon cammino a te! ■
Per curiosare: ww.sanvivaldointoscana.com
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VOLONTARIA...MENTE “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste…” (Gv, 21.18)
E’ in questo passo del vangelo di Giovanni che trovo racchiusa la motivazione profonda che mi ha spinto ad “Emmaus”. Emmaus è una casa di accoglienza dove il gruppo di volontariato nato dalla Comunità della Cappella Universitaria si fa presente una volta a settimana per animare il pomeriggio dei vecchietti che si ritrovano lì per le cause più varie. Credere che raggiunta una certa soglia della nostra vita si possa sprofondare nella solitudine più amara e sconfortante, credere di avere così tanti racconti da cui i giovani potrebbero imparare e ritrovarsi a considerarli solo un ricordo personale, credere che davvero ESISTA la possibilità di non essere più considerati da qualcuno soltanto perché si è ormai diventati anziani.. Beh questa riflessione mi ha messo in crisi, mi ha aperto una ulteriore porticina conducendo il mio sguardo in luoghi che prima ignoravo, dove non credevo ci fosse bisogno di qualcuno al di fuori del personale che potesse contribuire allo stato di “salute” dei vecchietti. Insomma: ho capito che anche una semplice studentessa, senza qualifiche specifiche, può essere motivo di gioia per loro! E’ semplicemente questo quello che mi impegno a fare insieme a tanti altri ragazzi della Cappella. Così settimanalmente ci ritroviamo tutti insieme a far visita a casa Emmaus; il nostro unico obiettivo è quello di portare allegria e speranza a quei volti che molto spesso troviamo spenti. E dalla tombola passiamo ai cruciverba, all’impasto a mano della pasta, al canto e al ballo coinvolgendoli a trascorrere un po’ del loro prezioso tempo insieme a noi. Si, credo che ognuno di loro sia prezioso per ciascuno di noi e ne ho fatto davvero esperienza! Adesso, a distanza di qualche mese mi ritrovo arricchita di tantissimi racconti ed anche di molte emozioni. Porto con me l’insegnamento di Irmo: una vita vissuta nella semplicità e nell’umiltà seppure nella sofferenza, i consigli di Nella sull’elisir di lunga vita, l’abbraccio ed il sorriso con cui ci accoglie sempre il dolce Luigi accompagnati da impazienti novità relative alle sue coltivazioni di pomodori, lo sguardo perso nell’infinito di Roberto che ha perso la vista, la tenerezza di Vera.. ci vorrebbero tante pagine per descriverli uno ad uno. Osservandoli, accompagnandoli, tenendoli per mano ho potuto ammirare la loro saggezza ed al contempo la spontaneità; essere presente in pezzettini delle loro giornate senza programmi e senza impegni occupazionali, cogliendoli nei momenti più vari mi ha sorpreso ogni giorno di più. Ho capito che è certamente essenziale curare altri aspetti della nostra società forse anche più importanti come senza dubbio la povertà, ma che è anche ragionevole curarci di coloro che ci hanno permesso di essere qui, oggi! Concludo condividendo una lezione di vita che ho avuto modo di ricevere in questo percorso: vivere la vita in pienezza, vivere il tempo che ci è donato nella consapevolezza che ogni nostra buona azione diviene inevitabilmente un seme nella vita di chi ci è accanto. ■
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Per ulteriori informazioni sul gruppo di volontariato della Cappella Universitaria o per essere uno dei nostri, scrivi a: volunisi@gmail.com
TU CHIAMALE SE VUOI... EMOZIONI E
anche quest’anno la Cappella
Universitaria ha aperto i battenti a un momento importante per provare ad acquisire una maggiore confidenza col nostro mondo interiore: dopo gli incontri sull’affettività dello scorso anno, stavolta è stato il turno di fare quattro passi nella via scoscesa delle emozioni. A guidarci su questa strada è stata la dottoressa Rosanna Marchionni, che ha preso la felice decisione di farsi coadiuvare in questa avventura da un’équipe tutta scoppiettante e simpatica, formata dai “due Franceschi” e dalla dolce Rossella. Addentrarsi nella selva oscura delle emozioni però sarebbe stato troppo pericoloso se la nostra nocchiera non si fosse prima posta l’obiettivo di raggiungere quattro tappe fondamentali, corrispondenti alle quattro emozioni primarie che, secondo l’ordine da noi seguito, sono state la rabbia, la paura, la tristezza e, dulcis in fundo, la gioia. Questi stati esistenziali hanno come minimo comune denominatore il poter essere paragonati ad un’onda: essa stravolge una condizione fisica naturale di quiete coi suoi sommovimenti che poi coinvolgono la materia tutta ma alla fine, così come nasce, essa si estingue. Allo stesso modo le nostre emozioni sembrano sconvolgerci totalmente quando le proviamo ma sono fenomeni caratterizzati da una durata e così come nascono essi esauriscono prima o poi la loro carica dirompente. Per questo motivo possono essere, non dico evitati, ma quanto meno accessibili a una nostra occhiata fugace. A pensarci bene, non è stata sempre una bella sor-
presa trovarsi faccia a faccia con quelle parti di noi stessi che più facilmente sono inclini a un determinato tipo di emozione e per molti di noi è stata anche una novità riscoprirsi quasi “affezionati” a uno stato d’animo che individuiamo come negativo, ma che riconosciamo accompagnare gran parte dei nostri momenti vissuti. Durante gli incontri con la dottoressa Marchionni non abbiamo imparato a trovare una strada alternativa per aggirare il rischio di essere travolti dalle emozioni, né tantomeno abbiamo studiato una tattica per “acchiappare” i nostri sentimenti e chiuderli in una botola per non dover fare i conti con essi; ci siamo semmai cimentati nel fare quattro chiacchiere con le nostre paure, con i nostri accessi d’ira, con le nostre malinconie e con i nostri slanci di gioia per cercare di cooperare con essi a raggiungere il benessere… Ma ciò è stato possibile perché, sin dal primo incontro, si è iniziato a costruire un clima disteso e amicale in cui ci si è posti allo scoperto e si è venuta a creare una vera e propria interazione tra esperti e non. Tante sono state le attività che ci hanno visti protagonisti di tentativi pratici di avere un primo approccio con questo mondo interiore, spesso un po’ agitato, e in ognuno di essi è emersa sempre una dinamica di gruppo, indice del fatto che tutti hanno accettato la sfida con l’intenzione di essere sinceri, prima di tutto con sé stessi. Forse quello che davvero ci hanno lasciato nel cuore questi appuntamenti è l’aver capito la necessità di prenderci cura delle nostre emozioni perché, seppur momentanee e passibili di variazioni continue, conoscerle è il primo passo che possiamo fare per imparare a prenderci cura ed accettare la totalità di noi stessi. ■
“…e ricoprir di terra una piantina verde sperando possa nascere un giorno una rosa rossa…” (L. Battisti)
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UN QUADERNO PIENO DI SORRISI Quando
salutai
Don
Roberto,
quell’ultima domenica a Siena prima della mia partenza per Lione, mi disse da padre affettuoso quale è: “Dai che comincia l’anno più bello della tua vita”. In realtà gli inizi di questa esperienza non si rivelarono proprio dei migliori: per la prima volta mi allontanavo da sola da Siena, la città dove vivevo da circa sei anni con le mie sorelle, nella quale avevo studiato, conosciuta come il palmo della mano e dove, soprattutto, avevo ritrovato una vera, meravigliosa famiglia nella Cappella Universitaria. Da tempo desideravo visitare questo paese, la Francia, del quale avevo a lungo e con passione studiato la cultura. Un viaggio in aereo svoltosi sotto un’abbondantissima pioggia mi faceva già sentire la nostalgia del bel sole italiano. Ma una volta giunta era pronto ad accogliermi il primo volto amico, il volto di una persona straordinaria con la quale, nei mesi successivi, si è costruita una bella amicizia, un volto di grande dolcezza: Emmanuelle, l’insegnante di riferimento assegnatami dall’Académie di Lione. Il suo fu un vero sostegno nei piccoli “incubi” che dovetti affrontare, come l’inspiegabile ritardo delle correzioni della mia tesi (a causa del quale dubitai seriamente di riuscire a laurearmi in tempo), perse tra le agenzie delle poste italiane o francesi e delle quali non seppi più niente fino a Natale. Come dimenticare Madame e Monsieur Victor, i miei “genitori francesi”, che mi hanno accolta come una figlia, mi hanno fatta sentire a casa, soprattutto nelle domeniche solitarie, e non mi hanno mai negato affetto e aiuto.
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Quale gioia nel momento in cui scoprii l’esistenza di una chiesa di universitari. Ero consapevole del forte laicismo dei francesi, ed infatti dovetti presto constatare come la società si caratterizzasse effettivamente per tante famiglie divise e per una forte indifferenza alla fede. Ma anche lì finalmente ritrovai il calore e l’impegno dei fedeli determinati nel rivendicare l’importanza del sentirsi “Chiesa”, nel diffondere l’amore di Cristo. La conoscenza delle altre due insegnanti che dovevo affiancare, Hélène e Laurence, mi consentì di apprendere tantissimo dal punto di vista professionale e umano, nell’approccio all’insegnamento e nel contatto con gli studenti. L’essere considerata una vera collega, la stima e l’affetto che sempre hanno dimostrato verso di me rappresentano di fatto i ricordi più belli. I volti dei miei alunni, piccoli e grandi, mi scorrono davanti con i loro occhi curiosi e le loro ingenue domande: “Come ti chiami? Da dove vieni? Ma è vero che in Sicilia c’è la mafia?”. Eppure, nonostante un primo timido approccio, un contatto semplice, quasi banale, ciò che si è sviluppato successivamente è stato un rapporto di affetto sincero e di amicizia. Di loro conservo un quaderno pieno di piccoli pensierini di gratitudine e di saluti; è il segno che fra di noi si è istaurata una considerazione reciproca e affettuosa. È vero, a Lione, il sole splende raramente, il cielo è spesso solcato da nuvoloni grigi e in inverno il freddo è pungente; ma ho visto tanta luce nell’animo delle persone che ho incontrato. Se non posso dire che sia stato l’anno più bello della mia vita, posso affermare che certamente è stato il più significativo e formativo. Merci France! ■
A Lione il sole splende raramente, ma ho visto tanta luce nell’animo delle persone che ho incontrato.
VOLONTARI PER LA CULTURA: IL GRUPPO FAI GIOVANI A SIENA Un
gruppo di giovani amici che
condividono stessi principi e stessi valori volti alla salvaguardia e alla tutela del patrimonio artistico e ambientale italiano. In questo consiste l’idea di fondo che sta facendo germogliare a poco a poco in tutta Italia i Gruppi FAI Giovani. Il FAI (Fondo Ambiente Italiano) è nato più di 35 anni fa con l’intenzione di fornire un deciso contributo alla conservazione del patrimonio culturale italiano. Divenne ben presto una realtà che si diffuse su tutto il territorio nazionale grazie a numerosissime Delegazioni, capaci di fare attivamente la differenza, motivando e coinvolgendo i cittadini nella scoperta di luoghi nascosti o tragicamente trascurati nel nostro Paese. Attraverso manifestazioni come le Giornate Primavera e la FAI Marathon, la Fondazione riesce ad aprire luoghi spesso non accessibili al pubblico (chiese solitamente chiuse, case private...) e a far conoscere angoli di città che passano inosservati nella frenesia quotidiana. Il ruolo dei volontari è di fondamentale importanza, poiché sono loro in prima persona a svelare e concretamente guidare il curioso, con professionalità e tanta passione, lungo percorsi artistici e naturalistici, alla scoperta di straordinari tesori. Non a caso, i volontari FAI sono chiamati “Sentinelle del Bello”, poiché col loro compito svegliano e ravvivano il cuore e la memoria di ogni cittadino. Dal 2012 alla realtà delle Delegazioni si è affiancata quella dei Gruppi FAI Giovani, che mira a diffonde-
re i valori genuini del FAI tra studenti universitari e giovani lavoratori, scardinando e superando così la visione di un volontariato d’élites, a favore di un contatto più diretto e immediato, permettendo con maggiore flessibilità la partecipazione dei ragazzi alle iniziative FAI. Il Gruppo FAI Giovani di Siena è ufficialmente nato nel febbraio 2013 con la visita guidata all’esposizione “Il Mistero Gioioso” presso i locali dell’antico Spedale di Santa Maria della Scala. Siamo un gruppo di giovani universitari e lavoratori, appartenenti a formazioni diverse e di diversa provenienza. Un bel gruppo eterogeneo che, in verità, si è trovato per la prima volta attivo già in occasione della Giornata di Primavera 2012, quando la Delegazione di Siena coinvolse gli studenti di Storia dell’Arte dell’Università come “apprendisti ciceroni”, un po’ cresciuti, con il compito di guidare i visitatori alla scoperta del Rettorato e della Chiesa di San Vigilio. Questo meraviglioso scrigno di pittura e scultura barocca ci ha visto nascere come gruppo di amici e di volontari. Alcuni di noi, pur frequentando la stessa facoltà, non avevano mai avuto l’occasione di incontrarsi e la Cappella Universitaria ha contribuito a farci conoscere e ad avvicinarci al FAI. Il Gruppo è sempre attivo e promuove incontri, volti a coinvolgere sempre più amici e simpatizzanti. Su facebook potete trovare la pagina FAI Giovani-Siena, continuamente aggiornata con il calendario delle nostre iniziative. Cosa rimane, dunque, da dire? Se siete curiosi e perennemente innamorati delle bellezze del nostro Paese, vi aspettiamo nelle prossime iniziative, per condividere insieme nuove ed emozionanti esperienze!
www.delegazionifai.it e-mail: faigiovani.siena@fondoambiente.it
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VITA DI COMUNITA’
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PELLEGRINAGGIO SULLA FRANCIGENA
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MADRE MARIA OLIVA BONALDO “Io sarò in mezzo a voi col ricordo di quella processione che mi ha indotto a vincere il rispetto umano, mi ha spinto alla conversione e mi ha procurato l'ineffabile ispirazione che la Santa Chiesa ha approvato, approvando l'umile opera delle Figlie della Chiesa di cui è stata il seme.” (Madre Oliva Bonaldo)
Giovedì 22 maggio 1913, a Castelfranco Veneto. È il giorno del Corpus Domini e la processione con Gesù Eucaristia attraverso lo storico e agiato centro trevigiano, patria del Giorgione, sarà affollata al solito da fanciulli, associazioni, contadini e umile gente. Maria Bonaldo - ventenne, maestra, bella, fidanzata a un pittore veneziano - è tra le ragazze in vista della città e lotta con la spinta interna a testimoniare pubblicamente la sua fede e il terrore del ridicolo in cui cadrà agli occhi di amiche e amici “bene”, appostati ai poggioli dei palazzi della piazza. Le affiora vivo il pensiero della mamma che a quella processione la portava abbigliata con speciale cura... e Maria sconfigge l'amor proprio, avviandosi, elegantissima, dietro il sacro corteo di Gesù Ostia. In piazza, alla Loggia dei Grani ( Pavejòn), si sosta per la benedizione eucaristica. “Là il Signore mi aspettava per pagarmi da Signore” - racconterà – “Durante il canto solenne del Tantum ergo mi raggiunse una grazia straordinaria di forza e di luce. Compresi il mistero del cristianesimo in un attimo, ebbi una luce chiarissima sul Corpo Mistico... capii per che cosa dovevo vivere, il mistero mio, della vita... Ma una cosa semplice, come un cieco che vede la luce. Ritornai a casa un'altra”. Sognò subito un gruppetto di “figlie” che avrebbero predicato la Chiesa-Agape più che a parole col sorriso. “La Chiesa non è conosciuta, la Chiesa non è amata perché non è conosciuto, non è amato l'Amore che l'ha generata nel dolore... Le Figlie della Chiesa vorrebbero far sentire la Chiesa, avvicinare i figli alla Madre collaborando con i fedeli laici e i ministri del Signore in unità di cuore”. Sorsero nel 1938, a Roma, dalla macerazione evangelica della Fondatrice, che ebbe in dono, tra loro, le Serve di Dio Olga Gugelmo (1910-1943) e Maddalena Volpato (1918-1946). E intrepida lanciò le sue figlie in Italia e nel mondo, ancorate all'adorazione di Gesù Eucaristia. Fu madre e ispiratrice anche ai laici. “Il Verbo di Dio, fatto uomo in Maria, si è fatto mamma nella Chiesa, e la Chiesa siamo noi - scriveva nel 1940 a Igino Giordani - Gesù ci comanda una carità da mamma quando precisa che dobbiamo amarci non solo come fratelli, ma come Lui stesso ci ha amati. E ci ha amati da mamma,fino a nutrirci della sua sostanza”. Il Concilio Vaticano II fu per lei piena conferma. Diceva che leggendo i testi conciliari non sentiva cose nuove, ma ciò che aveva “capito” in piazza del Giorgione a Castelfranco durante quella processione. “Ci voleva un concilio - affermava - per mettere in luce questo mistero della Chiesa nel quale quasi si fonde la stessa Trinità. Perché la Trinità ci assume tutti in sé nella Chiesa, come dice la stupenda preghiera di san Giovanni: Che tutti siano uno… in NOI… nella Trinità!”. A cento anni da quella processione, Figlie e Figli della Chiesa ritornano a Castelfranco per specchiarsi nella grazia eucaristica della Fondatrice e attingervi slancio per la nuova evangelizzazione. ■
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Per approfondire: www.figliedellachiesa.org
APRIRE AL CORAGGIO O ALLA PAURA? “Nessun altro poteva entrare da
qui, questo ingresso era destinato soltanto a te. Adesso me ne vado e lo chiudo”. Così termina uno dei racconti di Kafka, Dinanzi alla legge, enigmatico e che apre a molteplici interpretazioni. C'è un uomo che un giorno giunge davanti a una porta, la porta della legge, per potervi entrare, ma vi trova un guardiano che gli dice che non è il momento, senza però proibirglielo effettivamente. Questo, anzi, lo esorta a tentare comunque di oltrepassare quella porta, avvertendolo che avrebbe incontrato altre porte e altri guardiani, ma l'uomo decide di non provarci e gli si siede accanto rimanendo lì per giorni e anni. Ormai arrivata la sua ora, vuole fare un'ultima domanda al guardiano: perché in tutti quegli anni nessun altro abbia chiesto di entrare. Gli viene spiegato che soltanto lui avrebbe potuto farlo, ma ormai è troppo tardi. L'uomo ha passato la sua vita intravvedendo possibilità senza coglierle. Non ne ha avuto il coraggio. Non si tratta di non avere paura e pensandoci bene il coraggio senza paura non avrebbe senso, perché spesso è proprio quando ci sentiamo smarriti che dentro di noi nasce la volontà di reagire. Il guardiano davanti alla porta è quello scoglio insormontabile che non poi così raramente incontriamo nella nostra vita. E ciascuno di noi, proprio come il protagonista di Kafka, si sente proteso verso ciò che c'è dietro quello scoglio, quella porta; eppure perché è così difficile passare oltre? Forse perché è troppo rischioso iniziare nuovi percorsi, prendere una decisione nonostante qualche divieto. E poi
non sappiamo cosa potremmo trovare; sai quello che lasci non sai quello che trovi - dice il detto. La paura di perdere qualcosa o di non farcela ci toglie la possibilità di godere di un grande dono: la scelta. A volte prendiamo quello che ci capita per caso, accettiamo scelte che hanno fatto gli altri al posto nostro, passivi alle nostre passioni, sordi agli slanci della nostra anima. Essere coraggiosi vuol dire svegliarsi la mattina sapendo che siamo noi a decidere ogni giorno chi essere, dove andare, da che parte stare. Se ci sono persone che riescono a correre dopo aver perso le gambe, perché non dovremmo essere in grado di realizzare i nostri sogni, di rivoluzionare la nostra vita, di andare dove il cuore ci suggerisce? Siamo noi stessi il più delle volte a creare le difficoltà, preferendo rimanere in panchina piuttosto che scendere in campo. E' vero, potremmo fallire, ma nessuno ci vieta di ricominciare di nuovo. Rischiamo di perdere di più rimanendo sull'uscio della porta e sentirsi piccoli piccoli davanti a questa è solo una scusa. Bisogna essere audaci e osare, oltrepassare quegli ostacoli che la vita ci propone senza chiedere il permesso al guardiano, perché per vivere e scoprire la vita non ci vuole alcun permesso. Certo può sembrare un salto nel buio, ma a volte è necessario per poter vedere una luce più luminosa. In questa vita siamo solo di passaggio e per essere grati di questo dono dobbiamo lasciare una traccia. Credo infatti che ognuno di noi sia responsabile di qualcosa di grande e unico ed è nostro dovere trovare la nostra porta. A ciascuno ne è destinata una. Resta solo il coraggio di andare a cercarla e entrarci. ■
“Non c'è scommessa più persa di quella che non giocherò” Jovanotti
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IL GIUSTO ESEMPIO DA SEGUIRE Il 20 aprile 2013 per la storia italia-
na non sarà ricordato solamente come una semplice data o un normale sabato post lavorativo, anzi, nel corso di quel pomeriggio abbiamo assistito a un momento storico per il nostro Paese, ovvero la riconferma, per la prima volta in assoluto, del nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Uomo di grande levatura politica, nel corso di questi anni ha saputo rappresentare in maniera eccellente l’Italia grazie alla sua presenza e ai suoi discorsi, riuscendo spesso a trasmetterci l’importanza di essere un popolo unito in grado di trovare la forza di reagire e di andare avanti nei momenti difficili che il Paese ha recentemente attraversato. Le giornate dell’elezione del Presidente della Repubblica verranno però ricordate anche per l’impossibilità dell’attuale classe politica di scegliere celermente una figura in grado di ricoprire quel ruolo. Sono dovuti passare tre lunghi giorni e ben sei scrutini prima di trovare una figura istituzionale in grado di mettere tutti d’accordo, per non parlare del fatto che l’Italia, per due mesi, è rimasta senza un Governo politico dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento. A tutt’altra storia abbiamo assistito qualche giorno prima sempre nella stessa città di Roma e per di più a pochi isolati dallo stesso Parlamento. Il 12 marzo 2013 i cardinali di tutto il mondo si sono riuniti nel conclave per eleggere il successore di Pietro: non passa neanche un giorno dalla chiusura delle porte della Cappella Sistina che i cardinali riescono ad eleggere con una grandissima maggioranza di
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“Il vero potere è il servizio” Papa Francesco
voti il nuovo Vescovo di Roma, l’argentino Jorge Mario Bergoglio, che sceglie poi di chiamarsi Papa Francesco, in onore del nostro santo patrono San Francesco d’Assisi. Sin dalle prime omelie di Papa Francesco è emerso subito un senso di vicinanza agli “ultimi”, ovvero per quelle persone che nella nostra società sono più sfortunate in quanto non hanno mai conosciuto amore o affetto e che non dispongono neanche di un tetto che li ripari dalle intemperie della vita quotidiana. I gesti di umiltà e di semplicità di Papa Francesco sono stati d’esempio per una società che ultimamente si è lasciata accecare dall’eccessivo materialismo a discapito dei valori morali e spirituali della vita. Un’altra persona che è riuscita a dare il giusto esempio a tutto il mondo è sicuramente la figura di Benedetto XVI: le sue dimissioni infatti sono state un atto di coraggio nel solo interesse della Chiesa dal momento che le sue forze fisiche non gli permettevano più di svolgere l’importante incarico affidatogli nel 2005. Non dimentichiamo le tante cose che Benedetto XVI è riuscito a compiere nel corso di questi anni, una su tutte l’indizione dell’Anno della Fede, all’interno del quale la comunità dei cattolici sta riscoprendo il valore delle sacre scritture quali punto di riferimento per la propria vita quotidiana. Come si è avuto modo di vedere i giusti esempi nella vita reale non mancano, in realtà bisogna avere solo il coraggio di metterli in atto; sicuramente potrebbe venirne fuori una comunità di cittadini capaci di convivere tra loro sotto il segno della pace, della fratellanza e del rispetto reciproco. ■
VENTO D’ESTATE Anche
se le condizioni meteorologiche hanno cercato di convincerci del ritorno
dell’autunno, è ormai ufficiale: l’estate è vicina. Per alcune settimane, o magari per qualche mese, i libri universitari verranno lasciati sulla scrivania e la strada che conduce al posto di lavoro non sarà percorsa: il tempo libero aumenterà, e i modi per occuparlo e renderlo fruttuoso sono diversi. Senza dubbio l’estate è il periodo adatto per viaggiare poiché si evitano la preoccupazione per la perdita delle lezioni e la necessità di chiedere dei giorni di permesso al proprio capo. Con assoluta tranquillità, quindi, è possibile visitare nuovi posti che ci arricchiscono sotto vari aspetti: in relazione alla meta scelta, abbiamo l’opportunità di soffermarci a contemplare lo splendore della natura oppure delle opere artistiche. In ogni caso, i viaggi consentono di ampliare i nostri orizzonti mentali poiché ci introducono in un ambiente diverso dal contesto al quale siamo abituati. Ci chiedono, quindi, il coraggio di abbandonare le nostre certezze per renderci disponibili ad accogliere culture e scenari nuovi. Tuttavia, bisogna osservare che ogni giorno le persone che abbiamo accanto ci offrono l’occasione di intraprendere un viaggio alla scoperta delle loro personalità, tra i sentimenti che provano e le esperienze che vivono. Come canta De Gregori, si tratta di “pezzi di vita che diventano viaggio” 1: un pensiero che si concretizza nel momento in cui dedichiamo al prossimo tempo energie e desiderio di ascoltare. L’estate, appunto, amplia le nostre ore libere, per cui è il periodo giusto per condividere spazi e situazioni con le persone che amiamo senza essere oppressi dai ritmi dello studio o del lavoro. Allo stesso modo, ci consente di impegnarci per coloro che, pur non essendo amici o familiari, hanno ugualmente bisogno del nostro aiuto, come può accadere nei campi scuola. Inoltre, è opportuno non dimenticare che esistono degli oggetti capaci di trasportarci verso altri mondi o di introdurci nel cuore e nella mente di altri individui senza che sia necessario muoverci o pronunciare parole: sono i libri. Forse ciascuno di noi conserva una lista, scritta o anche solo mentale, delle opere che desidera leggere: le vacanze imminenti consentiranno di spuntare alcuni titoli da quell’elenco così da rendere più consistente il nostro bagaglio culturale, recuperando il piacere della lettura. In realtà, forse per molti la soluzione migliore sarà semplicemente la cura di sé, la distensione del corpo e della mente, per poter recuperare le forze e ricominciare le attività consuete con maggior intraprendenza. In ogni caso, qualunque sarà la nostra scelta, è necessario ricordare che il riposo vero si fonda sulla pace del cuore, un dono che l’uomo può ricevere solo dal Signore. Non dimentichiamoci di Lui, dunque, durante l’estate: il Signore non va in vacanza e la nostra fede neanche. Manteniamo vivo il dialogo con Lui, non per placare una coscienza ipocritamente cristiana o per rispettare delle formali abitudini, ma in quanto consapevoli che senza il Signore anche l’ora del riposo perde il suo sapore, perché, come dice Sant’Agostino, inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te 2. ■
1 F.
De Gregori, Vai in Africa, Celestino!, in Pezzi, 2007. Le confessioni, trad. Carlo Vitali, BUR, 2000.
2 Sant’Agostino,
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L’ALTRO DA ME, UN ALTRO ME La
necessità del
confronto col diverso e il relazionarsi con chi non crede è per noi, come per tutti, esperienza quotidiana: in particolare nell’ambiente universitario i credenti appaiono ormai un’esigua minoranza. Con tale consapevolezza ciascun cristiano che si impegni a vivere il vangelo è portato a chiedersi quale sia il modo migliore per creare dialogo e relazione con un mondo che pare aver fatto della molteplicità il proprio tratto distintivo. La tentazione della chiusura è fortissima, o per il timore di non essere compresi o perché non si ritiene importante il confronto con la complessità del diverso. Parlando in più occasioni con una nostra amica dichiaratamente atea abbiamo avvertito come lei si rappresentasse Dio e la Chiesa come entità lontane, dal volto cupo, e il rapporto col divino come una relazione fondata su vincoli capaci di privare l’uomo della libertà. Ci siamo chiesti perché una persona che era stata educata alla fede avesse potuto elaborare una tale visione: abbiamo pensato fosse inutile dimostrare alcunché, confutando ciò che lei pensava e imponendo la nostra visione. Abbiamo capito che dovevamo fare noi il primo passo, che dovevamo comprendere il modo con cui poterle mostrare il vero volto di Dio. Abbiamo sentito forte il desiderio di agire ed il vangelo ci ha dato la risposta: “amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,39) dice Gesù ad uno scriba che lo interroga ma in realtà ad ognuno di coloro che hanno scelto di seguirlo. Per il
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cristiano agire vuol dire amare ed amare significa vivere il vangelo, renderlo parola viva, vibrante, attuale. Diceva Chiara Lubich “se tutti i vangeli del mondo andassero distrutti basterebbe vedere agire un cristiano per poterli riscrivere”. Abbiamo cominciato ad amare quella nostra compagna, a farle capire che era importante per noi, a volerle bene con sincerità senza che nel nostro agire vi fosse alcun fine se non di mettere in pratica il vangelo. Imporle le nostre idee o cercare di convincerla ci è sembrato inutile se non controproducente nella convinzione che solo un amore disinteressato potesse essere evangelico e capace di creare le condizioni per costruire ponti. Imporsi crea barriere, incomprensioni, diffidenze. Gesù invocando il Padre nell’Orto degli Ulivi dice: “Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Appare così evidente che il desiderio del cuore di Dio è che i suoi figli si amino di un amore così grande che li renda capaci di percepirsi come un’unica famiglia, come una cosa sola; è proprio per tale convinzione che abbiamo ritenuto necessario evitare che idee diverse o opposte fossero motivo di distanza. Per noi era imprescindibile la creazione di un rapporto profondamente sincero: ci pare questa l’unica via di essere credibilmente cristiani, di palesare al mondo che Dio è innanzitutto Amore; i frutti verranno da sé, sarà Lui a farli maturare. Solo se saremo credibili seguaci di Cristo avremo la possibilità di annunciare il vangelo, ovvero solo se prima lo avremo vissuto e lo avremo reso visibile agli occhi. Solo se saremo coerenti con le nostre azioni, potremo annunciare che Cristo è risorto: lo si dovrà vedere dalla gioia dei nostri occhi.
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“Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21)
VACANZE…TRA CULTURA E COOL L’ORMA DI COSTANTINOPOLI
Verso la Città, è questa l’origine del nome Istanbul, goffa traslitterazione in turco della
centralità dell’antica Costantinopoli nella vita dei Bizantini. La solennità della Moschea Blu, l’odore speziato di carne servita al tavolo, l’aria intrisa delle voci amplificate dei muezzin non cancellano le tracce di un passato pronto a riaffiorare in ogni crepa che la Storia non ha sigillato: non stupiamoci, perciò, se nella Piccola Santa Sofia (moschea consacrata) basterà chiedere al custode di turno di spostare un tappeto per leggere un’iscrizione in esametri greci dedicata all’imperatore Giustiniano. Caratteristiche della città bizantina sono le numerose cisterne capaci di ricreare atmosfere dell’Inferno dantesco o labirinti, spesso semideserti, di colonne; qualcuno ha anche pensato di costruirci bar e ristoranti. Punto di incontro delle due culture è Santa Sofia, oggi museo della sapienza, un tempo chiesaprova dell’architettura bizantina, poi moschea. Chi ama i mosaici può alternare le raffigurazioni sacre dell’antico monastero di San Salvatore in Chora, con le immagini del Cristo Pantocrator e le bellissime sequenze della vita di Maria, alle scene di vita quotidiana, i giochi di bambini, i bestiari e i miti conservatisi nei resti dell’antico palazzo imperiale. Prendendo, poi, uno qualsiasi dei treni diretti alla periferia di Istanbul è possibile ammirare le antiche mura marittime che ancora proteggono la città bizantina dalle incursioni del tempo. ■
LA NOSTRA VACANZA COOLTURALE
Il cinque aprile alle dieci abbiamo salu-
tato la nostra amica Anna in partenza per Maastricht, dove avrebbe trascorso qualche mese per motivi di studio. Lo stesso giorno, qualche ora più tardi, dalla nostra stampante uscivano cinque biglietti aerei Pisa-Maastricht. Obiettivo della partenza: allietare i primi giorni di Anna lontani da casa. Sul tipo di vacanza eravamo tutti d’accordo: la nostra sarebbe stata una vacanza slow, in perfetta consonanza con lo stile di vita degli autoctoni. Per questo non uscivamo mai di casa prima delle undici e la maggior parte del tempo la trascorrevamo tra negozi, bar e ristoranti. Fratello sole ci invitava a passare interi pomeriggi distesi sui prati o a fare lunghe pedalate lungo le rive del fiume Mosa, mentre la pioggia ci costringeva a visitare musei e basiliche. Sicuramente avremmo potuto impiegare meglio il nostro tempo visitando altre città olandesi ma saremmo riuscite a trovare opere d’arte più belle dei nostri amici? ■
Per curiosare: www.choramuseum.com http://www.holland.com/it/turismo.htm
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LETTURE A CONFRONTO L’ABBRACCIO BENEDICENTE […]
l’abbraccio di Rembrandt […] mi aveva messo in contatto con qualcosa che rappresen-
ta l’incalzante struggimento dello spirito umano, il desiderio ardente di un ritorno finale, di un inequivocabile senso di sicurezza, di una dimora stabile.
Guardare un quadro può diventare un viaggio nella parte più profonda dell’animo umano. È ciò che avviene per lo scrittore olandese H. Nouwen nel contemplare il quadro di Rembrand raffigurante la parabola del Ritorno del Figlio prodigo. Lo sguardo compassionevole che il padre rivolge al figlio, inginocchiato e poveramente vestito, porta Nouwen a compiere un’indagine introspettiva molto particolare: dall’osservazione della disposizione dei colori, della luce che cade sulle mani e sui volti, delle posizioni dei personaggi veniamo introdotti nel significato del racconto evangelico e da questo ai più grandi interrogativi della nostra coscienza. Il quadro ci parla di un figlio minore desideroso di andare via da casa, di un fratello maggiore che deve riscoprire il senso profondo dello stare in casa accanto al padre, nella libertà dei figli di Dio, e di un padre che è amore, pazienza nel dolore e invito a diventare come Lui. È un’esperienza umana dal sapore universale, lo stesso autore infatti dice: Più e più volte tutta-
via me ne sono andato da casa, mi sono sottratto alle mani della benedizione e sono fuggito verso paesi lontani, in cerca di amore . Attraverso l’analisi dei comportamenti dei tre personaggi Nouwen ci invita ad interrogarci sul nostro rapporto con Dio e a conoscere meglio quell’amore paterno che nulla domanda. ■
“TE LO PROMETTO”
Una
promessa fatta tra le braccia della mamma di calcare il centrale di Wimbledon,
un’adolescenza segnata dalla divisione familiare e dalla prematura nascita al cielo di sua mamma. Poi i traguardi e i grandi successi in campo professionale, che però non bastano a lenire il dolore e il senso di vuoto della giovane e bella campionessa Mara Santangelo. “Laciare il tennis è stata dura. L’infortunio che mi ha tenuta per sempre lontana dalle vittorie e dai campo da gioco mi ha costretto a combattere la partita più difficile della mia vita […] E’ il cammino della fede che, all’improvviso, dopo tanto cercare, mi ha illuminato l’anima a Medjugorje conducendomi dove non immaginavo di poter arrivare”. E la promessa iniziale di Mara bambina trova il compimento in una seconda promessa sempre alla mamma, in un SI alla chiamata alla castità. “Solo oggi, alla luce dell’incontro con il Signore, riesco a leggere nella sua nascita al cielo il sacrificio che mi ha regalato una nuova vita”. “Mamma ti sei sacrificata, con forza e con gioia, perché la mia esistenza potesse compiersi […]. Oggi tutto si compie. Sì, mamma, sono pronta per la mia nuova promessa. E in quel viaggio d’amore ti porterò con me. Te lo prometto”. 189 pagine da togliere il fiato in cui l’autrice mette a nudo se stessa: la partita della vita, la forza della fede, il coraggio di rialzarsi. Questi gli elementi chiavi della sua esistenza, culminata nell’incontro con Dio attraverso Maria che ha aperto la strada a un percorso nuovo di AMORE e GIOIA. Buona lettura! ■
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Henri J Nouen, L’abbraccio benedicente, Queriniana ed, 2009 Per approfondire: Mara Santangelo, Te lo prometto, Piemme 2013
ITACA: PARTENZE E RITORNO VIAGGIO DI UN MITO Dinos Christianopoulos, pseudonimo di Konstandinos Dimitriadis, è nato nel 1931 a Salonicco, città della cui vita culturale egli è stato nel corso del Novecento uno dei principali animatori. La sua poesia si proietta verso i contenuti del mito e delle Sacre Scritture.
«E se la ritrovi povera, Itaca non t'ha illuso./ Reduce così saggio, così esperto,/ avrai capi-
to che vuol dire un'Itaca.» Si chiude così una delle liriche più note della poesia neogreca: Itaca di Konstantinos Kavafis. Diverse sono state nei secoli le riscritture del mito di Ulisse, racconto che, cristallizzatosi nell’imaginario letterario collettivo attraverso l’ Odissea, diversamente da altri episodi, presenta molte più varianti tra i moderni di quante ne siano attestate nel mondo antico. Per tale ragione, non sempre è operazione agevole distinguere i vari strati letterari sedimentatisi in un’opera che intende rinarrare, rifunzionalizzare o talvolta capovolgere i contenuti del racconto fondamentale. Dell’Itaca di Kavafis presentata in apertura, in cui l’isola tende sostanzialmente ad identificarsi con la conoscenza acquisita durante il viaggio per raggiungerla, rappresenta un singolare rovesciamento l’omonima lirica di Dinos Christianopoulos, nato soltanto due anni prima della morte di Kavafis.
Non so se sono partito per coerenza/ o per il bisogno di sfuggire a me stesso,/ all'angusta Itaca con le sue poche gioie/ con le sue associazioni cristiane/ e la sua morale asfittica./ Comunque, non è stata una soluzione ma un compromesso./ E da allora mi trascino da una strada all'altra/ /accumulando ferite ed esperienze./ Gli amici più cari ormai dispersi/ sono rimasto solo, temo che mi veda qualcuno/ a cui un tempo parlai degli ideali.../ Ora ritorno nel tentativo estremo/ di sembrare integro, irreprensibile, ritorno/ e sono, mio Dio, come il figliol prodigo / che amareggiato rinuncia al suo vagabondare,/ e torna dal padre compassionevole, a vivere/ nel suo seno una dissolutezza privata./ Porto dentro di me Poseidone,/ che mi tiene sempre lontano;/ ma se riuscissi ad avvicinarmi,/ Itaca mi darebbe forse la soluzione. La seconda partenza dell’eroe cui si allude in maniera non chiara già nell’ Odissea è sempre stata considerata epilogo naturale per chi sul viaggio e sull’avventura ha modellato la propria essenza. Nel ripercorrere il destino dell’eroe Christianopoulos è consapevole che l’allontanamento dall’isola non può avere nulla di definitivo, è un compromesso: seguirà poi un ritorno (interessante notare come diversamente dalla maggior parte dei letterati suoi connazionali il poeta non ha mai abbandonato la Grecia negli anni delle lotte civili e della dittatura). Il mito si arricchisce, ora, del messaggio biblico, fondendosi con la “parabola del figliol prodigo” (Lc 15,11-32): entrambi fanno del ritorno, come della partenza, un compromesso, se non una necessità. Irrisolta resta pertanto l’aporia tra il Dio cristiano, padre che accoglie misericordioso, e Poseidone, dio del mito che allontana. Ma per il poeta è davvero necessario risolverla? Itaca è forse la soluzione o l’ennesimo compromesso? ■
Per approfondire: http://www.youtube.com/watch?v=EQsy1BIoyrg
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UNA GIORNATA PARTICOLARE Sono da poco trascorsi 35 anni da
quella che potremmo definire “una giornata particolare”, per citare un grande film di Mario Monicelli: il 9 maggio 1978, quando a Roma venne trovato il corpo senza vita di Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana, e in Sicilia, a Cinisi (paese del boss mafioso Badalamenti) fu ritrovato il cadavere di Peppino Impastato, esponente di Democrazia Proletaria. Due uomini agli antipodi per attività e per cultura politica: uno democristiano, l'altro comunista; in realtà indissolubilmente legati dall’autentica passione per la politica, per il bene comune, per la giustizia. Padre costituente nel ’46, Moro fu uno dei politici più importanti della prima Repubblica, segnando sia l’età del boom economico sia la fase critica degli “anni di piombo”, caratterizzati dalle stragi terroristiche. In piena Guerra Fredda sul piano internazionale e con le elezioni finite in quasi parità tra DC e Partito Comunista, Moro - già protagonista di un’esperienza simile nella decade precedente con il PSI - fu il principale e lungimirante artefice del cosiddetto “compromesso storico”, che avrebbe dovuto portare il PCI verso una posizione più istituzionale, attraverso una graduale inclusione nella maggioranza di governo ed un parallelo distacco dall’URSS brežneviana. Nel ’78 fu varato un governo di solidarietà nazionale con l’appoggio esterno del PCI: questo primo passo del processo di democratizzazione non riscosse il placet né degli USA, che temevano un pericoloso precedente in una delle aree di loro maggiore influ-
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enza a ridosso del blocco sovietico, né dell’URSS, che parimenti vedeva minacciata la propria influenza sui Partiti comunisti nazionali. Il 9 maggio ’78, dopo 55 giorni di prigionia nelle mani delle Brigate Rosse, il corpo crivellato di pallottole dello statista democristiano fu fatto ritrovare emblematicamente in un punto equidistante dalle sedi nazionali del PCI e della DC: così prevalse quell’Italia ostinatamente contraria al progresso del Paese, alla comunicazione tra le masse popolari e le migliori élites portatrici degli ideali costituzionali, che Moro aveva incarnato tentando di coniugare le due forze distinte, ma entrambe fondanti il tessuto repubblicano. Quello stesso giorno fu ucciso in Sicilia l’appena trentenne Peppino Impastato, legato ai binari di una ferrovia con una carica di tritolo. Appartenente ad una famiglia vicina a Cosa Nostra, Peppino fin da giovanissimo si ribellò alla cultura ed al potere mafiosi. Entrato nel Partito Socialista di Unità Proletaria, lottò a fianco dei contadini contro gli interessi mafiosi nella costruzione dell’aeroporto di Palermo e negli anni ’70 condusse importanti iniziative culturali, come la fondazione di Radio Aut, voce libera attraverso cui denunciava i crimini mafiosi. Candidatosi alle elezioni amministrative del ‘78, fu assassinato a pochi giorni dal voto: il caso sarà archiviato come suicidio e passeranno 26 anni per riconoscerlo come omicidio di mafia con la condanna di Badalamenti. Dopo 35 anni da quel 9 maggio scegliamo di ricordare Moro e Impastato educati da due film, nel magistrale solco del cinema italiano di impegno civile: Buongiorno, notte di Marco Bellocchio e I cento passi di Marco Tullio Giordana. Buona Visione. ■
“Buongiono, notte” di Marco Bellocchio “I cento passi” di Marco Tullio Giordana
NON SOLO DEI “NOVE”… MA AVVOCATA NOSTRA La Maestà di Simone Martini è dipinta nella Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di
Siena. Per quanto riguarda la data di inizio dei lavori, questa non è stata precisata mentre per il termine di conclusione ci si affida ai versi riportati sulla balza che dichiarano la metà di giugno del 1315. L’opera colpisce in primo luogo per la ricchezza della superficie dipinta, l’aspetto straordinario di alcune soluzioni pittoriche e decorative che rendono ancora più chiara la volontà di Simone Martini di creare una figurazione attraente e credibile. Guardando più da vicino possiamo osservare allusioni ai metalli più preziosi come ad esempio l’applicazione del metallo a foglia che ricopre la fascia architettonica di contorno. Del trono notiamo l’evidente carattere architettonico: le sue facciate richiamano le più grandi vimperghe delle cattedrali gotiche. Simone dimostra la sua spiccata volontà di esercitarsi nella realistica riproduzione di cose e oggetti in altre parti della figurazione, come si può osservare nell’esecuzione del manto di broccato della Vergine: straordinario è l’effetto che viene fuori di una stoffa molle e luccicante che riproduce una raffinatissima seta proveniente da oriente. Il realismo del Martini lo ritroviamo anche nella riproduzione del gruppo dei santi che circondano la Maestà: ideato con aureole dorate ed altri oggetti realizzati attraverso straordinarie soluzioni ornamentali, vi troviamo una combinazione di stelle ad otto punte, bottoncini, rosette con steli e foglie che testimoniano la ripresa da parte del pittore delle più antiche tecniche degli orafi del tempo. La Regina del cielo e della terra qui appare rappresentata come una principessa tutta terrena ed in effetti non bisogna trascurare il significato politico che in origine ha portato alla sua realizzazione: con la Maestà i Nove difensori del comune di Siena crearono uno strumento di propaganda politica. La Madonna era chiamata a garantire l’idea del Buongoverno specialmente in seguito a una delle più pericolose insurrezioni nella storia del regime: la rivolta dei carnaioli del 1318 cui seguirono speciali disposizioni repressive. Sotto la presenza ammonitrice della Maestà i Nove sentirono la necessità di riaffermare la legittimità del loro potere. Realizzata come una Regina della terra, come mero strumento politico, la Maestà per noi cristiani non è soltanto un capolavoro della pittura medievale ma rappresenta l’immagine realistica di una Regina non solo della terra ma anche del cielo: non garante della stabilità politica ma Avvocata per la nostra salvezza. ■
In evidenza: http://www.comune.siena.it/La-Citta/Cultura/Strutture-Museali/Museo-Civico
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ORIZZONTALI 1. Il Paese di origine di Papa Francesco, 7. Fa gola agli orsi, 12. Vi si beve vino, 18. La prima invenzione, 19. Il Leone regista, 20. Senza frecce serve a poco, 21. Per De André dorme “sepolto in un campo di grano”, 23. Momentaneo arresto di un’attività, 25. La Valle di Poggibonsi, 28. Vado…in latino, 29. Asti, 30. Servizio bus, 32. Dimostra grande coraggio, 34. Introduce un’ipotesi, 35. Non sono lordi, 36. Il venerdì inglese, 39. La ripetizione della battuta nel tennis, 40. Misura mille metri, 42. Le vocali del merito, 43. Genere musicale, 44. Congiunzione latina, 45. La nota che dà il via, 46. In quella cosmica sono cinque, 48. Aeronautica Militare, 50. Identifica la Romania, 52. Caserta, 53. In nessun momento, 55. Quello italiano fu scritto da Mameli, 56. Murata…a metà, 57. Si riferisce a una lingua di terra, 61. Tifoso, 62. Sull’ultimo gradino del podio, 64. Fa parte della teoria psicoanalitica di Freud, 65. Pranzati…in mezzo, 66. Negazione, 67. Ispidi, 69. Ciondolo, 71. Imperfezione della pelle, 72. Nel mezzo dell’alzata, 74. Una volta si faceva al Totocalcio, 77. Né noi né loro, 78. A te, 79. L’abbazia del ritiro monastico maschile, 82. Il Frank della canzone, 86. Cantautore napoletano, 87. Articolo femminile, 89. Tipo di scimmia, 90. Teramo, 91. I tribunali regionali, 92. La Abbey dei Beatles, 96. Venduto…in Inghilterra, 97. Seguace di Ignazio di Loyola, 99. Abitanti del posto, 101. Chicchi di uva, 102. Non subisce ossidazione, 103. Sono dispari nelle rane, 104. La sede del Ministero dell’Interno, 105. In mezzo al fiocco, 107. La quinta nota, 109. Può essere internet o archeologico, 110. Antica civiltà delle Ande, 113. Dentro, 115. Il Pozzetto della TV, 117. Il dito degli sposi, 121. Verme parassitario, 123. In questo momento, 124. Carnivoro simile al lupo, 125. Durante quella eucaristica, viene esposto il pane consacrato, 126. Titolo di ecclesiastici.
VERTICALI 1. Ritrovo, 2. Non corretti, 3. La comunità fondata da Chiara Amirante, 4. Torino, 5. Italia, 6. Per Battisti è rosa, 7. Appuntamento domenicale per i cristiani, 8. Istituto per la Ricostruzione Industriale, 9. Sta in mezzo a una bega, 10. Felice, 11. Il re dei venti, 13. Salerno, 14. Il numero perfetto, 15. Fa tornare indietro la voce, 16. Rovigo, 17. Sta davanti, 19. Sud Africa , 22. Istituzione con personalità giuridica, 24. Arte marziale cinese, 26. Monte biblico, 27. Succo vitaminico, 29. Associazione Sportiva, 31. Si riscuote quando si lascia il lavoro, 33. La metà di… otto, 37. Gli estremi del dark, 38. Affermazione inglese, 40. La montagna di Medjugorje, 41. La canzone di Elio a San Remo, 45. Rete locale, 47. Sono dispari per il cane, 49. Vi si espongono opere d’arte, 51. Mezzo osso, 52. Gruppo pop irlandese, 53. Congiunzione avversativa, 54. Si ripete…tentennando, 58. Trento, 59. Il padre dell’Impressionismo, 60. La scimmia di Tarzan, 61. Realizzò il Partenone, 62. La bevanda più diffusa, 63. Consonanti…aride, 68. L’inizio della tessitura, 69. Pisa, 70. Spende poco volentieri, 73. Caratterizza ogni vino, 75. Dentro, 76. Lavoravano la terra per conto d’altri, 79. Messina, 80. Distingue il lordo dal netto, 81. Cittadina della Grecia meridionale, 83. Imperia, 84. La stella cantata dalla Vanoni, 85. Aosta, 86. Baci spagnoli, 88. Storici fotografi fiorentini, 90. Tenuta…a metà, 93. Acceso, 94. Annus Domini, 95. Relativo a Dio, 96. Farina di grano duro, 97. Il topo della TV, 98. Moglie latina, 100. Metà giro, 101. Le ha chi vola, 103. La Santa degli impossibili, 106. Gruppo, 108. Non è lui, 109. Precede i nomi sul calendario, 111. Caserta, 112. Congiunzione inglese, 114. Consonanti nere, 116. Congiunzione negativa, 117. Art Director, 118. Antica città della bassa Mesopotamia, 119. La prima e l’ultima, 120. Le vocali del freddo, 122. La prima persona.
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Le soluzioni sono disponibili all’indirizzo: http://www.capunisi.it/index.php/nero-su-bianco
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