Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #27 Luglio/Agosto 2015
REDAZIONE / EDITORIAL STAFF Direttore Responsabile Head editor Enrico Falqui enricofalqui@nipmagazine.it
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Network in Progress Iscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisa N° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress” ISSN 2281-1176
Casa Editrice / Publishing ETS, P.za Carrara 16/19, Pisa Legale rappresentante Casa Editrice / Legal representative of the publishing house Mirella Mannucci Borghini
CON IL PATROCINIO DI / WITH THE SUPPORT OF
COPERTINA / COVER Copertina a cura di: Cover by: Lorenzo Davitti
{Editoriale Cultivate Imaginary L’artista franco-tedesco Tino Sehgal, in mostra con sua prima grande personale in questi gironi al Martin-Gropius-Bau di Berlino, sta portando avanti da molti anni una ricerca che rappresenta una radicale ridefinizione dell’arte e della sua esperienza. Sehgal costruisce situazioni piuttosto che oggetti materiali. Questi incontri offrono ai visitatori un’esperienza completamente unica dell’opera d’arte vivente di cui fanno parte integrante. I suoi mezzi sono la voce umana, movimenti fisici e l’interazione sociale che sono messe in atto dagli interpreti che si rivolgono ai visitatori attraverso la conversazione, il canto e la coreografia. La sua arte trascende la forma materiale e costruisce situazioni che immergono lo spettatore in una esperienza unica che rompe le barriere tra elemento artistico e spettatore. Una delle sue opere più famose This Variation presentata a Documenta XIII (2012) a Kassel, è una scena che prende atto nel buio, che immerge il pubblico in un paesaggio sensoriale, pieno di sorprese. Gli interpreti cantano, ballano, si muovono ed emettono strani rumori per guidare l’attenzione del pubblico e per tenere in costante allerta i sensi dello spettatore che dopo poco finisce per domandarsi se esso stesso è parte dell’opera d’arte… Missione compiuta! Questo Experimental effect è la chiave che sta alla base dei suoi ragionamenti. Quello che rimane impresso nella mente del visitatore non è un oggetto o una immagine, ma un insieme di sensazioni che fanno sì che quando il soggetto ripenserà all'opera d’arte avrà in mente l’esperienza vissuta, le emozioni più che gli oggetti e non avrà la sensazione di aver osservato qualcosa, ma quella di aver partecipato a qualcosa. Lo stesso approccio viene utilizzato nell’architettura contemporanea quando vengono realizzate le architetture cosiddette effimere o temporanee. Queste molto spesso vengono utilizzate per catalizzare l’attenzione verso spazi urbani ed extraurbani, non utilizzati o residuali. Si tratta di una opportunità per portare le persone a prestare un’attenzione provvisoria verso un determinato luogo altrimenti ignorato. La temporaneità porta con sé il già citato Experimental effect e cioè il fatto che utilizzando nuovi materiali, forme e strutture, l’architettura crea una memoria
{Editorial Cultivate Imaginary The Franco-German artist Tino Sehgal, on display in these days at the Martin-Gropius-Bau in Berlin with his first remarkable personal exhibition, has been working for many years on research that represents a radical redefinition of art and its experience. Sehgal constructs situations rather than material objects. These meetings offer a completely unique living work of art, in which the visitors are a completing part. His tools are human voice, physical movements and social interaction, implemented by interpreters addressing visitors, singing and executing choreographies. His art transcends the material form and constructs situations that immerse the viewer in a unique experience that breaks down the barriers between artistic element and spectator. One of his most famous works This Variation presented at Documenta XIII (2012) in Kassel, is a scene that takes place in the dark, which immerses the audience in a sensory landscape, full of surprises. The performers sing, dance, move and emit strange noises to guide the public’s attention and to keep on constant alert the senses of the viewer, that soon ends up wondering if he is himself part of the artwork... Mission accomplished! This Experimental effect is the key behind his reasoning. What sticks in the mind of the visitor is not an object or image, but a set of sensations that make possible that in the moment in which the subject will look back to the work of art, he will have in mind the experience he lived or the emotions rather than objects. The spectator will not have the feeling of having observed something, but the one of having took part in something. The same approach is used in contemporary architecture when the so-called ephemeral or temporary architecture are built. These, very often, are used to attract the attention towards urban and suburban areas, unused or residual. This is an opportunity to push people to pay attention to a particular temporary location otherwise ignored. The temporary brings the aforementioned Experimental effect and that is the fact that by using new materials, shapes and structures, architecture creates a memory of lived space and consequently emotions, in the minds of visitors. However, when these temporary architectures are removed,
dello spazio vissuto e di conseguenza delle emozioni, nella mente dei visitatori. Tuttavia, quando tali architetture temporanee vengono rimosse, nell’immaginario di coloro che hanno visitato “quello” spazio, rimane impresso un ricordo piacevole, quasi affettivo, che avrà un significato essenziale e giocherà un ruolo fondamentale nel futuro sviluppo delle aree in oggetto. Immaginario, sensazioni, affettività e creatività sono quindi elementi fondamentali che non solo stanno alla base della vita quotidiana di ognuno di noi, ma che creano anche le condizioni fondamentali per dare nuova vita agli spazi urbani non utilizzati o dismessi, diventando il punto di partenza per un processo di rigenerazione urbana, un nuovo inizio per la Comunità nel modo di vivere gli spazi sociali della Città.
in the imagination of those who have visited “that� space, is imprinted a pleasant memory, almost emotional, that will have an essential significance and will play a key role in the future development of the areas in question. Imagination, feelings, emotions and creativity are therefore key elements that not only are the basis of the daily life of each of us, but also create the basic conditions to give new life to urban spaces no longer used or neglected, becoming the starting point for a process of urban regeneration, a new beginning for the Community as a way of living the social spaces of the City.
INDICE / CONTENTS Rubriche / Column Architettura che ci piace / Architecture we like Ispirato dalla Natura Stoas Vilentum, Università di Scienze Applicate di Wageningen, Olanda Inspired by Nature Stoas Vilentum, University of Applied sciences in Wageningen, The Netherlands by Jan-Willem Noom
Frames Florentime Clash by Marco Castelli
Focus On Palermo, Maredolce-La Favara Coltivare luoghi di frontiera Palermo, Maredolce-La Favara Cultivating frontiers’ places by Luigi Latini
Intervista / Interview «Spazio... al verde!» Intervista a Ugo La Pietra «Space... to the green!» Interview with Ugo La Pietra by Ludovica Marinaro
Il Progetto / Design Carrer Cuba Carrer Cuba
by Jordi Bellmunt, Agata Buscemi Arquitectes
Recensione / Review Il libro / The book Stad zonder hart o SenzaMemoria Stad zonder hart or WithoutMemory by Ludovica Marinaro
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LORENZO DAVITTI
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uando si conosce una persona nuova, scatta sempre la domanda «tu che cosa fai?». E mentre le risposte che ottengo sono sempre abbastanza sintetiche (medico, professore, ingegnere, disoccupato, etc), quelle che do io tendono a essere verbose e circonvolute. Ho iniziato dunque a rispondere che sono il classico Gemelli: creatività e rigore; arte e scienza; imprevedibile e noiso. Il mio titolo accademico è una laurea in Psicologia, alla quale ho abbinato un percorso di studi alla Scuola Internazionale di Comics; negli ultimi quattro anni ho lavorato come psicologo nel campo dell’editoria specialistica e come freelancer illustrando manuali e colorando bellissimi fumetti pubblicati in Francia: la mattina chino su Excel, la sera su Photoshop. Sarà che 33 anni è un numero significativo (il punto in cui pensi, con orrore, che alla tua età tuo padre aveva già un figlio piccolo), o che anche il più inquieto tra noi Gemelli ad un certo punto desidera un po’ di stabilità, ho imboccato un solo sentiero e scelto la passione per il disegno e la creazione di immagini. Vivo tra Londra e Firenze, ancora incerto tra quale delle due sia la mia città “madre” e quale la matrigna; a breve completerò un master in Illustrazione e Media Visivi al London College of Communication e dunque potrò vantarmi di avere un secondo titolo di studio ed un curriculum sempre più strano. Nel mentre continuo a disegnare con il lapis e con la tavoletta grafica, a lavorare come freelancer, a cercare di crescere professionalmente, sapendo che mai potrò avere una padronanza completa delle tecniche e dei metodi dell’illustrazione. Ma alla fine questo è un elemento fondamentale che tocca chiunque riesca a trasformare una passione in un mestiere: si trovano sempre nuove sfide e occasioni di miglioramento, di collaborazione, di apprendimento. Oggi posso rispondere più semplicemente alla domanda «tu che cosa fai?»: «sono un illustratore!» (… e segretamente un animatore… ma non ditelo all’ascendente Acquario!).
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hen you meet someone new, there’s always one question that is asked: «What do you do». Now, while the answers that I get to this question are pretty straightforward (GP, lecturer, engineer, unemployed, etc.), the one that I give tends to be verbose and convoluted. Indeed, I began to say that I am the typical Gemini: creativity and rigour; fine art and science; unpredictable and boring.
My academic degree is in Psychology, paired with a certificate at the International School of Comics; During the past four years I worked as a psychologist at a publishing house and as a freelancer, by illustrating textbooks and by colouring beautiful comic books published in France: bent over Excel in the morning, and over Photoshop in the evening. Being 33 years old is somewhat meaningful to me (that’s the point where you dreadfully realise that, at your age, your dad already had a child); or maybe it’s that even the most restless among us Gemini, desire some stability at one point or another; I chose my love for drawing and image making. I live between London and Florence, still trying to figure out which is “home” and which is “house”; Soon I will complete my MA in Illustration and Visual Media at London College of Communication and I will be able to brag about having two university degrees and an even weirder CV. Meanwhile I keep on drawing with pencil and with a graphic tablet, on working as a freelancer, on growing up professionally, knowing that I won’t ever master it all about illustration’s techniques and methodologies. Nevertheless, this is a fundamental aspect that should resonate with all of those that succeeded in turning their passion into a job: you always stumble upon new challenges and chances to get better, to collaborate and to learn. Today I can answer to that «what do you do» question in a simpler way: «I am an illustrator!» (… Who secretly is also an animator... but please don’t tell this to my Aquarius ascendant!)
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ensando a come visualizzare un concetto vasto come l’immaginazione, ho provato a consultare il dizionario, che la definisce come una particolare forma di pensiero, che agisce al di fuori di regole fisse o legami logici.
forme ispirate alle macchine progettate da Leonardo da Vinci, un grande esempio del felice connubio tra immaginazione sfrenata e razionalità lucida; macchine irrealizzabili, anacronistiche, eppure eccezionali nella loro estetica e vocazione pragmatica.
L’accostamento tra il pensiero e la mancanza di logica (un ossimoro probabilmente?) mi ha fatto venire in mente qualcosa, e la cover di questo numero di NIP mostra una scena in parte naturale e in parte meccanica: un’immagine che fa pensare alla lenta crescita delle piante, che come la creatività e l’immaginazione sono forze vitali, istintive e selvagge, ma che vanno anche costantemente e attentamente coltivate, che cambiano nel tempo e che hanno molti legami con tutto ciò che reputiamo razionale, pur mantenendo sempre una loro potenza creatrice. I fiori hanno
Ho voluto prendermi un po’ di tempo per realizzare la cover, facendola crescere pezzo dopo pezzo con le mie mani, con una modalità di esecuzione vicina a quella dell’orticoltore, o meglio dell’artigiano. L’artwork è infatti una linoleografia, una stampa di due blocchi intagliati di linoleum, uno per ogni colore, stampati uno sull’altro, a creare dunque qualcosa di nuovo e imprevedibile (riprova di questo sono i molti esperimenti più o meno fortunate che sono usciti dalla pressa da stampa): un nuovo colore dovuto alla sovrapposizione. Riflettere sul proprio modo di realizzare immagini è una sfida in cui, a un certo punto, si cimenta ogni illustratore, designer o creativo; avviene attraverso la pratica, ma anche attraverso la ricerca e l’avventura in territori sconosciuti. Per me è una parte fondamentale nella costruzione della mia voce personale, al di là del solo stile, come illustratore e come persona.
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making that is closer to that of a flower grower or an artisan. The artwork is indeed a print of two hand-carved carved linoleum blocks. One block for each colour, that create something new and unpredictable (evidence of this is the pile of more or less sucMatching thought with the lack of log- cessful experiments that came out of ic (do we have an oxymoron here?) the printing press): a new colour from let an image appear in my mind, and the overlay of two others. the cover of this issue of NIP shows a scene that’s partly natural and partly To reflect on your own image making mechanical: it is an image that talks process is a challenge that every illusabout the slow growth of plants. They, trator, designer or creative accepts, at just like creativity and imagination, are some point. It happens through pracvital forces, instinctive and wild; never- tice, but also through research and adtheless, they require steady and careful venture in unknown territories. For me attention. They change with time and it is a fundamental part in finding my have much in common with rational- personal voice, beyond visual style, as ity, yet they never cease to be a crea- an illustrator and a human being. tive power. These flowers’ shapes are inspired by the machines designed by Leornado da Vinci, a good example of what happens when imagination and rationality meet; infeasible, out of time machines, yet extraordinary in their aesthetics and pragmatic intention. hen thinking about how to visualise a broad concept like the imagination, I tried to refer to the dictionary, which defines it as a particular form of thought, that acts beyond fixed rules or logic links.
I desired to take some time to realise this cover, to have it grow piece by piece, with my own hands. A way of
Architettura che _ CI PIACE / non ci piace / Architecture _ WE LIKE / we don't like
Ispirato dalla Natura Stoas Vilentum, UniversitĂ di Scienze Applicate di Wageningen, Olanda Inspired by Nature Stoas Vilentum, University of Applied sciences in Wageningen, The Netherlands
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AUTHOR: Jan-Willem Noom
AUTORE: Jan-Willem Noom
(1985) is lecturer in Landscape and Garden design and Professional Didactics at Stoas Vilentum University of Applied sciences in Wageningen, The Netherlands. His passion is to connect people and find new approaches to inspire people with nature, ecological principles, and design. He is chairman of the ENTER1.
(1985) è docente di Progettazione del paesaggio e giardino e Didattica professionale presso lo Stoas Vilentum, Università di Scienze Applicate di Wageningen, Olanda. La sua passione è connettere le persone e trovare nuovi approcci per ispirarle con la natura, i principi ecologici e il design. È presidente del network ENTER1.
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Il design, gli spazi, i colori, l’ambiente e gli arredi dell’edificio offrono un ambiente di apprendimento e di lavoro in grado di supportare una delle funzioni chiave della “scuola”: le interazioni tra studenti, personale, collaboratori e visitatori, dando luogo ad un ambiente ed un edificio reattivi. Si tratta di un luogo di apprendimento e di lavoro che favorisce incontri inaspettati, che porta a un’interazione feconda. La natura è servita come importante fonte d’ispirazione per la progettazione dell’edificio. Ciò si riflette negli aspetti visivi, nei principi di sostenibilità e di organizzazione, insiti nel progetto. Un collegamento con l’ambiente esiste: le finestre si possono aprire consentendo di ascoltare gli uccelli e sentire il cambiamento delle stagioni. L’edificio è leggero, aperto e trasparente. Il design è impressionante, caratterizzato da una grande attenzione alla lavorazione e al dettaglio.
The design, spaces, color, surroundings, and décor of the building offer a learning and working environment that supports one of the key functions of “school”: interactions between students, staff, co-workers, and visitors from outside, resulting in a responsive environment and a responsive building. This is a learning and working environment that fosters unexpected encounters, one that leads to fruitful interaction. Nature served as an important source of inspiration for the building’s design. This is reflected in the visual aspects and the sustainability and organizational principles behind the design. A connection to the environment exists: windows can open allowing you to hear birds and feel the change in seasons. It is light, open, and transparent. The design is impressive with great attention to workmanship and detail.
toas è una parte di diversi ecosistemi. L’edificio Stoas funge da “hub” da dove e in cui sono organizzate attività; dove vengono create connessioni tra conoscenze e network; e dove i professionisti si riuniscono. L’edificio è e simboleggia la trasparenza, che offre chiari punti di vista verso tutte le direzioni. (Fig.A)
toas is a part of several ecosystems. The Stoas building acts as a “hub” from where and in which activities are organized; connections between knowledge and networks are made; and professionals gather to meet. The building is and symbolizes transparency, offering clear lines of sight in all directions. (Fig.A)
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Università di Stoas Villentum, l’esterno / Stoas Villentum university, the exterior
1 Rete Europea di apprendimento e insegnamento in agricoltura e sviluppo rurale 1 European Network of Learning and Teaching in Agriculture and Rural Development e-mail: j.noom@stoasvilentum.nl / webpage Stoas: www.stoasvilentum.nl / webpage ENTER: enter.educagri.fr 2015
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Rappresenta una base per gli studenti, i docenti, il personale e i visitatori. L’edificio è un punto d’incontro, un luogo che consente di sviluppare, condividere e co-creare ogni sorta di conoscenza. È un luogo in cui le persone si sentono a proprio agio, un parco giochi pubblico che offre opportunità per il tempo, il riposo, lo spazio, la distanza e la connessione, al fine di migliorare l’apprendimento e il progresso dei professionisti attuali e futuri. La scuola fisica è una comunità di apprendimento in se stessa e offre una pausa dalla vita di tutti i giorni, che sono entrambe caratteristiche essenziali per l’apprendimento. (Fig.B-C) I principi organizzativi basati sulla natura fanno parte delle convinzioni dello Stoas. Questa “Intelligenza ecologica” è stata incorporata nell’istruzione, nella 12
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It serves as the base for students, lecturers, staff, and visitors. The building is a meeting point, a place that allows you to develop, share, and co-create all manner of knowledge. It is a place where people feel comfortable, a public playground that provides opportunities for time, rest, space, distance, and connection in order to enhance the learning and development of current and future professionals. The physical school is a learning community in itself and offers a break from everyday life, both of which are essential features for learning. (Fig.B-C) Organizational principles from nature are part of the Stoas belief system. This “ecological Intelligence” has been incorporated into education, research, and the building itself.
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I tre piani e la scalinata / The three floors and the staircase
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I tre piani e la scalinata / The three floors and the staircase
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ricerca e nell’edificio stesso. I poli verdi che costituiscono la struttura portante sono gli “steli”. Gli steli forniscono resistenza, trasporto dell’acqua e crescita, sia in termini di lunghezza che di larghezza. Servono come metafora per le attività dello Stoas. I grandi spazi vuoti tra i tre piani e la scala formano il "cuore". Gli impianti sono stati integrati sapientemente. Utilizzando un sistema watermist al posto di compartimenti antincendio, elimina la necessità di muri o porte a battente sui diversi livelli. Questo contribuisce a creare apertura e massima libertà di movimento.
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Il principio de “la grotta e il nido” costituisce la base per la progettazione dell’edificio. Il nido è uno spazio funzionale e quindi razionale. I nidi sono utilizzati come laboratori e locali di lavoro. Nella grotta, uno spazio non razionale, gli abitanti si adattano allo spazio esistente. Il suo utilizzo è imprevedibile, il suo interno è vario. Il motivo scelto per l’esterno e per i pavimenti era una micorriza: una simbiosi tra le radici delle piante e dei funghi con un tessuto filamentoso. La micorriza agisce come un simbolo per i collegamenti intelligenti in una sinergia, corrisponde al concetto “il tutto è maggiore della somma delle sue parti”; un rapporto vantaggioso per tutti, una rete sotterranea intelligente. (fig.D-E) L’ispirazione del progetto, semplice e potente, è nata dallo stesso territorio (i terreni si trovano nella valle di un ex ruscello in un ambiente rurale), dalla posizione dell’edificio in cima a un cumulo e dalle funzioni previste per l’edificio. Gli utenti dell’edificio e del terreno riflettono il Genius Loci del luogo.
The green poles which form the supporting structure are the “stems”. Stems provide strength, water transport and growth, both in terms of length and breadth. They serve as a metaphor for the activities at Stoas. The large voids between the three floors and the staircase form the "heart". The installations have been integrated cleverly. Using a watermist system in lieu of fire compartments removes the need for walls or swinging doors on the different levels. This helps create openness and maximum freedom of movement. The principle of “the cave and the nest” forms the basis for the building’s design. The nest is a functional and therefore rational space. The nests are used as labs and workrooms. In the cave, a non-rational space, the inhabitants conform to an existing space. Its use is unpredictable, its interior is varied. The motif chosen for the exterior and floors was a mycorrhiza: a symbiosis between plant roots and fungi which is stringy in texture. The mycorrhiza acts as a symbol for the intelligent connections within a synergy, corresponding to the concept “the whole is greater than the sum of its parts”; a win-win relationship, an intelligent underground network. (fig.D-E) The inspiration for the simple, powerful design came from the setting (the grounds are located in the valley of a former stream in a rural environment), the building’s location on top of a mound, and the intended functions of the building. The users of the building and terrain reflect the Genius Loci of the place.
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Battistero di San Giovanni / Baptistery of San Giovanni
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AUTORE: Marco Castelli
(classe 1991) vive e lavora a Firenze. Dal 2013 è assistente fotografo per Alberto Conti (Agenzia Contrasto). I suoi lavori sono stati esposti e pubblicati a livello nazionale ed internazionale.
FlorentiNИe Clash
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mmaginate di trovare, in una scatola piena di ricordi di famiglia, qualcosa che attiri fortemente la vostra attenzione; qualcosa di datato, che profuma di tempo trascorso, qualcosa che oggi ha cambiato forma, colore, dimensione… talvolta anche utilizzo. L’interesse che si può sviluppare in certi casi per alcuni “reperti” è inconscio, sorprendente, o per lo meno questo è ciò che è capitato a me, quando tra le memorie di mia madre, ho scoperto una collezione di piccole cartoline ingiallite raffiguranti una affascinante Firenze degli anni trenta. Ripercorrendo a ritroso la storia di queste istantanee e di come mia madre ne fosse venuta in possesso, ho scoperto che il fratello di mia nonna, pellettiere, le inseriva nei portafogli che confezionava, come souvenir per i turisti dell’epoca. Da fotografo ed ancor più da fiorentino, questo ritrovamento ha innescato in me un forte desiderio di interazione attiva con la materia fotografica, materia che oserei definire quasi “ancestrale”. Così, come volessi generare nella mia mente un ricordo nuovo, mai esistito, ho intrapreso un processo di sovrapposizione tra esperienza reale ed immaginazione passata dei luoghi rappresentati e la fotografia mi ha permesso di far coesistere in una stessa immagine, due dimensioni spaziali e temporali distanti, la cui unione genera una visione soggettiva, onirica, propria di colui che si ferma a ricordare un luogo visitato, un’esperienza vissuta.
La serie di immagini emerse da questo progetto rappresenta dunque un tentativo di analisi spaziale che si muove parallelamente attraverso due dimensioni: quella temporale e quella visivo-percettiva. A seconda dell’inquadratura scelta vengono infatti a generarsi nuovi punti di vista dualistici o si rafforzano prospettive pre-esistenti: ciò che si riscontra sempre e comunque in ciascuno scatto è il rapporto identitario tra la dimensione storica di Firenze ed il suo contemporaneo. Tale sovrapposizione diacronica ci permette di osservare alcune evidenze dal punto di vista storico-architettonico, rappresentate ad esempio dall’integrità monumentale con cui la città si mostra, anche in seguito al secondo conflitto mondiale. Al contempo, questa visione dualistica delle immagini genera un paesaggio urbano etereo, una dimensione ai limiti del concreto, che rievoca in modo impersonale, un contatto diretto con la realtà osservabile e la realtà trascorsa: se è vero dunque che il mischiarsi di differenti piani prospettici suscita nell’osservatore un’evidente incongruenza percettiva, allo stesso modo l’occhio è comunque alla ricerca di qualcosa di riconoscibile, e lo trova talvolta in automobili dei giorni nostri, talaltra in passanti di più di ottanta anni fa, in un gioco continuo di intrecci di spazi, oggetti e vite, appartenenti a due secoli differenti.
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AUTHOR: MARCO CASTELLI
(born in 1991) lives and works in Florence. Since 2013 he is assistant photographer for Alberto Conti (Contrasto Agency). His work has been exhibited and published nationally and internationally.
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mmagine to find, in a box full of family memories, something that attracts your attention strongly; something dated, that smells of time spent, something that today has changed shape, color, size... sometimes also its use. The interest that, in some cases, can develop for some “findings” is unconscious, surprising, or at least this is what happened to me, when between the memories of my mother, I discovered a small collection of faded post cards depicting a fascinating Florence of the thirties. Recalling the history of these snapshots and how my mother took possession of them, I discovered that the brother of my grandmother, leather artisan, use to insert them in the wallets he made, as souvenirs for the tourists of that period. As a photographer and even more as a Florentine, this discovery triggered in me a strong desire for active interaction with the photographic matter, topic that I would pinpoint almost “ancestral”. So, as I wanted to create a new memory in my mind, never existed, I embarked on a process of overlap between real experience and past imagination of the places represented and photography allowed me to co-exist in the same image, two distant dimensional and temporal spaces, whose union generates a subjective vision, fantastic, typical of who stops to remember a visited place, a lived experience.
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The serie of images emerged from this project is therefore an attempt to spatial analysis that moves parallel through two dimensions: the temporal one and the visual-perceptive one. Depending on the choice of the frame, in fact, new dualistic viewpoints can be generated or pre-existing perspectives can reinforce: what can always be spotted in each shot is the identity relationship between the historical dimension of Florence and its contemporary. This diachronic overlap allows us to observe some evidences in terms of architectural history, represented for example by the monumental integrity with which the city discloses, even after the Second World War. At the same time, this dualistic vision of the images creates an ethereal urban landscape, a dimension to the limits of tangible, which evokes in an impersonal way, a direct contact with the observable reality and the passed reality: if it is true, then, that the mix of different perspective planes raises into the observer an obvious perceptive inconsistency, at the same way the eye is still looking for something recognizable, and sometimes it founds it in cars of today, some others in pedestrians of more than eighty years ago, in a continuous game of twists of spaces, objects and lives, belonging to two different centuries.
Loggia dei Lanzi e Uffizi / Loggia dei Lanzi and the Uffizi
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Campanile di Giotto / Giotto's Campanile
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Palermo, Maredolce-La Favara Coltivare luoghi di frontiera Palermo, Maredolce-La Favara Cultivating frontiers’ places
AUTORE: Luigi Latini
Luigi Latini is a landscape architect and professor of Landscape Architecture at the IUAV, University of Venice. In the field of research on landscape, he is chairman of the Scientific Committee of the Benetton's Studies and researches Foundation in Treviso. Since 2010 he is president of the Pietro Porcinai Association in Fiesole.
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l Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, un premio che possiede la singolarità di essere dedicato a un luogo e consegnato nelle mani di una figura che rappresenta la cura responsabile di questo luogo, si è spinto quest’anno nel sud dell’Italia, a Palermo, in un’isola che, al centro del Mediterraneo, punto d’incontro tra le diversità biologiche e culturali di tre continenti, esprime in modo straordinario sia il valore, sia le contraddizioni di un paesaggio cruciale per il passato
AUTORE: Luigi Latini
Luigi Latini è paesaggista e docente di Architettura del Paesaggio presso lo IUAV, Università di Venezia. Nel campo della ricerca sul paesaggio è presidente del Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso. Dal 2010 è presidente dell’Associazione Pietro Porcinai, Fiesole.
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he International Carlo Scarpa Prize for Gardens, an award that has the singularity of being dedicated to a place and handed over to a figure that is responsible for the care of this place, went this year in the south of Italy, Palermo, in an island in the middle of the Mediterranean, meeting point between biological and cultural diversity of three continents, it extraordinary expresses both the value and the contradictions of a critical landscape for the past and the future of European culture.
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Il compendio di Maredolce-La Favara dal Monte Grifone. L’area del bacino di epoca normanna, con al centro l’isola oggi coltivata con mandarineti, risulta compresa tra l’autostrada a Sud e i margini del quartiere Brancaccio verso Nord / The compendium of Maredolce-La Favara from Mount Grifone. The basin area of the Norman period, with a central island now cultivated with tangerines, is located between the highway to the South and the fringes of the Brancaccio district to the North.
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e il futuro della cultura europea. E sempre verso sud, questa volta rispetto alla città storica di Palermo, nel quartiere Brancaccio, la ricerca che ogni anno accompagna le diverse attività previste dal premio si è concentrata su un luogo inscindibile dal destino di quest’area periferica: Maredolce, chiamato anche La Favara, «un luogo che conserva la memoria e le testimonianze tangibili di ciò che è stato il paesaggio nella civiltà araba e normanna in Sicilia nel quadro più ampio di quel territorio che nella storia prenderà il nome di "Conca d’Oro", e che nel corso delle trasformazioni recenti ha visto offuscarsi, se non addirittura dissolversi, il proprio carattere distintivo»1.
And more to the south, this time compared to the historic city of Palermo, in the district Brancaccio, the research that annually accompanies the various activities provided for the award, focused on a single place, inseparable from the fate of this pheripheral area: Maredolce, also called La Favara, «a place that preserves the memory and the physical evidences of what was the landscape in the Arab civilization and in Norman Sicily in the bigger picture of that territory that through history will be called "Conca d’Oro", and that in recent transformations saw dim, if not dissolve, its distinctive character»1. The historic nature of this place, Arab and Norman at the time of its
1 Così recita nelle prime righe la motivazione del premio dalla quale prende spunto questo breve testo. Per approfondimenti sul tema si rimanda al volume Barbera G., Boschiero P. e Latini L. (a cura di), Maredolce - La Favara. Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, XXVI Edizione, Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso, 2015. 1 So declaim the first lines of the motivation of the prize that inspired this short text. For more on the topic, see the volume Barbera G., Boschiero P. and Latini L.(edited by), Maredolce - La Favara. International Carlo Scarpa Prize for Gardens, XXVI edition, Benetton Foundation, Treviso, 2015.
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La diga di contenimento del bacino di Maredolce con gli edifici del quartiere Brancaccio sullo sfondo / The dyke of containment of the Maredolce basin with the buildings of the district Brancaccio in the background
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Dettaglio della diga di contenimento del bacino con le abitazioni sovrastanti di inizio Novecento / Detail of the containment dyke of the basin with houses of the early Twentieth Century above
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La natura storica di questo luogo, arabo e normanno nel momento della sua fioritura, ci ricorda il valore di un paesaggio che deve la sua sostanza proprio a un incrocio di civiltà e a un travaso di conoscenze provenienti da culture diverse. La sua condizione fisica e geografica, al margine meridionale della città, nel punto in cui la montagna si spinge verso il mare e una sorgente - La Favara - irriga una pianura interamente coltivata, esprimono una analoga condizione di scambi tra diversità biologiche, agronomiche, scientifiche nel quadro paesaggistico. Questi temi emergono da ciò che resta del favoloso insediamento dei re normanni – il palazzo di Maredolce e i suoi giardini, nell’attuale drammatica condizione urbana di Brancaccio, ultima frontiera di una sistematica rapina del paesaggio palermitano. E in questa condizione di margine, attorno ai terreni ancora coltivati di Maredolce, il quartiere sembra ritrovare la percezione di una vita urbana che nella storia palermitana prende forma da una paritetica convivenza di
flowering, reminds us of the value of a landscape that owes its own substance to a crossroad of civilizations and to a transfer of knowledge originated from different cultures. Its physical and geographical characters, at the southern edge of the city, where the mountain goes down to the sea and a source - La Favara - irrigates an entirely cultivated plain, express a similar condition of exchanges between biological diversities, agronomic ones and scientific ones in the landscape context. These themes emerge from what remains of the fabulous settlement of the Norman kings, the Maredolce palace and its gardens, in the tragic urban condition of Brancaccio, final frontier of the systematic robbery of the landscape of Palermo. And in this state of margin, around the still cultivated lands of Maredolce, the district seems to find the perception of urban life that in the history of Palermo takes form from an equal coexistence of citizens and "gardens". Gardens,
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Il palazzo di Maredolce con la cappella palatina: facciata restaurata verso il quartiere e la porta di accesso alla corte interna / The Maredolce palace with the palatine chapel: the facade restored closed to the district and the gateway to the inner courtyard
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cittadini e "giardini". Giardini che nell’accezione siciliana, sono in primis luoghi dove l’uomo coltiva e raccoglie i frutti della terra2. Ai bordi dell’abitato di Brancaccio, Maredolce si presenta oggi come una vasta depressione del terreno, in passato un grande bacino con al centro un’isola di forma irregolare ancora ben riconoscibile. Il palazzo normanno – fino a tempi recenti sfigurato dalle costruzioni abusive che ne avevano occupato l’interno – appare tra il bordo di questa cavità e le schiere di case costruite nel tempo a ridosso del suo perimetro. Qui, in un ambito di circa venticinque ettari ora in buona parte acquisito dalla Regione Siciliana, si sviluppa un sistema complesso di manufatti, congegni idraulici e un vasto agrumeto. Segni che raccontano la condizione di grande spazio coltivato vissuta sin dalle sue origini. Oggetto di insediamenti romani, arabi
which in the Sicilian meaning, are primarily places where man cultivates and harvests the fruits of the earth2. At the edge of the village of Brancaccio, Maredolce is today a wide depression in the ground, in the past it was a large lagoon with a central island of irregular shape, still well recognizable. The Norman palace - until recently disfigured by illegal buildings that had occupied the inside - appear between the edge of this cavity and rows of houses built during the years closer and closer to its perimeter. Here, in an area of about twenty-five acres, now largely acquired by the Sicilian Region, a complex system of artefacts is developed, hydraulic devices and an ample citrus grove. Signs that tell the condition of a large cultivated space lived since its inception. Object of Roman, Arabs and Normans settlements, this place was garrison of the city for anyone arriving by sea or
e normanni, questo luogo fu presidio della città per chi giungeva per mare o terra dalla costa tirrenica e area di colture agricole di pregio, dopo che le acque di una sorgente, nate dal piede di una montagna, furono regolate e qui convogliate. Ha visto il disordine di sorgenti e paludi trasformarsi nell’ordine di campagne coltivate con tecniche di irrigazione che coniugano l’antica sapienza idraulica romana con le innovazioni portate dalla rivoluzione agricola araba. Giardini di palme e di agrumi, grandi colture di canna da zucchero, vigneti e oliveti, alimentati da un grande bacino, con un’isola al centro celebrata da poeti e viaggiatori, arabi e normanni. Maredolce, per lungo tempo dimenticata, oggi appare compreso tra alte cortine di edifici che ne alterano l’immagine, il bordo di un’autostrada e il muro di confine dell’agrumeto. Come
land of the Tyrrhenian coast and area of valuable crops, after that the waters of a spring, welling up from the foot of a mountain, were regulated and channelled here. This place saw the mess of springs and marshes converting into the order of cultivated fields with irrigation techniques that combine the ancient wisdom of Roman hydraulics with the innovations brought by the Arab agricultural revolution. Palms and citrus groves, large crops of sugar cane, vineyards and olive groves, powered by a large basin, with an island in the centre, celebrated by poets and travellers, Arabs and Normans. Maredolce, forgotten for a long time, today appears included between high curtains of buildings which alter its image, the edge of a highway and the boundary wall of the citrus grove. As the head of a wedge threading its way through the tangle of old and new roads,
2 Mi limito a citare, tra le numerose pubblicazioni dell’autore sul tema, il libro di Barbera G., Conca D’oro, Sellerio, Palermo, 2012. 2 I’ll just mention, among the numerous publications of the author on the subject, the book of G. Barbera, Conca d’Oro, Sellerio, Palermo, 2012.
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Dettaglio di un "risittaculo" appartenente al sistema di irrigazione tradizionale ancora presente nel mandarineto nell’isola di Maredolce / Detail of a "risittaculo" belonging to the traditional irrigation system still present in the tangerine field in the island of Maredolce
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I mandarineti che oggi occupano il fondo del bacino di Maredolce con il monte Grifone sullo sfondo / The tangerines which now occupy the bottom of the Maredolce basin with Mount Grifone in the background
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la testa di un cuneo che si fa spazio nel groviglio di vecchie e nuove strade, ai margini di una città che è arrivata a lambire i suoi confini, il luogo si presenta come l’avamposto di uno stretto ventaglio di paesaggi superstiti che, oltre il fiume Oreto, disegna verso sud, tra le pendici del monte Grifone, le strade di Ciaculli e la costa, un mosaico di paesaggi coltivati, residuo ultimo della Conca d’Oro. La Fondazione Benetton non é estranea al tema dei "paesaggi di frontiera" che attraversa, ad esempio, le giornate di studio e le recenti edizione del Premio Scarpa, dagli studi sui villaggi bosniaci di Osmače e Brežani - paesaggi del ritorno ai margini del territorio bosniaco devastato dalla guerra - all’orto di Skrudur nell’estremo nord di un fiordo islandese, dove un prete agli inizi del secolo scorso coltiva e insegna a coltivare a dispetto di una condizione ambientale spietatamente avversa3.
on the edge of a city that is touching lightly its borders, the place looks like the outpost of a narrow range of survivors landscapes survivors, which, across the river Oreto, draws to the south, between the slopes of Mount Grifone, the roads of Ciaculli and the coast, a mosaic of cultivated landscapes, last remaining of Conca d’Oro. The Benetton foundation is no stranger to the theme of "border landscapes" crossing, for example, study days and the recent edition of the Scarpa award, from the studies on the Bosnians villages of Osmače Brežani - landscapes of the return to the edge of Bosnian territory devastated by war - to the vegetable garden of Skrudur in the far north of an Icelandic fjord, where a priest, at the beginning of the last century, cultivated and taught how to cultivate in spite of brutally hostile environmental conditions3. In Palermo, Maredolce, long forgotten in topographical description and disappeared in the perception of the people,
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Mandarineti terrazzati nella borgata di Ciaculli, brano superstite del paesaggio storico della Conca d’Oro, contiguo al compendio di Maredolce / Terraced tangerines in the township of Ciaculli, surviving piece of the historical landscape of the Conca d'Oro, contiguous to the compendium of Maredolce
A Palermo, Maredolce, per molto tempo dimenticato nella descrizione topografica e scomparso nella percezione degli abitanti, esprime oggi il senso e il valore di un paesaggio di resistenza che emerge da un ambiente sociale condannato a un giudizio spietato: Ciaculli e Brancaccio, quartieri segnati da terribili storie legate alla mafia e le raffinerie di eroina, ma anche gli eroi del riscatto come don Pino Puglisi. Dopo gli anni della sua creazione, nelle forme che Ruggero II gli diede nella prima metà del XII secolo e una fase di trasformazioni nell’uso e nella proprietà,
expresses today the meaning and value of a landscape of resistance emerging from a social environment sentenced to a merciless judgement: Ciaculli and Brancaccio, neighbourhoods marked by terrible stories related to the mafia and heroin labs, but also to the heroes of redemption as Don Pino Puglisi. After the years of its creation, in the shapes that Ruggero II gave it in the first half of the XII century and a phase transformation in the use and ownership, accompanied by a progressive decrease of the waters originating from La Favara, this place survives in recent
3 Paesaggio e conflitto. Esperienze e luoghi di frontiera. Giornate internazionali di studio sul paesaggio, Treviso, 12-13 febbraio 2015. Sui villaggi bosniaci cfr Latini L., Cultivation in Lanscapes of War, in Topos, 88, 2014, pp. 44-48 e, sull’orto islandese, Boschiero P., Latini L. e Luciani D. (a cura di), Skrúður, Núpur. Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, xxiv edizione, Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso, 2013. 3 Landscape and conflict. Experiences and border places. International Days of Landscape Study, Treviso, 12-13 February 2015. On Bosnian villages. Latini L., Cultivation in Lanscapes of War, in Topos 88, 2014, pp. 44-48, and on the Icelandic vegetable garden, Boschiero P., Latini L. and Luciani D. (edited by) Skrúður, Núpur. International Carlo Scarpa Prize for Gardens, XXIV edition, Benetton Foundation, Treviso, 2013. 2015
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accompagnata da un progressivo diminuire delle acque originate dalla Favara, il luogo sopravvive in tempi recenti alle sue peggiori vicende, che hanno visto la manomissione dei suoi spazi superstiti e l’erosione del suo contesto vitale. Il bacino e l’isola divenuti terra coltivata si saldano, verso sud-est, con il mondo ancora presente degli agrumeti di disegno ottocentesco. Nell’arco della seconda metà del secolo XX, il luogo sarà risucchiato dall’espansione della città e avvolto nel silenzio. Nel palazzo e nel suo intorno, gli spazi e le testimonianze ancora presenti sono stati di recente oggetto di indagine storica e di restauro, di cure e attenzioni da parte di molti. Maredolce inizia a svelarsi agli occhi degli abitanti come un luogo nel quale riconoscere il passo della propria cultura, una ritrovata attitudine verso il paesaggio, una prospettiva di futuro. ‘Abd ar-Rahmān, poeta trapanese del xii secolo, descrive in modo straordinario gli spazi di Maredolce in un componimento poetico che si chiude con un pensiero non dissimile da quello di chi oggi, dietro alle quinte di un quartiere che per molto tempo ha negato l’esistenza di questo luogo, ne scopre l’esistenza: «ho veduto questo con i miei occhi / ma sentissi parlare di simili delizie crederei a un imbroglio»4.
times to its worst events, which have seen the tampering of its survivors spaces survivors and the erosion of its vital context. The basin and the island became cultivated land are welded, to the south-east, with the world still present the citrus groves of nineteenth century design. During the second half of the twentieth century, the place will be swallowed up by the expansion of the city and surrounded by silence. In the palace and its surroundings, the space and the evidences still present were recently the subject of historical research and restoration, care and attention on the part of many. Maredolce begins to reveal itself in people’s eyes as a place in which recognize the pace of its own culture, a new-found attitude towards landscape, a perspective of future. Abd ar-Rahmān, Trapani’s poet of the twelfth century, incredibly describes the spaces of Maredolce in a poem that ends with a thought similar to the one of who today, behind the scenes of a neighbourhood that for a long time has denied the existence of this place, discovers again its existence: «I saw this with my own eyes / but if I heard talk of such delights I would have thought it is a fraud»4.
4 Corrao F. M. (a cura di), Poeti arabi in Sicilia, Mesogea, Messina, 2005, p. 192-195 (traduzione di Mario Luzi). 4 Corrao F.M., Arab poets in Sicily, Mesogea, Messina, 2005, p. 192-195 (translation by Mario Luzi).
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Il Consorzio del Mandarino Tardino di Ciaculli, nella zona industriale di Brancaccio / The Consortium of the Mandarin of Tardino Ciaculli, in the industrial zone of Brancaccio
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Fontana del Nettuno / Fountain of Neptune
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Ugo La Pietra Ricercatore nelle arti visive e nella comunicazione, vive e lavora a Milano. Ha comunicato le sue ricerche attraverso molte mostre e ha curato diverse esposizioni in Italia e all’estero. Sostenitore di un design territoriale, carico di significati. Ha vinto il Compasso d’Oro nel 1979. Ugo La Pietra Researcher in visual arts and communication, lives and works in Milan. He announced his research through many exhibitions and has curated several exhibitions in Italy and abroad. Supporter of a territorial design full of meaning. Ugo won the Golden Compass in 1979. www.ugolapietra.com
«Spazio... al verde!» Intervista a Ugo La Pietra «Space... to the green!» Interview with Ugo La Pietra
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BY: Ludovica Marinaro
Architect and PhD candidate in Landscape Architecture at the University of Florence. She cures Nip’s Atelier in constant search of an encounter point between arts and movement.
A CURA DI: Ludovica Marinaro
Architetto e PhD candidate in Architettura del Paesaggio presso l’Università di Firenze, cura la sezione Atelier per NIPmagazine nella ricerca costante di un punto di incontro tra le arti e il movimento.
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ncontro Ugo La Pietra a La Spezia in occasione della sua mostra UGO LA PIETRA. Il verde in città 1980/2015, evento inaugurale della programmazione di Fotografia d’Avanguardia a cura di Jacopo Benassi che da quest’anno è una delle anime vivaci del festival spezzino BOSS 2015. Il lavoro che Ugo La Pietra presenta squisitamente per Boss Gallery, è una selezione curata di opere della personale Progetto Disequilibrante ospitata da novembre 2014 a febbraio 2015 in Triennale a Milano. Passeggiando per la sala del Centro Allende, si nota lo spirito fortemente provocatorio ed ironico del lavoro di La Pietra, segno distintivo peraltro della sua intera produzione sin dai tempi di Sistema Disequilibrante, La Casa telematica, presentato alla mostra Italy: the new domestic landscape al Museum of Modern Art di New York nel 1972. “L’artistoide”, come lo diverte definirsi, presenta con questa mostra una riflessione sul senso dell’uso del “verde” nelle nostre città oggi, pensieri che vengono poi raccolti nel suo ultimo pamphlet Il verde risolve. Dal giardino delle delizie al nostro verde quotidiano 1980-2004 edito da Correini Editore. #1 Come nasce Il verde risolve?
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Bosco in città / Wood in the city China su carta / Ink on paper 21x30 cm _ 2014
Questa ricerca è nata tra la fine degli anni Settanta e i primi degli anni Ottanta, quando ho cercato di capire in che modo la concettualità poteva sposarsi alla spettacolarità nel progetto del giardino. Ho trovato le
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met Ugo La Pietra in La Spezia on the occasion of his exhibition UGO LA PIETRA. The green city in 1980/2015, inaugural event of the programming of Avant-garde Photography by Jacopo Benassi which this year is one of the bright souls of the La Spezia’s festival BOSS 2015. The work that Ugo La Pietra offers exquisitely for Boss Gallery, is a wellfinished selection of works of the personnel Progetto Disequilibrante hosted from November 2014 to February 2015 at the Triennale in Milan. Walking through the hall of the Allende Center, we see the strongly provocative spirit and ironic work of La Pietra, however the hallmark of its entire production since the days of Sistema Disequilibrante, La Casa telematica presented the exhibition Italy: The New Domestic Landscape at the Museum of Modern Art in New York in 1972. “The artsy” as he likes to be called, works, with this exhibition, for a subtle reflection about the sense of the use of the Green in our cities nowadays, thoughts that then will be collected in his latest pamphlet Green solves. From the garden of delights to our daily green 1980-2004 published by Correini Editore #1 How Green solves was born? This research started between the late Seventies and early Eighties, when I tried to understand how the conceptuality could embrace the spectacular nature of garden design.
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radici di questo connubio guardando con attenzione al giardino del Settecento, ovvero guardando il modo in cui il verde veniva concepito: un repertorio di forma e materia viva che racchiudeva contemporaneamente in sé questi valori di concettualità e di spiritualità. In quest’ottica allora cambia la visione di progetto del verde ed anche una panchina non è più solo un luogo dove uno si siede e si riposa ma diventa un’osservatorio. Ragionare in questo modo è stata la base, la partenza per sviluppare tutta una serie di idee, di percorsi e naturalmente uno studio approfondito sul tema che ha visto negli anni ‘80 la realizzazione dei progetti per l'Orto Botanico di Milano, per quello di Palermo, per il parco urbano Ex manifattura Tabacchi a Bologna... fino ad arrivare ai giorni d’oggi, dove la mia ricerca è animata un po’ dalla preoccupazione perché questo “verde” sembra essere molto “frequentato” dal mondo dell’architettura. È cioè diventato un oggetto sempre più celebrato all’interno del progetto architettonico.
I found the roots of this blend looking carefully at the Eighteenth century’s garden, or looking at the way in which the green was conceived: a repertoire of form and living material that held simultaneously in itself these conceptual and spirituality values. In this light then, the vision of the landscape’ project changes and also a bench is no longer just a place where one sits and rests but becomes and observatory. Reasoning in this way was the basis, the starting point, for developing a whole range of ideas, pathways and of course a comprehensive study on the subject which saw in the ‘80s the implementation of projects for the Botanical Garden in Milan, Palermo, for the urban park Former tobacco factory in Bologna... until nowadays, where my research is animated by a bit of concern that this “green” seems to be very “busy” from the world of architecture, it became an object increasingly celebrated in the architectural project.
#2 Cosa vuole dire "celebrato"?
#2 What do you mean with "celebrated"?
Vuol dire che il verde prima rispetto all’architettura aveva una sua collocazione e una sua forte identità, il giardino rappresentava il luogo carico di mistero, di significati profondi, di spiritualità, c’era il genius loci che lo governava, c’era il tema dell’hortus conclusus, rappresentava proprio un modo per affrontare, per guardare con attenzione un luogo. Oggi invece questo “verde” viene “usato” nel senso brutto della parola, per nascondere qualche difetto di progetto oppure per dare senso ad un luogo cui mancano certi valori. Oggi il verde viene abusato quando si fa qualsiasi tipo di iniziativa: dallo stand fieristico, che deve essere risolto attraverso un po’ di fiori, alle fioriere lungo una via. Insomma sempre nella dimensione di materiale capace di camuffare, di nascondere più o meno bene degli errori di vari pseudo artisti (architetti,
It means that, first, green had its place and its strong identity beside architecture, the garden was the place full of mystery, of deep meanings, of spirituality, was the genius loci that governed it, there was the issue of hortus conclusus, it represented just a way to deal with a place, to watch it carefully. Today instead this "green" is “used” in the bad sense of the word, that is to hide some defect in design or to make sense of a place where there are no certain values. Nowadays Green is abused when doing any kind of initiative: starting from the stand of a trade show that should be resolved through a bit ‘of flowers, to the flower boxes along a street. So always in the dimension of material capable of camouflage, capable of hiding, more or less well, mistakes of various pseudo artists (architects, planners, surveyors...).
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urbanisti, geometri...). Mentre io credo che potrebbe avere ancora un suo valore, un suo grande significato, però bisognerebbe liberarlo da questi condizionamenti, cioè bisognerebbe capire che tra l’architettura e la natura c’è una separazione forte, dovuta a due situazioni che hanno due vite diverse. La natura cresce e si trasforma nel tempo e l’architettura no. Bisognerebbe
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Bosco verticale / Vertical forest Col tempo ci viene fuori anche una dépendance / An annexe emerges over time Fotomontaggio e disegno / Photomontageand drawing 50x60 cm _ 2014
While I think it could still have its value, its great significance, but it should be released from these constraints, that is to say, it should be clear that between architecture and nature, there is a strong separation, due to two situations that have two different lives.
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avere un atteggiamento opposto ad esempio a quello che aveva Le Corbusier che faceva «un’architettura sui trampoli», come la chiamava Giò Ponti, proprio per staccarsi dalla Natura. Il bisogno di avere invece un rapporto con la natura ed il fatto di sentirla come amica ci appartiene come cultura mediterranea, come diceva giustamente Ponti, però far diventare addirittura la Natura uno strumento talmente dominato da servire per abbellire, nascondere, dare senso all’architettura, lo considero una certa forzatura.
Nature grows and changes over time and architecture does not. We should have an opposite attitude, for example the one who Le Corbusier had while making «architecture on stilts», as Gio Ponti used to call it, just to break away from Nature. Instead the need to have a relationship with nature and the fact of feeling it as a friend, belongs to us as Mediterranean culture, as Ponti rightly said, however, to make even of Nature such a dominated tool, to serve to beautify, to hide, to give meaning to architecture, I consider it a certain stretching.
#3 Prima ha parlato di preoccupazione rispetto all’uso del verde in città. Anche io penso
#3 Before you talked about concern over the use of green in the city. I also think that these widespread practices
che queste pratiche diffuse d’uso del verde producano nel cittadino un certo cortocircuito concettuale rispetto al senso originario del connubio tra natura, urbanità e architettura di cui parlava poc’anzi. Come si reagisce a questa preoccupazione? Innanzi tutto recuperando la nostra capacità di cittadini di osservare!
produce in the citizens a sort of conceptual short circuit beside the original sense of the combination of nature, architecture and urbanity you were talking about earlier. How can we react to this concern? First regaining our ability as citizens to observe! We must recover the critical capacity that we are up to, coming out on 2015
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the streets and participating in the transformation of public space every day.
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Give us an example.
Dobbiamo esercitare la nostra capacità critica, uscendo per strada e partecipando alla trasformazione dello spazio pubblico quotidianamente, passando dal concetto dell’uso dello spazio a quello dell’abitare i luoghi. Ci faccia un esempio. Le opere in mostra ed il libro sviluppano appunto questa idea offrendosi come punti di riflessione critici e un po’ ironici di come ad esempio questa natura venga sempre usata malamente. Pensa soltanto a tutte le isole pedonali: quando si toglie il traffico dalla strada non si riesce veramente a pensare che questo spazio finalmente possa diventare disponibile. La disponibilità, per come la intendo io, a livello urbano vuol dire poter intervenire con progetti che vanno dalla cultura allo spettacolo,
The works in the exhibition and the book, develop precisely this idea, offering critical points of reflection, a little bit ironic, of how, for example, this nature is always used badly. Just think of all the pedestrian areas: when removing traffic from the streets, it’s impossible to think that this space will eventually become available. Availability, for as I understand it, at the urban level means to intervene with projects ranging from culture to entertainment, from information to amusement. Yes a lot of things could be done that instead are not done, ending up leaving everything in the hands of private traders that through this pseudo green, (vases, flower, pots, etc.) appropriate of the street making somehow a robbery operation. So the pedestrian island de facto, is never designed as a place in wich taking something and put another more interesting, different. It is a classic case where the green becomes a tool of appropriation, of use, of conquest of the space snatched from the community. #4 Which could be the cultural inputs necessary to operate this change of paradigm for Green design and its concept? A new discipline would be necessary, the one that once was called Urban furniture, in the sense of the theme of urban forniture as intended by Ponti in the ‘50s, when the Faculty of Architecture introduced the discipline of Interior Architecture that was the one that allowed to build a domestic space able to express, to tell, to give identity to the domestic dimension, in a society that was evolving. If we transfer all this reasoning to urban space, it would have the meaning of a new discipline where
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dall’informazione al divertimento. Si potrebbero fare moltissime cose che invece non si fanno, e si finisce per lasciare tutto in mano ai privati, ai commercianti che attraverso questo pseudo verde (vasi, fioriere, tappeti, siepi artificiali, ecc.) si appropriano della strada facendo in qualche modo un’operazione di rapina. Quindi l’isola pedonale di fatto non è mai pensata come luogo in cui togliere qualcosa e metterne un’altra più interessante, diversa. È un classico caso in cui il verde diviene proprio strumento basso di appropriazione, di uso, di conquista dello spazio che viene sottratto alla comunità. #4 Quali potrebbero essere gli input culturali necessari ad operare questo cambio di paradigma per la concezione e il progetto del verde? Servirebbe una disciplina nuova, quella che un tempo si chiamava Arredo Urbano, nel senso del tema dell’arredamento dello spazio urbano inteso così come Ponti negli anni ‘50 intendeva il progetto degli interni, quando nella Facoltà di Architettura aveva introdotto la disciplina di Architettura degli interni, che era quella che permetteva di costruire uno spazio domestico capace di esprimere, di raccontare, di dare identità, di valorizzare la dimensione domestica in una società che stava evolvendo. Se trasferissimo questo tipo di ragionamento allo spazio urbano, avrebbe il senso di una disciplina nuova, dove forse è necessario il contributo dell’antropologo, del sociologo oltre di chi si occupa di spazio e di contenuto in termini creativi e formali. Parlo di una disciplina che comprenda la complessità delle cose e tenti di imboccare una via condivisa di interpretazione.
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virtually, perhaps, the contribution of the anthropologist is needed and also the one of the sociologist over anyone involved in urban space, in terms of creative and formal contents. A discipline that includes the complexity of things and try to take in a shared interpretation. #5 This is somehow what the discipline of Landscape is doing... where would you begin? We should use different tools than the traditional ones. For example, I did a movie in the 70’s, where I showed how to regain possession of the urban space, through mental paths. Because it is not always possible to transform physically, intervening etc., and not always there is the need to transform the space to possess it. I always do this example to my students, of their “home”: the house of your parents, where probably you have lived in until recently. Here’s you haven’t made that house, someone other made it! All that is in it, your parents did it, but during all this time you appropriated of these things, you made them yours and you gave them also value and meaning. The Indians were well on their territory: they weren’t altering it, but they possessed it. They made holes under the moccasins of their children, «so with your foot you touch the land!» But for them it was not just soil, it was the dust of the bones of their ancestors. They gave all the things a meaning and that meaning was the way to own the place. This, that we can call “mental process” is therefore a fantastic exercise if done by people who live in the city, because it allows them to completely transform the relationship they have with the city and find that there are as many cities as people who inhabits them.
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Ugo La Pietra: Il verde risolve! Dal giardino delle delizie al nostro verde quotidiano / Ugo La Pietra: Green works it out! From the garden of delight to our daily greenery 1980-2014
#5 Questo è un po’ quello che sta facendo la disciplina del Paesaggio... lei da che parte inizierebbe? Dovremmo usare degli strumenti diversi rispetto alla tradizione. Per esempio io ho fatto un film negli anni ‘70 dove mostravo come ci si poteva riappropriare dello spazio urbano, attraverso dei percorsi mentali. Perché non sempre è possibile trasformare fisicamente, intervenire ecc., e non è sempre nemmeno necessario trasformare lo spazio per possederlo. Io ai miei studenti faccio sempre l’esempio di “casa tua”: la casa dei tuoi, dove probabilmente hai vissuto fino a poco tempo fa. Ecco quella casa lì non l’hai fatta tu, l’hanno fatta gli altri. Tutto quello che c’è dentro l’hanno fatto i tuoi genitori, però durante tutto questo
tempo ti sei appropriata di queste cose, le hai fatte tue e gli hai dato anche valore e significato. I pellerossa facevano così nel loro territorio: non lo modificavano, ma lo possedevano. Loro facevano dei buchi sotto i mocassini dei propri figli: «così con il piede tu tocchi la terra!» Però per loro non si trattava di semplice terra, erano le polveri delle ossa dei loro antenati. Loro davano a tutte le cose un significato e questo significato rappresentava il modo di possedere il luogo. Questo che possiamo chiamare “percorso mentale” è quindi un esercizio fantastico se fatto fare alle persone che vivono in città, perché gli permette di trasformare completamente il rapporto che hanno con la città e scoprire che ci sono tante città quante sono le persone che le vivono.
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Casa di Dante / Dante's House
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Bargello
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AUTORI:
AUTHORS: Jordi Bellmunt
Architect and landscape specialist. He has been teaching at the Department of Urban and Regional Planning at the ETSAB of Barcelona and at the Master in Landscape Architecture at the UPC. He is Director of the Center for Research and Projects of Landscape within the UPC, has promoted and curated the European Biennal of Landscape Architecture of Barcelona.
Agata Buscemi
Architect, she works professionally with Jordi Bellmunt's atelier B2B in Barcelona. Since 2003 she is professor of postgraduate master's of Landscape Architecture and in the university master in Landscaping at the ETSAB. She is director of the series Monograficos del Paisaje (by Asflor) and collaborates with different magazines.
Jordi Bellmunt
Architetto e specialista del paesaggio. È docente presso il Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione Territoriale della ETSAB di Barcellona e presso il Master in Architettura del Paesaggio della UPC, in cui è direttore del Centro di Ricerca e Progetti di Paesaggio. Ha promosso e curato la Biennale Europea di Architettura del Paesaggio di Barcellona.
Agata Buscemi
Architetto, dal 2002 collabora con Jordi Bellmunt nell’atelier B2B. Dal 2003 è professore del master post laurea di Architettura del Paesaggio e del master universitario di Paesaggismo di Barcellona presso l’ETSAB. È direttore della collana Monograficos del Paisaje (ed. Asflor) e collabora con diverse riviste.
L’atelier B2B Jordi Bellmunt i Agata Buscemi Arquitectes S.L.P. fondato da Jordi Bellmunt nel 1994, offre principalmente progetti di paesaggio e disegno urbano. Lo staff multiculturale con professionisti del campo dell’architettura, della progettazione urbana, del paesaggio e del design, offre un’ampia esperienza multidisciplinare, fortemente relazionata con l’insegnamento accademico e la ricerca. L’atelier lavora attualmente in Spagna, Italia, Francia e Marocco. L’atelier B2B Jordi Bellmunt i Agata B2B Jordi Bellmunt i Agata Buscemi B2B JordiArquitectes Bellmunt i S.L.P. Agata fondato Buscemi Arquitectes Buscemi Arquitectes Atelier Atelier founded founded by by Jordi Jordi Bellmunt in 1994, principally offers landscape and urban design projects. The da Jordi Bellmunt nel 1994, offre prin- Bellmunt in 1994, principally offers international staff, composed by professional architects, urban planners, landcipalmente progetti paesaggio e di-a wide landscape and urban design projects. scape architects and di designers, offers multidisciplinary experience, strongly segno Lo staff multiculturale staff, composed by related urbano. to academic teaching and research.The Theinternational atelier currently operates in Spain, con professionisti del campo dell’archiprofessional architects, urban planItaly, France and Morocco. tettura, della progettazione urbana, del ners, landscape architects and designpaesaggio e del design, offre un’ampia ers, offers a wide multidisciplinary exesperienza multidisciplinare, forte- perience, strongly related to academic mente relazionata con l’insegnamento teaching and research. The atelier curaccademico e la ricerca. L’atelier lavora rently operates in Spain, Italy, France attualmente in Spagna, Italia, Francia e and Morocco. Marocco.
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n occasione dell’Open Session on Landscape 2015 numero 6, tenutasi a Firenze lo scorso mese, nel bellissimo Palazzo Vegni, abbiamo avuto il piacere di presentare gli ultimi progetti realizzati nel nostro studio. Fra questi, uno di dimensioni ridotte, ha suscitato con nostro stupore l’interesse del pubblico. Ma vorremmo fare un passo indietro e descrivere prima il progetto. Nell’ambito degli obiettivi dell’Agenda 21, il Comune di Barcellona ha
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uring the Open Session on Landscape 2015 number 6, held in Florence last month, in the beautiful Palazzo Vegni, we had the pleasure to present the latest projects carried out in our atelier. Among these, a small one, to our astonishment aroused the interest of the public. But we would like to step back and first describe the project. As part of the objectives of Agenda 21, the Barcelona City Council scheduled 2015
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programmato negli ultimi anni, una serie di azioni strategiche volte a migliorare la mobilità pedonale dalla città verso le periferie. In questa linea di azione il comune ha promosso l’inserimento di ascensori, scale e rampe mobili, laddove la pronunciata topografia (e certamente una progettazione poco ortodossa), ha dato luogo ad aree urbanizzate con una ridotta mobilità pedonale ed uno spazio pubblico frammentato e povero nella sua articolazione.
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Stato previo della Via Cuba / Prior state of Carrer Cuba
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Stato previo / Prior state
Il Comune di Badalona, ricadente all’interno dell’area metropolitana di Barcellona, ha così aderito al programma, prevedendo l’inserimento di due rampe mobili che, superando un dislivello di 8 metri, su una lunghezza di appena quaranta, avrebbero migliorato la mobilità dei residenti e degli abitanti del quartiere. L’asse urbano, intensamente frequentato, si trasforma così in uno spazio urbano denso, integrando gli elementi tecnologici di mobilità agli spazi di
in recent years, a number of strategic actions to improve pedestrian mobility from the city to the suburbs. In this line of action the municipality has promoted the addition of elevators, escalators and ramps, where the pronounced topography (and certainly an unorthodox design), has given rise to urban areas with reduced mobility and a fragmented pedestrian public space, poor in its articulation. The City of Badalona, falling within the metropolitan area of Barcelona, has thus joined the program, providing for the inclusion of two ramps that, over a drop of 8 meters, over a length of just forty, would improve the mobility of residents and inhabitants of the area. The urban axis, intensely frequented, turns into a dense urban space, integrating technological elements of mobility to the relational spaces of the residences as to small green areas.
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The meaning of public space is reinterpreted as a place of social cohesion in a context with the great problems of vandalism and diversity of the neighbourhood community that, unexpectedly, manifest unanimously the desire to share and take care of a space which they recognize as their own. The arrangement of the mobile ramps, strongly conditioned by the small size of the road, therefore, aims to the formalization of a unitary space as a whole, in a balanced alternation of paths with greater or lower intensity of flows. The section of the pedestrian axis is generated from the geometric clarity of the stairs that distribute the accesses to residences and the existing commercial activities for the residents. The system of small terraces, which
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relazione delle residenze e alle piccole aree verdi. Si reinterpreta il significato dello spazio pubblico come luogo di coesione sociale, in un contesto con grandi problemi di vandalismo e diversità delle comunità di quartiere che, inaspettatamente, manifestano unanimemente la volontà di condividere e prendersi cura di uno spazio che riconoscono come proprio. La disposizione delle rampe mobili, fortemente condizionata dalle dimensioni ridotte della strada, mira quindi alla formalizzazione di uno spazio unitario nel suo insieme, in un equilibrato alternarsi di percorsi con maggiore o minore intensità di flussi. La sezione dell’asse pedonale si genera a partire dalla chiarezza geometrica delle scale che distribuiscono gli accessi alle residenze ed alle attività commerciali esistenti per i residenti. Il sistema di piccoli terrazzamenti, che mitigano il pronunciato dislivello, viene arricchito dalla messa a dimora di alberi di Jacaranda mimosifolia e Pyrus calleryana, che creano zone d’ombra in corrispondenza delle piccole zone di sosta, facendo da contrappunto agli imponenti edifici adiacenti ed introducendo un micropaesaggio in uno spazio duro e disarmonico. Il disegno dei pochi elementi di dettaglio dello spazio pubblico, quali l’illuminazione, il corrimano in acciaio inossidabile e le panchine in legno trattato, apparentemente in secondo piano, acquistano importanza, poiché elementi di comfort e qualità urbana, contribuendo così alla definizione di un nuovo paesaggio “addomesticato”, in cui le persone si riappropriano della strada, recuperandone il valore sociale a favore di una città più umana. Ecco che, la descrizione di questo piccolo progetto si conclude, e dal pubblico fiorentino sorge spontanea una domanda: «Com’è stato possibile realizzare il disegno del sistema di rampe che si snodano in parallelo alle rampe mobili, nonostante la pendenza non risponda ai requisiti dettati dalla normativa per l’eliminazione delle barriere architettoniche?» 52
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mitigate the pronounced difference in height, is enhanced by the planting of trees Jacaranda mimosifolia and Pyrus calleryana, creating shadows at the small parking areas, making a counterpoint to the massive neighbouring buildings and introducing a micro-landscape in an hard and disharmonious space. The design of the few detailed elements of the public space, such as lighting, stainless steel handrails and benches in treated wood, apparently in the background, are gaining in importance as elements of urban comfort and quality, thus contributing to the definition of a new “tamed” landscape, in which people re-appropriate the street, recovering the social value in favour of a more human city. Here the description of this little project ends and from the Florentine public this question spontaneously arises: «How was it possible to realize the design of a system of ramps that run parallel to the mobile ramps, although the slope does not meet the requirements dictated by the legislation for the elimination of architectural barriers?» Just then, after a moment of bewilderment, we suddenly remembered the first meeting held at the headquarters of AMB (Metropolitan Area of Barcelona), during which we were
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Vista aerea / Aerial view
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Vista assonometrica / Axonometric view
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In quel preciso istante, dopo un attimo di smarrimento, ricordammo improvvisamente le prime riunioni tenutesi presso la sede dell’AMB (Area Metropolitana di Barcellona), durante le quali sollecitavamo in quanto progettisti, il nulla osta dell’amministrazione per il disegno delle rampe in difformità alla norma. Ci eravamo dimenticati di quanto ci aveva preoccupato! Immediatamente dopo, raccontavamo dell’insistenza con cui fin dall’inizio, ci premurammo ad informare tutti i tecnici del Comune che da fabbrica la normativa specifica delle rampe mobili “sconsiglia” (giuridicamente equivalente a “proibisce”) l’uso da parte di
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demanding, as designers, clearance of the administration for the design of ramps not compliant with legal standards. We had forgotten how much it worried us! Immediately after, we were recounting about the insistence with which, from the very beginning, we informed all the technicians of the municipality that the specific legislation of the mobile ramps “not recommends” (legally equivalent to “not allowed”) the use by persons with disabilities. For this reason, alongside the ramps we had placed appropriate signs that didn’t work, considered that since the inauguration of the work, the mayor began his speech by
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Vista dei piccoli terrazzamenti / View of the small terraces
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Vista frontale della Via Cuba / Front view of Carrer Cuba
persone diversamente abili; per questo motivo accanto alle rampe avevamo fatto collocare un’apposita segnaletica che non servì a nulla, visto che all’inaugurazione dell’opera, il Sindaco cominciò il suo discorso dicendo: «Abitanti di Badalona, finalmente la nostra gente sulla sedia a rotelle potrà muoversi meglio grazie alle rampe mobili!», ed il primo a salire sulle rampe mobili fu un signore sulla sedia a rotelle che davanti a tutti noi increduli, attraversava indenne le due rampe fino a raggiungere la sommità della via. Il pubblico di Firenze scoppiò a ridere. Ecco, alla luce delle riflessioni fatte all’Open Session, crediamo di poter E
saying: «Inhabitants of Badalona, finally our people in wheelchairs will be able to move better thanks to the mobile ramps!», and the first to go up with the ramps was a man in his wheelchair in front of all of us in disbelief, he proceeded unscathed the two mobile ramps up to scale the top of the street. The audience of Florence broke out laughing. Here, in the light of the reflections made at the Open Session, we believe we can say that the project of Carrer Cuba, albeit modest, has the value of having resolved the potential conflict arising from the blind application of the law, by giving precedence to the voice of the people based on the “necessity” of using a space of minimum size but intensely lived. Unusual, the response of the administration that has been able to discern and measure goals and conflict,
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dire che il progetto della Via Cuba, seppur modesto, ha il valore di aver risolto le potenziali conflittualità che nascono dalla cieca applicazione delle normative, facendo prevalere la voce della gente basata sulla “necessità” di usufruire di uno spazio, di dimensioni minime ma intensamente vissuto. Inconsueta, la risposta dell’amministrazione che ha saputo discernere e misurare obiettivi e conflittualità, accettando di ascoltare la comunità che vive il quartiere ed è al centro della scena, rendendo possibile il disegno di rampe pedonali con una pendenza che a tratti supera il 20%. Il buon senso a volte, prevale.
agreeing to listen to the community that lives the district and is at the center of the attention, making possible the design of pedestrian ramps with a slope that sometimes exceed the 20%. Common sense sometimes prevails.
DATI TECNICI: Rampe mobili in Carrer Cuba, Badalona Progettisti: B2B, Jordi Bellmunt e Agata Buscemi Arquitectes. Cliente: Area metropolitana di Barcellona, insieme al Comune di Badalona. Collaboratori: Ada Sanchez, Claudia Landi Collaboratori esterni: CVC Ingenieros (disegno e calcolo impianti, calcolo struttura) Anno redazione del progetto: 2012-2013 Anno esecuzione: 2014 TECHNICAL DATA: Ramps in Carrer Cuba, Badalona Designers: B2B, Jordi Bellmunt and Agata Buscemi Arquitectes. Client: Metropolitan area of Barcelona, with the City of Badalona. Collaborators: Ada Sanchez, Claudia Landi External collaborators: CVC Ingenieros (design and calculation systems, structure calculations) Year of preparation of the project: 2012 - 2013 Year of execution: 2014 MATERIALI: Rampe mobili: Thyssenkrupp Pavimenti: Breinco Illuminazione: Roura, modello Suiza (disegno Jordi Bellmunt i Xavier Andreu, S.L.P) Arredo urbano: Jordi Bellmunt e Agata Buscemi MATERIALS: Mobile Ramps: Thyssenkrupp Floor: Breinco Lighting: Roura, Suiza model (design Jordi Bellmunt Xavier Andreu, SLP) Street forniture: Jordi Bellmunt and Agata Buscemi
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Vista notturna / Nocturnal view
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Veduta da Piazzale Michelangelo / View from Piazzale Michelangelo
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Corte interna di Palazzo Vecchio / Internal courtyard of Palazzo Vecchio
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Piazza Santa Maria Novella
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Palazzo Vecchio
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Stad zonder hart o SenzaMemoria Stad zonder hart or WithoutMemory
BY: Ludovica Marinaro
Architect and PhD candidate in Landscape Architecture at the University of Florence. She cures Nip’s Atelier in constant search of an encounter point between arts and movement.
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hantom city potrebbe proprio far parte di quelle città invisibili che compongono “La città e la memoria”, per descriverla con Calvino, anche perché non è una collezione di foto ma proprio una photonovel. Questa fantomatica città sembra aver perso la sua memoria in un baluginare denso di nuove architetture e spazi pubblici alla cui generosa estensione, forse pensata per permettere alla gente di fermarsi, la città ha risposto scorbutica, con fare sbrigativo e un po’ distratto nel suo incessante movimento, nello sfrecciare veloce delle sue biciclette. La sfida dell’architettura d’autore che aveva la presunzione di dare vita a un “nuovo centro” appare attraverso l’obiettivo dell'autrice, in tutta la sua evidenza, un’occasione bruciata. Oggi questi ampi spazi pubblici e le vie del centro sembrano arresi, appiattiti sotto le ruote e i passi veloci di outsiders ed insiders che non si fermano. Le nuove architetture, apparentemente immobili, pulsano una luce e un suono di macchina, ti osservano da superfici imperscrutabili.
A CURA DI: Ludovica Marinaro
Architetto e PhD candidate in Architettura del Paesaggio presso l’Università di Firenze, cura la sezione Atelier per NIPmagazine nella ricerca costante di un punto di incontro tra le arti e il movimento.
Questo è il rumore di fondo, costante e subito ormai nell’indifferenza di una città che costringe al movimento continuo merci e persone e che richiede necessariamente di farlo velocemente. È il rumore di una città che ha perso la sua memoria, una città imposta fatta di spazi dal confezionamento ermetico, in cui gli stessi cittadini faticano a innescare relazioni, a ritrovare un luogo che possano dire proprio. La photo novel di Kim Bouvy racconta la repentina trasformazione di Rotterdam che in seguito alla sua quasi completa distruzione durante la Seconda Guerra Mondiale ed alla crescita sbalorditiva del porto, ha visto una radicale trasformazione della sua immagine, in un pullulare di architetture autoreferenziali fino ad assumere oggi una dimensione disumana. «When I come closer, I see that the city is composed of isolated clusters of buildings. They seem like islands in an archipelago out of which the water has
retreated». Il giudizio di Bouvy è tagliente, come il profilo bianco dell’Erasmusbrug, ma diversamente da questo, che è una stoccata scintillante sulla Nieuwe Maas, esso arriva come un colpo inferto nell’ombra di una retrovia, con uno strattone. L’intenzione è proprio quella di destare subito dal torpore domenicale in cui oggi viene digerita la città. Un torpore da cui paradossalmente ci si scuote fermandosi, senza distogliere lo sguardo anzi, mettendo a fuoco, poiché nel turbinio continuo dei flussi urbani, in cui sembra che nessuno abbia tempo da perdere, è la città stessa a perdere il tempo, ad uscire dal tempo. Viene tutta a galla senza offrire più il minimo riparo dall’incertezza del domani, vuota, metallica, muta, senza odore, senza rifugi, in cui «non è possibile trovare un posto confortevole per sedersi, eccetto il suolo di cemento». Bouvy tenta di mettere a fuoco la città fantasma, «From this dusky non-space with no
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BOOK Phantom City a photo novel 2010 (production 2007-2009) publishing date: January 22, 2010
graphic design by Hansje van Halem published by Pels & Kemper publishers 12 x 19 cm, 276 pages
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hantom city might just be part of those invisible cities that make up “The city and the memory”, to describe it with Calvino, also because it is not just a collection of photos but a photo-novel. This mysterious city seems to have lost its memory in a dense glimmer of new architectures and public spaces whose generous extension, perhaps designed to allow people to stop, the city responded surly, dismissively and a little bit distracted in its unceasing movement, in the fast rip of its bicycles. The challenge of the architecture of author who had the presumption to give birth to a “new centre” appears through the lens of the author in all its evidence of a burned opportunity. Today these large public spaces and the streets of the city centre seem to give up, flattened under the wheels and the quick steps of outsiders and insiders who do not stop. The new architectures, seemingly motionless, are 64
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type: SangBlue Sans black and white photography print and lithography by Calff&Meischke, Amsterdam
pulsing a light and a machine sound, they observe you from inscrutable surfaces. This is the background noise, constant and withstanded by now in the indifference of a city that forces to the continuous movement of goods and people and which necessarily requires to do it quickly. It is the noise of a city that has lost its memory, a dictated city made of spaces of hermetic packaging, in which the citizens themselves are struggling to spark relationships, to find a place that they can tell as their own. The photo novel of Kim Bouvy novel tells the sudden transformation of Rotterdam , that after its almost complete destruction during the Second World War and the staggering growth of the port, has seen a radical transformation of its image, in a swarm of selfreferenced architectures, until taking nowadays a inhuman dimension. «When I come closer, I see that the city is composed of
isolated clusters of buildings. They seem like islands in an archipelago out of which the water has retreated». The judgment of Bouvy is sharp, as the white outline of the Erasmusbrug, but unlike this, which is a glistening thrust on Nieuwe Maas, it comes as a blow in the shadow of a backwater, with a jerk. The intention is precisely to awaken from the Sunday’s listlessness in which today the city is digested. A torpor from which paradoxically you shake off by stopping, without looking away indeed, focusing, as in the continuous swirl of urban streams, where it seems that no one has time to waste, is the city itself that is losing time, coming out from time. It all emerges without offering more basic shelter from the uncertainty of tomorrow, empty, metallic, silent, odorless, without shelters, where “you can not find a comfortable place to sit, except the cement floor”.
KIM BOUVY
KIM BOUVY
FOTOGRAFIA / PAESAGGI URBANI / LINGUA / SCRITTURA Come artista, mi sto per lo più concentrando sulla contemporanea “condizione urbana". Nel mio lavoro, esploro il modo in cui il nostro ambiente urbano viene percepito e apprezzato e come questo si rifletta nella nostra cultura visiva, architettura e urbanistica. Tengo in considerazione sia l’immagine e sia il testo perché facciano parte di un linguaggio comune, cercando di descrivere gli spazi che abitiamo. www.kimbouvy.com
PHOTOGRAPHY/ URBAN LANDSCAPES/ LANGUAGE/ WRITING/ CURATOR As an artist, I am mostly focusing on the contemporary ‘Urban Condition’. In my work, I explore the way our urban surroundings are perceived and valued and how that affect our visual culture, architecture and urbanism. I regard both image and text to be part of a common language, trying to describe the spaces we inhabit.
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night or day, I shall attempt to constantly reconstruct my city out of ever less clearly defined memories» rievocandola dalla memoria attraverso un bianco e nero che mette in risalto la desolazione del suo antico cuore oggi estraneo a se stesso. Tutto si svolge tra l’Oude Haven e la Witte de Withstraat come si può scoprire dalla mappa nell’epilogo che fa del libro uno strumento per l’esplorazione diretta. Nitidi ritratti e visioni oniriche si susseguono in un racconto il cui ritmo cadenzato si intuisce subito dal taglio del libro, bicromo, elegante che rispecchia con fasce alternate la suddivisione delle litografie in 10 capitoli. Brevi riflessioni e dialoghi in olandese e inglese aprono tutti i capitoli delle fasce bianche per accompagnarci nella deriva urbana che Bouvy 66
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compie in prima persona. Gli scatti che compongono le fasce nere invece a tutta pagina, non hanno bisogno né di commenti né di didascalie, sono rovine, zone grigie, punti ciechi e buchi neri. Nel momento di totale smarrimento improvvisamente un altro personaggio buca la nebbia, la protagonista non è più sola. «You cannot stay here» esordisce la donna, poi spiega cosa è successo, racconta il suo sgomento di fronte ad una città che non riconosce più, una città che ha cessato di essere costruita dai suoi cittadini, quegli onesti commercianti e lavoratori industriosi di un tempo, una città «as pure as the skin of a newborn baby, with an immaculate appearance I glass, steel and concrete that would
never age. On clear day, they rained down from the sky in their numbers. That’s how it all began. We were simply not prepared». La gente non aveva capito ed ora si trova di fronte a uno spazio che sembra non tollerare più la sua presenza. La critica che questa giovane fotografa e urban landscaper muove al modo in cui sono state gestite le sorti della città negli ultimi 60 anni, fa emergere in modo schietto tutta l’incoerenza delle operazioni rispetto ai desideri degli abitanti, denuncia l’inconsistenza di queste scocche lucenti «from the outside, it seemed invulnerable, but hidden behind its many towers the city was as hollowand desolate as
Bouvy try to focus the ghost town, «From this dusky nonspace with no night or day, I shall attempt to constantly reconstruct my city out of ever less clearly defined memories» re-invoking it from memory through a black and white which emphasizes the desolation of its ancient heart, today stranger to itself. Everything takes place between the Oude Haven and the Witte de Withstraat as you can find out from the map in the epilogue which makes of the book a tool for direct exploration. Crisp portraits and dreamlike visions follow one another in a narrative whose rhythmic is realized at once by the cut of the book, two clour printed, stylish, that mirrors with alternating bands the subdivision of the lithographs in 10 chapters. Brief reflections
and dialogues in Dutch and English open all chapters of the white bands, to accompany us in the urban drift that Bouvy does personally.The photographs that make up the black bars at full-page instead, do not need nor comments or captions, are ruins, gray areas, blind spots and black holes. In the moment of total loss suddenly another character punch holes in the fog, the protagonist is no longer alone. «You cannot stay here», begins the woman, then explains what happened, tells her dismay in front of a city that she no longer recognizes, a city that has ceased to be built by its citizens, those honest traders and industrious workers of a time, a city «as pure as the skin of a newborn baby, with an immaculate appearance I
glass, steel and concrete that would never age. On clear day, they rained down from the sky in their numbers. That’s how it all began. We were simply not prepared». People did not understand and is now in front of a space that seems to not tolerate their presence. The criticism that this young photographer and urban landscaper moves to the way the fate of the city has been managed over the last 60 years, reveals bluntly all the incoherence of the operations compared to the wishes of the people, denouncing the inconsistency of these bright bodies «from the outside, it seemed invulnerable, but hidden behind its many towers the city was as hollowand desolate as a film set». And he does it using the same language of the media
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a film set». E lo fa usando lo stesso linguaggio dei media e del mercato del real estate: immagini. Una pioggia di immagini: dalle riprese istantanee del quotidiano alla produzione di nuove realtà, fatte di continue sovrascritture, di collage da giornali e cartoline. Phantom city denuncia una città in guerra con se stessa. «In order to continue fulfilling its self-created idealized image of everlasting, unimpeachable perfection, it is ultimately doomed to destroy itself». Per Bouvy, come per i situazionisti, portare il proprio corpo nello spazio e provare a viverne consapevolemnte le conseguenze non è un operazione banale ma è anzi
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l’unica strada possibile oggi per riconciliarsi con la città ed uscire dall’individualismo automatico: dissolvendosi in essa. Restare, fermarsi, osservare, sono azioni che diventano la porta di accesso per un nuovo mondo. Solo così si riescono a scavare passaggi sotterranei che bucano la patina dell’apparenza, per reinventare luoghi dove potersi finalmente incontrare, dove potersi parlare, dove dare tempo al tempo per costruire insieme una nuova memoria collettiva, che lasci traccia. L’importanza di una memoria condivisa, che trovi nel tessuto urbano, nei suoi scorci, nei palazzi e nei nomi stessi delle sue strade le tracce tangibili
della sua esistenza, è uno dei temi centrali della riflessione di Bouvy in quest’opera come anche in altre ricerche. Riacquisire piena consapevolezza del ruolo attivo della memoria, della potenza evocativa della forma urbana in cui si è depositata ed evoluta nel tempo è a mio avviso il primo passo per partecipare veramente al processo collettivo di produzione di un’immagine quanto più condivisa della città e del suo rinnovato senso. «Here, we will be able to build a new future, founded on our own memories and shared stories. The city is in us, we are the city!».
and the real estate market: images. A shower of images: from shooting snapshots of daily to the production of new realities, made of continuous overwriting, collage from newspapers and postcards. Phantom city complaint a city at war with itself. «In order to contiue fulfilling its selfcreated idealized image of everlasting, unimpeachable perfection, it is ultimately doomed to destroy itself». For Bouvy, as the Situationists, position your body in space and try to consciously live out the consequences is not a trivial operation, but in fact the only way possible today to reconcile with the city and exit from automatic individualism:
dissolving in it .To stay, to stop,to look, are actions that become the gateway to a new world. Just so underground passages can be digged, piercing the veneer of appearance, to reinvent places where you can finally meet, where to be able to talk, where to give time to time to build together a new collective memory, which leaves a trace. The importance of a shared memory, which you can find in the urban fabric, in its views, in the palaces and in the very names of its streets the tangible traces of its existence, is one of the central themes of the reflection of Bouvy, in this work as well in other researches.
Regain full awareness of the active role of memory, of the evocative power of the urban form in which it was filed and evolved over time, is in my opinion the first step to be genuinely involved in the collective production of a more shared image of the city and of its renewed sense. «Here, we will be able to build a new future, founded on our own memories and shared stories. The city is in us, we are the city!».
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