R. M. Rilke
La lettera del giovane lavoratore
A cura di Nino Muzzi
La lettera del giovane lavoratore di Rainer Maria Rilke Le notizie Il blocco che contiene dei brogliacci dal titolo "Erinnerung an Verhaeren" (poeta fiammingo morto nel 1916) prosegue con una frase scritta a matita: "se fossi un giovane lavoratore Le avrei scritto più o meno quanto segue", la frase è stata poi cancellata con un frego e di seguito, senza interruzioni, scritto probabilmente in una notte, l'intero testo della lettera del giovane lavoratore. Lo stesso blocco contiene prima della lettera gli abbozzi della Decima Elegia e dopo la lettera la stesura definitiva della Quinta Elegia: I Saltimbanchi, datata 14/2/1922. La data di composizione della lettera stessa è quindi da collocare fra il 12 e il 14, in quanto l'11 febbraio è stata terminata la Decima Elegia. Il senso La prosa di Rilke scorre come in un paesaggio carsico. I suoi corsi d'acqua non hanno inizio, lo percorrono, semplicemente, in tracce. A volte sgorgano, scavando e modellando con lentezza e incertezza faticose la "maschera in cavo" che attende il "getto" della creazione, e defluiscono sicure in letti conosciuti. Il senso di questo fluire è rappresentato dalla necessità di rendere abitabile per gli uomini e per gli dèi questo paesaggio, che ora è desolato e sospeso. La stesura di questa lettera immaginaria può anche essere intesa come preludio a I Saltimbanchi, dove il "chi è, chi è mai questo Cristo" diventa la formula di richiamo a "chi sono mai, dimmi, questi girovaghi" della Quinta Duinese. Rilke volle buttar giù come una confessione liberatrice questo colloquio notturno con un poeta scomparso che amava, e lo fece immaginandosi lavoratore. Va precisato qui il significato di questa parola-schermo. Rilke confessò a volte di essersi pentito di aver scelto la vita del poeta-apostolo-testimone-sacerdote fra gli uomini e di aver pensata a volte migliore una vita inserita in un'attività pratica, in un mestiere, che lui si ostinava sempre a designare col termine francese "métier", forse pensando a Mallarmé, che come "métier" fece per un po’ l'insegnante, pur continuando a scrivere poesie. La condanna del "métier" in Rilke, riscontrabile anche nella Lettera, deriva da una riduzione a "métier" di quella che invece dovrebbe essere una funzione sacerdotale, ma l'operazione opposta, cioè l'ascesa del "métier" e attraverso il "métier" alla tensione verso il Divino, viene apprezzata quale possibile via di salvezza. La figura del Lavoratore in questo senso non ha nulla di sociologico o politico, cosa che conferirebbe ad alcuni passi della Lettera il senso del ridicolo, è semplicemente l'uomo che sta nel cerchio della produzione della vita, come il pastore biblico che offre a Dio i frutti più belli del proprio lavoro. La confessione del Rilke-lavoratore al Rilke-poeta (nei panni di Verhaeren) diventa la finzione necessaria per giungere a pronunciare la propria liberazione, la liberazione dal diaframma. I saltimbanchi della Quinta Elegia, pure maschere di vita, sorrisi e lacrime di mera fisicità, pollinepolvere di fioritura subito sfiorita e senza frutto, sono il diaframma, sono l’esteriorità, la buccia della vita. Qui, nella Lettera, il diaframma s’intride della figura di Cristo: non è detto che questa non abbia avuto un senso, solo che le si fa dire qualcosa che non serve per avvicinarsi a Dio, ma piuttosto a tenercene lontani, in timorosa nostalgia. La finzione rilkiana è l’unica via che gli permette di pronunciare questa liberazione e affrontare la scrittura della Quinta Elegia che a differenza delle altre –è stato già notato dai critici- scorre più
liscia, come in un percorso già scavato. Il sacerdote-poeta Rilke diventa l’uomo del métier per potersi sviluppare, districare dagli impacci del diaframma che lo avviluppano. Accompagnano questa liberazione due figure: un pittore già vicino alla morte e la giovanissima Marthe che sappiamo essere stata una sorta di figura ctonia nella vita del poeta, che a Parigi l’aveva incontrata bambina-prostituta. Figura catartica quant’altre mai, la ragazza ricorda la puttana-santa, la Kore che esce illesa da ogni stupro. Dal punto di vista della composizione la Lettera consiste di due metà sostanzialmente diverse sia nella funzione che nello stile. La prima parte assomiglia ad un terreno impervio in salita che Rilke affronta a tentoni, disseminando il sentiero di pietre miliari, inciampando ad ogni passo, con frasi irruente, scoscese, abrupte. Riprendendo l’immagine iniziale si potrebbe affermare che in questa prima parte la lingua "scava" il paesaggio. In cima al pendio incontriamo il pittore e la ragazza. Il pittore e la ragazza hanno un’esistenza "rituale", sono cioè i personaggi del rito, unico strumento salvifico in cui il poeta credeva. Il pittore è in grado di aiutare il poeta a compiere la propria liberazione in quanto si trova in prossimità della morte, il cui presentimento lo rende veggente: le sue parole acquistano una "strana potenza di espressione del vero". Egli "vede" l’altra metà del cerchio, quella che resta in ombra, e si ricorda, in quanto ancora giovane, dello stato pre-natale, uno stato interiore, simile alla pre-vita o alla morte, da cui è uscito da poco tempo. Essendo quindi nato da poco, ha ancora sentore di quello stato, diciamo, di grazia ed è in condizione ottimale per "ricordare" e "vedere" e quindi per morire la propria morte e, morendo, liberare col suo tocco chi gliene fa domanda. Questa sacralità, acquisita dal giovane pittore morente, si esprime sull’isola, in una sorta di stato d’innamoramento e in una notte: tre condizioni di apertura del mito in Rilke. Lo stato d’innamoramento è la condizione per esprimere la verità, la notte, togliendo oggetti alla vista, rende l’innamorato libero dall’oggetto di amore, l’isola è teatro privilegiato dei miti degli amanti abbandonati: l’amante abbandonata, come Gaspara Stampa, riesce ad amare di più della donna corrisposta in amore (vedi Prima Elegia). Il pittore, in dialoghi eccitati, fa toccare al poeta-lavoratore il fondo della natura umana, la cui inclinazione fonda la trama dei nostri istinti. Il disvelamento del fondo equivale ad una caduta o discesa al centro in cui coincidono Dio e Sessualità, inteso il primo come alveo materno, e la seconda come "fondo avvenimento", cioè atto sessuale da cui prendiamo origine, o dimensione sessuale "diffusa", come nel corpo del bambino, e "senza nome", senza significazione, non ingabbiata nella prigione dei significati (cfr. il mondo segnato dal linguaggio della Prima Elegia, vv.11-13). S’inserisce in mezzo a queste rivelazioni del morente la figura della piccola Marthe, più oscura e misteriosa, che quasi non parla, ma sente con la sua natura "mirabilmente predisposta". Essa corrisponde quasi ad un’anima morta, simile alle lamentazioni della Decima Elegia, la quale conduce per mano il lavoratore, ma non lo guida verso la chiarità, verso l’affermazione, come fa il pittore, che getta luce nel mare degli istinti primordiali e ne apre la spiegazione all’uomo, lei lo guida ai segreti dell’oscurità e della musica. Lei non spiega, bensì richiama implosivamente la spiegazione e la fa sua, e grazie a questa sua peculiarità rende possibile l’attraversamento della vita nelle sue tre forme: il lavoro, la miseria-necessità (in tedesco Not) e la gioia, rendendo altresì possibile il superamento del potere ingiusto. La musica è la chiave di questo superamento in quanto ricrea la possibilità della catarsi attraverso la Steigerung, l’esaltazione, o meglio l’apertura di spazi verso la forma più perfetta. L’aspetto notturno di Marthe, che si aggira timorosa per le chiese oscure, trascorse da fremiti di canti o di voci d’organo o forse da fremiti ancora più profondi, come trasmessi attraverso le fondamenta da parte di qualche statua "scossa" (cioè rovinata, ma ancora vibrante) di una dea della Grecia, la sua indole silenziosa e che parla solo con lo sguardo fanno pensare ad una sorta di Proserpina che teme di entrare nella luce, nella luce del padrone (che sia in una fabbrica o in una chiesa).
Solo attraverso il culto dei morti: la contemplazione delle pietre tombali, l’ascolto delle messe per le anime dei trapassati, l’ammirazione delle vetrate che ritraggono avvenimenti di secoli defunti o scene di caccia al cervo bianco, destinato al sacrificio, solo così lei giunge, assieme al giovane lavoratore alla scoperta e alla comunicazione. A questo punto cerchiamo di legare La lettera del giovane lavoratore al Malte Laurids Brigge attraverso le vetrate di una chiesa, e precisamente la vetrata della cattedrale di Rouen che tanto aveva impressionato Flaubert. "Là si trova il maligno e ciò che sta in miseria…e il deforme, e si direbbe che tutto viene amato per amore di Dio". Vi si mostra la leggenda, "La légende de Saint Julien l’Hospitalier" che diventerà uno dei "Trois Contes" di Flaubert nel 1877. Malte Laurids Brigge a Parigi capisce il Saint Julien di Flaubert dopo aver vissuto la straziante esperienza della dissociazione totale, e il Bene –o l’amore del prossimo- che ha perduto e sta ricercando per mille vie crede di scorgerlo nel Saint Julien flaubertiano: "Credi un caso che Flaubert abbia scritto il suo Saint Julien l’Hospitalier? A me sembra questa la cosa decisiva: se uno ce la fa a sdraiarsi accanto al lebbroso e a riscaldarlo col calore del cuore delle notti d’amore, tutto ciò non può risultare diverso dal Bene". E tutto questo si ritrova come sfociato e compendiato nella Lettera del giovane lavoratore, laddove si descrivono le vetrate gremite di avvenimenti, che danno agli occhi, in rosso, verde, azzurro, quello che un buon vino vecchio dà come impressione al palato. La salvezza di Rilke, poeta-lavoratore, è compendiata nella vetrata col sacrificio del cervo. L’unione dei due influssi: quello del pittore e quello della puttana-santa, hanno condotto il giovane lavoratore di fronte alla vetrata la cui percezione è sinestesica configurandosi come la comunione con una realtà -quella rappresentata nella vetrata- più vera di quella vissuta nella quotidianità, e trasformantesi nel sapore-colore del vino rosso-cupo in bocca. Il poeta che si è fatto giovane lavoratore ha percorso il sentiero opposto al Saint Julien, il quale, ormai vecchio eremita, si vorrebbe "mischiare all’esistenza degli altri" e cerca la città, " Mais l’air bestial des figures, le tapages des métiers, l’indifférence des propos glaçaient son coeur. " Il poetalavoratore parte dal mestiere e ripercorre in compagnia delle due guide il sentiero che lo conduce di fronte alla vetrata, di fronte alla vita che diviene amabile per amore di Dio, la vita dell’eremita. La vetrata è lo stemma della Poesia, di una certa poesia cui appartiene anche Verhaeren-Rilke. Il percorso salvifico è concluso e la pronuncia della propria liberazione è il risultato della guarigione che consiste nel ricreare poeticamente il mondo, nel dirlo così che diventi più vero di quanto lo sia nella realtà percepita con occhio quotidiano, come il cervo della vetrata è più vero del cervo reale. La prosa scorre adesso a valle, liscia e declamatoria o quanto meno ricca di esclamazione. Il corso d’acqua corre adesso come in un letto conosciuto, scavato dalla prima parte della lettera. In questo corso discendente il giovane lavoratore trova modo di apprezzare di nuovo la dimensione terrena e carnale (la sessualità come sacralità) e crede di poter dialogare con Dio superando tutti i diaframmi che si frappongono fra lui e il divino. Si tratta di diaframmi che trattengono parte della nostra essenza individuale e non la lasciano giungere fino a Dio. Si tratta di diaframmi interpretativi, come la figura di Cristo o quella del sacerdote, che trattengono o deviano lo slancio del cristiano in direzione di Dio. In ultima istanza il giovane lavoratore scopre il superamento della contingenza storica, dell’intralcio istituzionale e nel suo percorso viene a capo delle figure sociali che lo derubano del lavoro: il padrone, per esempio. Però sente che la ribellione contro il padrone non porta così lontano come la sottomissione al potere nel senso dell’esercizio del riconoscimento del Potere divino intravvisto nel falso potere, quello del padrone! In effetti qui ci troviamo di fronte ad una posizione antidialettica per eccellenza, tipicamente nicciana: il lavoratore non contrasta col padrone, lo ignora, lo banalizza, in quanto il lavoro non può appartenere che al lavoratore. E per questo può inchinarsi di fronte a questo idolo pur ignorandolo, in quanto l’essenza del lavoratore prescinde dall’appropriazione del prodotto finale e
possiede inoltre quell’aura santa d’intangibilità che ricorda l’eterna verginità di Proserpina pur sotto il dominio di Plutone. In termini ormai modernamente classici potremmo anche dire di trovarci di fronte al conflitto fra l’essere e l’avere, fra il lavoratore la cui essenza è il lavoro di cui nessuno potrà derubarlo e il padrone la cui essenza è l’appropriazione, l’avere sterile, l’accumulazione del capitale esclusivamente in nome della valorizzazione del capitale, quello che Rilke nella Decima Elegia descrive come la moltiplicazione del denaro, il sesso del denaro che genera denaro, la riproduzione cieca della ricchezza fine a se stessa. E qui tornano a loro volta in mente i versi della Nona Elegia: Loda all'angelo il mondo, non l’ineffabile, a lui non puoi vantare sensazioni stupende; nel cosmo ov'egli più sensibile sente, sei novizio. Perciò mostragli il semplice che, da stirpe a stirpi ridotto in forme, vive come una cosa nostra, accanto alla mano o nello sguardo. Digli le cose. Egli starà più attonito; come tu stavi accanto al funaio di Roma o al vasaio sul Nilo. dove l’Uomo può stare a cospetto dell’Angelo, mostrandogli il mondo, la terra e l’intervento del lavoro umano sulla Natura. Così anche l’Angelo ammirerà la destrezza manuale dell’Uomo, come faceva Rilke a Roma o sulle rive del Nilo, incantato di fronte ai gesti millenari dei più antichi mestieri. Ma c’è, inoltre, una frase che chiarisce ancor meglio la concezione rilkiana della Storia: In un qualche punto l'Arbitrio infrange da solo la Legge, e noi risparmiamo energia, se lo lasciamo da solo a redimere se stesso. Certo fa parte dei lunghi e lenti processi che stanno in totale contrasto con le strane precipitazioni del nostro tempo. Eppure assieme ai movimenti più veloci sempre coesisteranno quelli lenti; alcuni appunto di sì estrema lentezza che noi non ne possiamo vivere affatto il corso. Ma in compenso c'è appunto l'Umanità - non è vero?- per attendersi quel che va oltre il singolo. Una concezione della Storia che considera inutile lo sforzo soggettivo del singolo. Una visione dei tempi lunghi, dove la libera volontà (qui l’Arbitrio, inteso appunto come libero arbitrio) entrerà in conflitto con la Legge, ma sarà un fatto naturale, una tappa dell’emancipazione dell’umanità dai vincoli costrittivi della legge, non sarà un gesto estemporaneo del singolo individuo.
Le tracce Acquisito il senso, e cioè la funzione salvifica del rito di percorrenza di un itinerario di luoghi mitici, che abbiamo creduto di scorgere nella Lettera del giovane lavoratore, cerchiamo di vedere quali tracce di percorrenza sono state aperte e rese praticabili al lettore. La traccia di Cristo: chi è? Sua espressione sprovveduta (ratlos). Il suo ingresso nella vita forse farebbe evaporare tutto in bene (processo di sublimazione che Rilke mutua dalla pratica della magia bianca), il cuore cambierebbe regione, strato, ma egli non può entrare, la vita non gli offre accesso. E’ lui che deve evaporare (auf-lösen) e togliere così la barriera che impedisce il corso alla vita, che potrebbe così proseguire inarrestabile. Il suo ruolo allora si conserverebbe solo in quanto indicatore, segnale, la croce allora non dovrebbe essere che un albero su cui maturiamo come frutti. La traccia di Dio: poter pronunciare il suo nome con convinzione. Cristo avrebbe potuto anche essere un insegnante che ci mostra come, ma gli uomini, la Chiesa, hanno catturato, limitandolo, il suo gesto come fa il cane, che limita la portata estensiva dell’atto di amore, il quanto lo conforta subito con un rimando. Il cane si avventa alla mano invece di seguire la direzione del dito puntato. Questo fermarsi al gesto, questo non guardare lontano, fa sì che la vita non scorra, che si trasformi da corso d’acqua in stagno che imputridisce. Si tratta di un Auf-enthalt, un dimorare, una stagnazione che fonda l’esistenza stessa della Chiesa. La traccia dell’uso religioso (Gebrauch): l’Antico Testamento, il Corano, Cristo come volontà soggettiva, indicano l’uso del Cristianesimo, San Francesco e alcuni suoi seguaci ne comprendono il significato, alcuni Papi avignonesi ne tentano la prosecuzione.
La traccia del pittore morente: ruolo apollineo, solare, del pittore-veggente, suo gettar luce nella natura degli istinti e loro purificazione. Sbocco nell’estasi: ammirazione estasiata del paesaggio e della città (Avignone). Il tempo diventa spazio. La traccia di Marthe: ruolo dionisiaco della fanciulla, sua posizione di guida alla scoperta e alla creatività. La vibrazione della musica corrisponde alla vibrazione della sua natura sensibile, apre spazi dove si possono porre soluzioni. Permette l’intera percorrenza del cerchio della vita (culto dei morti). Permette il superamento del potere storico ingiusto (il padrone) grazie al suo andare oltre. La traccia della sessualità: paradigma di tutta la Lettera del giovane lavoratore la sessualità riassume in sé il problema del vivere l’al di qua con pienezza e innocenza. Il sesso innocente e diffuso come nel corpo del bambino (dove ancora non si è localizzato nell’organo sessuale) rimprovera di per sé alla Chiesa tutta la pratica repressiva e la visione stessa del matrimonio come remedium concupiscentiae e come riproduzione della specie: esempio concreto del fallimento dei falsi cristiani (morti apparenti). I momenti
Il momento è la sospensione della traccia; nel percorrerla c’imbattiamo in parole che ne arrestano e ne tengono in vibrazione la linea narrativa, come fa un accordo con la linea melodica. Si tratta di parole che possiedono una valenza semantica multipla e come l’accordo in musica interrompono la linea narrativa e aprono un paesaggio di suoni. Si tratta di parole-accordo che hanno la funzione di creare lo spazio del mito ovvero di configurarsi come delle erme intorno a cui si può aprire il mito guaritore. Il procedere rituale, talvolta in forma di "cieco rituale", che caratterizza la scrittura di Rilke, riesce spesso ad evocare l’aura sacrale del mito. Se vogliamo esprimerlo in altri termini il momento è anche definibile come la verifica della traccia. Questi momenti si suddividono in tre tipi: - le parole che si caratterizzano per la loro circolarità, cioè si presentano sia come significati attivi che passivi, come la parola Gebrauch che significa uso nel senso di singolo atto dell’usare sia nel senso di capacità o abitudine di usare. In questa categoria ricadono molti infiniti sostantivati, prediletti da Rilke in quanto ambivalenti: il fare quindi significa sia la capacità di fare (attivo) sia il risultato finale di questa azione, cioè il fatto. - le parole che introducono in un’atmosfera estatica, che si caratterizza per l’arresto della traccia e per la dilatazione del tempo (dinamico) in spazio (statico). A livello di scrittura questo si riscontra nell’isolamento della parola dal contesto sia attraverso l’allentamento dei vincoli sintattici, sia attraverso la messa in rilievo di radicali o affissi, che talvolta diventano assoluti nel testo, come auf-, ver-, weit-, che catturano la nostra attenzione con quella stessa magia di un fungo scoperto in una macchia: hanno valore ipnotico. Da qui si può inferire il carattere "fissile" della prosa di Rilke, che tende a disfarsi riproponendosi nei suoi componenti di base, in significati assoluti. - le parole di carattere sinestesico che indicano la pienezza dell’essere e la sua percezione con tutti i sensi. L’esempio tipico sono le vetrate della chiesa percepite come un vino rosso-cupo in bocca, anche se sono viste con gli occhi. Ovviamente questi momenti segnano delle vette che si ergono come segnali nell’insieme della scrittura rilkiana, la quale comunque si caratterizza interamente come lingua rituale: una lingua che procede come una preghiera. La traduzione La prosa della Lettera del giovane lavoratore non scorre, in quanto non deve scorrere, bensì evaporare (una metafora vale l’altra). La lettura corrisponde ad una sorta di preghiera con degli arresti estatici (i momenti) che tendono a far evaporare il nostro spirito in una sorta di sublimazione (in senso chimico). In questo processo la materia fusa evapora verso una sorta di volta celeste fredda e la copre di tante infiorescenze. Questo nuovo materiale, depurato, è pronto per un nuovo
uso, riesce ad accostarsi all’essenza delle cose in modo piÚ penetrante e pervasivo, riesce a sentire il mondo con la pienezza della sinestesia. Al pari del testo originale, la traduzione cerca di essere molto rispettosa di questa caratteristica e quindi segue la tradizione della fedeltà assoluta al testo di partenza. Si tratta di una traduzione filologica tesa al fine ultimo di lasciare il lettore del testo tradotto in nostalgia del testo originale. Nino Muzzi
Rainer Maria Rilke Der Brief des jungen Arbeiters Man hat uns in einer Versammlung vorigen Donnerstag aus Ihren Gedichten vorgelesen, Herr V., es geht mir nach, ich weiß mir keinen anderen Rat, als für Sie hinzuschreiben, was mich beschäftigt, so gut es mir eben möglich ist. Den Tag nach jener Vorlesung geriet ich zufällig in eine christliche Vereinigung, und vielleicht ist das recht eigentlich der Anstoß gewesen, der die Zündung verursacht hat, die solche Bewegung und Treibung auslöst, daß ich mit allen meinen Kräften auf Sie zufahre. Es ist eine ungeheuere Gewaltsamkeit, etwas anzufangen. Ich kann nicht anfangen. Ich springe einfach über das, was Anfang sein müßte, weg. Nichts ist so stark wie das Schweigen. Würden wir nicht schon jeder mitten ins Reden hineingeboren, es wäre nie gebrochen worden. Herr V. Ich spreche nicht von dem Abend, da wir Ihre Dichtungen aufnahmen. Ich spreche von dem anderen. Es treibt mich zu sagen: Wer, ja, – anders kann ich es jetzt nicht ausdrücken, wer ist denn dieser Christus, der sich in alles hineinmischt. – Der nichts von uns gewußt hat, nicht von unserer Arbeit, nicht von unserer Not, nichts von unserer Freude, so wie wir sie heute leisten, durchmachen und aufbringen –, und der doch, so scheint es, immer wieder verlangt, in unserem Leben der erste zu sein. Oder legt man ihm das nur in den Mund? Was will er von uns? Er will uns helfen, heißt es. Ja, aber er stellt sich eigentümlich ratlos an in unserer Nähe. Seine Verhältnisse waren so weitaus andere. Oder kommt es wirklich auf die Umstände nicht an, wenn er hier einträte, bei mir, in meinem Zimmer, oder dort in der Fabrik – wäre sofort alles anders, gut? Würde mein Herz in mir aufschlagen und sozusagen in einer anderen Schicht weitergehen und immer auf ihn zu? Mein Gefühl sagt mir, daß er nicht kommen kann. Daß es keinen Sinn hätte. Unsere Welt ist nicht nur äußerlich eine andere, – sie hat keinen Zugang für ihn. Er schiene nicht durch einen fertig gekauften Rock, es (ist) nicht wahr, er schiene nicht durch. Es ist kein Zufall, daß er in einem Kleid ohne
R. M. Rilke La lettera del giovane lavoratore Signor V., l'altro giovedì in una conferenza ci hanno letto alcune Sue poesie, è come una persecuzione, non so trovar di meglio che buttar giù per Lei quel che m'inquieta, per quanto appunto mi sarà possibile. Il giorno seguente quella recita capitai per caso in un circolo cattolico e forse è stata quella l'autentica scossa che ha causato l'accensione che ha scatenato tanto movimento e propulsione, ch'io mi dirigo con tutte le mie forze verso di Lei. E' un atto di violenza inaudita cominciare qualcosa. Io non so cominciare. Io salto via a piè pari su quello che dovrebbe essere l'inizio. Niente è più forte del silenzio. Non fossimo partoriti ognuno già nel bel mezzo del parlare, esso non verrebbe mai rotto. Signor V., io non parlo della sera quando sentimmo le Sue poesie. Parlo dell'altra. Mi porta a dire: Chi, già, - non mi viene ora altro modo di esprimerlo, chi è mai questo Cristo che s'impiccia di tutto. -Che non ha conosciuto niente di noi, né del nostro lavoro, né della nostra miseria, niente della nostra gioia, così come oggigiorno lo eseguiamo, la traversiamo e la catturiamo - e che, come sembra, pretende, ogni volta di nuovo, di essere il primo nella nostra vita. O è solo quello che gli si fa dire? Che vuole lui da noi? Vuole aiutarci, dicono. Già, ma stranamente si mostra sprovveduto in nostra presenza. I suoi rapporti erano di sì gran lunga diversi. Oppure davvero le circostanze non hanno importanza, se entrasse qui, da me, nella mia stanza o là in fabbrica - tutto d'un tratto cambierebbe, in bene? Si schiuderebbe palpitando il mio cuore e trapasserebbe diciamo a uno strato diverso e sempre su incontro a lui? Il mio istinto mi dice che non può venire. Che non avrebbe senso. Il nostro mondo è un altro, non solo esteriormente, - non v'è accesso per lui. Non rilucerebbe attraverso una giacca comprata in confezione, non è autentica, non trasparirebbe.
Non è un caso che si aggirasse in un'inconsutile
Naht herumging, und ich glaube, der Lichtkern in ihm, das was ihn so stark scheinen machte, Tag und Nacht, ist jetzt längst aufgelöst und anders verteilt. Aber das wäre ja auch, mein ich, wenn er so groß war, das Mindeste, was wir von ihm fordern können, daß er irgendwie ohne Rest aufgegangen sei, ja ganz ohne Rest –spurlos . . .
veste e io credo che il seme di luce in lui, quel che lo rendeva fulgente, giorno e notte, ora sia già dissolto da tempo e diversamente sparso. Ma questo sarebbe, io credo, anche il minimo che possiamo pretendere da lui, se era così grande: svanire per così dire senza residui, appunto senza il minimo residuo — senza traccia...
Ich kann mir nicht vorstellen, daß das Kreuz bleiben sollte, das doch nur ein Kreuzweg war. Es sollte uns gewiß nicht überall aufgeprägt werden, wie ein Brandmal. In ihm selber sollte es aufgelöst sein. Denn, ist es nicht so: er wollte einfach den höheren Baum schaffen, an dem wir besser reifen könnten. Er, am Kreuz, ist dieser neue Baum in Gott, und wir sollten warme glückliche Früchte sein, oben daran.
Non posso, immaginare che dovesse rimanere la croce, che poi non era che un incrocio di vie. Certo essa non dovrebbe esserci tenuta impressa in ogni dove, come un marchio a fuoco. Avrebbe dovuto dissolversi in lui stesso. Infatti, non è così: che lui voleva solo creare l'albero più alto su cui avremmo potuto maturare meglio? Lui, sulla croce, è quell'albero nuovo in Dio e noi dovremmo essere caldi frutti felici, là sopra.
Nun soll man nicht immer von dem reden, was vorher war, sondern, es sollte eben das Nachher begonnen haben. Dieser Baum, scheint mir, sollte mit uns so eines geworden sein, oder wir mit ihm, an ihm, daß wir nicht immerfort uns mit ihm beschäftigen müßten, sondern einfach ruhig mit Gott, in den, uns reiner hinaufzuhalten, doch seine Absicht war. Wenn ich sage: Gott, so ist das eine große, nie erlernte Überzeugung in mir. Die ganze Kreatur, kommt mir vor, sagt dieses Wort, ohne Überlegung, wenn auch oft aus tiefer Nachdenklichkeit. Wenn dieser Christus uns dazu geholfen hat, es mit hellerer Stimme, voller, gültiger zu sagen, um so besser, aber laßt ihn doch endlich aus dem Spiel. Zwingt uns nicht immer zu dem Rückfall in die Mühe und Trübsal, die es ihn gekostet hat, uns, wie ihr sagt, zu ›erlösen‹. Laßt uns endlich dieses Erlöstsein antreten. – Da wäre ja sonst das Alte Testament noch besser dran, das voller Zeigefinger ist auf Gott zu, wo man es aufschlägt, und immer fällt einer dort, wenn er schwer wird, so grade hinein in Gottes Mitte. Und einmal habe ich den Koran zu lesen versucht, ich bin nicht weit gekommen, aber so viel verstand ich, da ist wieder so ein mächtiger Zeigefinger, und Gott steht am Ende seiner Richtung, in seinem ewigen Aufgang begriffen, in einem Osten, der nie alle wird. Christus hat sicher dasselbe gewollt. Zeigen. Aber die Menschen hier sind wie die Hunde gewesen, die keinen Zeigefinger verstehen und meinen, sie sollten nach der Hand
Solo che non si deve parlare sempre di ciò che era prima, proprio il dopo, invece, avrebbe dovuto avere inizio. Questo albero, mi sembra, sarebbe dovuto diventare con noi tutt'uno oppure noi con lui, su di lui, così che non avremmo dovuto continuamente occuparci di lui, ma semplicemente e tranquillamente di Dio, a cui non era in fondo sua intenzione tenerci sollevati, più puri? Quando pronuncio: Dio, c'è in me una grande convinzione, mai appresa. L’intero creato, mi pare, pronuncia questa parola, senza rifletterci, anche se spesso dal profondo di uno stato di meditazione. Se questo Cristo ci ha aiutati a pronunciarla con voce più chiara, più piena, più valida, tanto meglio, però lasciatelo una volta per tutte fuori causa. Non costringeteci sempre a ricadere nella fatica e afflizione che gli costò, come voi dite, redimerci. Fateci penetrare finalmente questo stato di redenzione. Altrimenti sarebbe ancora meglio il Vecchio Testamento come aiuto, con tutti quegli indici puntati verso Dio, dovunque lo si schiuda, e sempre cade uno, quando si appesantisce, proprio là, dentro il centro di Dio. E una volta ho tentato di leggere il Corano, non sono andato lontano, ma, per quanto ho capito, c'è anche lì un altro potente indice, e Dio in fondo alla direzione indicata, concepito nel suo eterno sorgere, in un oriente che non ha mai fine. Cristo ha senz'altro desiderato lo stesso. Indicare. Ma gli uomini quaggiù hanno fatto
schnappen. Statt vom Kreuzweg aus, wo nun der Wegweiser hoch aufgerichtet war in die Nacht der Opferung hinein, statt von diesem Kreuzweg weiterzugehen, hat sich die Christlichkeit dort angesiedelt und behauptet, dort in Christus zu wohnen, obwohl doch in ihm kein Raum war, nicht einmal für seine Mutter, und nicht für Maria Magdalena, wie in jedem Weisenden, der eine Gebärde ist und kein Aufenthalt. – Und darum wohnen sie auch nicht in Christus, die Eigensinnigen des Herzens, die ihn immer wieder herstellen und leben von der Aufrichtung der schiefen oder völlig umgewehten Kreuze. Sie haben dieses Gedräng auf dem Gewissen, dieses Anstehen auf der überfüllten Stelle, sie tragen Schuld, daß die Wanderung nicht weitergeht in der Richtung der Kreuzarme. Sie haben aus dem Christlichen ein métier gemacht, eine bürgerliche Beschäftigung, sur place, einen abwechselnd abgelassenen und wieder angefüllten Teich. Alles, was sie selber tun, ihrer ununterdrückbaren Natur nach (soweit sie noch Lebendige sind), steht im Widerspruch mit dieser merkwürdigen Anlage, und so trüben sie ihr eigenes Gewässer und müssen es immer wieder erneu(er)n. Sie lassen sich nicht vor Eifer, das Hiesige, zu dem wir doch Lust und Vertrauen haben sollten, schlecht und wertlos zu machen, – und so liefern sie die Erde immer mehr denjenigen aus, die sich bereit finden, aus ihr, der verfehlten und verdächtigten, die doch zu Besserem nicht tauge, wenigstens einen zeitlichen rasch ersprießlichen Vorteil zu ziehen. Diese zunehmende Ausbeutung des Lebens, ist sie nicht eine Folge, der durch die Jahrhunderte fortgesetzten Entwertung des Hiesigen? Welcher Wahnsinn, uns nach einem Jenseits abzulenken, wo wir hier von Aufgaben und Erwartungen und Zukünften umstellt sind. Welcher Betrug, Bilder hiesigen Entzückens zu entwenden, um sie hinter unserem Rücken an den Himmel zu verkaufen! O es wäre längst Zeit, daß die verarmte Erde alle jene Anleihen wieder einzöge, die man bei ihrer Seligkeit gemacht hat, um Überkünftiges damit auszustatten. Wird der Tod wirklich durchsichtiger durch diese hinter ihn verschleppten Lichtquellen? Und wird nicht alles hier Fortgenommene, da nun doch kein Leeres sich halten kann, durch einen Betrug ersetzt, – sind die Städte deshalb von so viel häßlichem Kunstlicht und Lärm erfüllt, weil man den echten
come i cani, che non capiscono un dito indicatore e pensano dovere avventarsi alla mano. Invece di partire dall'incrocio di vie su cui alto venne drizzato il segnavia la notte del sacrificio, invece di proseguire su quella via la cristianità ci si è insediata e afferma di abitare in Cristo, -anche se in lui non c'era affatto spazio, neanche per sua madre, né per Maria Maddalena, come è sempre in chi addita, che è un gesto e non una dimora. -E per questo neppure abitano in Cristo, i tetragoni del cuore, che lo vogliono riproporre ad ogni istante e passano la vita a raddrizzare croci sbilenche o tutte scompigliate dal vento. Hanno sulla coscienza quest'ingorgo, questo assieparsi esitante in un luogo sovraffollato, loro è la colpa se la migrazione non prosegue nel senso dei bracci della croce. Dell’essere cristiano hanno fatto un métier, un'occupazione civile, sur place, uno stagno che alternando si svuota e si riempie. Tutto quanto essi intraprendano, seguendo la loro irreprimibile natura (finché restano degli esseri viventi) contraddice quella strana propensione, e inquinano in tal modo le loro stesse acque e le devono sempre rinnovare. Col loro fervore non si stancano di farsi sciupare e svalutare la realtà terrena, cui dovremmo affidarci con gioia, e in tal modo abbandonano la terra sempre di più a coloro che si sentono pronti a trarre da lei, la falsa e sospetta, indegna di migliorare, almeno un vantaggio fuggevole, d'immediata utilità. Questo crescente saccheggio della vita non è un effetto del disprezzo, protratto nei secoli, per il mondo terreno? Che pazzia volerci distrarre con l'aldilà da tutti i doveri e le attese e i futuri che ci assediano quaggiù. Che truffa trafugare immagini di delizia terrena per venderle al cielo, dietro le nostre spalle! Sarebbe ormai gran tempo che la terra depredata si riprendesse tutti quei suoi prestiti, tolti alla sua beatitudine per addobbarne l'aldilà da venire. Forse diventa davvero meno buia la morte, con questi candelabri trascinati alle sue spalle? E tutto quello che da qui venne sottratto, visto che in fondo nessun vuoto può reggere, non è stato rimpiazzato con l'inganno, - per questo le città sono rimpinzate di tanta orribile luce artificiale e rumore, perché il vero splendore ed il canto son consegnati a una Gerusalemme che abiteremo dopo?
Glanz und den Gesang an ein später zu beziehendes Cristo poteva aver ragione, quando, in quel Jerusalem ausgeliefert hat? Christus mochte recht haben, wenn er, in einer von abgestandenen und entlaubten Göttern erfüllten Zeit, schlecht vom Irdischen sprach, obwohl es (ich kann es nicht anders denken) auf eine Kränkung Gottes hinauskommt, in dem uns hier Gewährten und Zugestandenen nicht ein, wenn wir es nur genau gebrauchen, vollkommen, bis an den Rand unserer Sinne uns Beglückendes zu sehen! Der rechte Gebrauch, das ists. Das Hiesige recht in die Hand nehmen, herzlich liebevoll. Erstaunend, als unser, vorläufig, Einziges: das ist zugleich, es gewöhnlich zu sagen, die große Gebrauchsanweisung Gottes, die meinte der heilige Franz von Assisi aufzuschreiben in seinem Lied an die Sonne, die ihm im Sterben herrlicher war als das Kreuz, das ja nur dazu da stand, in die Sonne zu weisen. Aber das, was man die Kirche nennt, war inzwischen schon zu einem solchen Gewirr von Stimmen angeschwollen, daß der Gesang des Sterbenden, überall übertönt, nur von ein paar einfachen Mönchen aufgefangen war und unendlich bejaht von der Landschaft seines anmutigen Tals. Wie oft mögen wohl solche Versuche gemacht worden sein, die Versöhnung herzustellen zwischen jener christlichen Absage und der augenfälligen Freundschaft und Heiterkeit der Erde. Aber auch sonst, auch innerhalb der Kirche, ja in ihrer eigenen Krone, erzwang sich das Hiesige seine Fülle und seinen angeborenen Überfluß. Warum rühmt man es nicht, daß die Kirche stämmig genug war, nicht zusammenzubrechen unter dem Lebensgewicht gewisser Päpste, deren Thron beschwert war mit Bastardkindern, Kurtisanen und Ermordeten. War nicht in ihnen mehr Christentum, als in den dürren Wiederherstellern der Evangelien, – nämlich, lebendiges, unaufhaltsames, verwandeltes. Wir wissen ja nicht, will ich sagen, was aus den großen Lehren werden will, man muß sie nur strömen und gewähren lassen und nicht erschrecken, wenn sie plötzlich in die zerklüftete Natur des Lebens fortstürzen und unter der Erde sich in unkenntliche Betten wälzen.
tempo pieno di dèi vuoti e disadorni, parlava male del mondo, anche se (non lo posso pensare diversamente) in fondo si riduce ad un oltraggio a Dio il non vedere in quel che ci è concesso e permesso quaggiù una perfetta -se solo la sappiamo usare in modo giusto- fonte di gioia che appaga fino all'orlo i nostri sensi!
Il giusto uso, ecco il problema. Il mondo terreno, prenderlo in mano per il verso giusto, amorevolmente accorati, stupefatti, come l'unica cosa provvisoriamente nostra: questa è al contempo, per dirla in termini banali, la grande istruzione per l'uso di Dio, questa intendeva formulare San Francesco d'Assisi nel suo Cantico al Sole, che in punto di morte gli fu più sacro della croce, che stava solo ad indicare il Sole. Ma quel che va sotto il nome di Chiesa, intanto escresceva in un tale groviglio di voci, che il canto del morente, ovunque soffocato, veniva colto solo da un paio di semplici frati e senza posa riecheggiato dal paesaggio della sua valle amena. Chissà quante volte saranno stati fatti senz’altro simili tentativi di conciliazione fra quella rinuncia cristiana e l’evidente amichevolezza e ilarità della terra. Ma anche altrimenti, nell'ambito stesso della Chiesa, fin dentro al cerchio della sua corona, il terreno e mondano riconquistava la propria forza e congeniale esuberanza. Perché non si loda il fatto che la Chiesa fu un tronco abbastanza robusto da non crollare sotto il peso vivo di certi papi, sul cui soglio pesavano figlioli bastardi, courtisanes e trucidati? Non risiedeva in loro più cristianesimo che in quegli aridi rifondatori dei Vangeli, -e cioè vitale, irrattenibile, trasmutato. Noi non sappiamo certo, voglio dire, cosa ci debba toccare in sorte dai grandi insegnamenti, dobbiamo solo farli scorrere, dando loro libero corso, e non trasalire se ad un tratto fuggono a balzi scrosciando fra i dirupi della natura, della vita, e rotolano sotto terra in letti inconoscibili.
Ich habe einmal ein paar Monate in Marseille Ho lavorato qualche mese a Marsiglia, una gearbeitet. Es war eine besondere Zeit für mich, ich volta. E' stato un tempo speciale per me, gli verdanke ihr viel. Der Zufall brachte mich mit einem debbo molto. Il caso mi fece incontrare un
jungen Maler zusammen, der bis zu seinem Tode mein Freund geblieben ist. Er litt an der Lunge und war eben damals von Tunis zurückgekommen. Wir waren viel beisammen, und da der Abschluß meiner Anstellung mit seiner Rückkehr nach Paris zusammenfiel, konnten wir es einrichten, einige Tage in Avignon uns aufzuhalten. Sie sind mir unvergeßlich geblieben. Zum Teil durch die Stadt selbst, ihre Gebäude und ihre Umgebungen, als auch weil mein Freund in diesen Tagen ununterbrochenen und irgendwie gesteigerten Umgangs sich mir über viele Umstände besonders seinesinneren Lebens mit jener Beredsamkeit mitteilte, die, scheint es, solchen Kranken in gewissen Momenten eigentümlich ist. Alles was er sagte hatte eine seltsame wahrsagende Gewalt; durch alles, was in oft fast atemlosen Gesprächen dahinstürzte, sah man gewissermaßen den Grund, die Steine auf dem Grunde .... ich will damit sagen, mehr als nur ein nur Unsriges, die Natur selber, ihr Ältestes und Härtestes, das wir doch an so vielen Stellen berühren und von dem wir wahrscheinlich in den getriebensten Momenten abhängen, indem sein Gefäll unsre Neigung bestimmt. Ein Liebeserlebnis, unvermutet und glücklich, kam dazu, sein Herz wurde ungewöhnlich hoch gehalten, tagelang, und so schoß denn auf der anderen Seite der spielende Strahl seines Lebens zu beträchtlicher Höhe auf. Mit jemandem, der sich in solcher Verfassung befindet, eine außerordentliche Stadt und eine mehr als gefällige Landschaft wahrzunehmen, ist eine seltene Vergünstigung; und so erscheinen mir denn auch, wenn ich zurückdenke, jene zarten und zugleich leidenschaftlichen Frühlingstage als die einzigen Ferien, die ich in meinem Leben gekannt habe. Die Zeit war so lächerlich kurz, einem anderen hätte sie nur für wenige Eindrücke hingereicht, – mir, der ich nicht gewohnt bin, freie Tage zu verbringen, erschien sie weit. Ja, es kommt mir fast unrecht vor, noch Zeit zu nennen, was eher ein neuer Zustand des Freiseins war, recht fühlbar ein Raum, ein Umgebensein von Offenem, kein Vergehn. Ich holte damals, wenn man so sagen kann, Kindheit nach und ein Stück frühes Jungsein, was, alles in mir auszuführen, nie Zeit gewesen war; ich schaute, ich lernte, ich begriff –, und aus diesen Tagen stammt auch die Erfahrung, daß mir ›Gott‹ zu sagen, so leicht, so wahrhaftig, so – wie mein Freund sich würde ausgedrückt haben –
pittore, che mi è rimasto amico fino alla morte. Soffriva di polmoni, e era tornato giusto allora da Tunisi. Restammo tanto insieme e, siccome la fine del mio impiego coincideva col suo ritorno a Parigi, potemmo organizzarci un breve soggiorno ad Avignone: giorni indimenticabili per me. In parte per la città medesima, i suoi palazzi e i suoi paraggi, ma anche perché il mio amico in quei giorni di frequentazione assidua e quasi in crescendo mi si confidava su diverse circostanze, soprattutto della sua vita inferiore, con quell'eloquio suadente che sembra in certi momenti essere stranamente proprio di siffatti malati. Tutto quel che diceva possedeva una strana potenza di espressione del vero; attraverso tutto quanto scrosciava giù nei nostri dialoghi, spesso quasi affannosi, si scorgeva in certo qual modo il fondo, le pietre sul fondo...voglio dire, con ciò, qualcosa di più di quel che è proprio soltanto di noi, la Natura medesima, quello che in lei è più antico e resistente, che pur tocchiamo in tantissimi casi e da cui nei momenti più impulsivi verosimilmente dipendiamo, in quanto il suo inclinare determina le nostre tendenze. Si aggiunse, inattesa e felice, un'esperienza amorosa, il suo cuore fu tenuto sospeso a un'altezza inusitata, per giorni, e così crebbe a zampillo, d'altra parte, il getto ilare della propria esistenza ad un'altezza considerevole. Con chi si trova in tale disposizione osservare una città straordinaria e un paesaggio oltremodo dilettoso è raro privilegio; e così, se rivado indietro con la mente, mi appaiono anche quei giorni primaverili, teneri e insieme appassionati, come gli unici giorni di vacanza, che abbia mai conosciuto in vita mia. Il tempo era così ridicolmente breve, ad un altro non sarebbe bastato, che per poche impressioni, - a me, che non sono abituato a passar giorni liberi, apparve vasto. Già, mi sembra quasi ingiusto chiamare ancora tempo, quel che piuttosto fu una condizione di libertà, vera e propria percezione di uno spazio, un esser circondati dall'aperto, nessun trapasso. Allora ricuperai, per così dire, infanzia e parte della prima giovinezza, cose in me tutte che mai era stato dato di vivere espressamente; vedevo, imparavo, afferravo-, nasce da quei giorni anche l'esperienza che pronunciare Dio per me sia diventato così facilmente, così autenticamente, così -come
so problemlos einfach sei. Wie sollte mir dieses Haus, das die Päpste sich dort aufgerichtet haben, nicht gewaltig vorkommen? Ich hatte den Eindruck, es könne überhaupt keinen Innenraum enthalten, sondern müsse aus lauter dichten Blöcken geschichtet sein, so als wäre den Verbannten nur darum zu tun gewesen, das Gewicht des Papsttums, sein Übergewicht, auf die Waage der Geschichte zu häufen. Und dieser kirchliche Palast türmt sich wahrhaftig über den antiken Torso einer Heraklesfigur, die man in die felsigen Grundfesten eingemauert hat – ›ist er nicht‹ – sagte Pierre, ›wie aus diesem Samenkorn ungeheuerlich aufgewachsen?‹ – Daß dieses das Christentum sei, in einer seiner Verwandlungen, wäre mir viel verständlicher, als seine Kraft und seinen Geschmack in dem immer schwächeren Aufguß jener Tisane zu erkennen, von der man behauptet, daß sie aus seinen ersten zartesten Blättern bereitet sei.. Sind doch auch die Kathedralen nicht der Körper jenes Geistes, den man uns nun als den eigentlich christlichen einreden will. Ich könnte denken, daß unter einigen von ihnen das erschütterte Standbild einer griechischen Göttin ruhe; soviel Erblühung, soviel Dasein ist in ihnen emporgeschossen, wenn sie auch, wie in einer zu ihrer Zeit entstandenen Angst, von jenem verborgenen Leib fort in die Himmel strebten, die fortwährend offen zu halten der Ton ihrer großen Glocken bestimmt war.
avrebbe detto il mio amicocosì aproblematicamente semplice. Come non poteva quella casa, che i papi si erano fatta erigere, non apparirmi nella sua potenza? Avevo l'impressione non potesse affatto contenere uno spazio interno, ma dovesse essere formata a strati di tanti blocchi ermeticamente accostati, come se agli esiliati non toccasse altro che caricare il peso del Papato, il suo peso eccessivo, sulla bilancia della Storia. E questo palazzo ecclesiastico torreggia davvero sopra l'antico torso di una statua d'Ercole murata dentro le fondamenta rocciose- "Non è -diceva Pierre- come cresciuto a dismisura da questo seme?"- che questo sia il Cristianesimo in una delle sue trasmutazioni mi resterebbe molto più comprensibile che riconoscer la sua forza e il suo gusto nell'infuso sempre più debole di quella tisana, di cui s'afferma sia stata preparata con le prime più tenere foglie da lui spuntate. Eppure neppure le cattedrali sono il corpo di quello spirito, che ora ci vogliono convincere che sia stato l'autentico cristiano. Potrei pensare che sotto qualcuna di esse riposi la statua scossa di una dea della Grecia; tanta è la fioritura, tanta è la vita che le trascorre dalle fondamenta, anche se, come in una paura sorta ai loro tempi, esse via da quel corpo sepolto anelavano ai cieli, che per tener spalancati in ogni istante era il suono a tal fine destinato delle loro grandi campane.
Nach meiner Rückkehr damals von Avignon bin Dopo il mio rientro allora da Avignone sono ich viel in Kirchen gegangen, abends und am andato spesso nelle chiese, di sera e di domenica Sonntag, – erst allein . . . später . . . -prima da solo ... in seguito… Ich habe eine Geliebte, fast noch ein Kind, die als Heimarbeiterin beschäftigt ist, wodurch sie oft, Ho un'amata, ancora, una bambina si direbbe, wenn es wenig Arbeit gibt, in eine arge Lage gerät. che lavora a domicilio, per cui spesso, quando Sie ist geschickt, sie würde leicht in einer Fabrik c’è poco lavoro, finisce in uno stato d'angustia. unterkommen, aber sie fürchtet den Patron. Ihre E' spedita... potrebbe facilmente trovare posto in Vorstellung von Freiheit ist grenzenlos. Es wird Sie fabbrica, ma teme il padrone. La sua concezione nicht wundern, daß sie auch Gott so wie eine Art della libertà è senza limiti. Non La stupirà sentire che lei vede anche Dio come una sorta di Patron empfindet, ja als den "Erzpatron", wie sie mir padrone, come un arcipadrone appunto, mi sagte, lachend, aber mit solchem Schreck in den diceva, ridendo, ma con negli occhi, un tale Augen. Es hat lange gebraucht, bis sie sich spavento. C'è voluto un bel po' prima che si entschloß, einmal abends mit mir nach St. Eustache decidesse a venire una volta di sera con me al zu gehen, wo ich gerne eintrat, wegen der Musik der Saint Eustache, dove entravo volentieri, per la Maiandachten. Einmal sind wir zusammen nach musica delle messe di maggio. Una volta Maux geraten und haben in der Kirche dort insieme siamo capitati a Maux e là nella chiesa
Grabsteine angesehen. Allmählich merkte sie, daß Gott einen in den Kirchen in Ruhe läßt, daß er nichts verlangt; man könnte meinen, er wäre überhaupt nicht da, nichtwahr, – aber doch im Augenblick, wo man das etwa sagen wollte, meinte Marthe, daß er auch in der Kirche nicht ist, da hält einen etwas zurück. Vielleicht nur das, was die Menschen selbst durch soviel Jahrhunderte hereingetragen haben in diese hohe, eigentümlich bestärkte Luft. Vielleicht ist es auch nur, daß das Schwingen der mächtigen und süßen Musik nie ganz hinaus kann, ja es muß ja längst in die Steine eingedrungen sein, und es müssen merkwürdig erregte Steine sein, diese Pfeiler und Wölbungen, und wenn ein Stein auch hart ist und schwer zugänglich, schließlich erschütterts ihn doch, immer wieder Gesang und diese Angriffe von der Orgel her, diese Überfälle, diese Stürme des Lieds, jeden Sonntag, diese Orkane der großen Feiertage. Windstille. Das ists, was recht eigentlich in den alten Kirchen herrscht. Ich sagte es Marthe. Windstille. Wir horchten, sie begriff es sofort, sie hat eine wunderbar vorbereitete Natur. Seither traten wir manchmal da und dort ein, wenn wir singen hörten, und standen dann da, dicht aneinander. Am schönsten wars, wenn ein Glasfenster vor uns war, eines von diesen alten Bilderfenstern, mit vielen Abteilungen, jede ganz angefüllt mit Figuren, großen Menschen und kleinen Türmen und allen möglichen Ereignissen. Nichts ist dafür zu fremd gewesen, da sieht man Burgen und Schlachten und eine Jagd, und der schöne weiße Hirsch kommt immer wieder vor im heißen Rot und im brennenden Blau. Ich habe einmal ganz alten Wein zu trinken bekommen. So ist das für die Augen, diese Fenster, nur daß der Wein nur dunkelrot war im Mund, – dieses hier aber ist dasselbe auch noch in Blau und in Violett und in Grün. Es ist ja überhaupt alles in den alten Kirchen, gar keine Scheu vor etwas, wie in den neuen, wo nur gewissermaßen die guten Beispiele vorkommen. Hier ist auch das Arge und Böse und das Fürchterliche; das Verkrüppelte, das was in Not, das was häßlich ist und das Unrecht –, und man möchte sagen, daß es irgendwie geliebt sei um Gottes willen. Hier ist der Engel, den es nicht gibt, und der Teufel, den es nicht gibt; und der Mensch, den es nicht gibt, ist zwischen ihnen, und, ich kann mir nicht helfen, ihre Unwirklichkeit macht ihn mir
abbiamo ammirato delle pietre tombali. A poco a poco lei giunse a notare come Dio lasci in pace la gente nelle chiese, come non pretenda niente; si potrebbe pensare che lì non sia affatto presente, nevvero, -ma invece nel momento in cui lo si volesse in qualche modo esprimere, disse Marthe, che anche nella chiesa Lui non c'è, c'è 1à qualcosa che ci trattiene dal dirlo. Forse è soltanto ciò che la gente stessa attraverso tanti secoli vi ha portato, dentro, in quell'aura elevata e stranamente fortificata. Forse è soltanto il vibrare della possente e dolce musica che non può mai uscire completamente, già, dev'essere ormai da tempo penetrato nelle pietre, e devono essere pietre stranamente eccitate, quei piloni e quelle volte, e quand'anche una pietra fosse così dura e difficile da penetrare, alla fine pure la scuote, cantico e ancora cantico e quegli attacchi dell'organo, quegli agguati, quei turbini del canto, ogni domenica, quegli uragani nelle feste solenni. Aria di bonaccia. Ecco quello che veramente domina nelle vecchie chiese. Lo dissi a Marthe. Aria di bonaccia. Stemmo in ascolto, lei lo capì subito, ha una natura straordinariamente predisposta. Da allora entrammo a volte qua e là, quando udivamo cantare e ci tenevamo in piedi stretti l'uno accanto all'altra. La cosa più bella era quando di fronte a noi si parava una vetrata, una di quelle vecchie finestre invetriate, tutte piene di riquadri, ognuno gremito di figure, uomini grandi e torri nane e tutti i possibili accadimenti. Non c'è cosa che sia stata troppo estranea per loro, vi si vedono rocche e battaglie e una caccia, e il bel cervo bianco ricompare sempre in campo rosso-caldo e blu-ardente. Una volta mi hanno offerto a bere un vino molto vecchio. Ecco, questo, queste finestre, è per gli occhi lo stesso, solo che quel vino era solo rosso-cupo in bocca- e questo invece dà lo stesso effetto anche in azzurro e viola e verde. C'è assolutamente di tutto nelle vecchie chiese, non v’è minimo riserbo per nulla, come invece nelle nuove, dove in certo qual modo compaiono solo gli esempi buoni. C'è pure il Maligno e Crudele e l'Orrido; il Deforme, ciò che si trova in miseria, ciò che è brutto e l'Ingiusto- e si vorrebbe dire che viene in certo senso amato per amore di Dio. Qui c'è l'Angelo, che non esiste, e il Diavolo, che non esiste, e l'Uomo, che esiste, è in mezzo a loro e,
wirklicher. Ich kann das, was ich fühle, wenn es heißt: ein Mensch, dort drin besser zusammennehmen, als auf der Straße unter den Leuten, die rein nichts Erkennbares an sich haben. Aber das ist schwer zu sagen. Und das, was ich nun sagen will, ist noch schwerer aus(zu)drücken. Was nämlich den "Patron", die Macht, angeht (das ist mir auch so langsam dort drin, wenn wir ganz in der Musik standen, klar geworden), so gibt es nur ein Mittel wider sie: weiter zu gehen als sie selbst. Ich meine das so: Man sollte sich anstrengen, in jeder Macht, die ein Recht über uns beansprucht, gleich alle Macht zu sehen, die ganze Macht, Macht überhaupt, die Macht Gottes. Man sollte sich sagen, es gibt nur eine, und die geringe, die falsche, die fehlerhafte so verstehen, als wäre sie das, was uns mit Recht ergreift. Würde sie nicht unschädlich auf diese Weise? Wenn man in jeder Macht, auch in arger und boshafter, immer die Macht selbst sähe, ich meine das, was zuletzt recht behält, mächtig zu sein, überstünde man da nicht, heil, sozusagen, auch das Unberechtigte und Willkürliche? Stellen wir uns nicht zu allen den unbekannten großen Kräften genau so? Keine erfahren wir in ihrer Reinheit. Wir nehmen jede zunächst hin mit ihren Mängeln, die vielleicht unseren Mängeln angemessen sind. – Aber hat nicht bei allen Gelehrten, Entdeckern und Erfindern, die Voraussetzung, daß sie es mit großen Kräften zu tun hätten, plötzlich zu den größesten geführt? Ich bin jung, und es ist viel Aufbegehrung in mir; ich kann nicht versichern, daß ich nach meiner Einsicht handle in jedem Falle, wo Ungeduld und Unlust mich hinreißen, – im Innersten aber weiß ich, daß die Unterwerfung weiter führt als die Auflehnung; sie beschämt, was Bemächtigung ist, und sie trägt unbeschreiblich bei zur Verherrlichung der richtigen Macht. Der Aufgelehnte drängt aus der Anziehung eines Machtmittelpunktes hinaus, und es gelingt ihm vielleicht, dieses Kraftfeld zu verlassen; aber darüber hinaus steht er im Leeren und muß sich umsehen nach einer anderen Gravitation, die ihn einbeziehe. Und diese ist meist von noch minderer Gesetzmäßigkeit als die erste. Warum also nicht gleich in jener, in der wir uns vorfinden, die größeste Gewalt sehen, unbeirrt durch ihre Schwächen und Schwankungen? Irgendwo stößt die Willkür von selber ans Gesetz, und wir ersparen Kraft, wenn wir ihr überlassen, sich selber zu
non ci posso far niente, la loro irrealtà me lo rende più reale. Io posso veder compendiato quel che sento quando si dice Uomo, meglio là che per strada, fra la gente, che non ha veramente in sé niente di umanamente riconoscibile. E' difficile a dirsi. E quello che adesso voglio dire, è ancora più duro da esprimere. Appunto ciò che concerne il padrone il potere, (è stato là dentro, mentre stavamo tutt'immersi nella musica, che poco a poco mi si è fatto chiaro) v'è solo un mezzo, contro di esso: andare oltre lui stesso. Io la intendo così: ci dovremmo sforzare di vedere, in ogni potere che su di noi accampa un diritto, immediatamente ogni forma di potere, tutto il potere intero, potere e basta: la potenza di Dio. Dovremmo dire a noi stessi: ce n'è una sola, e il limitato, lo spurio, il fallace concepirlo in tal modo, come se fosse lei tutto quello che a buon diritto ci afferra. Non diverrebbe in questo modo innocuo? Se in ogni potere, anche maligno e crudele, si vedesse sempre la potenza stessa, dico ciò che alla fine ha ragione di essere potente, non si potrebbe forse in quel punto superare, diciamo pure illesi, anche l'ingiustificato e l'arbitrario? Non ci poniamo proprio così di fronte a tutte le grandi forze sconosciute? Non ne proviamo alcuna nella sua purezza. Ognuna la accogliamo con i propri difetti, che son commisurati forse ai nostri. – Non fu così per tutti gli studiosi, scopritori e inventori, che la premessa di dover avere a che fare con grandi forze li condusse ad un tratto alle più grandi? Io son giovane e in me c'è tanta indignazione; non posso garantire di agire per convinzione propria ogni volta che impazienza o ripugnanza mi trascinano, -ma nel profondo io so che la sottomissione porta più in là della ribellione; essa fa vergognare l'uso del potere e porta un contributo indescrivibile all'esaltazione della vera potenza. Chi si basa sulla rivolta per sgusciar fuori dalla forza di attrazione di un centro di potere, forse riesce a liberarsi di quel campo magnetico; ma una volta superatolo si trova nel vuoto e deve cercare intorno un altro centro di gravitazione, che lo catturi. E questo il più delle volte è ancora peggiore del primo per ciò che concerne l'acquiescenza alla legge. Allora perché non vedere subito in quello in cui già ci troviamo la somma potenza, senza farsi confondere dalle sue debolezze e oscillazioni?
bekehren. Freilich das gehört zu den langen und langsamen Vorgängen, die so völlig in Widerspruch stehen mit den merkwürdigen Überstürzungen unserer Zeit. Aber es wird neben den schnellsten Bewegungen immer langsame geben, ja solche von so äußerster Langsamkeit, daß wir ihren Verlauf gar nicht erleben können. Aber dazu, nicht wahr, ist ja die Menschheit da, daß sie abwarte, was über den Einzelnen hinausreicht. – Von ihr aus gesehen, ist das Langsame oft das Schnellste, das heißt, es erweist sich, daß wir es nur langsam nannten, weil es ein Unmeßbares war. Nun gibt es scheint mir, ein völlig Unermeßliches, an dem mit Maßstäben, Messungen und Einrichtungen sich zu vergreifen, die Menschen nicht müde werden. Und hier in jener Liebe, die sie mit einem unerträglichen Ineinander von Verachtung, Begierlichkeit und Neugier die "sinnliche" nennen, hier sind wohl die schlimmsten Wirkungen jener Herabsetzung zu suchen, die das Christentum dem Irdischen meinte bereiten zu müssen. Hier ist alles Entstellung und Verdrängung, obwohl wir doch aus diesem tiefsten Ereignis hervorgehen und selber wieder in ihm die Mitte unserer Entzückungen besitzen. Es ist mir, wenn ich es sagen darf, immer unbegreiflicher, wie eine Lehre, die uns dort ins Unrecht setzt, wo die ganze Kreatur ihr seligstes Recht genießt, in solcher Beständigkeit sich, wenn auch nirgends bewähren, so doch weithin behaupten darf.
Ich denke auch hier wieder an die bewegten Gespräche, die ich mit meinem verstorbenen Freunde führen durfte, damals, in den Auen der Barthelasse-Insel im Frühling und später. Ja in der Nacht, die seinem Tode zuvorging (er starb am folgenden Nachmittag kurz nach fünf Uhr), hat er mir in einen Bereich blindesten Erleidens so reine Ausblicke eröffnet, daß mir mein Leben an tausend Stellen neu zu beginnen schien und mir, da ich antworten wollte, die Stimme nicht zur Verfügung stand. Ich wußte nicht, daß es Tränen der Freude gab. Ich weinte meine ersten anfängerhaft, in die Hände dieses morgen Toten und fühlte, wie in Pierre die Flut des Lebens noch einmal stieg und überging, da diese heißen Tropfen hinzukamen. Bin ich überschwänglich? Ich rede ja von einem Zuviel.
In un qualche punto l'Arbitrio infrange da solo la Legge, e noi risparmiamo energia, se lo lasciamo da solo a redimere se stesso. Certo fa parte dei lunghi e lenti processi che stanno in totale contrasto con le strane precipitazioni del nostro tempo. Eppure assieme ai movimenti più veloci sempre coesisteranno quelli lenti; alcuni appunto di sì estrema lentezza che noi non ne possiamo vivere affatto il corso. Ma in compenso c'è appunto l'Umanità -non è vero?per attendere quel che va oltre il singolo. Dal punto di vista di lei ciò che par lento è spesso il più veloce, il che significa -si può dimostrareche lo abbiamo definito lento solo perché si trattava di un incommensurabile. Ora, esiste, mi pare, un incommensurabile totale, che con canoni, misure e istituzioni gli uomini non si stancano di profanare. E qui, in quell'amore ch'essi chiamano con un insopportabile intreccio di disprezzo, bramosia e curiosità il sensuale, qui sono appunto da cercare gli aspetti peggiori di quel discredito che il cristianesimo pensava dovere tributare al mondo terreno. Qui tutto è distorsione e inibizione, ben che pure noi sortiamo da questo fondo avvenimento e noi stessi in lui ritroviamo l’acquisizione del centro delle nostre delizie. Mi risulta, se così posso esprimermi, sempre più incomprensibile come una dottrina, che ci pone nel torto su questo punto, in cui l'intera creatura gode del suo più beato diritto, possa in tal consistenza, anche se non avverarsi, almeno affermarsi su scala così vasta. Ritorno qui col pensiero anche ai dialoghi eccitati che dovetti condurre col mio amico scomparso, allora, sulle piagge dell'isola di Barthelasse, a primavera e dopo. Appunto nella notte che precedette la sua morte (morì nel pomeriggio seguente poco dopo le cinque) in un dominio di sì cieca sofferenza mi dischiuse definitivamente orizzonti così puri che mi sembrò di ricominciare la vita in mille punti daccapo, e non avevo a soccorrermi la voce per dare una risposta. Non sapevo che ci fossero lacrime di gioia. Io piansi le mie prime, principiante, nelle mani di lui che sarebbe morto l’indomani, e sentii come in Pierre la marea della vita risalisse una volta ancora e dilagasse, appena vi si aggiunsero queste gocce cocenti. Sono forse esuberante? In fondo parlo di un di
Warum, ich frage Sie, Herr V., wenn man uns helfen will, uns so oft Hülflosen, warum läßt man uns im Stich, dort an den Wurzeln alles Erlebens? Wer uns dort beistände, der könnte getrost sein, daß wir nichts weiter von ihm verlangten. Denn der Beistand, den er uns dort einflößte, wüchse von selbst mit unserem Leben und würde größer und stärker mit ihm zugleich. Und ginge nie aus. Was setzt man uns nicht ein in unser Heimlichstes? Was müssen wirs umschleichen, und geraten schließlich hinein, wie Einbrecher und Diebe, in unser eigenes schönes Geschlecht, in dem wir irren und uns stoßen und straucheln, um schließlich wie Ertappte wieder hinauszustürzen in das Zwielicht der Christlichkeit. Warum, wenn schon Schuld oder Sünde, wegen der inneren Spannung des Gemüts mußte erfunden werden, warum heftete man sie nicht an an einen anderen Teil unseres Leibes, warum ließ man sie fallen dorthin und wartete, daß sie sich auflöse in unserem reinen Brunnen und ihn vergifte und trübe? Warum hat man uns das Geschlecht heimatlos gemacht, statt das Fest unserer Zuständigkeit dort hin zu verlegen? Gut, ich will zugeben, es soll nicht uns gehören, die wir nicht imstande sind, so unerschöpfliche Seligkeit zu verantworten und zu verwalten. Aber warum gehören wir nicht zu Gott von dieser Stelle aus? Ein Kirchlicher würde mich darauf verweisen, daß es die Ehe gäbe, obwohl ihm nicht unbekannt wäre, wie es mit dieser Einrichtung bestellt ist. Es nützt auch nichts, den Willen zur Fortpflanzung in den Gnadenstrahl zu rücken –, mein Geschlecht ist nicht nur den Nachkommen zugekehrt, es ist das Geheimnis meines eigenen Lebens –, und nur weil es dort, wie es scheint, den mittleren Platz nicht einnehmen soll, haben so viele es an ihren Rand verschoben und darüber das Gleichgewicht verloren. Was hilft alles!
Die entsetzliche Unwahrheit und Unsicherheit unserer Zeit hat ihren Grund in dem nicht eingestandenen Glück des Geschlechts, in dieser eigentümlich schiefen Verschuldung, die immerfort zunimmt und uns von der ganzen übrigen Natur trennt, ja sogar von dem Kind, obwohl, wie ich in jener unvergeßlichen Nacht erfuhr, seine, des
troppo. Io Le chiedo, signor V., perché mai volendo aiutare noi, spesso privi d'aiuto, per che motivo mai ci lasciano nell'abbandono, là, proprio alle radici dell'esperienza vitale? Chi ci assistesse in quel punto potrebbe stare tranquillo che non pretenderemmo niente di più da lui. Ché l'assistenza, che in quel punto c'infonderebbe, crescerebbe da sola con la nostra vita, e con lei diverrebbe più grande e più forte insieme. E mai ci lascerebbe. Perché non ci fate attecchire nel nostro segreto? Perché siamo costretti ad aggirarlo, e poi in fondo cadiamo proprio 1à dentro, come scassinatori e ladri, nel nostro proprio bel sesso, in cui ci confondiamo e urtiamo e incespichiamo, per poi alla fin fine sgusciare fuori, come colti in flagrante, nel dubitoso barlume della cristianità. Per quale motivo, se mai colpa o peccato per l'interna tensione dell'istinto doveva essere inventato, perché non lo si affibbiò a un diverso organo del nostro corpo, perché mai lo si fece cadere proprio in quel punto, e si attese che là si dissolvesse, in quella nostra pura cisterna e la infettasse e intorbidasse? Per quale motivo ci hanno reso il sesso esiliato, invece di farne la rocca festosa della nostra specificità. Bene, voglio concedere che non ci debba competere, perché non ne siamo in grado, di rispondere di tale inesauribile beatitudine e amministrarla. Per quale mai ragione allora non apparteniamo a Dio a partire da quel punto? Un ecclesiastico mi potrebbe richiamare al fatto che esiste il matrimonio, anche se non dovrebbe essergli ignoto come funziona questa istituzione. Non serve neppure riportare nel getto della grazia la volontà della riproduzione il mio sesso non è rivolto solo alla discendenza, esso è il segreto della mia propria vita-, e solo perché quivi, come sembra, non gli è concesso occupare il posto centrale, molti l'hanno spostato in margine a se stessi e ne hanno perso il controllo equilibrato. A che giova tutto questo! La terribile mancanza di autenticità e di sicurezza del nostro tempo ritrova il suo motivo nella mancata confessione della felicità del sesso, in quella tipica colpevolezza stranamente contorta che cresce sempre più e ci divide dall'intera, restante natura, e dal bambino stesso,
Kindes, Unschuld durchaus nicht darin besteht, daß es, sozusagen, kein Geschlecht kenne, – "sondern", so sagte Pierre fast tonlos, "jenes unbegreifliche Glück, das uns an einer Stelle erwacht mitten im Fruchtfleisch der geschlossenen Umarmung, ist noch in seinem ganzen Körper überall namenlos ›verteilt‹. Um die eigentümliche Lage unserer Sinnlichkeit zu bezeichnen, müßte man also sagen dürfen: Einmal waren wir überall Kind, jetzt sind wirs nur noch an einer Stelle. – Wenn aber nur ein Einziger unter uns ist, dem das gewiß wäre und der die Beweise dafür aufzuzeigen die Fähigkeit besäße, warum lassen wirs geschehen, daß eine Generation nach der anderen unter dem Schutt christlicher Vorurteile zu sich kommt und sich rührt wie der Scheintote im Finstern, in einem engsten Zwischenraum zwischen lauter Absagen!?
sebbene, come appresi in quella notte indimenticabile, l’innocenza del bambino non consiste assolutamente nel fatto che, diciamo così, non ha la dimensione del sesso, "bensì come diceva Pierre quasi senza tono di vocequell'inafferrabile felicità, che in noi si risveglia in un punto, nel fondo del frutto carnoso chiuso nell'amplesso, è nel corpo infantile ancora sparsa dappertutto, senza nome". Per definire la strana situazione propria della nostra sensualità si dovrebbe quindi poter dire: un tempo eravamo dappertutto bambini, oggi lo siamo rimasti solo in un punto. Se però ci fosse fra noi anche uno solo che ne fosse sicuro e avesse la capacità di portarne le prove, per qual motivo dobbiamo tollerare che una generazione dopo l'altra sotto macerie di pregiudizi cristiani ritorni in sé e annaspi come il morto apparente nel buio del chiuso di un interstizio angustissimo, sepolto fra pure rinunce!?
Herr V. Ich schreibe und schreibe. Eine ganze Nacht ist fast drüber hingegangen. Ich muß mich zusammenfassen. – Habe ich gesagt, daß ich in einer Fabrik angestellt bin? Ich arbeite im Schreibzimmer, manchmal habe ich auch an einer Maschine zu tun. Früher konnte ich einmal eine kurze Zeit studieren. Nun, ich will nur sagen, wie mir zu mute ist. Ich will, sehen Sie, anwendbar sein an Gott, so wie ich da bin; was ich hier tue, Arbeit, das will ich weitertun auf ihn zu ohne daß mir mein Strahl gebrochen wird, wenn ich das so ausdrücken darf, auch nicht in Christus, der einst für viele das Wasser war. Die Maschine, zum Beispiel, ich kann sie ihm nicht erklären, er behält nicht. Ich weiß Sie lachen nicht, wenn ich das so einfältig sage, es ist am besten so. Gott dagegen, ich habe dieses Gefühl, ihm kann ich sie bringen, meine Maschine und ihren Erstling, oder sonst meine ganze Arbeit, es geht ohneweiters in ihn hinein. So wie es für die Hirten einmal leicht war, den Göttern ihres Lebens ein Lamm zu bringen oder die Feldfrucht oder die schönste Traube.
Signor V., io scrivo e scrivo. Quasi un'intera notte è trascorsa. Mi devo riassumere. Ho detto che sono impiegato in una fabbrica? Lavoro allo scrittoio, talvolta anche ad una macchina. Una volta, negli anni trascorsi, ebbi occasione di studiare per un breve periodo. Orbene, voglio solo dire come mi sento. Vede, io voglio essere utile in Dio così come son fatto; quel che faccio, il lavoro, lo voglio continuare a fare incontro a lui, senza che il getto mio mi venga rotto, se così posso dire, nemmeno in Cristo, che un tempo per molti ne fu l'acqua. La macchina, ad esempio non gliela posso spiegare, non ritiene. Io so che Lei non ride se lo esprimo così semplicemente, è meglio in questo modo. A Dio invece, lo sento per istinto, a lui la posso portare la mia macchina, e la primizia del suo lavoro o tutto l'intero mio lavoro senza problemi entrerebbe in lui. Come un tempo fu facile ai pastori portare agli dèi della loro vita un agnello o un frutto della terra o il grappolo più bello.
Sie sehen, Herr V., ich konnte diesen langen Brief schreiben, ohne das Wort Glauben ein einziges Mal nötig zu haben. Denn das scheint mir eine umständliche und schwierige Angelegenheit zu sein, und nicht die meine. Ich will mich nicht schlecht machen lassen um Christi willen, sondern gut sein
Lo vede, signor V., ho potuto scrivere questa lunga lettera senza il bisogno di ricorrere una sola volta alla parola fede. Infatti questa mi sembra che sia un affare impaccioso e difficile, e non il mio. Non mi voglio far criticare per amore di Cristo, ma essere buono per Dio. Non
für Gott. Ich will nicht von vornherein als ein Sündiger angeredet sein, vielleicht bin ich es nicht. Ich habe so reine Morgen! Ich könnte mit Gott reden, ich brauche niemanden, der mir Briefe an ihn aufsetzen hilft.
voglio dall'inizio essere trattato come un peccatore, forse non lo sono. Conosco mattini così puri! Potrei parlare con Dio, non ho bisogno di nessuno che mi aiuti a compilare lettere per lui.
Ihre Gedichte kenne ich nur aus jener Vorlesung neulich abend, ich besitze nur wenige Bücher, die meistens mit meinem Beruf zu tun haben. Ein paar allerdings, die von Kunst handeln, und Historisches, was ich mir eben verschaffen konnte. – Die Gedichte aber, das müssen Sie sich nun gefallen lassen, haben diese Bewegung in mir hervorgerufen. Mein Freund sagte einmal: Gebt uns Lehrer, die uns das Hiesige rühmen. Sie sind ein solcher.
Le Sue poesie le conosco solo da quella lettura l'altra sera, possiedo solo pochi libri, che per lo più hanno a che fare con il mio mestiere. Anche un paio che trattano d'Arte e di Storia, quel che ho potuto appunto procacciarmi. Le poesie però, se lo deve lasciar dire, hanno causato in me questo movimento. Il mio amico disse una volta: dateci maestri che ci esaltino l’al-di-qua. Lei è uno di loro. (1922)