NIP #14 Maggio 2013

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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #14 Maggio/Giugno2013


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Network in Progress Iscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisa n° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress” ISSN 2281-1176

Editing and graphics: Valerio Massaro


Editoriale O

ggi si parla tanto di valori persi, di gente sempre più rassegnata, senza speranza; assuefatta da una vita senza sapore, senza futuro. Non abbiamo cure né farmaci certi per questa “malaria urbana” della nostra epoca.

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na delle conseguenze più preoccupanti di questa condizione umana senza sogni e speranze per il futuro, è il diffondersi, con una velocità di propagazione impressionante, di un’acuta patologia sociale prodotta dalla stretta dipendenza dell’individuo dal consumo di Effimero.

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ubblicità ed esperti di marketing hanno creato e riprodotto attraverso tutti i mezzi di comunicazione di massa oggi disponibili, una vera e propria “pedagogia dell’effimero”, fondata sul principio attivo di dare valore a ciò che piace e che, all’apparenza, sembra bello.

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i tratta di un vero e proprio “modello culturale di massa”, il cui unico obiettivo, è quello della massimizzazione del profitto attraverso la creazione di “bisogni effimeri”, modificando il sistema di apprendimento e la gerarchia dei valori etici dell’in-

dividuo per educarlo ad una cultura della realtà virtuale che sostituisce progressivamente la realtà del presente e la memoria del passato.

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’obiettivo centrale di questa incessante campagna di comunicazione, che può portare il genere umano a scelte irrazionali e pericolose perfino della propria esistenza, è quello di una “metamorfosi” radicale della capacità creativa e di immaginazione delle comunità urbane e metropolitane, laddove nel 2045 (secondo le previsioni dell’ONU) vivrà circa


il 75% della popolazione mondiale.

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ttualmente siamo circondati da scenari frastornanti, frenetici, eccessivi ed eccitanti che non aiutano a coltivare l’immaginazione e la fantasia, soprattutto tra i giovani.

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nche il gioco tra i bambini è sperimentato, nell’educazione primaria attuale, a formare una fabbrica di “vincenti” che, con la loro “bravura” schiacciano tutti gli altri nel processo di competizione. L’immaginazione, per essere coltivata, ha bisogno di un’educazione al dialogo con la realtà e con i vari soggetti attori. Il talento, di cui un giovane è dotato più di altri, (e che è legittimo valorizzare e coltivare) ha bisogno di nutrirsi costantemente del confronto con le molteplici sfaccettature della real-

tà, ha bisogno di “immaginare”, come ci suggerisce il Prof.Keaton nel celebre film “L’attimo fuggente” (1989) che: “..dobbiamo sempre guardare alle cose da angolazioni diverse.”

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’immaginazione ha bisogno di verificare costantemente che molte cose ci appaiono diverse (ad esempio, sulla rete internet) da come esse sono nella realtà; ed anche che le persone e le loro relazioni possono avere una “percezione ingannevole”, come ci avvertiva, molto tempo fa, Luigi Pirandello in “Così è, se vi pare.”

L

’immaginazione è il substrato su cui si esercita la creatività dell’essere umano, come ci ha ricordato alcuni giorni fa a Parigi, uno dei più grandi paesaggisti europei, Bernard Lassus, affermando che “luce, colore, visibilità sono gli elementi di una

percezione originale e nel contempo classica del paesaggio; esse sorreggono l’eterogeneità di un mondo unitario, dove le cose appaiono ma possono essere altre da quelle che sono, grazie alla creatività progettuale.”

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a Mente umana non può accogliere tutte le informazioni e i modelli comunicativi propagati dalla Rete; ha bisogno di selezionare ciò che è reale da ciò che è solo “realtà virtuale”, la cui sistematica riproduzione produce un annientamento della nostra immaginazione e, conseguentemente, nel medio-lungo periodo, la nostra capacità creativa di trasformare la realtà esistente per produrne una nuova, all’altezza dei bisogni effettivi della Comunità in cui viviamo.


Contents

#14 Rubriche

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Architettura che non ci piace p Chiesa del 2000 Tor Tre Teste, Roma di Paola Pavoni

Frames

Doppel

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p

di Barbara Metselaar Berthold

Focus on

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Paesaggi urbani in movimento

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Intervista

p p

di Lorenzo Vallerini

Le visioni urbane di Ogino Knauss Intervista con Lorenzo Tripodi a cura di Valerio Massaro Il progetto

41

p

Benvenuti a Casal Di Principe

Riqualificazione sociale ed urbana attraverso il recupero di beni confiscati alla camorra di Annalaura Ciampi

55

p

CreativitĂ Urbana

Avventure creative al Festival del Verde e del Paesaggio a Roma a cura della redazione di NIP Le recensioni

_il libro_ Urban Landscapes Environmental Networks and Quality of Life di Gabriele Paolinelli

65

p


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Architettura che ci piace/ non ci piace

Chiesa del 2000 Tor Tre Teste Roma di Paola Pavoni foto di Paola Pavoni

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e vele di una nave che trasportano i fedeli, la luce che indirettamente pervade gli spazi, un solo raggio di sole che entra direttamente e illumina un crocifisso del XVII secolo in un solo periodo dell’anno; il simbolismo estremamente minimal ma efficace che caratterizza ogni segno trasformato in materia. Un solo colore, bianco, simbolo di purezza, firma riconoscibile del progettista, ma anche esaltazione della tecnologia che permette alla struttura in cemento di auto pulirsi e ridurre la presenza di agenti inquinanti, attraverso reazioni chimiche attivate dalla luce solare. Queste alcune delle caratteristiche che hanno reso la Chiesa del 2000, progettata da Richard Meier, un’opera d’arte e di architettura realizzata per attivare il processo di riqualificazione nel quartiere di Tor Tre Teste, nella prima periferia romana.

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iò che disturba è il modo in cui l’opera s’inserisce nell’area urbana e come si rapporta all’esterno. Un muro, altrettanto bianco, che circonda l’edificio interrompe il cono visivo che dalla strada centrale del quartiere dirige verso l’entrata della chiesa; il piazzale intorno ad essa, immenso spazio rivestito in travertino riporta un cartello con il divieto di giocare, di portare animali, di pattinare, che non si addicono ad uno spazio di accoglienza come il sagrato. La stessa forma dell’edificio, nonostante il richiamo, forse casuale, all’andamento curvilineo degli edifici che la circondano, sembra calata dall’alto come un oggetto atto a riempire un vuoto a cui era necessario dare un significato. è un peccato che nel progettare un’opera così simbolica e tecnologica si sia pensato di proteggerla dal contesto socio culturale in cui si inseriva piuttosto che renderla vivibile come spazio pubblico di quartiere a trecentosessanta gradi. 7


Barbara Metselaar Berthold 2010: Award for the photographic artwork from the Senate for Cultural Affairs of Berlin, 2000-2008: Realization of different documentary films supported by the German film promotion fund, 1998-1999: Lectures in Photography, Hochschule f체r Film und Fernsehen Babelsberg, from 1991: Camera work for several TV stations, 1989-90: Work in a video studio, Documentaries and Video Essays, 1984: Departure from East Germany, moving to West-Berlin, 1976-84: Freelance photographer in East-Berlin,1976: Diploma for Photography, Hochschule f체r Grafik und Buchkunst Leipzig, 1969-71: Study of Social psychology, Friedrich-Schiller-Universit채t Jena, 1951: born in Saxony, East Germany


Doppel foto e testi di Barbara Metselaar Berthold

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ährend des Studiums wurde ich ausgebildet in der Tradition der sozialdokumenta-rischen Fotografie, wie die meisten Fotografen in Ostdeutschland. Später benutzten wir unsere Bilder, um eine Gegenöffentlichkeit zu der staatlichen Propaganda zu etablieren. Das konnte nicht offiziell gedruckt oder gezeigt werden, aber wir hatten eigene Netzwerke und Ausstellungen in Privaträumen. m Westen hatten Fotos kaum noch BeweisCharakter, und ich suchte eine neue, eher filmische Orientierung. Inzwischen vertraue ich nicht mehr dem Einzelbild, sondern versuche, durch die Zuordnung mehrerer Bilder einen erweiterten, ambivalenten Raum zu schaffen, der sich der individuellen Deutung öffnet.

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urante i miei studi sono stata educata alla tradizione della fotografia di documentazione sociale, come la maggior parte dei fotografi della Germania orientale. Più tardi, abbiamo utilizzato le nostre foto per creare un contro-pubblico alla propaganda di stato; le foto non potevano essere ufficialmente stampate o mostrate, ma avevamo proprie reti e mostre in luoghi privati. e foto in occidente avevano più difficilmente un carattere documentaristico, perchè con la presenza della pubblicità la fotografia aveva perso il suo carattere di evidenza, comunque quando arrivai nella Germania Ovest mi misi alla ricerca di un nuovo orientamento più cinematografico nella fotografia. Dunque decisi di non riporre troppa fiducia nel fotogramma stesso, cercando di creare tramite l’accostamento di più immagini un esteso, spazio ambivalente che si aprisse all’interpretazione individuale.

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Barbara Metselaar Berthold Š



Lorenzo Vallerini, Docente di Architettura del Paesaggio presso il Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università di Firenze dal 1990, insegna al Corso di Laurea Magistrale in Architettura del Paesaggio e al Dottorato di Ricerca in Progettazione Paesistica della stessa Facoltà. Ha svolto ricerche nazionali ed internazionali su tematiche inerenti la pianificazione e la progettazione dal paesaggio alle varie scale. I principali temi di ricerca che lo vedono impegnato riguardano la pianificazione e gestione delle aree protette, la sostenibilità urbana, la compatibilità paesaggistica di infrastrutture, architetture e manufatti, la lotta alla desertificazione in Africa. Una intensa attività professionale per oltre un trentennio, lo vede impegnato in qualità di collaboratore o di coordinatore per la redazione di piani e studi inerenti l’analisi, la pianificazione e la gestione del paesaggio e come progettista di parchi urbani e spazi pubblici, di recupero di aree degradate, di aree verdi ad uso privato. È autore di oltre settanta pubblicazioni, tra cui otto libri, sulle tematiche dell’Architettura del Paesaggio alle varie scale di intervento.


Paesaggi urbani in * movimento di Lorenzo Vallerini

*Il presente testo pubblicato è la prima stesura dell’intervento tenuto da Lorenzo Vallerini alla International Conference “The Role of Open Spaces in the Transformation of Urban Landscape” organizzata dal Laboratorio di Ricerca sulle Città, Istituto Studi Superiori, Università di Bologna e dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, con il contributo del MEDDE French Ministry of Ecology, Sustainable Development and Energy, e tenutosi il 12-14 Marzo 2013 a Berlino. La versione definitiva verrà pubblicata sugli Atti della Conferenza a cura del Laboratorio di Ricerca sulle Città, Università di Bologna.

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Sistema infrastrutture area fiorentina (in verde-il sistema autostradale; in viola scuro- la tav; in viola chiaro- il sistema ferroviario; in rosso- il sistema delle tramvie)

Nella pagina successiva: L’area urbana di Casellina e il nuovo sistema del verde

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Trasformazione urbana e mobilità

La realizzazione di “infrastrutture di trasporto in ambito urbano”, in molti casi, non produce solo una “rottura” degli assetti urbani, ma può essere anche e soprattutto (e ovviamente non sempre) “occasione” di riqualificazione urbana e degli spazi aperti connessi a tali infrastrutture, di produzione di una nuova circolazione-movimento urbano. In Europa (Barcellona, Parigi, Bordeaux, Strasburgo, ecc.) e anche in Italia (Torino, Milano, Mestre, Firenze, ecc.), molte trasformazioni urbane hanno seguito, ed anche in positivo, lo sviluppo di infrastrutture coinvolgendo ampi strati di popolazione e il loro senso di identità dei luoghi “attraversati”; ovviamente sempre con difficoltà e contrasti; ma quando mai non si sono alzate polemiche accese a fronte di trasformazioni urbane “forti”?

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Passare dalle parole ai fatti non è però facile, e soprattutto nella realizzazione di un’infrastruttura, perché per sua natura è sempre e comunque intrusiva, modificatrice profonda di assetti paesaggistici e territoriali precostituiti. È il tema della trasformazione portato alle sue estreme

conseguenze, perché, nel caso delle infrastrutture di trasporto, è di carattere “lineare”, attraversa luoghi, immagini e sistemi tra loro spesso molto diversi e diversificati, con identità forti sia naturali che artificiali, con organizzazioni sociali spesso molto consolidate. L’infrastruttura invade-occupa spazio e può “ucciderlo”, ma un progetto di paesaggio dell’infrastruttura, ovvero di integrazione tra produzione di “ingegneria” e produzione di “architettura-paesaggio”, libera altri spazi, riqualificandoli e, soprattutto, libera flussi di movimento, di contatto, di vita. Una delle principali caratteristiche dei “sistemi di mobilità”, ovvero del rapporto tra mobilità e spazio urbano, è rappresentata dall’occupazione di spazio urbano da parte delle diverse infrastrutture; queste, infatti, in quanto forti motori della trasformazione urbana, indirizzano le modalità di sviluppo urbano, influiscono sulle capacità di movimento della gente accelerandone i flussi di spostamento (velocità alta) o riconducendoli alla dimensione umana (velocità lenta), determinano una maggiore o minore occupazione di spazio pubblico incidendo fortemente sulla qualità della vita degli abitanti.


L’occupazione “fisica” di spazio di un’auto con una persona è di 60 mq di suolo contro 1 mq occupato da una persona a piedi e 3 mq da una bicicletta; mentre un autobus a pieno carico consuma 3,1 mq, una metropolitana o tramvia a pieno carico ne consuma 1,5 mq 1.

bilità, quest’ultima può diventare un “corpo estraneo” al contesto che attraversa e che, comunque, cambia con la sua presenza; e questo vale non solo per la “velocità alta” (strade e superstrade, metropolitane veloci), ma anche per la “velocità lenta” (aree pedonalizzate, piste ciclabili, tramvie, busvie, ecc.).

Di casi di “buone pratiche” in molti Questi semplici dati quantitativi già paesi europei e non solo, sono comundi per sé danno l’idea di come l’immaque piene le riviste specialistiche e i ligine urbana, dello spazio pubblico posbri, molte realizzate, moltissime ancora sa radicalmente cambiare a fronte di sulla carta. scelte infrastrutturali diversificate e di come possa influire sulla qualità della Il caso dell’area fiorentina rientra vita dei cittadini, ma una scelta piutancora e al momento e per buona partosto che un’altra, pur te in quest’ultima camantenendo la sua inLa realizzazione tegoria; le premesse ci trinseca validità, oppure di “infrastrutture sono tutte per allentare i suoi vantaggi, necessala morsa del traffico veidi trasporto in riamente non comporta colare che soffoca la cituna inversione di tenambito urbano tà, per cambiare la città denza sulla qualità dello può essere anche migliorandola attraverso spazio pubblico. non solo la riduzione del Infatti, se la stessa opzione strategica di mobilità non è accompagnata da specifici progetti dello spazio aperto che rimodellano la trasformazione indotta dalla nuova infrastruttura per la mo-

e soprattutto “occasione” di riqualificazione urbana e degli spazi aperti connessi a tali infrastrutture

traffico e un sistema a rete efficiente, ma anche attraverso il ridisegno degli spazi aperti urbani e periurbani che dovrà accompagnare la sua trasformazione.

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Il nuovo centro di Scandicci

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Il caso dell’area fiorentina: velocità alta e velocità lenta

Il nuovo sistema della mobilità per l’area metropolitana fiorentina si basa sostanzialmente su quattro importanti pilastri: -la realizzazione della Terza Corsia dell’autostrada A1 che circonda da sud a nord la città, anche con importanti funzioni di tangenziale urbana e di connessione con altre autostrade;

La principale caratteristica di questo sistema è l’interconnessione tra i quattro livelli di mobilità tramite nuovi poli di aggregazione, parcheggi scambiatori, stazioni di interscambio, collegamenti stradali e ferroviari, ecc. e, di fatto, tutta la rete è “affogata” all’interno della conurbazione fiorentina articolata in aree densamente abitate, aree di frangia urbana e aree rurali con insediamenti sparsi.

L’immagine urbana, dello spazio pubblico può radicalmente cambiare a fronte di scelte infrastrutturali diversificate

- la realizzazione della TAV - Treni ad Alta Velocità, che, sotto attraversando Firenze con una nuova grande stazione progettata da Norman Foster, libererà parte delle esistenti linee ferroviarie di superficie che saranno disponibili per il trasporto metropolitano di superficie; - la realizzazione del sistema della Tramvia che dalle aree insediativoproduttive della conurbazione fiorentina porta verso il centro e lo attraversa (ad esclusione del nucleo storico più antico) come una grande X con quattro linee; 16

realizzato che ha obbligato a spostare e rivedere il sistema di trasporto pubblico e, soprattutto a ridimensionare il traffico veicolare privato.

- la Pedonalizzazione del centro storico di Firenze, un intervento oramai

Una volta completato il sistema permetterà di passare dai tracciati a “velocità alta” a zone e percorsi a “velocità lenta”, entrambi indispensabili per garantire facilità di spostamento all’interno dell’area metropolitana e, si spera, una migliore qualità della vita in una città più a misura d’uomo. Il tema della “velocità alta” come occasione di riqualificazione urbana riguarda l’Autostrada A1 con la Terza Corsia, mentre quello della “velocità lenta” come interconnessione dei sistemi infrastrutturali e spazi aperti urbani riguarda la Tramvia e come


La tramvia a Firenze vista da Folon

riappropriazione degli spazi pubblici tramite modalità di riprogettazione urbana e di nuove funzioni riguarda il nuovo centro di Scandicci e la pedonalizzazione del Centro Storico di Firenze.

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Terza corsia A1 - Velocità alta interconnessa con quella lenta, nuovi spazi aperti e verdi urbani L’abitato di Casellina costituisce continuazione e parte integrante del centro urbano di Scandicci che, a sua volta, si salda al più vasto sistema metropolitano dell’area fiorentina. Uno degli elementi che caratterizza il centro di Casellina è l’Autostrada A1 che taglia il sistema urbano attraversandolo e che, tramite il tessuto urbano, si connette alla Superstrada Firenze-Pisa-Livorno. Le opere per la Terza Corsia dell’A1 sbloccano una situazione da tempo “compromessa” sia dal carico di traffico che da una serie di strutture incongrue, innestando interventi di ripensamento e riprogettazione dello stesso

corpo autostradale e delle altre infrastrutture connesse che si sono interrelate ad altri interventi infrastrutturali come la nuova Tramvia Linea 1 Scandicci-Stazione Centrale S.M.Novella di Firenze ( è previsto anche un prolungamento sino a Casellina) o le nuove strade di collegamento locale tra Scandicci e Firenze e a nuove previsioni di sviluppo come un nuovo centro commerciale. La Proposta di Assetto Urbano dell’area di Casellina e i relativi progetti delle singole parti riguardano non solo le sistemazioni e gli arredi a verde a corredo della nuova viabilità stradale ed autostradale, ma anche e soprattutto la “ricucitura” del sistema degli spazi aperti esistenti, quelli previsti dagli strumenti urbanistici e quelli risultanti dalle dismissioni di alcune parti dell’attuale spazio autostradale e dal nuovo assetto autostradale. I lavori sono iniziati nel 2005 e attualmente, mentre le opere connesse al nastro stradale sono quasi completa-

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Layout funzionale della linea 3 alla Fortezza da Basso

te, i cantieri delle opere paesaggistiche procedono con difficoltà2 .

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Nuovo centro di Scandicci e Tramvia – Linea T1 –Velocità lenta, ridisegno, riconfigurazione, rinascita del centro urbano, occasione per il nuovo centro urbano e tramvia

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L’idea della realizzazione di un nuovo centro per la città di Scandicci (circa 15.000 mq) ha origine nel Programma Direttore elaborato per il Comune dall’Architetto londinese Richard Rogers nel 2003. In questo ampio studio urbanistico sono individuate le debolezze e le opportunità che la trama del territorio comunale può offrire alla città ed ai suoi abitanti. Tra queste, la Tramvia con la sua prima linea già realizzata, la T1, assume un grande valore: la localizzazione del Nuovo Centro Civico venne quindi individuata nella vasta area oggi non urbanizzata di fronte al Palazzo Comunale in Piazzale della Resistenza, in corrispondenza della fermata principale, prevedendo il mix delle funzioni di cultura, commercio, ristoro, attrezzature collettive, residenza e direzionale.

Il Progetto per il Nuovo Centro Civico sempre redatto da Rogers, definisce l’assetto urbanistico di dettaglio dell’area. Una nuova Piazza (4.000 mq) avrà il compito fondamentale di aggregazione: lo spazio pubblico si arricchisce di edifici di buon valore architettonico, con l’elemento distintivo e caratterizzante della stazione della Tramvia. Sarà un luogo adatto per concerti, fiere, mercati, spettacoli o manifestazioni pubbliche in genere, completamente pedonale ed arricchito con il verde delle nuove alberature, immediatamente raggiungibile dalla tramvia e dunque in diretta connessione con Firenze. I lavori sono iniziati a settembre del 2010 e attualmente il cantiere è in fase avanzata e procede regolarmente5 .

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Tramvia- Firenze Linee 2 e 3 - Velocità lenta, liberazione di nuovi spazi aperti pubblici e progetto dei nuovi spazi urbani La tramvia è uno dei grandi progetti destinati a contribuire alla soluzio-


ne dei problemi legati alla mobilità e all’inquinamento atmosferico dell’area fiorentina, ad oggi letteralmente soffocata da un traffico veicolare privato molto pesante su un territorio di ridotte dimensioni. Il Sistema Tramviario Fiorentino attualmente è costituito da 3 Linee: •Linea 1 - Firenze S.M.N. – Scandicci (in esercizio dal 2010) •Linea 2 - Peretola – Piazza dell’Unità d’Italia (lavori avviati nel 2011) •Linea 3.1- Careggi – Firenze S.M.N. (progetto esecutivo approvato nel 2011, i lavori partiranno nel 2013) Inoltre è in via di definizione la progettazione relativa alle estensioni del sistema tramviario verso la zona SudEst della città rappresentata dalla Linea 3.2 che con due diramazioni arriverà sino a due centri limitrofi a Firenze. Infine il Piano Strutturale contiene ulteriori previsioni sullo sviluppo futuro del Sistema Tramviario. Il progetto nel suo complesso si colloca all’interno di una scelta strategica dell’Amministrazione fiorentina che prevede una sostanziale riduzione del-

la mobilità privata fornendo in alternativa un sistema integrato di qualità. Il successo “di pubblico” della prima linea operativa la T1 (il numero dei passeggeri quotidiani è cresciuto di oltre il 50% e si è passati da meno di 25.000 passeggeri giornalieri nel 2010 ad oltre 38.000 nel 2012, con una media mensile stabile di 1.100.000 passeggeri), conferma la bontà della scelta strategica, ma alla realizzazione dei binari e delle fermate non è seguita di pari passo la sistemazione delle aree contermini con un risultato ad oggi di sgradevole “non finito”. Per le Linee 2 e 3, invece, la progettazione della parte di ingegneria è stata collegata in modo più accentuato alla progettazione degli spazi aperti limitrofi, della scelta dei materiali e degli arredi; e questo anche perché le due linee attraversano parti storicamente consolidate e più “abitate”. In particolare nell’area dei Viali che delimitano il centro storico, progettati da Giuseppe Poggi nell’Ottocento, sono state realizzate progettazioni di qualità degli spazi aperti che in alcuni casi sono stati “liberati” dal passaggio della

Planivolumetrico delle sistemazioni alla Fortezza da Basso conseguenti la linea 3 della tramvia e l’interramento dei viali

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Vista a volo d’uccello dell’area della Fortezza (linea 3) ed interventi previsti

Tramvia, come quello di un’ampia area nei pressi dell’antica Fortezza Medicea sede di mostre internazionali di moda. Il sistema dei viali e dei parterre alla Fortezza costituivano per l’originario progetto del Poggi un unicum senza soluzione di continuità e su questo sistema si è inserito, rispettandolo e valorizzandolo, il progetto del nuovo paesaggio. Il progetto della Linea 3 e la realizzazione dei sottopassi per le auto di Viale Milton e di Viale Strozzi, di fatto, asseconda il forte assetto paesaggistico dato dai grandi filari, libera dal traffico veicolare ampi spazi di superficie e, con ridotte modifiche, permette di mantenere e rafforzare il sistema dei filari collegandolo al sistema del verde dei giardini della Fortezza, ad oggi

circondati dal traffico, e di creare una più ampia circolazione e collegamento pedonale-ciclabile, di cui la tramvia e la fermata ne sono parte integrante. Il progetto di sistemazione paesaggistica prevede, da una parte, il mantenimento quasi completo dell’esistente impianto arboreo con ulteriori integrazioni in varie parti del sistema, dall’altra, il disegno dell’ampia area resa libera dalla realizzazione dei sottopassi (4.000 mq) con una serie di siepi arbustive che seguono la curvatura del viale, spazi a prato e spazi pavimentati dotati di sedute: di fatto un giardino pensile a copertura dei tre sottopassi veicolari che ricuce le vecchie e le nuove funzioni dell’area4.

Se la stessa opzione strategica di mobilità non è accompagnata da specifici progetti dello spazio aperto che rimodellano la trasformazione indotta dalla nuova infrastruttura per la mobilità, quest’ultima può diventare un corpo estraneo. 20


Piazza del Duomo a Firenze nel XVIII secolo

Pedonalizzazione del centro storico: Piazza del Duomo (in basso) e interventi sulle pavimentazioni e gli arredi nelle nuove aree pedonali (pagine successive). Fonte: M.Barabesi, Public space forever, in Professione Architetto Overview, 11/02/2013, Firenze

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6

Pedonalizzazione del centro storico di Firenze - Velocità lenta, “infrastruttura senza infrastrutture”, liberazione di spazi aperti pubblici, ridisegno urbano e nuovi arredi urbani Patrimonio dell’Umanità riconosciuto dall’UNESCO nel 1982, il centro storico di Firenze, conchiuso all’interno della cerchia dei viali tracciati sulle vecchie mura medievali, costituisce oggi una delle aree pedonali più grandi al mondo, recentemente ampliata con l’area di Piazza del Duomo, Via Tornabuoni e Piazza Pitti. Risalgono a quasi trent’anni fa le ultime fotografie di piazza del Duomo e dell’attigua piazza San Giovanni, col Battistero, utilizzate come parcheggi. Da allora è iniziata la progressiva grande opera di pedonalizzazione del centro di Firenze, che nel 2011 ha trovato il suo completamento con 12 ettari di nuove

Progetto di pedonalizzazione di via Martelli

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aree pedonali a corona della cosiddetta Zona a Traffico Limitato corrispondente all’antico castrum romano, ovvero un rettangolo con i vertici a Piazza Santa Maria Novella e Piazza del Duomo fino all’Arno. In questa zona il transito è consentito, laddove non vi siano aree pedonali, ai soli residenti. La pedonalizzazione del centro storico non solo ha restituito alla socialità, direi alla comunità fiorentina, spazi di grande valore ed ha arrestato fenomeni di degrado urbano, ma ha anche innestato numerosi interventi di riqualificazione urbana che hanno dato nuova dignità e valore a zone ad alta concentrazione di bellezza e di arte. Le pedonalizzazioni di Piazza Duomo, via Martelli, via Tornabuoni, Piazza Pitti e delle zone circostanti hanno consentito di restaurare le pavimentazioni esistenti in pietra e di riportare la pietra negli spazi dove era stata sostituita


Progetto di pedonalizzazione di Piazza del Duomo

dall’asfalto, funzionale al traffico veicolare oramai rimosso, nonché di riqualificare le nuove aree pedonali con arredi di alta qualità. La spinta impressa all’intera città dalla nuova grande area pedonale trascende dimensionalmente il centro stesso con i suoi benefici effetti a catena che hanno indotto ad accelerare la

Note 1 Parolotto Federico, The future of transport and cities, published on the magazine l’Arca on February 2012, www.arcadata.com Fonti: -Sito Comune Scandicci: http://www.comune.scandicci.fi.it/index.php/a1-terza-corsia. html -Vallerini Lorenzo, Il paesaggio attraversato Inserimento paesaggistico di grandi infrastrutture lineari, (a cura di), Edifir Edizioni, Firenze, 2009 -Vallerini Lorenzo, Paesaggio e infrastrutture, in Rivista “Architettura del Paesaggio”, n°23 luglio-dicembre 2010, Paysage Ed., Milano, 2010 2

costruzione delle nuove linee tramviarie e a modificare le abitudini di “pigrizia” dei cittadini, ma soprattutto hanno indotto i fiorentini a sentire più vicina la loro grande città d’arte per troppo tempo lasciata in mano solo al “turismo”: e le piazze e le strade si sono riempite di eventi, di scambi di socialità, di maggior vita.

3 Fonte: Sito Comune Scandicci: http://www. scandiccicentro.it/site/home.asp

Fonti: Sito Comune di Firenze: http://www.comune. fi.it/opencms/opencms/comune_firenze/ mobilita/tramvia/Tramvia.html#4

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Comune di Firenze, Soc. Tramvia di Firenze S.p.A., Progetto delle sistemazioni paesaggistiche-Viale Milton, Viale Strozzi, Archlandstudio, 2012

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Barbara Metselaar Berthold Š



Ogino Knauss is a collective active since 1995. Born as mutant cinema laboratory, acts during the years as a constant drift through audio visual languages and communication practices. The group experiments with VJing techniques as a peculiar form of open narrative, in contrast to the dominant tendency to create video tapestries as an ornament to musician and DJs production. Developing its action at the crossing point between the exploration of etherotopic spaces and the exhibition of disclosing practices of the audiovisual device, Ogino knauss led a steady exploration of new spatial and creative contexts to confront, such as cultural centers, public spaces, temporary occupied zones, art galleries, festivals, dancefloors. Valerio Massaro, architetto, direttore artistico di NIPmagazine


Le VISIONI intervista

URBANE DI

OGINO

KNAUSS intervista a lorenzo tripodi a cura di valerio massaro

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Cos’è il progetto Ogino Knauss e come nasce? Il progetto Ogino Knauss nasce all’inizio degli anni novanta a Firenze da un gruppo di studenti fuori sede che ha iniziato a frequentarsi ed a collaborare durante quella che è poi diventata nota come la “pantera”. Nonostante parte del gruppo provenisse dalla facoltà di architettura il vero focus ed interesse comune che ha consolidato il gruppo è stato il cinema: nel mio caso la passione personale e i primi laboriosi esperimenti in super 8 sono stati una palestra che poi diventerà uno degli embrioni del progetto Ogino Knauss. La voglia di un salto di qualità e di nuove sperimentazioni, come il passaggio dall’8 al 16 mm, ci portò ad insediarci al Centro Popolare Autogestito, che esisteva da cinque anni, trasformando il vecchio capannone dei concerti in un teatro di posa. Il film progettato originariamente prese in realtà un’altra strada e quello che chiamammo il “laboratorio di cinema mutante” diventò in sè il fine del progetto. Questa fase fu contemporanea ad una fase di forte migrazione di artisti e creativi verso quegli spazi fino a creare una sorta di “occupazione nell’occupazione”, importando temi politici e visioni di stampo piu situazionista ed anarchico. Firenze in quegli anni subì una forte fase di fermento artistico che in parte confluiva in quegli spazi. Ma furono anche gli anni delle prime minacce di sgombero: Ogino Knauss si delineò proprio in questo periodo; dove il fermento e la collaborazione di queste tante entità artistiche si fuse con la lotta per la difesa dell’uso di quegli spazi: questo influenzò direttamente lo sviluppo dei singoli progetti artistici e l’uso che facevamo di quei luoghi. Quel periodo storico vide l’esplosione dell’uso del vjing, della musica elettronica e della cultura del videoclip, quindi eravate in un certo senso circondati da questo “nuovo modo di comunicare” Sì, fu proprio cosí, iniziarono in quegli spazi i primi esperimenti di vjing e le serate dedicate alla musica elettronica, che però non riflettevano solo un modello estetico ma diventarono un manifesto: uno strumento politico che rispecchiava il nostro lavoro creativo collettivo. Mettevamo insieme “cut up” fatti di filmati, immagini ed elementi sonori provenienti da molti artisti ed esperienze diverse. 28

In questo periodo Ogino Knauss costruisce un linguaggio proprio ma paradossalmente lo fa assimilando tutto


triplicity 2000-2005

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urban skin 2006-2008

quel materiale eterogeneo che si muoveva intorno a quegli spazi, ricercando contemporaneamente una nuova forma di comunicazione e un nuovo tipo di attivismo politico. Negli ultimi progetti il lavoro maturato dal VJing e videoarte (con collaborazioni di tutto rispetto nel panorama della musica elettronica internazionale) vira sempre di più verso un interesse molto definito nei confronti delle città e dell’architettura; più precisamente un certo tipo di città e un certo tipo di architettura, penso ai riferimenti modernisti e costruttivisti. Il progetto ha una forte coerenza intrinseca oltre ad essere molto attuale; mi riferisco a concetti come quelli di “città generica”, “architettura informale”. Da quello che mi racconti questa focalizzazione non è stata un cambio di rotta, ma una vera e propria maturazione di un progetto fin dal principio molto ben delineato.

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Sì, il nostro interesse per i conflitti urbani maturerà progressivamente e dopo l’esperienza del cpa io personalmente entrai a far parte di un progetto di ricerca nel dipartimento di urbanistica dell’università degli studi di Firenze, chiamato “insurgent city”, sotto la direzione di Giancarlo Paba. Ogino Knauss di fatto si occupò della grafica e del materiale fotografico per la pubblicazione. Il progetto editoriale voleva essere un atlante dei conflitti urbani che la cittá affrontava, ma non risultò come una vera e propria pubblicazione accademica ma più come “attivista”, dati i


metodi usati dai ricercatori, facendolo rimanere un testo piuttosto “underground” rispetto al mondo accademico, una sorta di oggetto di culto. Oggi a Firenze cosa rimane del progetto Ogino Knauss? Visto che tu vivi a Berlino e gli altri componenti del gruppo sono altrettanto dislocati in giro per l’Europa e il mondo? Poco, purtroppo, ma forse questo rispecchia la naturale evoluzione delle cose. Durante l’ultima nostra proiezione a Prato (dove l’arte contemporanea sembra meno indigesta che a Firenze ultimamente ndr) abbiamo rincontrato un nutrito gruppo di quegli amici e colleghi con cui avevamo collaborato rendendoci conto che oggi quella rete si è allargata, da New York a Barcellona, da Londra a Berlino. Purtroppo quello che vedo è un avanzamento di quelle problematiche che la ricerca di insurgent city cercava di evidenziare. La città ha ancora un disperato bisogno di spazi pubblici e di usi corretti di questi spazi, ma la sua progressiva trasformazione verso una disenyland del rinascimento sembra ormai inarrestabile, salvo poche mirabili eccezioni (Biblioteca delle oblate e Complesso delle murate), basti pensare che dopo anni la struttura dell’area del meccano tessile (area destinata all’arte contemporanea) sia ancora del tutto in stato di abbandono. Nel tuo racconto scorgo una progressiva maturazione di un metodo, se da una parte avete perso il contatto con Firenze, dall’altra avete maturato questo network globale che si palesa ancora di più con i vostri ultimi progetti (Re:centering periphery), in cui affrontate tematiche molto diverse, parlare oggi di città come Avana, Mosca o in futuro Detroit, Belgrado e Tel Aviv, comporta delle difficoltà e delle differenze di approccio notevoli. In realtà quello che abbiamo sviluppato è un metodo. L’espansione del progetto era in un certo senso inevitabile, abbiamo una propensione naturale all’esplorazione degli spazi altri. Facciamo la scelta programmatica di perderci verso spazi che non ci appartengono e che non conosciamo, ricerchiamo un territorio con cui dover ristabilire una relazione. Questo in realtà fa parte del contesto in cui siamo nati: da “immigrati” ci siamo scontrati a Firenze con una città che ha nella sua identità una forte alteritá. Credo che fin dall’inizio il tema dello scontrarsi con l’alteritá dock k kode 2005

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eur extreme urban ratio 2001

della città faccia parte del DNA del gruppo. La dinamica che ci spingeva all’esplorazione è poi andata di pari passo con la marginalizzione di alcune funzioni dal centro storico della città. In fondo questa tendenza all’esplorazione di spazi altri è stata quella che fin dalle nostre prime produzioni ci ha portato da Firenze a Bologna e Milano per esempio. Quindi è su questa alterità che avete costruito un vero e proprio metodo? Noi l’abbiamo chiamato ironicamente la “dermatologia urbana”; abbiamo sempre avuto un interesse morboso per i “segni” della città, dal graffitismo ai piccoli volantini: piccoli segni che si accumulano sulla pelle della città che però ne raccontano delle dinamiche precise. Come un dermatologo dalle macchie sulla tua pelle capisce che tipo di problema hai, la nostra missione un po’ ironica è quella di riuscire ad analizzare una città guardando le sue manifestazioni più epidermiche e superficiali. Questi segni superficiali manifestano però una grande quantità di contenuti, anche dove essi vengono a mancare, per esempio è stato per noi molto significativo trovare pochissimi segni di questo tipo in una città come Mosca.

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Non esistono delle contraddizioni tra il vostro linguaggio “postmoderno”, politico e critico e il mondo delle periferie in cui vi addentrate che sono invece permeate dal modernismo e dalle ideologie? Siamo tutti immersi nelle contraddizioni, una delle consapevolezze iniziali è stata quella della globalizzazione; quella di vivere in una società svincolata da sistemi di controllo e governo del territorio legati a scale conosciute, ma che diventa una società “networker” continuamente attraversata da movimenti ed idee. Pensiamo alla cultura del remix, dei traveller. Trattiamo il tema della globalizzazione consci del suo dualismo: da una una parte bisogna aprirsi alla connessione di comunità ed idee che non sono necessariamente intorno, dall’altro lato la necessità di frenare questo superamento indiscriminato di ogni tipo di legame con la località ed il territorio che non necessariamente rappresenta qualcosa di positivo. Abbiamo sempre esplorato queste due polarità: da un lato la costruzione di solidarietà e comunità su più livelli utilizzando media e strumenti di comunicazione nuovi, dall’altro lato la difesa di quei diaframmi che consentono alle comunità di mantenere una loro identità. Questi temi sono molto ampi ed abbiamo cercato nel tempo di trattarli sotto punti di vista diversi.

take me to the river

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berlin, the power of emptyness

A proposto di questo, mi parli del vostro ultimo progetto? Re:centering periphery, è stato in un certo senso una summa di tutti i ragionamenti fatti nel corso degli ultimi anni; abbiamo voluto focalizzare il pensiero modernista; un pensiero che ha caratterizzato di fatto tutti i pensieri architettonici ed urbanistici del novecento. Abbiamo guardato a questa ideologia modernista come al primo tentativo di costituire l’hardware della globalizzazione. Una tecnologia e delle procedure di produzione e concezione spaziale unificate dal movimento del Ciam che in qualche modo hanno pervaso il pianeta producendo delle idee di standardizzazione e prefabbricazione. Il rifiuto degli ornamenti e dei regionalismi è stato applicato in tutto il pianeta producendo città o parti di città del tutto nuove che rispondono tutte ai medesimi principi. Re:centering periphery è nato dall’idea di esplorare questa città “standard” che vuole essere “La Città”. Come diceva Lefebvre l’urbanistica non è più un discorso di città ma di urbanizzazione, quindi questo processo investe tutto il mondo. La nostra idea è stata quella di esplorare questa stessa città in diversi luoghi per cercare paradossalmente di vederne le declinazioni locali. Ovviamente noi abbiamo dei seri dubbi su questa volontà di standardizzazione, ogni luogo ha delle sue energie e spinte ed i suoi processi di appropriazione.

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Una curiosità per concludere: perché Ogino Knauss? Siamo sempre stati affascinati dall’errore generativo. Ogino Knauss è il nome di un metodo anticoncezionale che fondamentalmente non funziona; ha riempito il mondo di figli non voluti. È il concetto di errore generativo appunto, pensiamo al glitch nell’elettronica, nella video arte, ma anche al rumore di fondo della città. Questo concetto in fondo non ha solo influenzato il nostro modo di lavorare ma anche il percorso artistico che il gruppo ha preso: spesso non siamo stati noi a scegliere i lavori ma i lavori a scegliere noi. Solo dopo questo incontro/ scontro casuale Ogino Knauss, che nel tempo è diventato un’entità a se stante di cui nessuno del gruppo sembra avere pieno controllo, applica il suo metodo, la sua personalità, il suo modo di cercare di decifrare nuovi flussi e nuovi spazi urbani. È accaduto così per l’Avana, dove fummo invitati, come per Mosca. È significativo che rimanga questa ambiguità anche nell’output delle nostre ricerche, dove vengono miscelati elementi visivi, documentari e contenuti accademici più strutturati.

dom novogo trailer, 2013

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Barbara Metselaar Berthold Š



Barbara Metselaar Berthold Š



Annalaura Ciampi Architetto, laureata a Firenze nel luglio 2012 con una tesi sulla riqualificazione dei beni confiscati alla camorra, attualmente lavora a Bologna nell’Associazione Architetti di Strada; in questa sede sviluppa progetti in cui l’architettura è vista come uno strumento per risolvere i problemi della città con un approccio integrato, studiandone il contesto sia sociale che culturale, usando metodologie socialmente ed ecologicamente sostenibili, favorendo il riuso e la riqualificazione.


Benvenuti a Casal di Principe:

riqualificazione sociale ed urbana attraverso il recupero di beni confiscati alla Camorra* di AnnaLaura Ciampi

Se vuoi un anno di prosperità fai crescere il grano Se vuoi dieci anni di prosperità fai crescere gli alberi Se vuoi cento anni di prosperità fai crescere le persone Guan Zhong (Filosofo e politico)

* tesi vincitrice del primo premio sulla legalità intitolato a Caterina e Nadia Nencioni, giovani vittime della strage dei Georgofili. 41


B

envenuti a Casal di Principe è un progetto che nasce da una tesi di laurea: alla fine del mio percorso di studi stavo cercando un tema che mi potesse appassionare e coinvolgere; ho trovato un concorso bandito da Agrorinasce s.c.r.l.– Agenzia per l’innovazione, lo sviluppo e la sicurezza del territorio - sul tema del recupero dei beni confiscati alla camorra ed ho iniziato questo percorso. Il lavoro propone un intervento di riqualificazione sociale e urbana di Casal di Principe, attraverso il recupero di questi beni. Il piccolo comune del casertano, nell’immaginario collettivo, è associato al clan dei casalesi, alla camorra e all’omertà o, eventualmente, alla spazzatura, a Napoli e agli omicidi. Non si tratta solo di un luogo comune, ma anche di una lettura possibile della realtà. Ma non l’unica.

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Dal punto di vista architettonico e urbanistico, è un territorio di cementificazione selvaggia e abuso edilizio, che si è sviluppato, in gran parte, in assenza di un piano regolatore.

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iaggiando per la prima volta per le strade di Casal di Principe, rigorosamente accompagnata da qualcuno del posto, mi sono sentita disorientata: le strade che percorrevo erano più simili al set di un film che a quelle di una città reale: muri alti e inviolabili, strade strette senza marciapiedi, senza illuminazione pubblica, senza piazze o luoghi di aggregazione. Si percepiva un contrasto tra ambiente naturale e ambiente antropizzato, costruito dall’uomo: era una splendida giornata di sole, in un clima quasi primaverile e dalle cancellate spuntavano spesso dei rami di aranci che, nonostante il recinto imposto, continuavano a crescere e superavano i muri; un segno di ribellione!


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P

arlando con la persona che mi stava accompagnando, inoltre, ho visto attraverso i suoi occhi e le sue parole un mondo poco visibile, che sta crescendo sempre più e sempre più si rafforza: alcune delle persone che vivono in quel territorio stanno rompendo gli schemi, oltrepassando i confini (un po’ come gli alberi di arancio). Queste persone stanno lì e vogliono continuare a farlo, allevandovi i propri figli, cambiando la realtà in cui sono cresciuti, tenendo il buono e buttando il cattivo. Questa forte propulsione al cambiamento si concretizza nelle molteplici realtà di associazionismo sociale che popolano il territorio. Le persone sono la principale fonte di cambiamento: attraverso di esse si può cambiare l’immagine della città e la realtà in cui si vive. Se la realtà in cui si opera è fuori dagli schemi convenzionali, anche la soluzione dovrà esserlo. Il progetto si basa su due tipi di intervento: una rete di micro azioni a livello urbano in cui ci si riappropria della città attraverso piccoli cambiamenti economici e veloci, ed un altro pensato sui singoli edifici confiscati dove gli spazi che prima erano inaccessibili e fonte di paura, diventano pubblici e trasparenti.

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I

l processo urbano dovrebbe essere una contaminazione virale: conquista un ambiente, moltiplicandosi in tempi più o meno rapidi, in un meccanismo virtuoso fatto di interventi semplici, poco costosi, ma efficaci e capaci di qualità, come il posizionamento di un canestro da basket o il disegno a terra di ‘salottini’ come spazi di aggregazione…

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a prima azione di questo progetto, infatti, è comunicare che il cambiamento è possibile e alla portata di tutti, grazie a concetti di autocostruzione, recupero e riuso. Gli edifici confiscati vengono utilizzati come sedi delle varie associazioni che lavorano sul territorio; il piano terra viene svuotato e diventa parte integrante della città, creando quegli spazi pubblici, di aggregazione, che

mancano nel tessuto cittadino: piazza, spazio verde, spazio giochi per bambini e ragazzi… La parte centrale viene mantenuta esternamente uguale a memoria di quello che l’edificio stesso rappresenta. Ci dobbiamo ricordare che in luoghi come questi, in cui la camorra ha un controllo capillare del territorio, anche solo entrare in un edificio confiscato è un atto di coraggio perché in quel momento ti schieri contro l’organizzazione. Ricordare cosa è stato, è importante quanto far vedere che qualcosa sta cambiando. Inoltre ogni edificio in copertura avrà un volume aggiunto, accessibile dal cortile esterno, tipico delle case bunker: il tetto diventa quindi un’altra città, quella virtuosa, quella del futuro,

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quella possibile; ricca di colore e di verde, con al centro uno spazio ‘lanterna’, visibile dagli altri tetti. Quando arrivi in copertura, vedi tutte le lanterne degli altri edifici confiscati, ti senti parte di un tutto e scopri di essere forte. Ogni edificio rappresenta in qualche modo il processo progettuale complessivo: il piano terra è il presente, da cui si parte; i piani superiori sono il passato, la realtà su cui si costruisce, e la copertura è il futuro, la città possibile grazie all’impegno di tutti.

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uesto progetto infatti coinvolge in prima istanza le persone che abitano i luoghi su cui interviene: sono loro ad avere la percezione della realtà in cui vivono, che la conoscono profondamente e che sanno se funziona. Un occhio esterno può aiutare a rompere gli argini, a variare gli schemi, a credere nel cambiamento; ma senza le persone che vivono quello spazio il cambiamento non è possibile. Il processo è architettonico, ma principalmente sociale: ogni persona è dotata di un talento, che condiviso con altre persone porta un arricchimento per tutti; attraverso laboratori, progetti di autocostruzione ed attività organizzate, ci si impara a conoscere e rispettare. Si crea una comunità. Inoltre, se ti metti in gioco in prima persona per fare un lavoro, per creare un qualcosa, alla fine sentirai tuo quel qualcosa e ne sarai custode.

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In questo modo la realtà può cambiare e la città con lei. Questo progetto è pensato per i cittadini di Casal di Principe e deve essere sviluppato con loro. Senza aspettarsi grandi risultati. Senza voler cambiare il mondo tutto insieme. Un passo alla volta, una persona alla volta.

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Barbara Metselaar Berthold Š



Barbara Metselaar Berthold Š



Barbara Metselaar Berthold Š




Avventure creative al

Festival del Paesaggio a Roma

di Collectif_Etc a cura della redazione di NIP

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"La sedia che scotta" di Claudio Bertorelli/Asprostudio

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re giornate dense di avvenimenti nella splendida cornice esterna dell’Auditorium della Musica a Roma, hanno caratterizzato la terza edizione del Festival del Verde e del Paesaggio, dedicata alle sfumature scientifiche, artistiche e culturali del verde, tra produttori di piante e paesaggisti, designer di esterni, amanti del fai da te, creativi decorativi del giardino d’avanguardia e di quello dei bambini. In questa rassegna ricca di idee e di novità, il Paesaggio è soltanto evocato e declinato nell’ambiguo spazio del giardino pensile o di balcone o in alcune piattaforme, denominate “Follie d’autore”, realizzati da sei studi professionali del verde urbano sulla terrazza panoramica dell’Auditorium.

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"Bancali per Roma" di Elena Donnini, Loriana Alessia Bellia

Franco Zagari ne è stato il curatore e incontrandolo al momento dell’inaugurazione della rassegna ha osservato che: “Il giardino nella storia umana ha sempre rappresentato una soglia critica particolarmente espressiva dei valori simbolici e rappresentativi dell’idea che ogni società ha dell’abitare. Questi piccoli giardini, di 30 mq ciascuno, se affidati in buone mani, possono rappresentare un’occasione ambiziosa per riflettere sulla necessità di una maggio-


re qualità dell’habitat con un pubblico che è pronto ad aprire un dialogo.” Tra queste “Follie”, particolare interesse ha suscitato il “Giardino del vento” di Daniela Colafranceschi, un giardino verticale di Tillandsie, pensato come un tessuto, una filigrana, una trama vegetale che separa, che marca uno spazio e filtra la sua percezione; una sequenza di pareti verdi, che scandiscono un ritmo di ambiti aperti tra loro in relazione.

molte persone ad attraversare lo spazio acquatico del mini-giardino con appositi stivali e a lasciarsi dondolare su

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n approccio fortemente simbolico e creativo è stato mostrato ai visitatori nella “Follia” denominata “La sedia che scotta” dell’Aprostudio di Claudio Bertorelli, che ha trascinato

in alto “Giardino al femminile” di Maria Elena Marani "Verde a colori" di Laura Orazi

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"Siamo sulle spine" di Antonio Stampanato, Francesco Qualizza, Rocco Repezza

un’altalena, ubicata nel punto più alto dell’anfiteatro davanti all’Auditorium, in modo da percepire con lo sguardo il punto focale geometrico della cavea e immaginare di liberarsi in volo verso l’infinito (per chi fosse dotato di maggiore capacità di suggestione e di immaginazione).

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ll’estremità opposta della grande terrazza che circonda la cavea esterna dell’Auditorium di Renzo Piano, si trovavano le piattaforme più creative del Festival, affidate all’estro creativo di giovani architetti o giardinieri paesaggisti. Lo spazio più ampio ha permesso l’esposizione dei progetti vincitori di un concorso creativo tra giovani architetti del paesaggio e designers, quali il “Giardino seduto” (di Sergio Capoccia e Margherita Brusca), un allestimento di seduta “conviviale” in mezzo a piante e fiori dal semplice ed essenziale design; in alto "Guardalla'" Progetto dell'Istituto Quasar 58

oppure l’allestimento denominato “Siamo sulle spine” (di A. Stampanato, F. Qualizza e R. Repuzza) una piattaforma rialzata che costituisce un assetto radiale dal triplice accesso di scale in legno tropicale di Okan che attraversano un denso e spinoso roseto,che dà il senso della precarietà della vita quotidiana dell’individuo, al quale viene offerta una duplice opportunità: quella dell’incontro al centro della piattaforma e quella dell’osservazione contemplativa verso l’esterno, dall’alto della piattaforma.

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e due principali aree espositive del festival erano connesse tra di loro da un vero proprio “Suk del verde ornamentale”, da diverse tipologie di


balconi fioriti che esaltavano un gusto un po’ retrò del verde urbano e da piccoli stands di artigiani che proponevano materiali inconsueti per l’arredo del giardino. Il filo conduttore dell’intero Festival è apparso essere quello di una riflessione, in tempi di crisi economica e sociale, sul progetto del Giardino effimero, come Laboratorio del paesaggio della crisi che ogni cittadino vive. Una riflessione, a nostro avviso, solo parzialmente riuscita, poiché la creatività di alcuni Progetti di giardino effimero non riuscivano ad oltrepassare la dimensione commerciale della vendita di fiori e di verde ornamentale per usi e interessi individuali. Lo scenario suggestivo dei due giganteschi “involucri” realizzati da Renzo Piano per il parco della Musica, suggeriva una maggiore audacia verso un allestimento paesaggistico di alto livello, sfruttando tutta la gamma delle diverse specie arboree di medio ed alto fusto del mercato vivaistico italia-

no, completamente assenti dal Festival, che avrebbero potuto comporre quella relazione tra giardino e paesaggio, di cui molti hanno sottolineato la mancanza.

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Barbara Metselaar Berthold Š



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il libro

Gabriele Paolinelli – gabriele.paolinelli@unifi.it (1965), architetto, è ricercatore in Architettura del paesaggio presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato alla Facoltà di Agraria di Bologna ed alle Facoltà di Architettura e di Economia di Firenze. È revisore per le riviste scientifiche Land use policy, European planning studies, Agricultural engineering international, Territorio, Archivio di studi urbani e regionali e per il Ministero italiano dell’università e della ricerca. Si occupa di alcuni temi dell’architettura del paesaggio, in relazione ai problemi di analisi e diagnosi ed alle opzioni di pianificazione e progettazione: sviluppo di scenari paesaggistici per la definizione di master plan e la valutazione di piani territoriali o urbani, semiotica del paesaggio, consumo di suolo, frammentazione dei paesaggi.

Massimo Sargolini, Springer-Verlag Italia 2013

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Le recensioni di URBAN LANDSCAPES Environmental Networks and Quality of Life

di Gabriele Paolinelli

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il libro

uello delle relazioni tra i paesaggi e la qualità della vita delle persone è un profilo di studio complesso che può mutare anche notevolmente per significati e loro rilevanza in ragione delle concezioni dei due termini in questione. Massimo Sargolini affronta questa tematica con due chiavi principali, definendo una struttura interpretativa delle realtà contemporanee entro la quale debbono essere letti in coerenza anche i contributi specifici dedicati al caso studio della Città Adriatica. Il rapporto tra tali chiavi paradigmatiche, solo in apparenza paradossale, costituisce il focus attraverso il quale è possibile seguire l’autore nel pensiero che propone ed avviarsi su strade che da questo muovono o divergono. La prima chiave di lettura designa i paesaggi urbani come manifestazioni cruciali per la qualità della vita. Lungi dal costituire una netta parzializzazione, peraltro lecita e spesso necessaria in ambito scientifico, l’accento urban landscapes propone una visione essenziale nella interpretazione della contemporaneità,

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il libro 66

che poco ha a che vedere con gli studi paesaggistici della città tradizionalmente intesa. Ben più complessa e pervasiva è la fenomenologia che può essere indagata mediante i punti di vista e le questioni che il volume offre. Di detto accento occorre infatti considerare le motivazioni che stanno oltre quella per lo più nota e scontata della crescente rilevanza della quota della popolazione del Pianeta che vive e lavora nelle città. Sono in atto infatti da alcuni anni dinamiche socioculturali di urbanizzazione delle popolazioni che interessano quantità di individui e gruppi sociali assai più cospicue. La diffusione di massa dei modelli urbani oltre ogni limite delle città e delle loro evoluzioni novecentesche meno consolidate e compiute può essere fatta risalire al primo periodo postindustriale, mentre quella elitaria risale molto più a lungo la storia, dalla quale si traggono esempi come le campagne toscane e venete nel rinascimento. È evidente però come tale diffusione di massa abbia avuto un impulso non trascurabile a partire dalla metà degli scorsi anni ’90 con la progressiva colonizzazione digitale delle comunicazioni, del lavoro e sempre più in genere della vita degli individui. Si ritiene pertanto significativo considerare sotto l’ombrello comprensivo degli urban landscapes quelle realtà nelle quali i suddetti modelli culturali, sociali ed economici si sono diffusi e si stanno diffondendo, generando effetti materiali nei paesaggi, oltre che effetti immateriali nelle loro percezioni. La seconda chiave di lettura identifica le reti ambientali come riferimento cruciale per la comprensione della realtà, ma anche per l’accesso a dimensioni progettuali avanzate, di natura sistemica, che, per quanto detto sopra, non sono in alcun modo un’opzio-


il libro

ne, bensì una necessità per migliorare l’adeguatezza e l’efficacia delle politiche territoriali e degli interventi definiti nei piani e nei progetti. Il ruolo complesso delle environmental networks di cui si discute non ha dunque profilo settoriale, specializzante, bensì profilo comprensivo, integrante, come evidenzia Roberto Gambino nella prefazione. Le reti sono un paradigma per l’interpretazione della complessità della vita a fronte dell’obiettivo generale di pensarne la qualità attraverso i paesaggi. Giorgio Osti, nella postfazione, tracciando un sommario dei tre punti principali del volume, scrive infatti che la rete agisce come una potente metafora dello sviluppo urbano e come uno strumento per la strutturazione della pianificazione. Per la stretta connessione, è significativo citare gli altri due punti che Osti antepone. Il paesaggio è uno strumento di mediazione fra natura e cultura, fra physics e techne. Gli autori marcano l’importanza della collaborazione di più discipline per evolvere una migliore capacità di pianificazione. Massimo Sargolini conduce il lettore in un percorso denso di stimoli, nel quale i singoli capitoli possono costituire utili supporti di approfondimento dei vari argomenti, ma è indubbio che il libro abbia una rilevanza non trascurabile nella visione che emerge dalla globalità delle relazioni tematiche che propone. I primi due capitoli, ricchi di riferimenti pregnanti quanto concisi nel loro sviluppo introduttivo, rintracciano le basi su cui il ragionamento contemporaneo può fon-

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il libro 68

dare una evoluzione. Dalle relazioni fra le categorie primarie Bios, Techne e Logos, la riflessione sui rapporti tra ecologia ed estetica conduce alla identificazione nelle dimensioni paesaggistiche della realtà di nuovi possibili termini di relazione. L’autore dal terzo capitolo avvia uno scandaglio profondo di una serie di temi e punti di vista che vanno progressivamente a costruire quel senso complessivo dell’opera che con tratti diversi e complementari è stato posto in evidenza da Gambino ed Osti. Dalle relazioni tra qualità degli ambienti e qualità dei paesaggi, si passa a considerare le dinamiche di evoluzione dei sistemi insediativi urbani, per poi delineare una sorta di primo bilancio critico in relazione ad una domanda che sottintende una riflessione sul senso stesso dei paesaggi: le comunità umane possono ancora produrne? Questo è probabilmente un punto di snodo, se l’autore propone poi alcuni temi nei quali rintraccia potenziali utili a generare cambiamenti di visione e punta la sua attenzione sulle reti delle relazioni ambientali come fondamento per l’evoluzione di Smart Communities abitanti di Smart Territories. È evidente come Massimo Sargolini, con i molti autori che lo hanno coadiuvato, proponga un profilo di riflessione incisivo, alla cui rilevanza scientifica debbono essere associate anche le proprietà di significativo indirizzo tecnico e di chiara utilità didattica.


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Barbara Metselaar Berthold Š



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