1 Sommario Pape Satàn, Pape Satàn, Aleppe! ................................. 2 Borghi fantasma di Tàmar e Pàlcoda ........................... 9 Pozzis – “Il borgo dell'orrore e della follia”....................11 La panoramica delle Cime di Subit .............................16 Anello di Folchiar da Alesso .......................................19 A tu per tu con le streghe del Malgustà.......................23 Le streghe del Tenchia ...............................................26 Conclusioni (forse… ) .................................................39 Bibliografia................................................................43
Pape Satàn, Pape Satàn, Aleppe!
di Vincenzo Marino
Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle. [#voltaire]
“PAPE SATAN PAPE SATAN ALEPPE” (D. Alighieri) - Il verso è pronunciato da Pluto, che Dante pone come guardiano del Quarto Cerchio. Il verso, composto di sole tre parole, è celebre per il suo scandito ritmo di metrica, che gli dà il tono di un'invocazione a Satana (l'unica parola riconoscibile). Secondo alcuni critici si tratta di un'espressione inventata, ma secondo altri ha elementi etimologicamente riconoscibili.
“SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS” (sconosciuto)Il quadrato del Sator è una ricorrente iscrizione latina, in forma di quadrato magico, composta dalle cinque seguenti parole: SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS. La loro giustapposizione, nell'ordine indicato, dà luogo a un palindromo, vale a dire una frase che rimane identica se letta da sinistra a destra e viceversa. La stessa frase palindroma si ottiene leggendo le parole del quadrato dal basso verso l'alto purché ogni riga sia letta da destra verso sinistra.
L'iscrizione è stata oggetto di frequenti ritrovamenti archeologici, sia in epigrafi lapidee sia in graffiti, ma il senso e il significato simbolico rimangono ancora oscuri, nonostante le numerose ipotesi formulate.
2
“HOCUS POCUS” (sconosciuto) - È una frase senza senso usata come “formula magica” per “fare accadere qualcosa”. In passato fu un termine comune adottato da maghi, giocolieri o altri simili intrattenitori (tipo abracadabra, altra parola magica di derivazione da una lingua antica). Nell'inglese britannico, il più moderno significato prevalente è “sciocchezze inventate”, come in "It was all a load of hocus pocus" ("erano tutte un mucchio di sciocchezze inventate").
Le origini del termine rimangono comunque oscure. Alcuni credono che provenga da una parodia della liturgia cattolica romana dell’eucaristia, che contiene la frase “Hoc est enim corpus meum”. Questa spiegazione risale alle speculazioni da parte del prelato anglicano John Tillotson, che ha scritto nel 1694: «Con ogni probabilità i comuni giochi di parole “hocus pocus” non sono altro che un'aberrazione di hoc est corpus, con un'imitazione comica dei sacerdoti della Chiesa di Roma nel loro gioco della transustanziazione».
“MALLEUS MALEFICARUM” (H. Kramer) – E’ un trattato in latino pubblicato nel 1487 dal frate domenicano Heinrich Kramer con la collaborazione del confratello Jacob Sprenger, allo scopo di reprimere in Germania l'eresia, il paganesimo e la stregoneria.
È il più noto dei tre principali trattati pubblicati sulla questione alla fine del XV secolo: gli altri due furono il Formicarius di Johannes Nider (1475, composto tra il 1436 e il 1437) e il De lamiis et phitonicis mulieribus (Delle streghe e delle indovine) di Ulrich Molitor (1489). Vide la
3
luce nel momento in cui la stregoneria cominciava a essere vista come una forma di satanismo.
Chi non ha mai sentito o letto almeno una volta qualcuna di queste espressioni? Chi, girovagando per il Friuli, in Carnia, sulle Giulie o anche nella pianura non ha mai ascoltato le storie dei suoi abitanti?
Apollonia, La Rossa, Aquilina, Domenatta: sono solo alcuni dei nomi delle donne accusate di stregoneria ed eresia in Friuli Venezia Giulia. La tradizione friulana indica numerosi luoghi dovele streghe pare si divertissero a ballare al chiaro di Luna, a spaventare le comunità o a incontrare i vari demoni uno per ogni vizio capitale, a seconda della tipologia di sabba.
Questi luoghi sono sparsi un po’ in tutto il Friuli. Fino al principio del secolo scorso, era ancora viva, ad esempio, nel paese di Cordenons la credenza che nelle notti di chiaro di Luna, sul sagrato di San Pietro di Sclavons, ballassero le streghe. Le fattucchiere, in questo caso, avevano la fama di rincorrere i malcapitati che, per disavventura, assistevano alle loro danze, trovandosi a passare da quelle parti. Sopra una roccia nei dintorni di Clauzetto, si possono vedere, secondo quanto riferiscono le persone anziane del luogo, le impronte dei piedi delle streghe. Si racconta che, in quel luogo, esse si riunissero per la “messa nera”, ballando e partecipando a orge per tutta la notte. Dovevano, però, smettere prima dei rintocchi dell’Ave Maria del mattino. Questa credenza riprende la convinzione che il suono delle campane potesse riuscire a interrompere le pratiche magiche. Le
4
streghe che tardavano a far rientro nelle loro case - e che, quindi, venivano sorprese dal quel suono cristiano - erano costrette a ballare fino allo sfinimento. Queste streghe di Clauzetto pare fossero particolarmente malvagie: rapiti i bambini, li cuocevano in una enorme caldaia. Si racconta però che la loro fine fu causata dal coraggio di un ragazzetto che, all’improvviso, fece lo sgambetto a una di loro e la lasciò cadere a capofitto nel calderone pieno di acqua bollente. In località Grotte di Torlan, sulla strada che da Nimis porta a Chialminis, c’è un posto detto i “cretàz”. Si racconta che lì, fino a poco tempo addietro, non era molto difficile trovare qualcuno pronto a giurare di aver visto con i propri occhi, sul fardell’aurora o a notte inoltrata, questa o quella strega librarsi nell’aria al margine di un sentiero, scorrazzare di qua e di là, a cavalcioni di un caprone. Molto noti per la presenza di streghe erano alcuni paesi non lontani da Udine. Si diceva, però, che in nessun luogo vi fossero tante fattucchiere come a Santa Maria di Pozzuolo. Correva a tal proposito il detto: “A Sante Marie, ogni ciase une strie” (A Santa Maria, in ogni casa c’è una strega). Nella “Furlanie” si racconta che le streghe si incontrano di notte in una caverna nel bosco e che, assumendo l’aspetto di gatti o di fuochi fatui, insidino i viandanti ai crocevia. Un tempo, alla periferia di Trieste, a Rozzol, vivevano cinque streghe che, di sera, stavano in agguato sulla “crosada delle strighe” per attirare i passanti nella loro casa. Se un uomo le seguiva lo intorpidivano con una pozione, lo costringevano a camminare su chiodi ben aguzzi, lo tormentavano fino allo sfinimento e poi, a mezzanotte, lo
5
portavano sul crocevia. Nelle Alpi Carniche invece le streghe fanno le orge di giovedì e non di sabato (segnatevelo, nel caso vogliate prendere permesso dal lavoro). L’unguento stregato che si spalmano su tutto il corpo le rende invisibili e tanto leggere da poter scivolare attraverso camini e finestre. Provocano la grandine e sono fonte di grossi malanni per la gente e per il bestiame. Nelle vicinanze del monte Tenchia si trova il campo delle streghe, un prato a forma rotonda con l’erba rigogliosa che però i contadini si guardano bene dal tagliare per timore di conseguenze nefaste. La Val Blancha, presso Gorizia, è anche chiamata “Campo delle streghe” perché, in tempi antichi, le streghe vi venivano messe al rogo. Una volta, le fate del Friuli riuscirono a respingere l’invasione delle streghe costringendole a promettere di non mettere più piede in tutto il Friuli. Ciononostante di tanto in tanto tornano, nascoste nelle nuvole nere spinte oltre la montagna dalla bora o dalla tramontana. Tornano per far cadere la grandine. Allora le fate si rivolgono ai loro alleati, i venti del sud, che ricacciano le intruse oltre le Alpi.
Tanti sono i racconti sulle streghe del Friuli, così come la stregoneria è profondamente radicata nella tradizione di questo popolo. Lo provano le frequenti orme lasciate nella toponomastica alpina orientale: “Plan des strìes” a Cercivento, “Pian de strighe” nella Val di Fassa, “Tuw Strijùnaven”, cioè “il posto dello stregone” in Val Resia.
E poi le Agane, creature delle acque dolci, che possono vivere lungo le risorgive della bassa friulana, nelle grotte
6
del Carso, oppure tra i monti della Carnia. Queste possono essere brutte, con i piedi storti e rapitrici di bambini, oppure belle, dolci e fatate. Nelle Valli del Natisone, poi, ci sono le Krivapete, donne di valore, intelligenti, autonome, molto acculturate, selvagge e con una grande nozione verso le virtù delle erbe. E gli Sbilfs? Gli Sbilfs sono dei piccoli folletti del bosco, difficilissimi da vedere, ci sono infatti quelli che si mostrano solo davanti ad un “cuore puro”, oppure quelli che fanno perdere la strada ai camminatori, quelli che fanno scherzi ai campeggiatori o quelli che ti si siedono sulla pancia per non farti respirare bene dopo una gran mangiata. Senza dimenticare quelli che ti osservano perfettamente mimetizzati nel loro ambiente naturale; ognuno di questi, poi, ha un suo preciso nome: Mazzarot, Massaroul, Bergul, Cjalcjut, Gan.
Insomma il Friuli Venezia Giulia degli esseri umani convive da sempre con questo mondo fantastico. Nei racconti dei paesi si racconta sempre la necessità di mantenere buoni rapporti con questi “vicini”, esiste quindi un rispetto verso questo mondo, con la consapevolezza che tutti possono coesistere senza infastidirsi o farsi lo sgambetto, certo con qualche piccola licenza che rende questo binomio inscindibile e, allo stesso tempo, estremamente coinvolgente.
Ed è estremamente semplice scoprire che quasi ogni sentiero in Friuli nasconde una storia, affascinante, tenebrosa, curiosa, unica. L'escursionismo consapevole non è soltanto un movimento da un luogo ad un altro,
7
camminare per raggiungere una meta, ma un'esperienza profonda con se stessi. E' connetterci, fonderci con la natura che si attraversa, godendo della bellezza e dell'armonia di questa. Camminare in un bosco, su per un crinale significa sfidare il proprio io, tentando di comprendersi e di ricollegarsi a ciò che ci circonda: dagli alberi, ai laghi, alle semplici foglie o ai sassi. L'escursionismo consapevole è però soprattutto un'attività “spirituale”, che ci porta ad intraprendere un percorso rivolto alla riscoperta di chi siamo e di cosa vogliamo. Intraprendere un'escursione, consapevoli di quello che si sta facendo, conoscitori delle leggende, degli usi e dei costumi della gente che vi ha vissuto e che ancora vi vive e vivrà, è un'esperienza unica in grado di rigenerare la nostra mente, il nostro spirito ed il nostro corpo, vivere la natura in connessione con se stessi e con tutto ciò che è intorno a noi.
I racconti che seguono, nascono tutti da percorsi escursionistici affrontati in prima persona, vissuti, studiati, analizzati. Sono adatti a tutti, senza particolari difficoltà, con dislivelli abbordabili anche per i meno allenati.
Il periodo migliore è sempre l’autunno o la primavera.
8
Borghi fantasma di Tàmar e Pàlcoda
di Vincenzo Marino
A volte una strega vestita di nero fa più luce di una bionda principessa vestita di bianco. [#fabriziocaramagna]
Siamo nel comune di Tramonti di Sotto. Il borgo si chiama Palcoda, è immerso nel paesaggio delle Prealpi Carniche, nel vero senso della parola... è stato negli anni inghiottito dalla natura. Letteralmente. Si scorge tra le cime dagli alberi, questo borgo abbandonato sin da prima della II Guerra Mondiale. E, per raggiungerlo, è necessario compiere un percorso impervio, ma spettacolare.
A Palcoda si può arrivare solo a piedi, percorrendo il sentiero CAI n. 831a e camminando fin verso la parte alta della valle del torrente Chiarzò. Nel XVII secolo, il borgo era abitato da circa 150 persone che lavoravano, prevalentemente, nell’industria dei cappelli. Oggi, tutte le vecchie case e i vecchi edifici sono stati inghiottiti dalla natura: prima dell’inizio della guerra, infatti, gli abitanti iniziarono a lasciare questo isolato borgo, a seguito della crisi che i cappellifici iniziarono a vivere. E se durante il conflitto le sue abitazioni diventarono dei rifugi, oggi sono precari fantasmi di mattoni. Solamente la chiesa, di impronta francescana, ristrutturata nel 2011, è libera dalla natura. Dedicata a San Giacomo, svetta col suo campanile restaurato nel mezzo dei ruderi e degli alberi rendendo tutto ancor più magico.
9
Ma Palcoda non è l’unico borgo fantasma che qui si può visitare. Nelle sue vicinanze c’è un altro paesello, Tamar, che ebbe fino agli Anni 50 un’unica abitante. Fu l’ultimo borgo della zona ad essere abbandonato.
Come raggiungere i due borghi? Dall’abitato di Tramonti di Sotto, a cui si arriva da Sequals tramite la statale n. 552. Si lascia l’auto in località Comesta e, da qui, si imbocca il sentiero n. 831a. Un sentiero che attraversa tratti impervi, e che non sempre è agevole. Ma che, una volta giunti a destinazione, vi permetterà di immergervi in un’atmosfera d’incredibile fascino.
DATI TECNICI
Meta: Tàmar e Pàlcoda, Tramonti di Sotto, Prealpi carniche
Lunghezza: Km: 9,1
Dislivello: 600 m
Difficoltà: E
Altitudine max: 689 m slm
Tipo di percorso: anello
Tempi netti: 5h 20m
Attrezzatura: normale da escursionismo
Carta: Tabacco 028
Traccia gpx: disponibile a richiesta
10
Pozzis – “Il borgo dell'orrore e della follia”
di Vincenzo Marino
L'occhio che guarda questi luoghi immagina il loro passato, sente, attraverso la pelle consumata dal tempo, l'anima che li avvolge [#robertoperegalli]
Pozzis è un piccolo borgo nel comune di Verzegnis, in provincia di Udine. L'atmosfera che si respira è quella classica di un paese fantasma: fu abbandonato definitivamente dai suoi abitanti agli inizi degli anni sessanta. In questi ultimi anni la maggior parte delle abitazioni è stata acquistata e ristrutturata da villeggianti alla ricerca di isolamento e di tranquillità, ma sempre fantasma è rimasto.
Il monte Pizzat lo divide dal comune di appartenenza creando una roccaforte di mistero e isolandolo dalla zona circostante. Il torrente Arzino rende ancora più ostico il passaggio alimentando così l’atmosfera arcana e misteriosa del luogo.
Diversi, inquietanti, avvenimenti hanno connotato questo borgo creando un mix di leggenda, finzione e realtà. Alla fine dell'800 Pozzis era “luogo di agane e di salvans, dove le creature del mondo pagàno si fondevano con una religiosità primordiale”. È in un clima come questo che a Pozzis sono avvenute vicende per lo meno singolari.
11
Nel 1878, ad esempio, molte donne cominciarono a manifestare i segni di un male oscuro in cui il clero e la gente comune era solita individuare i sintomi della possessione demoniaca. Una storia del tutto simile a quella ben più nota delle streghe di Salem del XVII secolo negli Stati Uniti.
Dopo il moltiplicarsi di fenomeni sempre più inquietanti e raccapriccianti e il ricorso sistematico, quasi quotidiano, da parte di un parroco, confuso e terrorizzato, alla pratica degli esorcismi, il prefetto di Udine inviò sul luogo due medici che diagnosticarono una “inequivocabile istero-demonopatia” e ordinano il ricovero delle indemoniate nell’ospedale psichiatrico di Udine. Vi rimasero rinchiuse per il resto della loro vita. Sempre meglio che bruciarle al rogo. Tra le vittime della follia collettiva vi fu perfino un integerrimo carabiniere.
Pozzis fu inoltre protagonista nella prima guerra mondiale di scontri e massacri feroci quando la Quarta armata alpina che cercava, scendendo dalla Carnia, di congiungersi alla Terza dopo la disfatta di Caporetto, si ritrovò, a Pozzis, nel bel mezzo dell’esercito austriaco, e fu una carneficina da entrambe le parti.
Nell'agosto 1944 fu invece costituito a Pozzis, con circa 120 elementi, un battaglione denominato “Stalin”, con il compito di difendere l'alta Val d'Arzino dai cosacchi alleati dei tedeschi. A novembre 1944 i tedeschi attaccarono alla Sella Chianzutan sulla direzione di Pozzis con lo scopo di spezzare lo sbarramento delle forze partigiane. Il battaglione contrattaccò e il combattimento durò
12
un’intera giornata. Il giorno dopo tedeschi e cosacchi abbandonarono e ripiegarono su Verzegnis con ingenti perdite. Si racconta che il terreno intorno a Pozzis fosse zuppo di sangue e che anche cercare di camminare senza calpestare “qualcosa” fosse impossibile.
Fu qui che Pozzis si meritò, suo malgrado, il soprannome di “Il borgo dell'orrore e della follia”
Ma non è mica finita qui.
Siamo ai tempi nostri, l'ultimo abitante di Pozzis è Alfeo “Cocco” Carnelutti, classe 1944, vivente, appassionato di moto e meccanico autodidatta. Negli anni ‘80 gareggiava con i sidecar cross, ma si ritirò dopo un grave incidente di gara, che lo costrinse in ospedale per un lungo periodo, sviluppando il morbo di Crohn. Dopo essere arrivato a Pozzis si arrangiò in una delle vecchie case abbandonate, senza luce ed acqua, e si mise ad allevare capre. La gente di città saliva a vedere l’eremita e ad acquistare i suoi formaggi. Nel 1999 venne accusato dell’efferato omicidio di una giovanissima prostituta albanese, una vera e propria esecuzione. La seppellì tra le case diroccate di Pozzis. Si dichiarò subito colpevole, ma la vicenda apparve controversa anche ai giudici, che lo condannarono a soli dieci anni con molte attenuanti. Per buona condotta di anni ne sconta solo otto. Rientrato a Pozzis, non si sa come, iniziò a scrivere libri di successo e a sognare di partire “verso est” in sella alla sua HarleyDavidson del 1939. Nel 2018 l’incontro con Stefano Giacomuzzi, giovane regista ventiduenne, rese il sogno realtà. Nacque così un viaggio donchisciottesco: 8.000
13
km, 37 giorni, 9 stati, da Pozzis a Samarcanda, nel cuore dell’Asia. Questa avventura è stata pure raccontata nel film-documentario "Pozzis, Samarcanda".
Un borgo piccolo e abbandonato, ma sul quale si potrebbero scrivere libri, ricamare storie e sceneggiare film. E’ proprio vero che in Friuli non ci facciamo mancare nulla.
Ammetto che avevo un po’ d’ansia quel giorno che decisi di mettermi in marcia per percorrere il Sentiero delle Cascate dell’Arzino. Avrei dovuto posteggiare l’auto nei piccoli spazi liberi lungo la carrareccia che percorre il paese, attraversarlo e trovare il sentiero seminascosto dalla boscaglia. Mi aspettavo di veder sbucare qualche Freddy Kruger, uno Slenderman o un Ghostface dalle mura diroccate delle abitazioni. Non mi sarei meravigliato di incappare nei resti di qualche sabba, i ritrovi di streghe e stregoni che celebravano feste magiche e orgiastiche in onore di Lucifero o di Asmodeo (il mio preferito).
Non me ne sono accorto subito, ma ho percorso i circa 500 metri che separavano l’auto dall’imbocco del sentiero, quasi di corsa. Una volta trovato, l’ansia ha lasciato lentamente il posto alla meraviglia della scoperta mentre i rumori delle cascate, ancora attutiti dalla lontananza, si facevano via via più forti scalzando, passo dopo passo, le suggestioni iniziali.
L’Arzino è uno dei più bei torrenti alpini del Friuli Venezia Giulia. Nasce nei pressi di Sella Chiampon ed è alimentato da due sorgenti principali: la Roggia del Nanul e il Fontanone. A pochi metri dalla sua sorgente, in
14
corrispondenza di un brusco cambio di pendenza della valle e ai fenomeni erosivi che la caratterizzano, il torrente Arzino dà origine a una serie di cascate. Si tratta di meravigliosi e rumorosi salti d'acqua, alternati ad ampie vasche di erosione e a profonde e verdi pozze color smeraldo.
Grazie alle imponenti faggete, onnipresenti nel parco, il periodo migliore per l'escursione è quello autunnale quando è possibile ammirare il suggestivo fenomeno del foliage, ma la peculiarità del posto e soprattutto il basso impatto antropico, rendono possibile ammirare questa meraviglia anche in inverno, quando le cascate tendono a gelare cristallizzandosi in forme sempre diverse amplificando quell’atmosfera magica che continua a esercitare un insolito fascino su tutta la zona.
DATI TECNICI
Meta: Cascate dell’Arzino da Pozzis, Verzegnis (UD).
Prealpi carniche
Lunghezza: 7,640 km
Dislivello: 160 m
Difficoltà: T (estate), E (inverno)
Altitudine massima: 766 m slm
Tipo di percorso: anello
Tempi netti: 3h 20m
Attrezzatura: normale da escursionismo, utili i ramponcini in inverno
Carta: Tabacco 013
Traccia gpx: disponibile a richiesta
15
La panoramica delle Cime di Subit di Vincenzo Marino
Il mondo lo hanno sempre cambiato i folli, i sognatori, i romantici, gli eretici e le streghe. Non le greggi. [#fabriziocaramagna]
«La vera bellezza di questi luoghi inizia dove finiscono le strade asfaltate» [cit.]. I dintorni di Subit, comune di Attimis (UD), offrono infatti una ricca scelta di sentieri: uno per ogni mito o segreto che da secoli vengono tramandati dai nonni ai nipoti.
Parlo del sentiero dei folletti o delle piante medicinali. Sono gli Skret, i folletti delle valli friulane a parlata slovena. Sono piccoli esserini vestiti di rosso che aspettano le ombre della notte per fare scherzi, aprire le stalle per far scappare il bestiame e rapire i bambini per portarli nel profondo del bosco. Grandi conoscitori di piante medicinali, malva, tarassaco, biancospino e tante altre erbe spontanee che crescono in questa zona.
Parlo del sentiero delle Agane o delle piante alimentari. Le Agane sono mistiche figure femminili che siedono su grossi sassi vicino alle sorgenti. Sono vestite di bianco, filano la lana e propongono indovinelli ai viandanti. Questo sentiero è dedicato a loro, a questi spiriti protettori delle acque.
16
Parlo del sentiero della strega o delle piante tossiche, nella valle della Moraca, abitata da numerosi folletti e soprattutto dalla strega Juana, una misteriosa creatura dedita a cucinare il “bloj”, un orribile e nauseante brodaglia a base di erbe, bacche e radici per i bambini rapiti dagli Skret.
Parlo della Panoramica delle Cime, il sentiero più recente (2015 mi sembra) che insieme ai precedenti crea una rete di sentieri e camminamenti unici, da fare invidia ai 7 Ponti di Königsberg (l'odierna Kaliningrad nell’exclave russa tra Polonia e Lituania) e al suo problema matematico risolto da Eulero.
La Panoramica delle Cime inizia, dal piazzale della chiesa di Subit o, preferibilmente dallo stretto tornante a sinistra prima delle case di Borgo Cancellier (piccolo parcheggio con panchina) a quota 720 metri (Google Map: 682V+WC Cancellier, Ente di decentramento regionale di Udine), e raggiunge, dopo un facile percorso (E), la quota massima a 950 metri. Il percorso base è poco più breve di 6 km ed è percorribile in qualsiasi stagione dedicandoci solo una mezza giornata. Se si vogliono concatenare tutti i sentieri, i tempi, i dislivelli e l’impegno aumentano, ma soprattutto fatelo in primavera e solo dopo aver studiato qualcosa su Eulero e la teoria dei grafi. Vi potrà essere utile per ottimizzare i percorsi.
Il panorama è impagabile, lo sguardo spazia da nord dalle creste delle Prealpi Giulie, all'imponente massiccio del Canin, fino al monte Nero, mentre a sud gli occhi
17
abbracciano la pianura friulana, fino al golfo di Trieste e l’Istria.
Nelle foto sono perfettamente visibili due skert e un’agana dai capelli neri (a sinistra della cascata). Se non riuscite a vederli fate un piccolo sforzo e cercate di ritornare un po’ fanciulli.
DATI TECNICI
Meta: Cime di Subit, Attimis (UD), Prealpi giulie
Lunghezza: 6,5 km
Dislivello: 450 m
Difficoltà: T
Altitudine massima: 950 m slm
Tipo di percorso: anello
Tempi netti: 3h 00m
Attrezzatura: normale da escursionismo
Carta: Tabacco 041
Traccia gpx: disponibile a richiesta
18
Anello di Folchiar da Alesso di Vincenzo Marino
Mai riporre la vostra speranza in un principe. Se avete bisogno di un miracolo, riponete speranza in una strega. [#catherynnevalente]
Un'escursione in tempi antichi, tra demoni e benandanti con molti riferimenti alle antiche radici del Friuli. Un percorso nei boschi alla ricerca dei luoghi da dove, a dicembre, si materializzano i Krampus. Di solito uscendo da grotte e inghiottitoi carsici, disseminati lungo tutto l'arco alpino e prealpino orientale per scendere poi al tramonto nei villaggi a seminare il panico. Esistono dei cosiddetti "passaggi" e uno di questi si trova nei boschi tra il lago di Cavazzo e il monte Faroppa (Mont dai Pagans), in prossimità del villaggio di Folcjar. In questi boschi, silenziosi e un po' inquietanti sembra quasi che da un momento all’altro possano apparire anche Sblifs o i Mazzarots, o forse Salvans e Pagans.
Ma chi sono i Krampus? I Krampus (dal bavarese krampn, ovvero "morto", "putrefatto”, sono demoni dalle sembianze mostruose e animalesche, scatenati e molto inquietanti, che si aggirano per le strade alla ricerca dei bambini "cattivi". I loro volti sono coperti da terrificanti maschere diaboliche, i loro abiti sono laceri, sporchi e consunti. I Krampus, vagando per le vie dei paesi, provocano rumori ottenuti da campanacci o corni, che li
19
accompagnano nel tragitto che compiono, mentre colpiscono con frustate la gente. L'origine di questa usanza, mantenuta con fiero orgoglio in molti comuni facenti parte dell'area ex-austro-ungarica, risale al periodo pre-cristiano ed è attestata almeno dal VI-VII secolo d.C. Una delle poche cose di cui si è a conoscenza è che questa manifestazione è legata al solstizio invernale.
La festa inizia con il vescovo San Nicola (6 dicembre), solitamente trainato su un carro, che interroga i bambini premiandoli o rimproverandoli e al contempo cerca di placare le ire dei Krampus nei confronti degli spettatori. I Krampus hanno in mano una frusta fatta di ramoscelli e un sacco sulla spalla: secondo la leggenda, egli prende i bambini che sono stati cattivi e se li porta via nel suo sacco. I Krampus sono selvaggi, violenti e inferociti e in questa particolare serata danno sfogo a quelle forze che per tutto il resto dell'anno rimangono represse. Rincorrono, fra urla, mugugni e grida, i bambini, i ragazzi, ma anche gli adulti e i più anziani, spingono la gente, dando pesanti frustate e colpi di verga alle gambe di chiunque capiti tra i loro piedi.
Appena il sole tramonta, San Nicola scompare dalla sfilata, lasciando incontrollati i demoni, che senza inibizioni rispondono colpo su colpo alle provocazioni dei ragazzi e degli adolescenti. Le rincorse e gli inseguimenti da parte dei demoni possono durare anche ore, fino a quando a notte fonda il freddo e il buio avvolgono tutto e, lungo le vie, non è più possibile vederne alcuno.
20
L’escursione
Lungo la strada che da Alesso di Trasaghis conduce a Somplago, dopo aver superato il sottopassaggio dell'autostrada, individuare sulla sinistra una stradina asfaltata che termina quasi subito trasformandosi in carrareccia. Posteggiata l'auto inoltrarsi lungo la stradina passando nuovamente al di sotto dell'autostrada. Dopo poco questa si trasforma in una comoda mulattiera che risale a tornanti il bosco. A quota 500 m ca, il sentiero attenua la pendenza traversando alto la forra del torrente Niviselis fino ad arrivare alla conca prativa di Folchiar. Ancora pochi passi e si raggiunge una piccola sella. Da qui una traccia sulla destra porta in breve alla quota 575 m. Ritornati alla selletta proseguire in discesa, traversando la conca del rio del Band. Un ultimo ripido tratto e si arriva in prossimità di una enorme vasca in cemento (!) oltre la quale ha inizio la strada asfaltata che scende a Somplago. Per il ritorno si può seguire la rotabile che costeggia la sponda ovest del lago fino alla galleria dell'autostrada. Qui è possibile continuare o deviare per una traccia sulla destra che attraversa una conca prativa prima di ricongiungersi con la strada per Alesso.
Utile la traccia GPS perché il percorso, pur evidente, è completamente privo di segnalazioni.
21
DATI TECNICI
Meta: Folchiar da Alesso (UD), Prealpi carniche
Lunghezza: 10,00 km
Dislivello: 450 m
Difficoltà: E
Altitudine massima: 575 m slm
Tipo di percorso: anello
Tempi netti: 4h 00m
Attrezzatura: normale da escursionismo
Carta: Tabacco 020
Traccia gpx: disponibile a richiesta
22
A tu per tu con le streghe del Malgustà di Vincenzo Marino
Ogni paese ha la casa delle streghe, che è una casa diversa dalle altre, dove la nebbia e la luna amano soffermarsi più a lungo e scambiarsi i loro segreti.
(#fabriziocaramagna)
La temibile Santa Inquisizione arrivò sin quassù.
Un incredibile caso di cronaca avvenuto a metà del Seicento, quando la Santa Inquisizione di Venezia inviò i propri funzionari a indagare su un presunto caso di stregoneria. Sul Plan di Malgustà, posto a metà del monte Raut, si narrava si svolgessero ogni giovedì notte dei sabba demoniaci. Gli incontri tra demoni erano animati dalla presenza di streghe provenienti, si diceva, da Frisanco e Poffabro, dove di giorno assumevano sembianze umane e rassicuranti: in montagna, invece, a detta degli inquisitori, rendevano conto al diavolo delle loro malefatte. Scarmigliate, si raccoglievano in cerchio e ballavano calpestando una croce, esibivano i corpi dei neonati che dicevano di aver fatto esse stesse morire per consunzione, si davano a riti cannibaleschi.
Testimone dell’evento è un piccolo valligiano Mattia di Bernardone, trasportato nottetempo su un caprone volante al Plan di Malgustà dalla nonna: il bambino verrà sottoposto a un lungo processo dal tribunale della Santa Inquisizione (dal 1648 al 1650) e a molti altri abitanti
23
della valle vennero richieste deposizioni ufficiali, in una vera caccia alle streghe. Dopo due anni di processi, illazioni, accuse e appelli, il clamore scemò e tutto si dissolse in una bolla di sapone: nella città di Pordenone era scoppiato un caso analogo ma di proporzioni molto maggiori e la curia veneziana trovò più interessante volgere la sua attenzione, abbandonando ogni interesse per il piccolo Mattia e la condotta sospetta della nonna.
Poffabro è un museo a cielo aperto nel cuore della Val Colvera. La sua “forza magica” sta nell’effetto incantatore delle pietre tagliate al vivo e dei balconi di legno, elementi austeri che danno un senso di intimità e raccoglimento nelle corti racchiuse su se stesse, o nelle lunghe schiere di abitazioni di pianta cinque-seicentesca. Il bello del borgo sta proprio nell’umile realtà di pilastri, scale, ballatoi e archi insasso, in armonia perfetta con la natura circostante.
Punto centrale del percorso è la Val Colvera. Per la sua felice posizione – a metà tra il verde riparo delle Dolomiti Friulane e la non troppo lontana pianura – la Val Colvera è stata abitata fin dalla preistoria, come provano tracce di insediamenti umani rinvenuti in alcune delle grotte che costeggiano i suoi torrenti.
Proprio lungo il torrente, lambendo i "landri" che lo costeggiano e diversi inquietanti, nascosti antri scavati dalle acque del torrente e adibiti nell'antichità ai più svariati usi, si snoda il tratto centrale dell'escursione, il più interessante dal punto di vista naturalistico e il più divertente.
24
È un'escursione facile, per tutti, ma bellissima a dispetto della semplicità. Purtroppo gli arbusti, cresciuti selvaggiamente nella conca del Landri Scur, non permettono di apprezzare tutte le grotte che si intravedono sparse qua e là. Invece il Landri Viert è un'esplosione di rivoli, cascatelle, grotte, canyons, una gioia per gli occhi. Meritevole anche la piccola deviazione verso la località Buffui, il sentiero per arrivare e tornare è intersecato da torrenti più o meno grandi e non ci si annoia mai.
Come per tutti i percorsi che necessitano di guadi, è consigliabile non intraprendere questa escursione dopo periodi piovosi.
DATI TECNICI
Meta: Frisanco, Val Colvera (UD), Prealpi carniche
Lunghezza: 14,60 km
Dislivello: 420 m
Difficoltà: E
Altitudine massima: 642 m slm
Tipo di percorso: anello
Tempi netti: 6h 00m
Attrezzatura: normale da escursionismo
Carta: Tabacco 028
Traccia gpx: disponibile a richiesta
25
Le streghe del Tenchia
di Vincenzo Marino
Su le cime de la Tenca
Per le fate è un bel danzar, Un tappeto di smeraldo Sotto al cielo il monte par. [#giosuècarducci]
Cercivento è un punto di partenza ideale per escursioni e passeggiate più o meno impegnative, tutte in contesto naturalistico, ma conla presenza anche di siti di interesse storico, culturale e di tradizione locale. Uno di questi è il meraviglioso e magico percorso del Pian delle Streghe, un luogo avvolto dal mistero. Esso infatti trae il nome dalla leggenda, cantata anche dal Carducci, che narra degli incontri segreti tenuti in questo pianoro tra le streghe locali e quelle nordiche. Sui passi delle loro danze incantate si diceva sbocciassero in cerchi concentrici fiori d’aglio orsino.
In Carnia, come in genere in tutti i paesi di montagna, fino a non molto tempo fa, si viveva soprattutto di allevamento del bestiame. Attorno al villaggio c’erano i prati coltivati dai quali si ricavava il foraggio per l’inverno. Più in alto c’era la “mont”, la montagna, cioè i prati di mezza o di alta montagna, con gli stavoli nei quali si ricoveravano le mucche prima o dopo il periodo dell’alpeggio.
26
Un anziano paesano, seduto sulla panchina della piazzetta del paese, incuriosito dalla mia attività fotografica, mi fa cenno di raggiungerlo. Sbiascica qualche frase incomprensibile in lingua friulana con forte intonazione alcoolica. Sorrido facendo finta di avercapito, ma mi accorgo subito che è più furbo di quanto pensassi. Inizia a parlare in italiano, con la stessa intonazione alcoolica. Mi dice di chiamarsi Bruno e mi chiede se sono un giornalista, ma senza attendere risposta mi domanda se ho voglia di ascoltare una storia. Ovviamente non vedo l’ora di ascoltarlo e per non deluderlo non smentisco di occuparmi di giornalismo. Mi siedo al suo fianco e inizio a registrare.
Il Tenchia, la “mont” del paese di Cercivento era l’unica a non avere né stavoli né staipe, perché a Cercivento a differenza di tutti gli altri paesi c’era l’usanza di portarsi il fieno in paese, di giorno in giorno, d’estate nel periodo delle fienagione. Ma non perché quelli di Cercivento fossero meno organizzati degli altri. È che a Cercivento si guardava con paura al Tenchia! Se non fosse stato perché del fieno dei suoi prati si aveva assolutamente bisogno, per mantenere le bestie e far vivere la famiglia, tutti avrebbero fatto volentieri a meno d’andare a falciare sulla
27
montagna. Era una fatica improba doversi caricare i fasci di fieno sulla slitta e scendere fino in paese per poi risalire con la slitta in spalla sotto il sole di luglio, due o tre volte nello stesso giorno! Ma di fermarsi lassù la notte non era il caso di pensarci! E non era neppure il caso di lasciare lassù il fieno a lungo, sarebbe stato stregato… Si perché sul Tenchia ballavano le streghe! Nessuno le aveva viste. Ma tutti avevano potuto constatare di persona i cerchi che avevano lasciato nell’erba con i loro girotondi. Sul pianoro che prende il nome appunto di piano delle streghe capitava spesso alla mattina, dopo le notti nelle quali avevano infuriato i temporali, di vedere delle strisce di erba bruciata a forma di cerchio.
Era come se ci fosse stato un girotondo di tante persone, e l’erba sotto ai loro piedi non solo era stata calpestata ma si era avvizzita, bruciacchiata. Non c’era altra spiegazione possibile che nel girotondo delle streghe!
«Deve esserci un’altra la spiegazione! Per forza! Non fosse altro perché le streghe non esistono», continuava a
28
ribattere Pacifico. I suoi compaesani lo prendevano per pazzo e lo lasciavano dire. Pacifico che da giovane aveva fatto per molti anni l’emigrante in Romania, insisteva spiegando che anche lì aveva potuto constatare di persona come tutte le storie sul conte Dracula, fossero solo delle favole e anche questa storia non poteva corrispondere a verità.
Pacifico che a dispetto del nome era un uomo deciso e cocciuto si mise in testa di sfatare la leggenda. Visto che con le parole e con il ragionamento otteneva soltanto il risultato di essere preso per pazzo, decise di passare ai fatti: si mise a costruire sul Tenchia quello che oggi si chiamerebbe uno chalet. Cominciò i lavori a primavera. Da solo. Perché nessuno aveva voluto lasciarsi coinvolgere in quella che, si capiva, voleva essere una sfida alle streghe, da bravo muratore quale era, in un paio di mesi tirò su una casetta niente male. Ai primi di giugno cominciò ad abitarvi.
In paese evidentemente non si parlava d’altro, tutti l’avevano sconsigliato, avevano cercato di fermarlo, perché di
29
certo si stava mettendo in un brutto guaio Ora poi che era anche andato ad abitare sul Tenchia, tutti s’aspettavano di giorno in giorno di sapere quale sarebbe stata la vendetta delle streghe.
A dispetto di tutti i racconti a Pacifico tuttavia non capitava niente. Scendeva in paese ogni due o tre giorni, ma parlava soltanto dei tramonti incantevoli e delle notti piene di stelle che si potevano contemplare da lassù. I paesani tuttavia erano certi che la loro attesa non poteva andare delusa, era solo questione di tempo… ed infatti un mattino allo spuntar dell’alba, dopo una notte nella quale c’era stato un fortissimo temporale e sul Tenchia s’era scatenata una iradiddio di fulmini, lo videro arrivare trafelato.
«Le ho viste!»
«Cosa? Le streghe?»
«No, le Agàne»
«Cosa sono?»
«Non so»
Era l’ora in cui dalle case stava uscendo la gente per andare a falciare
30
in montagna, e in un momento tutto il paese fu attorno a lui che raccontava.
«Avete visto il temporale?»
Certo! Non s’erano mai visti tanti fulmini! Tutte le donne s’erano alzate ad accendere un ramoscello d’ulivo benedetto sulla porta di casa, e avevano guardato al Tenchia che pareva incendiarsi ed a lui lassù che aveva fatto la pazzia di fermarsi a dormire in mezzo all’incendio.
«Beh! Lassù ad ogni fulmine la montagna pareva tremasse come colpita da un terremoto. Avevi l’impressione, si potesse squarciare, andare in pezzi…»
Pacifico era sempre stato bravo nel raccontare, ma certo non doveva essere stato molto piacevole trovarsi in mezzo a tutti quei fulmini!
«Non esagero! Era un finimondo! Guardavo dalla finestra e devo dire che avevo paura. Non delle streghe, ma d’un fulmine che mi cadesse sulla casa e mi incenerisse. Avevo paura di morire! E ad un certo punto mi convinsi d’essere già morto e d’essere già nell’aldilà, quando un fulmine più forte degli altri si scaricò proprio sul prato davanti a me, ruotando su se stesso come una
31
matita che disegna un cerchio. Nel tempo fu un attimo, ma era come se fossi già nell’eternità e quell’attimo durò un tempo infinito. Il fulmine mi si trasformò in una sorta di processione di angeli o di fate non capivo bene, che scendeva dal cielo e si disponeva a cerchio sul prato. Era un cerchio, ma era costituito da una infinità di punti di luce, ed ogni punto di luce era in realtà una bellissima donna. Il cerchio prese a muoversi vertiginosamente lasciando uscire, come se fosse un disco, una melodia dolcissima. Cantavano. Ma non riuscivo ad afferrare il senso delle parole. Capivo soltanto in una sorta di ritornello che dicevano “siamo le Agane”… »
Quando il racconto di Pacifico giunse finalmente alle orecchio di Don Mattia il parroco di Sutrio che era un uomo colto e che sapeva tutto sulla storia della Carnia, il vecchio prete si precipitò a Cercivento per sentirlo raccontare di persona.
«Cosa sai delle Agane?»
«E’ un nome, se l’ho ben capito, che ho sentito per la prima volta, stanotte sul Tenchia. E lei, don Mattia?»
32
«E’ il nome delle fate dell’acqua. Nelle tradizioni di tanti paesi della Carnia si racconta della loro presenza. Ma prima del Concilio di Trento. Dopo nessuno ne ha mai più viste. Nessuno ne ha mai più parlato.»
Don Mattia era un uomo di fede, ma a lungo andare a forza di discutere con i suoi parrocchiani di Sutrio, era diventato anche un uomo di scienza. Come uomo di fede avrebbe dovuto limitarsi a dare a Pacifico una buona benedizione, come uomo di scienza voleva invece riuscire a capire. Se anche quel cristiano si fosse inventato tutto, come aveva potuto inventarsi persino quel nome, che diceva di non aver mai sentito prima! Gli chiese così se poteva passare la notte con lui lassù, ad aspettare il prossimo temporale.
Si era alla fine di giugno, il periodo in cui in Carnia i temporali si ripetono quasi quotidianamente. Infatti la sera stessa sul Tenchia ci fu un infuriare di fulmini ed un ribollire di tuoni ancora più spaventoso del finimondo della notte precedente.
33
Pacifico e don Mattia stavano alla finestra quando ad un certo punto Pacifico gridò:
«Le vede? Eccole!»
«Dio mio, perdonami, mormorò don Mattia, sono proprio le streghe. Sono orribili!»
«Ma come orribili non vede che sono bellissime?»
«Orribili!» continuava a ripetere stralunato don Mattia.
«Ma come orribili?» ripeté Pacifico e quasi a convincerlo prese la mano del prete scuotendola.
Al contatto con la mano di don Mattia la scena cambiò improvvisamente anche per lui. Quelle che aveva visto come bellissime fanciulle, erano diventate come d’incanto vecchie storpie con il viso rinsecchito che pareva quello delle mummie di Venzone.
All’alba, visto che comunque dovevano salire a falciare, il paese era tutto davanti alla casetta di Pacifico a sentire come era andata. Sentendo che anche don Mattia, pur non confermando completamente la versione di Pacifico, diceva comunque d’aver visto le
34
streghe, ed a sentire il discorso di Pacifico sulle fate che s’erano tramutate in streghe quando aveva preso la mano del prete, gli abitanti di Cercivento non sapevano più cosa pensare, se non mettersi a recitare scongiuri.
Don Mattia chiese loro di non dir nulla a nessuno, almeno per quel giorno. Si sarebbe fermato ancora una notte a dormire sul Tenchia per avere conferma di quello che aveva visto e poi ne avrebbe parlato con i suoi superiori e con il Vescovo. La notte seguente era quella di S. Giovanni. Sul Tenchia si scatenò l’inferno. La gente di Cercivento guardava in su e pregava. Ad un certo punto al piano delle streghe s’accese un enorme falò.
«Non c’erano dubbi», pensarono tutti: era lo stavolo di don Mattia che bruciava colpito da un fulmine…
All’indomani recuperando tra le macerie i poveri resti di don Mattia e di Pacifico, li trovarono affiancati vicino alla finestra. Chissà se avevano rivisto la scena? Chissà se anche don Mattia aveva visto le Agane?
Comunque sia andata, se prima gli abitanti di Cercivento avevano dei
35
dubbi se costruire o meno i fienili sul Tenchia, dopo la vicenda di Pacifico si confermò la convinzione che comunque quella fosse una montagna stregata. Finché non si arrivò ai giorni nostri, quando nessuno crede più a niente e tutti vedono solo quello che fa loro comodo. Nel frattempo sulla vetta del Tenchia sono stati posti dei ripetitori per i telefoni e le televisioni. I soliti ambientalisti, a suo tempo, si erano anche opposti sostenendo che i “campi magnetici avrebbero inquinato l’erba dei prati” . Ma dato che non c’era più nessuno che andava a falciare e raccogliere il fieno sul Tenchia, la protesta si smorzò subito davanti alle esigenze del progresso. Sono stati collocati degli enormi tralicci, forse poco estetici, ma protetti da potenti parafulmini che attraggono tutti i fulmini della montagna. A Cercivento si sostiene che è per merito del sacrifico di Pacifico e di don Mattia che con la loro morte hanno “scongiurato” le streghe. A Sutrio dove sono più laici, si sostiene che è per effetto del campo magnetico che ha allontanato i fulmini. Sta di fatto, che le streghe sul Tenchia non ci sono
36
più. Dormire sulla montagna non fa più paura a nessuno. Anzi, i primi che vi hanno dormito, hanno raccontato di benefici influssi. Ai maschi pare di sentirsi dentro il richiamo delle bellissime Agane ed hanno così delle performaces incredibili. Quelli di Sutrio continuano a dire che è solo l’effetto del magnetismo dei tralicci. Sia come sia, pare che a Cercivento si registri il più alto tasso di natalità in Carnia ��
L’escursione
Da Tolmezzo si imbocca la statale n.52 bis verso Arta e la si percorre fino al bivio a sinistra per Cercivento. Dopo avere sfiorato Sutrio si prosegue lungo la strada principale ma la si abbandona quasi subito per entrare a destra a Cercivento. Dal paese si risale la lunga e tortuosa rotabile che si alza sulle boscose pendici del monte Tenchia. Giunti alle distese prative del Pian delle Streghe si parcheggia presso il tornante a quota 1.524 (in seguito la strada si fa sterrata e sconnessa). Si prosegue a piedi lungo la stessa strada o, in alternativa, lungo il più ripido sentiero CAI 154, raggiungendo in circa un’ora l’osservatorio meteorologico sul Monte Tenchia (1.900 m.). La strada prosegue quindi in falsopiano fino a raggiungere in breve i laghetti di Zoufplan; è possibile proseguire ulteriormente lungo un sentiero ripido ma
37
breve che conduce alla vetta del Cimon di Crasuline (2.104 m.). Si rientra al punto di partenza lungo lo stesso percorso.
DATI TECNICI
Meta: Monte Tenchia e laghetti di Zoufplan
Lunghezza: 8,5 km
Dislivello: 580 m
Difficoltà: E
Altitudine massima: 2.000 m slm
Tipo di percorso: A/R
Tempi netti: 4h 15m
Attrezzatura: normale da escursionismo
Carta: Tabacco 09
Traccia gpx: disponibile a richiesta
38
Conclusioni (forse… )
di Vincenzo Marino
Non è necessario essere una stanza o una casa per essere stregata. Il cervello ha corridoi che vanno oltre gli spazi materiali. [#emilydickinson]
Siamo normalmente abituati a considerare l’Inquisizione come un fenomeno tipico del Medioevo. Ed è sbagliato. È vero che il primo tribunale dedicato a giudicare le cause legali di natura religiosa risalga al XIII secolo, ma l’Inquisizione che tutti noi conosciamo – quella dei processi, delle torture e delle condanne al rogo tanto per intenderci – svolse la sua massima attività tra Cinquecento e Seicento, in epoca moderna quindi. Chiariamo che vi furono vari tipi di Inquisizione: quella spagnola (forse la più tristementenotaacausadellasua disumanaferocia) che operò per 250 anni, tra il 1478 e il 1834; quella portoghese (1536-1821); ed infine quella romana, la cui attività iniziò con il Concilio di Trento (1542) e che ufficialmente è ancora attiva, benché con un altro nome, Congregazione per laDottrinadellaFede, e con ben altri scopi e soprattutto metodi.
Il Friuli Venezia Giulia fu ampiamente interessato dal fenomeno inquisitoriale, le biblioteche del
39
Sant’Uffizio di Trieste, Udine e soprattutto Venezia traboccano dei resoconti dei processi tenutisi in Regione e che hanno segnato indelebilmente la toponomastica e la cultura dei friulani.
Girando per i sentieri montani e per i borghi del Friuli, chiedendo alla gente anziana del luogo di raccontarti qualche storia del loro paese, ti accorgi chelacredenzanellarealeesistenzaeneipoteri delle streghe è rimasta in Regione fino a oggi. Le tracce, seppurlabili,sonoevidentinellepersone piùanziane e meno colte.
Un tempo, donne anziane, brutte o deformi, ma a volte anche giovani e “troppo” belle, erano ritenute la causa principale di malattie e morte di uomini e animali domestici, di disgrazie, carestie e calamità. Il malocchio, i rapporti con il demonio e il sabba periodico delle streghe erano considerati concretamente esistenti e operanti. In realtà si trattava di una modalità distorta del pensiero primitivo pre-scientifico, che portava a credere, senza ombra di dubbio, nella magia e cercava in determinate persone le origini delle loro disgrazie.
Della lotta alle streghe, in Friuli, si occupò fino al ‘800, il Tribunale della Santa Inquisizione, senza però discostarsi di molto dalla mentalità popolare e perseguitando migliaia di donne, solo raramente
40
però bruciate sul rogo e più spesso torturate o incarcerate.
La colpa di queste donne, dappertutto in Europa, non solo in Friuli, era solo di “essere streghe”. Una vera e propria “pulizia etnica” che tra il Cinquecento e il Settecento, costrinse all’estinzione le detentrici di un sapere tutto femminile. Il motivo era semplice: quelle che venivano considerate streghe erano donne che si erano tramandate di madre in figlia una conoscenza approfondita delle erbe e dei cicli della natura, del corpo umano e, non da ultimo, dei riti pagani pre-cristiani di Iside e Diana. La colpa di queste donne fu che non si riconoscevano nell’ufficialità maschile, “intoccabile”, di scienza e religione e perseguivano vie alternative. Erano donne libere, abili, autonome, non si adeguavano al modello femminile dominante del tempo e rappresentavano tutto quello che l’uomo (inteso come genere) dell’epoca non riusciva a spiegare. E forse ancora oggi continua a non riuscirci.
Il pensiero primitivo non è mutato di molto, ancora oggi le rappresentiamo brutte e sgraziate. D’altronde è una tattica comune quella di attaccare una donna sull’aspetto fisico quando la si vuole sminuire, ora lo chiamiamo body-shaming, ma nella sostanza non è cambiato nulla. Delle donne accusate di stregoneria non si temeva però l’esteriorità quanto il loro sapere,
41
un know-how che, malgrado roghi e persecuzioni, in qualche modo è sopravvissuto fino ai giorni nostri. Quelle donne considerate esseri immondi infatti erano in realtà persone colte, spesso appartenenti a ceti alti della società e comunque tutt’altro che sprovvedute. E allora proviamo a immaginare chi sarebbero oggi le “streghe”. Sarebbero donne colte, laureate probabilmente, caratterialmente forti e indipendenti, impegnate con successo in professioni competitive con l’universo maschile e spesso in professioni tese a fare star bene gli altri, usando anche conoscenze fuori dai canoni comuni.
Non usiamo più le torture fisiche o i roghi per eliminarle e per togliercele di mezzo dal nostro cammino, abbiamo metodi molto più raffinati: ricatti sessuali, foto paparazzate, social sexting (la nuova moda “social” estremamente pericolosa che non risparmia brutti guai a nessuno), post su Twitter o Facebook, articoli denigratori su quotidiani e rotocalchi allineati al pensiero unico, revenge porn, fangonarrativoecomeultima risorsa,infine,usiamo il femminicidio.
Trova le differenze ora.
42
Bibliografia
• Del Col Andrea, L’Inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo, Mondadori, Milano 2006.
• Del Col Andrea (a cura di), L’Inquisizione del Patriarcato di Aquileia e della diocesi di Concordia. Gli atti processuali, Istituto Pio Paschini – Eut, Udine-Trieste 2009.
• Minchella Giuseppina, “Porre un soldato all’Inquisizione”. I processi del Sant’Ufficio nella fortezza di Palmanova, 1595-1669, Eut, Trieste 2009.
• Montechiarini Monia, Streghe, eretici e benandanti del Friuli Venezia Giulia. Processi, rituali e tradizioni di una terra magicaIntermedia Edizioni, Orvieto (TR) 2021
• Bruno
43
«A tanta gente non devi porgere la mano ma solo la zampa: e voglio che la tua zampa abbia anche artigli. Ma il peggior nemico che puoi incontrare sarai sempre tu per te stesso; tu stesso ti tenderai l'agguato in caverne e foreste. Solitario, tu vai per la via che porta a te stesso! E la tua via passa davanti a te stesso e ai tuoi sette demoni! Sarai eretico per te stesso e strega e indovino e buffone e dubitatore ed empio e malvagio.»
[Friedrich Nietzsche - Così parlò Zarathustra]