Fedelissimi amici di Nero su Bianco, ben ritrovati! Questa volta ci siamo quasi: l’estate sta esplodendo e con essa
tutta la grinta che c’è in noi, tutta l’attesa per le sospirate vacanze estive, desiderate, sognate, organizzate da tempo (non per tutti) e diciamocelo… anche ben meritate!!
Ancora un po’ di forza di volontà e carica per gli ultimi appelli di fine stagione e poi… si parteeee!! Sono davvero tante le opportunità che un periodo di riposo, come quello che stiamo per vivere, può offrirci, soprattutto dopo un ritmo martellante di giornate in cui siamo quasi totalmente assorbiti dalle mille mila faccende da sbrigare e che, del resto, ci rendono vivi. L’estate come tempo per mollare per un po’ la routine, per approfittare parecchio di più del letto al mattino… magari sino a mezzogiorno,
per tornare a casa e re-immergersi nelle attenzioni della famiglia e negli abbracci degli amici di sempre, per scalare le montagne e attraversare i fiumiciattoli o per fissare dimora sulla spiaggia dove il sole, nemmeno alle ore centrali del giorno, può farci paura… estate come occasione di goduria, insomma!! Quella che Nero su Bianco vi propone in queste pagine è un’estate che include anche qualcosa di particolarmente originale: la compagnia di uno sconosciuto del nostro tempo chiamato
silenzio.
Non siamo del tutto ammattiti... ma in queste pagine, tra le diverse rubriche di cultura ad ampio spettro, di riflessione e di vita della Comunità della Cappella Universitaria, vi offriamo anche delle tracce utili per vivere da alternativi questo “tempo favorevole”. Sono stupende le espressioni che Papa Benedetto XVI ci offre nel corso delle sue udienze del mercoledì: ne abbiamo raccolte alcune per voi che possono farvi compagnia in questo periodo. “Il silenzio per accogliere non solo le cose che vanno e vengono” … meraviglioso!! Il silenzio ci parla più di quanto noi potremmo immaginare! Silenzio che non è mutismo sterile fine a se stesso, ma voce profonda per ascoltare attentamente andando oltre il “caos” nel quale sprofondiamo. Le esperienze dei week end in monastero e del pellegrinaggio lungo la via Francigena vissute in questi mesi dalla Comunità sono state un buon punto di inizio per vivere al meglio questa dimensione. Attenti… non è solo roba da preti, frati, monaci e suore!! Un po’ tutti siamo chiamati a svegliarci da quanto ci rintrona e ascoltare la voce del cuore…
Cari Amici lettori, a nome di Alice e Fabio che mi hanno gestito nel percorso di quest’anno e a nome di tutta la Redazione che con passione e fervore, come un vero e proprio gioco di squadra, mi ha animato e strutturato, vi auguro buona lettura e una estate ottima, carica... e soprattutto originale!!
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In questo numero vi augurano buona lettura...
Parole Benedette
Riflettendo
Le esigenze dell’anima di Fabio Fiorino
Scrittura e libro attraverso i secoli di Federica Maniscalco
Pag. 16
Quando una network fa social di Lorenzo Sciuto
Pag. 17
La preghiera: luogo della vera gratuità di Claudia De Pasquale
Pag. 18
Pag. 4
L’angolo del Don Il paese del silenzio di Don Roberto Bianchini
Pag. 5
Cappellania I segreti della val d’Orcia di Fabio Fiorino
Pag. 6
Ho più grazie da dire, che recriminazioni da fare di Maria Grazia Virone Pag. 19
Lo sport che vince di Federica e Francesca Camilletti
Pag. 7
Un lavoro soprannaturale.. vivere da cristiano! di Domenico Bova Pag. 20
Dieci anni di progetti, di ponti... di Am.Bo.Mo.
Pag. 8
Fratelli d’Europa di Giuseppe Vazzana
La cultura della vita di Isabella Petrocelli
Pag. 9
Libro
Esperienze La parola salva la vita di Alice Pappelli Esperienza Erasmus di ClaraitaMontesinos Asensio di Eduardo Moreno Calero
Pag. 10
Pag. 11
Giovanni Paolo II: di Matteo Molinari
Pag. 12
La sacra scrittura di Girolamo di Federico Pipitone
Pag. 13
di Angelo Donzello
La linea d’ombra di Mari Maltese
Pag. 22
L’anima in corpo di Marianna Di Tizio
Pag. 23
Arte a parte
Personaggio
Fotografando
Pag. 21
Colazione sull’erba di Manet di Chiara Maniscalco
Ciak si gira Sentire un muto di Eugenio Alfonso Smurra
Passatempo
di Filippo Bardelli Pagg. 14-15
Pag. 24
Bacheca
Pag. 25
Pagg. 26-27 Pag. 27
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LE ESIGENZE DELL’ANIMA Papa Benedetto XVI ci propone ogni settimana, nel corso delle sue udienze generali, delle lezioni di vita, autentica e concreta, che spronano il nostro cuore ad orientarsi verso il Signore della vita. Lasciamoci aiutare da alcune di queste parole che possono esserci fedeli compagne durante la nostra l’estate, rendendola “tempo di riposo e favorevole” per approfondire il nostro rapporto con Lui
A noi, spesso preoccupati dell'efficacia operativa e dei risultati concreti che conseguiamo, la preghiera di Gesù indica che abbiamo bisogno di fermarci, di vivere momenti di intimità con Dio, «staccandoci» dal frastuono di ogni giorno, per ascoltare, per andare alla «radice» che sostiene e alimenta la vita (7 marzo 2012). Nella preghiera, in ogni epoca della storia, l’uomo considera se stesso e la sua situazione di fronte a Dio, a partire da Dio e in ordine a Dio, e sperimenta di essere creatura bisognosa di aiuto, incapace di procurarsi da sé il compimento della propria esistenza e della propria speranza. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente. [...] Impariamo a sostare maggiormente davanti a Dio, a Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, impariamo a riconoscere nel silenzio, nell’intimo di noi stessi, la sua voce che ci chiama e ci riconduce alla profondità della nostra esistenza, alla fonte della vita, alla sorgente della salvezza, per farci andare oltre il limite della nostra vita e aprirci alla misura di Dio, al rapporto con Lui, che è Infinito Amore (11 maggio 2012). Il silenzio è la condizione ambientale che meglio favorisce il raccoglimento, l’ascolto di Dio, la meditazione. [...] Dio parla nel silenzio, ma bisogna saperlo ascoltare. Per questo i monasteri sono oasi in cui Dio parla all’umanità; e in essi si trova il chiostro, luogo simbolico, perché è uno spazio chiuso, ma aperto verso il cielo. Il silenzio e la bellezza del luogo in cui vive la comunità monastica – bellezza semplice e austera – costituiscono come un riflesso dell’armonia spirituale che la comunità stessa cerca di realizzare. E non è un caso che molte persone, specialmente nei periodi di pausa, visitino questi luoghi e vi si fermino per alcuni giorni: anche l’anima, grazie a Dio, ha le sue esigenze! (10 agosto 2011) Nel nostro tempo siamo assorbiti da tante attività e impegni, preoccupazioni, problemi; spesso si tende a riempire tutti gli spazi della giornata, senza avere un momento per fermarsi a riflettere e a nutrire la vita spirituale, il contatto con Dio. Maria ci insegna quanto sia necessario trovare nelle nostre giornate, con tutte le attività, momenti per raccoglierci in silenzio e meditare su quanto il Signore ci vuol insegnare, su come è presente e agisce nel mondo e nella nostra vita: essere capaci di fermarci un momento e di meditare. Meditare quindi vuol dire creare in noi una situazione di raccoglimento, di silenzio interiore, per riflettere, assimilare i misteri della nostra fede e ciò che Dio opera in noi; e non solo le cose che vanno e vengono (17 agosto 2011). La relazione con l'uomo ci guida verso la relazione con Dio, e quella con Dio ci guida di nuovo al prossimo. (14 dicembre 2011) La preghiera costante e unanime è un prezioso strumento anche per superare le prove che possono sorgere nel cammino della vita, perché è l’essere profondamente uniti a Dio che ci permette di essere anche profondamente uniti agli altri (9 maggio 2012). ■
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frase
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/index_it.htm
IL PAESE DEL SILENZIO Durante i primi due fine settimana di maggio piccoli drappelli di membri della Comunità di
San Vigilio si sono avventurati, come è abitudine da alcuni anni, alla ricerca di null’altro che del silenzio. Disomogenei da tutti i punti di vista se non quello del sesso, da cosa sono spinti in un’avventura così insolita da fare di loro degli epigoni dei cavalieri del Santo Graal? La causa prossima può essere la fisima del loro prete, il sottoscritto, che dopo qualche mese di astinenza forzata deve pur mettersi sulle tracce di un monastero da aggiungere alla sua personale lista di luoghi dello spirito. Alcuni però ripetono la ricerca e la sola mia discreta insistenza non li potrebbe convincere a ripartire se non sentissero in loro un’attrattiva sincera. Già preparando la visita, quando si telefona o si manda una mail al foresterario di un monastero – inernet è un formidabile alleato del valore monastico della separazione dal mondo – ci si rende conto che ci sono molti altri cercatori di silenzio nel mondo post-moderno. Il luogo singolarmente ameno, la presenza di un abate o di una badessa di alto profilo, il tam tam sotterraneo di amici che si consigliano, possono decretare il successo di questa o quella comunità. I monaci tuttavia, pur costituendo un genere “strano” anche rispetto alla compagine ecclesiale, non sono degli albergatori, per quanto particolari. Ogni monastero ha sì una finestra aperta sul mondo attraverso la quale accoglie, ma anche filtra, il rumore dell’esterno, eppure l’accoglienza di noi kosmikoi (mondani, in greco) non è la sua prima ragione d’essere. Agli ospiti viene temporaneamente aperta una fessura da cui possono penetrare nel cuore dell’esistenza: uomini e donne lottano e sperano e lo fanno con intensità tale da sottomettere tutto a ciò. Sono, del resto, l’avanguardia e il tipo di tutta la chiesa (e anche dell’intera umanità), ma ciò che li caratterizza è che si dedicano esclusivamente alla ricerca di Dio, sofferta e dolcissima. Se questo basta bene, sennò si deve lasciare il monastero. San Benedetto, chiarendo i requisiti per l’ammissione alla vita monastica, li unifica tutti in uno: “se il novizio cerca veramente Dio”. E’ questa l’unica carta d’identità per appartenere alla repubblica monastica, sia che si viva nell’oscurità dei ghiacci del nord o circondati dai bagliori del sole del mare Egeo. Lontani dalle città, sul limitare di esse o nel loro cuore, non importa: solo si deve cercare Dio con tutto il cuore e tutte le forze. Nei volti dei monaci e delle monache che si incontrano si legge proprio questo: la pazienza sofferta e pacificatrice degli anziani, la lotta intensa dei giovani che devono domare le passioni mondane, i sorrisi rivelatori di un’umanità risolta e purificata. Beniamin, Nicolas, Chiara, Cristina, Walter, Loris, Emanuele, Caterina Maria, Benedetta sono tra i tanti che ci hanno aperto il loro cuore nei nostri giri nel paese del silenzio. Esperti di umanità e cercatori di Dio li sentiamo davvero fratelli. Una buona idea su come impiegare qualche giorno del tempo di vacanza è senz’altro quella di visitare un monastero. Potete partire con qualsiasi aspettativa; tornerete senz’altro col gusto di Dio. Se desiderate un consiglio rivolgetevi al vostro Don che saprà suggerire un monastero per tutti. ■
Per approfondire... www.ocso.org; www.osb.org; www.esicasmo.it; www.certosini.info
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I SEGRETI DELLA VAL D’ORCIA Una voce dal pellegrinaggio lungo la via Francigena verso Pienza
Lasciare le proprie cose e partire è sempre un atto di grande coraggio ed espressione di
saggezza. Poi, se oltre alla prima allettante tappa in bus da Siena a Buonconvento lungo lo spettacolo della Cassia il resto del viaggio prevede un percorso di una trentina di chilometri lungo la via Francigena in un soleggiato sabato di giugno, l’arrivo a San Quirico d’Orcia e l’indomani l’ultima tratta di nove chilometri sino a Pienza, gravati sulle spalle dal peso della propria bisaccia con l’indispensabile per la trasferta del fine settimana… credo che ad intervenire sia anche una robusta dose di forza di volontà e, perché no, un briciolo di fede! Questo è quanto è accaduto a una ventina di improvvisati pellegrini che hanno deciso di lasciare alcuni il riposo del week end (tanto desiderato dall’inizio della settimana), altri l’immersione nello studio in vista degli esami ormai vicini (a mio avviso non da sprovveduti), per mettersi in cammino alla volta di Pienza in occasione del 550° anniversario della dedicazione della sua Cattedrale. E’ la seconda tappa che la Comunità di San Vigilio intraprende sulla via dei pellegrini verso Roma ed è stata senza dubbio motivo di grande profitto, fisico e spirituale. Lo spettacolo della val d’Orcia era già assicurato prima della partenza, frammisto di gialli delle spighe, di campi verde intenso, di balle di paglia, di casolari immersi nei cipressi, di greggi al pascolo, mentre i moti dell’anima.. quelli no, credo siano stati una novità inattesa per ciascuno. E’ stata un’occasione molto privilegiata di ricerca e di scoperta, di resistenza… e di conoscenza in primis di sè stessi, poi degli altri pellegrini… infine un po’ anche di Dio. Momenti di allegria comunitaria si sono alternati a tempi di silenzio e di solitudine, per poi lasciar spazio alla preghiera e alla riflessione, aiutati da testi della Sacra Scrittura e di Matta el Meskin, nostro nuovo e illuminante amico di cammino. Con lui siamo scesi nel profondo a valutare aspetti della vera preghiera: innanzitutto intesa come dono dello Spirito Santo, non offerto come ricompensa ma in risposta all’insistenza della supplica; poi considerandola come piena guarigione dell’anima, che mira a distruggere il desiderio del peccato e a purificare la coscienza; infine, come atto di obbedienza al richiamo di Amore, contrassegnata da sentimenti di pentimento e di conversione. Una foto dopo l’altra, l’incoraggiamento reciproco a non mollare e lasciarsi sopraffare dalla stanchezza, le armi “per combattere la buona battaglia” che ci sono state affidate a inizio pellegrinaggio, come il libretto di preghiere e di riflessioni e un rosario ad hoc, l’estraniarsi dal mondo col silenzio per ascoltare la voce della natura attorno a noi ma soprattutto quella del nostro cuore sono stati tra gli elementi che hanno reso vero e autentico questo cammino. Il pellegrino, leggero, prova a uscire da sè stesso desideroso di cercare senza sosta la meta sino a scoprire, così, la bellezza che già abita nel profondo del proprio cuore, ma che non sempre riesce a identificare e comprendere. E tu lettore, sei alla ricerca? ■
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Per approfondire: Consigli per la preghiera, Matta el Meskin, edizioni Qiqajon http://www.giubileopientino.com/
LO SPORT CHE VINCE Anche quest’anno le ragazze della Cappella Universitaria hanno deciso di partecipare al torneo diocesano di calcetto, un evento che trascende lo sport
e scalda gli animi. Il risultato della prima partita premia i notevoli sforzi fatti nella lunga preparazione atletica che ha preceduto l’inizio del torneo: vincono 9 a 4. A frenare l’entusiasmo per la vittoria arriva l’esito del secondo scontro che sembra confermare le voci degli ex tifosi, i quali non credono la squadra capace di dare soddisfazioni. Seguono un pareggio e una vittoria. Sale la posizione in classifica e con essa anche il numero dei tifosi. La squadra diverte, stupisce, appassiona. Colpi di tacco, rovesciate, grandi parate: questo è calcio spet t aco lo! ! A San Vigilio non si parla d’altro: la Cappella è in semifinale. Ormai niente e nessuno sembra poter fermare le ragazze che portano a casa l’ennesima vittoria. In molti si chiedono a chi sia da attribuire il merito di questi successi. Per alcuni decisivo è stato il colpo di mercato estero con il quale la squadra ha aggiunto alla sua rosa quel fenomeno di tecnica, stile ed eleganza che è la Montesinos, stella del calcetto spagnolo. Altri ritengono siano stati fondamentali i sette allenatori che si sono aggiunti ai due dell’anno precedente. A questo proposito particolari meriti vengono attribuiti al belloccio Davide Privitera, il quale con il suo fascino distrae le avversarie che, vedendoselo
davanti, sbagliano addirittura goal a porta vuota. Per i più è solo questione di fortuna. I giorni che precedono la finale sono vissuti da tutti con grande tensione. C’è chi prepara cori e striscioni per sostenere le ragazze e chi, contro ogni scaramanzia, dà per certa la vittoria. Finalmente, dopo tanti rinvii, arriva il grande giorno. E’ una serata di quelle da gustare fino in fondo: c’è il pubblico, c’è il don, ci sono le suore, ci sono gli allenatori in giacca e cravatta, le avversarie, l’arbitro e soprattutto ci siamo noi pronte a vincere. Tre, due, uno…via! Le ragazze, quasi a voler mettere la firma su questo torneo, segnano un autogol dietro l’altro. E’ l’inizio della fine. C’è nervosismo in campo, la squadra non riesce a concludere nulla di buono, l’emotività gioca un brutto scherzo e di questo sanno approfittare le avversarie. Il triplice fischio segna la fine di un sogno che era quasi realtà. Il Mr Erik trattiene a fatica lacrime che escono da sole, mentre per consolare le ragazze, distribuisce baci alla squadra: Mr, il bacio più grande te lo meriti tu e non parliamo di cioccolato! A parte gli scherzi partecipare a questo torneo è stato molto più che giocare una serie di partite: è stato allenarsi, è stato sentirsi parte di una squadra, è stato condividere la gioia della vittoria e fare battute sull’arbitro o sulle avversarie quando si è perso, è stato guardare la faccia delusa degli allenatori quando si sbaglia e gustarsi il loro sorriso quando si fa bene, è stato il boato della curva quando si fa goal e il suo applauso quando il goal lo si subisce, è stata la cena dopo le partite e la consapevolezza che al di là dei risultati alla fine a vincere è stato lo sport! ■
La squadra diverte, stupisce, appassiona.. ..al di là dei risultati a vincere è stato lo sport!
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DIECI ANNI DI PROGETTI, DI PONTI... Carissimi,
a scrivere è l’Associazione “Amici della Bolivia e del Mondo”, gruppo missionario della Cappella Universitaria. Per il mio decimo compleanno gli amici di “Nero su Bianco” mi hanno chiesto di raccontarvi la mia storia. La maggior parte dei lettori ha almeno un decennio in più di me, eppure, proprio per questo, non mi ha visto nascere e forse riconoscerà appena il mio nome. Ricordate le brochure che colorano gli “information points” di San Vigilio? Bene, sono il mio biglietto da visita! I miei colori preferiti sono quelli missionari, i colori dei cinque continenti. Nasco a Siena, terra di missione alquanto impegnativa, ma la mia patria è tutto il mondo. E’ il mese di maggio del lontano 2002, il mese dedicato a Maria! La mia mamma terrena, Suor Gabriella Colella dei Cuori Amabili, mi ha affidato alla Madonna del Pane pochi giorni dopo il mio concepimento. Muovo i primi passi dopo il ritorno di Alice, giovanissima studentessa universitaria, da un’esperienza di missione in Bolivia. E’ nella lontana terra boliviana che inizio a “seminare le prime briciole”. In due anni viene portato a compimento il primo progetto, “dare dignità all’uomo”, grazie alla presenza costante e silenziosa delle Suore Figlie della Chiesa a La Paz e della generosità di tanti benefattori. In Bolivia un ambulatorio medico dal 2004 porta il mio nome e ogni giorno garantisce assistenza, senza assistenzialismo, perché è gestito dalla gente del luogo e offre un servizio a costi bassi. L’obiettivo è di dare dignità alla persona e al lavoro. L’impegno di sostenere l’ambulatorio con un progetto a lungo ter-
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mine assicura lo stipendio mensile ai medici boliviani. E’ “l’amore che guarisce”! Ho sempre creduto che il futuro è nelle mani di noi giovani, di tutti i giovani, anche di quelli di un piccolo e sperduto villaggio dell’India meridionale, Veerapalle, dove in seguito ad una visita in loco nel 2006 e all’incontro con un sacerdote indiano, Don David, si accende il progetto “Dipam”, parola che in Telugù significa “la luce”. Una luce illumina Veerapalle dopo aver conosciuto la gente del posto, studiato le loro abitudini e accolto i bisogni. Dipam dal 2008 è una scuola professionale di taglio e cucito e di meccanica, Dipam è il lavoro di otto insegnanti indiani che con il progetto “l’amore istruisce” continua ad accendere la speranza. I progetti sono tutti finalizzati alla tutela del diritto al lavoro, alla salute e all’istruzione e per il perseguimento di tali finalità mi ispiro al messaggio cristiano ed opero mediante attività di formazione culturale su tematiche trasversali ed iniziative di beneficenza. Il mio motto è: “Seminiamo briciole raccoglieremo pani”, ma se in questi dieci anni non ci fossero state persone disposte ad offrire il loro tempo, le loro energie, il loro entusiasmo e la loro generosità non avrei né seminato…né raccolto. Sono consapevole che quello che è stato realizzato non è ancora abbastanza ma ciò che ognuno di noi può offrire al Padre “sono le povere e piccole briciole del pane del desiderio e della gratuità. Egli le trasformerà in pani odorosi e abbondanti” (Suor Gabriella). Vivo con questa certezza e con la speranza che domani ci saranno sempre nuovi seminatori pronti a declinare con la parola amore il loro tempo prezioso. Vi aspetto amici! Auguri Am.Bo.Mo!!!!! ■
http://www.facebook.com/AssociazioneAmBoMo Per donazioni: IBAN: IT 91 B 07601 14200 00003574566
LA CULTURA DELLA VITA “Da adesso in poi com’è che andrà con te che hai detto ‘Sono qua’ e davvero sei qua fra noi. Non so se sarò pronto mai, prova a esser pronto tu per noi, ascolto, mi insegnerai che vale la pena vivere, ti chiederò ‘Sì, ma perché?’ Tu che non parli dirai ‘Vale la pena vedrai, da adesso in poi’.” L. Ligabue (Da adesso in poi)
Quanto valga la pena vivere la propria vita e grazie a lei avere la fortuna di poterne racchiudere nel proprio corpo una nuova inizialmente microscopica e inversamente proporzionale alla grandezza del suo mistero, è la consapevolezza e insieme il dono che un pomeriggio di marzo il Prof. Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’età prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ha voluto trasmetterci. Entrati in una Cappella piena di vita animata da giovani curiosi di avvicinarsi ad un mondo forse ancora un po’ lontano, ma che in realtà in quanto esseri viventi ci appartiene da sempre, e i banchi che ospitavano fieri i pancioni di giovani mamme o che risuonavano delle voci che solo nove mesi prima dovevano ancora aprire gli occhi al mondo, siamo stati introdotti nel vivo dell’incontro, incentrato su di un tema tanto coraggioso da affrontare quanto doveroso conoscere nei suoi risvolti più profondi e veritieri. Il binomio vita-morte è infatti il soggetto naturale di due campi, l’uno di ricerca l’altro di emozione quali la scienza e l’etica, spesso in dissonanza nell’immaginario collettivo ma molto più vicini di quanto pensiamo in quello effettivo. Non occorre molto più dell’evidenza per dimostrare quanto sia menzognero questo millenario contrasto e palesare come sia lo studio della stessa scienza ad aprire al rispetto della vita, a rendere visibile ciò che spesso agli occhi del solo corpo non riesce ad esserlo e a dare valore a quell’infinitamente piccolo che è punto di partenza unico e irripetibile di quel traguardo che sarà la storia di ciascuno di noi. Prospettiva migliore in base alla quale leggere e interpretare il dibattito è dunque quella che affonda le proprie radici nella cultura, nella volontà di superare gli steccati ideologici e riconoscere e riaffermare la dignità della vita umana, che ha il diritto di appropriarsi di questo nome sin dal suo “giorno uno”. In esso l’embrione si fa protagonista e si relaziona immediatamente con il corpo di una madre che è tanto impaziente di conoscerlo e che molto prima della scienza sa accorgersi di quella sua presenza che da quel momento proteggerà dentro di sè. Sulla scorta di testimonianze a lieto fine e dolorose ugualmente e profondamente preziose, abbiamo meditato su quanto l’embrione-feto sia una “persona” a tutti gli effetti, sull’importanza della difesa della vita prenatale e della sua dignità e sull’incremento della speranza ad essa legata attraverso diagnosi sempre più attente e progredite, supportate da salvifici interventi terapeutici. Oltre ad essere un linguaggio universale e indistintamente comprensibile da credenti e non, quello della vita è prima di tutto un valore e un mondo interiore su cui non basta essere informati ma del quale bisogna conoscere le vere dinamiche per apprezzarli e soprattutto rispettarli: è bastato un pomeriggio di marzo per tornare a casa con la speranza che migliorare e progredire sia ancora possibile, finché daremo ascolto ai battiti di quella piccola vita che saprà sempre indicarci la strada giusta da seguire. ■
http://www.noiaprenatalis.it/ http://www.laquerciamillenaria.org/
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LA PAROLA SALVA LA VITA Queste le parole con cui la Prof.ssa Marina Casini, docente di Bioetica all'Università Cat-
tolica del Sacro Cuore di Roma, ha dato avvio al suo intervento in occasione dell'evento dal titolo "Aborto in farmacia? Perché dire no alle pillole del giorno dopo", voluto e ideato dal Movimento Per la Vita Toscana Giovani, dal Centro di Aiuto alla Vita (CAV) Siena, da Scienza&Vita Siena e dalla Cappella Universitaria. Il Dott. Paolo Dalprato, presidente del CAV di Siena e di Scienza&Vita Siena, ha dato avvio alla riflessione sul tema in questione, mentre la nostra ospite ha illustrato le tipologie e i diversi effetti delle pillole antiprogestiniche. Tra queste, la più conosciuta è la cosiddetta pillola RU486 (indicata per l'aborto durante la settima-ottava settimana) a cui si sono ben presto affiancate la pillola del giorno dopo (Norlevo, Levonelle) e più recentemente la pillola del quinto giorno dopo (ellaOne), la cui somministrazione deve avvenire entro le prime 120 ore dal concepimento. Per poterla assumere, a differenza della pillola del giorno dopo per la quale è sufficiente la prescrizione medica, è richiesto un test di gravidanza che entro il quinto giorno dal concepimento risulterà ovviamente sempre negativo. Infatti i valori degli ormoni Beta-HCG iniziano ad essere rilevati dopo circa una settimana se gli esami vengono fatti sul sangue della donna, dopo circa due se eseguiti sulle urine; seppur non ancora visibile, il quinto giorno il figlio può dunque esserci lo stesso e quello del test di gravidanza costituisce un inganno consapevole. Inganno che è anche linguistico quando si parla di contraccezione d'emergenza, di pillole che agiscono solo sul blocco o il ritardo dell'ovulazione, dando per scontato che in tutto ciò - anche se il concepimento è avvenuto - non ci sia aborto. In realtà si tratta di un vero e proprio aborto precoce che anticipa quello chirurgico, in quanto queste pillole rendono l'utero inospitale e inadatto ad accogliere il figlio concepito. Un altro argomento degno di nota su cui attualmente è in corso un dibattito feroce è quello dell'obiezione di coscienza. La legge 194/78 all'articolo 9 specifica che “L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento”. E' sorta a tal proposito la tendenza da parte del fronte opposto a contrastare ostinatamente l’obiezione di coscienza, anche ingigantendo la cifra del numero degli obiettori, per sottolineare il disservizio che questi compiono verso il nostro Paese e a presentare come vittime le donne che non riescono a esercitare il loro preteso “diritto”; tanto più che coloro che “obiettano contro l'obiezione” in altri campi paradossalmente sono convinti sostenitori del principio di autodeterminazione. In questo contesto è di fondamentale importanza riportare il discorso sul punto centrale: il figlio è figlio sempre. Anche quando è minuscolo, appena concepito, in cammino verso l’utero della mamma che lo ospiterà fino alla nascita. L’iniziativa cittadina europea “Uno di noi”, promossa dal Movimento Per la Vita italiano, è perciò estremamente significativa e merita ogni sostegno. ■
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Per tenersi continuamente aggiornati sulle iniziative del Movimento Per la Vita, per conoscere e sostenere l'iniziativa “Uno di noi” visita il sito www.mpv.org
ESPERIENZA ERASMUS DESDE ESPAÑA CON AMOR
Quando si parla di Erasmus si pensa a vacanze, poco studio, feste, gite,
nuove amicizie, ma sempre c’è bisogno di qualche cosa in piú...e noi l´abbiamo trovato. Prima di andare la prima volta a San Vigilio avevamo un po' di paura, non sapevamo cosa ci aspettasse. Sorprendentemente abbiamo trovato una Comunità giovane piena di universitari, una “piña” che condivide la sua fede. In quel momento ci siamo resi conto che volevamo farne parte. Dopo abbiamo scoperto che questo non finiva lì, anche potevamo condividere piú cose come tantissime cene, film, gite, momenti di preghiera, risate e anche una squadra di calcio! Ci avete mostrato il vostro mondo e anche noi abbiamo voluto mostrarvi un pezzettino del nostro, e con Juán (per voi “Uán”) come capo, abbiamo cucinato per voi.. Paella, Tortilla de patatas y Torrijas para todos! E vedendo il sorriso delle suore, del Don e di tutti voi scomettiamo che la zurra e la sangria vi sono piaciute parecchio! Dopo questi mesi insieme, la Via Crucis, le lauree, i compleanni, il week-end monastico, dopo essere riusciti a imparare il Padre Nostro in italiano e tutti i vostri nomi (che non sono pochi!!!) quasi senza accorgercene a San Vigilio eravamo due in piú. Quando siamo arrivati a Siena non conoscevamo nessuno: cittá da scoprire, lingua da imparare, gente nuova... Adesso è tutto diverso, manca poco per salutarvi e sentiamo che lasciamo dietro tante emozioni, ricordi, una casa e una famiglia… Siamo fortunati di aver trovato gente come voi! ¡OS ESPERAMOS EN ESPAÑA! ■
IL MIO CAMMINO DI SANTIAGO
“L’esperienza Erasmus”- mi era stato assicurato prima di partire - “è indimenticabile e ti
apre un mondo”. Conoscevo Santiago grazie al suo cammino ma per me, che adesso sono quasi al termine del mio Erasmus, ha rappresentato una totale svolta. Santiago è una città divisa in due parti: la zona antica, con le sue vie strette, gli edifici romanici e la sua splendida cattedrale e l’altra, la zona nuova, immersa nei parchi e ricca di negozi e locali. Con il tempo ho avuto l’opportunità di conoscere tantissimi ragazzi sia spagnoli che di altre nazionalità soprattutto grazie all’organizzazione di feste a tema in discoteche, serate al bowling o con costumi e piatti tipici ma anche visite guidate. La tappa che mi ha lasciato il miglior ricordo è stata quella a Finisterre, la “fine del mondo” una piccola cittadina dell’ovest della Galizia. Rappresenta la “fine del cammino di Santiago” per i pellegrini che decidono di prolungarlo per qualche chilometro. Questi, arrivando a quella scogliera, dove oceano e orizzonte si incontrano, si tolgono gli indumenti che hanno indossato durante il cammino e li poggiano a terra, per suggellare la fine del loro pellegrinaggio. Fatima, poi, è bellissima: la santità del luogo è personificate, per me, da un’anziana donna che in segno di devozione camminava in ginocchio, sotto la pioggia, in preghiera. Adesso mi sento di dire che tutto questo è stato il “mio” cammino di Santiago, un vero e proprio percorso di crescita personale, sia culturale che spirituale. ■
...lasciamo dietro tante emozioni, ricordi, una casa e una famiglia... Santiago per me, al termine del mio Erasmus, ha rappresentato una totale svolta
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GIOVANNI PAOLO II: L’UOMO CON L’IMPRONTA DEL DIVINO “Non abbiate
paura! Aprite, anzi
spalancate le porte a Cristo!”. Questo il motto della vita esemplare di un uomo simbolo di pace, carità e coraggio: il nostro papa Giovanni Paolo II. Figlio di umili genitori, subisce i traumi della morte dei fratelli, delle sorelle e della madre. Grazie alla fede supera il dolore, studia all’università, impara undici lingue, lavora come bibliotecario, manovale, fattorino, finchè viene ordinato sacerdote. Dopo la morte del padre viene nominato vescovo, quindi arcivescovo, cardinale e sarà papa dal 1978 al 2005. Riceve il sigillo divino il 13 maggio 1981 quando subisce un attentato cui si accenna nell’ultimo segreto rivelato dalla Madonna ai pastorelli di Fatima. Proprio nel giorno in cui si ricorda l’apparizione della Madonna, il papa è colpito all’addome in piazza San Pietro. Al di là delle ipotesi non comprovate sull’origi ne dell’attentato, il papa era convinto che proprio la mano della Madonna deviò quel colpo e gli salvò la vita, tanto che volle incastonare il proiettile nella corona della statua della Vergine a Fatima. Espressione di verità e humanitas, nonostante i suoi problemi di salute, irradiò ogni giorno di luce il mondo con le sue azioni e, credendo che tutto fosse frutto della volontà divina, decise di rimanere papa fino alla sua morte naturale. Pregando seduto con la croce in mano ha lasciato all’umanità l’ultima immagine del suo encomiabile vissuto da cristiano. L’incalcolabile quantità di fedeli provenienti da tutto il mondo durante le celebrazioni del funera-
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le e della successiva beatificazione manifesta la stima sincera nei confronti di un “uomo internazionale”, a cui vengono attribuiti più di 200 miracoli. Soprattutto per questo motivo Benedetto XVI lo ha proclamato venerabile nel 2009 e beato due anni dopo. Proprio il primo maggio dello scorso anno un milione e mezzo di fedeli ha assistito alla solenne celebrazione della beatificazione, applaudendo per oltre venti minuti mentre veniva scoperta l’effigie del beato dalla loggia della Basilica Vaticana. Tra i presenti vi era la suora che ha ricevuto il miracolo della guarigione dal morbo di Parkinson per intercessione del papa stesso. Jim Morrison esorta ognuno di noi affermando: “cerca di essere sempre te stesso, così un giorno potrai dire di essere stato l’unico!”. Ebbene, Giovanni Paolo II è stato un uomo unico nel suo genere: è sceso direttamente tra i giovani, si è imbrattato di fango tra gli operai, ha combattuto aspramente contro l’eutanasia, l’aborto, i matrimoni omosessuali, la fecondazione artificiale, la clonazione, ricordando che “ogni individuo è unico ed irripetibile, ed ogni persona, in quanto è ad immagine e somiglianza di Dio, ha una dignità che non è acquisita con meriti, ma è data fin dalla nascita”. Diffusore di Cristo nel mondo, ha ammonito più volte coloro che hanno macchiato di sangue la religione, incitando politici ed ecclesiastici a compiere il loro dovere. Albert Einstein sostiene che non occorre “diventare un uomo di successo, piuttosto un uomo di valore” e Karol Wojtyla è l’uomo di alto valore che, come ha affermato Napolitano, “ha illuminato e continua ad illuminare l’intera umanità!”. ■
Pregando seduto con la croce in mano ha lasciato all’umanità l’ultima immagine del suo encomiabile vissuto da cristiano
LA SACRA SCRITTURA DI GIROLAMO Tradurre il Greco è un'operazione a tempo pieno, cui ogni secolo è coinvolto più o meno
consapevolmente, e letizia della lingua dei Vangeli è che nessuna generazione se ne sbarazza sì da subissarla nel Tartaro. Ecco perché, a qualunque cifra ammonti il differenziale dei tassi sul debito greco, che noi siamo chiamati comunque a rimettere, non abbiamo ancora estinto quello con la cultura ellenica. San Girolamo, ad esempio, era balcanico, e portato alla traduzione come chiunque nasca in quelle terre di confine dove la Provvidenza oggi ancor di più ci fa dono di venire al mondo. Il suo paese natale, la Stridone del IV secolo, oggi è converso in Portole, in penisola istriana, che anche grazie al santo annoveriamo come cristiana. L'Adriatico era poi culturalmente romano, col Tirreno; ma il vero mare magnum, in cui la penisola di ogni vita privata si bagnava una volta disancorata dalla lingua madre, era ormai il Latino. Girolamo, di famiglia benestante, ne aveva appreso adolescente la grammatica e la retorica, in un viaggio di studio a Roma, quasi come un odierno studente Erasmus di lingue e letterature. La maturità venne con una sintesi faticosa: tra la Fede ascetica, anteriore agli studi ma vissuta nel rigore dei successivi ritiri monastici a Treviri, Aquileia e poi Antiochia in Siria, e lo stile classico: «Io non solo ammetto, ma proclamo liberamente che nel tradurre i testi greci, a parte le Sacre Scritture, dove anche l'ordine delle parole è un mistero, non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso. Ho come maestro di questo procedimento Cicerone […]. Anche Orazio poi, uomo acuto e dotto, nell'Ars poetica dà questi stessi precetti al traduttore colto: "Non ti curerai di rendere parola per parola, come un traduttore fedele"» (dalla lettera al genero di Paola, vedova romana convertita a Cristo, e leale a Girolamo al punto di seguirlo con una figlia a Betlemme, dove egli si ritirò a vita sdegnato delle chiacchiere sul loro rapporto). Giacché in Girolamo la cultura è sempre l'applicazione e non la premessa della Fede, la cultura affina la Fede, la ricerca di senso. Ma la sua asperità naturale non si mitigò in Terra Santa, dove il santo progredì nello studio della terza delle lingue in gioco, quella veterotestamentaria: questa prossimità alla purezza scritturale della Hebraica Veritas, lo avvicina al rigore delle epistole di Paolo e della sinossi di Origene, primo a confrontare più versioni del Vecchio Testamento, fra cui quella leggendaria in Greco ad opera dei settanta saggi. Questa, benché tradotta, era diventata la Bibbia di tanti Cristiani contro gli Ebrei, tenuta in maggior conto dei testi masoretici di cui era origine, per marcare posizioni esegetiche autonome da chi non aveva accettato il Messia. Così, quando il Nostro concepì il progetto di tradurre l'intera Bibbia in Latino ma restituendo autorità all'Ebraico, dovette affrontare il discredito del confronto con la cosiddetta Settanta. Alla fine, sappiamo come è andata la storia: Girolamo ha tradotto per i secoli avvenire il Verbo di Dio, seguendolo per le sue due prime incarnazioni etniche e trasferendolo in una terza duratura, beneficando per altro la Romanità che ignorava l'Ebraico e stava disimparando il Greco. ■
"...in Girolamo la cultura è sempre l'applicazione e non la premessa della Fede..."
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VITA DI COMUNITA’
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PELLEGRINAGGIO A PIENZA
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SCRITTURA E LIBRO ATTRAVERSO I SECOLI Preservare la parola dallo scorrere del tempo, tramandare la memoria collettiva di un popo-
lo o di una civiltà attraverso la pagina scritta, attribuirle un valore sacro: questa è stata la grande intuizione che spinse, nell’Alto Medioevo, i monaci dei diversi monasteri d’Europa ad effettuare un lavoro di trascrizione e trasmissione delle più importanti opere dell’antichità classica e di tutte quelle facenti parte del patrimonio culturale umano. Da allora la storia del libro non ha mai cessato di fermarsi; esso è anzi andato incontro ad una evoluzione molto accelerata in funzione della quale è diventato un importante veicolo culturale. Sotto forma di canzoniere poetico, novella, racconto in versi, canovaccio, romanzo, testo sacro, manuale storico o scientifico, pamphlet satirico o letterario, il libro è stato lo scrigno del sapere di ogni epoca e alla scrittura sono stati affidati sentimenti, emozioni, riflessioni, ragionamenti filosofici, lettere, preghiere, lodi, carmi, invettive, denunce, critiche ed esortazioni. In un’epoca dominata dal potere delle tecnologie più sofisticate, soggetta ad un ritmo galoppante di sviluppo e progresso, continuamente bombardata da immagini, sorge spontaneo chiedersi che ruolo la scrittura e il libro ricoprano oggi e quale sia l’importanza che tendiamo ad attribuire a quelli che un tempo erano i principali strumenti di comunicazione. I messaggi via cellulare e le email sono il nuovo volto della scrittura. Un volto che, bisogna riconoscerlo, ci aiuta a vincere le distanze, ad accorciare il tempo e lo spazio tra noi e i nostri interlocutori; un mezzo che accende la fantasia nell’elaborare attività spesso molto importanti e lodevoli. Il libro ha camminato di pari passo con la storia umana: prima tavoletta d’argilla, iscrizione muraria, papiro, pergamena, codice, poi vero e proprio testo rilegato, fino al recentissimo e-book. Sebbene quest’invenzione, salutata come l’ennesimo esempio di progresso, consenta di dare vita ad una vera e propria biblioteca digitale, di leggere agevolmente un consistente numero di libri e di salvaguardare il consumo di carta e di alberi, niente potrà sostituire il piacere di una carezza tra le pagine di un romanzo, l’odore che è proprio di ogni testo, le sensazioni impresse ad ogni pagina. Il libro, da sempre, entra nella vita delle singole persone con discrezione, soltanto se richiesto; diventa dono se condiviso con qualcuno, o compagno fedele per qualche tratto di vita. Ma per capire il significato profondo della sua funzione è necessario vederlo fisicamente, toccarlo, come si fa quando ci si innamora, sfogliandone le pagine man mano che anche la nostra vita viene scritta e sfogliata. Mai come adesso è importante riscoprire il valore sacro della scrittura e del libro; se compreso appieno, infatti, non si userebbero più tante parole in maniera sterile, vuota e ambigua. La non trasparenza delle parole può renderle un terribile strumento di sopraffazione. “Difendendo le parole difenderemo anche il nostro territorio”: Roberto Saviano ci invita ad un uso saggio del linguaggio per costruire un mondo migliore. In questo la scrittura e il libro per sempre resteranno le armi più efficaci. ■
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Niente potrà sostituire il piacere di una carezza tra le pagine di un romanzo, l’odore che è proprio di ogni testo, le sensazioni impresse ad ogni pagina
QUANDO UNA NETWORK FA SOCIAL Per
rete sociale (in inglese social
network) s’intende un qualsiasi grup-
po d’individui connessi tra loro per mezzo di svariati legami sociali che vanno dalle amicizie, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. Ognuno di questi legami è stato un’idea di business e così, giunti al 2012, ci troviamo immersi in un mondo super connesso: esiste un social network praticamente per tutto! La diffusione repentina ha portato con sé, insieme ai tanti aspetti positivi, aspetti negativi che spesso sono gli unici a venire messi in luce quando si parla di una rete sociale. E’ innegabile che, se usati male, possano davvero essere nocivi o addirittura creare dipendenza. Quando si pensa al più famoso e “temuto” Facebook, la paura di chi non vuole averne a che fare è che la privacy sia irrimediabilmente violata. Questo è vero nella misura in cui l’utilizzo si rilevi improprio. Per tutti i social network pensati per far interagire la propria sfera privata, molto dipende da quanto l’utente voglia “scoprirsi ” all’interno della rete. Per fare un semplice esempio, se non si vuole far sapere la propria età, basta non aggiungere la data di nascita tra i dati personali del sito. E’ ovvio che se vengono divulgate informazioni personali, quelle diventano immediatamente di dominio pubblico, ma se si evita e ci si attiene a farne un uso intelligente, allora non sarà di certo la rete ad estorcerci le informazioni. Per cominciare ad analizzare le potenzialità della rete una bella innovazione è rappresentata della possibilità di creare gruppi d’interesse. Questi permettono a persone che condividono hobby, attività o pas-
sioni di organizzare e condividere nuove esperienze con molta semplicità, facendoci risparmiare tempo, fatica.. e denaro. Le reti sociali vanno inoltre annoverate tra i mezzi di dibattito più efficienti dei giorni nostri. E’ infatti molto interessante vedere come le cerchie di amici reagiscono ai post a tema politico, sociale o ricreativo. Spesso esprimere una semplice opinione su un fatto di attualità può dar vita a dibattiti costruttivi e scambio d’idee. L’uso del social diventa dunque fuori luogo se ad andare in piazza ci sono i sentimenti personali, ma utile se in piazza vanno le idee personali. Basandosi su questo principio, Twitter ci consente di esprimere opinioni, in maniera pubblica e senza filtro di terze parti, su eventi o accadimenti che ci circondano. Ne nasce così un imparziale mezzo d’informazione per sapere cosa accade realmente nel mondo. Ultimo dei social network esplosi negli ultimi anni è LinkedIn, il social network professionale. L’idea è di mettere in contatto reti di professionisti allo scopo di creare nuovi rapporti lavorativi. Sembrerà incredibile ma aiuta davvero a trovare lavoro! Basta inserire in modo completo il proprio quadro professionale e sperare che qualche azienda sia alla ricerca di figure con tali competenze per essere contattato ed eventualmente assunto. Riallacciare rapporti persi o mantenere contatti a distanza sono altre potenzialità del social networking. Se certamente tutto ciò è d’aiuto alla connessione, alla comunicazione e all’informazione è fuor di dubbio anche che mai e in nessun modo queste tecnologie potranno sostituire la vita reale. ■
Per tutti i social network pensati per far interagire la propria sfera privata, molto dipende da quanto l’utente voglia “scoprirsi” all’interno della rete
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LA PREGHIERA: LUOGO DELLA VERA GRATUITA’ “C’è piu gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35): una grande verità racchiusa in poche
parole. I vari significati di questa frase sono tutti riconducibili ad un’unica affermazione: spendere la vita per gli altri. Non è di certo facile entrare in un’ottica dove l’attore principale non racchiude il nostro essere ma bensì “l’altro”. La cosa fondamentale da credere è che non si può pensare di spendere la propria vita per gli altri senza tener in considerazione che il filo conduttore tra noi e “l’altro” è principalmente uno, ovvero la preghiera. Un dono particolare che la fedeltà nella preghiera dà è l’amore per gli altri e il senso della Chiesa: più preghi, più sentirai misericordia per tutti, più vorrai aiutare chi soffre. Pregando, sentirai come è bello essere pronto a servire gli altri con gratuità senza nulla chiedere in cambio. Pregando sentirai crescere in te la passione per l’unità. Sperimentare la forza della preghiera per vivere nella consapevolezza che essa riesce ad unire anche i cuori più distanti e ci permette di vivere gli uni per gli altri, anche senza conoscerci, ma uniti solo dalla stessa voglia di fare della nostra vita un canto d’unione nella preghiera. Essere sempre pronti ad accogliere le richieste di preghiera che ci vengono offerte, non come un peso, ma davvero nella gioia di sapere che ciò concorre a riempire la nostra vita e soprattutto a sperimentare la gioia di condividere il peso del dolore con “l’altro” . E’ bello sentire il calore della preghiera racchiuso in un semplice abbraccio o in un piccolo sorriso ed è ancor più bello crescere e gioire nel sapere che c’è sempre qualcuno che prega per te. E’ facile pregare con le labbra, ma non proprio lo stesso si può dire della preghiera del cuore. Chiudere gli occhi, dimenticare sé stessi per concentrarsi solo sul dialogo tra te e Lui, un dialogo composto da richieste ma soprattutto di tanto ascolto. Pregare con il cuore per qualcuno vuol dire affidare completamente a Lui quella persona, a Lui che tutto conosce ancor prima di chiedere, a Lui che sa ciò che è bene e ciò che male. Vuol dire ammettere le nostre piccolezze e consegnarGliele per far si che le stesse diventino i nostri punti di forza! Non bisogna mai pensare che la preghiera è perduta, anche quando apparentemente non è stata esaudita, perché costituisce sempre una crescita, sia spirituale sia umana, anche quando non siamo in grado di percepire che spesso la Sua volontà non è uguale alla nostra. La preghiera ci aiuta a maturare la consapevolezza che non si è mai soli. La preghiera è la scuola dell’amore, perché è in essa che puoi riconoscerti infinitamente amato e nascere sempre di nuovo alla generosità. Pregando s’impara a pregare e si gustano i frutti dello Spirito che fanno vera e bella la vita: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22). Pregando si diventa amore e la vita acquista il senso e la bellezza per cui è stata voluta da Dio. Pregando si avverte sempre più l’urgenza di portare il Vangelo a tutti, fino agli estremi confini della terra. Pregando si scoprono i Suoi infiniti doni e si impara sempre di più a rendere grazie a Lui in ogni cosa. Pregando si vive. Pregando si ama. Pregando si loda. E la lode è la gioia e la pace più grande del nostro cuore inquieto, nel tempo e per l’eternità. ■
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“Bisogna sempre pregare Dio, perchè chi ottiene riceve da Lui il bene che chiede, chi non ottiene, riceve il bene di averglieLo chiesto “ (San Giuseppe da Copertino)
“HO PIU’ GRAZIE DA DIRE, CHE RECRIMINAZIONI DA FARE” Forse nulla più del gioco del calcio,
soprattutto in un Paese di “calciofili” come il nostro, scalda gli animi e accende appassionate discussioni. Ma quando in un sabato pomeriggio d’aprile accendi la TV e scopri che è morto in campo un calciatore 26enne, ogni altra questione passa in secondo piano nel turbolento mondo calcistico, travolto da un unico grave lutto. Da non esperta in materia, ammetto di non aver mai sentito parlare, prima del tragico evento, di Piermario Morosini; ma ascoltando il rincorrersi di notizie tra radio, Tv e giornali, sono rimasta incredula nell’ascoltare la vita di un ragazzo, che sembrava non aver avuto un attimo di tregua dal dolore: la morte di entrambi i genitori, il suicidio del fratello e la responsabilità di una sorella con handicap fisici da accudire. Non è stato possibile evitare, nei giorni successivi, commenti intrisi di retorica o programmi che abbiano speculato su quel dolore; così come inevitabili sono state le esagerazioni mediatiche nel giorno delle esequie, dai cori da stadio alle troppe telecamere. Eppure durante il funerale le parole dell’omelia di don Luciano, sacerdote che aveva visto crescere Piermario a Bergamo, sono state davvero lontane da tutto questo: profondissime e sentite, proprio perché di una semplicità disarmante. E’ venuto spontaneo chiedersi, di fronte a una vita segnata da tanti tragici eventi, perché il destino a volte sia così ingiusto; “Dove sei, Dio??” citavano i commenti arrabbiati su blog e social network. Ma quando don Luciano un giorno chiese al giovanissimo
Piermario cosa pensasse lui della vita, proprio lui che sembrava aver ricevuto solo calci e sofferenza, la risposta fu: “Di fronte alla mia vita, io ho più grazie da dire, che recriminazioni da fare”. Mi sono chiesta quanta forza d’animo e coraggio siano necessari per fare una simile affermazione; a lui la vita aveva tolto tutto, a partire da qualcosa di sacro come l’amore dei propri familiari, eppure non si era ribellato, non aveva detto “Perché a me?”, come solitamente siamo portati a fare. Le parole riconoscenti di Piermario mi fanno riflettere sul perché avere fede non significhi essere lontani dalla disperazione, dal dolore o dalla fatica del vivere; avere fede vuol dire accettare anche e soprattutto la bellezza della nostra fragilità, sapere che senza essere vulnerabili non si può arrivare alla forza, che non si ottiene la Pasqua senza il passaggio attraverso la morte. Ma quanto è difficile tutto questo? L’insoddisfazione è infatti una caratteristica primaria del genere umano. Sono rari i momenti in cui ci sentiamo davvero felici per ciò che siamo, per ciò che possediamo, poiché anche viaggiando in acque sicure sembra di essere sempre pervasi dal timore della tempesta. Ammiro davvero la forza di chi come lui, nonostante tutto, ha saputo accettare e sopportare. Ha saputo essere riconoscente, forse perché ha ricordato una grande verità: un figlio non potrebbe mai essere abbandonato dal Padre, soprattutto nel momento del dolore. E’ proprio lì che si trova infatti rifugio e consolazione; è lì che si sperimenta il dono del Suo amore immenso, ricordando che spesso quella sofferenza sarà preludio di una gioia più grande. ■
Avere fede non significa essere lontani dalla disperazione, dal dolore o dalla fatica del vivere; avere fede vuol dire accettare anche e soprattutto la bellezza della nostra fragilità
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UN LAVORO SOPRANNATURALE... VIVERE DA CRISTIANO! In un'epoca di crisi come quella che
stiamo vivendo non è strano riflettere sul significato del lavoro. E' proprio in questo senso che assume un certo rilievo il messaggio di San Josemaría Escrivá, fondatore dell'Opus Dei, che nella riscoperta della santità nella vita ordinaria e specialmente nel lavoro professionale fu un precursore di molti degli insegnamenti del Concilio Vaticano II di cui si celebra quest'anno il 50esimo anniversario. Cerchiamo di approfondire proprio questo tema: la santità nella vita ordinaria. Cosa vuol dire? Faccio mie le parole di un membro dell'Opus Dei, Pippo Corigliano, uno spensierato ragazzo, la cui unica aspirazione era guidare veloci automobili sportive, fino a scoprire poi con entusiasmo sempre crescente la via di San Josemaría che lo ha portato in tutt’altra direzione. Si è laureato in ingegneria, ma poi si è dedicato per tutta la vita a un lavoro fatto di parole, immagini, contatti personali, quello di responsabile dell’Ufficio Informazioni dell’Opus Dei, che un comunicatore come lui così descrive: «L’intento dell’Opera è risvegliare, nei nostri tempi, lo spirito dei primi cristiani. Gente comune, toccata da un messaggio straordinario che la rendeva capace di cose altrettanto straordinarie: generosità, dinamismo apostolico, fede operosa, amore reciproco, laboriosità, affidabilità. Una fede operativa, insomma.» San Josemaría ha riportato in primo piano proprio la consapevolezza che nel messaggio cristiano il lavoro è per l'uomo il modo di proseguire e collaborare all'opera creatrice e redentrice di Dio. Un messaggio tanto semplice quanto dirompente: è Dio che dopo
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aver creato il mondo lo ha affidato all'uomo, dandogli il compito di coltivarlo, conoscerlo e prendersene cura. Il lavoro, quindi, va inteso non solo come attività professionale ma come l'insieme delle attività ordinarie che caratterizzano la vita di ciascuno; è il principale mezzo attraverso cui incontrarsi con Dio, stare con Lui, fare la sua volontà. In quest'ottica il lavoro non è più pensabile come un'etica del risultato o del successo, come lo stesso fondatore dell'Opus Dei ha chiarito: «potete pure ottenere i successi più spettacolari in campo sociale, nella vita pubblica, nella professione, ma se trascurate la vostra vita interiore e vi allontanate dal Signore, avrete fallito clamorosamente. Al cospetto di Dio è vittorioso colui che lotta per comportarsi da cristiano autentico: non ci può essere una soluzione intermedia». Allo stesso tempo a tutti, universitari o operai, soleva dire che dovevano saper materializzare la vita spirituale, allontanandoli dalla tentazione, così frequente allora e anche oggi, di condurre una specie di doppia vita: da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall'altra, come una cosa diversa e separata, la vita familiare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene. In un passaggio bellissimo di un suo libro San Josemaria dice: «Tutte le cose di questo mondo non sono altro che terra. Mettile in un mucchio sotto i tuoi piedi e ti ritroverai più vicino al cielo». Per approfondire un bellissimo video su uno dei tanti momenti in cui San Josemarìa incontrava i giovani: http://www.opusdei.it/art.php?p=31147 ■
Maggiori informazioni su http://www.opusdei.it/
FRATELLI D’EUROPA Il 25 marzo del 2012 l’Unione Europea ha spento la bellezza di 55 candeline: essa infatti nel
1957 ha iniziato a costruire le proprie fondamenta verso la realizzazione di una grande confederazione di Stati in occasione della firma, a Roma, dei Trattati della CEE (Comunità Economica Europea) e dell’EURATOM (Comunità Europea dell’Energia Atomica). In questi giorni però spesso sentiamo rivolgere parecchie critiche da parte dei mass-media nei confronti dell’intera Unione Europea per via delle questioni economiche che stanno affliggendo le istituzioni europee e i suoi cittadini: non si fa altro che sentir parlare di spread e crisi della moneta unica dell’Euro come se l’Unione Europea fosse costituita solo ed esclusivamente dagli aspetti relativi all’economia e al mondo della finanza. Tutto ciò ha messo nel dimenticatoio gli altri aspetti positivi che ha generato l’Unione Europea nel corso degli anni. Uno tra tutti è l’aver creato una duratura condizione di pace e di cooperazione tra quei Paesi che erano stati protagonisti nel XX secolo di ben due conflitti bellici. Così furono poste le basi verso una condizione di sviluppo economico, sociale e di leale cooperazione nell’interesse delle comunità nazionali e delle generazioni future. Occorre ricordare che l’Unione Europea oggigiorno rappresenta la più grande confederazione di Stati che sia mai esistita sulla Terra: si è partiti con soli sei membri per arrivare agli attuali ventisette che corrispondo a più di 500 milioni di cittadini europei. L’Unione Europea, grazie all’apporto delle sue istituzioni, è riuscita negli anni ad emanare una serie di normative volte alla tutela dei propri cittadini, quali la legge sulla tutela della concorrenza tra le imprese, la legge sulla tutela ambientale e paesaggistica, la legge sulla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata e tante altre ancora. L’Unione Europea inoltre continua ad erogare tantissimi aiuti economici nei confronti di quegli Stati poco sviluppati nel tentativo di garantire loro gli strumenti necessari per mettersi alla pari con tutti gli altri Paesi dell’Unione. Come si può notare in tutto ciò emerge un forte segnale di fratellanza e di rispetto reciproco fra popoli e cittadini che in realtà appartengono a culture, lingue e tradizioni abbastanza differenti tra di loro, ma che cercano di superare tutti questi ostacoli condividendo gli stessi valori etici ed istituzionali sotto la stessa bandiera. E’ sempre grazie all’Unione Europea che numerosissimi studenti universitari ogni anno si muovono da un paese all’altro attraverso il progetto Erasmus, permettendo loro di fare una valida esperienza di crescita culturale e sociale all’insegna dell’amicizia e dell’integrazione tra i popoli. Essere cittadini europei deve dunque essere per tutti noi un valido motivo d’orgoglio solo per il fatto di appartenere alla più grande organizzazione democratica che sia mai esistita. Solo rimanendo uniti e coesi potremmo riuscire a sconfiggere, con i dovuti sacrifici, qualsiasi forma di crisi economica, per restituire così alle giovani generazioni un’Europa sempre più attiva e sempre forte, perché in fondo tutti noi europei siamo figli dello stesso Dio: siamo tutti fratelli d’Europa. ■
Essere cittadini europei deve dunque essere per tutti noi un valido motivo d’orgoglio
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LA LINEA D’OMBRA “Mi offrono un incarico di responsabilità, non so cos’è il coraggio, se prendere e mollare tutto, se scegliere la fuga o affrontare questa realtà difficile da interpretare, ma bella da esplorare…” Lorenzo Cherubini, La linea d’ombra
Non so se vi è mai capitato tra le mani questo racconto di Joseph Conrad, ma a me è successo e, forse, nel momento più appropriato per trovarsi di fronte a tale lettura: il passaggio dell’adolescenza più spensierata all’ “ingresso nel mondo dei grandi”. Credo che nessuno, di sua spontanea volontà, vorrebbe lasciare dietro di sè la dolcezza di quell’età ma le cose della vita, ne converrete, sembrano volerci sottrarre al nostro guscio infantile imponendoci di prendere decisioni sempre più importanti. Ecco cosa avvicina noi ragazzi di oggi al protagonista de La linea d’ombra: un giovane marinaio che, nel momento in cui decide di dare un taglio alla vita in mare, vede offertogli il primo incarico da capitano. L’emozione della nuova responsabilità è implacabile e ben ricorda l’entusiasmo proprio della nostra età, tuttavia ben presto dietro l’immagine idilliaca di una nave imponente da pilotare e di un intero equipaggio di uomini pieni di esperienza pronti ad obbedire a un pivello, si cela la nuda e cruda verità di quell’inaspettato posto di comando: la verità della lotta contro le malattie tropicali che rischiano di abbattere l’intera ciurma di una nave arenata nel mezzo di non si sa quale tra i Mari del Sud. No, il nostro non poteva immaginare a quali pericoli stava andando incontro e che, proprio lui, il comandante della nave, aveva il dovere di portare quell’imbarcazione e quegli uomini in salvo; così anche noi a volte corriamo il rischio di arrabbiarci con la vita che ci mostra sempre più nitidamente il suo lato oscuro, che non conoscevamo. Nell’avventura di diventare adulti, quindi, non ci sono soltanto i pericoli che dal di fuori attentano al buon procedere del nostro viaggio, ma c’è, ed è ben più temibile, il rischio che noi stessi possiamo decidere di retrocedere e non accettare il nuovo posto di responsabilità che ci vede al timone della nostra nave, perché troppo spaventati dalle intemperie o dalla nostra inadeguatezza, o perché ancora esageratamente affezionati a un’idea della vita tutta “rose e fiori”. Il protagonista del romanzo si trova proprio in questa condizione dopo diciotto giorni dalla partenza della sua nave dal porto di Bangkok ed è allora, all’altezza dell’80° e 20’ di latitudine, che l’imbarcazione piomba in una stasi assoluta e inquietante data dalla totale mancanza di vento. Le nubi si addensano sul capo della ciurma promettendo un’imminente pioggia o un qualsiasi mutamento, ma tutto resta immobile, tutti si sentono vittime di un maleficio asfissiante. Eppure, il giovane comandante, anche lui privo di forze fisiche e quasi al limite dell’irrazionalità, riuscirà a portare la nave sfortunata nel porto di Singapore, cioè, in salvo. Quella dell’80° e 20’ di latitudine era la linea d’ombra che il protagonista del libro ha dovuto oltrepassare per raggiungere la salvezza, ma rappresenta anche quel confine tra il tempo dei giochi e la presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie capacità. Oggi tocca a noi convogliare le nostre energie e provare a superare la nostra personale linea d’ombra, ma prima forse abbiamo ancora il tempo di perderci di fronte a un classico della letteratura… ■
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Il senso d’inutilità dell vita perse ogni ragione di essere, perse la sua malefica influenza, dissolvendosi in un fiotto di gioia
L’ANIMA IN CORPO “Tu non sei mica estate. Tu non sai cosa sia fare un quadro. Dovrei innamorarmi di te, per diventare intelligente. E allora perderei tempo”. Cesare Pavese, La bella estate.
L’estate, la stagione della frivolez-
za e del divertimento, viene scelta da Pavese come contesto per un breve romanzo di formazione incentrato sulla figura di Ginia, giovane operaia torinese che a sedici anni scopre il desiderio di diventare adulta. L’autore si sofferma sul legame sentimentale che la ragazza intreccia con Guido, un affascinante pittore: un rapporto che Ginia non sa osservare con lucidità perché è completamente afferrata da percezioni per lei ignote fino a quel momento. La relazione, infatti, la induce a compiere un percorso dentro di sé, un viaggio che la porta a conoscere gli effetti provocati in lei dal desiderio e dall’attrazione. Pavese la descrive mentre affronta una lotta interiore in cui si scontrano la spinta ad abbandonarsi senza remore tra le braccia di Guido e l’intento di conservare la propria purezza. A causa di questa condizione, Ginia è sempre in fuga, costantemente indecisa: la volontà di diventare adulta entra in collisione con l’innocenza puerile che ancora la attraversa. La contraddizione interiore che turba Ginia viene trasmessa alla narrazione attraverso il rapporto tra luce e ombra: gli incontri tra i due amanti si verificano prevalentemente al buio, immersi in un’oscurità che rivela metaforicamente la scoperta che la protagonista sta vivendo. La ragazza, infatti, si sta inoltrando in ambiti della propria identità che le provocano vergogna poiché riguardano il nesso tra il corpo
e il piacere. Ginia comincia a provare sensazioni che non riesce a gestire e che la conducono all’irrequietezza, finché la vita non le pone davanti la verità con durezza. D’altronde, la consapevolezza che ha raggiunto la affligge, ma non le impedisce di proseguire la propria esistenza: Ginia decide di resistere e non arrendersi. Sceglie di non fermarsi. Assume l’atteggiamento tipico dei personaggi di Pavese, i quali sono costantemente in movimento, a volte per fuggire dai pensieri che li preoccupano, in altri casi per cercare le proprie origini. Camminano sempre, senza sosta, spesso senza conoscere la propria destinazione, ma nella certezza che la staticità afferra l’animo per abbatterlo. La bella estate, infine, è un romanzo che merita di essere letto e gustato non solo in relazione ai contenuti, ma anche per lo stile di Pavese. Lo scrittore esprime in quest’opera l’acutezza e la sensibilità che dovrebbero caratterizzare ogni artista. Traccia la personalità di Ginia con una precisione tale che il lettore si sente naturalmente condotto a immergersi tra i sentimenti della ragazza. Inoltre, quando narra le esperienze più intime della protagonista, Pavese riesce a restituire i pensieri e le percezioni di Ginia con estrema delicatezza. Attraverso il tatto che utilizza nei confronti delle vicende sentimentali della giovane operaia, l’autore dimostra che le esperienze che riguardano il corpo non sono prive di profondità poiché incidono sull’evoluzione interiore dell’uomo. Oggi la sua opera può rappresentare un implicito invito a riconsiderare il valore del corpo in contrapposizione alla banalizzazione a cui è sottoposto, anche nel mondo della letteratura. ■
Le esperienze che riguardano il corpo non sono prive di profondità poiché incidono sull’evoluzione interiore dell’uomo
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BELLEZZA CLASSICA E SCANDALOSA MODERNITA’ Realizzato tra il 1862 ed il 1863 “Colazione sull’erba” di Eduard Manet può essere considera-
to una delle più importanti opere dell’impressionismo francese. La lezione dell’impressionismo è da subito evidente in due aspetti: il colore e la luce. Per quanto concerne il colore questo è steso con pennellate veloci creando un effetto di giustapposizione tra i colori caldi della frutta fuoriuscita dal cestino ed i colori freddi del vestito della donna. Anche la luce ha un’importanza fondamentale perché è utilizzata per mettere in risalto la figura che sta in primo piano: una donna svestita. E fu proprio la presenza di una donna senza veli a suscitare numerose reazioni di sdegno da parte dei critici dell’epoca. Tale rifiuto, però, non riguardava tanto la presenza di una donna svestita in quanto le tele dell’epoca erano piene di nudi femminili quanto la capacità che ebbe il pittore francese di stravolgere l’iconografia classica, tanto in auge all’epoca, immettendo nel suo dipinto una donna del tempo e non una dea o un personaggio mitologico. Ma dall’altra parte la particolarità e la novità di Manet sta proprio in questo, ovvero l’aver introdotto il nudo umano andando contro il linguaggio accademico tradizionale che aveva come centro lo studio della figura umana ripresa dalla realtà, ma poi idealizzata secondo i dettami della classicità. La tela è oggi conservata a Parigi, al suo apparire venne rifiutata non solo per il soggetto utilizzato ma anche per la tecnica pittorica adoperata che non prevede più l’utilizzo delle linee per definire le forme, che appaiono così modellate piuttosto che delineate. A completare il tutto ecco la presenza di una donna svestita in mezzo a uomini in abbigliamento cittadino moderno e nei quali poteva identificarsi un qualsiasi spettatore; la donna siede tra di essi senza alcuna vergogna, quasi sfidando con lo sguardo l’osservatore. L’aspetto di classicità non manca però, nonostante la scandalosa modernità: Manet non rinuncia ad inserire anche il tema della natura morta. Il cestino della frutta, abbandonato con noncuranza in un angolo, conferisce una certa classicità e grazia ai vestiti della donna, gettati casualmente sul prato insieme ai resti della colazione all’aperto. Al suo apparire “Colazione sull’erba” suscitò molto scandalo e forse anche oggi alcuni guardano con occhio critico la presenza di una donna svestita; di certo però non può sfuggire all’occhio di uno spettatore sensibile la mescolanza, con un unico colpo di pennello, tra realismo contemporaneo ed eterna classicità. ■
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La novità di Manet sta proprio nell’aver introdotto il nudo umano andando contro il linguaggio accademico
SENTIRE UN MUTO È pensabile nel 2012 girare un film in bianco e nero e per giunta muto? No, verrebbe subito
da rispondere. Eppure qualcuno non solo l’ha pensato, ma l’ha anche realizzato: il regista Michel Hazanavicius, autore di un vero capolavoro, The Artist. Un film che, contro ogni previsione, è diventato addirittura la rivelazione dell’anno, vincendo una Palma d’Oro a Cannes e ben cinque premi Oscar. La pellicola ci riporta alle origini della Settima Arte, quando le labbra si muovevano ma ne non usciva alcun suono. Nella Hollywood del 1927 George Valentin è un divo del cinema muto all'apice del successo: una sorta di Rodolfo Valentino, anche se Jean Dujardin, l’attore protagonista, è talmente bravo, ironico e charmant da non temere confronti. Richiestissimo dalle produzioni e amatissimo dal pubblico, Valentin sembra aver riposto in quell'incontrastato successo e nell’orgoglio artistico anche le sue aspirazioni di uomo. Può tutto, persino far finire in prima pagina una delle tante ammiratrici che lo assalgono all’uscita dall’ennesima proiezione trionfale: Peppy Miller (interpretata da Bérénice Bejo, per la quale “stupenda” ed “incantevole” sono solo due eufemismi) è una semplice ballerina che adora il (non ancora) suo George e che sogna di diventare attrice. Ma gli anni '30 sono alle porte: la Grande Depressione e soprattutto l'avvento del sonoro troveranno Valentin impreparato e forse anche inadatto al cambiamento. Quando la sua vivace espressività da attore del muto non interessa più a nessuno e le case di produzione iniziano a sbattergli la porta in faccia, il suo orgoglio e la depressione per essere stato rinnegato lo faranno cadere in una profonda crisi esistenziale. Al contrario Peppy Miller, dopo il fatale incontro con il divo, spicca il volo: grazie proprio all'avvento del sonoro si sta trasformando in una star e per un beffardo gioco del destino sta prendendo nel cuore del pubblico il posto dell'oramai negletto Valentin. Questi, dominato da un orgoglio incrollabile e quasi irrazionale, prima non si lascia certo rapire dal fascino di una soubrette; dopo, in disgrazia economica ed umana, non può permettere che sia proprio Peppy a salvarlo. L’orgoglio però dovrà fare i conti con il sentimento: Peppy è l’unica a credere veramente in lui ed a restargli sempre vicino… The Artist mostra la nostalgia intrinseca allo status stesso di “artista”, il cui successo è spesso subordinato alle mode ed ai gusti del tempo: la presa di coscienza di non essere più amati e la difficoltà di mantenere la propria dignità artistica possono essere un dramma difficile, se non impossibile, da risolvere. Ma The Artist è soprattutto un atto d’amore verso il Cinema, che prima di tutto è Immagine: al di qua e al di là di qualunque anacronismo ci restituisce l’immortalità di una storia d'amore non d’altri tempi, ma di tutti i tempi perché narrata solo dalla fusione di sguardi e gesti, immersi in un bianco e nero che muta d'intensità (il lucido contrasto dei momenti felici ed il grigio confuso dei momenti più bui). In un'epoca di roboanti produzioni, il regista ci riporta alla pura essenza di un sentimento non contaminato dalla ridondanza delle parole. È un film muto: non lo udiamo, eppure lo sentiamo, eccome. Buona Visione. ■
"The Artist è soprattutto un atto d’amore verso il Cinema, che prima di tutto è Immagine"
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ORIZZONTALI La meta del pellegrinaggio di fine settembre, 6. E’ il confidente di molti bambini, 11. Un confidenziale Giuseppe, 14. La compagnia Allianz, 16. La nuova Ici, 17. Specialista dell’orecchio, 19. Capoluogo laziale, 21. E’ doppio nel brindisi, 23. Il nano più tenero, 24. Sono pari nell’atomo, 25. Elementi di abbellimento per finestre, 26. Servono per sedersi, 28. In questo momento, 29. Le consonanti dell a Capitale, 30. Arrivano tutti dopo di lui, 33. Il centro della riga, 34. Vicino…per gli inglesi, 36. Terni, 37. Consonanti nell’arnia, 3 8. L’habitat dei polli, 40. Storico fantino del palio di Siena, 42. Prendere a morsi, 45. Idrossido di sodio, 47. Consonanti nel cuneo, 48. Miscuglio, 50. Il Lerner giornalista, 51. Fiume della Siberia occidentale, 52. Così sono detti gli olandesi, 55. Genere di piccoli alberi, 56. In ness un momento, 57. Pianta da cui si ricava un noto liquore, 58. Dittongo…laico, 59. Il Marley della canzone, 61. Risposta affermativa, 63. Indic a l’Oriente, 65. Il fornitore nazionale di elettricità, 67. Lo emette l’elefante, 70. Fa le magie, 73. Le vocali nella luna, 74. Natale francese, 77. Scende in inverno, 79. Il giornalino della Cappella universitaria, 80. Vi si attacca l’esca, 81. Sensazione di timore, 82. Il nostro è di Mameli, 83. Consonanti in rete, 85. Articolo maschile, 86. Renaissance Society of America, 87. Il Canzian dei Pooh, 89. Frutto da vino, 90. Spesso segue lo scritto, 92. Indica la produzione nazionale, 93. Vocali in uno, 94. Ne ha chi crede, 95. Il continente più vasto, 96. Sono pari nell’orale, 97. Sierra Leone, 98. Alessandria, 99. Lo scheletro del pesce, 102. Sono dispari in lana, 103. Il nostro Vescovo Antonio, 108. Così era detto Guevara, 109. Il cantante delle storie tese, 111. Simboleggia il corpo di Cristo, 112. Siena, 113. Sono pari nei voti, 114. Le vocali di moda, 115. Sassari, 116. E’ il protagonista del musical della Cappella, 122. Il fiume cantato da De André, 123. Lo misura l’orologio, 124. Luogo di difficile accesso. VERTICALI 1. La foglia usata da Adamo ed Eva, 2. Il suo codice è una delle più famosi raccolte di leggi, 3. Uccello dal grande becco, 4 . La Orfei del circo, 5. La bomba che distrusse Hiroshima, 6. Calcio di rimbalzo nel rugby, 7. Due romano, 8. Uno dei testamenti, 9. La volp e del deserto, 10. Il più prezioso dei metalli, 11. Razza di gatto, 12. Ente teatrale italiano, 13. La destinazione del cammino del 9-10 giugno, 14. Rimessa diretta, 15. Uccello acquatico, 18. Metà olio, 20. Contribuì alla ricostruzione dell’Italia nel dopoguerra, 21. Il maggior ente di ricerca nucleare, 26. La bella abbazia priva del tetto, 27. Popolare programma condotto da Carlo Conti, 31. Ortaggi simili alla cipol la, 32. Il decimo mese, 35. Vocali di sera, 39. La più grande opera di Tacito, 41. Olio inglese, 43. Metà ziro, 44. Agrigento, 45. Può esser lo un libretto di risparmio, 46. Albergo, 49. Un cenno, 53. A San Remo cantò “Vorrei incontrarti tra cent’anni”, 54. Metà Giga, 59. Bari, 60. D ecorare, 62. Dipinge le pareti, 64. La sorella colombiana, 66. La città capoluogo più alta d’Italia, 67. Diminuitivo di Beatrice, 68. Dà il colore all’occhio, 69. Località marittima nel barese, 71. Associazione Italiana Naturalisti, 72. Rispettare un debito, 75. Indica uguaglianza, 76. Sono pari in nero, 78. Vicino all’ospedale c’è quello alto, 81. Azienda ospedaliera, 84. Vi si svolse lo storico incontro tra Garibaldi e il Re Vittorio Emanuele II, 86. Prefisso che indica ripetizione, 88. Il paradiso terrestre, 91. Le iniziali dello scrittore Socci, 92. Trama inglese, 93. Le sue gesta sono narrate nell’Odissea, 94. Il partito di Fini, 96. Cittadina dell’est europa, 97. Consonanti di Sirio, 9 8. Asti, 100. Notizia fresca, 101. Vocali in amen, 103. Il capo, 104. Metà Nilo, 105. La Foscari è l’Università di Venezia, 106. Società che tutela autori ed editori, 107. Martin scrittore inglese contemporaneo, 110. Articolo maschile, 117. Consonanti della Nike, 118. Italia, 119. Pubblico Ministero, 120. Metà iris, 121. Negazione.
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Soluzioni del numero precedente sul sito: http://www.capunisi.it
CORNICI CONCENTRICHE Inserite orizzontalmente nelle 13 righe le parole definite in A. Poiché lo schema è formato anche da sei cornici concentriche (il cui inizio non viene precisato), si dovranno leggere in ciascuna le parole rispondenti invece alle definizioni B DEFINIZIONI A 1. L’arte del governo - Ascoltare, 2. La parte più piccola – 1 La moglie del sovrano – Le consonanti di Obama, 3. Figlio del fratello – Avariato, 4. Donarsi col cuore – Uno dei peccati più frequenti – Piccola imbar2 cazione inglese, 5. Fastidioso insetto – L’elefante simile alla foca, 6. Il fiume 3 d’Egitto – Il poeta del carpe diem – Football Club Barcellona, 7. Arezzo sulle 4 targhe – Si contrappone alla donna – Malattia della pelle – Terza persona singolare presente di avere, 8. Il giorno della Passione – Dotare…a metà – Il 5 primo…rintocco della campana, 9. Sono pari nell’orale – In onda – Né mio né 6 tuo – La fine inglese, 10. Vado…in latino – L’organizzazione internazionale per la collaborazione alla difesa – Consonanti…in rete – La fanno i tifosi allo 7 stadio – Due romano, 11. La Casati Modignani – Nella mitologia greca, la 8 patrona del matrimonio – In fisica indica la densità di un liquido – Precede il nome dei sacerdoti, 12. La Fondiaria Assicurazioni – Alza di mezzo tono la 9 nota – Godono di buona salute, 13. Tutto a posto – Vano – La Gentile cam10 pionessa di basket DEFINIZIONI B, 1a cornice: Il Kamen cantante, La basilica di Scacciapen11 sieri, Maradona ne era l’idolo, Riflesso nervoso, Grande casa automobilisti12 ca, Il passato più lontano, Il Sallustio caro ai senesi, Aeronautica Militare, Paolo giornalista, presidente di RCS, Lo si dà in confidenza, 2a cornice: Il 13 cognome del nostro Don, Aristoteles, armatore greco, Le vocali nei mesi, Azione diabolica, Persona leggendaria, Quelle di Cuna sono sulla Cassia, La Lollobrigida, 3a cornice: Forma la sporgenza del gomito, Quella attribuita al padre riguarda la protezione dei figli, Consonanti nelle note, Sono pari…a Rodi, Gli sposi la portano al dito, Onorare con atti di culto, La più frequente invocazione alla Madonna, Precede una negazione, 4a cornice: Il fantastico regno del mago, La norma, Il nano più suscettibile, Così è chiamato il figlio di Bossi, Imperfezione della pelle, 5a cornice: Sharon…nel T9, La lin gua parlata da Gesù, Unione Sportiva, 6a cornice: Il Degan attore, Annus Domini, L’inizio…dell’idolatria
BACHECA
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