Il private insurance per la clientela corporate

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Il private insurance per la clientela corporate


Il private insurance per la clientela corporate

Cosa sono? Con il termine COLI (o corporate-owned life insurance) si individuano oltreoceano tutti quei prodotti assicurativi appartenenti al ramo vita che vedono l’impresa come contraente e beneficiario di polizza. Quando non assumono la forma del prodotto di capitalizzazione, la figura dell’assicurato si individua di norma in uno dei soggetti apicali dell’impresa (es. amministratore delegato, socio fondatore ecc., o key man) ovvero, in quanto non si può escludere del tutto, in un qualsivoglia altro impiegato della stessa. Si possono inquadrare in polizze di puro rischio, ma molto più di frequente in prodotti di investimento assicurativi di ramo I e/o III. In cosa si distinguono? Per comprendere al meglio il prodotto COLI, si può procedere ad una breve comparazione con le c.d. group life policies (o polizze collettive). Di norma inquadrati come fringe benefit (o compensi in natura) offerti dall’impresa ai propri dipendenti per finalità di protezione, anche dei propri familiari, nelle polizze collettive caso morte l’impresa relega il suo ruolo a quello di firmatario del contratto di assicurazione e a soggetto obbligato al pagamento dei premi assicurativi. Infatti la polizza può essere vista come un contratto quadro in cui il singolo dipendente dell’impresa, dopo avervi aderito, diviene soggetto assicurato e per l’appunto “aderente”: in quanto tale può esercitare diversi diritti connessi alla polizza, tra cui la designazione del beneficiario. Ed è proprio quest’ultimo uno degli aspetti principali che differenzia la polizza COLI dalla group life policy: il soggetto beneficiario non è l’impresa ma potenzialmente gli eredi del dipendente (o chiunque sia designato come tale dal dipendente aderente).

Nicola Alvaro | Chief Legal & Wealth Sructuring Officer Generali Luxembourg S.A. Nicola Alvaro è Chief Legal & Wealth Structuring Officer di Generali Luxembourg e guida un team di legali ed esperti di “insurance & wealth planning” a livello internazionale. Ha una doppia laurea in Giurisprudenza, con specializzazione in Giurista Internazionale d’Impresa, nonché in Economia aziendale e ha perfezionato il suo percorso di studi con un Master in Diritto e impresa presso la Business School del Sole 24 Ore oltre ad aver frequentato il primo master in trasmissione e gestione dei patrimoni organizzato da STEP Italy (la branch italiana dell’associazione “The society of trust and estate practioners” che raccoglie a livello mondiale i professionisti ed esperti di trust, patrimoni e successioni). E’ abilitato alla professiona di avvocato sia in Italia che in Spagna, è full-TEP member nonchè componente del comitato tecnico di STEP Italy.


Perchè vengono stipulate? Le polizze COLI nella loro forma c.d. di puro rischio (come le temporanee caso morte, o TCM) vengono stipulate per finalità di protezione dei soggetti chiave ma soprattutto per la funzione, in senso lato, indennitaria che perseguono. Infatti, dietro pagamento di premi ricorrenti, la prestazione assicurativa corrisposta all’impresa beneficiaria, a seguito del verificarsi del decesso dell’assicurato avvenuto in corso di vigenza del contratto (si fa presente, infatti, che si tratta di polizze temporanee), costituisce una provvista di liquidità che, ad esempio, permette di compensare la perdita di avviamento dovuta con il venire meno del soggetto chiave. Di diversa prospettiva, le polizze COLI con la doppia componente investimento e assicurativa che, a seguito della trasposizione della direttiva IDD, sono oggi da definirsi come prodotti di investimento assicurativi di ramo I e/o III o V (c.d. IBIP). Di norma, le polizze COLI di tipo IBIP vengono stipulate per l’amministrazione e/o gestione di quei buffer di liquidità aziendale non soggetti a pretese e/o a obblighi di diverso tipo, anche di natura contrattuale (si pensi alle polizze collegate al trattamento di fine rapporto, o TFM) e con un’ottica di medio/lungo periodo. Tra i diversi vantaggi, la semplificazione contabile: infatti, rispetto ad una gestione o amministrazione di portafoglio titoli, la polizza viene considerata come un unico asset e risultano essere irrilevanti le diverse operazioni di compravendita dei titoli sottostanti alla polizza stessa. Aspetto di non poco conto se si pensa alle ripercussioni pratiche a livello contabile connesse alle molteplici operazioni di investimento/disinvestimento che possono aver luogo nel corso dell’anno. Quello che viene spesso trascurato ma che, invece, andrebbe preso sempre di più in considerazione, riguarda la componente assicurativa del prodotto. Infatti, di sovente i prodotti COLI di tipo IBIP offrono diverse opzioni contrattuali che permettono di rafforzare quella funzione di protezione e, per così dire, indennitaria offerta dal medesimo prodotto ma di puro rischio: si pensi ad esempio alla c.d. garanzia di restituzione del capitale (o return of premium death benefit) che permette all’impresa beneficiaria di vedersi restituire, per l’appunto, il capitale versato in polizza al verificarsi dell’evento assicurato.

Tutti aspetti, quelli appena evidenziati, che assumono particolare importanza per le analisi che verranno brevemente illustrate nei successivi paragrafi. Come vengono contabilizzate nel bilancio d’impresa? La domanda è irta di ostacoli, viste le molteplici variabili in gioco tra cui la tipologia di società (di capitale o non), i principi contabili adottati dall’impresa (che possono essere quelli nazionali o quelli IAS/IFRS) ma soprattutto il fatto che non esiste una norma che disciplini la contabilizzazione di entrambi i prodotti COLI. Ciò nonostante, anche se una analisi caso per caso sia fortemente raccomandabile, si possono comunque delineare alcuni degli aspetti più salienti da prendere in considerazione. Ma in un’ottica del tutto generale e limitando l’analisi alle sole società di capitali (soggetti passivi IRES). Innanzitutto, con riferimento alle polizze COLI di puro rischio e a durata determinata, i relativi premi (ricorrenti) rappresentano di norma un costo da imputare a conto economico (quindi costi d’esercizio deducibili da un punto di vista fiscale),


vista la mancanza di un valore di riscatto parametrato all’andamento degli investimenti sottostanti alla polizza (c.d. no cash value). L’eventuale prestazione assicurativa corrisposta all’impresa beneficiaria rappresenterebbe, invece, una sopravvenienza attiva (e pertanto tassabile in capo all’impresa in quanto componente positiva di reddito). Leggermente diverso (e più complesso) il trattamento contabile delle polizze COLI di tipo IBIP. Nella prassi, infatti, tale tipologia di polizza: 1. viene rilevata in bilancio come titolo di debito ovvero come credito, a seconda che la polizza venga inquadrata, rispettivamente, come un titolo negoziabile oppure no. Un aspetto da tenere in considerazione nell’analisi contabile si rinviene nel fatto che la polizza, in quanto non cedibile senza il previo assenso dell’assicuratore, lascerebbe propendere per la rappresentazione in bilancio tra i crediti invece che come titolo di debito negoziabile (ma come anticipato, gli aspetti da prendere in considerazione sono molteplici); e 2. iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie oppure nell’attivo circolante dello stato patrimoniale. La differenza tra le due allocazioni dipende da diversi fattori e l’analisi contabile potrebbe affidarsi a uno dei seguenti criteri: l’origine delle somme oggetto del premio corrisposto in polizza (es. se i fondi erano iscritti nell’attivo circolante, allora ci potrebbero essere valide ragioni per inquadrare la polizza anche in tale posta di bilancio), ovvero il criterio della destinazione rispetto all’attività ordinaria (e quindi, ad es., i fondi originariamente inquadrati tra l’attivo circolante e utilizzati per il pagamento del premio di polizza, potrebbero anche consentire l’iscrizione dell’asset polizza tra le immobilizzazioni finanziarie). Molto meno utilizzato, invece, il criterio dell’esigibilità connesso all’orizzonte temporale di “mantenimento” dell’asset da parte dell’impresa, in quanto l’evento connesso alla vita dell’assicurato non è facilmente inquadrabile se non da punto esclusivamente attuariale. Aspetto molto insidioso se si pensa che si tratta di un evento futuro e incerto che non lascia molti spazi di manovra sull’individuazione di una durata determinata.

Da menzionare anche l’esistenza di un filone della giurisprudenza tributaria (CTR Veneto n. 216 e 1183, entrambe del 2016) che ha inquadrato la rilevazione a bilancio dei premi delle polizze COLI di tipo IBIP tra i costi da imputare a conto economico, sulla falsariga delle “gemelle” di puro rischio. E ciò contrariamente all’interpretazione dell’autorità fiscale che sulla base della natura di prodotto finanziario le aveva inquadrate quali crediti. Infatti, il ragionamento adottato dal giudice tributario per confutare la tesi dell’autorità è da individuarsi nel fatto che l’importo dei premi pagati all’assicuratore sono definitivamente acquisiti dalla stessa, la quale non ha alcun obbligo di restituzione se non quello di pagare, alternativamente, la prestazione assicurativa in caso di decesso ovvero il riscatto. Anche se qualcuno potrebbe storcere il naso in merito a quest’ultima interpretazione, l’ipotesi non è poi così peregrina in special modo nel caso in cui la componente assicurativa del prodotto COLI di tipo IBIP sia rafforzata con l’adozione della garanzia di restituzione del capitale. A ciò si potrebbe aggiungere anche l’ulteriore elemento che vede i prodotti di investimento assicurativi (gli IBIP) ormai disciplinati dal diritto assicurativo: infatti, con la trasposizione della direttiva sulla distribuzione assicurativa (o IDD) anche i prodotti vita di ramo III e V non sono più normati dal diritto finanziario, se non per gli aspetti della distribuzione dei prodotti IBIP da parte dei soggetti sottoposti a vigilanza CONSOB (es. istituti di credito, Poste Italiane, SIM etc. o anche definiti SADA, ossia Soggetti Abilitati alla Distribuzione Assicurativa). Quale è il loro trattamento fiscale? Sulla polizza COLI di puro rischio si è brevemente accennato nel paragrafo che precede. Per quanto riguarda, invece, il loro gemello di tipo IBIP, qualora si dovesse propendere per la qualifica del prodotto tra i crediti, allora la rilevazione annuale delle componenti positive di reddito andrebbe a concorrere nella formazione del reddito imponibile nel rispettivo periodo d’imposta di maturazione. Per quanto concerne il trattamento fiscale della prestazione assicurativa corrisposta all’impresa, l’esenzione da imposta prevista per la copertura del rischio demografico in caso di soggetti passivi IRPEF non trova applicazione nei confronti dei


soggetti passivi IRES, pertanto anche questa componente è interamente imponibile. Da non dimenticare infine l’applicazione dell’imposta di bollo (esclusa sulla componente ramo I) nel caso di prodotti COLI di tipo IBIP emessi da assicuratori residenti in Italia o all’estero (qualora abbiano optato per l’applicazione di tale imposta in modo virtuale) nella misura del 2 per mille sul valore della polizza a fine anno ma con un massimale di 14.000 euro all’anno. Come si inquadra il prodotto ai fini dell’ACE? Ovviamente non si fa riferimento al multivitaminico ACE ma al c.d. Aiuto alla Crescita Economica reintrodotto dalla Legge di Bilancio per l’anno 2020 che mira alla patrimonializzazione delle imprese andando a detassare una parte del reddito imponibile d’impresa sulla base di una quota pari ad una percentuale degli incrementi del patrimonio netto (attualmente pari all’1,3%). Insomma più alti sono gli incrementi “genuini” del patrimonio netto, maggiori sono gli impatti “benefici” in termini di detassazione (in quanto minore sarà la base imponibile). Ed è proprio sul termine “genuini” che bisogna soffermarsi in quanto non tutte le voci di bilancio possono considerarsi “benefiche” ai fini ACE. Tra queste, vi rientra la voce “Incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni” in quanto la loro variazione (in aumento) non aiuta, secondo il legislatore, la patrimonializzazione dell’impresa (e quindi la conseguente detassazione). E adesso arriviamo al punto cruciale: il prodotto COLI di tipo IBIP (quello di puro rischio non è preso in considerazione vista la mancanza della componente investimento) è da considerarsi come un titolo/valore mobiliare, visto che la disciplina applicabile non fa specifico riferimento a tale tipologia di prodotto ? Perchè se così fosse (e quindi il prodotto non sarebbe da considerare come un titolo/valore mobiliare), allora si verificherebbe la c.d. non sterilizzazione, nel senso che l’incremento del valore del prodotto COLI di tipo IBIP non apporterebbe né un beneficio né (ed è questo il punto) un “maleficio” alla base di calcolo dell’ACE (cosa che invece avverrebbe con i titoli/valori mobiliari).

Quindi la risposta al quesito posto si rinviene sul come viene qualificato il prodotto tra titolo/valore mobiliare oppure no. Per quanto sciocca possa sembrare la domanda, non lo si può dire con riferimento alla risposta. Da un lato, un approccio prudente vedrebbe il prodotto COLI di tipo IBIP comunque come un prodotto di investimento che, anche se non da definirsi come titolo/valore mobiliare, sarebbe in grado sterilizzare la base di calcolo ACE (quindi ridurrebbe la relativa base di calcolo, e i conseguenti effetti sulla detassazione sarebbero inferiori). Mentre, dall’altro, una interpretazione letterale della norma (salvo diverso avviso dell’autorità fiscale/giudice tributario/legislatore) non inquadrerebbe il prodotto di cui trattasi tra i valori mobiliari (letteralmente non lo è) e, pertanto, in grado di non sterilizzare la base di calcolo ACE. Volendo fare un esempio, immaginiamo un incremento di 10.000 euro del patrimonio netto


dovuto ad un accantonamento di utili a riserva (disponibile) e un altrettanto incremento del valore della polizza pari a 6.000 euro. Se tale ultima variazione in aumento sterilizza la base di calcolo ACE, allora l’incremento totale del patrimonio netto sarebbe pari a 4.000 euro. Nel caso contrario (e quindi di non sterilizzazione), il risultato sarebbe pari a 16.000 euro. Se prendiamo in considerazione l’aliquota attualmente in vigore dell’1,3% (o rendimento nozionale), allora la detassazione sul reddito imponibile ai fini IRES sarebbe pari, nel primo caso, a 52 euro mentre nel secondo, a 208 euro. Anche se gli effetti benefici derivanti dall’ACE si sono scemati nel corso degli anni (visto che il rendimento nozionale nel 2015 era pari al 4,75% rispetto ad un più magro 1,3% del 2021), ci sono comunque validi argomenti che lascerebbero propenderebbe per la non sterilizzazione del prodotto COLI di tipo IBIP: Oltre all’interpretazione letterale poc’anzi citata si aggiunge anche l’ulteriore recente inquadramento dei prodotti in questione nel novero del diritto assicurativo. Come si accennava nei paragrafi precedenti, infatti, con la trasposizione della direttiva sulla distribuzione assicurativa (o IDD) anche i prodotti vita di ramo III e V non sono più normati dal diritto finanziario, se non per gli aspetti della distribuzione dei prodotti IBIP da parte dei soggetti sottoposti a vigilanza CONSOB. E se dovessero ancora residuare dubbi sul punto, allora non si può far altro che rafforzare la compo-

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nente assicurativa del prodotto (attraverso, ad esempio, la garanzia di restituzione del capitale in caso di decesso). Con questi tre argomentazioni, sfido che il prodotto COLI di tipo IBIP non possa essere considerato a tutti gli effetti come un prodotto assicurativo con “connotazioni” di investimento. Nicola Alvaro Chief Legal & Wealth Structuring Officer Generali Luxembourg S.A.


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