Speciale IBE 2023
Anno III n. 5 - supplemento a www.newsimpresa.it DIFFUSIONE GRATUITA Rivista di Economia, Mercati, Tecnologie, Management e Formazione
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Homo Sapiens e Intelligenza Artificiale
ottobre | duemilaventitre
19.10.23
Agenda 09.30 Benvenuto
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A. Sianesi | Presidente Fondazione Politecnico di Milano
09.40 Lo scenario AI di MindUP M. Fucci | MindUp Pentaconsulting
10.00 AI: cambia qualcosa nel Processo di Sviluppo Prodotto? G. Colombo | Politecnico di Milano
10.20 Riutilizzo intelligente dei componenti: risparmio economico e green assicurato L. Borghi | CADENAS Italiana
10.40 L’impatto dell’AI sul mercato italiano, un messaggio chiaro alle nostre aziende R. Filipelli | Microsoft Italia
11.00 La necessità dell’Intelligenza Artificiale per un nuovo modello di crescita sostenibile e duratura R. Siagri | CEO Rotonium
11.20 Intelligenza Artificiale e PMI: opportunità e sfide emerse dalla mappatura del Digital Innovation Hub P. Petrali | Digital Innovation Hub Lombardia
11.40 AI impatti legislativi-normativi
S. Quintarelli | IT Institution Advisor
12.00 L’uomo al centro? Industry 5.0 ma non solo servono volontà e capacità di agire M. Maiocchi | OPDIPO
12.20 Dibattito Interattivo e Panel 12.50 Business Lunch
Organizzato da
In Collaborazione con
Edittoriale
AI, il RINOCERONTE GRIGIO ALL’ORIZZONTE Tutto sembra ruotare attorno
Un fenomeno di cui non si può
all’AI. Tutti si sono espressi:
non tener di conto da parte
istituzioni, governi, i Big dell’in-
delle aziende. Diverse le preoc-
formatica e dintorni, gli analisti
cupazioni relative alla sicurezza
(buoni ultimo come al solito).
ed alla privacy, all’urgenza di
L’Unione Europea definisce una normativa che regoli in modo più severo l’intelligenza artificiale (AI Act). Il presidente degli Stati Uniti Biden si incontra con i rappresentati di Amazon, Anthropic, Google, Inflaction, Meta, Microsoft, Open AI e Oracle con cui ha discusso di etica e responsabilità. A ciò si aggiungono, da un lato, il report del World Economic Forum sull’impatto dell’AI nel mondo del lavoro, dall’altro la continua comunicazione da parte dei big vendor – ma non solo-basata su annunci di inteMassimo FUCCI Direttore Responsabile
grazione dell’AI nelle soluzioni
massimo.fucci@pentaconsulting.it
ni di aziende nate in campo AI.
proposte o relative ad acquisizio-
regolamentazione, all’impatto occupazionale. Finirà tutto in una bolla? Oppure l’Intelligenza Artificiale rappresenta un rinoceronte grigio di dimensioni talmente grandi, per cui non lo si vede di proposito, per non doverlo affrontare e strutturarsi di conseguenza? Come al solito va affrontato il cambiamento in modalità strutturata e continua. Una faticaccia ma non è possibile evitarla.
Sommario 03
Edittoriale
AI, il rinoceronte grigio all’orizzonte
Cover
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Speciale IBE 2023 Memorial Umberto Cugini
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Riutilizzo intelligente dei componenti: risparmio economico e green assicurato
EDITORE Pentaconsulting Srl Piazza Caiazzo, 2 - 20124 Milano Tel. 02 39523808 pentaconsulting@pentaconsulting.it
L’impatto dell’AI sul mercato italiano un messaggio chiaro alle nostre aziende
Direttore Responsabile
Massimo Fucci massimo.fucci@pentaconsulting.it
Content
Redazione NewsImpresa
Progetto Grafico
ottobre duemilaventitre
mcquadro studio creativo campanagrafica@gmail.com
Mindup magazine Speciale IBE 2023
n. 07 ottobre 2023 - anno III supplemento a www.newsimpresa.it diffusione gratuita
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Fondazione Politecnico di Milano, veicolo di cultura in Italia e nel mondo
AI: il RINOCERONTE GRIGIO all’orizzonte?
AI: cambia qualcosa nel Processo di Sviluppo Prodotto?
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La necessità dell’Intelligenza Artificiale per un nuovo modello di crescita sostenibile e duratura
Intelligenza Artificiale e PMI: opportunità e sfide emerse dalla mappatura del Digital Innovation Hub.
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L’uomo al centro? Industry 5.0 ma non solo
Industria 5.0: cosa è e come cambierà le strategie aziendali
L’AI nelle aziende ridefinisce le regole del gioco ed impone scelte ed azioni specifiche, integrate e multidirezionali. Attenzione: il tutto in tempo utile.
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Fondazione Politecnico di Milano, veicolo di cultura in Italia e nel mondo Fondazione Politecnico di Milano opera in un contesto sinergico con le aziende e gli enti da oltre vent’anni e ha raggiunto obiettivi importanti che rappresentano il trampolino di lancio verso nuove sfide.
Nelle diverse classifiche il Politecnico di Milano si pone in assoluta rilevanza. Una delle entità che ha contribuito e continua a contribuire al buon grado di reputazione è senza dubbio Fondazione del Politecnico di Milano.
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Prof. Andrea Sianesi, Presidente di Fondazione Politecnico di Milano
Abbiamo chiesto al Prof. Andrea Sianesi Presidente di Fondazione Politecnico di Milano di farci il punto della situazione attuale e di fornirci alcune indicazioni sulle sfide del futuro. In un contesto di Ateneo tra i più ambiti in Italia e non solo, Fondazione come si colloca nei confronti delle aziende e del territorio? Fondazione ha stretto forti legami con il territorio, con le aziende e con le pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di portare valore all’Università e individuare nuove opportunità di sviluppo e frontiere inedite. Quest’anno Fondazione Politecnico di Milano compie vent’anni. Un traguardo importante raggiunto a fianco del Politecnico di Milano, che l’ha voluta per aiutare lo sviluppo della Terza Missione dell’Università. Oggi vogliamo supportare la trasformazione tecnologica e sociale con una nuova sensibilità basata sulla consapevolezza dell’impatto delle nostre scelte, privilegiando la sostenibilità in termini sociali, ambientali ed economici.
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Dalla sua nascita, Fondazione ha sempre creduto che la sinergia tra mondo industriale ed universitario rappresenti uno strumento ad alto potenziale per permettere di trasformare la ricerca e l’innovazione in risultati socioeconomici concreti. Oggi siamo impegnati nella promozione di ricerca e innovazione attraverso partnership industriali multi-attore. Si tratta di ecosistemi di cooperazione finalizzati ad innovare e creare capacità tecnologica e industriale sul territorio nazionale ed europeo, favorendo la diversificazione e il dinamismo in diversi settori industriali. In questo scenario nascono le Joint Research Partnership (JRP), piattaforme di ricerca congiunta tra università e aziende per favorire la competitività e la crescita delle imprese e dare impulso alla creazione di filiere dedicate su temi strategici. Ad esempio, la Hydrogen JRP mira a contribuire attivamente alla transizione verso un’economia a emissioni zero, attraverso lo sviluppo di progetti di ricerca trasversale multisettore nel campo dell’idrogeno. Un altro esempio è la JRP Healthcare Infrastructures che studia misure
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innovative per efficientare la cura e il benessere dei pazienti e di tutti coloro che gravitano attorno alla filiera della sanità, favorendo la transizione da un modello esclusivamente ospedale-centrico a un modello sostenibile centrato sulle esigenze del paziente. In un contesto macroeconomico variegato, il tema dell’internazionalizzazione quanto è importante per Fondazione? Quali sono i risultati importanti ottenuti e quali sono le strategie per il prossimo futuro? La vocazione all’internazionalizzazione è da sempre un asse portante di Fondazione, testimoniata dalla partecipazione ai bandi europei per valorizzare la ricerca del Politecnico. Oggi esportiamo l’eccellenza e la ricchezza dei saperi dell’Ateneo nel mondo, uscendo dai confini europei per valorizzare la ricerca scientifica e il sistema industriale nazionale. E lo facciamo attraverso l’esplorazione di opportunità che arrivano da fuori Europa: progetti con realtà importanti come World Bank e altre grandi istituzioni multilaterali come l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (UNIDO). Poi ci sono i progetti emblematici.
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Uno di questi è stato Innovation House a Dubai, che ha implementato il modello del Fuori Salone in occasione dell’Expo 2020, manifestazione svoltasi per la prima volta nella sua storia in un paese arabo. Un laboratorio di idee e innovazione progettato da Fondazione Politecnico di Milano, Regione Lombardia e Politecnico di Milano. Da ottobre 2021 a marzo 2022, Innovation House ha offerto numerose opportunità di networking, esperienze live e da remoto, e momenti di scambio con l’obiettivo di consolidare la sinergia tra industria, università e istituzioni per garantire nuovi mercati alle imprese lombarde e italiane.
Fondazione Politecnico di Milano nasce nel 2003 per volontà del Politecnico di Milano, delle principali istituzioni delle città sede dei poli territoriali di Ateneo e della Regione Lombardia, con il supporto di alcune importanti realtà imprenditoriali.
Nel 2022 è nata invece FPM.US, una Fondazione di diritto americano istituita per potenziare la rete del Politecnico di Milano in Nord America e supportare le missioni dell’Ateneo (formazione, ricerca e impatto sociale), appoggiandosi a uno dei suoi maggiori asset: gli Alumni. La Fondazione offre l’opportunità agli Alumni oltre oceano di contribuire in modo diretto allo sviluppo futuro del Politecnico di Milano, sui fronti dell’internazionalizzazione, dell’innovazione didattica, del trasferimento tecnologico, della ricerca e del sostegno economico a progetti e borse di studio.
Grazie a un’esperienza ventennale a supporto dell’Ateneo sostiene la creazione di imprese e sviluppa progetti di innovazione in un’ottica internazionale per esportare l’eccellenza del Politecnico di Milano nel mondo. Dal 2008 Fondazione gestisce l’incubatore del Politecnico di Milano, PoliHub Innovation Park & Startup Accelerator.
FPM.US è una charity, uno strumento di fundraising che permetterà di replicare negli Stati Uniti le raccolte fondi che l’Ateneo già promuove in Italia oltre che finanziare progetti specifici per il territorio, come ad esempio borse di studio, progetti didattici e di ricerca. Una sua seconda linea d’azione va nella direzione di potenziare la cooperazione bilaterale tra i due Paesi per la ricerca scientifica, sviluppando progetti congiunti sia con centri di ricerca di eccellenza che con aziende. ESA BIC Milan, nato quest’anno, è invece il nuovo polo della rete italiana degli ESA Business Incubation Centre. Il polo, nato dalla sinergia tra l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l’Incubatore del Politecnico di Torino (I3P), è gestito da Polihub in collaborazione con Fondazione. L’obiettivo è posizionare sempre di più l’Italia come hub innovativo per l’imprenditorialità legata allo spazio a livello internazionale.
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Fondazione ha identificato delle linee strategiche con il compito di esportare l’eccellenza del Politecnico nel mondo: innovazione e cooperazione industriale, internazionalizzazione e imprenditorialità. Accanto a queste, le linee strategiche con il compito di alimentare il Politecnico di opportunità: cultura, capitale umano, STEAM e sviluppo territoriale.
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In questi anni Fondazione è stata partner di riferimento di Industry Big Event (IBE), l’evento sviluppato da Massimo Fucci di Pentaconsulting che anticipa il futuro ora anche memorial al Prof. Umberto Cugini, Fondatore di IBE. Ci da una sua opinione in merito a questo evento? Umberto Cugini è stato un grande innovatore e quindi per Fondazione è un onore supportare l’organizzazione di eventi su temi a lui cari. Da anni oramai IBE raduna imprese di molti settori differenti, a testimonianza dell’importanza e dell’impatto strategico degli argomenti trattati. L’organizzazione è in grado di generare un percorso in cui comprendere, prevedere e anticipare i trend di innovazione in campo tecnologico e industriale è infatti cruciale per la competitività delle imprese. Le tecnologie sono destinate e cambiare per sempre le nostre vite e lo faranno sempre più velocemente. Dobbiamo imparare (la pandemia globale lo ha dimostrato) a convertire qualsiasi minaccia in opportunità e trovare nuove modalità di adattamento. Questo vale soprattutto per le aziende. Quelle che sono sopravvissute hanno saputo adattarsi al cambiamento senza timore di modificare i loro piani. Il tema che sarà fondamentale nei prossimi anni è quello ambientale, in ottica di un futuro decarbonizzato. La ricerca e la sinergia tra mondo accademico e imprese saranno
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essenziali per raggiungere risultati sempre più all’avanguardia. Cosa vorrebbe venisse realizzato in un prossimo futuro da parte di Fondazione? Fondazione è nata vent’anni fa e si è posizionata come un organismo al servizio del Politecnico di Milano che ha facilitato le tre missioni dell’Università: formazione, ricerca e trasferimento tecnologico. Stiamo sviluppando progetti dove oggi l’Ateneo non c’è, attraverso la collaborazione con gli organismi multilaterali, fornendo servizi alle imprese per la partecipazione a bandi del Ministero dello sviluppo economico e sviluppando progetti che richiedono una gestione complessa, come con le Joint Research Partnership. Queste rappresentano uno strumento di condivisione di informazioni, strategie, rischi ed investimenti, aspetti fondamentali per condurre non solo ricerche su tecnologie innovative, ma anche e soprattutto per accompagnare le imprese all’innovazione sostenibile ed etica, attraverso progettualità trasversali e laboratori che estendano la prospettiva dell’innovazione da tecnica a sociale. Un esempio è la sensibilizzazione sull’importanza della cultura STEAM, che supportiamo con percorsi di orientamento scolastico e innovazione alla didattica con l’obiettivo di sviluppare strumenti e competenze fondamentali per affrontare le sfide future.
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AI: il RINOCERONTE GRIGIO all’orizzonte? L’intelligenza artificiale deve essere un argomento focus per le istituzioni, per le aziende e per ciascuno di noi, diversi gli elementi chiave in gioco: la democrazia, la sicurezza e privacy, l’impatto occupazionale.
Saremo in grado di gestire questo nuovo elemento tecnologico? Finirà tutto in una bolla? L’intelligenza Artificiale rischia di diventare il classico rinoceronte grigio, ma di dimensioni talmente grandi, che non lo si vuole vedere di proposito per non doverlo affrontare e strutturarsi di conseguenza.
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Massimo Fucci, General Manager MindUp Pentaconsulting
Le metafore a base di animali in un contesto aziendale/manageriale sono diverse. Tra queste possiamo annoverare Il “cigno nero”, reso celebre dal matematicoeconomista Nassim Taleb, dopo la crisi finanziaria del 2008, un evento statisticamente molto improbabile, e che tuttavia, quando accade, ha un enorme potenziale destabilizzante. Ad esempio, la pandemia di COVID-19. L’elefante nella stanza in un certo senso è l’esatto contrario: è un problema gigantesco, ingombrante, e ben visibile a tutti, che però viene volutamente ignorato perché crea imbarazzo. La metafora del “rinoceronte grigio” si può collocare a metà strada fra il cigno nero e l’elefante nella stanza. Il rinoceronte grigio è anch’esso una minaccia molto grossa e molto visibile; tuttavia, i numerosi segnali che lo preannunciavano vengono ignorati. Quindi, di fatto, ci si trova in una situazione di pericolo da affrontare a fenomeno già avvenuto. Cerchiamo di comprendere se la prorompente tecnologia dell’intelligenza artificiale possa avere i connotati del rinoceronte grigio ed analizziamo alcuni fatti. Da un lato le istituzioni si stanno (pre) occupando delle possibili applicazioni dell’Intelligenza Artificiale. Non sono più i tempi di Oppenheimer laddove il dubbio in merito all’impiego delle innovazioni potenzialmente pericolose, o presunte tali, poteva instillarsi solo nella mente dello scienziato e, al massimo, dei suoi più stretti collaboratori. In particolare, sull’AI a livello istituzionale, si sono già mossi sia gli Stati Uniti, sia l’Unione Europea in merito
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all’uso e all’impatto delle possibili applicazioni, l’obiettivo è comune: definire una strada che porti a fissare limiti e comunicazione efficace affinché l’innovazione sia responsabile. L’amministrazione Biden-Harris si è mossa su due fronti per dare una risposta a dubbi e preoccupazioni. In primo luogo, ha chiesto impegni volontari da parte delle principali società di intelligenza artificiale per la gestione dei rischi posti dagli utilizzi. Gli impegni volontari dovranno garantire la sicurezza, la protezione e la fiducia in merito all’utilizzo responsabile dell’intelligenza artificiale. Il secondo fronte riguarda l’impegno a sviluppare una legislazione bipartisan per garantire la sicurezza degli americani in merito all’utilizzo di applicazioni basate su AI. Il tema comune sta nella precisa consapevolezza che le aziende che stanno sviluppando queste tecnologie emergenti hanno la responsabilità di garantire che i loro prodotti siano sicuri. Di fronte ai membri dell’amministrazione, i rappresentanti di Amazon, Anthropic, Google, Inflaction, Meta, Microsoft e OpenAI si sono impegnati a: testare i propri sistemi AI prima del rilascio; condividere informazioni sulla gestione dei rischi AI con governi, società civile e università; facilitare l’individuazione e la segnalazione di vulnerabilità nei sistemi AI da parte di terzi, rendere note le capacità, i limiti e le aree di uso inappropriato dei propri sistemi AI; fornire strumenti in grado di riconoscere i contenuti generati da applicazioni AI. L’Unione Europea ha fatto un passo significativo (a questo punto prima degli USA) verso l’approvazione di
Le metafore a base di animali in un contesto aziendale/manageriale sono diverse. Tra queste possiamo annoverare Il “cigno nero”, reso celebre dal matematico-economista Nassim Taleb, dopo la crisi finanziaria del 2008, un evento statisticamente molto improbabile, e che tuttavia, quando accade, ha un enorme potenziale destabilizzante. Ad esempio, la pandemia di COVID-19. L’elefante nella stanza in un certo senso è l’esatto contrario: è un problema gigantesco, ingombrante, e ben visibile a tutti, che però viene volutamente ignorato perché crea imbarazzo. La metafora del “rinoceronte grigio” si può collocare a metà strada fra il cigno nero e l’elefante nella stanza. Il rinoceronte grigio è anch’esso una minaccia molto grossa e molto visibile; tuttavia, i numerosi segnali che lo preannunciavano vengono ignorati. Quindi, di fatto, ci si trova in una situazione di pericolo da affrontare a fenomeno già avvenuto. Cerchiamo di comprendere se la prorompente tecnologia dell’intelligenza artificiale possa avere i connotati del rinoceronte grigio ed analizziamo alcuni fatti. Da un lato le istituzioni si stanno (pre) occupando delle possibili applicazioni dell’Intelligenza Artificiale. Non sono più i tempi di Oppenheimer laddove il dubbio in merito all’impiego delle innovazioni potenzialmente pericolose, o presunte tali, poteva instillarsi solo nella mente dello scienziato e, al massimo, dei suoi più stretti collaboratori. In particolare, sull’AI a livello istituzionale, si sono già mossi sia gli Stati Uniti, sia l’Unione Europea in merito all’uso e all’impatto delle possibili applicazioni, l’obiettivo è comune: definire una strada che porti a fissare
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limiti e comunicazione efficace affinché l’innovazione sia responsabile. L’amministrazione Biden-Harris si è mossa su due fronti per dare una risposta a dubbi e preoccupazioni. In primo luogo, ha chiesto impegni volontari da parte delle principali società di intelligenza artificiale per la gestione dei rischi posti dagli utilizzi. Gli impegni volontari dovranno garantire la sicurezza, la protezione e la fiducia in merito all’utilizzo responsabile dell’intelligenza artificiale. Il secondo fronte riguarda l’impegno a sviluppare una legislazione bipartisan per garantire la sicurezza degli americani in merito all’utilizzo di applicazioni basate su AI. Il tema comune sta nella precisa consapevolezza che le aziende che stanno sviluppando queste tecnologie emergenti hanno la responsabilità di garantire che i loro prodotti siano sicuri. Di fronte ai membri dell’amministrazione, i rappresentanti di Amazon, Anthropic, Google, Inflaction, Meta, Microsoft e OpenAI si sono impegnati a: testare i propri sistemi AI prima del rilascio; condividere informazioni sulla gestione dei rischi AI con governi, società civile e università; facilitare l’individuazione e la segnalazione di vulnerabilità nei sistemi AI da parte di terzi, rendere note le capacità, i limiti e le aree di uso inappropriato dei propri sistemi AI; fornire strumenti in grado di riconoscere i contenuti generati da applicazioni AI. L’Unione Europea ha fatto un passo significativo (a questo punto prima degli USA) verso l’approvazione di una normativa che regoli gli strumenti di intelligenza artificiale: lo scorso 11 maggio i legislatori hanno espresso un voto decisivo per concordare un dise-
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gno per governare l’AI: l’attesissimo AI Act che rappresenta la prima legislazione completa al mondo per disciplinare l’intelligenza artificiale. Un accordo delicato in cui viene introdotta una classificazione degli strumenti di AI in base al livello di rischio percepito con obblighi diversificati per aziende e PA a seconda del rischio evidenziato. Una soluzione di compromesso che regolerebbe l’intelligenza artificiale in modo proporzionato, proteggendo i diritti civili e stimolando l’innovazione e l’economia. Tra i paletti introdotti: l’uso del riconoscimento facciale negli spazi pubblici, l’impiego di sistemi biometrici con dati sensibili (genere, razza, etnia, religione, orientamento politico) così come la regolamentazione degli strumenti di polizia predittiva con nuove misure di trasparenza rivolte alle applicazioni di intelligenza artificiale. A ciò va aggiunto che in molte aziende di riferimento mondiale i responsabili dello sviluppo dell’AI hanno dato messaggi di monito ed avvisaglie che necessitano di particolare attenzione, anche Elon Mask ha mandato messaggi di monito in merito. Leggendo rapporti emessi da Gartner i rischi dell’AI generativa sono diversi, a partire delle fake o peggio deep fakenews; infatti, i dati opportunamente (malignamente) addestrati possono portare a deduzioni/decisioni distorte e sbagliate, proprio perché le risposte appaiono sempre credibili e affidabili, soprattutto ai non conoscitori del tema in oggetto. La privacy dei dati in azienda diventa un problema ancora più serio perché i dipendenti possono facilmente esporre dati aziendali sensibili e proprietari quando interagiscono con soluzioni di chatbot di AI generativa, a cui si aggiungono problemi di diritto d’autore. Infatti, le chatbots di intelligenza artificiale generativa vengono adde-
strate su una grande quantità di dati presi dal Web, compresi quelli protetti da copyright, violando, di fatto, diritti o proprietà intellettuale. Un altro campanello di allarme viene dal Future of Jobs Report 2023 del World Economic Forum che ha rilevato che l’AI generativa dovrebbe essere adottata da quasi il 75% delle aziende, e questo porterà conseguenze importanti nel mondo del lavoro: alcuni ruoli impiegatizi- ma non solo- sono destinati ad una progressiva ed inesorabile estinzione, mentre cresceranno altre figure specializzate. In questo contesto, in Italia, l’Università di Pisa già oggi, ha definito il Dottorato nazionale in Intelligenza Artificiale, coordinato assieme al CNR, e con due lauree magistrali nel settore, una presso il dipartimento di Informatica e una presso il dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, ed accelera sull’Intelligenza Artificiale grazie a fondi di Ateneo e PNRR sviluppando il progetto SoBigData. Satya Nadella- ceo di Microsoft- afferma che l’AI è qui per restare. Sembra che Nadella sia particolarmente orientato dall’uso dell’AI e ne intraveda le capacità crescenti a supporto del business dell’azienda. Non a caso, Bing è rinato grazie all’accordo con OpenAI che ha permesso a Microsoft di inserirsi nel boom dell’intelligenza artificiale.
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Amazon sembra avere una strategia diversa: invece di concentrarsi sui propri modelli di fondazione, mira a costruire un mercato dove tutti i modelli di fondazione possono essere accessibili implementando un sistema che guadagna rendendo semplice per i clienti eseguire ogni modello AI. YouTube introduce il supporto dell’intelligenza artificiale per migliorare il doppiaggio dei video. Aloud, uno strumento disponibile solo in inglese, spagnolo e portoghese, consente di
trascrivere e tradurre l’audio e generare il doppiaggio. Mauro Macchi, Amministratore Delegato di Accenture Italia, alla presentazione del report Technology Vision 2023, “When Atoms Meet Bits: The Foundations of Our New Reality”, ha affermato che l’Italia ha una grande opportunità di raggiungere i livelli di produttività dei principali paesi, aumentando l’adozione delle tre tecnologie chiave delle organizzazioni: cloud, big data e intelligenza artificiale. L’IA, se adottata correttamente dalle imprese italiane, favorirà la creazione di 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro in molteplici settori. Nei prossimi anni fino al 40% di tutte le ore lavorative sarà supportato o potenziato dall’intelligenza artificiale basata sul linguaggio, conosciuta anche come AI generativa, ma 9 milioni di italiani avranno bisogno di formazione per poterne sfruttare le qualità. Questa è la vera sfida dei prossimi anni. Allo stesso tempo, Bild licenzia 200 persone e le sostituisce con l’AI prospettando, di fatto, il rapido passaggio da una redazione fisica ad una completamente virtuale. IBM a Wimbledon sperimenta i commentati con l’AI. I commenti generati dai modelli WatsonX di IBM, permetteranno ai fan di apprezzare appieno gli highlights con maggiori informazioni e descrizioni. Tutto ciò porta a pensare che i progressi nell’AI generativa rappresenteranno così un punto di svolta anche per il mondo del lavoro e per l’istruzione, a cui dovranno rispondere governi, datori di lavoro, educatori, scuola e università. Dunque, l’AI rappresenta un vero rinoceronte grigio?
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AI: cambia qualcosa nel Processo di Sviluppo Prodotto? Nei mesi scorsi il grande pubblico ha conosciuto l’Intelligenza Artificiale (AI) per lo scalpore suscitato dalla decisione del Garante della Comunicazione di bloccare l’utilizzo di ChatGPT sul territorio nazionale, decisione successivamente revocata.
È stata l’occasione che ha consentito a un numero elevatissimo di persone di venire a conoscenza di termini quali ChatGPT, AI generativa, Machine Learning, Reti Neurali e altri, fino ad allora dominio esclusivo di pochi esperti. La curiosità ha spinto tanti a cercare di capire di più di un mondo affascinante, quello dell’AI, che sembra promettere evoluzioni mirabolanti.
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Giorgio Colombo, Professore presso Politecnico di Milano
L’Intelligenza Artificiale non è però una disciplina nuova, è nata ma parecchi anni fa: nel 1956 secondo certe ipotesi. Un ricercatore italiano molto noto nel settore, Marco Somalvico, l’ha definita come “quella disciplina, appartenente all’informatica, che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che permettono di progettare sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico delle prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana”.
dell’AI come disciplina viene datata nel 1956, associata al seminario estivo presso il Dartmouth College organizzato da J. McCarthy, M. Minsky, N. Rochester e C. Shannon. Nel 1958 Minsky e McCarthy crearono il gruppo di AI del MIT che, con analoghi gruppi alla Stanford e alla Carnegie-Mellon, scrissero i primi capitoli della storia di questo dominio dell’Informatica. Minsky viene unanimemente considerato il padre dell’AI.
Il merito del nome Artificial Intelligence è attribuito a John McCarthy, che l’avrebbe coniato verso la metà degli anni ’50. La nascita ufficiale
L’evoluzione dell’AI è segnata dalla realizzazione di sistemi hardware e software. In ambito software, si ricorda il ruolo di primo piano del linguaggio LISP, inventato nel 1959 da McCarthy; furono realizzate macchine appositamente progettate per applicazioni LISP, a suo tempo famosa quella di Symbolics. Ancora di quegli anni (1958) fu la prima rete neurale, caratterizzata da un unico strato di neuroni, il PERCEPTRON; inventata da Rosenblatt, accolta dapprima con grande favore, fu praticamente abbandonata dopo che lo stesso Minsky ne evidenziò i limiti. Solo dopo un certo numero di anni si tornò a lavorare sulle reti, però con più strati di neuroni, avendo superato i problemi computazionali che ne avevano limitato lo sviluppo in precedenza. Negli anni ’70-‘80
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Può essere utile fissare alcune date e scrivere in grassetto i nomi di coloro che possono essere ritenuti i fondatori della disciplina, per avere un’idea temporale dello sviluppo del dominio scientifico e ingegneristico. Il famoso test di Turing sulla definizione di macchina intelligente fu proposto in una pubblicazione del 1950; lo SNARC (Stochastic Neural Analog Reinforcement Calculator), il primo elaboratore a rete neurale, venne realizzato da M. L. Minsky e da D. Edmonds nel 1951.
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ebbero grande rilevanza i Sistemi Esperti, applicazioni basate su basi di conoscenza e motori inferenziali che incontrarono grande successo in determinati ambiti applicativi, per esempio la diagnosi di patologie e la manutenzione di macchine. L’AI ha avuto un’evoluzione “lenta” con un’esplosione negli ultimi anni; ha sviluppato numerosi strumenti che hanno avuto e hanno applicazioni in svariati domini applicativi quali la medicina, la robotica, i veicoli autonomi, l’automazione industriale, l’elaborazione di immagini, la manutenzione, l’integrazione di sistemi nell’ottica di Industria 5.0.
LE APPLICAZIONI “INTELLIGENTI” NELLO SVILUPPO PRODOTTO Se l’obiettivo dell’AI era ed è quello di realizzare macchine intelligenti in grado di eseguire compiti cognitivi, non esclusivamente computazionali, come un essere umano, la progettazione di prodotti di largo consumo e industriali non poteva non essere un dominio di sperimentazione.
grafica. Si ricordano le applicazioni riguardanti la progettazione di circuiti elettronici; il primo dominio applicativo dove si è iniziato a parlare di Design Automation è stato quello del mondo VLSI. Nella seconda metà degli anni ’80 si sono delineate linee di ricerca specifiche su quello che venne chiamato “Intelligent CAD”. Sempre in quegli anni la tecnologia cominciò a proporre sistemi CAD, anche 3D, “parametrici”, in grado di gestire molte più informazioni sulla struttura del disegno o del modello tridimensionale. Per questi programmi si svilupparono linguaggi di programmazione che permettevano di gestire la modifica o il dimensionamento del pezzo disegnato o modellato. Un approccio alternativo vide l’integrazione di fogli di calcolo elettronici e disegni parametrici; utilizzando le funzioni tipiche di un foglio elettronico è facile rappresentare i criteri e le regole di dimensionamento di parti e semplici assiemi.
Nello sviluppo prodotto un ruolo fondamentale spetta alla grafica e al disegno; bisogna attendere i primi anni ’60, con la tesi di dottorato di I. Sutherland, per festeggiare la nascita della grafica a calcolatore e dei sistemi CAD. Negli anni successivi, lo sviluppo di sistemi CAD dotati di un linguaggio di programmazione proprietario favorì la realizzazione di applicazioni intelligenti che integravano le fasi di calcolo e dimensionamento con la documentazione
Negli anni ’90 i sistemi di modellazione 3D sostituirono i sistemi di drafting; divennero di uso comune sistemi basati su “feature” parametriche in grado di gestire assiemi complessi, basati su vincoli geometrici tra le parti, anch’essi caratterizzati da parametri modificabili. L’utilizzo di un foglio di calcolo elettronico o di un linguaggio di programmazione rese possibile lo sviluppo di applicazioni in grado di dimensionare, verificare, modificare un sistema meccanico di una certa
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complessità a fronte della modifica di pochi requisiti progettuali. L’”intelligenza” era rappresentata in modo algoritmico e non era possibile alcuna forma di apprendimento del sistema. Nel frattempo, nella seconda metà degli anni ’80 erano apparsi strumenti per lo sviluppo prodotto con connotazioni “intelligenti” più marcate, identificati dall’acronimo KBE (Knowledge Based Engineering). I primi esemplari furono ICAD® e The Concept Modeller® ed erano piattaforme di sviluppo che consentivano la rappresentazione delle regole e dei criteri di progettazione mediante un linguaggio di programmazione Object-Oriented, tecnologia nata nel mondo AI. Il linguaggio Object-Oriented era integrato da un kernel di modellazione e da strumenti per definire interfacce grafiche collegare programmi esterni quali data base, modellatori, fogli elettronici e via dicendo. Il linguaggio di programmazione e le modalità di integrazione di strumenti software esterni hanno costituito i limiti che hanno circoscritto le applicazioni KBE nel mondo industriale esclusivamente alle grandi aziende, con elevate risorse umane e finanziarie. Applicazioni di questo tipo vengono sviluppate e utilizzate tuttora, con implementazioni cloud e architetture a microservizi ma l’attenzione di ricercatori e sviluppatori è ormai decisamente indirizzata verso nuove tecnologie dell’AI.
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LE NUOVE FRONTIERE DELL’AI NELLO SVILUPPO PRODOTTO Machine learning, Reti Neurali, Deep Learning, Cognitive AI sono termini che cominciano ad affacciarsi anche al mondo dello sviluppo prodotto e della formazione di figure professionali dedicate. Se le prime tecnologie sembrano al momento trovare applicazioni prevalenti nei Digital Twin e nei programmi di manutenzione predittiva, l’AI cognitiva, non ancora debitamente sperimentata nella ricerca accademica, pare aprire spazi enormi nell’acquisizione e gestione della conoscenza ingegneristica. Una quantità enorme di conoscenze tecniche, custodite in documenti scritti, richiedono la lettura e la corretta interpretazione di un esperto umano; l’ingegnere che deve pianificare un processo progettuale, oppure prendere decisioni in merito a una soluzione tecnica, si trova nell’evidente difficoltà di reperire informazioni su best practices e soluzioni elaborate nel passato, documentate in report finiti nell’oblio di depositi fisici o virtuali poco accessibili. Lo sviluppo di applicazioni KBE ci ha insegnato quanto sia complessa e ardua la fase di acquisizione della conoscenza preliminare; l’AI cognitiva potrebbe aiutare a ritrovare e non disperdere conoscenze e know-how costituiti in decine di anni e a rischio di oblio, fornendo un supporto essenziale in tale senso. Un’ulteriore applicazione che ci ha visti direttamente impegnati negli ultimi anni è l’estrazione automatica dei requisiti cliente dalle richieste d’offerta; nelle aziende produttrici di grandi macchine e impianti è un
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compito che richiede elevate competenze e soprattutto tempo a un esperto umano, con evidenti criticità nella formulazione di un’offerta tecnica in tempi e modi adeguati. Inoltre, l’automatizzazione di tale attività permetterebbe di avere dall’inizio delle attività progettuali una gestione digitale delle informazioni di prodotto. Altrettanto prezioso potrebbe essere il supporto nell’estrarre la conoscenza implicita contenuta nelle soluzioni tecniche rappresentate nei disegni tecnici e nei modelli CAD e nel supportare la definizione di best practices utili per formare adeguatamente i tecnici più giovani.
achine learning, Reti Neurali, Deep Learning, Cognitive AI sono termini che cominciano ad affacciarsi anche al mondo dello sviluppo prodotto e della formazione di figure professionali dedicate.
Quelle citate sono solo alcune delle tante possibili applicazioni che l’AI potrebbe avere nella progettazione industriale; è altresì evidente che la formazione, accademica e non solo, deve promuovere l’innovazione in tale campo per crescere esperti in grado di sfruttare le potenzialità che la tecnologia metterà a disposizione. L’AI applicata allo sviluppo prodotto è un tema affascinante ma ancora poco esplorato; l’Università sta cominciando ad investire in tale direzione attivando dottorati e assegni di ricerca, anche supportati dalle iniziative del PNRR. Si segnala al riguardo il Dottorato Nazionale in Intelligenza Artificiale attivato con il
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37° ciclo (attualmente è in corso il reclutamento per il 39°), con un’area specifica Industria 4.0 coordinata amministrativamente dal Politecnico di Torino e alla quale aderiscono diversi Atenei, tra i quali il Politecnico di Milano. I temi e gli obiettivi sono così dichiarati: “la manutenzione e la diagnostica preventiva, i controlli di qualità automatizzati di nuova generazione, la manifattura intelligente, la produzione guidata dalla domanda, l’intelligenza distribuita nei sistemi che si appoggiano a paradigmi IoT dove la ricerca fondazionale sul machine learning, la computer vision, il natural language processing, il planning e reasoning sono aspetti cruciali per poter conservare la competitività a livello mondiale dell’industria italiana”. Al Politecnico di Milano è attivo dal 1973 AIRLab (Artificial Intelligence and Robotics Laboratorty) che opera nei domini di ricerca dell’AI, della Robotica e del Machine Perception; si tratta di un laboratorio altamente specializzato dove si formano specialisti e ricercatori di alto profilo che hanno e dovranno guidare l’innovazione. Nell’ambito dei corsi di Laurea si segnalano lavori di tesi sviluppati nelle Scuole di Ingegneria e di Design, dovuti a iniziative di singoli docenti; si cita ad esempio un lavoro sul tema del ‘Augmented Mood Board’. Parimenti si sta arricchendo l’offerta di corsi monodisciplinari o moduli dai contenuti in qualche caso generalisti o all’opposto altamente specialistici (tecniche di machine learning e reti neurali applicate alla guida autonoma, all’ottimizzazione
di test sperimentali, alla manutenzione predittiva). Attualmente sono numerosi i corsi dedicati all’AI nel corso di Laurea in Ingegneria Informatica, però non finalizzati allo sviluppo prodotto; in tale ambito si segnalano a titolo d’esempio il corso in Big Data, Machine Learning and Artificial Intelligence proposto dal MIP, l’insegnamento Envisioning AI Trough Design proposto dalla Scuola del Design, alcuni corsi della Laurea Magistrale in Meccanica che propongono applicazioni di AI alla manutenzione predittiva e alla manifattura intelligente. Si tratta di iniziative sperimentali che richiedono un potenziamento in termini numerici e di temi al fine di adeguare la formazione tecnica e scientifica alle richieste dei nostri tempi. I temi trattati portano a capire come l’AI e i suoi strumenti potrebbero cambiare in modo importante i modi di operare dello sviluppo prodotto; al momento si hanno riscontri molto positivi in alcune attività, non si hanno ancora riscontri sulla possibilità di gestire processi complessi e articolati. Siamo pertanto agli inizi di un cammino che si segnala per essere lungo e impervio; dovremo cogliere opportunità e intuire e limitare rischi. Serviranno passione, intraprendenza, curiosità e tanto buon senso per aiutare l’uomo a scoprire nuovi strumenti e a comprendere meglio sé stesso, perché è e rimarrà l’essere intelligente per eccellenza.
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Riutilizzo intelligente dei componenti: risparmio economico e green assicurato Nelle aziende manifatturiere i progettisti perdono mediamente il 70% del loro tempo ricercando, configurando e spesso ricreando nuovi componenti senza una reale necessità. Il motivo?
I metodi di ricerca disponibili spesso non sono efficaci e rendono il lavoro lungo e faticoso, per cui si decide di partire ex novo. Quanto costa all’azienda? Quanto al pianeta? La risposta sta nell’utilizzo di tecniche di ricerca avanzate basate sulla tecnologia AI in merito a: codici, geometrie e pattern dei componenti. Un vero e proprio salto quantico che razionalizza e capitalizza la gestione delle componenti/parti.
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Luca Borghi, CEO di CADENAS Italiana Srl
Se c’è un merito da assegnare alla AI generativa è certamente l’aver focalizzato l’attenzione su ciò che ormai comunemente viene definita come Intelligenza Artificiale. Come se fosse un tema nuovo. Certo la crescita esponenziale di risorse IT ha facilitato lo sviluppo dell’AI Generativa. Inoltre, grazie a qualche implementazione ad effetto si è incrementata la continua attenzione verso l’intelligenza Artificiale. Il termine e la tecnologia non sono certamente nuovi, da anni gli sviluppatori di software applicativi dedicati al ciclo di sviluppo prodotto hanno operato per rendere disponibili funzioni intelligenti in grado di supportare ingegneri, progettisti, strutturisti a migliorare efficacia ed efficienza dei processi di progettazione, simulazione e realizzazione dei prodotti.
Partiamo da un concetto ed una soluzione nota: Il tema più generale è il mantenimento dei margini. Le Aziende hanno due strade: incrementare i ricavi a parità di volumi, diminuire i costi. Concentriamoci sulla diminuzione dei costi. Tante sono le strategie e le azioni che le aziende possono implementare. Sicuramente un valido aiuto per le aziende che realizzano famiglie di prodotti caratterizzate da più componenti /parti, è costituito dal riutilizzo massimo di parti/componenti già impiegati in passato. Sia quanto acquisito dall’esterno, il cosiddetto commerciale, sia di quanto sviluppato e prodotto all’interno di un’azienda.
Possiamo tranquillamente affermare che le applicazioni software sono da considerare come le antesignane utilizzatrici di intelligenza artificiale.
Attenzione: al giorno d’oggi si applica il riconoscimento geometrico e delle forme. In questo contesto si sono già sviluppati algoritmi intelligenti in grado di sequenziare, riconoscere e accoppiare parti/componenti simili.
Bene focalizziamoci sul processo sviluppo prodotto e vediamo quali possono essere le diverse implicazioni di un utilizzo di prodotti basati sulla nuova Intelligenza artificiale.
Per dare buoni risultati, in una prima fase il sistema deve essere istruito ed è necessario l’intervento umano per portare il sistema ad un livello di ottimizzazione.
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Per capire l’importanza ed i benefici associati all’utilizzo di un sistema intelligente di gestione delle parti/ componenti è più significativo dare la parola ai numeri. Ipotizziamo un’azienda con 5 famiglie di prodotto, con 100 prodotti per famiglia, con un totale di circa 50.000 codici. L’ottimizzazione mediamente può portare ad una riduzione del 20% dei codici. Bene ogni codice mal gestito costa all’azienda circa 1000 euro l’anno. A cui si devono andare ad aggiungere i risparmi dovuti all’incremento di volumi in acquisti verso i fornitori di riferimento ed il riutilizzo di processi di realizzazione interni già codificati e conosciuti. Si potrebbe essere soddisfatti. L’introduzione dell’intelligenza Artificiale nella soluzione di gestione intelligente delle parti ci fornirà una serie di migliorie interessanti a vantaggio delle aziende utilizzatrici. Abbiamo già fatto partire un progetto pilota denominato Kognia in collaborazione con l’Università di Augsburg, con l’obiettivo di creare un sistema di intelligenza artificiale che massimizzi i risultati degli strumenti già esistenti, di fatto essere un supporto attivo al progettista che lo lasci libero nell’espressione più creativa del suo lavoro ma nello stesso tempo lo possa supportare nel riutilizzare quanti più componenti possibile. Pur essendo partiti da non molto, già si intravedono i primi benefici, stiamo iniziando alcune collaborazioni alcuni clienti e i risultati sono molto interessanti, non solo, ci permettono di creare un unico ecosistema in cui il
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riutilizzo dei componenti diventi parte attiva del processo di progettazione, più velocemente e più facilmente. Contiamo a breve di rilasciare già una prima versione testata sul campo. La gestione strategica delle parti è diventata cruciale per competere nel mercato, grazie alle tecnologie hardware e software che consentono una rapida implementazione. Le aziende sono incoraggiate ad agire per massimizzare i vantaggi di questo approccio.
La cultura della “gestione strategica delle parti” sta diffondendosi rapidamente in quanto foriera di risultati concreti., in particolare con la soluzione PART solutions di CADENAS, che offre un motore di ricerca avanzato per i dati tecnici e aiuta a ottimizzare e riutilizzare i componenti, migliorando l’efficienza e riducendo i costi. l’ottimizzazione delle parti può portare a risparmi significativi, eliminando i codici doppi, accorpando fornitori e, non ultimo, alleggerendo il magazzino.
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L’impatto dell’AI sul mercato italiano un messaggio chiaro alle nostre aziende
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Roberto Filipelli, Direttore Divisione Cloud & Enterprise Microsoft Italia
In questi anni abbiamo continue evidenze sul fatto che ogni investimento deve essere fatto in modo sostenibile, con l’intenzione di generare un impatto socio-ambientale positivo e misurabile, assieme al necessario ritorno finanziario.
L’investimento in Intelligenza Artificiale non sfugge a questa regola, e quindi per investire in questa direzione, occorre avere ben presente che i nostri fornitori di piattaforme di AI abbiano dimostrato che i loro stessi investimenti siano stati fatti in modo sostenibile e che la nostra azienda sia pronta ad investire in questa direzione. È importante aver messo a fuoco gli impatti sociali, ambientali e, non ultimo, l’implementazione di una governance efficace. Un dominio relativamente nuovo in cui comprendere ciò che hanno fatto ed i risultati ottenuti da altre aziende con i loro investimenti in AI, consente di individuare e, quindi, applicare le best practice distintive di esempi virtuosi di approccio e di utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.
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Viviamo in un’epoca di grandi discontinuità e di cambiamento tecnologico accelerato, dove in pochissimi anni il panorama competitivo muta radicalmente grazie all’introduzione di innovazioni e tecnologie che promettono di creare nuovi paradigmi economici e sociali. È certamente questo il caso dell’Intelligenza Artificiale Generativa (IA Generativa) che, grazie al lancio di ChatGPT nel novembre 2022, ha suscitato interesse e dibattiti sulle relative implicazioni economiche, etiche e sociali senza precedenti, caratterizzandosi fin da subito come una delle più grandi – se non la più grande – discontinuità tecnologica degli ultimi decenni. Che deve farci pensare.
Generativa per sbloccare la produttività e contrastare gli effetti avversi di una popolazione che invecchia.
L’IA Generativa avrà infatti impatti rivoluzionari e trasversali su tutti i settori economici e su tutti gli aspetti della nostra società, cambiando il modo in cui interagiremo con la tecnologia, consumeremo e produrremo informazioni e contenuti. Quali, però gli impatti concreti, in chiave economica e strategica, sull’Italia e sulle sue aziende? Quali i rischi etici e quali invece gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione del suo potenziale nel nostro Paese?
Inoltre, le applicazioni concrete dell’IA Generativa sono trasversali a tutti i settori: il punto non è se ci sarà un impatto, ma quanto sarà importante. Attualmente, il settore finanziario, manifatturiero e sanitario (e scienze della vita) sono i mercati più maturi nell’ambito dell’uso di IA Generativa. I processi aziendali che ne stanno traendo maggiori benefici, grazie a una più efficiente gestione di grandi quantità di dati, sono la R&S, la progettazione e la produzione e supply chain.
Rispondere a queste domande è l’obiettivo che si è posto lo Studio “AI 4 Italy: Impatti e prospettive dell’Intelligenza Artificiale Generativa per l’Italia e il Made in Italy”, elaborato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Microsoft
In prospettiva, grazie all’AI, la produttività del Sistema-Italia potrà aumentare fino al 18% . L’IA Generativa è una tecnologia dalla portata rivoluzionaria che, nel nostro Paese, può generare, a parità di ore lavorate, fino a 312 miliardi di euro di valore aggiunto annuo, pari al 18% del nostro PIL. A parità invece di Valore Aggiunto generato, l’uso
Dallo studio in primis si evince che l’Italia ha bisogno dell’IA
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Nel nostro Paese, l’IA Generativa può diventare la chiave per mantenere alto il livello di produttività e benessere in un contesto di crescente scarsità del talento e di generale invecchiamento della popolazione. Si stima che entro il 2040 si perderanno infatti circa 3.7 milioni di occupati: un numero di lavoratori che, con gli attuali livelli di produttività, contribuiscono alla produzione di circa 267,8 miliardi di Valore Aggiunto. Le nuove tecnologie consentiranno di mantenere invariato lo stesso livello di benessere economico.
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di strumenti di IA Generativa potrà liberare un totale di 5,4 miliardi di ore che corrispondono, per fare esempi concreti, alla totalità delle ore lavorate in un anno da 3,2 milioni di persone. In questo contesto, ci dobbiamo porre una ulteriore domanda in merito a quanto sia sostenibile questo tipo di innovazione e come i cloud vendor stanno affrontando questo tema. I cloud vendor a livello globale, detti anche HyperScalers, hanno da diversi anni permesso, ad ogni azienda, di avere una potenza
elaborativa praticamente illimitata, effettuando enormi investimenti di capitale. Con l’avvento dell’AI gli investimenti sono stati ancora più ingenti con l’ulteriore complicazione dovuta al fatto che il tipo di potenza computazionale non è più rappresentata da “server” di tipo classico, ma “server” dotati di Graphics Processing Unit (GPU) ad altissime prestazioni, risorse che stanno rapidamente diventando molto pregiate. Come oramai sappiamo ogni investimento fatto oggi deve essere sostenibile e da un lato è chiaro che nessuna azienda può fare a meno di questo tipo di innovazione dall’altro è impossibile effettuare investimenti di capitale in questa direzione in autonomia: la scelta
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di un cloud partner strategico è quindi molto rilevante. Infatti, i nostri potenziali fornitori di piattaforme di AI debbono aver dimostrato che i loro investimenti siano stati fatti in modo sostenibile nel tempo ed in ogni modo la nostra azienda deve comunque avere ben presente gli impatti sociali, ambientali e che una corretta governance sia stata introdotta. Infine, va sottolineato, come Cloud Vendor più virtuosi stiano anche investendo per ridurre i costi variabili in modo significativo lavorando sia nella direzione dell’efficienza, sia in quella dell’efficacia che porta a soluzioni fuori dal comune. A noi comprendere, pianificare, agire… stare alla finestra non è un’opzione percorribile.
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La necessità dell’Intelligenza Artificiale per un nuovo modello di crescita sostenibile e duratura
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Roberto Siagri, CEO Rotonium
L’intelligenza Artificiale non è di per sé una minaccia o un’opportunità. Sta a noi coltivarla come una grande opportunità che ci consente di essere più competitivi in un modello economico che privilegi l’uso rispetto al possesso di un prodotto.
Un contesto win-win che se ben strutturato e governato rappresenta una vera svolta capace di salvaguardare i profitti, la soddisfazione degli utilizzatori e, non ultimo, il pianeta. Alla base serve un cambiamento radicale, a partire da NOI.
Con le tecnologie digitali e soprattutto con l’Intelligenza Artificiale, possiamo cambiare il mondo in meglio, ci possiamo permettere di costruire una economia sostenibile con una migliore distribuzione della ricchezza.
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Non parlo però di un cambiamento incrementale, l’attuale modello di produzione va cambiato alla radice e bisogna passare da un modello basato sul consumo ad un modello basato sull’uso. Un modello cioè compatibile con logiche di economia circo-
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lare, cosa di cui abbiamo fortemente bisogno. Oggi solo poco più del 7% dell’economia mondiale è circolare, numero che evidenzia tutti i limiti del modello di produzione industriale attuale. Limiti amplificati dallo stesso suo innegabile successo: in poco più di un secolo la popolazione mondiale è cresciuta da un miliardo e mezzo a più di otto miliardi. L’astronave Terra non è mai stata così affollata e tra l’altro la crescita non si arresterà prima di metà di questo secolo quando raggiungeremo i dieci miliardi. Ho usato il termine astronave per descrivere il pianeta Terra perché questa prospettiva ci potrebbe far venire in mente che oggi non stiamo usando meccanismi economici adeguati ad un’astronave. Per capire meglio questo punto, proviamo a chiederci se il benessere sia solo una questione di soldi o se c’è dell’altro. Questa domanda non ha una valenza individuale, intendo il benessere di tutti gli abitanti dell’astronave. Ipotizziamo per esempio che in un futuro non molto lontano si riesca a distribuire, molto di più di oggi, la ricchezza, fino al punto che tutti gli abitanti avranno il denaro per comperare ogni cosa di cui potranno avere bisogno. In questa ipotetica situazione il modello economico attuale, basato sul possesso delle cose, riuscirebbe a soddisfare tutti questi bisogni tangibili? Per esempio, pensando alle automobili: possiamo far acquistare un’automobile ad ogni persona in età adulta ovvero a più di metà della popolazione mondiale? Proviamo a trovare la risposta. Ad oggi ci sono circa 1,1 miliardi di automobili, 300 milioni
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isogna pertanto passare da un’economia che dà valore al prodotto ad una economia che dà valore al risultato che si ottiene dal prodotto. Abbiamo cioè bisogno che le nuove generazioni riscoprano l’ovvio: i bisogni intangibili sono superiori e più importanti dei bisogni tangibili.
circa tra autobus, furgoni e camion e circa 600 milioni di motociclette. Non credo, se guardiamo ai chilometri di strade disponibili, che sembri ragionevole poter duplicare il numero di automezzi né tantomeno triplicarlo. Dunque, anche se tutti avessero i soldi per comperarne un automezzo, non potremmo consegnarglielo. Allora cosa si farà? Come sceglieremo a chi farlo acquistare? Senza contare che un’automobile viene utilizzata solo per il 4% del tempo di possesso con un enorme spreco di materie e spazio. Da questo semplice esempio si capisce che se non cambiamo il modello economico non ha senso porsi l’obbiettivo di aumentare significativamente la distribuzione della ricchezza perché le conseguenze sociali o ambientali potrebbero essere molto complesse da gestire. Di quale cambio di modello economico abbiamo allora bisogno
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se puntiamo alla sostenibilità? La strada è quella di trasformarci da consumatori a utilizzatori. Bisogna pertanto passare da un’economia che dà valore al prodotto ad una economia che dà valore al risultato che si ottiene dal prodotto. Abbiamo cioè bisogno che le nuove generazioni riscoprano l’ovvio: i bisogni intangibili sono superiori e più importanti dei bisogni tangibili. Sono i bisogni intangibili che danno senso alla nostra evoluzione. I dati disponibili confermerebbero, che le nuove generazioni, stanno dando progressivamente più valore all’intangibile e saranno proprio queste generazioni che ripareranno l’astronave Terra. Nonostante sia noto che è molto più
redditizio monetizzare un prodotto tramite un servizio che tramite vendita una tantum dello stesso, ad oggi il modello di produzione industriale è incentrato sulla vendita delle cose: sul loro possesso non sul loro uso. Vien da chiedersi il perché e la ragione è presto detta. Per passare dalla vendita del prodotto alla vendita delle sue prestazioni serve una tecnologia di comunicazione pervasiva, tanta capacità di calcolo distribuita e potenti strumenti software per estrarre conoscenza da grandi basi dati che, tra l’altro, aumentano esponenzialmente in dimensione. Le tecnologie digitali hanno raggiunto questi traguardi solo nell’ultimo decennio e dunque anche solo una ventina di anni fa questo passaggio, la servitizzazione dei prodotti, era impensabile. L’assenza di una tecnologia che consentisse di gestire il prodotto come servizio ha costretto le imprese a ‘disfarsi’ del prodotto con l’atto di vendita dello stesso. Questo passaggio di proprietà, inoltre, scarica il produttore da tutti gli oneri e li mette tutti a capo del consumatore: l’economia lineare. Eppure, la maggior parte dei beni che comperiamo non li comperiamo per il gusto di possederli ma per usarli. Una nuova economia basta sui servizi avanzati con le tecnologie digitali è oggi possibile. C’è però bisogno di un cambio anche culturale, che veda il benessere individuale incentrato sull’accesso ai beni anziché sul loro possesso. Un’economia che si basa sulle prestazioni dei prodotti è sostenibile perché porta benefici alle aziende (azionisti e dipendenti) alle persone (che da consumatori
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diventano utilizzatori) e per l’ambiente. Si può fare molto di più con sempre meno materia e ‘by design’, ma soprattutto per convenienza delle imprese, l’economia da lineare diventa circolare. Per capire come cambiano le cose basta osservare come le tecnologie digitali, maturando, hanno trasformato il mondo dell’informatica e delle comunicazioni e applicare lo stesso schema trasformativo negli altri settori. Il could computing ha servitizzato l’industria dell’informatica. Oggi nel settore dell’informatica si parla, di ogni cosa, in termini di servizio: IaaS, PaaS, SaaS. Quello che si nota è che ogni prodotto contagiato dal cloud può a sua volta essere servitizzato. Si potrebbe dedurre che i servizi digitali sono contagiosi e appiccicosi. Questo passaggio all’economia delle prestazioni dei prodotti e consentito dall’Intenet delle cose e dall’Intelligenza Artificiale. Grazie allo smartphone, una sorta di bacchetta magica digitale, possiamo attirare a noi i servizi. Fra poco, quando grazie soprattutto all’Intelligenza Artificiale, ci saranno le automobili senza pilota: che senso avrà possederne una se posso averla a disposizione grazie allo smartphone in pochi minuti con un click. Questo mi porta anche a dire che la vera sfida è la robotizzazione delle auto non il cambio dei loro motori.
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isogna pertanto passare da un’economia che dà valore al prodotto ad una economia che dà valore al risultato che si ottiene dal prodotto. Abbiamo cioè bisogno che le nuove generazioni riscoprano l’ovvio: i bisogni intangibili sono superiori e più importanti dei bisogni tangibili.
del paradigma economico la seconda no. Questo delle auto è forse l’esempio più semplice ma con la stessa logica tutti i prodotti possono essere trasformati in servizio e questa trasformazione non potrebbe avvenire senza l’Intelligenza Artificiale. In conclusione, il digitale e l’Intelligenza Artificiale sono proprio questioni vitali perché questioni di sostenibilità. Soprattutto l’Intelligenza Artificiale, ci sta dando gli strumenti per gestire e riparare l’astronave Terra: facciamocela amica l’IA, ne va del posto dove dovremo andare a vivere: il nostro futuro.
La robotizzazione dell’auto è molto più green della motorizzazione elettrica: la prima permette il cambio
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Intelligenza Artificiale e PMI: opportunità e sfide emerse dalla mappatura del Digital Innovation Hub.
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Pierluigi Petrali, Direttore Digital Innovation Hub Lombardia
L’adozione di tecnologie di Intelligenza artificiale a supporto delle imprese è fortemente dipendente dal grado di maturità digitale delle stesse: senza una buona disponibilità di dati in formato digitale che siano al contempo ricchi di significato, correlabili, storicizzati, gli algoritmi non avrebbero nessuna possibilità di venire addestrati in modo efficace.
Quindi le opportunità di sfruttare al meglio la AI in diversi campi di applicazione: della manutenzione predittiva, del riconoscimento di immagini o negli strumenti di pianificazione avanzata. Una serie di Domini che necessariamente debbono essere affrontati per rendere le PMI delle aziende in grado di continuare a competere con successo, in un contesto in cui idee e guizzi imprenditoriali non sono più sufficienti. Il rapporto fotografa lo stato dell’arte e quanto le aziende stanno per diventare “data driven”.
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Nei recenti mesi la percezione dell’opinione pubblica su tecnologie e le applicazioni della AI ha avuto una rapida e importante trasformazione grazie alla esposizione mediatica favorita dal rilascio di alcuni algoritmi di AI generativa. Le imprese, tra cui le PMI, da alcuni anni impegnate in una difficile transizione digitale, hanno cominciato a chiedersi come poter sfruttare queste nuove tecnologie e se queste fossero pronte. In realtà applicazioni basate su AI sono già molto comuni e, di fatto, già utilizzate da tempo: riconoscitori vocali e biometrici, navigatori satellitari, sono sui nostri telefoni e sui nostri PC da parecchi anni, ciò nonostante, l’adozione di tecnologie AI nel mondo manifatturiero è ancora poco rilevante. Una premessa è d’obbligo: i sistemi di AI si basano su un processo di addestramento (machine learning o deep learning) che necessita di dati e di un intervento umano che classifichi la conoscenza di partenza e quella acquisita. Le tecnologie AI non sono assolutamente “lontane” dal nostro operare quotidiano e come diverse applicazioni lo confermano sono non solo disponibili ma relativamente robuste: dati estratti da studi di Gartner e McKinsey testimoniano che, globalmente, la maturità tecnologica di applicazioni basate su AI han-
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no raggiunto in moltissimi campi un livello adatto all’uso massivo: sistemi di visione, riconoscimento facciale, guida autonoma dei veicoli, chatbot, algoritmi generativi, manutenzione predittiva. Secondo McKinsey, tuttavia il grado di adozione è ancora molto vario rispetto al settore industriale e al processo aziendale, sintomo che non c’è ancora uniformità nella propensione all’utilizzo di AI. La mappatura effettuata dal Digital Innovation Hub ci ha fornito una serie di indicazioni oggettive che per essendo relative ad un campione possono essere considerate come dati di riferimento per comprendere lo stato di maturità digitale delle imprese lombarde con una particolare attenzione a quegli aspetti che direttamente (ad esempio il grado di adozione di politiche di manutenzione predittiva) e indirettamente (come il grado di automatizzazione e di utilizzo di dati di misure e test di qualità) sono collegabili alla disponibilità di grandi e significative basi di dati all’interno delle fabbriche. I dati utilizzati per lo studio fanno riferimento agli assesment Industria 4.0 effettuati sul territorio Lombardo dal Digital Innovation Hub di Confindustria che consta di un campione di circa 500 aziende di varie dimensioni ed appartenenti a diversi settori merceologici.
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Gli assesment in questione vengono erogati dal DIH utilizzando uno strumento di valutazione della maturità digitale, sviluppato dal Politecnico di Milano, costituito da circa 140 domande chiuse che indagano la digitalizzazione della impresa nei suoi otto macro processi di base: Progettazione, Produzione, Qualità, Manutenzione, Logistica, Supply Chain, Risorse Umane, Marketing & Sales e in grado di restituire il livello di digitalizzazione in una scala da 1 a 5 differenziando quattro dimensioni di analisi, ovvero: aspetti organizzativi, tecnologia, esecuzione e controllo. La mappatura effettuata, oltre a presentare il grado di maturità generale e gli aspetti specifici legati alla propensione e preparazione all’utilizzo di tecnologia AI, sottolinea anche le differenze esistenti tra piccole e grandi imprese e nei diversi settori merceologici a dimostrazione che la transizione digitale è possibile e, di fatto già in fase evoluta, in quelle imprese che hanno dedicato sforzi e hanno favorito la nascita di competenze specifiche. Da queste tre evidenze emerge chiaramente come uno degli ostacoli, forse il più importante alla adozione di tecnologie di AI all’interno delle imprese, sia la propensione alla digitalizzazione e alla cultura del dato che dovrebbe guidare tutti i processi aziendali e che, per varie
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ragioni, non è ancora pienamente attuato. È quindi su questo terreno che in realtà si gioca la partita sulla adozione della AI da parte delle PMI: due ingredienti sono indispensabili, ovvero avere i dati in formato digitale e formare una nuova concezione della loro generazione. Per cui si impone quello che gli americani hanno definito come paradigm shift, quando si impone un cambiamento drastico in merito all’ approccio culturale al dato. Per cominciare, le aziende, devono trasformare il concetto della “raccolta dei dati” in quello di “produzione dei dati”: così come una azienda concepisce, progetta e produce beni o servizi, curandosi della loro efficacia, efficienza, qualità ed evoluzione nel tempo, così dovrebbe fare con i dati. Il dato va progettato insieme al prodotto, insieme alla macchina, insieme al processo; deve essere correlabile e dove possibile standardizzato, deve poter essere facilmente usufruibile da macchine e da uomini, deve essere misurato per essere sicuri che la sua rappresentatività sia mantenuta nel tempo. Il primo punto è pratico ed è la stretta conseguenza del secondo: tramutare in modo sistematico la realtà della azienda, ossia la sua ontologia, in un flusso di dati correlati o correlabili in base ad un modello predittivo, ossia un gemello digitale
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dell’intera impresa. Questo nuovo assetto dovrebbe garantire la molto più facile adozione di tecnologie di AI per aumentare la efficacia decisionale, per introdurre la predittività in vari campi e per abilitare la auto adattabilità dove necessario. Per facilitare questa strategia di adozione le aziende potrebbero, per esempio, costruire e seguire una roadmap (così come propone il DIH partendo dai risultati dell’assesment) che faccia riferimento alla scala di digitalizzazione sviluppata dalla Accademia delle scienze e della Tecnica tedesca (Acatech): in questa scala su sei livelli è facile riconoscere la centralità del dato e i passaggi evolutivi fondamentali che lo trasformano in capacità esecutive sempre più ampie. Anche questa modalità vuole essere una chiave per legare i bisogni aziendali alle risposte tecnologiche come AI e alla necessità di costruire delle fondamenta solide per garantire robustezza ed efficacia alle soluzioni digitali. In sintesi, l’ipotesi che ci appare più probabile è che, al di là della conoscenza delle specifiche tecnologie, la vera ragione della non ancora attuata adozione risiede essenzialmente nella incompiuta trasformazione digitale delle imprese. Cosi come dimostrato da un dialogo reale avvenuto con Chat GPT nel febbraio 2023 su un ipotetico caso di interazione tra un conduttore impianto e il sistema di Intelligenza
Artificiale riguardo un potenziale malfunzionamento di una macchina. Il risultato evidenzia sia la natura che la dimensione dell’aspetto di apprendimento di un sistema di AI: la quantità di documenti utilizzati da Chat-GPT e la interazione con l’intelligenza umana ha richiesto parecchi mesi (se non anni) di addestramento e si mantengono ad un livello generalista. La conclusione ovvia è che, se volessimo che un assistente digitale potesse svolgere le sue funzioni in una azienda si dovrebbe procedere ad un suo (ri) addestramento che prenda in considerazione, oltre agli aspetti generali, tutte le condizioni di contesto particolare (ad esempio manuali operativi, diari di bordo, dati registrati, rapporti di manutenzione etc.).
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L’uomo al centro? Industry 5.0 ma non solo
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Marco Maiocchi, socio e fondatore di Opdipo
Analizzando gli ultimi anni degli eventi IBE emergono trend, annunciati prima e verificati poi, che mostrano la tendenza a una progressiva automazione integrata che passa attraverso la cosiddetta Industry 4.0, con una crescita di Internet of Things e di Industrial Internet of Things, con un modello di business sempre più orientato alla servitizzazione. Allo stesso tempo è anche evidenziata la fragilità di un sistema (mondiale) che può venire globalmente devastato da una pandemia o da una guerra. Le tendenze mostrano anche una progressiva riduzione dei fatturati legati al manufacturing. La risposta che viene data per un recupero dell’economia mondiale nel settore della produzione industriale è fornita dalla proposta Industry 5.0, che imposta la crescita sulla rilevanza del fattore umano (che viene messo al centro) nella società e nel mondo del lavoro, alla resilienza dei processi (che implica un significativo spostamento dei costi di produzione da fissi a variabili, grazie anche all’aumento del costo e del valore del prodotto, accompagnato da modelli di servitizzazione) e alla sostenibilità (con l’aumento della durata dei prodotti nel loro ciclo di vita, con riduzione della produzione ma non dei fatturati, ancora una volta grazie anche alla servitizzazione).
meccanismi d’interazione uomomacchina, con un uso esteso di sensoristica, un passaggio dei modelli virtuali paralleli (digital twins) a livello sistemistico, a efficientamento energetico, tutte cose fortemente abilitate dall’evoluzione e della diffusione di tecniche d’Intelligenza Artificiale. Ma, mentre si continuano a predicare queste linee virtuose, il mondo continua la sua strada sulla competizione e sul guadagno a breve, aumentano la sperequazione e creando “polveriere” che mettono a rischio resilienza e sostenibilità. A titolo di esempio vengono esaminate le politiche cinesi di penetrazione di mercati occidentali, e l’assoluta leggerezza con cui si affronta il problema di rifornimento energetico, con comportamenti inconsapevoli che potrebbero portare a collassi ben superiori a quelli a cui si è assistito con la crisi del gas causato dal conflitto Russo-Ucraino, e all’uso “smodato” di combustibili fossili, ad alimentare il consumo energetico delle voraci risorse digitali. Di più, la crescente fame di energia minaccia ancora di più la sostenibilità ambientale, come viene suggerito nella presentazione.
Tutto ciò, si suggerisce, deve passare attraverso drastiche evoluzione dei
Ma i dibattiti pubblici si orientano ciecamente a problemi di rischi del dominio da parte delle macchine, spesso alimentato dalla necessità di
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audience gestita da persone non sempre adeguatamente competenti. La soluzione, ancora una volta, non sta nella scelta di una tecnologia piuttosto che in un cambiamento di modelli di business, ma nella componente umana, oggi vieppiù governata da demagogie piuttosto che da reali processi democratici (come peraltro già denunciato da Platone oltre 2400 anni fa). Tale componente ha in mano delle redini del nostro futuro, ma non è detto che chi ha il potere di decidere lo faccia con un’adeguata visione e non personalistica. La strada è quindi quella di mettere l’uomo al centro, ma non “elargendo” demagogicamente un benessere deciso dall’alto, ma restituendogli quelle capacità di conoscenza, comprensione e capacità critica, uniche abilitanti forme di democrazia. Ecco allora che il primo dei punti del programma Industry 5.0 non è un riferimento alla vita dell’uomo nel mondo del lavoro, ma a un suo collocamento consapevole, competente e responsabile all’interno della società. Questo è un compito che deve vedere la convergenza di diversi attori: » dei governi, riformulando e riorganizzando le scuole, che non possono essere orientate solo alle necessità degli ambienti produttivi, ma devono costruire capacità critiche di pensiero e discernimento;
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» delle famiglie, che devono curare la crescita dei figli nel rispetto di quanto detto sopra, e quindi, ancora dei governi, che devono mettere le famiglie nelle condizioni di poterlo fare; » delle imprese, che devono essere guidate da una visione di valori sociali, vantaggio delle imprese stesse in termini di capacità di sopravvivenza e prosperità nel lungo termine, sia per propria struttura interna sia per partecipazione a un progresso sociale che ne alimenta la prosperità economica; della scuola che deve giocare il ruolo formativo sia tecnologico sia culturale rivolto al bene comune. Questo vuol dire human-centric nella proposta di Industry 5.0: collocare l’uomo in un contesto sociale e di lavoro che gli permetta di conoscere, di capire e di decidere. Ma la domanda chiave è: siamo pronti? Allo stato attuale la tendenza sembra essere opposta, facendo crescere, almeno in Italia, l’analfabetismo funzionale e la dipendenza da modelli televisivi di basso rango. Certamente non siamo pronti, ma bisogna iniziare una vera e propria rivoluzione culturale. In vent’anni forse potremo essere in grado di formare quei docenti che nei successivi venti anni avranno prodotto una schiera di persone veramente capaci d’intendere e volere che usino la competenza acquisita in linea con la sostenibilità e il benessere .
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Industria 5.0: cosa è e come cambierà le strategie aziendali di MARIA LANZETTA
Mentre per molte aziende, l’Industria 4.0 rappresenta ancora il passo successivo delle proprie strategie
un nuovo paradigma produttivo sta prendendo piede, a completamento e superamento dell’attuale modello, che punta su sostenibilità, resilienza e approccio human-centric per abilitare la cooperazione uomo-macchina.
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L’evoluzione delle tecnologie industriali è passata da diverse fasi nel corso della storia, a partire dalla prima rivoluzione industria, caratterizzata dall’avvento della macchina a vapore, fino a oggi con l’Industria 4.0, che ha portato con sé l’automazione e la robotica, l’IoT nelle fabbriche, il cloud, i big data, la produzione additiva, la simulazione, la realtà virtuale e aumentata, l’intelligenza artificiale, il machine learning e molto altro. Oggi però siamo già al ‘next step’ e un’altra trasformazione epocale si sta delineando: l’Industria 5.0. Questo nuovo paradigma rappresenta un’ulteriore rivoluzione industriale che combina le potenzialità dell’automazione avanzata con la creatività umana, aprendo la strada a una produzione altamente personalizzata, sostenibile, innovativa, ma soprattutto human-centric. Se l’Industria 4.0 ha visto la nascita di fabbriche intelligenti, dove macchine e sistemi comunicano e collaborano tra loro, l’Industria 5.0 spingerà ulteriormente questa collaborazione, introducendo la dimensione umana in modo più profondo e capillare. In questa nuova era le persone interagiranno quotidianamente con macchine intelligenti, portando il proprio valore aggiunto insostituibile, in termini di creatività, intuizione e competenze.
COS’È L’INDUSTRIA 5.0? Il concetto di Industria 5.0 è relativamente nuovo e secondo la Commissione Europea, fornisce una visione dell’industria che va oltre l’efficienza e la produttività come unici obiettivi, mentre rafforza il ruolo e il contributo dell’industria alla società, ponendo il benessere del lavoratore al centro del processo produttivo, attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, per garantire prosperità, occupazione e crescita, nel rispetto del pianeta. Andando oltre l’approccio dell’Industria 4.0, l’I 5.0 mette la ricerca e l’innovazione
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al servizio della transizione verso un’industria europea sostenibile e resiliente, incentrata sull’uomo. In altre parole, nella sua essenza, l’Industria 5.0 sposta l’attenzione dal valore economico a quello sociale, focalizzandosi non più e non solo sul welfare aziendale, quanto sul benessere dell’individuo. Ora, fermo restando che già da qualche tempo si sente parlare di responsabilità sociale delle imprese e di ESG (Environmental, Social, Governance), mettere le persone e il pianeta, piuttosto che i profitti e la crescita, al centro del concetto stesso di industria è il vero grande elemento di novità che caratterizza questo nuovo trend, e mai prima d’ora abbiamo visto un’enfasi così forte sulla ridefinizione degli obiettivi fondamentali dell’industria del futuro. L’attenzione al valore sociale e al benessere si inserisce in uno sviluppo che sta prendendo slancio negli ultimi anni, in particolare nell’era post-Covid che ha inevitabilmente portato a una revisione degli obiettivi e delle priorità sociali, economiche e individuali. L’idea di Industria 5.0, pertanto, non si limita al mondo manifatturiero in senso stretto, ma si applica a ogni settore e organizzazione, e questo significa che la sua applicabilità è considerevolmente più ampia rispetto all’Industria 4.0; di conseguenza, quando si parla delle implicazioni di questo nuovo paradigma in termini di strategia, dobbiamo adottare una prospettiva più estesa, applicabile a tutti i settori economici e sociali.
I TRE PILASTRI DELL’INDUSTRIA 5.0 I cardini su cui si fonda questo nuovo modello industriale possono essere sintetizzati, sostanzialmente, in tre punti salienti, ovvero strategia incentrata sull’uomo che promuove talenti, diversità ed empowerment, ovvero
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restituire alle persone il completo controllo del proprio contesto sociale, professionale, privato, economico e finanziario, con consapevolezza e autonomia. Secondo questo approccio, il cambiamento più importante sta nel considerare le persone non più come ‘mezzo’, piuttosto come ‘obiettivo’: ciò si traduce in uno spostamento di prospettiva che non mette più gli individui al servizio delle aziende, quanto piuttosto le aziende al servizio degli individui. Questo è davvero un cambiamento radicale, in linea con gli attuali trend che caratterizzano il mercato del lavoro, e infatti in molti settori trovare, fidelizzare e mantenere i talenti è diventata una sfida molto più grande che trovare, fidelizzare e mantenere i clienti. Dunque, se si va in tale direzione, le strategie aziendali devono essere necessariamente ripensate; lo stesso Michael Porter, una delle voci più autorevoli a livello mondiale in materia di strategie aziendali e marketing, sostiene che se le organizzazioni vogliono essere veramente incentrate sull’uomo, la prima implicazione è che esse devono mirare a “ottenere un vantaggio competitivo e utilizzarlo per creare un valore aggiunto unico per i dipendenti” (cit). Il secondo pilastro dell’Industria 5.0 è rappresentato da una strategia resiliente e agile con tecnologie flessibili e versatili. Come viene evidenziato dalla Commissione Europea, dopo il Covid-19, la carenza globale di forniture e la guerra in Ucraina, sono in pochi a non essere d’accordo sul fatto che la resilienza sia fondamentale, oggi e in futuro, tuttavia anche questo
è un cambiamento più profondo di quanto potrebbe sembrare. In effetti, sebbene agilità e flessibilità siano già da tempo tra le priorità aziendali, questo non necessariamente si traduce in una maggiore resilienza, dal momento che, ad oggi, il business è in gran parte ancora guidato da una logica di efficienza e di ottimizzazione dei profitti. Affinché la resilienza diventi davvero uno degli assi portanti dell’Industria 5.0, è necessario che i focus primari delle strategie di un’impresa, non siano più la crescita, il profitto e l’efficienza, quanto piuttosto la capacità di creare un’organizzazione in grado di anticipare, reagire, imparare in modo tempestivo e sistematico da qualsiasi crisi e, quindi, garantire prestazioni stabili e sostenibili. E arriviamo, così, al terzo cardine, appunto una strategia sostenibile: alla luce delle reali e giustificate preoccupazioni ampiamente condivise sul cambiamento climatico, il con-
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cetto di sostenibilità non ha certo bisogno di presentazioni, ma anche in questo caso stiamo parlando di un trasformazione radicale di paradigma. Infatti, finora, tutte le iniziative aziendali rivolte alla sostenibilità si sono concentrate in gran parte sulla riduzione e la minimizzazione dei danni o sul greenwashing, ovvero un ecologismo di facciata. In realtà, integrare pienamente la sostenibilità nella strategia di un’organizzazione, comporta molto di più di quanto si si stia facendo attualmente e, piuttosto che limitarsi a ridurre l’impatto negativo di un’azienda sull’ambiente, è necessario concentrarsi invece sull’aumento dell’impatto positivo che questa può generare, con la finalità di rendere davvero il nostro mondo un posto migliore. In altre parole, la strategia sostenibile nell’Industria 5.0 si basa sul presupposto che le aziende diventino parte della soluzione, invece che parte del problema.
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’uso della robotica avanzata avrà un ruolo cruciale per aumentare, in modo significativo, l’automazione dei processi industriali e la collaborazione tra robot e operatori umani. Da qui la necessità di sviluppare sistemi cognitivi sempre più sofisticati, basati su AI e apprendimento automatico continuo, così che le macchine possano imparare costantemente da esperienze passate e da grandi quantità di dati, per migliorare le prestazioni e la qualità, per adattarsi autonomamente alle situazioni e per prendere decisioni in tempo reale.
CARATTERISTICHE E TECNOLOGIE CHIAVE DELL’INDUSTRIA 5.0 Ora, alla luce di tali premesse, è interessante capire nel concreto quali sono le caratteristiche che connotano questo nuovo modello produttivo e quali sono le tecnologie che lo abiliteranno. Partiamo dalla collaborazione uomo-macchina: l’Industria 5.0 mira a creare un ambiente in cui le macchine collaborino attivamente con gli esseri umani. Quindi se, da una parte le macchine svolgono compiti ripetitivi, tediosi e, talora, pesanti, dall’altra gli esseri umani possono concentrarsi su attività che richiedono pensiero critico, risoluzione dei problemi e creatività, valorizzando quindi l’individuo in tutte le sue capacità, competenze e potenzialità. Per questo, l’uso della robotica avanzata avrà un ruolo cruciale per aumentare, in modo significativo, l’automazione dei processi industriali e la collaborazione
tra robot e operatori umani. Da qui la necessità di sviluppare sistemi cognitivi sempre più sofisticati, basati su AI e apprendimento automatico continuo, così che le macchine possano imparare costantemente da esperienze passate e da grandi quantità di dati, per migliorare le prestazioni e la qualità, per adattarsi autonomamente alle situazioni e per prendere decisioni in tempo reale. In tal senso, l’IoT avrà sempre più un ruolo fondamentale per collegare in modo intelligente macchine, prodotti e sistemi, consentendo il monitoraggio e il controllo real time. Questa collaborazione potrà avvenire in modo sicuro grazie a sistemi di sicurezza avanzati, e la cyber security diventerà una priorità assoluta per proteggere infrastrutture e dati. Anche la produzione su misura è una caratteristica fondamentale dell’Industria 5.o, perché consentirà la realizzazione di prodotti fortemente personalizzati e adattati alle
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esigenze individuali, ciò implica il fatto che le fabbriche diventino altamente flessibili e agili, proprio per adattarsi velocemente alla domanda dei vari mercati e alle esigenze dei singoli clienti; in quest’ottica, la stampa 3D avanzata rappresenta un elemento chiave nella produzione personalizzata e la creazione di componenti complessi in modo rapido ed efficiente. Inoltre, attraverso reti di produzione decentralizzate sarà possibile collegare tra loro le singole unità di produzione abilitandone interazione e collaborazione. Ma la tecnologia che ‘la farà da padrone’ nell’Industria 5.0 sarà la blockchain, la quale, secondo un principio di trasparenza e sicurezza, permetterà la tracciabilità completa dei prodotti lungo l’intera catena di approvvigionamento, garantendo la qualità e l’origine. Queste diverse tecnologie e applicazioni, che oggi sono ancora agli albori e stanno iniziando gradualmente
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a prendere piede, diventeranno elementi di routine nell’imminente era dell’Industria 5.o. Stiamo, dunque, parlando di un modello produttivo assolutamente innovativo e rivoluzionario che avrà come punti di forza l’integrazione - sia verticale tra settori differenti, sia orizzontale tra aziende diverse - per tendere a una maggiore efficienza della produzione e della supply chain , e la condivisione di abilità e competenze, in un’ottica di massima ottimizzazione delle risorse.
COSA ASPETTARSI NEL PROSSIMO FUTURO Proprio come il modello dell’Industria 4.0 ha richiesto alle aziende di uscire dalla loro comfort zone, per vivere con slancio la trasformazione digitale, l’ingresso nella quinta era industriale richiederà apertura mentale, lungimiranza e disponibilità ad affrontare un cambiamento radicale nell’approccio alla produzione: con una visione equilibrata e una pianificazione strategica ponderata, l’Industria 5.0 ci proietterà in un futuro dirompente nel quale l’innovazione e il progresso si fondono armoniosamente con la creatività umana. Non si tratta di un concetto ‘romantico’ dell’industrializzazione, quanto piuttosto di un modello secondo cui, quando tutto funziona
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in armonia, è possibile realizzare prodotti personalizzati, di alta qualità, più velocemente e a un costo inferiore come non mai, per rispondere ai bisogni dell’individuo e nel rispetto dell’ambiente. La tecnologia è a supporto delle persone e il suo impiego deve essere finalizzato a migliorare la nostra vita; per questo l’Industria 5.0 non è solo una rivoluzione guidata dall’innovazione, ma anche e soprattutto un movimento all’insegna di nuovi valori. Idealmente, spingerà il settore manifatturiero verso un futuro in cui il rispetto e la considerazione per l’ambiente e la centralità delle persone rappresenteranno i veri driver del mercato. Pertanto, mentre ci avviciniamo a questa nuova era, è fondamentale che le aziende, i governi e la società nel loro complesso si preparino adeguatamente per cogliere appieno i benefici di questa radicale trasformazione e affrontarne le sfide in modo proattivo e virtuoso. Fonti: Forbes, europa.eu, Confindustria.it, ScienceDirect, “On Competion” – new edition di Michael Porter.
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L’AI nelle aziende ridefinisce le regole del gioco ed impone scelte ed azioni specifiche, integrate e multidirezionali. Attenzione: il tutto in tempo utile.
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Massimo Fucci, General Manager MindUp Pentaconsulting
Le nuove tecnologie ad elevato impatto sul lavoro e sulle persone necessitano di una presa di coscienza da parte di diversi attori.
Le aziende, ma non solo, debbono cominciare ad attrezzarsi su diversi fronti. In particolare sul fronte interno con la definizione di una struttura collaborativa, guidata da management preparato ed orientato al cambiamento. Solo in un contesto strutturato è possibile cogliere appieno le opportunità fornite dalle tecnologie. La differenza, alla fine,la faranno le persone con le giuste competenze multidisciplinari capaci di decidere. Assertive e con un intelligenza emotive di buon livello.
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Indipendentemente dalla nostra posizione e matrice culturale non è possibile non accorgersi che l’intelligenza artificiale (AI) rappresenta oggi un tema importante che ci segnala la necessità di lavorare – a testa bassa- sulle competenze digitali e sulla trasformazione digitale delle aziende. Se si considerano le sole applicazioni concrete dell’AI generativa sono trasversali a tutti i settori e processi aziendali. Nonché alla maggior parte delle posizioni aziendali. Il punto non è se ci sarà un impatto, ma quanto questo sarà importante e soprattutto come ci si arriva preparati. Un idea dell’impatto dell’AI sul sistema Italia L’Italia, ce la ha fornita lo Studio Ambrosetti, nel suo evento annuale Cernobbio. Entro il 2040 si perderanno circa 3,7 milioni di occupati a causa dell’invecchiamento. Un numero di lavoratori che oggi contribuiscono alla produzione di circa 267,8 miliardi di valore aggiunto. Una visibilità di più ampio raggio ce la fornisce il rapporto del World Economic Forum, che ci indica come impatto della diffusione dei sistemi di intelligenza artificiale, la creazione di 69 milioni nuovi posti di lavoro. Questo è il bicchiere mezzo pieno. Accompagnata dall’eliminazione di ben 83 milioni di posti di lavoro. Questo è il bicchiere mezzo vuoto. Il saldo occupati è negativo…. Bisogna pensarci in anticipo è quindi necessario sviluppare un approccio responsabile. Per cogliere i benefici stimati dal modello di impatto in Italia- sempre secondo lo Studio Ambrosetti - è necessa-
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rio accelerare la digitalizzazione di più di 113mila Pmi del Paese. Un operazione da effettuare in tempi relativamente brevi. Anche perché, ad oggi, già ci mancano 3,7 milioni di occupati con competenze digitali di base e necessitiamo di 137mila iscritti in più a corsi di laurea Ict per abilitare l’implementazione di soluzioni di AI generativa nel tessuto economico italiano. Ancora una volta, la prima misura da applicare strategicamente e d in maniera strutturale è rappresentato dalla formazione. Senza un utilizzo programmatico e strategico della formazione probabilmente i 69 milioni di opportunità di lavoro rimangono – percentualmente parlando- una probabilità più o meno elevata. In tale contesto la Scuola, le Aziende, il Management hanno tutte una forte responsabilità. D’altronde è da tempo che si parla di formazione continua e mirata per sfidare il presente e, soprattutto, costruire il futuro. Il nostro paese deve cambiare la marcia in merito agli investimenti in ricerca, formazione e innovazione, e vanno dedicati sforzi mirati ed integrati per la creazione di un ecosistema pubblico-privato-università in grado di colmare il gap con la competizione internazionale, ora più agguerrita che mai. Gli effetti economici e produttivi reali dell’AI generativa saranno determinati dall’interazione tra una serie di variabili su cui politica, etica e business dovranno confrontarsi. Non sfruttarne il potenziale – come già successo più volte- non sarà più
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solo un’opportunità sprecata, molto di più. La preparazione (le competenze) rappresentano il punto di appoggio affinché la leva dell’intelligenza artificiale a fronte della scomparsa di alcuni posti di lavoro, possa favorire la nascita di nuove professionalità Ma quali saranno le competenze più richieste rispetto a un mercato che vedrà sempre più presente l’intelligenza artificiale e la progressiva automazione di una buona fetta di processo e mansioni ? in particolare: la cultura, la creatività, le competenze sull’utilizzo dei mezzi digitali, la capacità di comunicare con efficacia, rappresenteranno delle caratteristiche fondamentali e trasversali. D’altronde la sola AI non basta ad organizzare ambienti disorganizzati, a far funzionare dipartimenti che non funzionano, a prendere decisioni in un ambiente senza una governance predefinita. Ancora una volta, saranno le aziende organizzate con una spiccata propensione al cambiamento, con management capace e illuminato, abituato a scegliere/decidere con il giusto anticipo , che potranno beneficiare delle opportunità di un nuovo mezzo abilitatane quale è , alla fin fine, l’AI. In termini di Management non va dimenticata la capacità di leadership in grado di sviluppare ambienti collaborativi orientati a risultati comuni. Un ambiente lavorativo efficace, dinamico, in cui siano chiari e definiti: la posizione, il dominio di azione, le deleghe ed i limiti relativi, le interazioni 3C ( capo, collaboratori, colleghi), in maniera si possa operare in un contesto di miglioramento continuo. In tutto questo, sicuramente l’aspetto umano resterà fondamentale pur in un contesto altamente tecnologico e che lo si voglia o meno, con un occhio ai numeri fondamentali di azienda. Infatti, come accade quando si introducono innovazioni ad alto impatto, i lavori più difficilmente automatizzabili saranno quelli che richiedono competenze interdisciplinari, ed una spiccata intelligenza emotiva e sociale. Un chiaro invito all’azione …l’AI altro non è che una grande opportunità da comprendere e cavalcare. Certo bisogna lavorarci.
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Percorsi per migliorare la cultura e la capacità del management, la governance delle operazioni, la collaborazione aziendale, la gestione delle criticità e delle non conformità, in un’ottica di gestione del cambiamento al fine di massimizzare i benefici.
Piazza Caiazzo, 2 - MILANO - Tel. 02 39523808 pentaconsulting@pentaconsulting.it - mindup-pentaconsulting.it
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