N.31 Scienza e Movimento

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FITNESS - GINNASTICA - BODY BUILDING - ATTIVITA MOTORIA - PREVENZIONE - PERSONAL TRAINER Anno VIII - Numero 31 Gennaio - Marzo 2023 mariucci ed it o r i calzetti & DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE: IPOTESI PATOGENETICHE NEUROFUNZIONALI, GENETICHE ED EPIGENETICHE EFFETTI DELL’ATTIVITÀ FISICA SULLA FORZA, LA RESISTENZA E LA QUALITÀ DELLA VITA NEL SOGGETTO CON SCLEROSI MULTIPLA LAT MACHINE VS TRAZIONI: DAL RISCHIO ARTICOLARE AL RECLUTAMENTO MUSCOLARE ALLENAMENTO ADDOMINALI: DALLA TEORIA ALLA PRATICA IL RUOLO DELLA FASCIA NEL CONDIZIONAMENTO ATLETICO
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COMITATO EDITORIALE

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Agosti Valeria - Università di Bergamo; Biancalana Vincenzo - Università di Urbino; De Pascalis Pierluigi - Università di Foggia; Digennaro Simone - Università di Cassino; Formenti Damiano - Università dell’Insubria; Latino Francesca - Università di Bari; Lovecchio Nicola - Università di Bergamo; Migliaccio Gian Mario - Sport Science Academy; Monacis Domenico -Università di Foggia; Padulo Johnny - Università di Milano; Sannicandro Italo - Università di Foggia; Sgrò Francesco - Università Unikore Enna; Trecroci Athos - Università di Milano Statale.

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EDITORE

Calzetti & Mariucci Editori di Roberto Calzetti Editore srl Via del Sottopasso 7 Loc. Ferriera 06089 Torgiano (PG) - Italy Tel. e Fax 075 5997310 info@calzetti-mariucci.it

Finito di stampare Gennaio 2023 Tipografia Mancini (Tivoli) Registrazione: Trib. di Perugia n. 17 del 24/10/2014 - ISSN 2421-1303

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale di articoli, foto e disegni senza l’autorizzazione dell’Editore. Images credits: ©Freepik

“Nel corso dell’anno 2022, uno dei numeri della rivista, non è purtroppo andato in stampa a causa di un processo di riorganizzazione del nostro piano editoriale, che ha portato anche alla digitalizzazione della rivista. Ci scusiamo con i lettori ma, in compenso, abbiamo ulteriormente migliorato il livello qualitativo degli articoli, stretto nuove collaborazioni con gli autori, al fine di garantire un prodotto editoriale che possa soddisfare le aspettative di chi ci legge.”

EDITORIALE

Ogni mattina mi sveglio, apro un social a caso e mi trovo un diversamente natural, con le cartilagini facciali ipertrofiche e che non sembrano voler smettere di crescere, che mi spiega (censurando il testo con qualche asterisco), quali farmaci dovrei utilizzare per essere grosso, quali utilizzare per evitare gli effetti collaterali di tali farmaci, quali integratori prendere per supportare gli effetti desiderati. Il tempo di sfogare il picco di ira (side effect dell’ultima somministrazione e della carenza di carboidrati per il taglio del peso) e inizia a scagliarsi contro chi non è sufficientemente grosso perché, a suo dire, non si allena bene. Ma di come allenarsi non ne fa cenno. Tuttavia, se gli mando un bonifico, può vendermi le istruzioni per applicare il suo metodo e avere il fisico scolpito che ho sempre sognato. Anche se lui, per sicurezza, più che avvalersi del suo stesso metodo preferisce affidarsi a qualche farmaco che purtroppo (e irreversibilmente), sta lasciando i classici segni sul volto.

Toni e provocazioni degli editoriali, pur in una rivista tecnico-scientifica, sono un approccio dissacrante liberamente ispirato dalla sezione “Lettere al direttore” della prestigiosa rivista NewEnglandJournal ofMedicine(un estratto delle quali è disponibile nel volume “Scarpe slacciate e altre strane malattie”), e sono pertanto da intendersi come una parentesi derivante dall’osservazione più leggera del mondo del fitness.

Cambio social e trovo un autoproclamato fisiologo clinico del movimento umano che mi spiattella le ragioni del suo successo, del suo metodo che, non fosse che ci ha già pensato un altro, farebbe riprendere a camminare anche Lazzaro! Si bea delle centinaia e centinaia di migliaia di follower, interviste, interviste in cui parla delle interviste, interviste in cui parla delle centinaia di migliaia di follower e di quanto apprezzino le interviste in cui parla delle sue interviste. Poi vai a vedere la provenienza dei follower, o utilizzi un banale strumento di analisi del profilo, e scopri che non ha praticamente interazioni, che i follower sono acquistati (con poche decine di euro se ne possono comprare diverse migliaia), e in quanto finti non interagiscono. Ma nessuna paura, anche i like hanno un prezzo, con un piccolo extra e in pochi minuti ogni post ne può avere centinaia. Analizzi le testate sulle quali compaiono le sue interviste, e anche quelle sono a pagamento. In pratica c’è gente disposta a pagare per farsi fare finte interviste, alle quali garantire finti like, da mostrare a finti follower! Neppure gli sceneggiatori di black mirror hanno osato arrivare a tanto. Ma il tutto ha uno scopo: accalappiare dei veri sprovveduti che, incapaci di comprendere il gioco, metteranno mano al portafogli. Naturalmente posso beneficiarne anche io e, con un prezzo scontato, può risolvere ogni mio problema permettendomi finalmente di allenarmi come mai avrei pensato.

Provo a rilassarmi guardando qualche video, e mi passa la pubblicità di un altro guru che mi spiega come le ragioni per le quali non riesco a dimagrire, posto che debba farlo, sono da ricercare nell’attività cardio che svolgo! Sono grasso perché faccio cardio!

SCIENZA E MOVIMENTO

Da non crederci eh?! Se solo la smettessi di correre potrei finalmente perdere i kg di troppo e avere il fisico dei miei sogni, fisico che - con qualche decina di euro e l’acquisto del suo metodo -, potrei capire meglio come ottenere.

Neanche il tempo di appendere le scarpe da running al chiodo che, un esperto un po’ agee il cui nome ricorre più spesso nelle carte della Procura della Repubblica che non nelle pubblicazioni scientifiche, promette di farmi dimagrire proprio nei punti critici, stimolando muscoli che neppure sul Netter si rinvengono e con processi biochimici che il buon Krebs, a 40 anni dalla morte, si rivolta nella tomba al solo pensiero. Ovviamente questi segreti li trovo comprando la sua guida, o in qualche ricetta di quelle che non lasciano traccia dopo l’erogazione, ma purtroppo marchiano per sempre le ossa acrali.

Non può mancare chi prova a convincermi che in 20 minuti potrò ottenere risultati che neppure in 4h di allenamento, se solo sono disposto a pedalare dentro una specie di lampada abbronzante o, ancora meglio, ad allenarmi attaccato a degli elettrodi dentro una muta da palombaro in cui, prima di me, hanno già sudato altre 15/16 persone. E devo dire che questo potrebbe perfino funzionare per chi vuole dimagrire! Io ad esempio, già solo a tale pensiero, ho perso la fame dal disgusto, e quindi si potrebbe avere un risultato anche senza provare il metodo.

Se tutto questo fa sorridere (per quanto amaramente), i miei “preferiti” sono quelli che parlano di sé stessi in terza persona, con curriculum scritti in terza persona, post sui social in cui si danno da soli del lei, non di rado anteponendo compulsivamente il titolo di “dottore”, o “professore”, o perfino entrambi anche solo per comunicare il loro compleanno: “Oggi il dottor professor Pinco Pallino, nel trentenna-

le della sua nascita, ha spento le candeline presso il Castello delle cerimonie”. Segue autolike e orario di ricevimento in studio. Fanno il paio con quelli che dispongono sapientemente sul tavolo 3 libri aperti, 2 quaderni, 5 penne, 6 evidenziatori, pc, tablet, e calcolatrice della Casio, e infine aggiungono: “Non si smette di studiare, lo faccio per voi”. Poi vai a vedere e hanno comprato una vera finta laurea in Svizzera a soli seimila euro. Pensare che con la stessa cifra potevano comprarne una vera in Italia, ma avevano fretta di fare i bigliettini da visita.

Uno sguardo desolante su quello che il fitness è diventato, un “suk a social aperto”, dove la biologia, la fisiologia, la metodologia dell’allenamento, la scienza della nutrizione, vengono piegate, stravolte, banalizzate, per diventare pastura prima, ed esca poi, con la quale prendere all’amo degli sprovveduti. Tutto lascia pensare che sui social, ogni mattina, un guru del fitness si sveglia e sa che, come il leone della savana, dovrà correre ad acchiappare qualche pollo che aspetta di essere spennato. Ogni mattina un pollo che si crede amante del fitness si sveglia e, al contrario della famosa gazzella che scappa via dal leone, corre felice a farsi spennare dal guru di fiducia.

Del resto se è vero che Wanna Marchi non esercita più, è altrettanto vero che i suoi potenziali clienti non sono scomparsi. E se qualcuno volesse provare a vendere al posto delle famose creme sciogli-pancia, il muscolo da spalmare, non esito a credere che ci sarebbe la fila di potenziali acquirenti. Anzi, nel caso, fatemelo sapere che sono interessato anch’io!

EDITORIALE
Pierluigi

SCIENZA E MOVIMENTO www.scienzaemovimento.it

CONTENUTI 05

DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE: IPOTESI PATOGENETICHE NEUROFUNZIONALI, GENETICHE ED EPIGENETICHE di Pierluigi De Pascalis 15

EFFETTI DELL’ATTIVITÀ FISICA SULLA FORZA, LA RESISTENZA E LA QUALITÀ DELLA VITA NEL SOGGETTO CON SCLEROSI MULTIPLA di Silvia Fant

LAT MACHINE VS TRAZIONI: DAL RISCHIO ARTICOLARE AL RECLUTAMENTO MUSCOLARE di Michele Calabrese

ALLENAMENTO ADDOMINALI: DALLA TEORIA ALLA PRATICA di Davide Serpe

IL RUOLO DELLA FASCIA NEL CONDIZIONAMENTO ATLETICO di Gian Mario Migliaccio, Beppe Loria, Leonardo Rocca

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Quando la ricerca del “buon cibo” diventa una ossessione capace di compromettere la sfera sociale, di portare all’isolamento personale, e di ripercuotersi sulla salute dell’individuo, si è in presenza di una condizione nota come ortoressia.

Un disturbo ossessivo compulsivo ascrivibile alla sfera dei disturbi del comportamento alimentare, che può gravemente debilitare sul piano fisico ed emotivo chi ne viene colpito. Diversi sono i campanelli d’allarme precoci, ma ancor maggiori paiono essere gli elementi che possono indurre verso l’ortoressia, soprattutto in un periodo storico in cui i social network veicolano rapidamente messaggi potenzialmente distorti. La situazione si complica quando l’ortoressia si combina a ulteriori disturbi e in particolar modo con l’errata percezione corporea.

Il testo affronta le tappe storiche di individuazione e definizione del problema, i test diagnostici, i principali fattori di rischio e le strategie terapeutico-preventive, il ruolo della famiglia e dell’ambiente.

Presenta inoltre uno studio inedito che delinea l’attuale situazione in Italia, quali sono i soggetti maggiormente esposti e quali regimi alimentari possono indurre con più probabilità verso la condizione di ortoressia. Un testo utile ai professionisti della nutrizione, ai terapeuti e ai famigliari di soggetti a rischio o con diagnosi di ortoressia.

Autore: Pierluigi De Pascalis

208 pagine - 22,00 euro

Editore: Armando Disponibile per l’acquisto su: www.nsf.it/libri

Moltiplicare le energie nello sport e nella vita grazie al sonno di qualità.

L’integratore più efficace per la salute e la performance è il sonno. Come tutti gli integratori dimostra una reale efficacia negli stati di carenza, ed il sonno è una carenza per almeno la metà della popolazione. Pur se ritenuto, erroneamente, un tempo sottratto alla produttività, il sonno ha dimostrato effetti scientificamente misurati sulle aree cognitive, la capacità d’imparare e prendere decisioni, ricalibrare le emozioni, rimettere in sesto il sistema immunitario e regolare l’appetito. È fondamentale nella sintesi proteica, nel ripristino delle energie, nel consolidamento della memoria a breve termine in quella a lungo termine, nella focalizzazione e concentrazione e nella gestione dell’umore. In questo libro Gian Mario Migliaccio, dottore di ricerca e divulgatore scientifico, spiega come affrontare e risolvere il problema del sonno per moltiplicare le energie.

Tra i temi trattati:

• Conoscere il sonno: leggero, profondo e REM

• Capire le fasi del sonno e i loro benefici

• Conoscere cosa favorisce e cosa compromette il sonno e le sue fasi

• Monitorare il proprio sonno o quello dei nostri atleti o pazienti

• Adottare precise strategie, anche nutrizionali, per rispondere alla carenza del sonno

• Valutare il miglioramento, misurare il risultato

Autore: Gian Mario Migliaccio 240 pagine - 29,90 euro Disponibile per l’acquisto su www.migliaccio.it

Indicazioni sistematiche, metodologiche, didattiche e tecnico-tattiche per lo sport giovanile nelle diverse età: l’esempio della pallacanestro. Il testo si distingue in due parti la prima delle quali ripercorre quegli elementi essenziali della formazione sportiva in generale, ma con un interesse rivolto in particolare ai giovani, elementi tratti dalle materie che interagiscono in modo diretto alla costruzione di un percorso adeguato ad una perfomance “sostenibile” degli atleti. Nella prima parte si ripercorrono quindi concetti primari senza mai dimenticare la fondante letteratura metodologico-didattica degli autori che hanno illuminato tali saperi.

La seconda parte è dedicata all’importanza dell’insegnamento differenziato e adeguato alle diverse età, delle indicazioni operative di stampo tassonomico, dell’attività giovanile (12-13/19-20 anni) e non solo che segue quella dei minisport (5-6/11-12 anni). Elementi tecnici che procedono di pari passo a quegli elementi psico-pegagogici che accompagnano l’evoluzione formativa del giovane e ne sono parte indissolubile, costruendo una struttura dettagliata del percorso di insegnamento senza mai dimenticare il soggetto dell’azione formativa cioè l’individuo nelle sue componenti fisiche e psichiche.

Autore: Riccardo E. Izzo

200 pagine - 24,90 euro

Editore NonSoloFitness Disponibile per l’acquisto su www.nsf.it/libri

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LA SCIENZA DEL SONNO, PER VINCERE TASSONOMIA DELLA FORMAZIONE MOTORIA E SPORTIVA
LIBRI

KEYWORDS

Eating disorder, anorexia, bulimia, binge eating disorder.

Disturbi del comportamento alimentare: ipotesi patogenetiche neurofunzionali, genetiche ed epigenetiche

Introduzione

L’incidenza dei disturbi del comportamento alimentare, ossia il numero di nuovi casi osservati in una popolazione in uno specifico arco temporale, è purtroppo in rapida ascesa nel corso degli ultimi decenni (Hoek & Van Hoeken, 2003), come del resto la loro prevalenza, ossia il numero di casi totali individuabili in una data popolazione in uno specifico momento. Se si considerano le condizioni che si presentano come sindromi parziali è possibile affermare che una percentuale variabile tra

l’8% e il 10% delle ragazze tra i 12 e i 25 anni soffrono di un disturbo del comportamento alimentare (Bulik, 2002).

I DCA sono una vera emergenza di ordine medico, psichiatrico, e per estensione anche sociale. Si tratta di una moltitudine di segni e sintomi che accompagnano un rapporto patologico con il cibo, che giunge a compromettere significativamente l’ambito sociale, familiare e le relazioni dell’individuo che ne è affetto, potendo talvolta portare alle estreme conseguenze.

Si tratta di disturbi volti al controllo del peso e dell’aspetto corporeo, una eccessiva preoccupazione per la forma fisica e una distorsione dell’immagine corporea che giunge alla condizione di dismorfofobia.

I DCA sono purtroppo i disturbi di natura psichiatrica con il più alto tasso di mortalità, sia come effetto della drammatica compromissione funzionale cui il soggetto giunge a causa di un peso che si discosta drammaticamente (per eccesso o per difetto) da una condizione ideale, sia come conseguenza dell’elevato numero di sucidi che caratterizza chi ne è affetto.

I paesi occidentali sono quelli maggiormente colpiti, ma si registrano casi anche nelle classi sociali più agiate di aree del globo caratterizzate da significativa povertà.

Già questa premessa sottolinea uno dei principali fattori di rischio per i

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Dott. Pierluigi De Pascalis Laureato magistrale in: Scienze motorie; Scienze della nutrizione umana; Psicologia comportamentale e cognitiva applicata. Biologo nutrizionista, responsabile della formazione e divulgazione scientifica di NonSoloFitness. Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Foggia. pierluigi@depascalis.net - www.depascalis.net

DCA in generale, ma per alcuni nello specifico, correlabili con lo status socio-economico. Il sesso femminile, la giovane età (prevalentemente adolescenza e prima età adulta, sebbene con progressivo incremento di casi sia in fase precoce che tardiva), contesti sociali, economici, culturali sono significativi fattori di rischio per lo sviluppo di DCA. A questi si sommano elementi fortemente predisponenti della sfera familiare; legati a episodi specifici come traumi, abusi, bullismo, body shaming; connessi a fattori ambientali e quindi riferibili alla sfera lavorativa; bassa autostima, ansia, disturbi dell’umore, perfezionismo (Fairburn & Harrison, 2003). Stando ai dati del Ministero della Salute, nel 2017 si parlava di almeno 3 milioni di persone affette da DCA, con tutte le inevitabili e conseguenti ripercussioni, anche in termini di costi sociali. I DCA non hanno un unico modello causale eziopatogenetico, e occorre quindi indagare e individuare un modello multifattoriale che tenga conto dei fattori predisponenti e scatenanti di natura familiare e ambientale, di fattori cognitivi e legati alla personalità, di fattori genetici e ambientali.

A tutto questo si sommano gli elementi perpetuanti del problema che rendono più difficoltosa la risoluzione.

Influenze neurofisiologiche, genetiche ed epigenetiche sul comportamento alimentare e come fattori predisponenti dei DCA

La nutrizione rientra tra i bisogni primari dell’essere umano, ha quindi una posizione di vertice per quanto attiene la necessità di soddisfarla, ed è strettamente legata con la sopravvivenza stessa dell’individuo. Per tramite dell’alimentazione l’essere umano riceve l’energia di cui necessita per assolvere alle attività lavorative e, prima ancora, per la gestione delle esigenze metaboliche. Ma assieme all’apporto energetico fornito dagli alimenti, vi è l’acquisizione di macro e micro nutrienti che consentono il complesso funzionale legato alla rigenerazione e accrescimento tissutale, alla regolazione dei processi biochimici, ecc. Non a caso la classificazione dei nutrienti consente proprio di distinguere tra quelli con funzione prevalentemente plastica, prevalentemente energetica, e prevalentemente di regolazione e protezione. Nessun alimento è in grado di soddisfare nella giusta modalità tutte le esigenze nutrizionali dell’individuo, ed è questa la leva che ha fatto sviluppare i comportamenti complessi legati alla sua ricerca, al fine di mantenere l’omeostasi corporea e l’adattamento contestuale all’ambiente circostante e alla sua variabilità. L’alimentazione, e la modifica negli stili nutrizionali,

hanno consentito l’adattamento e l’evoluzione della specie umana, e a questo processo evolutivo si è affiancata sempre più una modulazione nutrizionale influenzata dalle tradizioni, dalla cultura, dalle interferenze religiose, sino a elementi socio-economici. In altri termini se inizialmente l’alimentazione ha rappresentato l’elemento di “modulazione” delle caratteristiche umane, proprio a livello strutturale, negli ultimi millenni (e soprattutto negli ultimi secoli), è accaduto sempre più che fosse l’alimentazione a essere modulata in virtù delle caratteristiche e delle esigenze umane, intese come interferenze etniche e culturali e, in quest’ultimo periodo storico non di meno anche etiche.

Il comportamento alimentare è dunque condizionato da una serie di fattori, alcuni intrinsecamente caratterizzanti l’alimento: come il sapore, il colore, l’odore, con stimoli diretti a livello sensoriale.

A livello sensoriale la lingua svolge un ruolo determinante essendo alla base della percezione del gusto, processo che avviene per tramite delle papille distribuite sulla sua superficie. Si distinguono differenti tipi di papille (p. foliate, p. vallate, p. fungiformi, p. filiformi). La lingua consente anche la divisione in aree differenti caratterizzate dalla capacità di distinguere in modo marcato i 5 gusti che compongono la miriade di opzioni e stimoli forniti dagli alimenti. In particolare si distinguono aree per il salato, l’acido, l’amaro, il dolce e l’umami. Il senso del gusto consente di operare non solo una scelta di tipo edonistico, ma permette di individuare specifici sapori correlabili a sostanze potenzialmente tossiche o velenose.

In tal senso il gusto è strettamente interconnesso con l’olfatto, entrambi sono sensi chimici, e anche l’olfatto percepisce odori ritenuti sgradevoli e pertanto pone in allarme rispetto alla pericolosità di un alimento. Al contrario un odore gradevole stimola immediatamente il senso

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Credits: Shutterstock/Hank Grebe

della fame o in ogni caso il desiderio edonistico di alimentarsi. Ma il comportamento alimentare necessita anche di una specifica e complessa regolazione finalizzata a modulare l’introduzione totale di energia, che ha conseguenze dirette sugli accumuli adiposi e le loro numerose funzioni (riserva energetica, organo endocrino, ecc.).

In condizioni fisiologiche il bilancio energetico è modulato al fine di garantire una condizione di equilibrio anche nel mantenimento del peso corporeo, ed è deputato a una complessa rete di tipo neuroendocrino che raccoglie segnali periferici, li integra a livello centrale e fornisce una risposta corticale in termini di comportamento che è influenzata anche dai fattori ambientali circostanti.

I sistemi integrativi centrali (SIC) individuano quelle aree cerebrali coinvolte nel comportamento umano di tipo volontario, come è quello dell’alimentazione. La motivazione che spinge ad alimentarsi è sostenuta dai meccanismi neurofisiologici della motivazione e della ricompensa.

La motivazione nasce a livello della corteccia cerebrale, dell’amigdala, dell’ipotalamo e di alcuni centri tronco-encefalici, e la spinta all’introduzione di cibo o bevande può nascere ed essere guidata dal piacere che ne deriva, quindi una spinta di tipo edonistico.

La ricerca del piacere rinforza un comportamento che è quindi messo in atto anche in assenza di una reale necessità fisiologica e biologica. In questo caso strutture facenti parte del sistema limbico e dei gangli della base (area del setto, ipotalamo laterale, substantia nigra, nucleo acumbens, ecc.) sostengono questo processo.

L’ipotalamo integra le risposte viscerali e somatiche, ha un ruolo chiave nel modulare il bilancio energetico poiché integra i segnali provenienti dalla periferia con quelli provenienti

da varie aree cerebrali, e regola conseguentemente l’ipofisi anteriore le vie autonomiche discendenti. In questo modo può bilanciare l’introduzione calorica e la spesa energetica e quindi le dimensioni delle masse adipose corporee (Hochberg, et al., 2010). L’ipotalamo quindi controlla il sistema nervoso autonomo e, per mezzo dell’ipofisi, il sistema endocrino. Il sistema nervoso autonomo è parte del sistema nervoso periferico (assieme al sistema nervoso somatico) innerva organi, vasi sanguigni e ghiandole. Il sistema nervoso autonomo a sua volta si differenzia in simpatico, che si incarica dello stato di attivazione dell’individuo, regolando anche risposte ancestrali legate al meccanismo di attacco o fuga, quindi con una risposta fisiologica volta alla dilatazione delle pupille e all’incremento delle funzioni metaboliche; e il sistema nervoso autonomo parasimpatico, che invece è deputato al ripristino dell’omeostasi e cessazione della fase di allerta. Con il suo nucleo ventromediale e laterale l’ipotalamo controlla il sistema neurovegetativo. La stimolazione del nucleo ventromediale determina un aumento della glicemia, della gluconeogenesi, della termogenesi a carico del tessuto adiposo, e della lipolisi. La stimolazione del nucleo laterale, induce la fame, riduce la presenza insulinica, stimola la liposintesi e l’aumento di peso. Nella regolazione dell’appetito e nell’impiego dei nutrienti, un ruolo chiave compete anche all’epifisi, ghiandola collocata posteriormente al terzo ventricolo, implicata nella sintesi di melatonina che influenza la produzione di leptina. Inoltre l’epifisi si colloca nel più ampio quadro di riferimento degli assi ipotalamo-ipofisiari di regolazione degli ormoni surrenalici, tiroidei e androgeni.

Le sindromi ipotalamiche hanno ripercussioni diretta a livello della regolazione della nutrizione: si tratta di lesioni dell’ipotalamo che possono

essere determinate da trauma cranico, encefalite, meningite, tumori del cervello che determinano compressione a livello dell’ipotalamo, intossicazione (anche da alcool), infezioni virali e batteriche, fattori di stress o shock, alterazioni ormonali (tipiche dello stato gravidico), difetti congeniti, ipossia cerebrale. Essendo l’ipotalamo un centro di regolazione fondamentale per ogni organo umano, le sindromi ipotalamiche hanno inevitabili conseguenze anche sulle abitudini alimentari.

Sono più spesso individuabili nelle donne di età compresa fra i 30 e i 40 anni, ma possono ricorrere a causa dei cambiamenti ormonali (oltre che per le cause precedentemente indicate) anche in fase puberale, o per ipossia fetale in fase neonatale. Tra i chiari sintomi di una sindrome ipotalamica si riscontrano proprio obesità e bulimia (oltre naturalmente ad altra sintomatologia specifica).

Ma anche un ritardo nella crescita prenatale può interferire sulla programmazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene inducendo una condizione di iperattività che permane nell’adolescenza e anche nella vita adulta, inducendo una intensa propensione a iperalimentarsi (Torres & Nowson, 2007). Questo genere di programmazione inoltre induce adattamenti corticosurrenali specifici nei due sessi, in particolare nel sesso maschile come risposta allo stress, ma anche in condizioni basali nelle ragazze.

La sindrome ipotalamica laterale induce: mancanza totale di fame, rifiuto ad alimentarsi, anoressia. Il medesimo processo avviene per danneggiamento dell’ipotalamo mediale, che aumenta gli stimoli anoressizzanti dell’ipotalamo laterale, così come una mancata risposta dell’ipotalamo mediale ai segnali inviati dal tessuto adiposo per mezzo della leptina o della proopiomelanocortina (Abuzzaham & Shoemaker, 2019).

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Disturbi del comportamento alimentare

La sindrome ipotalamica ventrale induce: costante senso di fame, aumentato desiderio di alimentarsi, obesità.

Il trattamento delle sindromi ipotalamiche con ricadute metaboliche prevede, oltre alla terapia dietetica, anche l’intervento farmacologico, ad esempio con octreotide, agonista della somatostatina che limita il rilascio di insulina (Abuzzaham & Shoemaker, 2019); il metilfenidato è stato utilizzato per ridurre l’intake calorico e la richiesta di cibo, soprattutto grassi, per mezzo dell’aumento dell’attività del sistema dopaminergico implicato nei meccanismi di ricompensa (Goldfield, et al., 2007), ma anche di altre classi farmacologiche come gli agonisti del recettore dell’incretina glucagon-like peptide-1 (Bo, et al., 2021).

Il GLP-1 (glucagon-like peptide 1) è un ormone appartenente alla famiglia delle incretine (peptidi che regolano l’omeostasi del glucosio), viene prodotto in risposta all’ingestione di cibo a partire dal pro-glucagone nelle cellule L del tratto gastrointestinale e a livello ipotalamico. In risposta all’ingestione di alimenti la sintesi di GLP-1 stimola la β-celulla pancreatica determinando una maggiore risposta insulinica. Il GLP-1 ha in ogni caso effetti multiorgano, sopprime la produzione di glucagone, ha effetto neuroprotettivo e cardioprotettivo, aumenta il senso di sazietà, migliora la diuresi e l’escrezione di sodio, aumenta la vasodilatazione mediante sintesi di ossido nitrico, incrementa l’uptake di glucosio da parte dei cardiomiociti, favorisce la proliferazione e contrasta l’apoptosi delle β-cellule. Il GLP-1 ha una emivita molto breve e viene disattivato dalle proteasi che rendono impossibile ad almeno il 50% del GLP-1 prodotto di raggiungere i recettori specifici. Nel novero delle sindromi ipotalamiche con ricadute a livello di comportamento alimentare e peso corporeo, è utile ricordare come anche i trat-

tamenti chirurgico o radioterapico possono determinare la condizione di obesità (Pinkney, et al., 2002), così come condizioni genetiche a esordio precoce (nell’infanzia), tipicamente deficit del recettore della melanocortina-4 (MC4R), la sindrome di Prader-Willi o di Bardel-Biedl, e naturalmente i deficit nella produzione di leptina o nell’espressione recettoriale (Hochberg, et al., 2010).

Pertanto non solo le problematiche ipotalamiche, ma anche il loro trattamento, possono avere ricadute sulla gestione del peso corporeo. In letteratura è noto lo studio di Hetherington e Ranson (2004) che, inducendo delle lesioni su modelli murini a livello ipotalamico, individuarono un cambio significativo nel comportamento alimentare e nell’obesità, nello specifico lesioni bilaterali dell’ipotalamo laterale determinavano anoressia con drastica riduzione del desiderio di cibo; lesioni bilaterali dell’ipotalamo ventromediale determinavano aumento del desiderio di alimentarsi inducendo obesità. Lo stesso si verifica con la somministrazione di oppioidi e anfetamine. Le condizioni di forte stress inducono una serie di effetti a cascata, differenziabili in termini di risposta acuta e risposta cronica. La risposta acuta individua un rilascio di catecolamine da parte della midollare del surrene. Stress prolungati, come quelli individuabili come conseguenza di stati d’ansia tipici dei soggetti affetti da DCA, determinano il rilascio di cortisolo da parte della corticale del surrene sotto l’influenza dell’ipofisi, a sua volta controllata dall’ipotalamo. Quindi lo stress agisce sul SNA che, interfacciato con l’ipotalamo rilascia CFR (fattore di rilascio della corticotropina) che induce l’ipofisi a innescare il rilascio di ACTH (ormone adrenocorticotropo) che stimola la corticale del surrene alla produzione di cortisolo e catecolamine (adrenalina e noradrenalina) da parte della midollare.

Stress cronico, e quindi cronica produzione di cortisolo, agiscono direttamente sulla condizione di obesità, al netto di altre implicazioni altrettanto gravi, prime fra tutte la depressione del sistema immunitario.

Ipotesi patogenetiche di tipo neurofunzionale

Tra le ipotesi patogenetiche proposte nel quadro dei disturbi del comportamento alimentare una grande rilevanza appare a riguardo del deficit di elaborazione emozionale derivante dalle informazioni provenienti sia dal cibo che dall’immagine corporea. Non a caso tra i soggetti affetti da anoressia nervosa e bulimia nervosa emerge una riduzione del tono dell’umore e temperamento disforico, e le condotte poste in essere come l’eliminazione o le abbuffate rivestono un ruolo proprio nel ridurre l’entità dell’alterazione del tono dell’umore. A tale scopo si sono succeduti numerosi studi volti a indagare mediante fMRI (risonanza magnetica funzionale) l’attività cerebrale di soggetti con DCA al fine di individuare elementi di suscettibilità neurobiologica individuabili mediante tecniche di neuroimaging funzionale. Le tecniche di neuroimaging hanno fornito un enorme contributo allo studio in vivo delle funzioni cerebrali che, in precedenza, era naturalmente impossibile. Tali tecniche si dividono in statiche, ossia quelle procedure come la TAC o RMI che permettono di ottenere informazioni relative alla forma del cervello, ad eventuali traumi, lesioni, o eventi tumorali in corso; e tecniche dinamiche, che indagano l’attivazione delle aree cerebrali coinvolte. Le tecniche dinamiche possono a loro volta essere di tipo diretto, se registrano il potenziale elettrico cerebrale (EEG/ ERP), o indirette se analizzano l’attività metabolica del cervello e le variazioni nel flusso ematico (PET, fMRI, ecc.).

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Ciascuna tecnica di neuroimaging si caratterizza poi in termini di risoluzione spaziale e temporale: la prima fa riferimento al livello di dettaglio anatomico fornito; la seconda al tempo di latenza tra l’evento indagato e la sua acquisizione. La rilevanza biologica rivestita dal cibo rappresenta uno stimolo efficace e capace di generare reazioni misurabili nell’essere umano, in particolare mediante fMRI, alla vista degli alimenti. I primi studi, basati sull’individuazione di aree attive alla vista del cibo, hanno fatto emergere l’insula e la corteccia orbito-frontale come fortemente coinvolte nell’elaborare stimoli riconducibili al cibo e nel determinare la condotta alimentare (Wang, et al., 2004).

L’insula è coinvolta nelle informazioni emozionali, sensoriali viscerali, gustatorie, ed è connessa tra l’altro con l’amigdala. Riceve informazioni sulle caratteristiche di uno stimolo e quindi se un cibo è da ritenersi “appetitoso” o meno, consente di valutare il valore dello stimolo presentato all’interno del contesto in cui viene introdotto, e permette di integrare le informazioni relativamente all’effetto che l’introduzione potrebbe avere sul corpo. È determinante per processare le informazioni provenienti fisiologicamente dall’interno del corpo ma, le proiezioni ricevute dall’amigdala e dai centri talamici del gusto, le permettono di fornire anche una rappresentazione del piacere che il cibo può procurare.

Molti dei sintomi tipicamente associabili ai DCA e tra questi la distorsione dell’immagine corporea, la difficoltà a riconoscere la condizione di malnutrizione, potrebbero essere correlati a disturbi nella corretta consapevolezza delle sensazioni interne del corpo, mediate dall’insula. Un’altra area coinvolta è la corteccia orbito-frontale, che riceve una moltitudine di proiezioni e tra queste anche da parte dell’ipotalamo laterale, la porzione mediale della corteccia orbito-frontale invia afferenze dirette all’ipotalamo e al tronco per influenzare le funzioni autonome ed endocrine (Price, 1999). È possibile ipotizzare che l’insula e la corteccia orbito-frontale partecipino significativamente al comportamento alimentare mediante la codifica del valore di ricompensa attribuito al cibo. Già nel 1994 Rolls (Rolls, et al. 1994) aveva identificato nella corteccia orbito-frontale, nell’ipotalamo e nell’amigdala, la presenza di neuroni rispondenti alla visione del cibo, con un ruolo determinante da parte della corteccia orbito-frontale nello stimolo alla ricerca del cibo stesso. Molti autori, e numerose ricerche, si sono quindi focalizzate nell’ipotizzare la disregolazione delle connessioni in queste aree come fattori alla base della nascita di patologie legate ai disturbi del comportamento alimentare. Altri studi, condotti sulla visione di alimenti dal differente contenuto calorico in soggetti normopeso, hanno evidenziato l’attivazione prioritaria dell’amigdala alle visione di alimenti generici, mentre alimenti ipercalorici attivavano prevalentemente la corteccia gustatoria primaria, la corteccia somatosensitiva superiore dell’emisfero sinistro, e questo lascia supporre risposte cerebrali differenti sulla base di esperienze pregresse che quindi associano spinte motivazionali differenti in base al cibo presentato.

Ulteriori approfondimenti hanno portato a ritenere la presenza di circuiti neurali che operano in modalità

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indipendenti l’uno verso la ricerca e l’assunzione di cibo, collocabile a livello della corteccia orbito-frontale mediale e laterale, e l’altro attivo nel modulare i processi che inducono a interrompere l’introduzione di cibo e collocabile nella corteccia orbito-frontale caudale e laterale (Small, et al., 2001). Due sistemi distinti a livello della corteccia prefrontale implicati nella fame e nel comportamento finalizzato allo scopo (in questo caso quello di nutrirsi), oltre che al controllo dello stato d’animo e dei sentimenti. Il fatto che stimoli provenienti da alimenti ad alto contenuto calorico facciano rilevare alla fMRI una maggiore attivazione al livello della corteccia prefrontale mediale, conferma l’ipotesi del coinvolgimento complesso di quest’area nel comportamento alimentare per tramite delle proiezioni efferenti dirette all’ipotalamo e al tronco cerebrale. In quest’area si determina la valutazione del potenziale biologico del cibo, anche sulla base delle condizioni fisiche e dello stato nutrizionale del soggetto, che giungono nella medesima area grazie alle afferenze provenienti dal nucleo mediale dorsale del talamo. La differente attivazione della corteccia orbito-frontale in condizioni di sazietà o in condizioni di forte appetito, conferma in numerosi studi che quest’area occupa un ruolo preminente sia nel riconoscimento delle condizioni fisiologiche del soggetto che nell’associare il piacere alla gratificazione derivante dal cibo.Questo ha evidenti implicazioni nella psicopatologia dell’anoressia nervosa, in quanto consente di individuare le strutture neurali coinvolte nelle risposte di evitamento e fobia nei confronti del cibo e, in particolare di quello calorico. Allo stesso tempo una disregolazione di queste medesime aree può spiegare il comportamento tipo del BED e della bulimia, con situazioni di iperfagia e obesità correlata.

La corteccia orbito-frontale mediale infatti influenza il comportamento del soggetto modificando la valenza del cibo e, contestualmente, il meccanismo del marcatore somatico ipotizzato da Damasio (1995), ossia la sensazione piacevole o spiacevole che il soggetto percepisce in relazione a una scelta. Damasio descrive il ruolo proprio delle cortecce prefrontali e in particolare della corteccia prefrontale ventromediale nel decision making e nel comportamento emotivo, affermando che il processo cognitivo umano non sia circoscritto alle strutture sottocorticali ma si estenda a tutto l’organismo. Pertanto le decisioni non sono più il mero risultato di ragionamenti mentali sul rapporto costi/benefici.

Al contrario di quanto ritenuto in passato in cui si riteneva il decision making un processo prevalentemente razionale, è oggi risaputo che le scelte si basano più sul soddisfacimento della motivazione edonica (Cabanac, 1992).

Per Damasio nel processo di scelta fra differenti opzioni, la decisione si basa sulla considerazione di eventi simili nei quali ci si è imbattuti in passato, processo dal quale non ci si esime nella scelta del cibo, in termini di tipologia, quantità, ecc. Un problema o un danno nell’area della corteccia orbito-frontale mediale può avere ricadute nella corretta interpretazione dei segnali negativi e positivi e questo può avere chiare ripercussioni nello sviluppo di un DCA, che quindi sarebbe la risultante di una condizione disfunzionale a livello frontale.

Ulteriori studi confermano la correlazione tra elementi disfunzionali organici e comportamento alimentare: ad esempio, l’analisi del flusso ematico a livello della corteccia temporo insulare risulta ridotto (all’indagine PET) in soggetti che denotano un più marcato desiderio di alimentarsi con cibi ipercalorici, pertanto l’attività di questa area anatomica è stata

associata al grado di desiderabilità del cibo. Soggetti affetti da bulimia nervosa hanno un maggiore flusso regionale al livello delle cortecce frontali inferiore destra e temporale sinistra, dopo l’assunzione di un pasto (Nozoes, et al., 1995).

Sempre all’indagine mediante fMRI si hanno ulteriori conferme di attivazioni differenti in soggetti con DCA alla vista del cibo, registrando una maggiore attività nella corteccia orbito-frontale mediale e della corteccia cingolata anteriore, ritenendo questo genere di risposta come elemento evidente e comune nei disordini alimentari. Per altro queste regioni anatomiche sono le medesime coinvolte nella patogenesi delle manifestazioni ossessivo-compulsive o nelle dipendenze da sostanze (Nozoes, et al., 1995), circostanze spesso sovrapponibili anche ai DCA. Inoltre, le medesime indagini hanno fatto emergere nei soggetti con DCA una marcata riduzione nell’attivazione della corteccia anteriore prefrontale laterale, alla base della inibizione di comportamenti non desiderabili, quindi una soppressione del suo intervento spiega il mancato controllo di impulsi e comportamenti negativi da parte di soggetti con DCA.

Anche l’attivazione del lobo parietale inferiore risulta completamente differente tra soggetti affetti da anoressia (con minore attivazione dell’area) e soggetti obesi che mostrano una marcata iperattivazione alla vista del cibo.

Per quanto riguarda l’immagine corporea, studi di neuroimaging evidenziano come le regioni cerebrali deputate dello schema corporeo subiscono una attivazione solo se sottoposte alla visione dell’immagine della paziente medesima in condizione di sottopeso. Elemento che chiarisce il bisogno compulsivo di osservarsi, controllarsi, scrutarsi. Al di là di alcuni studi qui riportati, preme sottolineare che la letteratura a supporto, basata su neuroimaging

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è straordinariamente corposa, e le conclusioni portano tutte nella medesima direzione.

In estrema sintesi, sotto il profilo neurobiologico, le ricerche si sono concentrate sui circuiti cerebrali connessi con l’apprendimento e la ricompensa, in particolare la regione del corpo striato, la regione insulare e frontale possono essere malfunzionanti al punto da innescare o perpetuare la condizione di DCA. Stesso peso potrebbe essere attribuito ad alterazione nelle connessioni di differenti aree cerebrali.

Ipotesi patogenetiche di tipo genetico ed epigenetico

Le influenze genetiche sulla comparsa ed evoluzione dei DCA non sono meno rilevanti, al punto che alcuni autori affermano ad esempio che nello sviluppo dell’anoressia nervosa le componenti genetiche rilevino in un 50%-70% di casi (Paolacci, et al., 2020). Studi su gemelli omozigoti fanno emergere che se uno dei due fratelli ha un DCA, nel 48%-75% dei casi lo svilupperà anche l’altro (Bulik, et al. 2006), e lo stesso vale naturalmente nel caso di genitori che soffrono o hanno sofferto di DCA. Fermo restando naturalmente le influenze ambientali, anche solo questi dati sarebbero sufficienti a ipotizzare una stretta implicazione genetica.

Anoressia nervosa, bulimia nervosa, BED e molteplici disturbi alimentari sottosoglia, grazie allo sviluppo delle neuroscienze, fanno emergere in modo sempre più marcato la presenza di una vulnerabilità genetica alla base. Grazie a studi familiari, studi su gemelli e di genetica molecolare emergono in modo sempre più robusto i correlati biologici nello sviluppo e nel mantenimento dei DCA. I geni candidati sono quelli che codificano per i neurotrasmettitori, i neurormoni e i fattori di crescita. Nel

dettaglio, sebbene vi sia una ampia eterogeneità, il gene 5HT2A e il ruolo del BDNF sono quelli che suscitano maggiore interesse (Farrino, et al., 2007). Ulteriore area di indagine è quella degli endofenotipi; maggiormente ereditabili come fattori di rischio sarebbero alcuni tratti stabili come: impulsività, ossessività, perfezionismo, disturbo dell’immagine corporea, tratti temperamentali, sensibilità alla dieta e ai messaggi sociali ad essi correlati. Per endofenotipo si intende una componente a cavallo tra il genotipo e il fenotipo di una patologia, è caratterizzato da ereditabilità, associazione con la patologia osservata, indipendente dallo stato della malattia, co-segregato in ambito familiare, presente in familiari affetti e non affetti. Il gene 5HT2A codifica per un recettore della serotonina, le sue mutazioni sono associate tra l’altro ad una maggiore suscettibilità, alla schizofrenia e al disturbo ossessivo-compulsivo e sono anche associate alla risposta all’antidepressivo citalopram nei pazienti con disturbo depressivo maggiore, che mostrano una risposta significativamente compromessa.

In relazione al BED, il disturbo è risultato associato a una mutazione che coinvolge il recettore della melanocortina (Branson, et al., 2003), oltre che la combinata presenza di anomalie nell’azione funzionale di leptina, grelina e insulina (Hellstrom, et al., 2004).

Probabilmente, sebbene per alcuni aspetti fallace, una prima comparsa in letteratura di una spiegazione genetica perlomeno per le condizioni di obesità, è da far risalire al concetto di “genotipo parsimonioso” (thrifty genotipe), introdotto da Neel nel 1962 (Neel, 1962), secondo cui per gli uomini primitivi sarebbe stato vantaggioso disporre di una sorta di selezione contestuale ad un gene che avrebbe favorito il deposito e l’accumulo di grasso nei periodi di

forte disponibilità energetica, al fine di meglio fronteggiare le fasi della carestia. Questa selezione naturale si sarebbe poi rivelata deleteria ai giorni nostri in cui la disponibilità costante di cibo, ed il suo ruolo anche in contesti sociali, determinerebbe una maggiore difficoltà nel controllo dell’alimentazione e una conseguente propensione all’aumento di peso sino a condizioni clinicamente patologiche.

Sebbene questo approccio presenti delle falle e delle imprecisioni, conserva il concetto per il quale il genoma umano possiede una sorta di imprinting capace di modulare e interferire con le risposte comportamentali e metaboliche che potrebbero per esempio spiegare anche i processi di rebound che seguono le diete ipocaloriche, che in qualche modo simulano un periodo di carestia, con successive fasi di introito di cibo elevato che rappresentano la fase dell’abbondanza. Proprio il reiterarsi di tentativi autogestiti di perdere peso, spesso associati a diete drastiche, rappresenta del resto l’innesco per alcuni DCA.

Sempre dal punto di vista della selezione genetica, vi è anche l’ipotesi definita del “fuggire dalla carestia”, secondo cui vi sarebbe un adattamento evolutivo determinato dall’epoca dell’uomo cacciatore e raccoglitore. La condizione di carestia geograficamente circoscritta, elemento quindi ricorrente, avrebbe determinato la migrazione verso altri luoghi, salvo che di individui con specifici polimorfismi che consentivano loro di ignorare la fame, e quindi di essere avvantaggiati evitando il rischio di una migrazione (Guisinger, 2003).

Questo tipo di selezione determinerebbe ai giorni nostri un elemento predisponente l’AN, pur in assenza di carestie; una tale condizione ridimensiona significativamente il senso della fame. Affinché un allele vantaggioso emerga sono richiesti

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elementi specifici correlati all’intensità della selezione naturale in termini di mortalità della frequenza, con la quale eventi che influenzano la mortalità hanno avuto luogo. A tal proposito Keys (Keys, et al., 1959) afferma che ci sono numerose prove che confermano la selezione sul genoma umano operata da digiuni e carestia; tale selezione ha avuto luogo influenzando la mortalità e la fertilità degli individui; le carestie non devono essere considerate troppo datate; l’autore ne considera 190 ben documentate nel corso degli ultimi 2000 anni nella sola area del’Inghilterra. Ma anche in Italia nella sola carestia del 1376 perirono i 2/3 della popolazione, a conferma della forte pressione selettiva operata da simili eventi (Watkins & Menken, 1985). Un individuo obeso, in condizioni di carestia, ha certamente una maggiore probabilità di sopravvivenza e di trasmissione dei tratti genetici. Si ribadisce tuttavia che, pur con una deduzione logica, mancano gli elementi a conferma di tale ipotesi non sapendo se effettivamente il numero delle morti abbia colpito in modo prevalente i soggetti magri, così come manca un dato preciso sulle dimensioni della popolazione in determinati periodi storici. Inoltre occorre tenere presente che in situazioni di carestia la ricerca del cibo diviene meno selettiva, e quindi non è da escludere siano malattie o avvelenamenti ad agire in termini di mortalità. Tuttavia, sempre in termini deduttivi, è ipotizzabile che i soggetti magri siano non solo più propensi ad una minore selezione, ma tendano anche ad una maggiore vulnerabilità. Pertanto il discorso sulla selezione a livello genetico torna e essere una ipotesi sostenibile. Se si considera la condizione ossessivo compulsiva che caratterizza buona parte dei soggetti con specifici DCA, che si presentano in comorbilità, già gli studi di Taylor su gemelli omozigoti e dizigoti misura la trasmissibilità di domini disfunzio-

nali individuando una componente genetica (Taylor, et al., 2010). Lo stesso Taylor, in una metanalisi per l’individuazione dei polimorfismi specificamente coinvolti nella comparsa del disturbo ossessivo-compulsivo segnala l’interessamento del gene che codifica per il trasportatore della serotonina (5 HTTLPR), il gene che codifica per il recettore della serotonina (HTR2A), e il gene coinvolto nella codifica degli enzimi che procedono alla degradazione delle catecolamine (COMT), confermando la frequenza di queste anomalie nella presenza di disturbo ossessivo-compulsivo (Taylor, 2016).

Sempre in ambito genetico, uno studio longitudinale sulla metilazione (Steiger, et al., 2019) del DNA in soggetti con anoressia nervosa ha individuato una minore metilazione di 58 siti nei soggetti non affetti (o in remissione) rispetto ai soggetti con anoressia nervosa. I geni coinvolti nella differente condizione di metilazione erano quelli inerenti il metabolismo lipidico e glucidico, l’attività del recettore della serotonina e le funzioni immunitarie.

Un ulteriore studio (Castellini, 2012) è stato condotto per indagare la correlazione tra il polimorfismo del gene che codifica per il trasportatore della serotonina (5 HTTLPR) e la condizione di anoressia nervosa e bulimia.

Lo studio è stato condotto prima della terapia cognitivo-comportamentale, al termine della terapia e a 3 anni dalla sua conclusione, individuando nell’allele S del genotipo 5 HTTLPR un fattore di rischio sia per la sintomatologia depressiva che per anoressia nervosa oltre che per il buon esito della terapia cognitivo comportamentale.

Più in generale polimorfismi a carico di questo gene possono essere alla base di una risposta più fragile allo stress che può innescare una disregolazione del comportamento alimentare e la comparsa di disturbi specifici in assenza di margini di

resilienza adeguati, soprattutto in caso di eventi ambientali scatenanti come traumi, abusi, ecc.

La prevenzione primaria, secondaria e terziaria dei disturbi del comportamento alimentare

In termini preventivi, come per qualunque altro ambito, si parla di prevenzione primaria, prevenzione secondaria e prevenzione terziaria. Nel contesto specifico dei DCA.

La Prevenzione Primaria si incarica di prevenire del tutto la comparsa della patologia riducendo o eliminando i fattori di rischio o l’esposizione ad essi. Può essere coadiuvata da attività di educazione e informazione, che però non si limitino a fornire passivamente informazioni sui disturbi o sulle implicazioni che li caratterizzano, che purtroppo a volte possono avere su soggetti specifici perfino un ruolo di fascinazione, ma che prevedano soprattutto lo scambio, il confronto e il dibattito. Nei casi in cui si è sperimentato l’intervento scolastico con incontri multipli in piccoli gruppi su soggetti di età superiore ai 15 anni, si è consentito di operare efficacemente sia in termini preventivi che di individuazione precoce dei problemi. È evidente che, come per tutte le patologie complesse e multifattoriali, non essendoci una singola causa, il concetto di prevenzione primaria è estremamente critico e, secondo alcuni autori, scarsamente attuabile. Tuttavia è altrettanto vero che l’ambiente gioca un ruolo determinante in termini di pressione emotiva e socioculturale, e il rapporto costi/benefici della prevenzione ha un bilancio totale di tipo favorevole.

La Prevenzione Secondaria prevede, come per altre patologie, l’individuazione precoce, possibilmente prima della comparsa del quadro sintoma-

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tologico, riducendo quindi l’impatto e le conseguenze del disturbo. Nello specifico va quindi improntata alla riduzione della morbilità e al rischio di cronicizzarsi. Gli strumenti prevedono ovviamente di individuare precocemente i soggetti a rischio o l’avvio di pratiche che, pur nella loro apparente normalità e spesso auspicabilità (es.: l’inizio di una dieta, l’avvio di una pratica sportiva), possono essere un segnale precoce di un approccio disfunzionale. Ancor di più in relazione ad ambiti disciplinari e interessi in cui la fisicità è oltremodo esaltata e la magrezza una sorta di valore aggiunto. In questo caso, non essendo il soggetto protagonista dell’intervento capace di comprendere il meccanismo verso il quale sta procedendo, la formazione ha un ruolo determinante (al contrario della prevenzione primaria) a patto che però riguardi le famiglie, i medici e i pediatri, ma anche gli educatori in generale e le figure professionali che operano in ambito sportivo.

La Prevenzione Terziaria ha il compito di trattare gli individui che hanno sviluppato un DCA, riducendone le complicanze. La prevenzione terziaria prevede anche l’accesso a centri specializzati per la riabilitazione, che purtroppo sono ancora numericamente pochi e prevedono spesso l’accesso solo per situazioni enormemente critiche. Occorre quindi agire rapidamente per evitare l’ulteriore aggravio della situazione e la riduzione della sintomatologia in corso. Il ruolo dell’ambiente e delle relazioni è dunque estremamente importante, sia in termini preventivi che in termini favorenti i DCA, più in generale l’ambiente può essere ritenuto portatore di fattori predisponenti (al pari di elementi di natura biologica e fisiologica), fattori scatenanti e fattori perpetuanti Questi ultimi riguardano il processo disfunzionale appreso, per effetto del quale si affrontano stati emotivi di tipo negativo, (ansia, stress), per tramite dell’alimentazione. Utilizzare il cibo per tenere a bada le proprie emozioni è un

determinante fattore perpetuante, che a sua volta alimenta il disagio e richiede nuovi comportamenti disfunzionali, in un circolo vizioso dal quale alcuni non riusciranno ad uscire mai.

Conclusioni

L’analisi delle molteplici cause che risiedono dietro la manifestazione di un disturbo del comportamento alimentare, al netto degli aspetti più prettamente della sfera psicologica propriamente detta (posto che possa essere fatto un netto distinguo), evidenzia in questa disamina quanto gli elementi organici possano incidere a livello comportamentale. Questo elemento, spesso poco noto al di fuori degli ambiti professionali, dovrebbe invece mitigare ulteriormente la tendenza allo stigma sociale che colpisce ancora oggi chi è affetto da un DCA. La letteratura documenta un atteggiamento mediamente critico da parte delle persone nei confronti di chi è affetto da disturbi del comportamento alimentare (Crisp, 2005), ed anche la semplice esperienza comune conferma che in genere ci si riferisca alle persone con DCA come diretti responsabili della situazione, colpevolmente incapaci di reagire e modificare le proprie sorti. Un atteggiamento di sottovalutazione che ricalca quello spesso adottato anche per altre forme di problemi di ordine psicologico come la depressione. É radicato convincimento che vi sia un rifiuto dell’individuo a voler reagire e “guarire”, operazione che si ritiene richieda solo un po’ di forza volontà. Questo tipo di atteggiamento naturalmente, oltre a contenere una errata percezione, è esso stesso un elemento in più che crea difficoltà non solo nei confronti del trattamento di persone in circostanze critiche, ma genera un rigetto nella presa di consapevolezza e nella richiesta di aiuto per il timore di essere giudicati e stigmatizzati. Anche per questo il ruolo preventivo resta ancora una delle armi più efficaci nei confronti dei DCA in generale, e l’individuazione precoce dei fattori di rischio può consentire di giocare d’anticipo.

Sul fronte dei professionisti che operano nel trattamento dei disturbi occorre ulteriormente sottolineare l’importanza di un lavoro di equipe che non sia solo formale, e che consenta una pianificazione attenta e tailor made sul singolo. Se, come si è visto, accanto a componenti di natura psicologica è possibile sommare quelle organiche, allora l’intervento deve interessare due fronti professionali. Ma se per tramite del microbiota e delle ricadute in termini di saziamento e sazietà, si rileva l’importanza dell’alimentazione, sia in termini di condizionamento classico, che per la modulazione ormonale e a livello di neurotrasmettitori, il nutrizionista diventa importante non solo per strutturare un quadro che sia adeguato sotto il profilo dell’apporto energetico e di macronutrienti ma, forse perfino con rilievo maggiore, che possa sostenere la buona salute del microbiota e dei meccanismi coinvolti nella fame. E ancora, se è noto e confermato quanto anche l’attività fisica possa agire in termini di modulazione ormonale, di modulazione dei neurotrasmettitori e dei loro recettori, e quanto ciascuno di questi elementi influenzi e venga influenzato reciprocamente dagli altri, forse anche il professionista delle attività motorie merita un coinvolgimento che non diviene rilevante solo nella gestione del sovrappeso (quando un DCA lo determina), ma diventa fondamentale perfino nelle condizioni in cui il paziente utilizza l’attività fisica come mero strumento di compensazione, e lo diventa anche nel consentire una maggiore consapevolezza corporea. Purtroppo invece, nella maggior parte dei casi, a fronte di un problema che colpisce in modo sempre più frequente e subdolo, l’accesso a strutture che garantiscano la molteplice presenza di professionisti resta un miraggio. Il tutto è delegato a reti che insorgono autonomamente tra professionisti, e alle risorse cui la famiglia può fare ricorso.

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ABSTRACT

Eating disorders are a rapidly spreading psychiatric problem with high mortality rates compared to other psychiatric pathologies. Alongside the investigation of environmental, social and family causes that are commonly and widely studied and investigated, there are less known aspects concerning functional, genetic and epigenetic factors, which represent risk factors that need to be known.

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Di questo articolo è disponibile una videolezione accessibile al seguente link: www.depascalis.net/psicoDCA o inquadrando il QR code con il cellulare

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KEYWORDS

Effetti dell’attività fisica sulla forza, la resistenza e la qualità della vita nel soggetto con sclerosi multipla

La qualità di vita di soggetti con sclerosi multipla è inferiore rispetto alla popolazione sana e rispetto a persone che soffrono di altre malattie tra cui ictus ischemico e artrite reumatoide (Benito-Leon J, et al, 2003).

Questo potrebbe essere associato alla natura incerta e imprevedibile della malattia, all’attuale

incurabilità e all’esordio durante gli anni più produttivi della vita che caratterizza la malattia.

L’effetto della malattia sulla qualità di vita potrebbe essere contraddistinto dal peggioramento della deambulazione e dall’aumento della sensazione di fatica. Questo sottolinea la necessità di individuare delle modalità per la

gestione di questi sintomi, conseguenza inevitabile della malattia. Una vecchia metanalisi ha valutato l’effetto complessivo dell’esercizio fisico sulla qualità di vita tra i pazienti con sclerosi multipla. I ricercatori analizzarono le banche dati dal 1960 al 2006 per valutare la relazione tra l’esercizio fisico e la qualità di vita in questi soggetti.

L’evidenza scientifica sostiene che l’esercizio fisico, in particolare quello di tipo aerobico e cardiorespiratorio, ebbe notevoli effetti positivi sulla qualità di vita dei pazienti (Motl R.W., et al. 2008).

Un recente studio ha analizzato il rapporto tra qualità di vita ed esercizio fisico nella popolazio-

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Multiple sclerosis; adapted physical activity; aerobic endurance; muscle strength; disability. Dott.ssa Silvia Fant Laureata in Scienze Motorie, autrice del volume “Attività fisica e sclerosi multipla” da cui è tratto l’articolo. silviafant@libero.it

ne di soggetti affetti da sclerosi multipla. Il riesame ha valutato l’effetto dell’allenamento sulle capacità fisiche, sulla mobilità, sulla fatica e sulla qualità di vita. La ricerca ha incluso cinquantaquattro studi, di cui solo ventuno hanno soddisfatto i criteri di revisione sistematica. Nel complesso, i ricercatori hanno decretato che l’evidenza bibliografica era insufficiente per trarre conclusioni certe sugli effetti dell’attività fisica sulla qualità di vita nei soggetti con sclerosi multipla. Tale conclusione è stata in parte associata ai limiti metodologici della revisione che si è focalizzata su tutti i domini in generale, non valutando le singole voci. Molti studi però evidenziano una buona correlazione tra l’esercizio fisico e l’aumento della qualità di vita nelle persone con sclerosi multipla, come ad esempio dopo un protocollo di esercizio aerobico, di forza e protocolli combinati.

Nello studio “Impact of aerobic training on fitness and quality of life in MS” 1996, Petjan e colleghi hanno suddiviso 54 pazienti in due gruppi sperimentali. Il primo ha svolto attività fisica aerobica della durata di 40 minuti, coinvolgendo sia gli arti superiori che gli arti inferiori, tre volte alla settimana per quindici settimane, mentre il secondo gruppo, che fungeva da controllo, non ha svolto attività motoria di alcun tipo. I risultati hanno evidenziato che già tra le cinque e le dieci settimane sono risultati statisticamente rilevanti l’incremento del VO2max e della forza, sia degli arti superiori sia degli arti inferiori, la diminuzione delle pliche cutanee, dei trigliceridi e del colesterolo a bassa densità e i punteggi del POMS (profile of mood states). Inoltre dalla decima settimana è risultata statisticamente diminuita la fatica.

Nello studio di McCullagh R., Fitzgerald P., Murphy: “Long-term benefits of exercising on quality of life and fatigue in Multiple Sclerosis patients with mild disability: a pilot study” 2008, è stato proposto lo svolgimento di esercizi per tre mesi per tre volte la settimana evidenziando una diminuzione dell’affaticabilità e un incremento nella qualità di vita rispetto il gruppo che non svolgeva alcun tipo di attività motoria.

Nicole M. et al., nello studio “The impact of regular physical activity on fatigue, depression and quality of life in persons with multiple sclerosis” 2009, hanno costatato che una costante attività fisica sembra avere migliori benefici su qualità di vita, fatica e depressione.

Nello studio “Physical activity and associated levels of disability and quality of life in people with multiple sclerosis: a large international survey” 2014, Claudia H. M. et Al. hanno valutato, in un grande sondaggio internazionale, l’attività fisica, i livelli associati alla disabilità e la qualità di vita di soggetti con sclerosi multipla recidiva remittente. I parametri che hanno confrontato sono la quantità di attività fisica e la salute correlata alla qualità di vita, il tasso di ricaduta, la disabilità, e le variabili demografiche delle diverse disabilità. Il sondaggio è stato proposto online ed era formato da diversi questionari. È stato utilizzato l’IPAQ (Questionario Internazionale per l’Attività Fisica) in forma breve per oggettivare la quantità di attività fisica quotidiana e il tempo trascorso stando seduti negli ultimi sette giorni. Attraverso i punteggi ottenuti nel test e grazie ai dati ricavati da un contapassi e da un accelerometro sono stati

stimati i livelli di consumo d’ossigeno.

Le variabili personali considerate erano l’età, il genere, l’altezza, il peso. Per valutare la quantità e l’intensità dell’esercizio fisico sono state misurate la durata e la frequenza delle attività e, successivamente, da queste sono stati derivati i MET, cioè multipli del tasso metabolico a riposo. Le categorie individuate suddividevano i soggetti in: Elevata attività, attività vigorosa per almeno tre giorni alla settimana con accumulo minimo di 1500 MET-min/ sett o sette o più giorni di qualsiasi insieme di attività d’intensità moderata o vigorosa ottenendo minimo 3000 MET-min/ sett, Moderata attività: tre o più giorni di attività vigorosa per almeno 20 minuti al giorno, o cinque o più giorni di qualsiasi insieme di attività d’intensità moderata o vigorosa ottenendo un minimo di 600 MET-min/sett Bassa attività: nessuna o qualche attività, ma non abbastanza per soddisfare le altre due categorie. In base al tasso di ricadute nei dodici mesi precedenti l’attività in relazione alla malattia è stata classificata come crescente, decrescente o stabile. Il questionario MSQOL-45 è stato utilizzato per valutare la qualità di vita e analizzare lo stato di salute fisica e mentale. Questa indagine è stata svolta su 2232 soggetti, in prevalenza donne di età compresa tra i 38 e i 53 anni. I risultati hanno evidenziato che una maggior quantità di attività fisica è svolta dai maschi più giovani e con indice di massa corporea più basso. Inoltre, l’attività fisica è stata correlata come fattore positivo per la salute e la qualità di vita. Nelle persone con sclerosi recidiva remittente

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si è evidenziata una netta correlazione tra l’attività motoria e la diminuzione di ricadute, mentre coloro che hanno praticato bassi livelli di attività fisica hanno avuto più ricadute nel corso dell’anno rispetto a coloro che sono risultati più attivi. L’età non è risultata significativamente correlata con l’attività motoria all’interno dei vari gruppi di disabilità. In particolare si sono evidenziati particolari miglioramenti nel passaggio da bassi a moderati livelli di attività fisica. Inoltre, lo studio ha registrato, dopo un programma di lavoro di dodici settimane sul treadmill, incrementi del livello di energia delle persone con alta disabilità (60%), dei livelli di salute mentale (del 22,4%), dei livelli di salute fisica (del 30,3%) e delle funzioni sociali (del 12,6%). Quindi svolgere attività fisica può limitare o rallentare la comparsa dei sintomi e delle disabilità malattia correlati. L’attività fisica ha effetti positivi per quanto riguarda il benessere fisico ed emotivo dei soggetti: infatti, quest’ultimo è un fattore correlato con il miglioramento della salute e della qualità di vita in quanto aumenta il funzionamento sociale.

Al contrario, i bassi valori di attività fisica sono correlati con l’aumento delle disabilità. L’inattività fisica induce un maggior rischio di comorbidità e obesità che a loro volta comportano decondizionamento e debolezza muscolare aumentando la velocità di progressione della malattia.

Nello studio “High-intensity resistance training in multiple sclerosis — An exploratory study of effects on immunemarkers in blood and cerebrospinal fluid, and on mood, fatigue, health-related quality of life, muscle strength, walking and cognition” (Marie K., et al., 2016) si sono ricercati gli effetti dell’allenamento ad alta intensità in soggetti con sclerosi multipla. Il campione di venti persone, di età compresa tra 18 e 50 anni, è stato valutato con la scala EDSS, con un test cognitivo e con il prelievo del liquido cerebrospinale. Hanno poi valutato i livelli cognitivi, di ansia, di depressione e di fatica dei partecipanti. Per quanto riguarda le caratteristiche motorie hanno valutato la forza degli arti inferiori e la massima escursione articolare del ginocchio.

attività fisica adattata

L’intensità dell’allenamento è stata valutata nei soggetti grazie ad una scala di cinque valori: che vanno da troppo facile a troppo difficile. I dati sono stati raccolti prima dell’inizio del protocollo sperimentale ed entro tre settimane dall’ultima sessione di allenamento. L’allenamento è stato eseguito due volte alla settimana per la durata di 60 minuti.

La durata complessiva dell’allenamento prevedeva 12 settimane di lavoro sotto la supervisione di un fisioterapista esperto. I partecipanti hanno avuto cinque possibili alternative di allenamento ogni settimana per garantire la disponibilità. La seduta prevedeva un riscaldamento di cinque minuti sulla cyclette, quattro esercizi per la parte superiore del corpo (pull down, dips, row, chest press), tre esercizi per la parte inferiore (leg press, knee extension, knee flexion) e un esercizio di plank addominale. L’intensità di allenamento è stata dell’80% di 1RM e gli esercizi alle macchine erano suddivisi in tre serie da dieci ripetizioni con un recupero variabile da uno a tre minuti tra una serie e l’altra. L’aumento del carico era effettuato quando il soggetto era in grado di eseguire più di sette ripetizioni e il loro adeguamento è stato eseguito almeno ogni due settimane.

I risultati hanno evidenziato un notevole abbassamento del livello di TNF nelle citochine plasmatiche. I valori della valutazione dell’umore, della fatica e della qualità di vita sono notevolmente migliorati dopo il protocollo di allenamento. Nove pazienti sono stati classificati come soggetti con un grande grado di fatica prima del periodo di formazione, al secondo controllo, dopo l’esercizio fisico, e solo tre sono rientrati in quel sottogruppo.

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I tre esercizi dove è stato visto un notevole aumento della forza sono stati la posizione di plank addominale, leg press e dips, con un aumento medio del 79%, 74% e 63%. Anche la mobilità articolare del ginocchio è aumentata sia in flessione sia in estensione. Sedici partecipanti hanno valutato il programma di esercizio come molto buono e uno come buono.

Lo studio ha dimostrato che con un protocollo di allenamento ad alta intensità di dodici settimane ha avuto effetti positivi sui livelli di citochine, ha diminuito la sensazione di stanchezza e migliorato la qualità di vita dei partecipanti. Inoltre il protocollo ad alta intensità è stato ben tollerato da soggetti e sembra perciò essere un metodo d’intervento sicuro ed efficace nelle persone con sclerosi multipla.

EFFETTI DELL’ESERCIZIO FISICO SULLA FORZA, LA RESISTENZA E LA SPASTICITÀ

Numerosi studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico può migliorare la forza muscolare nelle persone con sclerosi multipla. I protocolli hanno incluso esercitazioni di resistenza aerobica, esercitazioni di forza e protocolli misti che comprendevano sia esercizi di forza che di resistenza o diverse altre attività, come il nuoto e l’utilizzo di tapis roulant. Nonostante i protocolli comprendessero popolazioni molto eterogenee e che le esercitazioni fossero organizzate in maniera differente tra le varie sperimentazioni, gli studi hanno costantemente rilevato un aumento della forza muscolare dopo l’allenamento. Una revisione dei protocolli di allenamento di resistenza ha esaminato i risultati di sei studi randomizzati di allenamento di resistenza con persone affette da sclerosi multipla confrontan-

doli con sei studi non controllati (Kjolhede T, et al. 2012). Negli studi randomizzati erano presenti anche soggetti con gravi disabilità, i punteggi EDSS variavano da 1,0 a 6,5, mentre la durata e l’intensità di allenamento comprendevano dalle due alle cinque sedute a settimana per un periodo da 3 a 20 settimane. Le modalità di attività prevedevano esercitazioni con i pesi liberi, con gli elastici e con le macchine isotoniche con allenamenti di forza ad intensità tra il 70% e l’80% di 1RM. Lo studio sperimentale di Petajan e colleghi è stato uno dei primi a segnalare miglioramenti nella forza muscolare nelle persone con sclerosi multipla dopo che sono stati randomizzati in un protocollo che prevedeva esercitazioni di ciclismo sia degli arti superiori sia degli arti inferiori al 3060% del VO2max per tre volte a settimana per quindici settimane rispetto al solo protocollo di cura. Il miglioramento della forza muscolare è stato riportato anche con l’esercizio al tapis roulant, il nuoto e un protocollo combinato di esercizio aerobico ed esercizio di forza. In un altro studio del 2013 si è fornita una revisione globale degli effetti fisici dell’esercizio nelle persone con sclerosi multipla. La forza muscolare è risultata essere un importante determinante della velocità di cammino nelle persone con sclerosi multipla. Gli effetti di allenamento aerobico e allenamento di resistenza alla velocità di cammino sono stati di minor peso rispetto agli effetti della forza muscolare. Almeno uno studio randomizzato di resistenza (Dalgas U., et al., 2009) e un protocollo di allenamento sul tapis roulant (Van den Berg M, et al., 2006) hanno riferito un miglioramento nella velocità di movimento; studi non controllati hanno inoltre riferito ulteriori miglioramenti (Motl R.W, et al., 2012).

Alcuni studi hanno riportato effetti positivi dell’esercizio fisico sulla riduzione della spasticità nelle persone con sclerosi multipla. Questi hanno incluso il ciclismo, un progetto di attività fisica di gruppo e un protocollo di cammino.

EFFETTI DELL’ESERCIZIO FISICO SULLA CAPACITÀ AEROBICA

La capacità aerobica è un importante fattore salute correlato sia per soggetti sani sia per persone affette da sclerosi multipla. Infatti, questa capacità è associata al rischio cardiovascolare, a migliori prestazioni di cammino e migliori capacità cognitive. Solitamente il VO2max nei soggetti con sclerosi multipla viene valutato grazie al valore di VO2peak. Il VO2max è correlato significativamente con il valore di EDSS, con l’età e con il sesso. La correlazione tra VO2max e EDSS prevede che l’aumento di un valore nella scala della disabilità corrisponda una diminuzione del VO2max del 2,6 ml*kg -1 *min -1 . Da ciò si può dedurre che con la diminuzione del VO2max e l’aumento dell’EDSS è destinato ad aumentare considerevolmente anche il rischio di mortalità per causa cardiovascolare. Un altro parametro correlato con il VO2max è l’affaticamento. Anche in questo caso la correlazione è negativa perché al diminuire dell’uno aumenta l’altro. Spesso il minor valore di VO2max registrato in soggetti affetti da sclerosi multipla è probabilmente derivato da una bassa attività fisica quotidiana piuttosto che da danni tessutali provocati dalla malattia.

Infatti, analizzando gli adattamenti cardiovascolari e della capacità aerobica tra soggetti sani e soggetti malati non si sono evidenziate particolari differenze e il miglioramento, dopo uno specifico allenamento, sembra essere analogo per le due popo-

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lazioni. Inoltre la differenza di capacità aerobica può anche essere collegata ad un abbassamento della frequenza cardiaca massima nei soggetti affetti da sclerosi multipla dal momento che il VO2max è strettamente correlato con questa e vari studi hanno registrato una diminuzione della frequenza cardiaca massima nei soggetti malati piuttosto che nei controlli sani. In letteratura non si trovano controindicazioni all’allenamento aerobico in soggetti anziani sani e in pazienti anziani con diverse tipologie di comorbidità. Lo spettro di disabilità derivato dalla sclerosi multipla può trarre beneficio dall’allenamento aerobico poiché contrasta il declino fisiologico del sistema cardiovascolare. In una recente metanalisi si è riscontrato che con l’allenamento aerobico si può migliorare il VO2max di ben 3,5 ml*kg -1 *min -1 . Va però notato che questa tipologia di allenamento è stata studiata principalmente in soggetti deambulanti (DESS minore di 6) e si hanno pochi dati per quanto riguarda il miglioramento della capacità aerobica nei soggetti con un grado di disabilità maggiore. Il miglioramento del valore di VO2max è stato confermato anche dallo studio di Kodama et al. del 2009.

In questo studio è stato dimostrato che l’aumento di un MET, equivalente a 3,5 ml*kg -1 *min -1 di VO2max, è associato alla riduzione percentuale di 1,48 nella probabilità di sviluppare una malattia cardiovascolare. Purtroppo per quanto riguarda la durata e l’intensità più efficace dell’allenamento aerobico non ci sono dati certi. È probabile che l’eterogeneità dei gruppi sperimentali possa aver compromesso l’individualizzazione di risultati chiari comprendendo soggetti che rispondevano e sog-

getti che non rispondevano all’allenamento aerobico individuale.

Nello studio di Ponichtera-Mulcare et al. del 1997 è stato analizzato il miglioramento del VO2max tra un gruppo sperimentale con EDSS di 4,5 e un altro gruppo con disabilità minore e valore di EDSS compreso tra 5 e 6,5 dopo un protocollo di allenamento all’ergometro di 24 settimane. Lo studio ha evidenziato come i soggetti con minor disabilità hanno incrementato il loro VO2max del 17% mentre nei soggetti con EDSS minore, e quindi maggiore disabilità, il miglioramento è stato solo del 7%. Tuttavia nello studio di Mostert e Kesselring del 2002 è stato evidenziato che i soggetti con maggior disabilità tendono a migliorare di più la loro capacità aerobica. Inoltre è da ricordare che il miglioramento della capacità aerobica viene influenzata anche da altri fattori oltre che dall’esercizio fisico, ad esempio la predisposizione genetica. L’attività aerobica è una buona terapia per migliorare i sintomi della sclerosi multipla. Aumentando i livelli di attività fisica si migliora il VO2max. L’allenamento aerobico produce risultati molto eterogenei nella popolazione dei soggetti colpiti da sclerosi multipla, è quindi difficile creare un programma di lavoro standard ed uguale per tutti i soggetti. C’è la necessità di creare un protocollo personalizzato per ogni soggetto in base alle sue caratteristiche e necessità personali.

Nello studio di Mostert S., et al.: “Effects of a short-term exercise training program on aerobic fitness, fatigue, health perception and activity level of subjects with MS” 2002, sono stati messi a confronto 26 soggetti con sclerosi multipla con altrettanti soggetti sani. Il protocollo prevedeva lo svolgimento di attività fisica aerobica della durata di 30 minuti al

cicloergometro per cinque volte a settimana per un mese. L’intensità di lavoro era personalizzata. I miglioramenti si sono evidenziati nell’incremento del consumo di ossigeno, della capacità polmonare e nella diminuzione della fatica.

LA DEAMBULAZIONE

Il deterioramento della capacità di deambulazione è uno dei sintomi più importanti e preoccupanti della sclerosi multipla perché strettamente correlata con l’autonomia del soggetto. Molte evidenze affermano che con l’esercizio fisico si possono migliorare le capacità di cammino grazie a probabili miglioramenti a livello del sistema nervoso centrale e grazie a incrementi delle capacità motorie come la forza, la resistenza muscolare e la capacità cardiorespiratoria.

La metanalisi di Pearson M. del 2015 ha rilevato miglioramenti clinicamente significativi nel tempo di 10 m walk test (10 MWt) (16,5% di miglioramento) e 2 minute walk test (2 MW) (19% di miglioramento), inoltre ha raccolto miglioramenti, anche se non statisticamente rilevanti, nel test dei 6 minute walk test e nel tempo del time-up-and-go tempo (TUG). Motl nel 2013 ha evidenziato come 800 passi al giorno sono la discriminante minima per persone con sclerosi multipla, suggerendo che questo valore di soglia sia utile come parametro di valutazione negli studi di cammino in soggetti con la sclerosi multipla.

Alcuni studi hanno evidenziato che alcuni tipi di esercizio fisico aerobico, di forza o una combinazione dei due, possa migliorare la resistenza e la velocità della camminata. Da alcuni controlli è emerso che le esercitazioni di cammino sono state più efficaci quando erano supervisionate piuttosto che quando l’esercizio non era controllato.

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Lo studio “Treadmill Training or Progressive Strength Training to Improve Walking in People with Multiple Sclerosis? A Randomized Parallel Group Trial” di Siri Merete Brændvik et Al. del 2015, ha ricercato quale fosse il miglior metodo per migliorare il cammino nelle persone con sclerosi multipla. Camminare è una capacità fondamentale per il mantenimento dell’autonomia e dell’indipendenza del soggetto. Dal punto di vista clinico, è pertanto essenziale trovare interventi che mirano ad attenuare il decadimento di questa capacità e che la mantengano e la migliorino. La debolezza muscolare è un fattore che può contribuire alla perdita della capacità di cammino nella sclerosi multipla. Una forte correlazione tra la forza e la compromissione del cammino è stata segnalata nel 2005 da Thoumie. Tuttavia una recente revisione ha rilevato che non vi è una forte evidenza tra l’aumento della forza nelle persone con EDSS inferiore a 6.5 e il miglioramento della capacità di cammino (Kjolhede T, et al., 2012).

Ha ricercato il metodo più efficace di allenamento del cammino sul tapis roulant. La ricerca ha evidenziato che l’allenamento sul treadmill ha portato benefici ai soggetti per quanto riguarda la capacità di camminare, ma non è stata in grado di evidenziare qual è il metodo più efficace tra il cammino non supportato, il cammino supportato e il cammino guidato dal robot.

Inoltre, in questo studio si è ricercato quale fosse il metodo migliore per incrementare la capacità di cammino tra un allenamento di forza e un allenamento sul treadmill. I partecipanti hanno preso parte a esercizi di gruppo tre volte a settimana per otto settimane. I ventinove soggetti sono stati suddivisi in due gruppi: un gruppo svolgeva un allenamento sul tapis roulant mentre l’altro svolgeva un allenamento di forza. L’allenamento sul tapis roulant prevedeva tre diverse esercitazioni da sette minuti l’uno. Il primo esercizio prevedeva un’andatura a velocità confortevole ma con l’aumento della pendenza, il secondo eserci-

zio prevedeva un lavoro di cammino guidato da una voce modello e il terzo protocollo prevedeva una camminata veloce aumentando del 10% la velocità confortevole.

Durante le otto settimane la velocità è stata progressivamente aumentata dal 10% al 40% della velocità ottimale. Ad ogni allenamento veniva controllata la velocità confortevole per modulare l’intensità dell’esercizio. I soggetti non dovevano superare il 70% della frequenza cardiaca massima. L’esercitazione aveva durata di 30 minuti con un recupero di 2 minuti tra le prove. L’allenamento della forza è stato condotto secondo le attuali linee guida dell’American College of Sports Medicine e prevedeva cinque esercizi per gli atri inferiori e per la core stability. L’intensità degli esercizi era all’80% di 1RM e prevedeva due serie da sei ripetizioni per ogni esercizio. Ogni gamba era allenata separatamente e il carico veniva incrementato di 0,25 kg quando il soggetto era in grado di eseguire più di sei ripetizioni. Anche in questo caso la durata dell’allenamento era di trenta minuti. I soggetti sono stati valutati prima della sperimentazione e una settimana dopo la conclusione del protocollo di allenamento. I risultati hanno evidenziato che il protocollo di allenamento eseguito sul treadmill era più efficace rispetto all’allenamento di forza per migliorare il cammino nei soggetti con sclerosi multipla con EDSS maggiore o uguale a sei. Nel 2007, Newman M.A. et Al, nello studio: “Can aerobic treadmill training reduce the effort of walking and fatigue in people with MS: a pilot study” hanno proposto a 16 pazienti con sclerosi multipla un programma di lavoro da dodici sedute di allenamento su treadmill della durata di 30 minuti, con un’intensità corrispondente al 55-

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85% della frequenza cardiaca massima. Dallo studio è emerso un miglioramento del consumo d’ossigeno, un aumento nella velocità di camminata, una riduzione del tempo d’appoggio dell’arto più debole e aumento del tempo d’appoggio dell’arto più forte. Per quanto riguarda la fatica non si sono registrate variazioni.

EFFETTI DELL’ESERCIZIO FISICO SULL’EQUILIBRIO

Le anomalie nell’equilibrio rappresentano un altro dominio colpito da deficit nella sclerosi multipla. L’effetto della malattia su questa capacità è particolarmente evidente nella posizione eretta (Prosperini L, et al. 2013). È importante porre l’accento su questa capacità perché i problemi di equilibrio possono essere associati a cadute e lesioni derivante da quest’ultime. Inoltre, le misure di oscillazioni posturali sono stati associati al cammino, alle prestazioni cognitive, e alla sfera sociale nelle persone con sclerosi multipla (Coote S, et al., 2002).

In posizione eretta le afferenze sensitive utili per il mantenimento dell’equilibrio arrivano al sistema nervoso centrale dal contatto della pianta del piede con il terreno. Quando i recettori cutanei, come le cellule di Merkel, i corpuscoli di Pacini, i corpuscoli di Meissner, e le terminazioni di Ruffini, non trasmettono informazioni al sistema nervoso centrale si verificano squilibri posturali tipici della sclerosi multipla. In sperimentazioni di duplice compito ai soggetti affetti da sclerosi multipla veniva chiesto di eseguire un compito cognitivo, contare a ritroso, mentre venivano analizzate le loro capacità di equilibrio in tre differenti situazioni: su superficie rigida ad occhi aperti, su superficie rigida ad occhi chiusi e su superficie di gomma piuma ad occhi chiusi.

I soggetti hanno avuto risultati peggiori per quanto riguarda i valori di velocità di spostamento e di ondeggiamento antero-posteriore e medio-laterale del centro di pressione rispetto al gruppo di controllo sano. È inoltre emerso che il controllo posturale diminuisce all’aumentare della disabilità, della spasticità, del deficit di propriocezione, con l’affaticamento muscolare, l’età, con la diminuzione di forza e con l’elevato grado di lesioni del tronco cerebrale e del peduncolo cerebellare. Il controllo posturale è notevolmente diminuito durante l’esecuzione del compito cognitivo, aumento delle oscillazioni del 43% rispetto all’equilibrio rilevato in condizioni normali. La revisione sistematica di Paltamaa J. Et Al. pubblicata nel 2012 ha rilevato un piccolo ma significativo effetto della modalità di esercizio di equilibrio delle persone con sclerosi multipla lieve o moderata. Un programma di esercizio specifico per l’equilibrio di dieci settimane è risultato sicuro ed eseguibile da soggetti affetti da sclerosi multipla.

Il protocollo prevedeva esercizi di forza, mobilità e propriocettività, utili ad incrementare il benessere, le funzioni fisiche e la qualità di vita. I risultati hanno evidenziato un miglioramento significativo per quanto riguarda le prove su una particolare pedana di gommapiuma con occhi chiusi e nel controllo sagittale del tronco durante il cammino, la diminuzione dell’impatto della fatica percepita sul funzionamento fisico e mentale, e un aumento della qualità di vita. Anche l’equilibrio statico ha subito incrementi dopo un allenamento mirato in persone affette da sclerosi multipla di livello lieve o moderato (Nilsagard Y.E, et al., 2014). In un recente studio effettuato con l’utilizzo della Nintendo Wii Balance Board per svolgere un protocollo di equilibrio sono

emersi dei miglioramenti nella microarchitettura della sostanza bianca in trentasei soggetti con sclerosi multipla (Kjolhede T, et al., 2012). Il protocollo prevedeva un periodo di esercizio di dodici settimane durante le quali un gruppo svolgeva esercizi sulla Nintendo Wii Balance Board mentre l’altro gruppo non svolgeva alcun tipo di esercizio, seguito da un ulteriore periodo durante il quale i protocolli sono stati invertiti.

In questo modo il gruppo che precedentemente aveva svolto l’esercizio con la Nintendo Wii Balance Board, nel secondo periodo, non ha svolto alcun tipo di esercitazioni, mentre il secondo si allenava con la pedana. Entrambi gli esercizi avevano durata di 30 minuti e cadenza giornaliera. Durante le prime quattro settimane di esercizio erano proposti tre esercizi di core stability seguiti dall’introduzione di giochi ulteriori nel tempo residuo. Ci sono stati notevoli miglioramenti nella capacità di spostamento del baricentro e nello square test, inoltre sono aumentate le connessioni cerebellari dopo il periodo di allenamento alla piattaforma. I miglioramenti non si sono mantenuti durante il follow-up. Gli stessi risultati, ma in maniera opposta si sono verificati per il secondo gruppo. In generale con l’esercizio fisico si hanno dei piccoli vantaggi sull’equilibrio nelle persone con sclerosi multipla e questi miglioramenti potrebbero esser giustificati da cambiamenti microstrutturali delle connessioni delle regioni cerebrali deputate al controllo posturale e all’equilibrio.

EFFETTI DELL’ESERCIZIO FISICO SULLA PERCEZIONE DI FATICA

La fatica è uno dei più comuni e onerosi sintomi della sclerosi multipla. Essa si verifica in quasi l’80% delle persone affette da questa malattia e ha importanti

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implicazioni nel peggioramento della disabilità neurologica e altri sintomi come la depressione, il dolore, l’ansia e il deficit cognitivo. La fatica è un sintomo che può portare all’abbandono o alla perdita del lavoro. È stato riscontrato che nella popolazione sana l’esercizio fisico può aiutare a gestire i livelli di energia e di fatica, ma per quanto riguarda i soggetti affetti da sclerosi multipla si destava preoccupazione per gli effetti che il movimento potesse indurre in loro. Infatti, si supponeva che l’esercizio fisico potesse peggiorare il sintomo della fatica abbassando i livelli di energia, di riserve energetiche e aumentando la temperatura corporea. Una diminuzione del sintomo è stata riscontrata dopo un protocollo di esercizio aerobico negli studi di Petajan et al. del 1996, Rampello et al. del 2007 e Sabapathy et al. del 2011. Anche l’esercizio di resistenza e la combinazione di esercizi di resistenza e aerobici hanno indotto alla diminuzione della fatica. Anche forme alternative di esercizio, differenti da quelle standardizzate, come il nuoto, la pallavolo e lo yoga, hanno portato benefici ai soggetti affetti da sclerosi multipla nella riduzione della sensazione di fatica. L’attività in acqua risulta essere molto vantaggiosa nella riduzione del sintomo della fisica in quanto il lavoro in immersione permette un buon controllo della temperatura corporea e l’utilizzo di tecniche di raffreddamento hanno fornito effetti positivi sulla fatica. Nella metanalisi di Asano M. et al. del 2014 si sono voluti indagare diversi interventi, tra cui l’autogestione e la terapia farmacologica, per valutare l’efficacia nella riduzione del sintomo della fatica grazie all’esercizio fisico in soggetti affetti da sclerosi multipla. È emerso che gli interventi motori sono stati più efficaci degli interventi farma-

cologici in ben sette studi e l’esercizio fisico ha comportato la riduzione della sensazione di fatica nei soggetti sperimentali piuttosto che in quelli di controllo.

Tali risultati inducono a pensare che l’esercizio fisico porta un miglioramento clinico significativo per quanto riguarda la percezione della fatica nei soggetti con sclerosi multipla e che anche l’educazione all’autogestione può essere un efficacie metodo per il controllo e la gestione di tale sintomo. Anche altre metanalisi evidenziano come l’esercizio fisico ha indotto miglioramenti, se pur piccoli, a questo sintomo.

L’aumento del VO2max è fortemente correlato con la diminuzione della fatica, inoltre anche il miglioramento della capacità respiratoria ha un grande valore nella regolazione della sensazione di affaticamento. I meccanismi che inducono la riduzione del sintomo non sono ancora definiti in modo univoco e s’ipotizza possano essere di origine muscolare, cardiovascolare e di ricondizionamento fisico. Un effetto diretto sul sistema nervoso centrale in relazione con i fenomeni di plasticità non è escluso, ma non è stato ancora dimostrato in relazione alla sclerosi multipla.

È importante sottolineare che nessuno studio ha dimostrato un significativo peggioramento della percezione di fatica con qualsiasi tipo di esercizio, fornendo così importante rassicurazione per i pazienti e sottolineando l’importanza dell’esercizio fisico per le persone affette da sclerosi multipla. Nello studio “Extended outpatient rehabilitation: its influence on symptom frequency, fatigue and functional status for persons with progressive MS” 1998, di Di Fabio R. P. et al., ritroviamo 46 pazienti in due gruppi, di cui uno soltanto svolgeva attività fisica. Dopo un

anno di sperimentazione i soggetti ai quali era proposta la riabilitazione per cinque ore una volta a settimana hanno registrato un miglioramento dell’affaticabilità rispetto al gruppo di controllo. Nello studio italiano “The role of fatigue in the associations between exercise and psychological health in Multiple Sclerosis: Direct and indirect effects“ del 2013, Roppolo Mattia, Mulasso Anna, Gollin Massimiliano, Bertolotto Antonio, Ciairano Silvia hanno voluto indagare gli effetti diretti e indiretti dell’attività fisica sulla salute psicologica e sulla percezione della fatica di soggetti affetti da sclerosi multipla. Il primo scopo dello studio è stato quello di esaminare gli effetti diretti dell’allenamento sulla percezione di fatica, sulla depressione e sulla qualità di vita delle persone con sclerosi multipla.

Il secondo scopo dello studio si proponeva di determinare gli effetti indiretti alla partecipazione a un progetto di attività motoria e adattamento psicosociale attraverso la fatica. La fatica è considerata come variabile rilevante nello studio degli effetti indiretti, essendo uno dei sintomi più invalidanti della malattia che a oggi resta intrattabile.

La fatica è direttamente influenzata dall’allenamento fisico ed è uno tra i sintomi che influenza maggiormente gli aspetti psicosociali delle persone con sclerosi multipla. I trentacinque soggetti che hanno preso parte allo studio erano donne colpite da SM recidivante-remittente, con età media di 40 anni e punteggio EDSS compreso tra 0 e 3, con stile di vita sedentario che non praticavano sport o attività fisica strutturata da almeno un anno e che svolgevano attività lavorative poco impegnative dal punto di vista fisico. Le pazienti sono state valutate con i questionari Fatigue

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movimento - N.

Impact Scale, Beck Depression Inventory e MSQOL-54. Il gruppo sperimentale ha preso parte ad un programma di allenamento che comprendeva esercizi di forza ed esercitazioni aerobiche, 75 minuti a sessione, due volte a settimana per 12 settimane. Le sedute prevedevano un riscaldamento iniziale sulla bici con il raggiungimento del 60% della frequenza cardiaca massima. Le esercitazioni che avevano come obiettivo lo stimolo delle capacità aerobiche prevedevano venti minuti di esercizio alla cyclette ad intensità crescente (65-70% della frequenza cardiaca massima) mentre, per quelle di forza, il lavoro prevedeva venti minuti di esercizi per i principali gruppi muscolari (ad esempio, parte bassa della schiena, spalle, bicipiti, tricipiti, addominali, quadricipiti, polpacci) suddivisi in tre serie da quindici ripetizioni con un minuto di recupero tra queste. La partecipazione ha contato in media diciassette sedute per soggetto. I risultati hanno dimostrato benefici dell’allenamento fisico sulla percezione della fatica, sulla depressione, sull’attività sociale e sulla qualità della vita nel gruppo sperimentale. Inoltre hanno evidenziato la correlazione tra l’affaticamento e la partecipazione alle attività motorie, tra la depressione e l’attività sociale con la qualità di vita. Altri studi hanno registrato un aumento moderato della qualità di vita delle persone affette da sclerosi multipla con l’allenamento, mentre pochi studi sono riusciti a dimostrare gli effetti positivi dell’esercizio fisico con la partecipazione all’attività sociale (Sutherland G, et al., 2001). I grandi miglioramenti delle variabili psicosociali trovati in questo studio sono probabilmente derivati dall’utilizzazione di un protocollo individualizzato di attività fisica, al supporto sociale

offerto dai formatori e al basso livello di disabilità dei partecipanti. Il gruppo sperimentale ha evidenziato una miglior capacità di adattamento psicologico al termine del progetto, confermando i risultati di altri ricercatori. I risultati hanno evidenziato una diminuzione dell’affaticamento e della depressione e un miglioramento dell’attività sociale e della qualità di vita. Inoltre è risultato che la percezione della fatica svolge un ruolo intermedio nella relazione tra attività fisica e misure psicologiche. Probabilmente la buona efficacia del protocollo di allenamento evidenziata nello studio è derivata dalla metodologia di lavoro uno a uno e la possibilità di adattare l’intensità dell’allenamento alle condizioni giornaliere del soggetto seguendo il principio fondamentale dell’attività fisica adattata. Riassumendo, lo studio ha riscontato efficacia nella combinazione di allenamento aerobico e di forza per il miglioramento degli aspetti psicologici in donne affette da sclerosi multipla e il ruolo della mediazione della fatica in tale rapporto. Nello studio “Acute moderate-intensity cycling exercise is associated with reduced fatigue in persons with multiple sclerosis” 2011, di Petruzzello, è stato analizzato il rapporto tra l’intensità dell’attività motoria e la percezione della fatica a seconda che questa fosse moderata o intensa. In studi precedenti è stato evidenziato che per ridurre la fatica è risultato efficace lo svolgimento di esercizio aerobico. Uno studio svolto nel 2000 ha dimostrato come le persone con sclerosi multipla possono svolgere in modo sicuro venti-trenta minuti di attività fisica a moderata intensità sulla cyclette. In questo studio sono state analizzate 25 donne con sclerosi multipla. Sono state valutate tramite un test incrementale al cicloergome-

tro registrando il VO2 di picco, l’anidride carbonica, la ventilazione e il rapporto di scambio respiratorio. Durante il test sono state valutate minuto per minuto la frequenza cardiaca, la fatica percepita e il dolore alle gambe. Il valore di VO2 registrato era considerato come VO2max quando erano soddisfatti almeno due dei seguenti parametri: rapporto di scambio gassoso uguale o maggiore di 1.10, picco di frequenza cardiaca entro i dieci battiti al minuto in relazione alla frequenza cardiaca massima, sforzo percepito di 17 su una scala da 6 a 20.

Il protocollo sperimentale prevedeva l’esecuzione di due prove incrementali svolte a distanza di una settimana l’una dell’altra. Inoltre nella prima sessione i partecipanti hanno compilato un questionario medico, la scala demografica e svolto un test incrementale ad esaurimento, mentre nella seconda sessione, dopo cinque minuti di riscaldamento, hanno svolto venti minuti di lavoro ad un’intensità pari al 60% del massimo consumo d’ossigeno, seguiti da altri cinque minuti di defaticamento. Nella seconda prova i parametri quali frequenza cardiaca, intensità di esercizio percepita e dolore alla gamba, erano raccolti ogni cinque minuti. Un altro parametro registrato è stato il profilo abbreviato Mood States (POMS) per la misura della fatica. La compilazione della scala è stata proposta prima di svolgere la prova fisica, dopo averla completata e a cinque, venti, e sessanta minuti dalla conclusione dello stesso durante il recupero. Questo particolare protocollo è risultato sicuro sia per l’intensità sia per durata. I risultati hanno evidenziato delle moderate riduzioni nei punteggi delle sottoscale fatica sul POMS di venti e sessanta minuti dopo l’esercizio ad alta intensità. Questo indica che i soggetti affetti da sclerosi multipla possono

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impegnarsi in esercizio fisico a moderata intensità, sperimentando una riduzione dell’affaticamento piuttosto che un peggioramento della sensazione di fatica. Tutti i soggetti hanno portato a termine il protocollo e non si sono registrate controindicazioni. Quindi l’esercizio fisico al cicloergometro è risultato una buona modalità di allenamento poiché è stato associato a riduzioni dell’affaticamento e quindi potrebbe risultare uno strumento adeguato alla gestione della fatica cronica nei pazienti con sclerosi multipla.

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Articolo tratto dal volume “Attività fisica e sclerosi multipla” della Dott.ssa Silvia Fant, ed. NonSoloFitness, disponibile per l’acquisto su www.nsf/libri

ABSTRACT

Physical activity plays an essential role in treatment of individuals with multiple sclerosis, to improve the quality of life and the phisical performance. Specific protocols allow to intervene on resistance, muscle strength, balance, and emotional conditions

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KEYWORDS

lat machine; pull-ups; latissimus dorsi; joint risk; muscle activation

Lat machine vs trazioni: dal rischio articolare al reclutamento muscolare

L’esercizio lat machine, in tutte le sue varianti, è uno dei mezzi principalmente utilizzati all’interno della sala pesi per la stimolazione del muscolo gran dorsale. Permettendo di selezionare il carico, consente di essere utilizzato anche nella routine allenante di soggetti principianti. Allo stesso modo, tuttavia, anche quello che può essere considerato l’alter ego a corpo libero, le trazioni, sono sempre utilizzate come variante o esercizio sostitutivo. In questo caso, invece, il vincolo di dover sollevare almeno il proprio peso corporeo, rende questo esercizio relegato a soggetti con una buona dose di forza e quindi sicuramente meno adatto per neofiti.

In generale, una macchina isotonica o un esercizio a corpo libero possiedono vantaggi e rischi differenti.

Nello specifico, saranno presi in esame i rischi articolari e il coinvolgimento muscolare degli esercizi lat machine e trazioni, sulla base della biomeccanica ed avvalendosi dell’attuale letteratura scientifica.

LAT MACHINE E TRAZIONI CON IMPUGNATURA PRONA

Lat machine e trazioni con avambraccio pronato prevedono un movimento di adduzione dell’omero sul piano frontale.

LAT MACHINE DIETRO LA TESTA

La lat machine dietro la testa prevede allo stesso modo, un movimento di adduzione dell’omero sul piano frontale. In questa variante tuttavia, viene portata la sbarra dietro la nuca invece che davanti allo sterno. Questa differenza esecutiva genera un’extrarotazione e abduzione dell’omero, aumentando così il rischio di impingement scapolo-omerale, di usura della cuffia dei rotatori ed infortuni del plesso brachiale (Fees M et al., 1998).

I compensi più frequenti sono rappresentati dalla flessione del tratto cervicale o dalla spinta indietro dei gomiti. Secondo Paoli (Paoli A., Neri M., Bianco A., 2013), sebbene questa posizione comporti il pre-accorciamento del piccolo rotondo e del sovraspinato con un minor loro effetto stabilizzante sulla testa dell’omero (stessa posizione del lento dietro), è comunque meno lesiva del lento dietro, poiché il carico non è in compressione ma in trazione.

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Dott. Michele Calabrese, Laureato magistrale in Scienze delle attività motorie e sportive. Docente NonSoloFitness. Titolare dell’associazione sportiva Duemme – mente & movimento. calabrese.michele89@gmail.com

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Paoli stesso, comunque, conclude sconsigliando l’esercizio in soggetti con instabilità scapolo-omerale e sindrome da contrasto.

LAT MACHINE E TRAZIONI IMPUGNATURA STRETTA

Lat machine e trazioni con avambraccio pronato, prevede un movimento di estensione/adduzione dell’omero su un piano ibrido frontale/sagittale (con netta prevalenza dell’estensione sul piano sagittale).

Focus: Pronazione dell’avambraccio a gomito flesso. Una pronazione completa di avambraccio a gomito completamente flesso (fase finale della concentrica negli esercizi trazione o lat machine con presa prona), rappresenta una forzatura articolare (Kapandji, 2006). Tale condizione sembrerebbe esporre, se presente con frequenza e reiterata nel tempo, a processi infiammatori e degenerativi a carico dei tendini dei muscoli con inserzione sull’epicondilo.

LAT MACHINE E TRAZIONI PRESA NEUTRA

Lat machine e trazioni con presa neutra prevede un movimento di estensione dell’omero sul piano sagittale.

LAT MACHINE E TRAZIONI PRESA INVERSA

Lat machine e trazioni con avambraccio supinato prevedono un movimento di estensione dell’omero sul piano sagittale. Focus: Supinazione dell’avambraccio a gomito esteso. A 180° di flessione/abduzione (braccia sopra la testa), la spalla possiede una scarsa capacità di rotazione. Per questo motivo, afferrare una barra dritta con avambraccio completamente supinato, in questa posizione, rappresenta una forzatura articolare (Kapandji, 2006) che porta a compensazioni in strutture quali spalla, gomito ed avambraccio. Nello specifico, la suddetta forzatura articolare comporta, se presente con frequenza e reiterata nel tempo, processi infiammatori e degenerativi a carico dei tendini dei muscoli con inserzione epitrocleare.

LAT MACHINE CON IMPUGNATURA SINGOLA O TRAZIONI CON ANELLI

Varianti esecutivi di lat machine con maniglie singole o di trazioni con anelli, rappresentano varianti che favoriscono in maniera ottimale la fisiologia articolare, permettendo una rotazione dell’avambraccio nel mentre dell’esecuzione e garantendo così una supinazione d’avambraccio a gomito flesso ed una pronazione a gomito esteso.

Come già analizzato in precedenza, questo svincolo articolare permette di evitare forzature e compensazioni a carico di polso e gomito.

La maggiore libertà di movimento durante l’esecuzione in questa variante, rappresenta dunque la chiave per la sicurezza articolare.

e movimento

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Scienza
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biomeccanica
Lat Machine retro - Shutterstock/Makatserchyk

LAT MACHINE VS TRAZIONI

Come analizzato, lat machine e trazioni sono movimenti biomeccanici identici che si differenziano:

• Per l’inversione del punto fisso: negli esercizi svolti alla lat machine è la barra che viene portata verso lo sterno mentre nelle trazioni è il tronco che viene sollevato verso l’alto.

• Applicazioni pratiche: nelle trazioni si manifesta una impossibilità di selezionare il carico, così come avviene invece per la lat machine, relegando questo esercizio per soggetti con una buona dose di forza di base.

• Utilizzo dei muscoli stabilizzatori: sicuramente maggiormente attivi durante le trazioni, al fine di evitare oscillazioni nello spazio che potrebbero così modificare la traiettoria ottimale del movimento.

ATTIVAZIONE MUSCOLARE: ANALISI DELLA LETTERATURA SCIENTIFICA

Per quanto riguarda l’attivazione muscolare nelle varie prese di lat machine e trazioni, è possibile osservare come sebbene ci sia un reclutamento differente di muscoli comprimari a seconda della presa, l’attivazione del muscolo gran dorsale abbia un impatto simile nelle diverse varianti.

Infatti, sulla base dell’analisi di tre diverse prese di lat machine (prona presa larga, prona dietro la testa e presa neutra con barra a V), sebbene il deltoide posteriore è risultato più attivo in lat dietro la testa e il bicipite brachiale maggiormente coinvolto in lat con barra a V, non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa sull’attivazione del dorsale rispetto alle varianti prese in esame (Sperandei et al. 2009).

Allo stesso modo, uno studio più recente (Andersen V. et al 2014) ha avuto lo scopo di valutare l’attivazione muscolare, mediante elettromiografia, su lat machine svolta con presa prona larga (2 volte la larghezza spalle) presa media (1,5 volte larghezza spalle) e stretta (larghezza spalle), su un campione di 15 uomini. Anche in questo caso, gli autori non hanno evidenziato variazioni statisticamente significative sull’attivazione del muscolo gran dorsale sulle 3 varianti, mentre si è registrata una maggior attivazione per il muscolo bicipite brachiale su presa stretta e media.

Anche nel caso delle diverse prese nelle trazioni (presa prona ad 1,5 volte larghezza spalle, con asciugamano e con maniglie in sospensione), il muscolo gran dorsale non sembra essere reclutato diversamente in maniera significativamente rilevante (Snarr et al. 2017).

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Trazioni con anelli - Shutterstock/Makatserchyk

Non è sullo stesso trend dei precedenti lo studio di Lusk SJ et al. (2010), che ha invece mostrato un’attivazione maggiore del muscolo gran dorsale nella presa prona rispetto alla supina, indipendentemente dalla larghezza della stessa.

Un interessante studio del 2013 (Doma K. et al.) ha invece esaminato l’attivazione dei muscoli principalmente coinvolti, mediante EMG, sia nelle trazioni che in lat machine presa larga. Dai risultati ottenuti è stato possibile evincere che gli esercizi attivino in maniera sovrapponibile il muscolo gran dorsale. Tuttavia, le trazioni hanno mostrato un livello leggermente superiore di attività per il muscolo bicipite brachiale. Secondo gli autori, ciò può essere dovuto al fatto che le trazioni consentono maggiori gradi di libertà di movimento, come evidenziato nello studio, per il maggiore spostamento orizzontale della spalla.

Le trazioni, inoltre, hanno evidenziato anche un’attivazione maggiore dei muscoli stabilizzatori (come erettori spinali e retto dell’addome). Questo dato può essere ricondotto alla natura funzionale delle trazioni, poiché generano una richiesta superiore di stabilità durante il movimento in virtù dei maggiori gradi di libertà ed oscillazioni nello spazio rispetto all’esercizio lat machine.

CONCLUSIONI

Da quanto esaminato circa la biomeccanica dei movimenti in funzione delle varie prese di lat machine e trazioni, il rischio articolare è circoscritto a varianti come la lat machine dietro la testa e al reiterarsi in cronico di situazioni potenzialmente dannose come la pronazione dell’avambraccio a gomito flesso o la supinazione dell’avambraccio a gomito esteso. In tal senso, una presa svincolata e che permetta di

ruotare l’avambraccio nel mentre dell’esecuzione, incide sicuramente in favore della fisiologia articolare. Per quanto concerne l’attivazione muscolare invece, sebbene con differenze relative ai muscoli comprimari, la letteratura scientifica mostra un trend nel quale il muscolo gran dorsale sembra essere coinvolto in maniera sovrapponibile nelle diverse varianti, ad eccezione della presa supina che, come suggerito dallo studio di Lusk SJ et al. (2010), ha invece mostrato un’attivazione minore del muscolo gran dorsale rispetto alla presa prona.

Ciononostante, alla luce di quanto esaminato e per quanto riguarda l’utilizzo di questi esercizi in maniera specifica nel resistance training, l’esercizio lat machine si presta ad essere maggiormente proficuo. Il dato relativo ad una maggiore richiesta di attivazione dei muscoli stabilizza-

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biomeccanica
Trazioni impugnatura prona - Shutterstock/Makatserchyk

tori nelle trazioni infatti, rende questo esercizio meno incline, a parità di ripetizioni, all’utilizzo di un tonnellaggio paragonabile all’esercizio lat machine.

La natura funzionale delle trazioni, inoltre, rende l’esercizio più impegnativo e con un effort più elevato sia in termini sistemici che nervosi.

ABSTRACT

The lat machine exercise, in all its variants, is one of the means mainly used in the gym for stimulating the latissimus dorsi muscle. In the same way, however, even what can be considered the free body alter ego, the pull-ups, are always used as a variant or substitute exercise. From the analysis of the scientific literature it emerged that joint risk is given by variants such as the lat machine behind the head and the chronic recurrence of potentially harmful situations such as rotation of the forearm in the various phases of movement. As for muscle activation, although with differences in the accessory muscles, it shows a trend in which the latissimus dorsi muscle seems to be used in the same way in the different variants.

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Trazioni impugnatura supina - Shutterstock/Makatserchyk
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KEYWORDS

Allenamento addominali: dalla teoria alla pratica

non visibile all’esterno. Se l’obiettivo fosse il dimagrimento, molto meglio optare per esercizi multiarticolari come squat, affondi, stacco e similari le cui esecuzioni (soprattutto se e svincolati dalle macchine) richiamano in maniera importante tutto il torchio addominale. Da non dimenticare, in tal senso, anche esercizi in regime pliometrico come, ad esempio, squat jump o affondi balzati: tutto ciò non solo per il richiamo muscolare al core, ma anche per l’impatto metabolico/ organico che questi esercizi comportano nel post allenamento (concetto in fisiologia conosciuto con

Quindi per avere la celebre “tartaruga” bisogna essere molto costanti allenamento e soprattutto

avere una percentuale di grasso corporeo piuttosto bassa in quanto tra le zone anatomiche prevalentemente occupate (tanto o poco che sia) dal grasso vi è proprio la fascia addominale. Evito di entrare nel contesto delle creme che promettono un addome piatto, non esistono e sarebbe una perdita di tempo star qui a disquisire sul nulla.

Il dimagrimento localizzato non esiste, motivo per cui anche le torsioni col bastone sono inutili oltre che dannose per il rachide lombare. Altro aspetto da considerare è la divisione tra addome alto e basso: questa è figlia anche di quanto scritto in parte sopra, in quanto è possibile che taluni soggetti abbiano i “quadratini” superiori visibili mentre quelli inferiori non godono della medesima visibilità. Da qui, centinaia di addominali alla settimana per stimolare gli addominali bassi. Ma questa distinzione è conseguenza solamente dell’estetica, non certo dell’anatomia. Il retto

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Laurea specialistica in Scienze Motorie, laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana, biologo nutrizionista, allenatore calcio Uefa B. Docente NonSoloFitness e Obesity, BMI, physical activity, habits, motivation.

dell’addome, come vedremo tra poco, presenta delle fibre verticali che percorrono anteriormente l’addome.

Il sistema nervoso si basa su un principio, definito del “tutto o nulla”. Senza entrare nello specifico di argomentazioni che esulano gli obiettivi di questo articolo, il suo significato è il seguente: se una fibra muscolare viene adeguatamente stimolata attraverso un potenziale d’azione, essa si contrae per tutta la sua lunghezza. Quindi, distillando ulteriormente il concetto, o si attiva per l’intera sua lunghezza o non si attiva. Per trasposizione, o le fibre del retto dell’addome si attivano per tutto il percorso anatomico o non ci sarà contrazione.

Al dimagrimento localizzato si associa un altro fattore, ossia la sensazione di contrazione in parti differenti dell’addome con alcuni esercizi, come ad esempio il crunch inverso. Ma in sala pesi le sensazioni sono spesso fuorvianti, basti ricordare che ancora si pensa a lavorare il petto “esterno” così come il bicipite “basso”. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la biomeccanica, ma è solo un esempio di come le sensazioni possano essere assolutamente fuorvianti.

Inoltre v’è da considerare un altro parametro, di natura strettamente anatomico/strutturale, per il quale la parte superiore all’ombelico potrebbe risultare maggiormente visibile

rispetto alla parte sottostante: l’aponeurosi dei muscoli addominali. Per aponeurosi s’intende la sottile fascia fibrosa che avvolge un muscolo, di colore bianco lucido, fascia che assicura al muscolo stesso l’inserzione a livello tendineo.

Da un punto di vista cellulare l’aponeurosi è molto simile al tendine e queste fasce sono presenti per l’appunto a livello della muscolatura addominale ma non solo: si rinvengono anche nella regione palmare, plantare, dorsale e lombare. In altri termini, l’aponeurosi altro non è che l’estensione fibrosa dello strato muscolare stesso (nella figura sopra è ben visibile la presenza dell’aponeurosi, di colore bianco).

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shutterstock/ medicalstocks

I muscoli larghi della parete addominale, che ne occupano sia la parte anteriore che laterale, si sovrappongono dall’esterno all’interno e sono in parte carnosi ed in parte aponeurotici. Questi muscoli, appiattiti e molto larghi sono i muscoli obliquo esterno, obliquo interno e muscolo trasverso, dal più superficiale al più profondo.

Tutti i fasci di inserzione dell’aponeurosi dell’obliquo esterno passano davanti al retto dell’addome per poi terminare nella linea alba: quindi il “foglietto” che avvolge il muscolo obliquo esterno anatomicamente segue un percorso che lo porta, in ultima analisi, innanzi al retto. Analizzando invece il percorso anatomico dell’aponeurosi del muscolo obliquo interno, posto subito al di sotto dell’obliquo esterno, notiamo una cosa interessante: in questo caso l’aponeurosi passa sì davanti al retto dell’addome, ma al di sotto dell’ombelico a differenza di quanto visto in precedenza. Anche in questo caso la funzione è quella di connettere l’aponeurosi alla linea alba. Questa caratteristica anatomica la ritroviamo anche per il muscolo trasverso.

In sostanza il muscolo retto dell’addome è racchiuso all’interno di una guaina di tessuto connettivo, formata dall’incontro delle aponeurosi degli strati dei tre muscoli della parete anterolaterale addominale. La parte superiore della guaina del muscolo retto (al di sopra dell’ombelico), è costituita dall’aponeurosi dell’obliquo esterno e da metà di quella dell’obliquo interno. La parte inferiore (ossia al di sotto dell’ombelico) vede invece il passaggio di tutte e tre le aponeurosi dei muscoli addominali, le quali poi vanno a terminare il loro percorso in prossimità della linea alba.

Cosa significa tutto ciò? Che avere addominali ben visibili non è cosa

semplice, soprattutto per l’intero tragitto anatomico compiuto dal retto dell’addome. A tutto ciò bisogna anche aggiungere che i muscoli addominali sono paragonabili a dei foglietti spessi pochi millimetri, inevitabile che la loro ipertrofia più di tanto non possa essere accentuata in una regione anatomica che è già fisiologicamente portata ad accumulare tessuto adiposo. Anche all’esame elettromiografico non è parsa nessuna differenza degna di nota tra porzione superiore e inferiore degli addominali in relazione ai differenti esercizi svolti (Piering et al, 1993) quindi allo stato dell’arte possiamo concludere che la suddetta distinzione è figlia primariamente delle sensazioni avvertite durante i vari tipi di crunch, ma nulla più.

Vista la vicinanza anatomica fra i muscoli addominali e i flessori dell’anca, in primo luogo il potente ileo-psoas, una scorretta esecuzione del crunch inverso tenderà a stimolare maggiormente i flessori dell’anca rispetto ai muscoli addominali (Andersson et al, 1997): questi ultimi lavoreranno tendenzialmente come stabilizzatori, mentre i protagonisti del movimento saranno i flessori dell’anca, come il già citato muscolo ileo-psoas, così come anche il retto del femore (muscolo biarticolare, agente anche sull’articolazione dell’anca come flessore). Per la corretta esecuzione dei movimenti vi rimando alle prossime pagine, ma sappiate che isolare gli addominali dai flessori dell’anca non è possibile: per quanto l’esecuzione possa essere consona, questi ultimi non possono essere “disinnescati” dal sistema nervoso centrale.

Sebbene si pensi che le ginocchia piegate possano ridurre in maniera consistente l’intervento dello psoas allo stato dell’arte non appare così

(Axler et al, 1997), anche se la stessa posizione, portando lo psoas in pre-accorciamento, potrebbe modularne il suo intervento nel movimento (diagramma tensione-lunghezza). Nei sit-up (vedi di seguito) così come negli esercizi che coinvolgono maggiormente gli arti inferiori (tipo leg raise) è probabile che l’intervento dello psoas risulti maggiore rispetto al crunch oppure al plank laterale.

Proprio per questo motivo risulta importante, durante qualsivoglia esercizio per gli addominali, mantenere la retroversione del bacino col rachide lombare in appoggio (qualora possibile) al suolo o ad una superficie. Nell’esecuzione del crunch inverso, ad esempio, la schiena appoggiata al suolo è uno dei fattori più importanti da considerare; soprattutto durante la fase di discesa degli arti inferiori la zona lombare deve rimanere adesa alla superficie d’appoggio. Il crunch inverso, in altri termini, non deve diventare un esercizio di slancio degli arti inferiori perché in questo caso tra i motori principali del movimento ci sarà l’ileo-psoas e il retto del femore. La discesa dev’essere controllata e il suo percorso termina allorquando si avverte che la zona lombare tende a staccarsi dalla superficie d’appoggio. Il crunch inverso è così definito perché altro non è che un crunch ma al contrario, col punto fisso sul torace ed il bacino che a questo si avvicina. Ma il più delle volte tutto pare fuorché un crunch inverso. Medesimo discorso per il leg raise eseguito alle dip ad esempio: anche in questo caso la schiena, e soprattutto la zona lombare, richiedono il mantenimento della retroversione con le vertebre lombari adese al supporto retrostante. Stimolare la muscolatura degli addominali in toto attraverso esercizi dove questa è fortemente chiamata in causa è la modalità più fisiologica e funzionale possibile.

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Scienza e movimento - N. 31 Gennaio-Marzo
metodologia dell’allenamento

LA TERMINOLOGIA TECNICA DEL MOVIMENTO UMANO

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I diritti di autore sono devoluti a Save the Children nella speranza che i bambini possano giocare e sorridere con esercizi, movimenti e giochi indicati loro nella maniera corretta.

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Nel momento in cui si optasse anche per esercizi più mirati nulla vieta di utilizzare dei sovraccarichi, ovviamente in relazione alle proprie o altrui capacità.

Le fibre muscolari del retto addominali sono costituite sia da fibre rosse che bianche, e non unicamente da una sola tipologia. Da qui se ne può dedurre che, al fine di stimolare anche le fibre bianche, poche ripetizioni con sovraccarico potrebbero essere una scelta ponderata e razionale, da alternare a contrazioni più lente o eseguite in isometria come il plank.

Una rotazionalità nella scelta della tipologia di contrazione darebbe stimoli sempre diversi agli addominali, così come nell’alternare i vari esercizi durante la settimana. In linea generale si potrebbero dedicare circa dieci minuti al termine dell’allenamento, ma questo è un aspetto che può avere una valenza soprattutto nei soggetti fortemente condizionati e che non hanno tra i loro obiettivi principali quello del dimagrimento, per i motivi in precedenza esposti.

metodologia dell’allenamento

In sintesi, le funzioni fisiologiche dei muscoli addominali possono essere così riassunte (Neumann, 2002):

• Supporto e protezione nei confronti dei visceri.

• Aumento della pressione intra addominale attraverso un’espirazione forzata (azione che si esplica anche durante il vomito, la defecazione, la minzione e il parto).

• Aumento della pressione intra toracica attraverso un’espirazione forzata dai polmoni.

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Esercizio crunch, fase iniziale

Da un punto di vista invece biomeccanico, le funzioni dei muscoli addominali in toto sono le seguenti (Neumann, 2002):

• Mobilità e stabilizzazione del tronco.

• Supporto della colonna lombare e dell’articolazione sacroiliaca durante esercitazioni di forza con carichi pesanti.

Esercizio crunch classico: le alternative sono quelle proposte in foto, col soggetto supino e mani dietro la zona cervicale oppure conserte sul petto. Prestare particolare attenzione alla zona cervicale e ai muscoli qui presenti, questi ultimi particolarmente chiamati in causa dai soggetti decondizionati. Se le mani sono poste dietro la nuca, queste non devono assolutamente spingere durante il movimento ma solo “accogliere” la testa, nulla di più. Non è necessario sollevarsi molto, indicativamente e soprattutto all’inizio può andare bene staccare le spalle e le scapole dalla superficie d’appoggio. Per evitare flessioni eccessive nel tratto cervicale, consigliare di guardare un punto fisso in alto perpendicolare agli occhi, e mantenerlo per tutta la durata dell’esercitazione. Le ginocchia sono flesse a circa 90 gradi, ma nei soggetti più allenati è possibile distendere gli arti inferiori; questa variante risulta più complessa, in quanto più i piedi si distanziano dal bacino più sarà difficile mantenere la retroversione. Il consiglio è di provare, distendendo progressivamente gli arti inferiori. È altresì possibile eseguire il crunch con le braccia distese verso l’avanti-alto, anche in questo caso prestare attenzione alla zona cervicale. Ricordarsi che è una flessione del busto, in particolare nei soggetti non allenati e con scarsa propriocezione la tendenza sarà quella di attivare (anche) i muscoli flessori del capo.

In foto possiamo osservare la fase finale dell’esercizio sit-up, il quale differisce dal crunch classico per un movimento molto più ampio.

Alla flessione del busto qui si abbina anche una flessione dell’anca, la quale aiuta a terminare il movimento rendendolo in sostanza completo. Restano le medesime accortezze sopra esposte per il crunch ed è un esercizio più indicato per quei soggetti già condizionati, in grado di mantenere la retroversione del bacino lungo tutto il ROM e soprattutto di evitare inutili ed esteticamente poco gradevoli “rimbalzi”, specchio di una muscolatura ancora non del tutto pronta per questo esercizio.

È probabile che in questo caso vi sia un’attivazione maggiore dello psoas rispetto al classico crunch.

Sia quest’ultimo esercizio che il sit-up, per soggetti ovviamente avanzati, è possibile eseguirli con un sovraccarico mantenuto tra le mani (ad esempio un kettlebell o un disco).

Allo stato dell’arte, la letteratura ci dice che il crunch attiva il retto dell’addome con la medesima efficacia del sit-up (Axler et al, 1997; Guimares et al, 1991; Juker et al 1998), il quale tende invece a chiamare maggiormente in causa la muscolatura flessoria dell’anca.

Nei soggetti neofiti, proprio per questo motivo, quantomeno all’inizio di una fase di condizionamento neuromuscolare sarebbe opportuno optare per il crunch classico. Il sit-up può essere una valida alternativa per i soggetti avanzati e con un ottimo grado di propriocezione.

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Esercizio sit-up

Esercizio crunch laterale (obliquo): il famoso crunch laterale o obliquo viene spesso eseguito per stimolare maggiormente i muscoli obliqui dell’addome. Ma è proprio così? Anche in questo caso la letteratura può aiutare a dirimere questo dubbio. Dalla lettura di alcuni studi si apprende come questo esercizio, in realtà, non differisca di molto dal crunch classico (Juker, 1998; Escamilla, 2006).

Se proprio lo volete inserire per dare uno stimolo diverso ai vostri addominali, sappiate che non è assolutamente necessario terminare il movimento col gomito che incontra il ginocchio controlaterale. Il più delle volte, proprio per questo motivo, è il ginocchio a venire incontro al gomito; i gradi di flessione del busto, indicativamente, sono gli stessi per il crunch e la traiettoria del gomito dovrebbe essere diretta verso l’anca controlaterale.

Esercizio plank: uno degli esercizi tornati in auge negli ultimi anni è il plank. Anche in questo caso la prerogativa è il mantenimento, per tutta la durata dell’esercizio, della retroversione con la zona lombare rettificata. Una buona esecuzione vorrebbe spalle (abdotte), tronco e bacino sulla stessa linea evitando che la zona lombare crei una conca visibile a occhio nudo dall’esterno.

Attenzione ai soggetti che avvertono dolore a livello della spalla, in quanto (per quanto venga eseguito bene) un minimo di sovraccarico è presente soprattutto nei soggetti neofiti.

È un ottimo esercizio che stimola tutta la muscolatura del core, così come il side plank o plank laterale, quest’ultimo notevole per stimolare la muscolatura degli obliqui (in particolar modo l’esterno) e degli abduttori dell’anca.

Il side plank può essere eseguito sia in contrazione isometrica sia attraverso contrazioni dinamiche, un’alternanza tra le due modalità può essere un’idea interessante. La zona addominale risponde anch’essa ai principi della metodologia dell’allenamento, non fa certo eccezione.

Nell’esecuzione del crunch classico probabilmente il muscolo meno chiamato in causa è proprio l’obliquo esterno (Escamilla et al, 2006), motivo per cui inserire esercizi maggiormente mirati per questo muscolo come il plank laterale, il leg raise o l’AB wheel sono opzioni da considerare con gli ultimi due indicati particolarmente per l’obliquo interno. Anche le varianti all’AB wheel classico sono molto interessanti per l’attivazione dei muscoli obliqui, in particolar modo il power wheel pike e il power wheel knee-up.

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Esercizio crunch obliquo o laterale
40 Scienza e movimento - N. 31 Gennaio-Marzo 2023
Esercizio plank Esercizio leg raise, fase iniziale del movimento Esercizio leg raise, fase finale del movimento

Esercizio crunch inverso: chiamato in causa più di una volta, questo esercizio altro non è che il contrario (appunto) del classico crunch. Come si può osservare dalla foto, è il bacino che si sposta verso il torace, invertendo il punto fisso rispetto al crunch e mantenendo sempre la retroversione del bacino.

Abbiamo già visto come questo esercizio non vada a stimolare in maniera settoriale la porzione bassa dell’addome, e se ben effettuato è un buon esercizio.

Accompagnare gli arti inferiori verso il basso fintantoché non si stacca la zona lombare risulta essere un’ottima stimolazione in regime eccentrico, e il grado di discesa dev’essere correlato alle proprie capacità (maggiore sarà

l’ampiezza della discesa, maggiore sarà il carico al quale dovranno far fronte gli addominali); massima accortezza nel non effettuare movimenti di slancio che agevolano senza dubbio il movimento ma lo rendono altresì molto meno efficace ed esteticamente meno gradevole.

Il movimento di discesa potrebbe aumentare la compressione tra L4-L5, e quando questa situazione si associa ad una muscolatura addominale debole, il rischio di patologie a livello lombare aumenta (Escamilla et al, 2006). Il reverse crunch su panca inclinata di 30° può essere un esercizio molto interessante soprattutto per quanto riguarda il muscolo obliquo interno. (Ralston, et al, 2006)

Abbiamo ormai capito che durante qualunque esercizio per l’addome i flessori dell’anca intervengono (psoas e retto femorale in primis), ma la percentuale del lavoro da questi ultimi effettuato è in relazione alla buona o cattiva esecuzione.

Soprattutto per esercizi similari a quello proposto nell’ultima foto, l’accortezza deve essere maggiore in quanto il movimento stesso degli arti potrebbe comportare un intervento maggiore dei flessori dell’anca, in special modo per i soggetti non abituati a tali movimenti e meno “propriocettivi”.

Ancora una volta il focus è la retroversione del bacino, cartina tornasole della bontà esecutiva dell’esercizio.

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Esercizio crunch inverso

ABSTRACT

Having defined abdominals has always been one of the main objectives that pushes people to join the gym; In this article we will evaluate the reason why it’s not so simple, due to anatomical and physiological reasons. We will evaluate the biomechanics of the main exercises that are performed to stimulate the abdominals, defining errors and correct execution.

The proprioception at the pelvis and lumbar area plays a decisive role

BIBLIOGRAFIA

1. Andersson, E. A., Nillson, J., Thorstensson, A., Ma, Z. (1997). Abdominal and hip flexor muscle activation during various training exercises. Eur J Appl Physiol Occup Physiol. 75(2):115-23 https://doi.org/10.1007/s004210050135

2. Axler, C.T., McGill, S.M., (1997). Low back loads over a variety of abdominal exercises: searching for the safest abdominal challenge. Med Sci Sports Exerc. 29:804-811 https://doi.org/10.1097/00005768-199706000-00011

3. Escamilla, R.F., Babb, E., DeWitt, R., Jew, P., Kelleher, P., Burnham, T., Bush, J., D’Anna, K., Mowbray, R., Imamura, R.T. (2006). Electromyographic analysis of traditional and nontraditional abdominal exercises: implications for rehabilitation and training. Phys Ter. 86(5):656-71 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/16649890/

4. Guimaraes, A.C., Vaz M.A., De Campos, I., Marantes, R.(1991). The contribution of the rectus abdominis and rectus femoris in twelve selected abdominal exercises: an electromyographic study. J Sports Med Phys Fitness. 31:222-230 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/1836517/4

5. Juker, D., McGill, S., Steffen, T. (1998). Quantitative intramuscular myoelectric activity of lumbar portions of psoas and the abdominal wall during a wide variety of tasks. Med Sci Sports Exerc. 30(2)301-10 https://doi.org/10.1097/00005768-199802000-00020 6. 6. Neumann, D.A. (2002): Kinesiology of the muscoloskeletal system: fondations for physical rehabilitation. Mosby Inc. 7. 7.Piering, A.W., Janoswki, A.P., Wehrenberg, W.B., Moore, M.T., Snyder, A.C. (1993). Electromyographic analysis of four popular abdominal exercises. J Athl Train. Summer;28(2): 120- 6 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/pmc1317695/ 8. Ralston., S.H., Urquhart, G.D., Brzeski, M., Sturrock, R.D. (1990). Prevalence of vertebral compression fractures due to osteoporosis in ankylosing spondylitis. BMJ. 300:563565 https://doi.org/10.1136/bmj.300.6724.563

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KEYWORDS

Il ruolo della fascia nel condizionamento atletico

La fascia nella prestazione sportiva, perché?

Il sistema fasciale in ambito sportivo, dove il fine è la prestazione, gode ancora di poca considerazione. Le cause di questa marginalità possono ricondursi alla complessità del sistema stesso, che non rende semplice stabilire e definire le implicazioni ed il peso nella preparazione atletica. Ambedue fondono argomenti di fisiologia e biochimica, ma il perno su cui ruotano rimane il corpo umano, che li unisce in modo indissolubile. (Wilke et al., 2019)

Per cercare di diminuire la distanza tra sistema fasciale e prestazione atletica, si rende necessario darne una breve indicazione anatomica

che farà emergere la profonda e completa connessione come motore del movimento.

La conoscenza del sistema fasciale deriva per lo più da due aree: la prima abbraccia l’ambito clinico e si occupa di rilevarne i danni e le possibili cure; la seconda di matrice anatomica, cosi da evidenziarn l’importanza nella trasmissione del movimento.

Una migliore comprensione delle dinamiche di adattamento sia alle condizioni biochimiche che al carico meccanico, promette miglioramenti per quanto riguarda: recupero da infortuni, riabilitazione, recupero funzionale, riatletizzazione e performance sportiva. (Wheeler, 2004; Wheeler & Aaron, 2001).

Anatomia e fisiologia della fascia

I tessuti fasciali meritano maggior attenzione e cercheremo quindi di esplicarne l’anatomia, la fisiologia ed il coinvolgimento in ambito prestativo, come possono influenzarlo sia positivamente che negativamente. Il continuum fasciale consiste in una fitta rete tridimensionale di tessuti connettivi molli, contenenti collagene fibroso, sciolto e denso che permea il corpo.

Comprende il tessuto adiposo, le guaine neuro-vascolari, le aponeurosi, le fasce profonde e superficiali, l’epinervio, le capsule articolari, i legamenti, le membrane, le meningi, il periostio, i tendini, la fascia viscerale ed il tessuto connettivo intermusco-

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Prof. Gian Mario Migliaccio, dottore di ricerca, biologo. ciao@migliaccio.it Dott. Beppe Loria, tecnico Federazione pugilistica italiana. lrogpp@gmail.com Dott. Leonardo Rocca, chinesiologo, osteopata ed allenatore di Judo. info@leonardorocca.it Myofascial, pnf, stretching, injuries, tissue properties, foam roller.

lare, compreso endomisio, epimisio e perimisio. (Bordoni & Myers, 2020) Pertanto, il sistema fasciale coinvolge tutti gli organi, i muscoli, le ossa e le fibre nervose, fornendo al corpo una struttura funzionale ed un ambiente che consente a tutti i sistemi del corpo di operare in modo integrato. Questa continuità istologica, è coerente, interconnessa ed interdipendente a più livelli. Quando pensiamo al sistema fasciale dobbiamo immaginare una fitta rete tridimensionale composta da tessuto connettivo, le cui cellule immettono nello spazio intercellulare elastina, collagene, reticolina e proteine collose che prendono il nome di glicosamminoglicani o sostanza fondamentale. Questo intero complesso prende il nome di MEC (matrice extracellulare o extracellular matrix ECM). (Purslow, 2020a)

Dal punto di vista meccanico, la MEC ha la funzione di distribuire le tensioni del movimento, oltre a fornire l’ambiente fisico chimico nel quale i metaboliti ed i nutrienti possono diffondersi liberamente. Essendo una struttura molto dinamica in grado di modificare le proprietà meccaniche e viscoelastiche dei tessuti permeati, è in grado di diminuire la suscettibilità allo stress ed aumentare la resistenza al carico. (Maas & Sandercock, 2010a) È infatti attraverso proprietà di meccano-trasduzione, dove l’informazione meccanica si trasforma in messaggio chimico, che la matrice per via delle integrine, la più ampia classe di proteine, permette la comunicazione tra le cellule dei vari sistemi connessi, modulando lo scambio di tensione, fornendo inoltre continuazione di tratti neuromuscolari in cui sono incorporati vasi sanguigni e rami nervosi. (Barczyk et al., 2010) Il tessuto fasciale forma una matrice viscoelastica tridimensionale continua di tutto il corpo di supporto strutturale. La viscoelasticità del sistema fasciale permette quindi di

mantenere il corretto funzionamento di tutti i nostri sistemi, dalla postura alla coordinazione intra e intermuscolare, dal movimento muscolare ed organico, allo scambio cellulare fino alla trasmissione nervosa, senza la quale non ci sarebbe vita. (Klingler et al., 2014)

Il ruolo della fascia nel movimento

Di norma siamo abituati ad immaginare che il movimento sia il semplice risultato di un meccanismo di contrazione e rilassamento, dove gli attori sono sostanzialmente il muscolo, il tendine e le ossa ai quali sono attaccati. In realtà questa visione meccanicistica, pur non essendo fondamentalmente scorretta, risulta semplicistica escludendo il sistema fasciale e con esso il concetto di continuità ed unità del sistema corpo umano, inducendo a pensare in modo selettivo e non globale. (T. W. Findley, 2009)

Convenzionalmente, infatti, i principali trasmettitori di forza sono i muscoli scheletrici e le inserzioni ossee della giunzione muscolo tendinea, ma è stato dimostrato che anche il sistema fasciale intermuscolare ed extra-muscolare fornisce una via per la trasmissione della forza. (Maas & Sandercock, 2010b) Il tessuto miofasciale (tessuto connettivo e muscolo) qualora presenti caratteristiche di rigidità o lassità, può avere un effetto negativo sulla meccanica muscolare, non solo influenzando negativamente la trasmissione della forza, ma aumentando la probabilità di infortunio. La ricerca ha dimostrato che i muscoli trasmettono fino al 40% della loro forza di contrazione nei muscoli adiacenti, incluso i muscoli antagonisti che sono co-irrigiditi per aumentare la resistenza, tramite profonde connessioni fasciali. (T. Findley et al., 2015)

Poiché i tessuti fasciali collegano i muscoli scheletrici, creando una rete di continuità miofasciale, una tensione muscolare potrebbe modificare la meccanica dei tessuti adiacenti.

Questa continuità corporea rispecchia perfettamente il concetto di catene miofasciali, ovvero la tensione di un distretto contrattile viene trasmessa a distretti vicini e lontani, così come avviene per la trasmissione della forza. (Wilke et al., 2018) È stato visto a livello microscopico che la cellula muscolare può utilizzare diverse strategie per trasmettere la forza in base alla morfologia del muscolo, poiché essa dipende molto dalla direzione delle fibre rispetto all’asse longitudinale del muscolo stesso.

Nel muscolo fusiforme la tensione tra i vari sarcomeri che portano al sarcolemma viene trasmessa in serie. Il sarcolemma trasmette forza grazie alle proteine di membrana (integrine) verso la MEC, infine verso l’endomisio ed il tendine. La velocità di trasmissione è rapida ma dispersiva; il muscolo bicipite e più veloce ma più debole del deltoide. (Huijing, 1999)

In un muscolo pennato invece, la trasmissione della forza è diversa, in quanto la tensione viaggia in modo parallelo tra i vari sarcomeri, poiché le fibre non sono in linea con il tendine ma sono oblique rispetto all’asse longitudinale. Pertanto, la velocità di trasmissione sarà più lenta ma la forza espressa maggiore, per via dell’aumento della concentrazione di elementi contrattili lungo il tendine. La tensione prodotta sarà poi trasmessa ai muscoli adiacenti, prendendo il nome di trasmissione della forza intermuscolare, mantenendo un equilibrio tra la tensione dei muscoli agonisti e antagonisti. (Purslow, 2020b).

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Il ruolo della fascia nei traumi sportivi

Un carico eccessivo, prolungato, un trauma, altera la viscoelasticità del tessuto fasciale e la composizione della MEC. In seguito a un qualsiasi tipo di lesione del tessuto fasciale, si genera una infiammazione ed una risposta immunitaria che mira a fagocitare le cellule danneggiate. Il rilascio di citochine pro-infiammatorie contribuisce all’attivazione di cellule fibroblasti deputate al rimodellamento del tessuto connettivo. (Zügel et al., 2018)

Quando l’infiammazione permane in modo cronico, si può andare incontro ad un processo di fibrosi, che si verifica a causa dell’eccessiva produzione di proteine della MEC come il collagene, influenzando così le proprietà viscoelastiche della fascia in seguito alla formazione di attrito o aderenza tra tessuti, generando così zone di fissazione tissutale e compressione di nervi e vasi sanguigni. (Wynn, 2008)

Inoltre, le citochine possono defluire nel flusso sanguigno, portando a un danno tissutale secondario diffuso e al rilascio del nocicettore centrale. Dolore e infiammazione portano i muscoli in uno stato di atrofia, inoltre si possono verificare cambiamenti nella composizione delle fibre muscolari in seguito ad un processo infiltrativo di tessuto adiposo, ed un aumento di produzione di citochine pro-infiammatorie. (Zhang & An, 2007).

La fibrosi genera quindi un processo di rigidità fasciale, con conseguente riduzione di viscosità della MEC che può contribuire ad una riduzione del ROM articolare e dolore miofasciale, come avviene ad esempio nelle contratture.

L’irrigidimento del tessuto connettivo accompagna diversi dolori come ad esempio mal di schiena, cervicalgie, fasciti, epitrocleite (gomito del golfi-

sta), epicondilite (gomito del tennista), spalla congelata. (di Franco et al., 2015)

All’interno del tessuto fasciale, sono stati trovati neuroni nocicettivi cosiddetti “wide dynamic range”, che rispondono a deboli stimolazioni e che incrementano la risposta quando lo stimolo diviene più intenso (nocivo) e quelli che rispondono a stimoli esclusivamente nocivi. (Maixner et al., 1986)

Le indagini neurofisiologiche funzionali, così come istopatologiche, hanno suggerito che il tessuto connettivo fasciale è una potenziale fonte di dolore. Indagini elettrofisiologiche hanno rivelato che l’attività degli impulsi e il numero di neuroni del midollo spinale dopo la stimolazione della fascia è molto variabile. (Coghill, 2020)

Stando alle evidenze anatomico-funzionali, risulta quindi impossibile valutare il movimento come il risultato della mera contrazione muscolo-tendinea, bensì come suggerisce la struttura a matrice interconnessa di tutte le componenti enunciate, il risultato di una compartecipazione di elementi che concorrono, ognuno per competenza specifica. (Coghill, 2022)

La relazione carico-lesione nel trauma sportivo

Le lesioni da sforzo muscolare sono le più diffuse in ambito sportivo. È stato suggerito che l’eccessivo carico tissutale durante i movimenti atletici, rappresenti il principale meccanismo patologico della lesione. Questo accade per una miriade di fattori che diventa difficile enunciare, ma a livello statistico, negli infortuni sportivi, la fascia è coinvolta nella maggioranza dei casi e fino a circa 7 su 8. (Wilke et al., 2016, 2019)

La causa maggiore si rileva quando il corpo presenta uno sbilanciamento nelle qualità motorie primarie che

si ripercuote a livello tissutale. La mancanza di coerenza istologica porta nella catena del movimento richiesto durante un gesto atletico, ad aumentare la probabilità di infortunio. (Jakobsen & Krogsgaard, 2021)

Stabilire un nesso causale tra fascia e prestazione sportiva risulta quantomai complesso, non solo in virtù delle infinite richieste sport specifiche, ma anche in relazione alle peculiarità di ogni singolo soggetto. Non a caso possono giungere allo stesso risultato soggetti dalla antropometria differente, ma che racchiudono in loro fattori prestativi che lo soddisfano in modo equanime. Quello che non cambia, indipendentemente dalla disciplina sportiva, è la forte relazione tra le qualità motorie primarie (forza, velocità e resistenza) e come queste si influenzino. (Zügel et al., 2018)

Numerose evidenze correlano la capacità di forza, nelle sue varie espressioni, con il risultato sportivo. Nell’allenamento della forza, la componente del sistema fasciale può essere significativa, non solo in merito al recupero funzionale dopo un eventuale infortunio, bensì nel suo sviluppo essendo essa strettamente connessa sia all’arco di movimento, non solo sport specifico ma anche generale, che neurale attraverso gli stimoli di propriocezione portati al SNC. (Kraemer et al., 2002)

Conoscere il tessuto fasciale per l’allenamento

Stando alle caratteristiche elencate e volendo riassumere in modo empirico ricordiamo:

• Le caratteristiche principali del tessuto fasciale includono: viscosità (la capacità dei tessuti di scivolare l’uno contro l’altro), elasticità (la capacità di imma-

45
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chinesiologia

gazzinare e rilasciare energia cinetica) e plasticità (la capacità di resistere alla distorsione e rimodellare sé stessa lungo le linee di sollecitazione).

• La variabilità nel movimento e del carico sia in termini di intensità che attraverso diverse velocità, angoli e tempi, aiuta a ridurre la sindrome da uso eccessivo ed il modello da sovraccarico che inibisce la propriocezione e aumenta il rischio di lesioni. Questo approccio inoltre aiuta a sviluppare una matrice di collagene più sana e dimensionalmente robusta, creando le basi per un sistema più equilibrato e meno incline agli infortuni.

• Lo sviluppo dell’elasticità fasciale non segue i tempi del sistema muscolo tendineo. Un elemento fondamentale dell’allenamento della fascia è iniziare con movimenti lenti, prediligendo i corretti percorsi motori. In seconda ragione aumentare la velocità ed il carico mentre

il tessuto e il sistema nervoso maturano e si adattano. Lo sviluppo muscolare può essere raggiunto in poche settimane o mesi, mentre a livello fasciale possono essere necessari da sei mesi a due anni.

Il fattore elasticità è, come abbiamo visto, importante poiché la maggior parte delle lesioni da distrazione di 1°-2°-3° avvengono quando il tessuto connettivo viene allungato più velocemente di quanto possa rispondere.

Allenare l’elasticità miofasciale

Come abbiamo constatato un cambiamento dell’elasticità miofasciale che può causare anche un intrappolamento di vasi e nervi, potrebbe indurre riduzione del ROM articolare, trasmissione della forza ed espressione della forza massima, peggioramento degli scambi cellulari compromettendo così l’espressione dei vari sistemi energetici e dolore.

(Beardsley & Škarabot, 2015)

Le metodologie con maggiori evidenze per manipolare la mobilità fasciale comprendono l’intervento di terzi come professionisti del settore sanitario (fisioterapisti, osteopati) praticando la terapia manuale, l’utilizzo di ausili come foam roll e specifiche metodologie di allenamento come lo stretching. (Cheatham et al., 2015)

Utilizzare un auto-massaggio con un foam roll per un tempo che va dai 90 ai 600 secondi, può aiutare a ridurre sensibilmente il dolore. (Pearcey et al., 2015)

Non è chiaro invece se questo possa essere di aiuto anche nel miglioramento della mobilità articolare ROM, in quanto un aumento potrebbe essere correlato alla sola diminuzione del dolore e non un effettivo cambiamento della struttura muscolo-fasciale. (MacDonald et al., 2013)

Nella performance sportiva non sono stati riscontrati miglioramenti, ma un uso oltre i 90 secondi potrebbe portare ad un peggioramento

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della performance nella zona muscolare trattata. (Hughes & Ramer, 2019). Lo stretching, metodologia ampiamente utilizzata e conosciuta nel mondo sportivo, porta a modificazioni della miofascia sia in forma statica, dinamica e P.N.F. (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation) con aumento del ROM articolare. (Konrad et al., 2017; Langevin, 2021)

Allenare l’equilibrio muscolare e miofasciale

I muscoli in genere si sviluppano molto più velocemente dell’elasticità fasciale e maggiore è lo squilibrio tra i due, maggiore è la possibilità di lesioni.

• L’allenamento per migliorare l’elasticità fasciale prevede brevi movimenti ciclici rapidamente ripetuti (e.g. salto della corda, etc.)

• Analizzare le singolarità e programmare di conseguenza una periodizzazione che preveda

fasi di adattamento anatomico, ipertrofia e forza al fine di costruire un equilibrio tra tutte le componenti del sistema corpo umano.

• A livello di integrazione, le ricerche suggeriscono che il consumo di gelatina arricchita di vitamina C, unita ad attività intermittente aumenti la sintesi del collagene, riducendo i tempi di recupero post traumatico, poiché fondamentale per il collagene del tessuto connettivo.

L’idratazione è una componente chiave della salute del tessuto connettivo; infatti, una riduzione di liquidi provoca un aumento dell’attrito, stimolando i fibroblasti a deporre più legami incrociati di collagene tra strati di tessuto, portando infine ad adesioni tra gli strati. Bere più acqua aiuta a mantenere idratato il tessuto connettivo ed a limitarne i danni. (Cai et al., 2020)

Conclusione

Qualsiasi forma di perturbazione del continuum fasciale che avvenga in forma cronica è in grado di modificarne le proprietà visco-elastiche. Queste modifiche del sistema fasciale possono indurre alterazioni della fisiologia compromettendo la tensione muscolare, la trasmissione nervosa e lo scambio vascolare. Le ripercussioni negative che possiamo riscontrare nell’atleta sono cali di forza, riduzione del ROM articolare, alterazioni della postura, peggioramento del gesto tecnico, aumento del dispendio energetico, alterazione dei vari sistemi energetici e dolore.

È possibile però porvi rimedio o limitarne i danni, inserendo nell’allenamento sessioni di stretching o utilizzo del foamoller.

Possiamo pertanto affermare che il sistema fasciale può interferire negativamente nella performance sportiva qualora fosse alterata la sua fisiologia.

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chinesiologia

ABSTRACT

The role of fascia in athletic conditioning. In athletic training, the concept of the fascial system is often overlooked if not ignored, despite evidence showing that it is entirely present in the human body. It is therefore interesting to report its importance and highlight its contribution in sports conditioning.

The fascial continuum should be imagined as a dense three-dimensional network of multiple layers of connective tissue, able to flow between them and covering every structure of the body, wrapping, and penetrating it. It is therefore impossible to consider the body in watertight compartments, giving life to the concepts of muscle chains.

The fascial system regulates posture, joint mobilization, the expression of strength, the exchange of nutrients, the information of the nerves, the visceral organic function and has, in general, the task of giving mechanical support to neuromuscular stimuli, creating systemic continuity and uniformity.

Reasons why fascial stiffness changes can be: mechanical, chemical, surgical, traumatological, and emotional stress.

It is therefore clear that an alteration of the physiology of the activity of the fascial system can influence sports performance.

Myofascial release treatments by manual handling, foam roller, lead from pain reduction, to improved performance. The conjugated job capable of dosing fascial and neural stimuli coherent in terms of activation sport-specific, it would seem therefore a road that not only preserves the health of the athlete, but that also allows a better performance.

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Calendario dei CORSI

PERSONAL TRAINER

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Padova 25-26 febbraio 2023; Roma 11-12 marzo 2023; Milano 11-12 marzo 2023

Istruttore Yoga dinamico Roma 4-5 marzo 2023; Bologna 4-5 marzo 2023; Milano 18-19 marzo 2023

I CORSI 50 Scienza e movimento - N. 31 Gennaio-Marzo 2023

ISTRUTTORE PILATES

Il corso di Pilates è strutturato in modo da fornire ai futuri istruttori la necessaria preparazione e capacità di organizzare al meglio le sessioni allenanti nel rispetto dei principi base della disciplina, sfruttando la naturale capacità di promuovere il giusto equilibrio tra benefici sul piano emotivo e sul piano fisico. Nella parte teorica saranno affrontati gli argomenti tecnici relativi alla conoscenza del metodo, del linguaggio e della filosofia che risiede dietro al Pilates. La parte pratica prevede l’esame degli esercizi eseguiti con l’ausilio del tappetino e finalizzati a migliorare la forza muscolare, ottenendo un corpo più forte, snello e con addominali tonici e performanti. Sarà dato ampio risalto alle metodiche che aiutano a prendere consapevolezza del proprio corpo producendo un miglioramento nella postura e prevenendo i vizi posturali. Infine, sarà esaminato come divenire più abili e precisi nei movimenti e nel gesto atletico attraverso la pratica del Pilates, beneficiando delle ripercussioni positive che è possibile avere anche in altri tipi di sport.

Durata 2 week-end

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Padova 21-22 gennaio 2023 e 11-12 febbraio 2023; Roma 28-29 gennaio 2023 e 18-19 febbraio 2023; Milano 28-29 gennaio 2023 e 18-19 febbraio 2023; Catania 11-12 febbraio 2023 e 11-12 marzo 2023; Torino 18-19 marzo 2023 e 15-16 aprile 2023; Roma 29-30 aprile 2023 e 27-28 maggio 2023; Milano 29-30 aprile 2023 e 27-28 maggio 2023; Padova 29-30 aprile 2023 e 27-28 maggio 2023

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Un corso altamente specifico che tratta in prevalenza tutte le tematiche inerenti l’allenamento con un’analisi approfondita degli esercizi, della meccanica muscolare e delle tecniche di allenamento finalizzate all’incremento della massa muscolare. Tra gli argomenti trattati: metodologia dell’allenamento, organizzazione dell’allenamento, metodi per lo sviluppo dell’ipertrofia, approccio ed elaborazione scheda d’allenamento. Analisi teorico-pratica degli esercizi.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Padova 21-22 gennaio 2023; Brescia 21-22 gennaio 2023; Catania 21-22 gennaio 2023; Roma 28-29 gennaio 2023; Milano 28-29 gennaio 2023; Pescara 28-29 gennaio 2023; Torino 4-5 febbraio 2023; Napoli 4-5 febbraio 2023; Bari 11-12 febbraio 2023; Verona 11-12 febbraio 2023; Bologna 11-12 febbraio 2023; Cagliari 18-19 febbraio 2023; Parma 25-26 febbraio 2023; Firenze 4-5 marzo 2023; Brescia 11-12 marzo 2023; Catania 18-19 marzo 2023; Pescara 25-26 marzo 2023; Roma 25-26 marzo 2023; Milano 25-26 marzo 2023; Torino 1-2 aprile 2023; Napoli 1-2 aprile 2023; Cagliari 22-23 aprile 2023; Verona 22-23 aprile 2023; Bari 29-30 aprile 2023; Bologna 29-30 aprile 2023; Parma 27-28 maggio 2023

Chi ha seguito il corso di Body Building di primo livello può accedere anche al corso di: Fitness e BodyBuilding di II livello

Catania 4-5 marzo 2023; Roma 22-23 aprile 2023; Milano 22-23 aprile 2023; Padova 22-23 aprile 2023

ISTRUTTORE HIIT

Il calo ponderale è la spinta principale a praticare attività fisica, e la difficoltà di ottenere il risultato è invece il primo motivo di abbandono. Per rispondere alle esigenze del mercato abbiamo studiato e realizzato il corso di formazione di Istruttore HIIT, una metodologia di allenamento che ha tra i principali benefici proprio il dimagrimento. Nella parte teorica verranno affrontati argomenti basilari, per arrivare poi a trattare specificatamente l’allenamento ad alta intensità e i suoi effetti, oltre all’analisi dei più imporanti protocolli di lavoro: Tabata, Gibala e Timmons.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi Roma 4-5 marzo 2023; Milano 4-5 marzo 2023

I CORSI 51 Scienza
Gennaio-Marzo 2023
e movimento - N. 31

ISTRUTTORE PUMP

Il Pump è una disciplina presente in tutte le palestre italiane e non solo, un fenomeno in continua crescita come la richiesta di Istruttori certificati, che si mantiene particolarmente elevata. Con il nostro corso Ë possibile diventare Istruttore certificato EPS CONI e lavorare come professionista, creando nuove opportunit‡ o incrementando il monte ore lavorativo.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Milano 4-5 febbraio 2023

BIOMECCANICA DEGLI ESERCIZI FISICI

Il Corso di Biomeccanica degli esercizi fisici si sviluppa in 2 weekend e prevede l’analisi teorica e pratica della tecnica esecutiva, della metodologia di insegnamento e della progressione didattica dei principali esercizi di muscolazione rivolti alla muscolatura di: arti inferiori, addominali, tronco, arti superiori. Verranno analizzati esercizi come squat, stacco da terra, plank, distensioni su panca piana con bilanciere e manubri, distensioni su panca inclinata con bilanciere e manubri e moltissimi altri.

Durata 2 week-end Quota 399,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Novara 28-29 gennaio 2023 e 25-26 febbraio 2023; Roma 11-12 febbraio 2023 e 11-12 marzo 2023; Milano 11-12 febbraio 2023 e 11-12 marzo 2023; Padova 25-26 febbraio 2023 e 25-26 marzo 2023

ISTRUTTORE GINNASTICA IPOPRESSIVA

La ginnastica ipopressiva si differenza dalla comune ginnastica pelvica, in quanto il suo obiettivo non è solo quello di riprogrammare il corretto funzionamento del pavimento pelvico, ma anche quello di reinformare la muscolatura profonda di tutto il corpo, attraverso specifiche posture.Durante il corso verranno esaminati gli aspetti fisiologici, biomeccanici e anatomici utili a comprende come utilizzare al meglio la ginnastica ipopressiva e verranno valutate le controindicazioni specifiche.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Catania 21-22 gennaio 2023; Bari 21-22 gennaio 2023; Roma 4-5 febbraio 2023; Milano 4-5 febbraio 2023; Padova 11-12 febbraio 2023; Bologna 4-5 marzo 2023; Torino 11-12 marzo 2023; Brescia 18-19 marzo 2023; Roma 15-16 aprile 2023; Milano 15-16 aprile 2023

ISTRUTTORE WALKING

È possibile trovare classi di Walking nei centri fitness e palestre di tutta Italia. Si tratta di una disciplina adatta a tutti, facile da imparare e di enorme successo. C’èË una forte richiesta di professionisti, per questa ragione intendiamo formare i migliori Istruttori Walking, che possano lavorare in maniera continuativa e proficua.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Roma 25-26 febbraio 2023; Milano 4-5 marzo 2023

ISTRUTTORE POLE DANCE

Il corso di Istruttore Pole Dance risponde alle più recenti esigenze del mercato del lavoro nel settore delle palestre e dei centri fitness. Il programma didattico parte dall’analisi dell’anatomia e della biomeccanica per arrivare all’analisi e all’esecuzione delle più importanti figure, partendo da quelle base. L’ultimo modulo del corso prevede un approfondimento su come strutturare una lezione di Pole Dance.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi Roma 4-5 febbraio 2023 e 4-5 marzo 2023; Milano 18-19 febbraio 2023 e 18-19 marzo 2023

I CORSI 52 Scienza e movimento - N. 31 Gennaio-Marzo 2023

ISTRUTTORE FIT BOXE

La Fit boxe sta ottenendo uno strepitoso successo in tutti i centri fitness italiani: c’è quindi una forte richiesta di professionisti, di veri Istruttori Fit boxe. Il programma del corso parte dalle indispensabili basi teoriche per arrivare alla “costruzione della lezione”, con molteplici passaggi dalla teoria alla pratica.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it

Date e sedi

Roma 21-22 gennaio 2023; Milano 21-22 gennaio 2023; Roma 1-2 aprile 2023; Milano 1-2 aprile 2023

ISTRUTTORE FITNESS MUSICALE

I corsi di Fitness Musicale sono tra i più richiesti tra chi frequenta le palestre, infatti i centri fitness sono alla continua ricerca di professionisti nelle discipline aerobico-coreografiche, ed in particolar modo Istruttori con specifiche competenze di aerobica e step, total body, GAG”. Il corso di formazione Istruttore Fitness Musicale, realizzato da NonSoloFitness si articola su 4 giorni (2 week end), e si propone di formare insegnanti nel settore, attraverso un programma che parte dalla storia del fitness musicale per arrivare all’analisi dettagliata di una lezione, l’importanza della musica e i metodi di insegnamento.

Durata 2 week-end Quota 399,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Roma 28-29 gennaio 2023 e 25-26 febbraio 2023; Milano 28-29 gennaio 2023 e 25-26 febbraio 2023; Padova 18-19 marzo 2023 e 22-23 aprile 2023

ISTRUTTORE FITNESS PER BAMBINI

Uno dei corsi più interessanti ed approfonditi, finalizzato a scoprire il ruolo dell’attività motoria e sportiva in età evolutiva. Una giornata di incontro e studio su come approntare il lavoro, con i bambini e con gli adolescenti. Cosa rappresenta il movimento in questa età particolare e le sue implicazioni sullo sviluppo intellettivo, del linguaggio e della personalità. Un corso utile non solo agli operatori del settore, ma anche ai genitori più attenti che vogliono strutturare le migliori prospettive per i propri bambini e ragazzi.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Roma 18-19 marzo 2023; Milano 18-19 marzo 2023; Padova 15-16 aprile 2023

ISTRUTTORE FITNESS PER LA TERZA ETÀ

Il ruolo dell’attività motoria nella prevenzione delle più comuni disfunzioni legate all’età adulta della vita ed all’abituale sedentarietà. Cosa avviene sotto il profilo fisico e psichico in un individuo adulto, quali i limiti prestazionali, come innalzare la qualità della vita non solo sotto l’aspetto dell’efficienza fisica. È noto che palestre e centri fitness non sono piú appannaggio esclusivo dei giovani. Sempre più adulti ed anziani utilizzano l’esercizio fisico per prevenire e curare malattie e disfunzioni. Per questa ragione un numero sempre maggiore di imprenditori del fitness è alla ricerca di personale qualificato.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Roma 4-5 marzo 2023; Milano 4-5 marzo 2023; Padova 22-23 aprile 2023

OPERATORE TAPING POSTURALE E SPORTIVO

Il Taping muscolare è oggi una delle tecniche di bendaggio più utilizzate nell’ambito sportivo, ma anche rieducativo e riabilitativo. Le diverse tecniche di applicazione permettono di ottenere benefici a livello muscolare, articolare, linfatico e sanguigno, posturale e sensitivo, migliorando anche il controllo dello stimolo doloroso. Il corso teorico-pratico è immediatamente spendibile sul mercato del lavoro e risulta un eccezionale alleato da affiancare alla ginnastica posturale, non solo mediante l’analisi dell’applicazione del taping ma anche attraverso gli esercizi che coadiuvano tale intervento.

Durata 1 week-end Quota 249,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it

Date e sedi

Padova 18-19 febbraio 2023; Catania 25-26 febbraio 2023; Roma 1-2 aprile 2023; Milano 1-2 aprile 2023

Scienza e movimento - N. 31 Gennaio-Marzo 2023

I CORSI 53

ISTRUTTORE SPACE JUMP

La disciplina Space Jump (JT) coinvolge un vasto pubblico per due motivi fondamentali: le persone si allenano divertendosi con un attrezzo che, per le sue proprietà e caratteristiche, scatena emozioni positive e ricordi. Una sorta di ritorno all’infanzia, corpo e mente liberi di fare. Le persone eseguono esercizi semplici in sicurezza acquisendo tutti i benefici dell’allenamento specifico JT. Il corpo lavora in modo globale: coordinazione, resistenza, forza, equilibrio.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Milano 21-22 gennaio 2023

MASSAGGIATORE SPORTIVO

Il massaggio sportivo è eseguito negli atleti al fine di migliorare la prestazione, preparare il muscolo a grossi carichi di lavoro, ripristinare una migliore condizione fisiologica dei muscoli sottoposti allo stress dell’esercizio fisico. Gli effetti benefici sono molteplici e trova applicazione non solo dopo una gara, ma anche tra una competizione e l’altra o prima della gara stessa. Saranno affrontati differenti tipi di massaggio pre, infra e post gara e le tecniche decontratturanti con lo scopo di creare le basi professionali del settore e affrontare il mondo del lavoro in modo efficace.

Durata 2 week-end Quota 399,00 euro Iscrizioni www.nsf.it

Date e sedi

Catania 28-29 gennaio 2023 e 25-26 febbraio 2023; Roma 4-5 febbraio 2023 e 11-12 marzo 2022; Milano 4-5 febbraio 2023 e 1112 marzo 2023; Padova 25-26 marzo 2023 e 22-23 aprile 2023; Torino 25-26 marzo 2023 e 22-23 aprile 2023 Massaggio Linfodrenante

Roma 25-26 marzo 2023 e 22-23 aprile 2023; Milano 15-16 aprile 2023 e 13-14 maggio 2023; Padova 6-7 maggio 2023 e 10-11 giugno 2023 Massaggio Svedese

Roma 25-26 febbraio 2023; Milano 25-26 febbraio 2023; Padova 25-26 febbraio 2023

PREPARATORE ATLETICO E SPORTIVO

Il corso di Preparatore Atletico e Sportivo ha l’ambizione di formare figure in grado di occuparsi a 360° della preparazione fisica di un atleta amatoriale o professionista. Il programma si sviluppa in due fine settimana ed è vasto e articolato, partendo da concetti basilari per arrivare a nozioni di natura più complessa, con molti esempi strettamente connessi alla pratica.

Durata 2 week-end Quota 399,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi Roma 18-19 febbraio 2023 e 18-19 marzo 2023; Milano 18-19 febbraio 2023 e 18-19 marzo 2023

FITNESS MOTIVAZIONALE

Il Fitness Motivazionale rappresenta un nuovo strumento in mano a tutti professionisti del fitness che intendono promuovere efficacemente la loro attività, incrementando e fidelizzando efficacemente la propria clientela senza campagne pubblicitarie, senza promozioni e senza sconti. È anche una straordinaria opportunità per chi è alla ricerca di un lavoro nel mondo del fitness, rappresentando questo corso un punto d’eccellenza nel proprio curriculum.

Durata 1 giorno Quota 159,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Roma 20-21 maggio 2023; Milano 20-21 maggio 2023; Padova 20-21 maggio 2023

I CORSI 54 Scienza e
-
2023
movimento
N. 31 Gennaio-Marzo

ISTRUTTORE ALLENAMENTO IN SOSPENSIONE

Diventare Istruttore Allenamento in Sospensione garantisce un futuro nel mondo del fitness, perchè si va incontro al futuro, essendo esperti in una materia destinata a sempre maggiore successo. Il corso prevede una parte teorica ed una parte pratica, secondo il principio che il miglior metodo per imparare sia quello di praticare in prima persona.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi Manfredonia 28-29 gennaio 2023; Roma 18-19 febbraio 2023; Milano 18-19 febbraio 2023

Istruttore Allenamento calistenico Roma 4-5 febbraio 2023; Milano 4-5 febbraio 2023; Padova 11-12 marzo 2023

Istruttore Kettlebell //

ISTRUTTORE ACQUAGYM

Il corso di Istruttore Acquagym offre la possibilità di inserirsi nel campo del fitness acquatico, con un programma che spazia dall’ambito teorico a quello pratico. All’interno della parte teorica trova spazio la disamina del concetto di fitness, la differenza tra il fitness terrestre e quello acquatico, per arrivare poi al lavoro in acqua, funzionale al miglioramento della propriocezione ed alla sperimentazione delle nozioni.

Durata 1 week-end

Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Roma 21-22 gennaio 2023; Milano 21-22 gennaio 2023; Firenze 28-29 gennaio 2023; Roma 11-12 marzo 2023; Milano 11-12 marzo 2023

Istruttore HydroBike Roma 25-26 marzo 2023; Milano 25-26 marzo 2023

ISTRUTTORE INDOOR CYCLING

“Indoor Cycling” è una delle discipline più seguite ed apprezzate dai clienti, con tali e tanti benefici che questa attività è in continua espansione tecnica e commerciale, e la richiesta sul mercato del lavoro è in continuo aumento. Il programma, articolato su 4 giorni, prevede una full immersion sia teorica che pratica.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi Padova 21-22 gennaio 2023; Roma 11-12 febbraio 2023; Milano 11-12 febbraio 2023; Torino 1-2 aprile 2023

ISTRUTTORE ALLENAMENTO FUNZIONALE

C’è grande fermento in tutte le palestre e nei centri fitness italiani: la tendenza del momento è l’allenamento funzionale. NonSoloFitness ha predisposto un corso di formazione ad hoc, studiato per permettere agli appassionati, e a chi è già insegnante, di diventare Istruttore di Allenamento Funzionale. Il programma del corso si articola in diversi spunti didattici, con la trattazione dei temi più importanti inerenti l’allenamento funzionale, come ad esempio: teoria e metodologia del functional training, meccanismi energetici, functional vibration training e molto altro ancora.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro

Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Roma 28-29 gennaio 2023; Milano 28-29 gennaio 2023; Bologna 28-29 gennaio 2023; Padova 4-5 febbraio 2023; Torino 25-26 febbraio 2023; Roma 15-16 aprile 2023; Milano 15-16 aprile 2023

Istruttore Allenamento funzionale - II livello Date e sedi

Roma 1-2 luglio 2023; Milano 1-2 luglio 2023

I CORSI 55
2023
Scienza e movimento - N. 31 Gennaio-Marzo

ISTRUTTORE GINNASTICA POSTURALE

Il corso di Istruttore Ginnastica Posturale risponde alle esigenze di un mercato del lavoro nel quale i centri fitness sono sempre più alla ricerca di figure in grado di operare sulla postura. Gli argomenti trattati, atti alla formazione di una figura professionale valida, spaziano dall’organizzazione della postura alle proposte operative ed esercizi per l’integrazione posturo-cinetica.

Durata 1 week-end Quota 199,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi

Roma 21-22 gennaio 2023; Milano 21-22 gennaio 2023; Cagliari 21-22 gennaio 2023; Padova 28-29 gennaio 2023; Napoli 28-29 gennaio 2023; Bari 4-5 febbraio 2023; Pescara 4-5 febbraio 2023; Catania 4-5 febbraio 2023; Firenze 11-12 febbraio 2023; Torino 11-12 febbraio 2023; Verona 18-19 febbraio 2023; Genova 4-5 marzo 2023; Bologna 11-12 marzo 2023; Roma 18-19 marzo 2023; Milano 18-19 marzo 2023; Padova 25-26 marzo 2023; Napoli 25-26 marzo 2023; Catania 15-16 aprile 2023; Firenze 22-23 aprile 2023; Brescia 22-23 aprile 2023; Cagliari 29-30 aprile 2023; Torino 29-30 aprile 2023; Pescara 29-30 aprile 2023

Chi ha già seguito il corso da Istruttore di Ginnastica Posturale può accedere anche ai corsi di: Istruttore Ginnastica Posturale - II livello Istruttore Ginnastica Posturale - III livello Bologna 21-22 gennaio 2023; Milano 4-5 febbraio 2023; Bari 4-5 marzo 2023; Torino 4-5 marzo 2023; Roma 22-23 aprile 2023; Milano 22-23 aprile 2023; Catania 13-14 maggio 2023

Padova 21-22 gennaio 2023; Milano 25-26 marzo 2023; Padova 10-11 giugno 2023; Roma 17-18 giugno 2023; Catania 17-18 giugno 2023 Istruttore Ginnastica Posturale in gravidanza

Roma 11-12 febbraio 2023; Milano 11-12 febbraio 2023; Padova 11-12 marzo 2023 Istruttore Stretching

Roma 17-18 febbraio 2023; Milano 18-19 febbraio 2023; Catania 18-19 febbraio 2023; Padova 25-26 febbraio 2023

Tecniche posturali nelle scoliosi

Roma 11-12 marzo 2023; Milano 11-12 marzo 2023; Padova 1-2 aprile 2023 Postura e Piede: tecniche di equilibrio \\

Analisi della postura

Roma 25-26 febbraio 2023; Milano 25-26 febbraio 2023; Padova 4-5 marzo 2023; Catania 4-5 marzo 2023

COACHING PER LO SPORT

Il corso della durata di 4 giornate si pone l’obiettivo di fornire gli strumenti adeguati ad allenatori, personal trainer, amatori, atleti, che vogliano attuare un percorso di crescita personale e professionale. Il Coaching è uno strumento potente che spinge all’azione, al cambiamento e a nuove prospettive sia in ambito professionale sia in ambito personale, l’affiancamento e la professionalità di un coach aiutano chi si allena anche nell’acquisizione di una migliore consapevolezza e performance.

Durata 2 week-end Quota 399,00 euro Iscrizioni www.nsf.it Date e sedi Milano 28-29 gennaio 2023 e 18-19 febbraio 2023; Milano 28-29 gennaio 2023 e 18-19 febbraio 2023

Info sui corsi

La procedura di iscrizione ai corsi, ed il calendario aggiornato, sono consultabili al seguente link: www.nsf.it

Per ogni necessità è possibile contattare la segreteria organizzativa: Tel. 06. 404.03.925 (dal lun. al ven.) email: supporto@nonsolofitness.it

Tutti i corsi consentono il rilascio del Diploma Nazionale emesso dall’AICS secondo le nuove disposizioni di legge. La partecipazione include l’Iscrizione per un anno alla Associazione Italiana Cultura Sport, Ente di Promozione Sportiva riconosciuto dal CONI e rilascio del relativo tesserino tecnico.

La partecipazione ai corsi di formazione include: Libretto formativo: Tutti gli studenti riceveranno il libretto formativo personalizzato. Il libretto, oltre a dati personali, numero di matricola e QR Code, riporta tutti i corsi seguiti, il risultato dell’esame e i punti salienti del programma.

Fornisce prova delle attività formative seguite dallo studente e consente di raggiungere gratuitamente alcune certificazioni supplementari. Il libretto non ha scadenze, nè costi futuri di gestione.

Abbonamento alla rivista: Nel costo complessivo del corso è compreso l’abbonamento all’organo ufficiale di NonSoloFitness, la rivista Scienza e Movimento, per consentirti un agevole e continuo aggiornamento sulle più importanti tematiche inerenti il fitness.

Banca lavoro del fitness: Al termine del corso, i partecipanti, potranno richiedere gratuitamente e per sempre, l’inserimento nella Banca Lavoro del Fitness. Un albo dei professionisti certificati da NonSoloFitness, liberamente consultabile da privati e titolari di centri sportivi, con lo scopo di agevolare l’inserimento nel mondo nel lavoro.

I CORSI 56 Scienza e movimento - N. 31 Gennaio-Marzo 2023

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