MindUp Magazine nr. 8 Marzo 2024

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AI, ONCE MORE.

What else?

marzo | duemila ventiquattro Anno IV n. 8supplemento a www.newsimpresa.it DIFFUSIONE GRATUITA Riflessioni di Economia, Mercati, Tecnologie, Management e Formazione
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La formazione sviluppa la capacità di competere.

La formazione sul campo ottimizza le potenzialità e le competenze delle persone per migliorare la condivisione degli obiettivi aziendali.

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Piazza Caiazzo, 2 - MILANO - Tel. 02 39523808

pentaconsulting@pentaconsulting.it - mindupformazione.net

Dopo aver organizzato e condotto un intero convegno ad ottobre 2023, in merito alle minacce ed opportunità dell’Intelligenza artificiale (AI), ecco che ritorno sull’argomento condividendo a voce alta alcune riflessioni.

AI, ONCE MORE. What else?

Si conferma che il tema è di grande interesse a tutti livelli; sul piano delle istituzioni internazionali la comunità economica europea ha approvato l’AI ACT. Un passo in avanti notevole rispetto alla reazione avuta in precedenza con fenomeni paragonabili in termini di importanza in merito all’impatto su società, istituzioni e individui.

massimo.fucci@pentaconsulting.it

Non solo, come carpito da taluni negli incontri preliminari della nostra Premier con i presidenti Biden prima e Trudeau dopo, molto probabilmente è argomento all’ordine del giorno nei colloqui degli incontri G7. Allo stesso tempo tutte le major si sono costruite il loro linguaggio e le loro applicazioni di cui rendono visibile, grazie al tanto rumore generato, solo una frazione di quanto realizzato, ben consce che di riffa o di raffa la cosiddetta Privacy, con annessi e connessi, è finita in fanteria. Sovrascritta dal (il)legittimo interesse delle major che poi tradotto in pratica, altro non è che la volontà di continuare a realizzare (stra) profitti e

naturalmente mantenere la posizione predominante da cui, guarda caso, è più semplice trattare regole e comportamenti.

Ma cosa succede alla gente comune. Non c’è certo bisogno di Pico della Mirandola per accorgersi come l’intelligenza artificiale sia dappertutto e che ora (al contrario di quanto avveniva prima) venga palesemente dichiarata. Dallo smartphone, agli elettrodomestici, alle automobili.

E il mondo del lavoro, dell’istruzione? Purtroppo, sembrano più lenti delle istituzioni sovrannazionali (di quelle nazionali non commento, non serve) e, salvo i soliti casi di eccellenza: le solite Università e le solite Aziende e (meno male!) di qualche PMI e Istituto tecnico che ce la stanno mettendo tutta, non si vede la giusta attenzione all’argomento.

E sì che la posta in gioco è tutt’altro che banale… ma, come al solito, siamo abbastanza noti per non comprendere l’importanza di taluni fenomeni e dell’inevitabile fattore tempo associato. Solo che ora il recupero si fa sempre più difficile.

Ben fa il galantuomo di Italia a spronarci: tutti alla stanga!

Edittoriale

Sommario

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E dittoriale

AI, ONCE MORE. What else?

EDITORE

Pentaconsulting Srl Piazza Caiazzo, 2 - 20124 Milano Tel. 02 39523808

pentaconsulting@pentaconsulting.it

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ClubIBE

Il futuro, la scuola e le tre “P”

28 Innovazione

Capitale umano e digitalizzazione: le principali sfide da affrontare e le risposte

Direttore Responsabile Massimo Fucci massimo.fucci@pentaconsulting.it

Segreteria di Redazione Arianna Bertotto arianna.bertotto@pentaconsulting.it

Progetto Grafico mcquadro studio creativo campanagrafica@gmail.com

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Mindup magazine

n. 08 marzo 2024 - anno IV supplemento a www.newsimpresa.it diffusione gratuita

marzo
ventiquattro
duemila

12 Finanza

Come investire nel 2024?

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Ruolo delle informazioni digitali nello Sviluppo Prodotto al tempo di Industria X.0 Innovazione

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40 Organizzazione

Governance efficace metodi, iniziative e linee guida

17 Innovazione

“Towards a sustainable, humancentric and resilient European industry”

24 Innovazione

Open Innovation, occasione di crescita per il Paese

Richiedi l’approfondimento degli argomenti

Il futuro, la scuola e le tre “P”

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ClubIBE

Il nostro futuro è innegabilmente legato alla cultura che saremo in grado di trasmettere alle future generazioni.

In questo non solo la scuola, ma ciascuno di noi può e deve dare il proprio contributo.

Inutile recriminare sull’apparente vuoto delle generazioni attuali. Bisogna passare dal recriminare al fare, altrimenti non potremo fare altro che mettere 5 cellulari nella nostra tuta anti-cultura che di gold non ha proprio nulla, con risultati che lascia comprendere.

7 marzo 2024 n. 08

“Papà, perché quella ragazza tiene la maglietta scoprendosi una spalla?”

“Facendo così… è convinta di apparire più bella…”

“Che cosa stupida! Non conta essere belli: conta essere felici!”

Questo dialogo con mia figlia, quando aveva nove anni, mi è sempre rimasto in mente. La sua affermazione è di una semplicità sconcertante, ma è completamente disattesa in tutti gli atti di qualunque popolazione nel mondo occidentale.

Viviamo in un mondo governato da obiettivi economici, da necessità di crescita della ricchezza, da volontà di benessere economico per il futuro nostro e dei nostri figli, e questo trascina un insieme di esigenze che riteniamo possano agevolare tali obiettivi: una scuola che prepari al lavoro, un contesto economico che aiuti la crescita

delle imprese, una politica che realizzi infrastrutture e fornisca servizi che favoriscano l’economia delle imprese e il benessere dei cittadini.

Ma la politica e gli obiettivi a cui partecipiamo non sono né liberamente scelti né neutri: sono il prodotto di una progressiva “educazione” da parte di chi ha il potere di farlo: il denaro.

Qualche considerazione, già nel lontano 1974 l’ammontare dei consumi familiari in Francia (in Italia questi dati non sono facilmente raggiungibili) ha eguagliato l’ammontare delle retribuzioni: dopo quell’anno i consumi sono sempre stati superiori alle retribuzioni 1. Guarda caso, il periodo è lo stesso in cui irrompono sul mercato le televisioni private, quelle che sostengono i loro ricavi mediante pubblicità e spinta al

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ClubIBE
1) Il riferimento alla Francia è legato alla difficoltà di trovare dati per l’Italia. Inoltre, i dati non sono aggiornati agli ultimi anni. Il riferimento è quindi da considerare come spunto di riflessione, piuttosto che come dato economico affidabile.

consumo. Ovviamente era necessario accompagnare alle televisioni un palinsesto concorrenziale a quello dei servizi di stato. In Italia abbiamo assistito a ciò con televisioni private che hanno scalzato la TV di Stato che trasmetteva colti spettacoli di teatro, telequiz che richiedevano, pur nozionisticamente, preparazioni di alto livello, programmi di educazione e formazione, trasmettendo ammiccanti programmi cabarettistici, serie televisive intrise di cultura americana, cinematografia americana, e così via.

Insisto sull’americano perché tali spettacoli sono, ancora oggi, intrisi di valori “calvinisti”, che portano scritto nel DNA la predestinazione dell’uomo: predestinati alla nascita alla salvezza o alla punizione eterna, l’unico modo per capire se il Signore ci ama (e quindi ci salverà) è verificare se ci aiuta a diventare ricchi. Ecco allora la vera molla: arricchire, anche alle spalle di altri, è l’essere prescelti.

La progressiva e incessante “educazione” ricevuta ha influenzato la cultura di fondo, che ha determinato scelte nelle urne elettorali, e quindi determinato le politiche nazionali.

Tutti ricordiamo lo slogan delle

Tre I (Informatica, Inglese, Impresa) che hanno caratterizzato le riforme scolastiche di più d’uno dei passati governi. Forse non

tutti abbiamo associato quelle tre I con quello che trasmettevano le televisioni, il cui modello vero si basava sulle 3 S (Soldi, Successo, Subito).

Tuttavia, la robustezza dell’impianto scolastico italiano, derivante da un passato di gloriosa cultura, ha resistito, tutt’oggi molte delle scuole superiori italiane sono tra le migliori del mondo. Di ciò non scrivo per sentito dire, poiché ho esperienze dirette di confronto con istituzioni (pur prestigiose) statunitensi, e in genere anglosassoni. Eppure, le famiglie delle classi medio-alte invadono rinomate e costosissime scuole private inglesi, per poi continuare gli studi a prestigiose università di economia, proprio sotto la spinta di slogan come quello delle 3 I, producendo ignoranza proprio in quelle classi sociali destinate al comando: sì, perché i dati statistici mostrano comunque un azzeramento degli ascensori sociali. Un pessimo regalo consegnato alle generazioni future.

Tuttavia, la robustezza dell’impianto scolastico italiano, derivante da un passato di gloriosa cultura, ha resistito, tutt’oggi molte delle scuole superiori italiane sono tra le migliori del mondo.

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ClubIBE

In realtà assistiamo al moltiplicarsi dei percorsi scolastici, oramai sono quasi una sessantina, che spaziano dal Liceo Classico, al Liceo del Made in Italy, passando per istituti tecnici economici per il turismo e istituti professionali per la pesca commerciale e le produzioni ittiche.

Nel frattempo, la tecnologia avanza a velocità inimmaginabili, e probabilmente molte delle professioni suggerite da questa pletora di indirizzi saranno scomparse prima del completamento del ciclo di studi2 !

Ma il guaio peggiore non è la preparazione così specializzata, ma sta nella mancanza di cultura di base che abiliti un pensiero critico: gli studenti di oggi si distinguono, grossolanamente, in due categorie: quelli che provengono da una famiglia colta e quelli la cui formazione dipende solo dalla scuola. I primi solo troveranno la loro strada: confermando uno dei veri ostacoli agli ascensori sociali! Quando parlo di cultura, non intendo il nozionismo del ricordare le date storiche, o del sapere chi ha scritto il passero solitario: intendo la capacità di estrarre da un insieme di informazioni multidisciplinare una visione critica del mondo del passato, e di quello

Quando parlo di cultura intendo la capacità di estrarre da un insieme di informazioni multidisciplinare una visione critica del mondo del passato, e di quello attuale.

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2) Già ora mi è capitato di osservare in Istituti tecnici a indirizzo informatico lo studio di prodotti di automazione d’ufficio, presenti sui libri di testo ufficiali, ma scomparsi dal mercato da tempo.

attuale. Di avere la capacità di esprimere giudizi e desideri sulla società presente e futura, di voler avere la passione e la responsabilità dell’evoluzione della nostra società.

Poiché proprio su una tale idea di cultura si basa il futuro di un popolo, se le istituzioni non ci pensano, tocca a noi tutti riparare: con le idee, con le parole, con i fatti. Possiamo? Non lo so, ma nulla ci esime dalla responsabilità di provarci.

Come padri, scegliamo scuole di base, solide e “resilienti” ai cambiamenti tecnologici (liceo classico e scientifico possono fornire solide basi di pensiero, e pazienza se i nostri figli non sapranno usare il linguaggio C++. Competenza che, ad onor del vero, è ormai confinata a nuovi operai-laureati. Come padri, discutiamo a cena con loro di politica, di arte, di esperienze, di notizie, di spettacoli, di libri, di musica.

Come imprenditori o manager, manteniamo sempre attivo un ruolo di “educatori”, anche con i nostri collaboratori, sostituendo eventuali autoritarismi con autorevole trasparenza delle scelte. E ancora, visto che è stato istituito il PCTO - Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento.

La cosiddetta alternanza scuolalavoro, che, purtroppo. tipicamente immette un giovane inetto in un’impresa, per fare cose che non è in grado di fare e il cui apprendimento richiederebbe più tempo di quello a disposizione per il fare.

Tramutiamo il PCTO come un’opportunità, per la crescita culturale del giovane: forse, invece di fargli fare fotocopie, sarebbe più utile, per lui e per noi, chiedergli di osservare alcuni processi aziendali e chiedergli di scrivere una relazione critica sugli stessi. Insomma, facciamo scrivere un “tema”, cosicché, almeno, sia costretto a pensare e a mettere insieme un costrutto scritto che abbia un capo e una coda. Questa ipotesi non è certo poca cosa.

Come cittadini… maturi e consapevoli dobbiamo agire per costruire un substrato culturale-a tutti i livelli- che possa sostituire le 3 I e le 3 S con le 3 P: Passione, Progetto, Politica.

L’unico materiale a disposizione: i giovani. Per aspera ad astra!

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11 marzo 2024 n. 08
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VINCENZO CARRANO Come investire nel 2024? Finanza
di

Siamo tutti bersaglio di pubblicità più o meno occulte e, anche il settore di cui mi occupo, quello degli investimenti finanziari, non viene risparmiato.

Anzi, alcuni brand, alla faccia del GDPR che dovrebbe garantire la nostra privacy, ci mandano e-mail e messaggi molto netti su come dovremmo investire.

Peccato che tutto ciò che sanno di noi è un numero di cellulare o un indirizzo di posta elettronica. Se aggiungiamo: gli sportellisti bancari che vendono prodotti a raffica - gli amici del Bar Sport al corrente di dritte segretissime - quelli che, dotati di ego ipertrofico, praticano il “faso tuto mi”; ecco che abbiamo definito circa l’ottanta per cento delle modalità messe in atto per investire. Possibile che, solo nel campo degli investimenti, non servano esperienza e professionalità?

Possibile che non esistano modelli di pianificazione da applicare?

Scopriamolo insieme.

13 marzo 2024 n. 08

Finanza

Era una notte buia e tempestosa e ombre furtive scivolavano lungo i muri. Di tanto in tanto qualcuna si infilava in un portone, in una camera da letto e, interferendo con i sogni del dormiente, sussurrava: “con 2500€ di azioni Capazon diventerai ricco in pochi mesi”.

Non essendo un’ombra, smentisco, e per chi vuole investire, propongo un breve excursus sui metodi da seguire per farlo con giudizio.

Ma quali sono i comportamenti più comuni che utilizziamo quando decidiamo di investire? Eccone una breve compilation dei criteri più diffusi.

IN PRIMIS CI SONO LE DECISIONI ASSUNTE SEGUENDO LE PREVISIONI

Peccato che la finanza non sia una scienza propriamente esatta. Essendo fortemente influenzata dai comportamenti umani sembra più una rappresentazione teatrale, una sorta di forma d’arte. Un esempio recente? Oltre l’85% degli analisti aveva pronosticato che, nei primi mesi del 2023 gli USA sarebbero caduti in recessione. Due infallibili indicatori lo dimostravano: l’inversione della curva dei rendimenti, con i tassi a 2 anni più alti di quelli a 10 e le ricerche sul Google del termine “recessione” che avevano bruciato tutti i record.

Invece, nel 2023, l’economia USA è cresciuta del 2,5% e la disoccupazione è sotto il 4%.

Gli stessi economisti ora sono certi

Pche nel 2024 ci sarà un “atterraggio morbido”.

Non è lecito sparare sulla Croce Rossa, e quindi non mi permetterò di deridere analisti ed economisti che si fanno in quattro per fornire report utili. Con indice minaccioso, accuso i mercati che, succubi dei comportamenti umani (ingordigia; paura; effetto gregge) frequentemente sorprendono tutti, anche i più titolati economisti e guru della finanza.

Il fatto è che, le previsioni sono stilate da tecnici qualificati, ma questo il futuro non lo sa!

AL SECONDO POSTO VANNO COLLOCATE LE DECISIONI ASSUNTE IN BASE AI NUMERI

Spesso i risparmiatori scelgono in base ai Rendimenti Nominali (che sono solo promesse) e ai Risultati Passati che, al contrario della gallina vecchia, fanno addirittura un

rima di tutto fissiamo gli obiettivi, le necessità, le speranze e i sogni nel cassetto, in modo da poterli classificare e ordinare in scala gerarchica

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Mindup magazine

pessimo brodo.

Errori frequenti e comprensibili perché, in situazione di incertezza, il cervello umano, per uscire dallo stallo, cerca un ancoraggio o, se preferite, un santo a cui votarsi.

AL POSTO NUMERO TRE, TROVIAMO UN SANO E CARTESIANO CONFRONTO DEI COSTI

Metodo ineccepibile ma a condizione che non sia l’unico e che si tratti di confronti ragionevoli. Confrontare le mele con le pere… non funziona. Inoltre, nessuno confronta il prezzo dell’uva con quello del vino, prima di comprare una buona bottiglia. E, allora, che senso ha confrontare i costi di negoziazione di un portafoglio di titoli in deposito, con quelli di un Fondo o di una Gestione Patrimoniale?

PER QUELLI PIÙ AVANTI SCATTA LA MODALITÀ ANALISI RAPPORTO COSTI-BENEFICI

Per commentare questa modalità farò appello a una frase celeberrima. Sulla scarna parete del disadorno studio alla Princeton University, appartenuto ad Abert Einstein, campeggiava un cartello che si narra fosse scritto di suo pugno.

“Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato” Uno dei suoi celebri aforismi che, tutt’oggi, risultano illuminanti.

In questa sede, indegnamente vi ricorro, per proiettare un po’ di luce sulla metaforica cerniera, che unisce le Cose (prodotti; servizi; prestazioni) al loro Valore per le persone.

PRIMA RIFLESSIONE: I COSTI

Se tutto si potesse ridurre solo ad una questione di prezzo allora basterebbe un sito, basterebbe il più classico www.sescucio.it ad immagine e somiglianza di quello che ti aiuta a selezionare la Compagnia Giusta.

Con il classico senno di poi, anche per l’assicurazione auto che è obbligatoria e che si basa su condizioni standard, in caso di furto o di incidente, si scopre che il costo non era proprio l’unico criterio per valutare.

E chi invece dell’assicurazione deve scegliere l’auto da comprare? Valuta solo il prezzo o, in relazione alle sue possibilità economiche, s’interessa soprattutto della soli-

dità e delle dotazioni di sicurezza, visto che ci porta in giro il bene più caro, la sua vita e quella delle persone che ama?

SECONDA RIFLESSIONE: I VALORI

La cosa più importante è prendersi cura delle persone. Quindi prima di tutto fissiamo gli obiettivi, le necessità, le speranze e i sogni nel cassetto, in modo da poterli classificare e ordinare in scala gerarchica.

La regola maestra insegna: prima proteggere la principale fonte di reddito, anche per tutelare i componenti più deboli della famiglia; poi i progetti di vita, in ordine, da quelli più importanti a quelli più ludici.

Solo dopo aver mappato tutto questo ha senso parlare di soldi e del loro impiego: le risorse già disponibili e quelle da accumulare; il reddito in esubero o da integrare; il passaggio del patrimonio e dell’eventuale attività aziendale o professionale.

Alla fine, si selezionano gli strumenti idonei a realizzare ciascun obiettivo, in base a criteri temporali ed ottimizzando aspetti civilistici, finanziari e fiscali. Se per un

15 marzo 2024 n. 08
Princeton University

Finanza

prodotto/servizio si dispone di più soluzioni, solo allora, si sceglie la migliore confrontando nell’ordine: affidabilità e solidità del fornitore; costi e storia pregressa.

Diversamente, col passar del tempo e il mutare degli eventi, si può scoprire di aver commesso degli errori che sarà poi difficile, ed a volte impossibile, rimediare.

Oggi, mettere in atto questa metodologia operativa, è ancora più importante perché viviamo un’epoca d’incertezza geopolitica con in corso due guerre e mezza (Ucraina; Palestina; Yemen), economica, ambientale e sociale, come non si vedeva da decenni.

Tutte queste vicende, tra l’altro, hanno violentemente impattato i mercati accentuandone l’ordinaria volatilità. Così, alla paura di perdere la salute, di perdere il lavoro, di trovarsi coinvolti in una guerra, si è aggiunta la paura di perdere i risparmi e il loro valore reale.

Sta a noi scegliere come navigare in questi mari: possiamo affidarci alla selezione di prodotti in base all’illusoria affidabilità dei numeri che ci indicano i Costi, i Tassi nominali ed i Risultati passati.

Oppure seguire le previsioni per

cercare di indovinare i futuri saliscendi dei mercati.

Anche se non possiamo misurarli in numeri, una buona pratica ci suggerisce che è meglio partire dagli obiettivi, dalle cose che valgono per noi, come persone, come famiglia. Poi, per ciascun obiettivo, scegliere il prodotto-servizio più adatto a realizzarlo.

Attenzione alle tempistiche perché, investire i risparmi, non può essere un mordi e fuggi.

Ponderare il rapporto rischio/rendimento e diversificare composizione (azioni-obbligazioni-materie prime-beni reali etc.), zone geografiche, valute e chi più ne ha più ne attui.

Investire è un mestiere complesso, ricordiamocelo.

Vincenzo Carrano, Private Partner Allianz Bank F. A. È coadiuvato dal figlio Claudio, per dare continuità a rapporti di fiducia a lungo termine.

Ha consolidato una rosa di sinergie con professionisti che, come un network, è in grado di fornire assistenza olistica. In tal modo, privati ed imprese, hanno acceso all’intera gamma degli investimenti finanziari (fino alle trattative riservate) e, per i settori collaterali, all’assistenza per le aree di: Art Advisory - Rel Estate (anche estero) - Consulenza Legale, Fiscale e Successoria - Philantropic Advisory - Oro.

Per un approfondimento personalizzato: vincenzo.carrano@allianzbankprivate.it

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Mindup magazine
“Towards a sustainable, humancentric and resilient European industry ”
di WALTER ANSALDI
17 marzo 2024 n. 08
Innovazione

Innovazione

Industry 5.0 risulta essere una vera e propria rivoluzione culturale, tecnologica ed economica. Una sfida che le aziende devono sostenere, quindi si devono preparare. Il contesto in cui muoversi è sempre lo stesso: innovazione e relativo cambiamento. E qui le aziende… Così la Comunità Europea definisce la strategia sottesa al progetto Industry 5.0.

Questo paradigma si concentra non solo sullo sviluppo tecnologico, ma anche su quello culturale delle imprese, andando oltre la produzione di beni e servizi per il profitto.

Questo scopo più ampio è costituito da tre elementi fondamentali: centralità dell’essere umano, sostenibilità e resilienza.

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Una delle transizioni paradigmatiche più importanti che caratterizzano l’Industria 5.0 è infatti lo spostamento del focus dal progresso guidato dalla tecnologia a un approccio completamente incentrato sull’essere umano. Questo significa ambiente di lavoro sicuro e favorevole, rispetto dei diritti umani, competenze e inclusione.

L’analisi effettuata dalla Comunità Europea sul contesto economico mondiale evidenzia che senza una profonda trasformazione industriale, sarà impossibile per l’Europa realizzare la sua ambizione di diventare un’economia più resiliente, sostenibile, circolare e rigenerativa, preservando e coltivando allo stesso tempo la sua competitività a livello internazionale (sostenibilità competitiva). Pertanto, si propone una visione nuova e audace per Industry 5.0 che superi Industry 4.0 e fornisca la direzione necessaria per guidare l’innovazione verso nuove forme di valore economico e sociale che sappiano indirizzare contemporaneamente gli obiettivi di prosperità con le esigenze delle persone e la salvaguardia del pianeta.

PERCHÉ ANDARE OLTRE INDUSTRY 4.0?

L’approccio di Industry 4.0, pur nella sua efficacia, è stato essenzialmente tecnologico e centrato sull’emergere di oggetti cibernetici-fisici, offrendo la promessa di maggiore efficienza attraverso la connettività digitale e poi l’intelligenza artificiale. Tuttavia, il paradigma di Industry 4.0, così come attualmente concepito, non è adatto allo scopo in un contesto di crisi climatica ed emergenza planetaria, né è in grado di affrontare tensioni sociali profonde.

Al contrario, è strutturalmente allineato all’ottimizzazione dei modelli aziendali e del pensiero

economico che sono oggi alla radice delle minacce che si devono affrontare. L’attuale economia digitale è un modello in cui il vincitore prende tutto, creando un monopolio tecnologico e un’enorme disuguaglianza di ricchezza.

L’approccio di Industry 4.0 non ha le caratteristiche progettuali indispensabili per rendere possibile la trasformazione sistemica e garantire il necessario disaccoppiamento dell’uso delle risorse e dei materiali dagli impatti ambientali, climatici e sociali negativi.

COS’È INDUSTRY 5.0?

Si è detto che gli elementi fondamentali di Industry 5.0 sono: centralità dell’essere umano, sostenibilità e resilienza. Proviamo ad analizzarli in maggior dettaglio. Sostenibilità significa sviluppare sistemi di produzione basati su energie rinnovabili, attraverso processi circolari che riutilizzino e riciclino le risorse naturali, riducano gli scarti e minimizzino l’impatto ambientale.

Approccio umano significa met-

19 marzo 2024 n. 08

Innovazione

tere l’uomo (e non la macchina o il robot) al centro del modello produttivo, garantendo che l’uso della tecnologia non violi i diritti fondamentali dei lavoratori, come il diritto alla privacy, l’autonomia e la dignità umana. Detto in altro modo, se Industry 4.0 si basa sull’interconnettività tra macchine e sistemi informatici, Industry 5.0 cerca di combinare i ruoli delle persone e delle macchine affinché possano rafforzarsi ed essere complementari.

Resilienza vuol dire superare la fragilità dell’industria europea sviluppando la capacità di adattarsi a situazioni avverse con risultati positivi.

Descritto in questo modo, sembra un dilemma insolubile: come si può aumentare la qualità del lavoro, la sostenibilità e la resilienza senza sacrificare efficienza e produttività? La risposta sta nell’utilizzo evoluto delle nuove tecnologie, quali l’intelligenza artificiale (v. paragrafo successivo) e nello sviluppo di modelli di business basati sulla servitizzazione (pay per use). Si tratta di rivedere alcune

delle logiche aziendali e applicare il cambiamento. Le aziende devono passare da un’ottica basata sui bassi costi delle materie prime a una basata sull’alta qualità (del servizio); da un’ottica basata sui bassi costi del personale a una basata sull’elevata professionalità e, non ultimo, da un’ottica basata sui bassi costi di produzione (delocalizzazione) a una basata sulla vicinanza al cliente. In questo modo Industry 5.0 diventa l’evoluzione logica e coerente di Industry 4.0, andando oltre le best practice votate all’efficienza per puntare sull’economia del risultato.

QUALE LE TECNOLOGIE IMPLICATE

Secondo la Commissione Europea esistono sei categorie tecnologiche essenziali per implementare Industry 5.0:

1.Interazione individualizzata uomo-macchina.

2.Tecnologie “bioinspired” e materiali intelligenti.

3.Digital Twins e simulazione

4.Tecnologie di trasmissione, storage e analisi dei dati

5.Intelligenza artificiale (AI)

6.Tecnologie rinnovabili per l’efficienza energetica

Nessuna di queste è radicalmente nuova, ma è la loro combinazione all’interno del paradigma di sostenibilità, approccio umano e resilienza, a definire un approccio radicalmente nuovo. In particolare, si tratta di indirizzare soluzioni quali advanced digitalization, big data e AI per affrontare i nuovi requisiti emergenti dal panorama industriale, sociale e ambientale. Questo significa utilizzare dati e AI per aumentare la flessibilità produttiva e irrobustire la value chain. Significa inoltre implementare tecnologie che si adattino ai lavoratori (e non viceversa). Inoltre, fare prodotti che durano nel tempo grazie all’auspicabile modello pay per use contribuisce a migliorare il tempo di utilizzo (il ciclo di vita) dei prodotti con un impatto assolutamente favorevole sullo sfruttamento delle risorse del pianeta.

Un tema trasversale rispetto alle diverse tecnologie è quello relativo alle competenze. Una recente

20 Mindup magazine

Una visione nuova e audace per Industry 5.0 che superi Industry 4.0 e fornisca la direzione necessaria per guidare l’innovazione verso nuove forme di valore economico e sociale

indagine realizzata, fra gli altri, dal Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia presso una vasta platea di Aziende manifatturiere di diverse dimensioni, ha evidenziato che per il 91% degli intervistati la mancanza di competenze rappresenta il principale ostacolo allo sviluppo progettuale, risultato decisamente più significativo rispetto ad altri potenziali ostacoli quali i costi troppo alti (42%) e la mancanza di soluzioni tecnologiche adeguate (30%).

I BENEFICI PER IL MONDO INDUSTRIALE

Benché forse in maniera meno immediatamente intuitiva che per Industry 4.0, è fuori di dubbio che il comparto industriale potrà trarre notevoli vantaggi dal nuovo paradigma. Anche non considerando gli incentivi governativi, si devono considerare i risparmi energetici, la capacità di attrarre i migliori talenti, la maggiore resilienza. Secondo le stime della Comunità Europea questi vantaggi si potranno quantificare nel medio periodo, mentre nel breve gli investimenti

necessari potrebbero portare a una temporanea perdita di competitività, per cui sarà necessario pianificare bene gli interventi, tenendo d’occhio la competitività immediata e di lungo termine.

Lo studio già citato dell’Università di Brescia ha peraltro evidenziato che per quasi il 90% degli intervistati mettere l’uomo al centro è un’esigenza effettiva della manifattura di oggi e del futuro. La percentuale sale se si considera la domanda inerente alla sostenibilità, con ben il 94% delle imprese che ritiene che rappresenti un’esigenza concreta dell’industria. Esigenza che, secondo gli intervistati, non è pienamente supportata da Industry 4.0.

Occorre però tenere presente che, per impostare il percorso verso una trasformazione sistemica, le aziende devono cambiare mentalità e orientare la propria azione verso gli obiettivi di Industry 5.0. Le conseguenze di tale transizione sono profonde e mettono direttamente in discussione il sistema di incentivi seguito oggi dalla maggior parte delle aziende, incentra-

to sui guadagni a breve termine, nonché sulla prevalenza degli interessi degli shareholder.

CASI CONCRETI

Già oggi ci sono aziende attive nei settori tecnologici e scientifici che stanno sperimentando con Industry 5.0. In particolare interazione uomo-macchina, utilizzo del cloud, intelligenza artificiale e modelli di produzione sostenibili.

Per il secondo anno consecutive la Comunità Europea ha emesso un bando di concorso (Industry 5.0 Award Contest) per individuare i progetti più interessanti. Le iscrizioni per il 2023 si sono chiuse a settembre e non sono ancora noti i vincitori. Per il 2022 i progetti più interessanti sono stati:

RAMPA-PV: processo di riciclaggio ecologico per materie prime di alta qualità (come silicio e argento) da rifiuti fotovoltaici industriali. Oltre ai benefici ambientali, il progetto contribuisce a ridurre la dipendenza dell’industria europea dalle materie prime e a minimizzare i rischi per la salute dei lavoratori.

21 marzo 2024 n. 08

Saranno previsti tre nuovi crediti di imposta (per un totale di 6,3 miliardi di euro nel biennio 2024-25) da aggiungere agli incentivi del piano Transizione 4.0, che sosterrà la digitalizzazione dei processi produttivi.

22 Mindup magazine Innovazione

SECOIIA: sicurezza informatica per aumentare la resilienza dell’industria. Contribuisce alla salute, alla sicurezza e al benessere dei lavoratori consentendo interazioni uomo-robot sicure e protette in spazi non segregati.

SHERLOCK: soluzioni per migliorare le condizioni di lavoro e l’ergonomia. Riduce l’impronta ambientale del processo produttivo aumentando l’efficienza e riducendo gli sprechi. Il progetto sviluppa robot collaborativi riconfigurabili, con conseguente incremento di flessibilità e resilienza.

IL CONTRIBUTO PNRR

Con l’approvazione definitiva del DL n. 181/2023 – Decreto sicurezza energetica è stato tolo l’ultimo vincolo al varo ufficiale del Piano Transizione 5.0, ovvero il piano di incentivi voluto dal Governo per sostenere la digitalizzazione delle industrie italiane, con particolare attenzione all’ambiente e al contenimento dei consumi energetici.

Saranno previsti tre nuovi crediti di imposta (per un totale di 6,3 miliardi di euro nel biennio 202425) da aggiungere agli incentivi del piano Transizione 4.0, che sosterrà

la digitalizzazione dei processi produttivi.

I tre crediti saranno così suddivisi: acquisto di beni strumentali materiali o immateriali ;acquisto di beni necessari per l’autoproduzione e l’autoconsumo da fonti rinnovabili ad esclusione delle biomasse; formazione del personale con le competenze necessarie per la transizione.

E ADESSO?

L’approccio che l’Unione Europea ha adottato con Industry 5.0 è innovativo e coraggioso. Coraggioso soprattutto perché viene proposto in un momento in cui da più parti (associazioni di categoria, schieramenti politici, canali social) si levano voci contro scelte che possono, nel breve periodo, rivelarsi costose; soprattutto per chi ha uno sguardo limitato al puro contingente. Certo, anche piantare un ulivo è, nel puro contingente, un’operazione costosa e con ROI negativo, ma se i nostri nonni avessero ragionato in questo modo oggi i nostri frantoi girerebbero a vuoto.

La sfida che ci aspetta consiste nell’avere chiari gli obiettivi di qualità della vita e del lavoro per

oggi e per gli anni futuri, cercando di riallineare gli obiettivi strategici senza dimenticare il contingente, a livello aziendale (redditività e competitività) e sociale (equità).

Per fare questo sono necessari diversi cambiamenti: un cambiamento culturale; un cambiamento del modello di business; un miglioramento della capacità di management. Altrimenti Industry 5.0, invece di essere il trampolino per il rilancio di una leadership europea a livello economico e industriale, sarà solo la scusa per giustificare l’erogazione di contributi a pioggia graziosamente concessi dalla monarchia di turno ai sudditi riconoscenti.

Che la competitività del sistema Europa e di tutti i suoi paesi membri, fosse un tema molto serio lo si era già intuito da più parti. L’incarico a Mario Draghi per un Assessment ne è la conferma palese.

al Sommario 23 marzo 2024 n. 08
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Open Innovation, occasione di crescita per il Paese

24 Mindup magazine
Innovazione
di ALFONSO FUGGETTA*

Ah, l’Open Innovation! Tutti ne parlano, tanti la vogliono, molti ne declamano le grandi virtù, rivendicando con energia il fatto di farla.

È proprio così? In pochi altri casi colgo una distanza così abissale tra parole e sostanza, dichiarazioni e azioni, forma e contenuto, ambizioni e reale impatto.

Ma andiamo con ordine. Cosa si intende per Open Innovation? Per molti, troppi, Open Innovation è un insieme di strumenti utilizzati per promuovere l’innovazione.

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marzo 2024 n.08
* Riflessione, estratta dal libro di Alfonso Fuggetta “Alla ricerca del buon management”, Egea 2024

Innovazione

Si evoca l’Open Innovation citando startup (non mancano mai!), hackathon, concorsi di idee, corporate venture capital. Sono strumenti attraverso i quali si coinvolgono intelligenze esterne all’azienda. Come tali sono certamente utili, ma esistono due problemi di fondo che è necessario chiarire e discutere.

In primo luogo, troppe volte questi strumenti sono usati o anche solo evocati in modo distorto e fin controproducente. A titolo di esempio, vorrei approfondire uno dei temi che avevo affrontato in un precedente lavoro: il ruolo delle startup. Le startup nascono per portare una tecnologia o una qualche innovazione sul mercato attraverso la creazione di un nuovo prodotto o servizio. A volte, le startup sono acquisite da aziende più grandi che incorporano le idee, i prodotti, il know-how, la proprietà intellettuale e le risorse umane della startup all’interno della propria organizzazione. In generale, le startup sono il risultato di un processo che va dall’idea al mercato

(push) attraverso la creazione di una nuova impresa.

I venture capital investono in una startup perché intravedono una possibilità di successo di quella iniziativa. Utilizzano una ingente quantità di risorse economiche scommettendo su più “cavalli di razza” con un piano ben preciso: sanno che molti non arriveranno al traguardo, ma che quelli che lo faranno daranno origine ad un guadagno che compenserà (e di molto) le altre perdite subite.

Quando un’impresa commerciale ha bisogno di una startup? Quando quella startup offre un prodotto o servizio che è funzionale al proprio sviluppo. È possibile che i bisogni di innovazione di una azienda siano soddisfatti da startup? Certamente, ma non è ovvio né sempre fattibile o conveniente. L’analisi dei bisogni di una azienda deve partire da una ricognizione dei suoi problemi e ambizioni, dall’analisi del mercato e dall’identificazione delle eventuali lacune nell’offerta esistente, dalla definizione di soluzioni efficaci per i temi identificati (processo pull che parte dal bisogno, non dalla tecnologia). Può essere che in questo processo si identifichino anche una o più startup che hanno le potenzialità per soddisfare questi bisogni. Però potrebbe anche essere che non se ne trovino o che quelle identificate siano ancora in uno stato di maturazione insufficiente per un’applicazione industria-

le o che le soluzioni proposte non siano da sole in grado di risolvere il problema di partenza. Il processo pull ha obiettivi e dinamiche diversi da quello push: non deve cercare idee innovative da finanziare e portare a maturazione, quanto trovare soluzioni efficaci per i problemi o le ambizioni identificate. Un’impresa potrà anche prevedere di fare investimenti in startup, ma dovranno essere mirati sui propri bisogni e di certo non potranno sostituire il processo pull, né trasformare l’azienda in un venture capital vero e proprio. Il mestiere del venture capital è difficile e diverso da quello di una azienda commerciale. Confondere questi piani è deleterio

Allo stesso modo è deleterio l’intervento pubblico nelle forme di un venture capital o investitore di Stato. Lo Stato ha una funzione di regolazione del mercato. Nel momento in cui diventa un soggetto investitore entra in conflitto di interessi con il suo ruolo di regolatore e di soggetto pubblico: che succede se, per esempio, deve assegnare una gara alla quale competono un soggetto privato e uno finanziato dal Pubblico? È sensato che lo Stato faciliti gli investimenti con fondi di fondi (che abbassano la soglia di rischio degli investitori privati) piuttosto che assumendo il ruolo di investitore diretto vero e proprio. A questo proposito non posso non notare la grande confusione che si genera quando si richiamano modelli pubblici di

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Mindup magazine

investimento sostenuti da altri paesi (in primis gli USA): essi certamente prevedono investimenti pubblici in iniziative private, ma sono sempre ben calibrati per evitare i problemi di commistione a cui facevo riferimento. Per esempio, sostengono un procurement strategico (come nel caso della Difesa) che promuove lo sviluppo delle imprese private, sfidandole a soddisfare i bisogni del Pubblico. Oppure offrono, attraverso bandi aperti, fondi per la ricerca che aiutano imprese piccole e grandi a sviluppare prodotti e servizi innovativi. Sono azioni molto diverse da una partecipazione diretta e sostanziale del Pubblico nel capitale delle imprese private.

Un’altra forma di distorsione è oggi costituita da soggetti che da un lato svolgono il ruolo di investitori in startup e dall’altro di società di consulenza che utilizzano quelle startup. È una commistione rischiosa: un consulente dovrebbe sempre ricercare la migliore soluzione possibile per il cliente e non essere condizionato da un

suo ruolo collaterale di investitore, n’est-ce pas?

Quanto visto discute il primo problema che evidenziavo: un uso distorto degli strumenti di Open Innovation. Ma ancora più critico è il secondo problema: la mancanza di reale apertura all’interno delle imprese. Qualunque strumento di Open Innovation si scelga di utilizzare, la vera sfida di una impresa è quella di aprirsi ai contributi esterni. È questo il passo più difficile e critico. Troppe volte le strutture aziendali (specialmente quelle che hanno compiti e ruoli vicini ai temi dell’innovazione) sono le prime a combattere l’Open Innovation (in qualunque forma essa si manifesti) perché la percepiscono come un processo che crea competitor esterni che minacciano il proprio ruolo e la propria funzione all’interno dell’azienda.

Il tema di fondo è che Open Innovation non è un insieme di strumenti o di funzioni aziendali, quanto un approccio culturale e imprenditoriale che sa osservare,

accogliere e valorizzare i contributi di competenze, conoscenze e tecnologie sviluppate all’esterno dell’azienda

Ecco perché quando si parla di Open Innovation c’è una grande distanza tra sogno e realtà. Ne abbiamo una visione distorta che non riesce poi a tradursi in ciò che è realmente importante, quel che alla fine conta davvero: avere un impatto positivo sulla vita e sulla dinamica dell’impresa.

Se usiamo male gli strumenti di Open Innovation e, ancor più critico, non ci rendiamo conto che Open Innovation è una mentalità prima ancora che una batteria di parole chiave, alimentiamo un percorso perverso che allarga lo iato tra aspettative e risultati, tra visione e realtà, tra desideri e impatto. E perdiamo l’ennesima occasione per aiutare il Paese a crescere e svilupparsi.

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marzo 2024 n.08
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Capitale umano e digitalizzazione: le principali sfide da affrontare e le risposte

28 Mindup magazine
Innovazione

La crescente portata della trasformazione digitale nelle industrie e nei mercati globali pone sempre più l’accento sulle nuove tecnologie e sulle competenze necessarie per gestirle ed utilizzarle efficacemente.

La trasformazione digitale è umano-centrica, fatta dall’uomo e per l’uomo.

Infatti, se da una parte le tecnologie supportano le persone nei propri task garantendo un potenziamento delle capacità cognitive nel lavoro, dall’altra parte il successo della rivoluzione digitale si fonda sulla disponibilità di skills digitali e su una solida e resiliente cultura aziendale, volta all’innovazione e all’accettazione del cambiamento.

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marzo 2024 n.08

Innovazione

La mancanza di competenze, in particolare digitali, rappresenta un vincolo non trascurabile per quelle aziende che stanno cercando di innovare. La cultura aziendale deve promuovere approcci di miglioramento continuo, colmando il gap con le nuove competenze e i nuovi lavori che stanno emergendo. In tale contesto, le aziende dovrebbero avere una chiara visione delle competenze attualmente presenti e di quelle necessarie, attivando programmi formativi di upskilling e/o reskilling coerenti con i propri obiettivi. Tuttavia, skills digitali adeguate non sono sempre presenti all’interno delle imprese, in particolare delle PMI, che devono convivere con una continua lotta per una ottimale gestione dell’operatività quotidiana (riducendo l’attenzione verso il percorso di digitalizzazione) e con un livello di attrazione generalmente inferiore rispetto ad imprese multinazionali, in grado per esempio di offrire retribuzione più elevate.

Risulta inoltre fondamentale avere anche figure in grado di trasferire l’importanza del cambiamento digitale, oltre a coinvolgere adeguatamente il personale. La

tematica della leadership digitale e della creazione di team crossfunzionali diventa infatti sempre più rilevante, insieme allo sviluppo di approcci orientati al problem solving e allo scambio strutturato di informazioni e idee. In altre parole, è importante ristrutturare l’organizzazione del lavoro, supportando meccanismi di empowerment e delega, ottimizzando l’integrazione tra diverse funzioni, favorendo la gestione delle complessità e definendo procedure per co-operare in sicurezza con le nuove tecnologie.

Le aziende dovrebbero avere una chiara visione delle competenze attualmente presenti e di quelle necessarie, attivando programmi formativi di upskilling e/o reskilling coerenti con i propri obiettivi

30 Mindup magazine

Al fine di comprendere la gestione del capitale umano da parte delle imprese lombarde nel percorso di trasformazione digitale, il DIH Lombardia ha analizzato i più di 400 assessment di maturità digitale svolti all’interno della regione. Il campione delle aziende considerate è piuttosto eterogeneo, con differenti settori di appartenenza e dimensioni in termini di fatturato e numero di dipendenti.

L’analisi del DIH Lombardia si è svolta in due direzioni. In primo luogo, sono stati classificati gli aspetti del capitale umano in termini di (i) coinvolgimento del personale nei processi di cambiamento e di miglioramento continuo, (ii) comunicazione tra i diversi livelli e le diverse funzioni delle informazioni su performance, istruzioni operative e sicurezza e (iii) competenze digitali, inteso

come la presenza di piani che comprendano mappatura, analisi gap e programmi formativi al fine di mantenere il personale aggiornato e qualificato.

In secondo luogo, il DIH Lombardia ha esaminato la funzione delle Risorse Umane, cercando di cogliere in quali realtà svolga un ruolo strategico e maturo per la digitalizzazione dell’impresa.

La figura 1 mostra la maturità media di coinvolgimento, comunicazione e competenze in una scala da 1 a 5.

Considerando il grado di coinvolgimento del personale, si evidenzia che la quasi totalità delle imprese informa i propri dipendenti riguardo i processi di cambiamento digitale (92%) e che in circa la metà dei casi chieda anche opinioni in merito. Nonostante il buon risul-

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COINVOLGIMENTO COMUNICAZIONE COMPETENZE 3,16 3,47 2,79 5 4 3 2 1
Figura 1: Maturità capitale umano rispetto a coinvolgimento, comunicazione e competenze

Innovazione

tato, c’è ancora strada da fare: ad esempio, è solo nel 13% delle imprese che i dipendenti possono essere considerati co-creatori del cambiamento. La responsabilizzazione e l’empowerment dei dipendenti risultano generalmente consolidati.

Riguardo la comunicazione tra i dipendenti, sia orizzontale sia verticale, si sottolineano buone pratiche e procedure. Vi è un discreto grado di interazione e condivisione che permettono un aggiornamento rapido e una comunicazione efficace. Anche in questo caso, nonostante i buoni risultati, è importante evidenziare come vi siano ancora opportunità da poter cogliere, con logiche di integrazione che possono garantire notevoli miglioramenti.

Infine, i risultati inferiori riguardano le skill, con la maggior parte delle aziende (95%) che non ha svolto e/o non aggiorna regolarmente la mappatura delle competenze digitali dei dipendenti. La realizzazione di programmi di formazione, upskilling e reskilling ne risente, con solo l’11% delle aziende che sviluppa piani forma-

tivi completi, estesi a vari livelli.

L’analisi della funzione delle Risorse Umane è stata svolta lungo 4 dimensioni: organizzazione, controllo, esecuzione e tecnologia. I risultati sono rappresentati dalla figura 2.

Il dato evidenzia come spesso nelle imprese lombarde manchi una strategia strutturata su persone e skills digitali. Il nume-

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ESECUZIONE CONTROLLO TECNOLOGIA 5 4 3 2 1 ORGANIZZAZIONE 2,76 2,76 3,21 2,11
Figura 2: Maturità digitale della funzione Risorse Umane lungo 4 dimensioni di analisi

Il contesto analizzato evidenzia una forte incongruenza: da un lato vi è la necessità delle imprese di digitalizzarsi, dall’altra un’impreparazione culturale e tecnica delle risorse umane

ro di aziende con leadership di digitalizzazione e team innovazione cross-funzionali è ancora piuttosto basso, l’attività di misura e aggiornamento delle competenze digitali è sporadico e logiche di meccanismi premianti che comprendano il tema digitale sono solo saltuariamente presenti. Al contrario, la maggior parte delle imprese ha valutato investimenti o ha già investito in tecnologie finalizzate a migliorare il benessere lavorativo.

Per concludere, il contesto analizzato evidenzia una forte incongruenza: da un lato vi è la necessità delle imprese di digitalizzarsi, dall’altra un’impreparazione culturale e tecnica delle risorse umane che rischia di mettere a repentaglio la sua piena riuscita.

Questa situazione, come suggerisce lo studio sviluppato nel 2023 dal DIH Lombardia, si traduce in un forte rischio di far arenare le opportunità (e anche i progetti) di trasformazione digitale per “una incapacità delle persone delle aziende di cogliere appieno l’importanza e la centralità del dato o, più semplicemente, per la paura di effettuare scelte organizzative non

ancora completamente consolidate come quella di introdurre figure di Data Scientist, Data Architect, Responsabili di Cybersicurezza ecc.”

Per evitare tale situazione, il DIH Lombardia suggerisce quattro principali step che le aziende dovrebbero seguire: Mappare le competenze aziendali presenti e necessarie, con focus su quelle digitali; Delineare programmi formativi in linea con i propri obiettivi strategici e che permettano di colmare i gap tra skills disponibili e necessarie; Utilizzare le tecnologie digitali per aumentare la comunicazione, la sicurezza e il benessere dei dipendenti; Aggiornare regolarmente le competenze, sviluppando piani di miglioramento continuo per i diversi livelli aziendali.

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33 marzo 2024 n.08

Ruolo delle informazioni digitali nello

Sviluppo Prodotto al tempo di Industria X.0

34 Mindup magazine Innovazione

L’innovazione digitale nel mondo industriale ha seguito negli ultimi anni i paradigmi di Internet of Things, Industria 4.0 prima e 5.0 poi.

Nel mondo della ricerca già si parla di Industria 6.0 e questa è la motivazione della X nel titolo.

Al di là delle sigle e dei numeri, l’innovazione digitale nel mondo industriale è un dato di fatto, anche se caratterizzata da differenti “toni di colore” nelle diverse aziende, riprendendo il titolo di un noto bestseller. Un aspetto essenziale del processo innovativo, il primo livello, è la digitalizzazione delle informazioni, intendendo con informazione il dato che acquista significato in un contesto specifico. Ma come evolve questa tematica per le aziende?

35 marzo 2024 n.08

Innovazione

Diverse le tecnologie e le applicazioni adottate nel mondo industriale, ciascuna di queste porta vantaggi e, in genere, qualche ostacolo diverso da quelli noti, da superare. In tutto questo fermento, di certo la digitalizzazione delle informazioni porta con sé numerosi vantaggi: l’accessibilità, la facilità di ricerca e di elaborazione, la condivisione, l’interoperabilità, la tracciabilità, l’integrazione di processi sono quelli che vengono in mente e probabilmente non sono i soli.

Parlare di informazioni digitali in ambito industriale richiede la determinazione di un ambito specifico; qualunque aspetto tecnologico risente delle caratteristiche dell’ambiente, non sono confrontabili soluzioni in ambiti struttural-

mente molto diversi (micro, PMI, grandi aziende) e con elevate differenze per disponibilità di risorse. In queste mie considerazioni mi riferisco essenzialmente a medie e grandi imprese manufatturiere, anche se alcune PMI possono vantare strutture informative allo stesso livello delle grandi.

In tali ambiti è ben nota la presenza di due grandi attori della gestione dell’informazione digitale, i sistemi ERP e PLM.

I primi, dove l’acronimo sta per Enterprise Resource Planning, sono il gestore delle informazioni gestionali e si occupano dei dati finanziari, delle risorse umane, dell’organizzazione della manifattura, dei fornitori e clienti, dei servizi e altro ancora.

I secondi, e l’acronimo in questo

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Giorgio Colombo, Professore Dipartimento di MeccanicaPolitecnico di Milano

caso significa Product Lifecycle Management, gestiscono i dati tecnici dei prodotti con annessi e connessi.

Detto questo, viene spontanea una domanda: perché nel mondo aziendale le informazioni sono gestite da due tipologie di strumenti diversi, uno di carattere gestionale e l’altro tecnico?

La soluzione suona illogica ed effettivamente lo è, anche perché pone in atto problematiche di interazione tra un mondo e l’altro, con l’evidente necessità di trasferimento di informazioni tra l’uno e l’altro. La motivazione è di carattere storico; i sistemi ERP e PLM sono nati in epoche diverse per esigenze specifiche ed entrambi si sono evoluti indipendentemente per molto tempo.

I sistemi PLM, e i loro predecessori PDM (Product Data Management) si sono diffusi dopo l’avvento delle tecnologie CAD (Computer Aided Design), un bel po’ di anni dopo che la digitalizzazione aveva cominciato ad interessare le attività gestionali. Ma posseggono un unicum genetico: sono pensati e sviluppati a supporto di tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto: concezione, progettazione, simulazione, realizzazione, messa in esercizio, manutenzione e dismissione per l’eventuale riutilizzo. Dovessimo progettare ex-novo un sistema informativo innovativo per il mondo produttivo, probabilmente non perpetueremmo la dicotomia attuale ma allo stato attuale così è e tutto lascia presagire che così rimarrà per un bel po’ di tempo.

Ma le soluzioni disponibili oggi, possono essere considerate soddisfacenti?

Il sistema PLM rappresenta il cuore di un ecosistema che comprende strumenti CAD per la generazione dei prototipi virtuali e della documentazione tecnica, strumenti CAE (Computer Aided Engineering) necessari per le simulazioni numeriche (strutturali, dinamiche, termiche, fluidodinamiche, multi-fisiche, …), da tecnologie per la visualizzazione tradizionale e avanzata (Realtà Virtuale, Aumentata, Mista), strumenti MES (Manufacturing Execution System) di gestione e controllo della produzione, tecnologie per l’acquisizione di informazioni dalla rete IoT e parecchi altri.

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Il processo di Sviluppo Prodotto (per cortesia di L. Failla et al.)

Innovazione

Quali sono le informazioni tecniche di prodotto normalmente gestite in formato digitale dal sistema PLM? Sulla base di studi accademici ed esperienze industriali, la struttura di prodotto sintetizzata nella cosiddetta BOM (Bill of Material o distinta base per usare il corrispondente termine italiano) è certamente la principale, i codici delle parti (strutturate o elementari), alcuni requisiti di assiemi e componenti, i materiali delle parti e alcune loro caratteristiche, le modifiche di progettazione, le normative, i modelli CAD e i disegni 2D, e altro ancora.

Il problema che si evidenzia è se tale tipologia di informazioni digitali sia idonea a realizzare in ambiti aziendali implementazioni IT adeguate alle soluzioni avanzate prospettate dai protocolli di Industria 4.0 e 5.0. Molto probabilmente la risposta si concretizzerebbe in un sintetico NO. Infatti, data la complessità, numerosità e integrabilità richiesta dalle informazioni necessarie alle diverse attività dello sviluppo prodotto; le informazioni memorizzate nei sistemi PLM sono nei casi più sviluppati una selezione importante ma certamente non adeguata.

Ma cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro?

Le diverse attività di ricerca ci indicano delle possibili soluzioni al problema appena evidenziato.

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Alcuni ricercatori sono indirizzati verso l’esplorazione di strutture dati che fungano da backbone per l’intero processo e ne supportino le attività, fornendo informazioni giuste nel momento giusto

Alcuni ricercatori si sono indirizzati verso l’esplorazione di strutture dati che fungano da backbone (spina dorsale di riferimento) per l’intero processo di sviluppo prodotto e ne supportino le attività fornendo le informazioni giuste nel momento giusto. Esse hanno il compito di permettere un approccio interoperabile e multidisciplinare ai gruppi di esperti coinvolti in un progetto complesso favorendo anche l’automatizzazione di attività. Solo un insieme ristretto di tali informazioni verrà poi registrato nel sistema PLM, quando avranno raggiunto la condizione di risultato consolidato e non nell’evoluzione dinamica delle attività progettuali.

Per tali finalità sta riscuotendo favori l’approccio basato sulle ontologie; esse sono basate sulla definizione rigorosa del vocabolario di un dominio tecnico, la classificazione delle entità logiche coinvolte e le loro relazioni, assiomi di dominio. Si tratta di un dominio della conoscenza certamente più noto a filosofi, matematici e informatici di quanto non lo sia agli Ingegneri operanti nello Sviluppo Prodotto.

Al momento riguarda più l’ambito della Ricerca accademica piuttosto che delle implementazioni nel mondo reale, però i primi risultati sono incoraggianti. Personalmente e con il supporto del mio gruppo di ricerca stiamo lavorando ad applicazioni in questa direzione in collaborazione con un’importante azienda del settore “oil and gas”. Ad oggi posso ammettere che si sono evidenziate interessanti prospettive di sviluppi futuri.

La strada è nota, non è breve ma confidiamo porti al risultato. Le indicazioni provenienti dal mondo della ricerca accademica promuovono lo sviluppo di framework, a integrazione dei consolidati PLM, in grado di gestire con un approccio ontologico una backbone di dati in grado di supportare in modo multidisciplinare, multi-operabile e totale tutte le attività dello sviluppo prodotto.

Scusate se può sembrare poco… ma è la svolta!

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marzo 2024 n. 08
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Governance efficace metodi, iniziative e linee guida

40 Mindup magazine
di MARIA LANZETTA
Organizzazione

La governance aziendale è al centro del buon funzionamento di un’organizzazione e

ha un ruolo cruciale per garantirne il successo, la trasparenza e la sostenibilità sul lungo termine.

Non solo ne migliora le performance complessive, ma promuove anche la fiducia tra gli azionisti, dirigenti, dipendenti, e gli stakeholder esterni.

41 marzo 2024 n. 08

Organizzazione

Nell’attuale contesto economico e sociale, una governance virtuosa è diventata un elemento imprescindibile per il successo e la sostenibilità di qualsiasi organizzazione. Essa definisce il sistema di regole, pratiche, processi e strutture attraverso cui un’azienda è diretta, gestita e controllata. Si occupa, inoltre, di determinare come le decisioni vengono prese, in quali modalità l’autorità viene esercitata, come sono gestiti i conflitti di interesse e come vengono definiti i ruoli e le responsabilità all’interno dell’intera struttura, garantendo il rispetto delle normative, la trasparenza e l’equità in tutte le operation e assicurando l’allineamento degli interessi di tutte le parti coinvolte.

Ma come si è evoluta la governance aziendale nello scenario attuale e qual è il suo ruolo nelle imprese del 2024? Partiamo con l’evidenziare che negli ultimi anni, essa ha subito una trasformazione signifi-

cativa: le dinamiche aziendali sono cambiate come conseguenza della globalizzazione, dell’avvento delle nuove tecnologie e della crescente consapevolezza dei problemi legati all’ambiente e alla sostenibilità. In risposta a queste sfide, la governance aziendale ha iniziato a concentrarsi non solo sulle questioni finanziarie e sulla gestione del rischio, ma anche sull’etica, sulla responsabilità sociale e sull’impatto ambientale. Una governance efficace richiede, oggi più che mai, un impegno continuo da parte dei leader e dei dirigenti a tutti i livelli dell’organizzazione: si tratta di un processo dinamico che necessita di adattabilità e costante valutazione per garantire la rilevanza e l’efficacia nel tempo; la sua implementazione porta a una maggiore fiducia degli stakeholder, a una gestione più efficiente e a una posizione più forte sul mercato. Per questa ragione, è fondamentale che le imprese si impegnino a definire e applicare buone pratiche di governo societario, qualunque sia il tipo di organizzazione e a prescindere dalla dimensione delle stesse.

METODI E LINEE GUIDA PER UNA GOVERNANCE EFFICACE

Diversi sono gli aspetti da considerare per definire una strategia di governance efficace, a partire dalla creazione di una struttura organizzativa coerente, basata su

un sistema gerarchico ben definito, una suddivisione delle responsabilità con una catena di comando determinata in modo puntuale e con ruoli ben precisi. Questo è possibile solo se al vertice di tale struttura c’è una direzione efficiente, costituita da dirigenti in grado di condurre una leadership competente, responsabile e orientata al raggiungimento degli obiettivi, oltre che all’ascolto attivo dei diversi stakeholder. Per questo, la prima cosa da fare è costituire un organo direttivo consiglio di amministrazione o un tavolo apicale diversificato e preparato che sappia prendere decisioni efficaci, capace di sviluppare una strategia a lungo termine che rifletta gli obiettivi e la visione dell’organizzazione, e che mantenga costantemente il controllo e la supervisione delle attività. A tale scopo, è necessario mettere in atto dei meccanismi di monitoraggio e controllo costanti, che contemplino delle KPI ben definite, attraverso audit periodici per valutare le prestazioni e le pratiche in corso, nonché per identificare e correggere eventuali lacune o inefficienze, sempre partendo dal presupposto che gli obiettivi aziendali siano allineati con gli interessi di tutti gli stakeholder e le strategie adottate favoriscano la sostenibilità e la longevità dell’organizzazione, migliorandone la resilienza e garantendone la solidità. A questo riguardo, un ruolo

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importantissimo in una governace adeguata è rappresentato dalla gestione del rischio, implementando un sistema efficace per identificare, valutare e gestire i potenziali pericoli che possono influire sull’organizzazione e minacciarne la stabilità, contemplando nei piani strategici anche i ‘rischi calcolati’ e, quindi, tutte le misure necessarie per gestire gli imprevisti. Insomma, niente può essere lasciato al caso, se si vuole governare un’organizzazione in modo efficiente e produttivo.

Elementi essenziali sono, inoltre, rappresentati da etica aziendale e conformità alle regole, dal momento che il rispetto delle leggi,

delle normative e degli standard etici è indispensabile per mantenere la fiducia degli stakeholder e dell’intera organizzazione. In questo senso, una comunicazione aperta e trasparente con tutte le parti coinvolte consente che informazioni e norme vengano divulgate e condivise adeguatamente, e che tutti ne abbiano consapevolezza. A tal fine è necessario predisporre e quindi mettere a disposizione una documentazione sulla governance accurata e aggiornata, che contenga le regole in base alle quali è gestita l’attività, e riporti i diritti e i doveri degli azionisti/ proprietari, così come anche dei dipendenti, costituendo il punto di riferimento per verificare che

procedure e processi in atto siano corretti. Il principio di trasparenza ovviamente si applica anche, e soprattutto, nei rapporti finanziari per garantire la fiducia degli investitori e degli altri stakeholder, senza zone d’ombra e aree di conflitto.

Per tutto quanto visto finora sono richieste preparazione, competenze e formazione continua da parte del management, che poi potrà essere agevolato nelle sua attività di governance, grazie anche al supporto di infrastrutture adeguate e all’adozione di tecnologie innovative, quali piattaforme gestionali, software per il monitoraggio, la comunicazione e la gestione dei dati,

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Organizzazione

e attraverso l’implementazione di strumenti basati su Intelligenza Artificiale, che possono essere di enorme ausilio per migliorare l’efficienza aziendale.

GOVERNANCE E ALLINEAMENTO AZIENDALE

Quanto evidenziato sopra implica il fatto che il management sia capace di mettere in piedi un’organizzazione allineata in cui tutti, sia a livello direzionale, sia operativo, siano ben consapevoli di quali siano gli obiettivi dell’azienda, abbiano fatto propri i valori su cui essa si fonda e siano a conoscenza di come questi si concretizzino all’interno del team e delle strategie organizzative: solo così ciascun collaboratore potrà concorrere in modo attivo e proattivo al successo collettivo. L’allineamento, ovviamente, deve esserci innanzitutto a livello di management in modo trasversale: ciò significa che prima di partire e passare all’operatività, i comitati direzionali devono aver concordato valori, visione e obiettivi aziendali, che verranno poi condivisi, verticalmente, tra ciascun manager e i rispettivi team a cascata, attraverso una comunicazione trasparente e assertiva, all’interno dell’intera struttura. Una volta che ogni singolo dipendente, qualunque sia la sua mansione, avrà chiara la direzione in cui vuole

andare l’azienda e i traguardi che vuole raggiungere, sarà molto più semplice per il manager ottenere l’engagement di ogni membro del team nell’operatività quotidiana. È evidente che se si riesce ad avere la maturità, la trasparenza e l’onesta intellettuale a livello di governance, per arrivare a un allineamento di strategia, sarà molto più semplice riproporre questo modello all’interno dei propri gruppi di lavoro, ottenendo così una modalità operativa armonica, focalizzata e quindi più produttiva. A questo scopo è fondamentale che ciascuno leader, oltre ad avere specifiche competenze manageriali, possegga anche caratteristiche maggiormente legate alla sfera umana ed etica, quale empatia, fiducia e quindi capacità di delega, onesta e trasparenza. Il processo, dunque, deve partire dall’alto, infatti il disallineamento e l’assenza di armonia tra i manager vengono inevitabilmente percepiti ai vari livelli, creando, con effetto domino, un senso di sfiducia nell’azienda, malessere e disorientamento, portando inoltre alla creazione delle inevitabili ‘parrocchie’, in cui ciascuno viene guidato da una sorta di campanilismo che, a sua volta, genera una miopia deleteria. Insomma, esattamente come si chiede ai genitori di essere sempre allineati agli occhi dei propri figli per farli crescere in modo solido, allo stesso modo si deve esigere

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che il management lavori in modo armonico e coerente per fornire ai propri collaboratori una direzione unica e chiara in cui muoversi.

A questo scopo, può essere molto utile realizzare degli assessment periodici e delle survey interne, con l’obiettivo di monitorare il livello generale di allineamento, compararne il grado all’interno delle varie unità organizzative e capire se e dove ci sono delle criticità, in modo da individuare tempestivamente eventuali discostamenti, e intervenire subito con azioni mirate e correttive. Per determinare e misurare le attività e i processi, è importante, inoltre, definire parametri e indicatori condivisi, applicabili nei vari dipartimenti aziendali e, quindi, introdurre elementi oggettivi di valutazione.

Un coerente allineamento aziendale, di fatto, porta a benefici concreti quali aumento del rendimento, morale più alto, percentuale più bassa del turnover aziendale, maggiore efficienza nel raggiungimento degli obiettivi, capacità di prendere decisioni importanti più velocemente e di adattarsi più agilmente ai cambiamenti.

IL METODO DELLE 3P E GOVERNANCE

Un aspetto nevralgico all’interno di una governace efficace è rap-

presentato dall’adozione di un sistema di valutazione preciso e oggettivo, che tenga conto del profilo professionale più adeguato a un collaboratore, dei risultati che questo produce e, infine, delle potenzialità della risorsa e delle sue possibilità di crescita in prospettiva. Spesso si è sentito parlare del sistema di valutazione delle 3P, una metodologia testata e consolidata negli anni, che ha l’obiettivo di valorizzare e migliorare la qualità del lavoro delle persone e lo stesso clima aziendale. Caratterizzato da un approccio estremamente efficace, si basa fondamentalmente su tre fattori: posizione, prestazione e potenziale. Le tre “P” vengono analizzate e valutate sulla base del ruolo ricoperto e delle relative mansioni, dei risultati raggiunti e delle modalità con cui siano stati condivisi e perseguiti gli obiettivi assegnati, per arrivare fino all’individuazione di eventuali aree di debolezza o, al contrario, di potenzialità su cui investire per far crescere la risorsa, generando un più alto livello di motivazione.

È bene che ogni azienda, piccola o grande che sia, disponga di un organigramma ben preciso, all’interno del quale vengono individuate delle funzioni alle quali corrisponde una specifica posizione lavorativa. I manager e i responsabili delle risorse umane dovranno identifica-

re e tracciare quali siano le caratteristiche da possedere per svolgere quella determinata funzione e, sulla base di queste coordinate, si procederà a individuare il candidato che meglio risponda a tale profilo. È fondamentale che, nel decidere se una persona sia adatta a quel ruolo, si tengano in considerazione sia gli hard skills, ovvero percorso e grado di istruzione, esperienze pregresse, competenze, abilità e conoscenze; sia soft skills come capacità di comunicazione, leadership, etica del lavoro, inclinazione a lavorare in team, capacità di adattamento, etc., le quali poi avranno un ruolo fondamentale nell’individuazione del potenziale. Una volta individuato il profilo più adatto per quella posizione e definiti obiettivi, aspettative e risultati attesi, si passerà, in una fase successiva, alla valutazione delle prestazioni. A tale riguardo, è importante che il manager o il supervisore effettui un monitoraggio costante delle attività in corso di esecuzione, pianifichi dei confronti periodici, fornisca dei feedback chiari e inequivocabili e suggerisca, se serve, delle azioni correttive o modifiche in corso d’opera. Inoltre, la valutazione sulle performance deve tener conto del raggiungimento degli obiettivi sia i termini quantitativi sia qualitativi, delle modalità operative, dell’atteggiamento e delle inclinazioni del collaboratore, tutti elementi

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utili per delinearne le potenzialità future. In effetti, la valutazione del potenziale può rappresentare per un’organizzazione lungimirante, un asset davvero strategico, dal momento che consente un’analisi delle potenzialità emerse e non ancora completamente espresse, ma su cui l’azienda può ritenere opportuno e conveniente investire, ipotizzando un piano di crescita e di sviluppo professionale per il collaboratore, il quale, dal canto suo, vede davanti a sé un percorso di carriera che lo motiva e lo fidelizza all’azienda.

Guardando in prospettiva, la governance aziendale continuerà a evolversi e dovrà adattarsi costantemente a nuovi contesti, mettendo sempre più le persone al centro delle proprie strategie. Ci si aspetta che le organizzazioni siano sempre più attente alle questioni ambientali, sociali e tecnologiche all’interno del proprio ecosistema, in cui benessere dell’individuo, rispetto, legalità e trasparenza possano rappresenta-

re le linee guida per una strategia di governance che garantisca la prosperità di un’impresa sul lungo termine. Inoltre, in uno scenario globale in costante trasformazione, la governance aziendale si dovrà concentrare sempre più sull’adattabilità e sulla capacità di rispondere agilmente ai cambiamenti, facendo della resilienza la propria peculiarità: modelli decisionali flessibili e capacità di adeguarsi rapidamente diventeranno una priorità assoluta.

È bene, dunque, che leader e manager non si facciano cogliere impreparati di fronte a un nuovo modello di gestione, basato su metodologie organizzative consolidate ma applicate in un contesto in continua evoluzione, avvalendosi anche di supporti consulenziali esterni, per poter essere in grado di guidare efficacemente le aziende di oggi e di domani.

Infatti, il cambiamento necessita di un elemento catalizzatore esterno scevro da culture ambientali di posizione.

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